Lucia Romiti
Sopra, visita nel maggio 1986 del Papa Giovanni Paolo II alla tomba di don
Lolli; sotto, veduta aerea dell'Opera Santa Teresa.
TESTIMONI DELLA FEDE
A
Angelo LLolli
Un artista
della carità
gli
speciali
il nuovo giornale
Perché questo libro
Don Lolli nella foto della tessera dell'Ordine dei Giornalisti (1926).
Edizioni “il Nuovo Giornale”,
settimanale della diocesi di Piacenza-Bobbio
ottobre 2009
Direttore responsabile, Davide Maloberti
Illustrazioni di Renato Vermi
Direzione e redazione:
Piacenza, via Vescovado 5
Stampa: Grafiche Lama, Piacenza
Si è sporcato le mani don Angelo Lolli, immergendole nelle ferite aperte degli esseri umani, dei
derelitti senza speranza, degli
emarginati della società. Appassionato sacerdote nella Ravenna
anticlericale di inizio Novecento,
ha conquistato il cuore di tutti,
credenti e non credenti. E ci è riuscito con una sola arma, la più
efficace: l’amore che non conosce
confini, che sa uscire da sé superando se stesso e volando alto,
verso Dio e le sue creature. Per
quelle creature bisognose don
Angelo Lolli ha percorso le vie
impervie e dolci della carità. Una
carità che si è fatta sorriso, carezza, parola di conforto, gioia,
azione. Ha fondato le “Suore della Piccola Famiglia di S. Teresa
di Gesù Bambino” e l’“Opera di
Santa Teresa”, una realtà di fede
e assistenza ancora oggi in continua crescita, dove tutto è dono;
una cittadella della carità, cuore
pulsante di gratuità nel centro
storico della città di Ravenna.
Indice
NELLA RAVENNA DI FINE OTTOCENTO
LA PRIMAVERA DELLA CARITÀ . . . . . . . . . . . . . pag. 1
Quel segno portato dall’acqua . . . . . . . . . . . . . . . . “
1
Il monello di Dio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “
3
Una Ravenna anticlericale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “
4
DALLE STRADE DELLA BORGATA
ALLE STANZE DEL SEMINARIO . . . . . . . . . . . . . . pag. 6
Il bacio a e’ Gagin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “
6
La musica fra talento e passione . . . . . . . . . . . . . . . “
9
FOLLE D’AMORE PER DIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 12
Prete per gli altri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 12
“Salire... sempre salire” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 14
PER LE VIE CREATIVE DELLA CARITÀ . . . . . . pag. 17
Quei piccoli nonnulla. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 17
A metà strada tra la terra e il paradiso . . . . . . . . . . “ 19
Anche un giornale per i gioielli derelitti . . . . . . . . “ 22
COME UNA BARCA SPINTA IN ALTO MARE. . . . . . pag. 24
L’infermo apostolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 24
“Confidate nel Signore” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 27
L’Opera Santa Teresa oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 27
PREGHIERA PER LA BEATIFICAZIONE
DI DON ANGELO LOLLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 29
L’AUTRICE
Lucia Romiti, marchigiana, 29 anni, laureata in filosofia e
giornalista dal 2004, ha frequentato, a Roma, il Master
“Media Working Project” promosso dalla Pontificia Università Lateranense. Attualmente collabora con alcune testate locali, di cui una online, e alla redazione della rivista
ufficiale del Rinnovamento nello Spirito.
La vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 30
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 32
NELLA RAVENNA DI FINE OTTOCENTO
LA PRIMAVERA DELLA CARITÀ
Quel segno
portato dall’acqua
“Amerò chi soffre e
cercherò di raddolcire
col mio affetto l’amarezza delle sue lacrime”.
Asciugare le lacrime calde che rigano il volto dei
poveri più miseri, dei
malati senza speranza di
guarire, dei malinconici
che hanno smarrito la loro gioia in un tempo che
fu. Leccare le ferite degli
esseri umani. Fu questa
la missione di don Angelo Lolli. Questo il suo
programma di vita. Questo il suo desiderio più
grande. La voce afona,
quasi senza timbro, gli L’immagine della “Madonna dei vicoli”,
occhi vivaci, l’aria bona- detta “Madonna del sudore”, che arrivò tra
mani della madre di don Lolli mentre laria, il sorriso benevolo le
vorava come lavandaia e aspettava il suo
sempre accennato sul bambino. Don Angelo tenne sempre nel suo
volto, la veste talare nera ufficio quest’immagine.
e consumata che gli arrivava fino ai piedi, il cappello te romagnolo, quegli scarti
tricorno che si usava nel secolo umani profumavano di Dio. E
scorso, e un cuore grande, poi, la corona del rosario sempronto ad anticipare i bisogni pre tra le mani. Del resto, quandei derelitti della società.
do era ancora nel seno materno,
Per questo generoso sacerdo- la protezione della Madonna gli
1
Lavandaie presso il ponte degli Allocchi.
era arrivata dal fiume. Era
un’afosa giornata del luglio
1880. Alla periferia di Ravenna,
presso il ponte degli Allocchi,
le lavandaie insaponavano i vestiti dei signori nel canale del
Molino. Il fazzoletto sulla testa
per ripararsi dal sole, la schiena
curva sull’acqua, le mani impegnate a sfregare sull’asse del
bucato. Chiacchieravano per
sentire meno la fatica.
Tra loro c’era Alba Pasi, alle
prese con la biancheria della
contessa Budi-Sclaffi e con un
pancione che non le alleggeriva
certo il lavoro. “Mi pari la Madonna del sudore!”, le dice a
un tratto guardandola asciugarsi
la fronte, la Tuda, la più simpatica e rumorosa del gruppo. Intanto, spinto dalla corrente, arriva tra le mani delle donne un
pezzo di cartone che sembra
impermeabile.
La Tuda lo sottrae all’acqua,
lo asciuga strofinandoselo sulla
veste. Era l’immagine della
“Madonnina dei vicoli”, detta
comunemente “Madonna del
2
sua paga giornaliera? Una lira e
trenta centesimi. A casa c’erano
già Rosa, nata nel 1869, e Romeo, arrivato quattro anni dopo.
Giovanni e Luigi erano morti a
nove e sedici mesi. L’Albina
aveva le sue giuste preoccupazioni pensando al bambino che
portava in grembo. Quando nasce, il 21 agosto 1880, lo chiama Angelo Maria. Lo battezza il
giorno dopo, in Duomo. Nel nome dell’ultimo nato della famiglia Lolli, già il programma della sua vita: essere l’angelo della
carità, un angelo in carne e ossa, senz’ali se non quelle dell’amore che non conosce confini,
della gratuità che si fa carezza,
sorriso, azione, sollievo, speranza. Sarà l’amico dei poveri, disposto a tutto per vedere un cenno di gioia sul loro volto, sarà
padre e fratello degli emarginati
della storia.
Eppure nei primi anni della
sua vita “il monello di Dio”,
come lui stesso amava definirsi,
non fu propriamente un angioletto. Di bricconate ne combinava eccome. Vivace, irrequieto, con quell’aria sbarazzina e
un po’ temeraria che lo accompagnerà anche da adulto nella
sua via alla carità, Angelo passava il giorno fuori casa, “in
mezzo al fango della strada”,
dirà lui. La sorella Rosa riusci-
sudore”. Immagine che si trovava in una cappellina sorta in un
crogiuolo di stradine che dalla
via Fiume Montone Abbandonato scomparivano nelle campagne di Ravenna. La Tuda non ha
dubbi: quel “coso” venuto dall’acqua è per l’Albina. “Porterà
fortuna al tuo bambino!”, le dice insistendo perché lo tenesse.
E la mamma di Angelo Lolli
non esitò a conservare gelosamente quella Madonnina di cartone affiorata dal canale. Un
buon augurio, un segno, una
promessa, che il futuro Angelo
custodirà con altrettanta cura
nel suo ufficio di sacerdote.
