Lucia Romiti Sopra, visita nel maggio 1986 del Papa Giovanni Paolo II alla tomba di don Lolli; sotto, veduta aerea dell'Opera Santa Teresa. TESTIMONI DELLA FEDE A Angelo LLolli Un artista della carità gli speciali il nuovo giornale Perché questo libro Don Lolli nella foto della tessera dell'Ordine dei Giornalisti (1926). Edizioni “il Nuovo Giornale”, settimanale della diocesi di Piacenza-Bobbio ottobre 2009 Direttore responsabile, Davide Maloberti Illustrazioni di Renato Vermi Direzione e redazione: Piacenza, via Vescovado 5 Stampa: Grafiche Lama, Piacenza Si è sporcato le mani don Angelo Lolli, immergendole nelle ferite aperte degli esseri umani, dei derelitti senza speranza, degli emarginati della società. Appassionato sacerdote nella Ravenna anticlericale di inizio Novecento, ha conquistato il cuore di tutti, credenti e non credenti. E ci è riuscito con una sola arma, la più efficace: l’amore che non conosce confini, che sa uscire da sé superando se stesso e volando alto, verso Dio e le sue creature. Per quelle creature bisognose don Angelo Lolli ha percorso le vie impervie e dolci della carità. Una carità che si è fatta sorriso, carezza, parola di conforto, gioia, azione. Ha fondato le “Suore della Piccola Famiglia di S. Teresa di Gesù Bambino” e l’“Opera di Santa Teresa”, una realtà di fede e assistenza ancora oggi in continua crescita, dove tutto è dono; una cittadella della carità, cuore pulsante di gratuità nel centro storico della città di Ravenna. Indice NELLA RAVENNA DI FINE OTTOCENTO LA PRIMAVERA DELLA CARITÀ . . . . . . . . . . . . . pag. 1 Quel segno portato dall’acqua . . . . . . . . . . . . . . . . “ 1 Il monello di Dio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 3 Una Ravenna anticlericale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 4 DALLE STRADE DELLA BORGATA ALLE STANZE DEL SEMINARIO . . . . . . . . . . . . . . pag. 6 Il bacio a e’ Gagin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 6 La musica fra talento e passione . . . . . . . . . . . . . . . “ 9 FOLLE D’AMORE PER DIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 12 Prete per gli altri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 12 “Salire... sempre salire” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 14 PER LE VIE CREATIVE DELLA CARITÀ . . . . . . pag. 17 Quei piccoli nonnulla. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 17 A metà strada tra la terra e il paradiso . . . . . . . . . . “ 19 Anche un giornale per i gioielli derelitti . . . . . . . . “ 22 COME UNA BARCA SPINTA IN ALTO MARE. . . . . . pag. 24 L’infermo apostolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 24 “Confidate nel Signore” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 27 L’Opera Santa Teresa oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 27 PREGHIERA PER LA BEATIFICAZIONE DI DON ANGELO LOLLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 29 L’AUTRICE Lucia Romiti, marchigiana, 29 anni, laureata in filosofia e giornalista dal 2004, ha frequentato, a Roma, il Master “Media Working Project” promosso dalla Pontificia Università Lateranense. Attualmente collabora con alcune testate locali, di cui una online, e alla redazione della rivista ufficiale del Rinnovamento nello Spirito. La vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 30 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 32 NELLA RAVENNA DI FINE OTTOCENTO LA PRIMAVERA DELLA CARITÀ Quel segno portato dall’acqua “Amerò chi soffre e cercherò di raddolcire col mio affetto l’amarezza delle sue lacrime”. Asciugare le lacrime calde che rigano il volto dei poveri più miseri, dei malati senza speranza di guarire, dei malinconici che hanno smarrito la loro gioia in un tempo che fu. Leccare le ferite degli esseri umani. Fu questa la missione di don Angelo Lolli. Questo il suo programma di vita. Questo il suo desiderio più grande. La voce afona, quasi senza timbro, gli L’immagine della “Madonna dei vicoli”, occhi vivaci, l’aria bona- detta “Madonna del sudore”, che arrivò tra mani della madre di don Lolli mentre laria, il sorriso benevolo le vorava come lavandaia e aspettava il suo sempre accennato sul bambino. Don Angelo tenne sempre nel suo volto, la veste talare nera ufficio quest’immagine. e consumata che gli arrivava fino ai piedi, il cappello te romagnolo, quegli scarti tricorno che si usava nel secolo umani profumavano di Dio. E scorso, e un cuore grande, poi, la corona del rosario sempronto ad anticipare i bisogni pre tra le mani. Del resto, quandei derelitti della società. do era ancora nel seno materno, Per questo generoso sacerdo- la protezione della Madonna gli 1 Lavandaie presso il ponte degli Allocchi. era arrivata dal fiume. Era un’afosa giornata del luglio 1880. Alla periferia di Ravenna, presso il ponte degli Allocchi, le lavandaie insaponavano i vestiti dei signori nel canale del Molino. Il fazzoletto sulla testa per ripararsi dal sole, la schiena curva sull’acqua, le mani impegnate a sfregare sull’asse del bucato. Chiacchieravano per sentire meno la fatica. Tra loro c’era Alba Pasi, alle prese con la biancheria della contessa Budi-Sclaffi e con un pancione che non le alleggeriva certo il lavoro. “Mi pari la Madonna del sudore!”, le dice a un tratto guardandola asciugarsi la fronte, la Tuda, la più simpatica e rumorosa del gruppo. Intanto, spinto dalla corrente, arriva tra le mani delle donne un pezzo di cartone che sembra impermeabile. La Tuda lo sottrae all’acqua, lo asciuga strofinandoselo sulla veste. Era l’immagine della “Madonnina dei vicoli”, detta comunemente “Madonna del 2 sua paga giornaliera? Una lira e trenta centesimi. A casa c’erano già Rosa, nata nel 1869, e Romeo, arrivato quattro anni dopo. Giovanni e Luigi erano morti a nove