La prima volta di Don Emilio
Era andato in Curia a portar le sue lagnanze al vescovo. Lui, in mezzo a quel branco di zoticoni
montanari, non avrebbe resistito un solo giorno in più.
-Vostra Eminenza, mi perdoni, ma il troppo è troppo! Io ce l’ho messa tutta, ma credetemi quella
parrocchia non fa per me! Quei caproni, di tutto hanno bisogno, fuorché di un prete!
- Le pecore che si sono smarrite, caro don Emilio, non sanno di essersi perse.
- Perdonatemi vostra Eminenza, ma… in sei mesi ho perso tutte le battaglie.
- Se volevate vincere le battaglie dovevate… fare il generale.
- Sapete, vostra Eminenza, quanto ho racimolato di elemosine in un mese? Venti centesimi! Ditemi
voi come faccio a far tornare i conti!
- Se quello che volevate era far tornare i conti… dovevate fare il ragioniere.
- Il punto è, vostra Eminenza, che comincio ad avere qualche dubbio sulla mia fede!
- Se è così… Dio vi benedica, avete scelto il mestiere giusto. Andate ora, tornate a casa.
Sconfortato da quel colloquio era tornato tra quei montanari, ad occuparsi di una chiesa che rimaneva
deserta e a far sermoni che nessuno ascoltava. Per quasi due anni non cambiò nulla, poi quel giorno…
Era una sera di Marzo quando, Carlo, il figlio dell’Angiolina gli si era presentato in canonica. Taceva
e si guardava attorno intimorito.
- Bè allora…cosa vuoi? Confessarti? - No, don, solo parlarvi. Vado di fretta- aveva risposto il giovane rigirando il berretto tra le mani.
- Mi pareva strano. Dunque… sei venuto solo a salutarmi. E dove vai di bello? - Vado a Genova… mi imbarco per l’Argentina: laggiù c’è lavoro…
- Ah! E lasceresti la tua vecchia sola, per andare a…
- Cosa devo fare, Don Emilio? qua si muore di fame.
- Quindi, vorresti la mia di benedizione.
- Se vi fa piacere datemela. Ma non è per questo che sono venuto.
- E già, cosa te ne fai di una benedizione? Cosa vuoi allora?
- Ecco…voi siete un prete e i preti, si sa, hanno studiato. Mia madre non sa né leggere e né scrivere e
io vorrei che le leggeste le lettere che le manderò dall’Argentina. Neppure io so scrivere ma, laggiù,
troverò qualcuno che me le scrive.
- Santa Vergine! Non sai né leggere e né scrivere e vuoi andare in giro per il mondo! E dove hai preso
i soldi per il viaggio?
-L’azienda dove andrò a lavorare mi ha mandato il biglietto d’imbarco - Capisco. E quanto hai in tasca?
- Niente, non ne ho bisogno
- Non dire sciocchezze, prendi questi, ti serviranno –
E aveva messo in mano al quel giovane un paio di banconote.
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-Scriverò a mia madre, Don Emilio, e ci penserà lei a restituirveli,.
- Non è necessario. Cerca piuttosto di non cacciarti nei guai. E ora in ginocchio, avanti… anche se non
sai cosa fartene voglio darti la benedizioneCol tempo aveva imparato ad amare quei caproni come figli, anche se, il pezzo più grande del suo
cuore, era per l’Angiolina. Erano ormai tre anni che ogni mese saliva da quella vecchia che aspettava
con ansia notizie dall’Argentina ed ogni volta, arrancando su per quei pensieri, ripensava a tante cose:
a quel suo incontro col vescovo, a Carlo e a quella sera di Marzo, alla fatica che aveva fatto per tirare
avanti quella parrocchia. Ma soprattutto ripensava alla prima volta che aveva dovuto mentire, la qual
cosa lo tormentava fino a quando non vedeva in lontananza l’Angiolina che sorridente lo aspettava
sulla soglia. Provava un’infinita tenerezza per quella vecchina curva, col mugnetto di capelli bianchi
raccolti a treccia sulla nuca, il grembiule scuro, le mani nodose consumate ed avvizzite che tremanti
tiravano fuori dalla credenza le tazzine del servizio buono:
- Sapete Reverendo…metto via tutti i soldi che mi manda il mio Carlo. Quando tornerà se li troverà e
allora potrà farsi una famiglia, avere dei figli, una casa. Due cucchiaini di zucchero, reverendo?- E
finito di sorseggiare il caffè, l’Angiolina sbarazzava la tavola, si toglieva il grembiule e voleva che il
prete iniziasse a leggere lentamente. Ad una prima lettura, l’Angiolina ne domandava una seconda che
interrompeva ad ogni passo per chiedere una cosa o un’altra:
- Com’è che questa volta non si lamenta del caldo?
- Beh, Angiolina…sarà cambiata la stagione!