Il monello di Dio
La casa di Alba e Orlando
Lolli, nella borgata di San Biagio, in via Scaletta 82, era una
di quelle che stavano in piedi
per miracolo; con il puntello di
san Benedetto, diceva qualcuno. Muri di malta e mattoni
crudi tra viuzze fangose e polverose popolate da proletari,
gente di cui poteva leggersi la
fatica di vivere nelle rughe del
volto; gente semplice, abituata
al sacrificio, che come ricchezza aveva quella dei figli. E
spesso, per poterli sfamare, si
toglieva il pane dalla bocca.
Orlando era un bracciante. La
3
desiderio di riscatto, la voglia
sempre più forte di un po’ di
giustizia. Il quarto stato, proletariato che avanzava con i figli
in braccio, chiedeva migliori
condizioni di vita. Qui ed ora.
Certo, non smarriva la capacità
di accettazione della durezza
dell’esistenza, ma non si lasciava più consolare solo dalla speranza di un paradiso giusto. Soprattutto dopo il malgoverno
dello Stato pontificio, che anche in quelle zone aveva lasciato un segno forte. E purtroppo
negativo. Il potere temporale
della Chiesa, finito nel 1870 tra
il rumore della breccia di Porta
Pia, non si era distinto dagli altri poteri umani, non aveva risparmiato niente ai poveri. Che
ora guardavano con diffidenza
alla Chiesa e ai suoi uomini,
non esitando a chiamarli con
disprezzo: “preti della malora”,
“sacchi di roba sporca”.
“Il mondo sta su con le bestemmie”, esclamavano i romagnoli di allora. A farli parlare,
oltre al pregiudizio anticlericale, la rabbia che nasceva dalla
disperazione. Una disperazione
però che non toglieva del tutto
Dio dall’orizzonte interiore, ma
nel profondo di quelle anime
stanche e generose continuava a
invocarlo. In Romagna, poi, oltre a un forte anticlericalismo,
va a stento a tenerlo a bada. E
capitava spesso che mamma Alba, quando al tramonto tornava
stanca nella sua borgata alla periferia di Ravenna, dovesse andarlo a cercare fra le viuzze.
Con tanto di bastone in mano.
Era un discolo Angelo Maria.
Ma di un’intelligenza che faceva cullare nel padre, Orlando,
un sogno: farlo studiare. Ci
pensava Alba a riportarlo coi
piedi per terra: “La lucerna
senza rampino – diceva con sano realismo e con lo sguardo
basso – non sta appesa”.
Una Ravenna
anticlericale
I Lolli erano detti “quelli di
pocacarne”, per indicare la magrezza dovuta alla povertà. A
quel numero 82, dove abitavano
venti famiglie in tutto, tre persone erano in carcere e un ragazzo a Bologna, in un istituto
di correzione. In quel rione le
diseguaglianze e i cambiamenti
sociali si sentivano sulla pelle.
Erano graffianti le umiliazioni,
lasciavano i segni sul dorso
bruciato dal sole, lo facevano
piegare. Ma la dignità, quella
rimaneva: si leggeva negli occhi.
I sacrifici pesavano come macigni, ma non schiacciavano il
4
ritti nella legalità. Ci si mette
insieme, sicuri che l’unione fa
la forza, che la solidarietà oltre
a far bene al cuore è anche utile,
che il mutuo soccorso, il reciproco aiuto, può essere una via
di emancipazione sociale, di riscatto della propria condizione.
L’8 aprile del 1883 nasce
l’Associazione generale degli
operai braccianti del comune di
Ravenna. 303 i soci fondatori,
in poco tempo salgono a 2.500
gli iscritti. Tra loro c’è anche
Orlando Lolli. L’impegno civile
non è estraneo a questa famiglia. Gli antenati di Orlando
avevano dato il loro tributo di
sangue ai moti risorgimentali.
Così, quelli della moglie Alba.
Ora la battaglia va avanti con
le armi della solidarietà, valore
cristiano in una terra solo apparentemente scristianizzata. In
una città, Ravenna, dove un sacerdote speciale dirà: “Chi dona al povero impresta a Dio”.
Ricomponendo così nel cuore
della gente la frattura con la
Chiesa, risvegliando nel popolo
una religiosità innata. Ma ora
quel sacerdote è ancora un piccolo bricconcello che tra qualche anno entrerà in seminario.
dilagava l’anarchismo, la lotta
cioè ad ogni potere costituito. E
l’anarchico russo Bakunin aveva individuato proprio in quelle
terre di lavoratori il luogo ideale della rivoluzione proletaria.
Ai tempi in cui il piccolo Angelo Maria Lolli si affacciava
alla vita, qualcosa cominciava a
cambiare per i lavoratori ravennati. Nel marzo 1883, la vide
anche Angelo, che allora aveva
tre anni, una massa di braccianti spostarsi dai borghi e dalle
campagne fino in città per commemorare la Comune di Parigi.
Un evento lontano nel tempo e
nello spazio, avvenuto il 18
marzo 1871 nella capitale francese; una parentesi che per dieci settimane aveva visto al potere la classe operaia. Un’esperienza dalla fortissima carica
simbolica.
La coscienza della propria dignità e la consapevolezza di potercela fare a riscattarsi aumentò, tra la gente romagnola,
con l’elezione - nell’ottobre
1882 - del primo deputato socialista della storia italiana: il
ravennate Andrea Costa. È uno
stimolo per abbandonare le idee
anarchiche e conquistarsi dei di-
5
DALLE STRADE DELLA BORGATA
ALLE STANZE DEL SEMINARIO
Il bacio a e’ Gagin
veri. Nel rione San Francesco
da Paola, dove abita la famiglia
Lolli, il colera entra in casa e
ne esce con sulle spalle la sorella di Angelo, la stessa che fino a quel momento gli aveva
fatto un po’ da mamma.
Rimane la stanza vuota; come
svuotato dal senso della perdita
resta per molti anni il cuore di
Alba e Orlando. Ma la vita va
avanti, e quella stanza i Lolli
non possono proprio permettersi di lasciarla vuota. La affittano a Lucia Casadio, detta
“Luzì”, una donna di venticinque anni. Una giovane pia,
un’anima bella, piena di fede.
Inizierà il piccolo Angiolino alla preghiera, lo preparerà alla
comunione e alla cresima. Gli
donerà quell’educazione religiosa che Alba e Orlando, presi
dalla fatica quotidiana di guadagnarsi il pane, non sapevano
offrirgli. Gli insegnerà a vedere
oltre. Sarà lei ad instillare nel
suo cuore grande il vino buono
della carità.
Quando assiste alla prima
Messa cantata, nella parrocchia
di San Biagio, Angelo ha 8 anni. A celebrarla, un prete novel-
In quella casetta umida di via
Scaletta si dormiva tutti in una
stanza. Ora Rosa, la figlia più
grande, è una signorina, e ha
bisogno di riservatezza. La situazione dei braccianti è leggermente migliorata, e anche quella di Orlando, il capofamiglia.
Perché non cercare un’abitazione appena più grande? I Lolli si
sono da poco trasferiti nella vicina via dei Pozzi, quando su di
loro si abbatte un dolore grande: muore Rosa, appena diciassettenne, a causa del colera.
Non ci avrebbe scommesso
nessuno sul ritorno dell’epidemia. Del resto, quella del 1855
sembrava essersi portata via
tutto quello che poteva. E invece il 1° maggio dell’ ’86, a Ravenna si registra la prima morte
per colera. Ci siamo di nuovo.
Nel mese di agosto l’intera Romagna è colpita. Solo Ravenna
piange 513 morti. La maggior
parte di loro si contano nei due
sobborghi popolari: San Rocco
e San Biagio. Non è una novità:
i più colpiti dalle malattie epidemiche sono sempre i più po6
chiesetta di San Francesco da
Paola. Guardando la tela del
Barbiani che riproduce l’immagine del santo, Angelo nota il
motto latino “charitas”. Ne
chiede spiegazioni alla sua giovane maestra che risponde non
limitandosi a tradurre la parola
in italiano: “Non vuol dire solo
fare la carità, dare un’elemosina ai poveri. Ai poveri prima
bisogna volergli bene. Tu ci
vuoi bene al tuo fratellone Romeo? Ma anche e’ Gagìn dla
Placidia è tuo fratello”. E’ Gagin era uno sciancato che mendicava alla porta della chiesa.