e sedici mesi. L’Albina aveva le sue giuste preoccupazioni pensando al bambino che portava in grembo. Quando nasce, il 21 agosto 1880, lo chiama Angelo Maria. Lo battezza il giorno dopo, in Duomo. Nel nome dell’ultimo nato della famiglia Lolli, già il programma della sua vita: essere l’angelo della carità, un angelo in carne e ossa, senz’ali se non quelle dell’amore che non conosce confini, della gratuità che si fa carezza, sorriso, azione, sollievo, speranza. Sarà l’amico dei poveri, disposto a tutto per vedere un cenno di gioia sul loro volto, sarà padre e fratello degli emarginati della storia. Eppure nei primi anni della sua vita “il monello di Dio”, come lui stesso amava definirsi, non fu propriamente un angioletto. Di bricconate ne combinava eccome. Vivace, irrequieto, con quell’aria sbarazzina e un po’ temeraria che lo accompagnerà anche da adulto nella sua via alla carità, Angelo passava il giorno fuori casa, “in mezzo al fango della strada”, dirà lui. La sorella Rosa riusci- sudore”. Immagine che si trovava in una cappellina sorta in un crogiuolo di stradine che dalla via Fiume Montone Abbandonato scomparivano nelle campagne di Ravenna. La Tuda non ha dubbi: quel “coso” venuto dall’acqua è per l’Albina. “Porterà fortuna al tuo bambino!”, le dice insistendo perché lo tenesse. E la mamma di Angelo Lolli non esitò a conservare gelosamente quella Madonnina di cartone affiorata dal canale. Un buon augurio, un segno, una promessa, che il futuro Angelo custodirà con altrettanta cura nel suo ufficio di sacerdote. Il monello di Dio La casa di Alba e Orlando Lolli, nella borgata di San Biagio, in via Scaletta 82, era una di quelle che stavano in piedi per miracolo; con il puntello di san Benedetto, diceva qualcuno. Muri di malta e mattoni crudi tra viuzze fangose e polverose popolate da proletari, gente di cui poteva leggersi la fatica di vivere nelle rughe del volto; gente semplice, abituata al sacrificio, che come ricchezza aveva quella dei figli. E spesso, per poterli sfamare, si toglieva il pane dalla bocca. Orlando era un bracciante. La 3 desiderio di riscatto, la voglia sempre più forte di un po’ di giustizia. Il quarto stato, proletariato che avanzava con i figli in braccio, chiedeva migliori condizioni di vita. Qui ed ora. Certo, non smarriva la capacità di accettazione della durezza dell’esistenza, ma non si lasciava più consolare solo dalla speranza di un paradiso giusto. Soprattutto dopo il malgoverno dello Stato pontificio, che anche in quelle zone aveva lasciato un segno forte. E purtroppo negativo. Il potere temporale della Chiesa, finito nel 1870 tra il rumore della breccia di Porta Pia, non si era distinto dagli altri poteri umani, non aveva risparmiato niente ai poveri. Che ora guardavano con diffidenza alla Chiesa e ai suoi uomini, non esitando a chiamarli con disprezzo: “preti della malora”, “sacchi di roba sporca”. “Il mondo sta su con le bestemmie”, esclamavano i romagnoli di allora. A farli parlare, oltre al pregiudizio anticlericale, la rabbia che nasceva dalla disperazione. Una disperazione però che non toglieva del tutto Dio dall’orizzonte interiore, ma nel profondo di quelle anime stanche e generose continuava a invocarlo. In Romagna, poi, oltre a un forte anticlericalismo, va a stento a tenerlo a bada. E capitava spesso che mamma Alba, quando al tramonto tornava stanca nella sua borgata alla periferia di Ravenna, dovesse andarlo a cercare fra le viuzze. Con tanto di bastone in mano. Era un discolo Angelo Maria. Ma di un’intelligenza che faceva cullare nel padre, Orlando, un sogno: farlo studiare. Ci pensava Alba a riportarlo coi piedi per terra: “La lucerna senza rampino – diceva con sano realismo e con lo sguardo basso – non sta appesa”. Una Ravenna anticlericale I Lolli erano detti “quelli di pocacarne”, per indicare la magrezza dovuta alla povertà. A quel numero 82, dove abitavano venti famiglie in tutto, tre persone erano in carcere e un ragazzo a Bologna, in un istituto di correzione. In quel rione le diseguaglianze e i cambiamenti sociali si sentivano sulla pelle. Erano graffianti le umiliazioni, lasciavano i segni sul dorso bruciato dal sole, lo facevano piegare. Ma la dignità, quella rimaneva: si leggeva negli occhi. I sacrifici pesavano come macigni, ma non schiacciavano il 4 ritti nella legalità. Ci si mette insieme, sicuri che l’unione fa la forza, che la solidarietà oltre a far bene al cuore è anche utile, che il mutuo soccorso, il reciproco aiuto, può essere una via di emancipazione sociale, di riscatto della propria condizione. L’8 aprile del 1883 nasce l’Associazione generale degli operai braccianti del comune di Ravenna. 303 i soci fondatori, in poco tempo salgono a 2.500 gli iscritti. Tra loro c’è anche Orlando Lolli. L’impegno civile non è estraneo a questa famiglia. Gli antenati di Orlando avevano dato il loro tributo di sangue ai moti risorgimentali. Così, quelli della moglie Alba. Ora la battaglia va avanti con le armi della solidarietà, valore cristiano in una terra solo apparentemente scristianizzata. In una città, Ravenna, dove un sacerdote speciale dirà: “Chi dona al povero impresta a Dio”. Ricomponendo così nel cuore della gente la frattura con la Chiesa, risvegliando nel popolo una religiosità innata. Ma ora quel sacerdote è ancora un piccolo bricconcello che tra qualche anno entrerà in seminario. dilagava l’anarchismo, la lotta cioè ad ogni potere costituito. E l’anarchico russo Bakunin aveva individuato proprio in quelle terre di lavoratori il luogo ideale della rivoluzione proletaria. Ai tempi in cui il piccolo Angelo Maria Lolli si affacciava alla vita, qualcosa cominciava a cambiare per i lavoratori ravennati. Nel marzo 1883, la vide anche Angelo, che allora aveva tre anni, una massa