Il prete riprendeva la lettura ma dopo un po’ di nuovo l’Angiolina lo interrompeva:
- Parla poco del
suo lavoro, come sarà? Non l’avrà mica perso, vero?
- Ma no, Angiolina; cosa andate a pensare. Carlo è un bravo ragazzo. Vedrete che la prossima volta ve
ne parlerà, ne sono sicuro . Tenete, qua ci sono i soldi che vi manda.
E terminata anche la terza lettura l’Angiolina tirava fuori penna, calamaio e un vecchio quaderno dalla
copertina nera ed iniziava a dettare, in un improbabile italiano, una lettera per il figlio.
- Scrivete che me sto bene, la vacca ha fatto un vitello bello e grasso come non s’è mai visto ma che
questo autunno la vendo la vacca che mi fa fatica a mungerla, e tutto il resto. Che il fieno non l’ho
ancora tagliato, ma che è bello alto, e tutto il resto. E che la salute va bene, ma che ciò sempre male
alla schiena, e tutto il resto. E che i soldi ce li ho messi via tutti, così che quando arriva ce li do, e
tutto il resto. L’Angiolina chiudeva ogni frase con “e tutto il resto” e quando il prete si fermava ed
alzava gli occhi dal foglio subito domandava - Ma ce l’avete messo tutto il resto? Perché mi sembra
che avete scritto poco… In lontananza vide l’Angiolina sulla porta di casa.
Tutto sarebbe stato come le altre volte. Il caffè nelle tazzine buone, la lettera di Carlo, la busta dei
soldi, la risposta per l’Argentina, l’elemosina per la chiesa.
Tutto come le altre volte.
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Il campanile batteva le sei quando Don Emilio entrò in canonica. Seduto alla scrivania, sfilò dalla tasca
la lettera che avrebbe dovuto esser spedita in Argentina e la depose con le altre, mai partite. Su un
libretto
annotò l’ammanco di denaro che, come ormai faceva da oltre un anno, aveva dato
all’Angiolina. Spostò la levetta che faceva scattare un piccolo vano segreto che si trovava tra il primo
ed il secondo cassetto e ne tirò fuori una busta sgualcita.
Come ogni volta che tornava da quella missione, iniziò a leggere.
“Reverendo padre, mi chiamo Salvatore Russo e sono l’amico di Carlo. Era a me che dettava le
lettere da mandare alla madre. Purtroppo vi scrivo per darvi una terribile notizia perché voi, che
siete prete, troverete senz’altro le parole giuste per consolare quella madre che sempre era nei
pensieri di Carlo. La sera del ventiquattro Luglio scorso, tra alcuni operai dell’ impresa è scoppiata
una rissa. Carlo non ha esitato ad intervenire in difesa del più debole, ma, col proposito di far da
paciere, purtroppo è stato colpito in pieno petto da una coltellata. In quei drammatici momenti io gli
ero vicino e lui, pienamente cosciente di ciò che gli stava accadendo, mormorò per ben tre volte
un’ultima frase: - Povera mamma mia, povera mamma mia, povera mamma mia! - Poi, stringendo la
mia mano volse il capo e spirò. Se può essere di qualche consolazione al dolore della madre, ditele
che il suo Carlo era la persona migliore che io ho mai conosciuto e per tutta la vita potrò dirmi
onorato di aver goduto della sua sincera, onesta e disinteressata amicizia. Questi che allego sono gli
ultimi soldi che Carlo voleva spedire a casa, a cui si aggiunge una piccola somma, frutto di una
colletta spontanea fatta da tutti i colleghi di lavoro. Più di questo, credetemi Reverendo, non è stato
possibile fare. Ora lascio a voi il compito più difficile, so che Dio ve ne darà la forza. Date a quella
madre, di cui Carlo tanto mi aveva parlato, un forte abbraccio perché possa esserle di consolazione
per le lettere che, purtroppo, non riceverà mai più.
Un ringraziamento per quanto saprete fare ed
un cordiale saluto. Salvatore Russo.
La lettera portava la data del - diciannove settembre millenovecento diciotto -.
Don Emilio l’aveva ricevuta un anno prima. Un mese dopo, per la prima volta, mentì all’Angiolina.
Il prete rimise la lettera nel piccolo vano segreto e in ginocchio chiese perdono a Dio.
Ora, aveva altri trenta giorni davanti a sé per scrivere un’altra lettera di Carlo.
Trenta giorni per una nuova bugia.
Tante volte pensò che se non avesse mentito quella prima volta forse tutto sarebbe stato diverso.
L’Angiolina morì l’inverno successivo senza sapere che il suo Carlo già da tempo l’aspettava in cielo.
Per tutta la vita, don Emilio si chiese se aveva fatto la scelta giusta.
Non seppe mai darsi una risposta.
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Il prete arrancava faticosamente su per il sentiero