Usciti, Angiolino gli dà un bacio con lo schiocco sulla guancia ingiallita dal tempo e dagli
stenti. Luzì e il barbone rimangono senza fiato.
Era il gesto spontaneo e innocente di un bambino che conosce solo la verità del cuore, non
ancora intorpidita dai pregiudizi della vita. Ma, in nuce, è
l’uomo che esclamerà: “Come
sto bene allorquando ho la certezza quasi evidente di aver
asciugato delle lacrime, di aver
fatto sorridere un raggio di sole
attraverso un cielo nebuloso”.
Non la carità episodica, ma la
carità come metodo, atteggiamento, come costante disposizione dell’animo. Lui ne sarebbe stato capace.
lo: Pietro Fabiani. “Voglio diventare pretino anch’io” mormora a Luzì durante la funzione
religiosa.
Come l’avrebbero presa in
casa Lolli? Quando timidamente la giovane donna tira fuori il
discorso, Orlando si vede già
spingere le sue carriole di fieno
alla mercé delle canzonature
sferzanti dei braccianti. Un figlio prete da quelle parti non
era certo un bel biglietto da visita! La gente avrebbe iniziato a
guardarlo dall’alto in basso. Ma
tra le immagini che in quel momento gli affollano la mente, ce
ne è anche un’altra: il suo figliolo intento a studiare, come i
figli dei ricchi. E non era questo che aveva sempre desiderato
per Angiolino?
Rimaneva però un problema:
chi avrebbe pagato la retta del
seminario? Luzì, donna di preghiera e di azione, aveva un’idea. Un giorno porta Angiolino
a far visita allo zio Ferdinando,
caffettiere. Il fratello di Orlando aveva un debole per quel nipotino simpatico e intelligente.
“Vuole entrare in seminario?
Ci penso io!”, disse sicuro.
Così era caduto l’ultimo ostacolo, quello economico, e a
Luzì, sulla strada del ritorno a
casa, non rimaneva che passare
a ringraziare il Signore nella
7
“Ai poveri - disse la maestra al piccolo Angelo - prima bisogna volergli bene. Tu ci vuoi bene al tuo fratellone Romeo?
Ma anche e’ Gagìn dla Placidia è tuo fratello”. E’ Gagin era
uno sciancato che mendicava alla porta della chiesa. Usciti,
Angiolino gli dà un bacio con lo schiocco sulla guancia ingiallita dal tempo e dagli stenti. Luzì e il barbone rimangono
senza fiato.
8
La musica fra talento
e passione
Scriverà rivolgendosi a Dio
nelle sue meditazioni spirituali:
“Godo di chiamarmi il vostro
piccolo monello che voi avete
tratto dalla strada, che avete
adottato come figlio, portato
nella vostra casa e rivestito con
eleganza degli abiti vostri. Dovrei impazzire di riconoscenza”. Il “monello di Dio” entra
nel seminario di Ravenna a 10
anni, il 3 novembre 1890. Per
lui, lo zio Ferdinando ha voluto
il meglio. Ha scelto il seminario
“dei signori”, dove la retta era
più alta e il livello di studi maggiore. Avvolto nella lunga palandrana che gli arriva alle caviglie, il colletto inamidato,
Angelo è composto e serio, non
sembra quasi il birichino di
sempre. Luzì non fa altro che
ripetere: “Oh, che bel pretino!”. E Alba, la mamma, con
l’abituale realismo da lavandaia
avvezza alle sconfitte, non riesce a non esclamare: “‘Don’ se
la dice”, se cioè arriverà a celebrare messa.
Le regole rigide del seminario
insegnano ad Angelo la disciplina, ma non ne piegano l’irruenza e la vivacità. Si distinguerà
sempre, da bambino come da
adulto, per quella forza di osare,
Angelo Lolli appena entrato in seminario nel 1890.
di andare al di là, di salire le
vette. Come quando si arrampica sui cornicioni della chiesa di
San Girolamo, inglobata nell’edificio del seminario di piazza
del Duomo. Erano in corso i lavori di restauro. Da terra, il vicerettore – che poi diverrà rettore – don Bignardi, pallido per la
paura, gli intima di scendere. E
una volta sceso, Angelo si prende un bel ceffone. “Ma alla fine
il rettore – racconterà in seguito
9
domuto, il cieco, l’anziano, il
povero scartato dagli sguardi
della gente. Quel povero, lui lo
considererà testata d’angolo: la
più bella, la più resistente, la più
utile. Una testata dove indelebile è la traccia dei lineamenti di
Cristo. Quelle anime dimenticate dal mondo, eppure contenitori di un mistero irriducibile, saranno la sua casa e la sua famiglia, il suo primo pensiero.
Durante il seminario e nei primi anni di sacerdozio, Dio lo
prepara lentamente a questa
missione specifica, forgiandolo
nelle delusioni e nelle umiliazioni. “Quanto mi ha tentato –
confesserà in seguito – il pensiero di diventare un personaggio illustre nella musica!”. E
dire che le carte ce le aveva tutte. Fu l’arcivescovo Morganti a
scegliere di non privarsi di quel
prete, in una Ravenna che di
preti come lui ne aveva un gran
bisogno. Il commento del giovane Lolli sarà amaro: “Mi sono visto chiudere tutte le strade,
e ho dovuto rassegnarmi ad essere una mediocrità trascurabile”. Il suo cuore è gonfio di sogni, di ideali, di voglia di fare
del bene. Del resto un’anima
piena di zelo non conosce riposo, come diceva santa Teresa del
Bambino Gesù, la santa che Angelo amò tanto da intitolarle la
– è diventato il mio più grande
amico”. In effetti il piccolo Lolli si faceva voler bene, nonostante le bricconate.
Per le vacanze estive i ragazzi
del seminario venivano portati
in una villa di campagna a Piangipane. Davano vita a delle recite teatrali e lui, il più disinvolto,
aveva sempre una parte principale. Era un capogruppo, un trascinatore, uno che riusciva a risvegliare negli altri l’entusiasmo. Pieno di spirito di iniziativa, mise insieme un’orchestrina,
un complesso musicale senza
pretese, di una decina di seminaristi. Lui suonava il flauto.
La musica diventò per Angelo
una passione. Cocciuto e tenace, migliorò la sua formazione
frequentando corsi di specializzazione dai monaci benedettini
di Badia di Torrechiara; poi
continuò gli studi a Loreto. Per
trent’anni sarà maestro del coro
e organista del Duomo. Novello
sacerdote, dirigerà la Schola
Cantorum in occasione della
celebrazione funebre per la
morte di papa Leone XIII, il 27
luglio 1903. Di talento ne aveva
Angelo!
Del resto l’amore per il bello
non lo abbandonerà mai. Anzi,
si compirà definitivamente
quando il bello in cui immergersi sarà il malato cronico, il sor10
sua Opera.
È un uomo appassionato Angelo Lolli, appassionato degli esseri umani e di
Dio. Ha 18 anni
quando il suo
cuore comincia a
battere anche per
un altro sogno:
diventare missionario. Stracolma
di un amore che
non può contenere, la sua anima
insegue il dono
totale, il dono di
sé. È deciso a
scegliere la via
della missione.
Prende contatti
con un Istituto
missionario del Angelo Lolli (con il violino in primo piano) nel 1898
nord Italia. Ma il durante una recita in seminario.
3 novembre 1898
Eppure, nei primi anni del sascrive: “Gli ostacoli sono tanti,
le suppliche e le lacrime di mia cerdozio, si domanderà spesso
madre mi straziano”. Rinuncia. se non fosse stata davvero quelPerché sa rinunciare, nonostante la la sua vocazione. Se lo chiei suoi slanci che subito diventa- derà fino a quando la via alla
no azione; sa obbedire, alla carità di cui Dio lo avrebbe fatto
Chiesa prima di tutto. Commen- custode, non gli fu chiara. E coterà in una futura maturità: “La me santa Teresa, ebbe la rispomia fantasia sbrigliata aveva sta, la stessa intuizione di fonbisogno di sogni e Dio la trat- do: l’amore racchiude tutte le
tenne col pascolo delle sante at- vocazioni. Si può amare sempre
trattive alla vita missionaria”.
e dovunque. E nonostante tutto.