di braccianti spostarsi dai borghi e dalle campagne fino in città per commemorare la Comune di Parigi. Un evento lontano nel tempo e nello spazio, avvenuto il 18 marzo 1871 nella capitale francese; una parentesi che per dieci settimane aveva visto al potere la classe operaia. Un’esperienza dalla fortissima carica simbolica. La coscienza della propria dignità e la consapevolezza di potercela fare a riscattarsi aumentò, tra la gente romagnola, con l’elezione - nell’ottobre 1882 - del primo deputato socialista della storia italiana: il ravennate Andrea Costa. È uno stimolo per abbandonare le idee anarchiche e conquistarsi dei di- 5 DALLE STRADE DELLA BORGATA ALLE STANZE DEL SEMINARIO Il bacio a e’ Gagin veri. Nel rione San Francesco da Paola, dove abita la famiglia Lolli, il colera entra in casa e ne esce con sulle spalle la sorella di Angelo, la stessa che fino a quel momento gli aveva fatto un po’ da mamma. Rimane la stanza vuota; come svuotato dal senso della perdita resta per molti anni il cuore di Alba e Orlando. Ma la vita va avanti, e quella stanza i Lolli non possono proprio permettersi di lasciarla vuota. La affittano a Lucia Casadio, detta “Luzì”, una donna di venticinque anni. Una giovane pia, un’anima bella, piena di fede. Inizierà il piccolo Angiolino alla preghiera, lo preparerà alla comunione e alla cresima. Gli donerà quell’educazione religiosa che Alba e Orlando, presi dalla fatica quotidiana di guadagnarsi il pane, non sapevano offrirgli. Gli insegnerà a vedere oltre. Sarà lei ad instillare nel suo cuore grande il vino buono della carità. Quando assiste alla prima Messa cantata, nella parrocchia di San Biagio, Angelo ha 8 anni. A celebrarla, un prete novel- In quella casetta umida di via Scaletta si dormiva tutti in una stanza. Ora Rosa, la figlia più grande, è una signorina, e ha bisogno di riservatezza. La situazione dei braccianti è leggermente migliorata, e anche quella di Orlando, il capofamiglia. Perché non cercare un’abitazione appena più grande? I Lolli si sono da poco trasferiti nella vicina via dei Pozzi, quando su di loro si abbatte un dolore grande: muore Rosa, appena diciassettenne, a causa del colera. Non ci avrebbe scommesso nessuno sul ritorno dell’epidemia. Del resto, quella del 1855 sembrava essersi portata via tutto quello che poteva. E invece il 1° maggio dell’ ’86, a Ravenna si registra la prima morte per colera. Ci siamo di nuovo. Nel mese di agosto l’intera Romagna è colpita. Solo Ravenna piange 513 morti. La maggior parte di loro si contano nei due sobborghi popolari: San Rocco e San Biagio. Non è una novità: i più colpiti dalle malattie epidemiche sono sempre i più po6 chiesetta di San Francesco da Paola. Guardando la tela del Barbiani che riproduce l’immagine del santo, Angelo nota il motto latino “charitas”. Ne chiede spiegazioni alla sua giovane maestra che risponde non limitandosi a tradurre la parola in italiano: “Non vuol dire solo fare la carità, dare un’elemosina ai poveri. Ai poveri prima bisogna volergli bene. Tu ci vuoi bene al tuo fratellone Romeo? Ma anche e’ Gagìn dla Placidia è tuo fratello”. E’ Gagin era uno sciancato che mendicava alla porta della chiesa. Usciti, Angiolino gli dà un bacio con lo schiocco sulla guancia ingiallita dal tempo e dagli stenti. Luzì e il barbone rimangono senza fiato. Era il gesto spontaneo e innocente di un bambino che conosce solo la verità del cuore, non ancora intorpidita dai pregiudizi della vita. Ma, in nuce, è l’uomo che esclamerà: “Come sto bene allorquando ho la certezza quasi evidente di aver asciugato delle lacrime, di aver fatto sorridere un raggio di sole attraverso un cielo nebuloso”. Non la carità episodica, ma la carità come metodo, atteggiamento, come costante disposizione dell’animo. Lui ne sarebbe stato capace. lo: Pietro Fabiani. “Voglio diventare pretino anch’io” mormora a Luzì durante la funzione religiosa. Come l’avrebbero presa in casa Lolli? Quando timidamente la giovane donna tira fuori il discorso, Orlando si vede già spingere le sue carriole di fieno alla mercé delle canzonature sferzanti dei braccianti. Un figlio prete da quelle parti non era certo un bel biglietto da visita! La gente avrebbe iniziato a guardarlo dall’alto in basso. Ma tra le immagini che in quel momento gli affollano la mente, ce ne è anche un’altra: il suo figliolo intento a studiare, come i figli dei ricchi. E non era questo che aveva sempre desiderato per Angiolino? Rimaneva però un problema: chi avrebbe pagato la retta del seminario? Luzì, donna di preghiera e di azione, aveva un’idea. Un giorno porta Angiolino a far visita allo zio Ferdinando, caffettiere. Il fratello di Orlando aveva un debole per quel nipotino simpatico e intelligente. “Vuole entrare in seminario? Ci penso io!”, disse sicuro. Così era caduto l’ultimo ostacolo, quello economico, e a Luzì, sulla strada del ritorno a casa, non rimaneva che passare a ringraziare il Signore nella 7 “Ai poveri - disse la maestra al piccolo Angelo - prima bisogna volergli bene. Tu ci vuoi bene al tuo fratellone Romeo? Ma anche e’ Gagìn dla Placidia è tuo fratello”. E’ Gagin era uno sciancato che mendicava alla porta della chiesa. Usciti, Angiolino gli dà un bacio con lo schiocco sulla guancia ingiallita dal tempo e dagli stenti. Luzì e il barbone rimangono senza fiato. 8 La musica fra talento e passione Scriverà rivolgendosi a Dio nelle sue meditazioni spirituali: “Godo di chiamarmi il vostro piccolo monello che voi avete tratto dalla strada, che avete adottato come figlio, portato nella vostra casa e rivestito con eleganza degli abiti vostri. Dovrei impazzire di riconoscenza”. Il “monello di Dio” entra nel seminario di Ravenna a 10 anni, il 3 novembre 1890. Per lui, lo zio Ferdinando ha voluto il meglio. Ha scelto il seminario “dei signori”, dove la retta era più alta e il livello di studi maggiore. Avvolto nella lunga palandrana che gli arriva alle caviglie, il colletto inamidato, Angelo è composto e serio, non sembra quasi il birichino di sempre. Luzì non fa altro che ripetere: “Oh, che bel pretino!”. E Alba, la mamma, con l’abituale realismo da lavandaia avvezza alle sconfitte, non riesce a non esclamare: “‘Don’ se la dice”, se cioè arriverà a celebrare messa. Le regole rigide del seminario insegnano ad Angelo la disciplina, ma non ne piegano l’irruenza e la vivacità. Si distinguerà sempre, da bambino come da adulto, per quella forza di osare, Angelo Lolli appena entrato in seminario nel 1890. di andare al di là, di salire le vette. Come quando si arrampica sui cornicioni della chiesa di San Girolamo, inglobata nell’edificio del seminario di piazza del Duomo. Erano in corso i lavori di restauro. Da terra, il vicerettore – che poi diverrà rettore – don Bignardi, pallido per la paura, gli intima di scendere. E una volta sceso, Angelo si prende un bel ceffone. “Ma alla fine il rettore – racconterà in seguito 9 domuto, il cieco, l’anziano, il povero scartato dagli sguardi della gente. Quel povero, lui lo considererà testata d’angolo: la più bella, la più resistente, la più utile. Una testata dove indelebile è la traccia dei lineamenti di Cristo. Quelle anime dimenticate dal mondo, eppure contenitori di un mistero irriducibile, saranno la sua casa e la sua famiglia, il suo primo pensiero. Durante il seminario e nei primi anni di sacerdozio, Dio lo prepara lentamente a questa missione specifica, forgiandolo nelle delusioni e nelle umiliazioni. “Quanto mi ha tentato – confesserà in seguito – il pensiero di diventare un personaggio illustre nella musica!”. E dire che le carte ce le aveva tutte. Fu l’arcivescovo Morganti a scegliere di non privarsi di quel prete, in una Ravenna che di preti come lui ne aveva un gran bisogno. Il commento del giovane Lolli sarà amaro: “Mi sono visto chiudere tutte le strade, e ho dovuto rassegnarmi ad essere una mediocrità trascurabile”. Il suo cuore è gonfio di sogni, di ideali, di voglia di fare del bene. Del resto un’anima piena di zelo non conosce riposo, come diceva santa Teresa del Bambino Gesù, la santa che Angelo amò tanto da intitolarle la – è diventato il mio più grande amico”. In effetti il piccolo Lolli si faceva voler bene, nonostante le bricconate. Per le vacanze estive i ragazzi del seminario venivano portati in una villa di campagna a Piangipane. Davano vita a delle recite teatrali e lui, il più disinvolto, aveva sempre una parte principale. Era un capogruppo, un trascinatore, uno che riusciva a risvegliare negli altri l’entusiasmo. Pieno di spirito di iniziativa, mise insieme un’orchestrina, un complesso musicale senza pretese, di una decina di seminaristi. Lui suonava il flauto. La musica diventò per Angelo una passione. Cocciuto e tenace, migliorò la sua formazione frequentando corsi di specializzazione dai monaci benedettini di Badia di Torrechiara; poi continuò gli studi a Loreto. Per trent’anni sarà maestro del coro e organista del Duomo. Novello sacerdote, dirigerà la Schola Cantorum in occasione della celebrazione funebre per la morte di papa Leone XIII, il 27 luglio 1903. Di talento ne aveva Angelo! Del resto l’amore per il bello non lo abbandonerà mai. Anzi, si compirà definitivamente quando il bello in cui immergersi sarà il malato cronico, il sor10 sua Opera. È un uomo appassionato Angelo Lolli, appassionato degli esseri umani e di Dio. Ha 18 anni quando il suo cuore comincia a battere anche per un altro sogno: diventare missionario. Stracolma di un amore che non può contenere, la sua anima insegue il dono totale, il dono di sé. È deciso a scegliere la via della missione. Prende contatti con un Istituto missionario del Angelo Lolli (con il violino in primo piano) nel 1898 nord Italia. Ma il durante una recita in seminario. 3 novembre 1898 Eppure, nei primi anni del sascrive: “Gli ostacoli sono tanti, le suppliche e le lacrime di mia cerdozio, si domanderà spesso madre mi straziano”. Rinuncia. se non fosse stata davvero quelPerché sa rinunciare, nonostante la la sua vocazione. Se lo chiei suoi slanci che subito diventa- derà fino a quando la via alla no azione; sa obbedire, alla carità di cui Dio lo avrebbe fatto Chiesa prima di tutto. Commen- custode, non gli fu chiara. E coterà in una futura maturità: “La me santa Teresa, ebbe la rispomia fantasia sbrigliata aveva sta, la stessa intuizione di fonbisogno di sogni e Dio la trat- do: l’amore racchiude tutte le tenne col pascolo delle sante at- vocazioni. Si può amare sempre trattive alla vita missionaria”. e dovunque. E nonostante tutto. 11 FOLLE D’AMORE PER DIO Prete per gli altri bilità. Quel giorno di primavera mormorava tra sé: “Signore, fate che non abbia mai a macchiare questa veste candida della mia innocenza sacerdotale”. Prete per gli altri. Sarà questo don Angelo Lolli; santo, se la santità è dimenticare se stessi in Dio e, come diceva lui, saper ricominciare sempre da capo. Scriverà il 3 marzo 1906: “Ti sei fatto prete per salvare gli altri, per condurre gli uomini a Dio non solo curando il benessere spirituale, ma anche quello materiale”. Del resto lui l’aveva conosciuta la miseria, l’anelito alla giustizia l’aveva letto negli occhi dei suoi genitori. Intanto, all’inizio del secolo, anche a Ravenna arrivano i venti del cristianesimo sociale. Grazie all’Enciclica Rerum novarum di Leone XIII – uscita sul finire dell’Ottocento – cominciò a farsi strada tra i cattolici l’idea che anche loro potevano dare un contributo alla società che cambiava, potevano farsi carico dei problemi di diseguaglianza, avere un ruolo nella lotta di classe. E non