11
FOLLE D’AMORE PER DIO
Prete per gli altri
bilità. Quel giorno di primavera
mormorava tra sé: “Signore, fate che non abbia mai a macchiare questa veste candida della mia innocenza sacerdotale”.
Prete per gli altri. Sarà questo
don Angelo Lolli; santo, se la
santità è dimenticare se stessi in
Dio e, come diceva lui, saper ricominciare sempre da capo.
Scriverà il 3 marzo 1906: “Ti
sei fatto prete per salvare gli altri, per condurre gli uomini a
Dio non solo curando il benessere spirituale, ma anche quello
materiale”. Del resto lui l’aveva
conosciuta la miseria, l’anelito
alla giustizia l’aveva letto negli
occhi dei suoi genitori.
Intanto, all’inizio del secolo,
anche a Ravenna arrivano i venti del cristianesimo sociale.
Grazie all’Enciclica Rerum novarum di Leone XIII – uscita
sul finire dell’Ottocento – cominciò a farsi strada tra i cattolici l’idea che anche loro potevano dare un contributo alla società che cambiava, potevano
farsi carico dei problemi di diseguaglianza, avere un ruolo
nella lotta di classe. E non rinunciando alla fede. Anzi, do-
Angelo diventa sacerdote in
primavera. Il 6 giugno del 1903
si prostra davanti all’altare della
cappella dell’Episcopio, lasciando andare nelle mani di
Dio il suo cuore grande, promettendo fedeltà eterna a un
progetto di amore.
A ordinarlo, l’arcivescovo
Conforti. È solo l’inizio di una
vita nuova, di una promessa per
la gente di Ravenna. Una promessa che verrà mantenuta, e
continua ad esserlo oggi, anche
grazie alla generosità di tanti romagnoli. Ci sono la madre Alba
e alcuni amici; non è presente il
padre, morto due anni prima.
Angelo è emozionato, quasi non
ci crede. Ha atteso per così tanto
tempo quel giorno! Ancora in
seminario scriveva: “Sono come
quella farfalla che batte sui vetri, che intravede l’aria pura e
serena ma non può volarvi…
Quando potrò infrangere i cristalli che mi permettono di vedere la luce ma mi tarpano le ali?
Fate che sia presto o Signore…”.
Della sua vocazione sentiva
tutto il desiderio e la responsa12
“caccia alle streghe” di cui fanno le spese tutti, anche quel clero che si era lasciato giustamente animare dai nuovi ideali e li
voleva inseguire rimanendo nell’obbedienza. Il successore di
Leone XIII, Pio X, fa rientrare
nei ranghi. Fa riassestare tutti su
posizioni conservatrici. Don
Romolo Murri? Verrà scomunicato e poi riaccolto dalla Chiesa
nel ’43.
Certo, la delusione è tanta. E
tra i delusi c’è anche don Angelo. Che però è sempre più strumento nelle mani di Dio, e sta
acquistando un equilibrio e una
saggezza che tengono a freno la
sua passionalità e impulsività. In
una lettera del 1909 – anno in
cui muore la madre – scriverà a
proposito di Murri e del modernismo: “Non è il caso di farne
una lotta personale. Senza pretendere di conoscere tutti i motivi (ché non potrei) lo condanno
come lo ha condannato la Chiesa mia, e lo lascio da parte mentre prima ne ero entusiasta”.
Sa andare oltre il disincanto,
questo prete di umili origini arrivato alla soglia dei trent’anni.
Non è più il tempo delle idee,
delle teorizzazioni. Né tantomeno delle ideologie. Non si tratta
di convincere o agitare gli animi
con la forza delle parole, ma di
testimoniare con la vita. Angelo
vevano unirsi e spendere quel
qualcosa in più che li animava:
il desiderio di fratellanza che risorgeva dalle pagine del Vangelo. Potevano rivendicare in tutte
le forme lecite i loro diritti, alla
stregua dei socialisti. È l’inizio
di una nuova era politico-sociale. Si scaldano gli animi, la fantasia di molti vola veloce, pensando alla venuta del Regno
qui, sulla terra.
Nell’aprile del 1902 a Ravenna sorge il primo circolo democratico cristiano. In seminario il
cardinale Riboldi istituisce la
cattedra di sociologia. In agosto,
il giovane sacerdote marchigiano Romolo Murri, teorico della
nuova via di liberazione dell’uomo attraverso la Chiesa, parla ai
giovani seminaristi. “Ne ero entusiasta” commenterà Angelo
facendo suo, una volta sacerdote, l’appello di Leone XIII ad
“uscire dalle sacrestie e andare
verso il popolo”.
L’evoluzione che Murri darà
al movimento non piacerà però
alla Chiesa. Il suo riformismo
religioso verrà giudicato eresia
modernista. Secondo la gerarchia, insomma, quel sacerdote
era troppo moderno; voleva
adeguare la dottrina ecclesiale,
la tradizione, ai tempi attuali.
Bisognava fermarlo. Ma per fermarlo, si scatena una sorta di
13
l’Eterno, di chi sa di essere a un
passo dall’Infinito, ma non può
afferrarlo. È la sofferenza di chi
sente su di sé le croci del mondo. Sono gli anni in cui questo
giovane sacerdote si farà svuotare da Dio, per farsi ricolmare
della capacità di abbandono a
lui. Attraverso l’ascolto, la preghiera, il silenzio, un’intensa vita contemplativa, imparerà a lasciarsi portare da Dio, a ‘lasciarsi fare’. Proprio come santa
Teresa del Bambino Gesù. E
quando si diventa musica nelle
mani del Padre, si compiono
meraviglie: “Sarò l’amico degli
sventurati. Vi prego, Signore, di
dare a me una parte di quelle
sofferenze”.
intuisce che Dio ha per lui una
missione grande. “Indicami la
strada!” prega incessantemente.
Andando col pensiero al giorno
della sua ordinazione, scrive:
“Ricordi quando venivano a baciarti le mani, con quanta commozione tu gliele porgevi e con
quanto fervore il tuo cuore diceva al Signore: ‘Fate che io possa a questi esseri donare tutto il
bene, tutto il conforto e tutta la
consolazione vostra come adesso porgo loro le mani?’... E
quante volte le mie mani spargono sopra cuori ulcerati e anime trafitte il balsamo delle consolazioni di Dio! Vorrei farlo in
una misura molto maggiore”.
Non gli basta quello che fa.
Vuole fare di più.
Questi, per don Angelo, sono
anche anni di tormento interiore, anni in cui sente tutta la sua
miseria e inadeguatezza di uomo; prova disprezzo per il mondo, dove vede solo egoismo e
vanità. Si sente tiepido, inutile,
insoddisfatto. “La fede – scrive
– ha dei momenti di prova e di
angoscia terribili”. Soffre. Si
chiede come spendere quell’ansia di azione che lo divora. Il
suo desiderio più grande? Naufragare in Dio: “Che bella cosa
sarebbe chiudere gli occhi e poi
svegliarsi in paradiso!”.
È il dolore di chi ha nel cuore
“Salire…
sempre salire”
Intanto a don Angelo Lolli
viene affidata la direzione del
settimanale diocesano di Ravenna. È un’ottima penna. Ha uno
stile appassionato, pieno di immagini che parlano alla gente.
Nel silenzio della sua stanza,
scrive anche i suoi colloqui con
Dio. Quando medita mette i
pensieri nero su bianco. E non
usa le virgole, sono da intoppo,
pause che non vanno d’accordo
con l’entusiasmo di un’anima
ardente.
14
Papa Giovanni Paolo II in visita all’Opera Santa Teresa a Ravenna.
miere che assistano i malati poveri a domicilio, promuovere
un’educazione familiare cristiana, costituire una cassa che assicuri la dote alle giovani spose
prive di risorse economiche e
un’altra per le donne incinte in
difficoltà, creare case-rifugio
per ragazze sottratte alle umiliazioni delle case di tolleranza: è
l’iniziale programma sociale di
don Angelo. Un programma vasto, modernissimo ed esigente.
Certo non può fare tutto da
solo. Cerca di coinvolgere qualcun altro prospettando la nascita
di un “Comitato d’azione per il
bene”, ma non trova risposte
concrete. Allora si rivolge a del-
È parroco nella parrocchia di
San Biagio, il suo borgo natio.