rinunciando alla fede. Anzi, do- Angelo diventa sacerdote in primavera. Il 6 giugno del 1903 si prostra davanti all’altare della cappella dell’Episcopio, lasciando andare nelle mani di Dio il suo cuore grande, promettendo fedeltà eterna a un progetto di amore. A ordinarlo, l’arcivescovo Conforti. È solo l’inizio di una vita nuova, di una promessa per la gente di Ravenna. Una promessa che verrà mantenuta, e continua ad esserlo oggi, anche grazie alla generosità di tanti romagnoli. Ci sono la madre Alba e alcuni amici; non è presente il padre, morto due anni prima. Angelo è emozionato, quasi non ci crede. Ha atteso per così tanto tempo quel giorno! Ancora in seminario scriveva: “Sono come quella farfalla che batte sui vetri, che intravede l’aria pura e serena ma non può volarvi… Quando potrò infrangere i cristalli che mi permettono di vedere la luce ma mi tarpano le ali? Fate che sia presto o Signore…”. Della sua vocazione sentiva tutto il desiderio e la responsa12 “caccia alle streghe” di cui fanno le spese tutti, anche quel clero che si era lasciato giustamente animare dai nuovi ideali e li voleva inseguire rimanendo nell’obbedienza. Il successore di Leone XIII, Pio X, fa rientrare nei ranghi. Fa riassestare tutti su posizioni conservatrici. Don Romolo Murri? Verrà scomunicato e poi riaccolto dalla Chiesa nel ’43. Certo, la delusione è tanta. E tra i delusi c’è anche don Angelo. Che però è sempre più strumento nelle mani di Dio, e sta acquistando un equilibrio e una saggezza che tengono a freno la sua passionalità e impulsività. In una lettera del 1909 – anno in cui muore la madre – scriverà a proposito di Murri e del modernismo: “Non è il caso di farne una lotta personale. Senza pretendere di conoscere tutti i motivi (ché non potrei) lo condanno come lo ha condannato la Chiesa mia, e lo lascio da parte mentre prima ne ero entusiasta”. Sa andare oltre il disincanto, questo prete di umili origini arrivato alla soglia dei trent’anni. Non è più il tempo delle idee, delle teorizzazioni. Né tantomeno delle ideologie. Non si tratta di convincere o agitare gli animi con la forza delle parole, ma di testimoniare con la vita. Angelo vevano unirsi e spendere quel qualcosa in più che li animava: il desiderio di fratellanza che risorgeva dalle pagine del Vangelo. Potevano rivendicare in tutte le forme lecite i loro diritti, alla stregua dei socialisti. È l’inizio di una nuova era politico-sociale. Si scaldano gli animi, la fantasia di molti vola veloce, pensando alla venuta del Regno qui, sulla terra. Nell’aprile del 1902 a Ravenna sorge il primo circolo democratico cristiano. In seminario il cardinale Riboldi istituisce la cattedra di sociologia. In agosto, il giovane sacerdote marchigiano Romolo Murri, teorico della nuova via di liberazione dell’uomo attraverso la Chiesa, parla ai giovani seminaristi. “Ne ero entusiasta” commenterà Angelo facendo suo, una volta sacerdote, l’appello di Leone XIII ad “uscire dalle sacrestie e andare verso il popolo”. L’evoluzione che Murri darà al movimento non piacerà però alla Chiesa. Il suo riformismo religioso verrà giudicato eresia modernista. Secondo la gerarchia, insomma, quel sacerdote era troppo moderno; voleva adeguare la dottrina ecclesiale, la tradizione, ai tempi attuali. Bisognava fermarlo. Ma per fermarlo, si scatena una sorta di 13 l’Eterno, di chi sa di essere a un passo dall’Infinito, ma non può afferrarlo. È la sofferenza di chi sente su di sé le croci del mondo. Sono gli anni in cui questo giovane sacerdote si farà svuotare da Dio, per farsi ricolmare della capacità di abbandono a lui. Attraverso l’ascolto, la preghiera, il silenzio, un’intensa vita contemplativa, imparerà a lasciarsi portare da Dio, a ‘lasciarsi fare’. Proprio come santa Teresa del Bambino Gesù. E quando si diventa musica nelle mani del Padre, si compiono meraviglie: “Sarò l’amico degli sventurati. Vi prego, Signore, di dare a me una parte di quelle sofferenze”. intuisce che Dio ha per lui una missione grande. “Indicami la strada!” prega incessantemente. Andando col pensiero al giorno della sua ordinazione, scrive: “Ricordi quando venivano a baciarti le mani, con quanta commozione tu gliele porgevi e con quanto fervore il tuo cuore diceva al Signore: ‘Fate che io possa a questi esseri donare tutto il bene, tutto il conforto e tutta la consolazione vostra come adesso porgo loro le mani?’... E quante volte le mie mani spargono sopra cuori ulcerati e anime trafitte il balsamo delle consolazioni di Dio! Vorrei farlo in una misura molto maggiore”. Non gli basta quello che fa. Vuole fare di più. Questi, per don Angelo, sono anche anni di tormento interiore, anni in cui sente tutta la sua miseria e inadeguatezza di uomo; prova disprezzo per il mondo, dove vede solo egoismo e vanità. Si sente tiepido, inutile, insoddisfatto. “La fede – scrive – ha dei momenti di prova e di angoscia terribili”. Soffre. Si chiede come spendere quell’ansia di azione che lo divora. Il suo desiderio più grande? Naufragare in Dio: “Che bella cosa sarebbe chiudere gli occhi e poi svegliarsi in paradiso!”. È il dolore di chi ha nel cuore “Salire… sempre salire” Intanto a don Angelo Lolli viene affidata la direzione del settimanale diocesano di Ravenna. È un’ottima penna. Ha uno stile appassionato, pieno di immagini che parlano alla gente. Nel silenzio della sua stanza, scrive anche i suoi colloqui con Dio. Quando medita mette i pensieri nero su bianco. E non usa le virgole, sono da intoppo, pause che non vanno d’accordo con l’entusiasmo di un’anima ardente. 14 Papa Giovanni Paolo II in visita all’Opera Santa Teresa a Ravenna. miere che assistano i malati poveri a domicilio, promuovere un’educazione familiare cristiana, costituire una cassa che assicuri la dote alle giovani spose prive di risorse economiche e un’altra per le donne incinte in difficoltà, creare case-rifugio per ragazze sottratte alle umiliazioni delle case di tolleranza: è l’iniziale programma sociale di don Angelo. Un programma vasto, modernissimo ed esigente. Certo non può fare tutto da solo. Cerca di coinvolgere qualcun altro prospettando la nascita di un “Comitato d’azione per il bene”, ma non trova risposte concrete. Allora si rivolge a del- È parroco nella parrocchia di San Biagio, il suo borgo natio. Comincia a lavorare alla Biblioteca cattolica circolante, che nei suoi progetti doveva essere una sorta di circolo culturale. Ma il progetto non ha seguito. Del resto, se ne deve compiere un altro. E le due stanze che aveva preso in affitto in via Paolo Costa per la biblioteca, stanno per diventare anche la sede di straordinarie opere di carità. Un giorno un povero infermo va a parlare con lui. E Angelo, interpellato dal dolore dell’altro, si chiede: “Gli avrò procurato qualche minuto di sollievo?”. Formare un gruppo di infer15 le nobildonne, che però si lasciano spaventare dalla portata del progetto. Lui non si scoraggia: “Voglio fare intorno a me una famiglia di anime veramente sante, un drappello di spiriti eletti che abbiano per divisa l’amore di Dio”. Continua a cercare e a pregare. Un giorno ne parla con Maria Belletti, una giovane che frequentava la parrocchia di San Biagio. Maria, figlia di un birocciaio, aveva rifiutato il matrimonio con un ragazzo proveniente da una famiglia “bene” perché lui non voleva sposarsi in chiesa. Un carattere forte quello della Belletti, che di fronte all’ideale concreto che usciva dalla bocca di don Angelo, non ha dubbi né indugi. È il 25 maggio 1911. In via Paolo Costa, nella sede della biblioteca circolante, si pone la prima pietra della futura Opera di Santa Teresa. La creatura partorita in quelle due stanze viene battezzata “Pia Opera assistenza infermi poveri a domicilio”. A farle vedere la luce, quattro donne, tra cui Maria Belletti, e “il monello di Dio”, che ha quasi trentuno anni. Una riunione veloce, nessuna discussione: la carità è azione. Nel verbale della neonata Società femminile, l’obiettivo è chiaro: “proteggere in qualunque modo l’ammalato: igienicamente, finanziariamente e moralmente”. Da questo momento l’Opera non farà altro che crescere, muovendosi per le vie creative della carità. Verrà ufficialmente inaugurata il 18 dicembre 1911. Cresce il numero delle socie: nel 1915 sono venti, dieci anni dopo cinquantacinque. Così dei malati che vengono assistiti. Anche se per don Angelo, maestro di solidarietà e di umiltà, non saranno mai abbastanza. Si potrà sempre fare di più. “Salire… sempre salire” ripete alle sue apostole. Non accontentarsi dell’obiettivo raggiunto ma studiarne subito un altro. Salire finché Dio lo vorrà. Ogni meta ne chiama un’altra: “Il tempo – dice lui – è la nostra nave e non la nostra dimora”. 16 PER LE VIE CREATIVE DELLA CARITÀ Quei piccoli nonnulla ro. Nel periodo di Natale, una bottiglia di vino. Perché la carità è fatta anche di sfumature. Intanto don Angelo cerca per sé la povertà materiale. Aveva preso in affitto alcune stanze in via Mazzini presso la signora Giannina De Giovanni, che tra non molto diventerà “la commessa viaggiatrice di Dio”; dirotta verso i poveri tutto quello che ha: dai materassi ai mobili, alle suppellettili, alle coperte. Nel 1912 si forma il primo gruppo di infermiere samaritane: dovevano assistere i poveri infermi a domicilio. Certo, ci vogliono i soldi. I bisogni degli emarginati di Ravenna sono i più vari. Don Angelo, che il 28 aprile del 1908 scriveva: “Signore, servitevi di me come di uno straccio per spazzare la polvere, mettetemi in tutti i buchi, basta che mi teniate stretto bene”, non fa un passo prima di aver pregato. Gli occhi al cielo, i piedi ben piantati a terra, egli crede fermamente nella Provvidenza, ma vuole fare tutto quello che umanamente gli è possibile: “Sì – dice –, tutto sperare nell’aiuto di Dio, ma al tempo Vanno due a due le apostole della carità di Ravenna a bussare alla porta dei poveri. Il loro biglietto da visita è il sorriso. Don Angelo si raccomanda di sorridere sempre, seminando gioia a piene mani. Lui li chiama “piccoli nonnulla” quei gesti che sembrano insignificanti ma che, per il sofferente, sono come carezze di una madre. Angelo insegna alle sue collaboratrici ad amare in modo totale, rasentando l’eccesso, la follia, pur nella razionalità dell’agire. Insegna loro che la gioia è una scelta d’amore fatta per gli altri. Bisogni spirituali e bisogni materiali. Don Angelo ha una grande sensibilità sociale e crede nella liberazione storica dell’uomo. Vale la pena eccome, secondo quel sacerdote figlio di un bracciante e di una lavandaia, cercare di migliorare le condizioni di vita degli esseri umani. Le giovani apostole, dunque, portano anche l’aiuto concreto: razioni di pane, carne e zucchero, qualche uovo, una bottiglia di marsala e un sussidio in dena17 Nel 1913 il laboratorio trasloca in via Mazzini 3, l’attuale via Corrado Ricci, in uno stabile che don Angelo acquista in proprio, accollandosi i debiti. Il 25 aprile dell’anno successivo, comincia a circolare in città un volantino informativo: “La Pia Opera d’assistenza infermi poveri ha aperto in via Mazzini 3 un negozio Alla beneficienza”. Ora i manufatti che uscivano dal laboratorio potevano essere esposti e venduti con più facilità. 