Comincia a lavorare alla Biblioteca cattolica circolante, che nei
suoi progetti doveva essere una
sorta di circolo culturale. Ma il
progetto non ha seguito. Del resto, se ne deve compiere un altro. E le due stanze che aveva
preso in affitto in via Paolo Costa per la biblioteca, stanno per
diventare anche la sede di
straordinarie opere di carità.
Un giorno un povero infermo
va a parlare con lui. E Angelo,
interpellato dal dolore dell’altro,
si chiede: “Gli avrò procurato
qualche minuto di sollievo?”.
Formare un gruppo di infer15
le nobildonne, che però si lasciano spaventare dalla portata
del progetto. Lui non si scoraggia: “Voglio fare intorno a me
una famiglia di anime veramente sante, un drappello di spiriti
eletti che abbiano per divisa
l’amore di Dio”. Continua a
cercare e a pregare.
Un giorno ne parla con Maria
Belletti, una giovane che frequentava la parrocchia di San
Biagio. Maria, figlia di un birocciaio, aveva rifiutato il matrimonio con un ragazzo proveniente da una famiglia “bene”
perché lui non voleva sposarsi
in chiesa. Un carattere forte
quello della Belletti, che di
fronte all’ideale concreto che
usciva dalla bocca di don Angelo, non ha dubbi né indugi.
È il 25 maggio 1911. In via
Paolo Costa, nella sede della biblioteca circolante, si pone la
prima pietra della futura Opera
di Santa Teresa. La creatura partorita in quelle due stanze viene
battezzata “Pia Opera assistenza
infermi poveri a domicilio”. A
farle vedere la luce, quattro
donne, tra cui Maria Belletti, e
“il monello di Dio”, che ha quasi trentuno anni. Una riunione
veloce, nessuna discussione: la
carità è azione. Nel verbale della neonata Società femminile,
l’obiettivo è chiaro: “proteggere
in qualunque modo l’ammalato:
igienicamente, finanziariamente
e moralmente”.
Da questo momento l’Opera
non farà altro che crescere,
muovendosi per le vie creative
della carità. Verrà ufficialmente
inaugurata il 18 dicembre 1911.
Cresce il numero delle socie:
nel 1915 sono venti, dieci anni
dopo cinquantacinque. Così dei
malati che vengono assistiti.
Anche se per don Angelo, maestro di solidarietà e di umiltà,
non saranno mai abbastanza. Si
potrà sempre fare di più. “Salire… sempre salire” ripete alle
sue apostole. Non accontentarsi
dell’obiettivo raggiunto ma studiarne subito un altro. Salire
finché Dio lo vorrà. Ogni meta
ne chiama un’altra: “Il tempo –
dice lui – è la nostra nave e non
la nostra dimora”.
16
PER LE VIE CREATIVE DELLA CARITÀ
Quei piccoli nonnulla
ro. Nel periodo di Natale, una
bottiglia di vino. Perché la carità
è fatta anche di sfumature.
Intanto don Angelo cerca per
sé la povertà materiale. Aveva
preso in affitto alcune stanze in
via Mazzini presso la signora
Giannina De Giovanni, che tra
non molto diventerà “la commessa viaggiatrice di Dio”; dirotta verso i poveri tutto quello
che ha: dai materassi ai mobili,
alle suppellettili, alle coperte.
Nel 1912 si forma il primo
gruppo di infermiere samaritane:
dovevano assistere i poveri infermi a domicilio. Certo, ci vogliono i soldi. I bisogni degli
emarginati di Ravenna sono i
più vari. Don Angelo, che il 28
aprile del 1908 scriveva: “Signore, servitevi di me come di
uno straccio per spazzare la polvere, mettetemi in tutti i buchi,
basta che mi teniate stretto bene”, non fa un passo prima di
aver pregato. Gli occhi al cielo, i
piedi ben piantati a terra, egli
crede fermamente nella Provvidenza, ma vuole fare tutto quello che umanamente gli è possibile: “Sì – dice –, tutto sperare
nell’aiuto di Dio, ma al tempo
Vanno due a due le apostole
della carità di Ravenna a bussare
alla porta dei poveri. Il loro biglietto da visita è il sorriso. Don
Angelo si raccomanda di sorridere sempre, seminando gioia a
piene mani. Lui li chiama “piccoli nonnulla” quei gesti che
sembrano insignificanti ma che,
per il sofferente, sono come carezze di una madre. Angelo insegna alle sue collaboratrici ad
amare in modo totale, rasentando l’eccesso, la follia, pur nella
razionalità dell’agire. Insegna
loro che la gioia è una scelta
d’amore fatta per gli altri.
Bisogni spirituali e bisogni
materiali. Don Angelo ha una
grande sensibilità sociale e crede nella liberazione storica dell’uomo. Vale la pena eccome,
secondo quel sacerdote figlio di
un bracciante e di una lavandaia,
cercare di migliorare le condizioni di vita degli esseri umani.
Le giovani apostole, dunque,
portano anche l’aiuto concreto:
razioni di pane, carne e zucchero, qualche uovo, una bottiglia
di marsala e un sussidio in dena17
Nel 1913 il laboratorio trasloca in via Mazzini 3, l’attuale via
Corrado Ricci, in uno stabile che don Angelo acquista in proprio, accollandosi i debiti. Il 25 aprile dell’anno successivo, comincia a circolare in città un volantino informativo: “La Pia
Opera d’assistenza infermi poveri ha aperto in via Mazzini 3 un
negozio Alla beneficienza”. Ora i manufatti che uscivano dal laboratorio potevano essere esposti e venduti con più facilità.
18
allestito un ambulatorio gratuito,
che diventerà una struttura di altissima qualità. Ci tiene a far le
cose bene, don Angelo; per i
suoi poveri vuole il meglio. E
pensa anche ai bambini. Più tardi nascerà un asilo. Per ora –
siamo nel 1914 – fa distribuire
ai fanciulli l’olio di fegato di
merluzzo, perché abbiano più
forza nelle ossa. Chiassose frotte
di ragazzini si presentavano nel
cortile dell’ambulatorio con tanto di cucchiaio e pezzuola per
pulirlo. E dopo aver ingoiato l’amaro sorso, si mettevano in fila
per ritirare il premio: due mentini. Intanto in Europa si sta profilando una guerra di trincea che
si credeva dovesse durare pochi
mesi. Durerà anni.
stesso agire materialmente come
se Dio non ci fosse”. Per i suoi
malati Angelo si inventa di tutto:
da una grandiosa lotteria, dove
tra l’altro mette a disposizione le
ultime cose che aveva, agli emblemi funerari, da donare ai parenti dei defunti, al laboratorio
di maglieria e cucito, che diventa una vera e propria attività, con
delle volontarie e del personale
retribuito.
I locali di via Costa non bastano più. Bisogna cercare altro.
Nel 1913 il laboratorio trasloca
in via Mazzini 3, l’attuale via
Corrado Ricci, in uno stabile
che don Angelo acquista in proprio, accollandosi i debiti. Il 25
aprile dell’anno successivo, comincia a circolare in città un volantino informativo: “La Pia
Opera d’assistenza infermi poveri ha aperto in via Mazzini 3
un negozio Alla beneficienza”.
Ora i manufatti che uscivano dal
laboratorio potevano essere
esposti e venduti con più facilità. E in quello stabile non è raro vedere “gli angeli volenterosi”, come li definì il “Corriere di
Romagna”, dismettere i panni
delle operaie per vestire quelli
delle infermiere. Il fine era lo
stesso in tutte le attività: alleviare, alleviare, alleviare.
Nello stesso anno viene inaugurata una cucina per i poveri e
A metà strada tra
la terra e il paradiso
L’Italia dichiara guerra all’Austria nel 1915. Don Angelo, trentacinquenne, dopo essere stato
chiamato alle armi a Bologna,
viene fatto tornare a Ravenna
grazie anche all’interessamento
dell’arcivescovo Morganti. Copre le funzioni di cappellano in
due ospedali militari: il suo posto è sempre accanto a chi soffre.