18 allestito un ambulatorio gratuito, che diventerà una struttura di altissima qualità. Ci tiene a far le cose bene, don Angelo; per i suoi poveri vuole il meglio. E pensa anche ai bambini. Più tardi nascerà un asilo. Per ora – siamo nel 1914 – fa distribuire ai fanciulli l’olio di fegato di merluzzo, perché abbiano più forza nelle ossa. Chiassose frotte di ragazzini si presentavano nel cortile dell’ambulatorio con tanto di cucchiaio e pezzuola per pulirlo. E dopo aver ingoiato l’amaro sorso, si mettevano in fila per ritirare il premio: due mentini. Intanto in Europa si sta profilando una guerra di trincea che si credeva dovesse durare pochi mesi. Durerà anni. stesso agire materialmente come se Dio non ci fosse”. Per i suoi malati Angelo si inventa di tutto: da una grandiosa lotteria, dove tra l’altro mette a disposizione le ultime cose che aveva, agli emblemi funerari, da donare ai parenti dei defunti, al laboratorio di maglieria e cucito, che diventa una vera e propria attività, con delle volontarie e del personale retribuito. I locali di via Costa non bastano più. Bisogna cercare altro. Nel 1913 il laboratorio trasloca in via Mazzini 3, l’attuale via Corrado Ricci, in uno stabile che don Angelo acquista in proprio, accollandosi i debiti. Il 25 aprile dell’anno successivo, comincia a circolare in città un volantino informativo: “La Pia Opera d’assistenza infermi poveri ha aperto in via Mazzini 3 un negozio Alla beneficienza”. Ora i manufatti che uscivano dal laboratorio potevano essere esposti e venduti con più facilità. E in quello stabile non è raro vedere “gli angeli volenterosi”, come li definì il “Corriere di Romagna”, dismettere i panni delle operaie per vestire quelli delle infermiere. Il fine era lo stesso in tutte le attività: alleviare, alleviare, alleviare. Nello stesso anno viene inaugurata una cucina per i poveri e A metà strada tra la terra e il paradiso L’Italia dichiara guerra all’Austria nel 1915. Don Angelo, trentacinquenne, dopo essere stato chiamato alle armi a Bologna, viene fatto tornare a Ravenna grazie anche all’interessamento dell’arcivescovo Morganti. Copre le funzioni di cappellano in due ospedali militari: il suo posto è sempre accanto a chi soffre. Nel mare di dolore in cui si sta trasformando il Paese, le infermiere della Pia Opera si danno 19 sa l’epidemia “spagnola” a mietere vittime. Si ammala anche il sacerdote ravennate; la febbre è alta, si teme per la sua vita, ma guarisce. Non fa in tempo a riprendersi che chiede a mons. Morganti di inaugurare una cappellina all’ultimo piano della sede di via Mazzini. Perché Angelo sarà sempre prima di tutto sacerdote: il breviario è “l’inno della mia vita”, dirà. E sa bene che l’azione nasce dalla contemplazione di Gesù nel Tabernacolo. Quel giorno, il 17 febbraio del 1919, l’arcivescovo non più giovanissimo sale a fatica quelle scale, fino all’ultimo piano. A un tratto, col fiatone, esclama: “Questa chiesina sta a metà strada tra la terra e il paradiso!”. Tutto procede al meglio, ma intorno al 1920, ecco per l’Opera un serio problema da risolvere: il laboratorio di confezione e maglieria entra in crisi. Con la fine della guerra sono venute meno le commesse militari, e la clientela ravennate del negozio “Alla beneficienza” non basta più. Don Angelo e le sue più strette collaboratrici lanciano sguardi preoccupati su quella massa di prodotti invenduti e accumulati nel magazzino. Certo, licenziare le operaie sarebbe una scelta troppo dolo- ancora più da fare. Il lavoro al laboratorio aumenta: arrivano commesse dal Ministero della Guerra. Questa volta gli angeli della carità confezioneranno berrettoni di lana per i soldati al fronte, che li riparino dal freddo. La lana don Angelo se la va a procurare nel biellese. La sua operosità è straordinaria: in piena guerra riesce a dare lavoro a cento operaie facendo nascere un calzaturificio in via Romolo Gessi, a casa di Pia Ghigi, una delle pioniere dell’Opera. Il laboratorio di scarpe durerà pochi anni, ma occuperà molti profughi che dopo la disfatta dell’esercito italiano a Caporetto affluiranno a Ravenna. Fare il bene: questa è l’unica cosa che gli interessa. E fare il bene, sintetizzava in una formula, significa “non posare e non pesare”: non mettere nel bene noi stessi, pensando di essere migliori degli altri, ma sempre Dio. Ed essere discreti, abili: “Il bene – diceva – non è opprimente, insopportabile; non schiaccia”. La carità è un’arte. E lui ne era un artista formidabile. Il rumore assordante delle armi tace nel 1918. Seicentomila morti e un milione di mutilati, il bilancio di quella che Benedetto XV aveva definito “l’inutile strage”. Finita la guerra, ci pen20 La vecchia facciata dell'Ospizio di via Nino Bixio prima dei lavori del 1935. messe viaggiatrici di Dio, percorrono la Penisola per vendere a tutti i costi quei manufatti e ricavarne proventi per i malati. A organizzare tutto, Giannina De Giovanni, che poteva contare su conoscenze di alto livello. Si farà addirittura ricevere dalla regina Elena di Savoia, che diventerà una costante benefattrice. Il peso delle merci, i lunghi viaggi in treno, l’amarezza nel leggere indifferenza sui volti, la debolezza di quando non si riesce a mangiare o si dorme all’addiaccio. E poi, la sabbia che entra negli occhi quando, in estate, si battono a tappeto le spiagge proponendo ai bagnanti una maglia, un ricamo. rosa. Bisogna inventarsi qualcos’altro. Un giorno don Angelo si presenta in laboratorio con l’aria ancora più risoluta del solito. Raduna le sue apostole davanti ai sacchi pieni della roba invenduta e li benedice con una pioggia di medagliette della Madonna, non prima di aver recitato tre Ave Maria. Preghiera e azione. Lui, che era un devoto a Maria, le affida le nuove vie della carità che l’Opera avrebbe intrapreso. E sono vie impervie, che costano fatica e imprevisti, sacrifici e porte chiuse. Da Brescia a Bergamo a Verona, alle spiagge dell’Adriatico. Le apostole della carità si trasformano in com21 grandirà fino a contare otto reparti specialistici affidati a medici professionisti. E