Nel mare di dolore in cui si sta
trasformando il Paese, le infermiere della Pia Opera si danno
19
sa l’epidemia “spagnola” a mietere vittime. Si ammala anche il
sacerdote ravennate; la febbre è
alta, si teme per la sua vita, ma
guarisce. Non fa in tempo a riprendersi che chiede a mons.
Morganti di inaugurare una cappellina all’ultimo piano della
sede di via Mazzini. Perché Angelo sarà sempre prima di tutto
sacerdote: il breviario è “l’inno
della mia vita”, dirà. E sa bene
che l’azione nasce dalla contemplazione di Gesù nel Tabernacolo. Quel giorno, il 17 febbraio del 1919, l’arcivescovo
non più giovanissimo sale a fatica quelle scale, fino all’ultimo
piano. A un tratto, col fiatone,
esclama: “Questa chiesina sta a
metà strada tra la terra e il paradiso!”.
Tutto procede al meglio, ma
intorno al 1920, ecco per l’Opera un serio problema da risolvere: il laboratorio di confezione e maglieria entra in crisi.
Con la fine della guerra sono
venute meno le commesse militari, e la clientela ravennate del
negozio “Alla beneficienza”
non basta più. Don Angelo e le
sue più strette collaboratrici
lanciano sguardi preoccupati su
quella massa di prodotti invenduti e accumulati nel magazzino. Certo, licenziare le operaie
sarebbe una scelta troppo dolo-
ancora più da fare. Il lavoro al
laboratorio aumenta: arrivano
commesse dal Ministero della
Guerra. Questa volta gli angeli
della carità confezioneranno
berrettoni di lana per i soldati al
fronte, che li riparino dal freddo.
La lana don Angelo se la va a
procurare nel biellese. La sua
operosità è straordinaria: in piena guerra riesce a dare lavoro a
cento operaie facendo nascere
un calzaturificio in via Romolo
Gessi, a casa di Pia Ghigi, una
delle pioniere dell’Opera. Il laboratorio di scarpe durerà pochi
anni, ma occuperà molti profughi che dopo la disfatta dell’esercito italiano a Caporetto affluiranno a Ravenna.
Fare il bene: questa è l’unica
cosa che gli interessa. E fare il
bene, sintetizzava in una formula, significa “non posare e non
pesare”: non mettere nel bene
noi stessi, pensando di essere
migliori degli altri, ma sempre
Dio. Ed essere discreti, abili: “Il
bene – diceva – non è opprimente, insopportabile; non schiaccia”. La carità è un’arte. E lui
ne era un artista formidabile.
Il rumore assordante delle armi tace nel 1918. Seicentomila
morti e un milione di mutilati, il
bilancio di quella che Benedetto
XV aveva definito “l’inutile
strage”. Finita la guerra, ci pen20
La vecchia facciata dell'Ospizio di via Nino Bixio prima dei lavori del 1935.
messe viaggiatrici di Dio, percorrono la Penisola per vendere
a tutti i costi quei manufatti e ricavarne proventi per i malati. A
organizzare tutto, Giannina De
Giovanni, che poteva contare su
conoscenze di alto livello. Si
farà addirittura ricevere dalla regina Elena di Savoia, che diventerà una costante benefattrice. Il
peso delle merci, i lunghi viaggi
in treno, l’amarezza nel leggere
indifferenza sui volti, la debolezza di quando non si riesce a
mangiare o si dorme all’addiaccio. E poi, la sabbia che entra
negli occhi quando, in estate, si
battono a tappeto le spiagge proponendo ai bagnanti una maglia,
un ricamo.
rosa. Bisogna inventarsi qualcos’altro.
Un giorno don Angelo si presenta in laboratorio con l’aria
ancora più risoluta del solito.
Raduna le sue apostole davanti
ai sacchi pieni della roba invenduta e li benedice con una pioggia di medagliette della Madonna, non prima di aver recitato tre
Ave Maria. Preghiera e azione.
Lui, che era un devoto a Maria,
le affida le nuove vie della carità
che l’Opera avrebbe intrapreso.
E sono vie impervie, che costano fatica e imprevisti, sacrifici e
porte chiuse. Da Brescia a Bergamo a Verona, alle spiagge dell’Adriatico. Le apostole della
carità si trasformano in com21
grandirà fino a contare otto reparti specialistici affidati a medici professionisti. E ancora, altri
due edifici in via Bixio, e la casa
Tomacelli dove verrà installata
la farmacia per i poveri. Fino a
quel 25 gennaio 1928 quando,
dopo adeguati lavori di ristrutturazione, viene inaugurata la casa-ospizio per malati cronici abbandonati. Ed è intitolata a santa
Teresa del Bambino Gesù, la
mistica francese di Lisieux di
cui Angelo aveva letto l’autobiografia “Storia di un’anima”.
Il giorno dell’inaugurazione
per lui che non amava apparire,
né raccogliere consensi, dovette
essere stata dura pronunciare
poche parole di saluto. Al termine della cerimonia, scivolò via
subito con la sua tonaca lisa per
sottrarsi alle congratulazioni.
Tutti si chiedevano dove fosse
finito. Lo trovò suor Gina Bartolucci: era nel solaio, da solo. Appena la vide le sorrise, portando
un dito alla bocca in segno di silenzio. Non voleva nessun onore: se era riuscito in quell’impresa il merito era solo di Dio.
Come quando un noto predicatore, padre Tarulli, arriva a Ravenna. Ha sentito molto parlare
dell’Opera di Santa Teresa, e
vuole visitarla. Per strada si imbatte in don Angelo a cui chiede
informazioni sul santo prete che
Per dieci anni queste donne
votate al servizio, donne che
costituirono le origini dell’attuale Opera di Santa Teresa,
fanno questa vita. Del resto don
Angelo, che non mancava mai
di incoraggiarle e di benedirle
prima di ogni loro partenza, già
tanti anni prima sapeva che
avrebbe potuto contare su anime nobili, che dell’amore gratuito avrebbero fatto la loro ragione di esistere.
Anche un giornale
per i gioielli derelitti
I risultati non tardano ad arrivare. Il magazzino si svuota dell’invenduto. La Provvidenza,
portata da donne in carne e ossa,
fa giungere a Ravenna un cospicuo ricavato. Già nel 1921 don
Angelo può acquistare una casa
in via Bixio 20, dove, da via
Mazzini, viene trasferito il laboratorio: è la prima di una serie di
acquisizioni, nucleo del futuro
ospizio per malati cronici abbandonati. Don Angelo vuole
per loro “un piccolo ambiente”
dove accoglierli. Era il suo grande desiderio.
L’anno dopo viene acquistata
un’altra casa, al civico 22. Qui,
nel 1926, verrà trasferito l’ambulatorio per i poveri, fiore all’occhiello dell’Opera. Si in22
Il cardinale Lercaro, arcivescovo di Bologna (già arcivescovo di Ravenna
nel quinquennio 1947-1952) in visita all’Opera Santa Teresa nel 1955.
migliaia di copie. Arriva ancora
oggi nelle case. È uno strumento
per diffondere l’Opera, per sensibilizzare rispetto alla causa dei
poveri, per dare parole di
conforto ai malati stessi. A volte, anche se rare, la sua penna, in
nome di quei derelitti che definisce “i nostri gioielli”, sa essere
graffiante: “Se chi si alza al
mattino, preoccupato del come
tradurre in follie di nuovi passatempi il frutto di suoi molti milioni, potesse guardarsi attorno
e udire il gemito straziante di
chi è preoccupato di arrivare,
senza morire di stenti, alla sera,
arrossirebbe certo dei suoi divertimenti”.
l’ha fondata. Don Angelo, con
quel viso improntato alla dolcezza e sempre pronto al sorriso, deve ammettere di conoscerlo bene; poteva assicurare che santo
proprio non era, era un povero
diavolo. Padre Tarulli intuisce:
“Forse quel don Lolli è lei?”
“Purtroppo sono io – risponde
don Angelo – Ma non sono un
individuo eccezionale. Mi creda,
sono l’ultimo dei preti”.
Per quel cercatore di Dio, l’umiltà è una virtù da non smarrire. Nemmeno dalle colonne del
suo giornale, “L’Amico degli Infermi”, firmerà mai un articolo.
Quel bollettino mensile lo fonda
nel giugno del 1927. Uscirà in
23
COME UNA BARCA
SPINTA IN ALTO MARE
L’infermo apostolo
di dell’altare, con le braccia
spalancate, la fronte sul pavimento. Pregando con forza che
l’Opera venisse risparmiata da
quella furia. A un tratto si alza
in piedi, benedice tutti: “Siamo
nelle mani di Dio”, dice. Poi, la
calma dopo la tempesta, il respiro riparte, gli occhi si riaprono increduli, gli abitanti dell’ospizio escono di nuovo all’aperto: l’ospizio era avvolto in un
fumo denso, ma miracolosamente intatto.
Intanto, quelle creature votate
alla carità che avevano prestato
mani e piedi all’ideale del sacerdote ravennate, si erano trasformate ufficialmente in una
nuova famiglia religiosa. La cerimonia della consacrazione avviene il 24 ottobre 1931. Sedici
le prime novizie, più tardi nascerà un ramo maschile.
È il 2 febbraio 1955 quando
la Piccola Famiglia di Santa Teresa del Bambino Gesù ottiene
il riconoscimento canonico.
Un’evoluzione naturale del dono di sé a Dio nella persona
sofferente, per il quale erano
vissute e continueranno a vivere.
Una pioggia di bombe cade
sull’Italia già piegata da anni di
guerra. Il rumore assordante degli aerei non dà tregua, gli edifici crollano, le carni dei civili
vengono dilaniate tra le macerie. Siamo negli anni del secondo conflitto mondiale.
In via Bixio, nella sede dell’Opera sono giorni e ore di
paura. Non appena suona l’allarme, don Angelo – che dal
1938 si è trasferito a vivere con
i suoi ammalati – fa correre nell’orto, dove era stato allestito
una sorta di rifugio. Una notte
però, al suono assordante della
sirena che avvertiva l’arrivo degli aerei, profeticamente grida:
“Nessuno vada nell’orto… Tutti in chiesa!”. Da lì potevano
vedere il cortile illuminato a
giorno dai bagliori delle esplosioni. Un bombardamento a
tappeto stava risparmiando ben
poco intorno a loro, gli scoppi
potevano sentirli vicinissimi.
Per tutto il tempo in cui gli
aerei continuano a volare minacciosi sulle loro teste, don
Angelo rimane prostrato ai pie24
tinua a progettare: “Non devo
partirmi da questo mondo senza aver spinto la barca in alto
mare”, dice riferendosi alla sua
Opera. È presente, vigile, eppure sembra essere altrove, già in
dialogo con l’oceano infinito
che lo aspetta. La morte, la
chiama “la mia ultima impresa,
coronamento di tutte le altre”.
Ora è malato anche lui, è lui
ad aver bisogno di cure, a dover
essere alleviato. Ora può offrire
la sua sofferenza fisica. E lo fa
senza mai un lamento. Perché
per lui – e lo ripeteva spesso ai
suoi poveri – la sofferenza è
una ricchezza che non va sprecata. Niente ha più valore del
soffrire con amore e per amore.
La sofferenza non è passività,
ma azione; non è una disgrazia
che cade sulle spalle di qualcuno, ma una condizione di vita
feconda, una perla preziosa da
spendere per il prossimo. Il limite non è una menomazione,
ma una possibilità. Inutile il povero malato? Tutt’altro: una sua
preghiera vale la gloria di Dio,
un lamento represso lo rende
apostolo. E l’apostolato fatto
dagli infermi è il più alto di tutti.
Don Angelo passa lunghe ore
davanti alla croce, simbolo di
tutte le sofferenze umane.
Guardandola – diceva ai suoi
Nel 1930, grazie ai lavori di
ampliamento dell’Ospizio, nasce un nuovo reparto. È destinato ai sacerdoti anziani, malati
e soli. Il primo ospite? Don Angelo Bignardi, il vecchio rettore
del seminario che aveva rifilato
un ceffone al piccolo Lolli, salito imprudentemente sul cornicione della chiesa.
Nello stesso anno muore Maria Belletti, il braccio destro di
don Angelo; nel 1944 Pia Ghigi, l’anno dopo Giannina de
Giovanni. Nel ’57, in un incidente stradale, si spegne suor
Argia Drudi, la dottoressa dei
poveri: tanti anni prima, giovane e di umili origini, si era presentata a don Angelo pensando
di aiutare nelle faccende domestiche, invece lui l’aveva fatta
studiare, perché l’Opera aveva
bisogno di medici e farmacisti.
Per il fondatore, queste morti
significano dolore, ma la fede è
più grande: “Tutto passa – commenta – solo Dio rimane”. Ormai anziano e in carrozzina,
don Angelo comincia a pensare
anche alla sua di morte: “Quando giungerà, quel giorno come
un torrente mi riverserò nell’oceano infinito dell’amore”.
Le gambe non gli reggono
più. È più silenzioso negli anni
della vecchiaia, ma cuore e
mente rimangono ferventi; con25
Nel 1930,
grazie ai lavori
di ampliamento
dell’Ospizio,
nasce un nuovo
reparto.
Il reparto è destinato ai sacerdoti anziani, malati e soli. Il primo ospite? Don Angelo Bignardi, il vecchio rettore del seminario che aveva rifilato un ceffone al piccolo Angelo Lolli, salito
imprudentemente sul cornicione della chiesa.
26
Il 9 aprile 1962, quattro anni
dopo la morte, la sua salma viene portata dal cimitero monumentale di Ravenna nella cripta
dell’Opera Santa Teresa. Quel 9
aprile, man mano che passa per
le strade della città, il corteo diventa un lungo serpentone silenzioso, con la gente che si aggiunge numerosa uscendo dalle
case. I più vicini al feretro sono
gli infermi dell’Ospizio, alcuni
lo accompagnano sulle loro
carrozzelle. Le campane delle
chiese della città suonano insieme i rintocchi; dal cielo un aereo sorvola la bara e getta fiori.
Sono per quel prete umile che
amava il nascondimento, per
quell’uomo folle d’amore per
Dio e per le sue creature, per
quel romagnolo tenace e appassionato che aveva trasformato
in forza la debolezza.
malati – si comprende il perché
del dolore.
“Confidate nel Signore”
Il 21 agosto del 1957 don Angelo compie 77 anni. È la prima
volta che festeggia il compleanno nella sua camera, stando a
letto. Il 6 aprile dell’anno successivo le sue condizioni si aggravano. Mancano pochi giorni
all’incontro faccia a faccia con
Dio. Alle suore, che non si
muovono dalla sua stanza, riesce a dire alcune frasi, interrotte da lunghe pause: “Confidate
nel Signore… date a lui le vostre pene… vogliatevi bene…
abbandonatevi a lui… pregate
la Madonna…”.
Il 17 aprile entra in agonia tra
le 9 e le 10. Alle 23.20 si spegne. Ai funerali, che si celebrano il 21 aprile nella chiesa di
Santa Teresa, la commozione è
tanta. Come la gratitudine per
quel padre dei poveri che aveva
trovato la Verità sporcandosi la
tonaca lisa nel fango della città,
che era sceso da cavallo e si era
piegato sul derelitto, lo aveva
raccolto non badando alle sue
ferite aperte e purulente, e se ne
era preso cura. Era morto don
Lolli, l’uomo che era riuscito a
cambiare il cuore ispessito di
tanti ravennati lontani da Dio.
L’Opera S. Teresa oggi
La causa di beatificazione e
canonizzazione del servo di
Dio don Angelo Lolli, aperta
solennemente dall’arcivescovo
di Ravenna-Cervia mons. Luigi
Amaducci il 7 maggio 2000,
l’anno del Giubileo, nella basilica di S. Maria in Porto in Ravenna, si è conclusa, nella sua
fase diocesana, il 20 aprile
2008 in Duomo con una cele27
compiuti cento. Loro non conoscono àncore, tranne quella di
Cristo. Sulla barca messa in acqua da don Lolli veleggiano in
alto mare, con gli occhi sempre
all’orizzonte. Perché la Provvidenza può suggerire altre mete e
i naufraghi dell’esistenza sono
sempre di più.
Suore che hanno un dono: la
tenerezza. Il loro fondatore si
era raccomandato: “Siate devote alla Madonna, imparerete la
tenerezza”. Oggi come allora,
tengono la mano degli emarginati, dai bambini disabili agli
adulti cerebrolesi, agli anziani
in carrozzina, tra cui molti sacerdoti.
Sono oltre 180 gli ospiti della
cittadella della carità che si trova nel centro storico di Ravenna; circa altri 100 sono accolti
nelle case famiglia animate da
volontari laici. Lì, tra gli altri,
ci sono i traumatizzati della
strada. Perché la vita è sacra, e
vale il suo mistero anche quando si è costretti su un letto.
Queste suore vestite di blu
trasformano la sofferenza in un
canto di lode. Poiché, come diceva il loro fondatore, “sono
assillate dal dolce tormento di
Dio”.
brazione eucaristica presieduta
dall’arcivescovo mons. Giuseppe Verucchi. Era il felice coronamento dei festeggiamenti in
occasione del 50° anniversario
della morte del fondatore dell’Opera S. Teresa.
Don Angelo Lolli, quell’Ospizio che aveva tanto desiderato
per i malati cronici abbandonati,
l’aveva paragonato a una “nave
che tanto più si sente sicura
quanto più si lancia al largo”.
Ebbene, dalla nascita in cielo
del suo fondatore, quella “nave”
continua a navigare nei mari
calmi della carità.
A Ravenna, tutte le opere a
cui don Lolli ha aperto la strada
- dalla farmacia, al poliambulatorio, ai centri residenziali per
minori e disabili psichici, fino
all’ultima nata tra le realtà assistenziali attuali, la casa per malati di aids - hanno un nome solo: Santa Teresa.
E per la gente, le suore della
Piccola Famiglia di Santa Teresa di Gesù Bambino, angeli che
si muovono in quella cittadella
della carità, sono semplicemente “le suore di Santa Teresa”.
Risiedono accanto al Duomo; la
più giovane ha poco più di
trent’anni, la più anziana ne ha
28
PREGHIERA
per la beatificazione
di don Angelo Lolli
Signore Dio,
Padre di infinita carità,
che attraverso il tuo umile Servo
don Angelo Lolli
hai mostrato lo splendore
del tuo Amore misericordioso,
umilmente ti prego:
degnati di glorificarlo
anche su questa terra,
lui che nella partecipazione generosa
alla croce di Cristo Gesù,
tanto ti ha amato
e tanto sì è prodigato
per la tua gloria,
facendo del bene
ai sofferenti e agli abbandonati.
Ti supplico di volermi concedere,
per sua intercessione,
la grazia (…)
che ardentemente desidero.
Tre Gloria
Imprimatur: Ravenna, 6 giugno 2000
Mons. Giuseppe Verucchi
Arcivescovo
29
La vita
21 agosto 1880
Nasce da Alba Pasi, lavandaia, e Orlando Lolli,
bracciante. Prima di lui, nel 1869, era nata Rosa. Romeo era arrivato quattro anni prima. I fratelli Giovanni e Luigi erano morti a 9 e 16 mesi.
La famiglia abita nella borgata di San Biagio, in
via Scaletta 82, alla periferia di Ravenna.
22 agosto 1880
Viene battezzato nel Duomo di Ravenna con il
nome di Angelo Maria.
Agosto 1886
A causa dell’epidemia di colera che colpisce la
Romagna, muore la sorella più grande Rosa, appena diciassettenne. La sua stanza viene affittata
dai Lolli a Lucia Casadio, detta Luzì, una donna
pia che lo inizierà alla preghiera e ai sacramenti.
3 novembre 1890 Entra in seminario. Ha 10 anni.
Luglio 1901
Muore il padre, Orlando Lolli.
6 giugno 1903
Viene ordinato sacerdote dall’arcivescovo di
Ravenna, mons. Conforti. Sono presenti la madre e alcuni amici. Sarà parroco nella parrocchia
del suo borgo natio, San Biagio, e gli verrà affidata la direzione del settimanale diocesano di
Ravenna. Dotato di uno spiccato talento per la
musica, per trent’anni ricoprirà l’incarico di
maestro del coro e organista del Duomo.
Agosto 1909
Muore la madre, Alba Pasi.
25 maggio 1911 In via Paolo Costa, nella sede della biblioteca
circolante cattolica da lui curata, fonda insieme
a quattro donne volenterose la “Pia Opera assistenza infermi a domicilio”, che viene inaugurata ufficialmente il 18 dicembre. Obiettivo:
“proteggere in qualunque modo l’ammalato”,
cercando di alleviare le sue sofferenze. È la prima pietra delle futura Opera di Santa Teresa.
Da ora si moltiplicheranno le attività per sostenere i poveri di Ravenna.
30
Giugno 1927
25 gennaio 1928
24 ottobre 1931
1938
17 aprile 1958
21 aprile 1958
9 aprile 1962
7 maggio 2000
20 aprile 2008
Fonda il bollettino mensile “L’Amico degli Infermi”, che uscirà in migliaia di copie. Sospesa
la pubblicazione durante gli anni della seconda
guerra mondiale, riprenderà subito dopo. Arriva
ancora oggi nelle case.
Don Angelo inaugura l’Ospizio cronici abbandonati, e lo intitola a Santa Teresa del Bambino
Gesù.
Nasce ufficialmente la Congregazione religiosa
delle “Suore della Piccola Famiglia di Santa Teresa del Bambino Gesù”. Sedici novizie emettono i primi voti.
Don Angelo va a vivere all’interno dell’ospizio,
con i suoi ammalati.
Si spegne nella sua stanza, alle 23.20, dopo essere entrato in agonia tra le 9 e le 10 del mattino. Alle suore della Congregazione religiosa da
lui fondata, che lo assistono accanto al suo letto,
raccomanda di stare unite al Signore e di pregare la Madonna. Ha 78 anni.
Tra la commozione dei ravennati, nella chiesa di
Santa Teresa si svolgono i funerali.
La salma viene portata dal cimitero monumentale
della città di Ravenna, nella cripta dell’Opera
Santa Teresa. Durante il trasporto, in tantissimi
accompagnano il corteo. I più vicini al feretro sono alcuni infermi dell’ospizio, che lo affiancano
in carrozzella.
Nel santuario di Santa Maria in Porto a Ravenna, si apre la causa di beatificazione e canonizzazione di don Angelo Lolli.
Nella Cattedrale di Ravenna, si conclude la fase
diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione del servo di Dio don Angelo Lolli, con la
solenne concelebrazione eucaristica presieduta
dall’arcivescovo mons. Giuseppe Verucchi.
31
Bibliografia
ALESSANDRO PRONZATO, Don Angelo Lolli le follie
dell’amore, Gribaudi, Milano 2008
ENZO TRAMONTANI, Don Angelo Lolli maestro di solidarietà, Opera S. Teresa del B.G., Ravenna 2003
DON ANGELO LOLLI, Ogni giorno un pensiero, a cura
della Piccola Famiglia di Santa Teresa del Bambin Gesù,
Shalom, Camerata Picena (An)
DON ANGELO LOLLI, La carità. Meditazioni, a cura
della Piccola Famiglia di Santa Teresa del Bambin Gesù,
Shalom, Camerata Picena (An)
DON ANGELO LOLLI, Fiori a Maria, Opera S. Teresa
del B.G., Ravenna 2008
Essere per gli altri, Editrice Ave, Roma 1992
La “Piccola via”di S. Teresa e la spiritualità di don Angelo
Lolli, a cura delle Suore della Piccola Famiglia di Santa
Teresa di Gesù Bambino, Ravenna 2006
Atti del Convegno sul Servo di Dio Don Angelo Lolli in occasione del centenario dell’ordinazione sacerdotale, Opera Santa Teresa, Ravenna, 2003
OPERA SANTA TERESA DEL BAMBINO GESÙ
Via S. Teresa, 8 - 48121 RAVENNA
Telefono: 0544/38548 – Fax: 0544/214245
Siti internet: www.operasantateresa.it - www.donangelololli.it
e-mail: [email protected]
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