ancora, altri due edifici in via Bixio, e la casa Tomacelli dove verrà installata la farmacia per i poveri. Fino a quel 25 gennaio 1928 quando, dopo adeguati lavori di ristrutturazione, viene inaugurata la casa-ospizio per malati cronici abbandonati. Ed è intitolata a santa Teresa del Bambino Gesù, la mistica francese di Lisieux di cui Angelo aveva letto l’autobiografia “Storia di un’anima”. Il giorno dell’inaugurazione per lui che non amava apparire, né raccogliere consensi, dovette essere stata dura pronunciare poche parole di saluto. Al termine della cerimonia, scivolò via subito con la sua tonaca lisa per sottrarsi alle congratulazioni. Tutti si chiedevano dove fosse finito. Lo trovò suor Gina Bartolucci: era nel solaio, da solo. Appena la vide le sorrise, portando un dito alla bocca in segno di silenzio. Non voleva nessun onore: se era riuscito in quell’impresa il merito era solo di Dio. Come quando un noto predicatore, padre Tarulli, arriva a Ravenna. Ha sentito molto parlare dell’Opera di Santa Teresa, e vuole visitarla. Per strada si imbatte in don Angelo a cui chiede informazioni sul santo prete che Per dieci anni queste donne votate al servizio, donne che costituirono le origini dell’attuale Opera di Santa Teresa, fanno questa vita. Del resto don Angelo, che non mancava mai di incoraggiarle e di benedirle prima di ogni loro partenza, già tanti anni prima sapeva che avrebbe potuto contare su anime nobili, che dell’amore gratuito avrebbero fatto la loro ragione di esistere. Anche un giornale per i gioielli derelitti I risultati non tardano ad arrivare. Il magazzino si svuota dell’invenduto. La Provvidenza, portata da donne in carne e ossa, fa giungere a Ravenna un cospicuo ricavato. Già nel 1921 don Angelo può acquistare una casa in via Bixio 20, dove, da via Mazzini, viene trasferito il laboratorio: è la prima di una serie di acquisizioni, nucleo del futuro ospizio per malati cronici abbandonati. Don Angelo vuole per loro “un piccolo ambiente” dove accoglierli. Era il suo grande desiderio. L’anno dopo viene acquistata un’altra casa, al civico 22. Qui, nel 1926, verrà trasferito l’ambulatorio per i poveri, fiore all’occhiello dell’Opera. Si in22 Il cardinale Lercaro, arcivescovo di Bologna (già arcivescovo di Ravenna nel quinquennio 1947-1952) in visita all’Opera Santa Teresa nel 1955. migliaia di copie. Arriva ancora oggi nelle case. È uno strumento per diffondere l’Opera, per sensibilizzare rispetto alla causa dei poveri, per dare parole di conforto ai malati stessi. A volte, anche se rare, la sua penna, in nome di quei derelitti che definisce “i nostri gioielli”, sa essere graffiante: “Se chi si alza al mattino, preoccupato del come tradurre in follie di nuovi passatempi il frutto di suoi molti milioni, potesse guardarsi attorno e udire il gemito straziante di chi è preoccupato di arrivare, senza morire di stenti, alla sera, arrossirebbe certo dei suoi divertimenti”. l’ha fondata. Don Angelo, con quel viso improntato alla dolcezza e sempre pronto al sorriso, deve ammettere di conoscerlo bene; poteva assicurare che santo proprio non era, era un povero diavolo. Padre Tarulli intuisce: “Forse quel don Lolli è lei?” “Purtroppo sono io – risponde don Angelo – Ma non sono un individuo eccezionale. Mi creda, sono l’ultimo dei preti”. Per quel cercatore di Dio, l’umiltà è una virtù da non smarrire. Nemmeno dalle colonne del suo giornale, “L’Amico degli Infermi”, firmerà mai un articolo. Quel bollettino mensile lo fonda nel giugno del 1927. Uscirà in 23 COME UNA BARCA SPINTA IN ALTO MARE L’infermo apostolo di dell’altare, con le braccia spalancate, la fronte sul pavimento. Pregando con forza che l’Opera venisse risparmiata da quella furia. A un tratto si alza in piedi, benedice tutti: “Siamo nelle mani di Dio”, dice. Poi, la calma dopo la tempesta, il respiro riparte, gli occhi si riaprono increduli, gli abitanti dell’ospizio escono di nuovo all’aperto: l’ospizio era avvolto in un fumo denso, ma miracolosamente intatto. Intanto, quelle creature votate alla carità che avevano prestato mani e piedi all’ideale del sacerdote ravennate, si erano trasformate ufficialmente in una nuova famiglia religiosa. La cerimonia della consacrazione avviene il 24 ottobre 1931. Sedici le prime novizie, più tardi nascerà un ramo maschile. È il 2 febbraio 1955 quando la Piccola Famiglia di Santa Teresa del Bambino Gesù ottiene il riconoscimento canonico. Un’evoluzione naturale del dono di sé a Dio nella persona sofferente, per il quale erano vissute e continueranno a vivere. Una pioggia di bombe cade sull’Italia già piegata da anni di guerra. Il rumore assordante degli aerei non dà tregua, gli edifici crollano, le carni dei civili vengono dilaniate tra le macerie. Siamo negli anni del secondo conflitto mondiale. In via Bixio, nella sede dell’Opera sono giorni e ore di paura. Non appena suona l’allarme, don Angelo – che dal 1938 si è trasferito a vivere con i suoi ammalati – fa correre nell’orto, dove era stato allestito una sorta di rifugio. Una notte però, al suono assordante della sirena che avvertiva l’arrivo degli aerei, profeticamente grida: “Nessuno vada nell’orto… Tutti in chiesa!”. Da lì potevano vedere il cortile illuminato a giorno dai bagliori delle esplosioni. Un bombardamento a tappeto stava risparmiando ben poco intorno a loro, gli scoppi potevano sentirli vicinissimi. Per tutto il tempo in cui gli aerei continuano a volare minacciosi sulle loro teste, don Angelo rimane prostrato ai pie24 tinua a progettare: “Non devo partirmi da questo mondo senza aver spinto la barca in alto mare”, dice riferendosi alla sua Opera. È presente, vigile, eppure sembra essere altrove, già in dialogo con l’oceano infinito che lo aspetta. La morte, la chiama “la mia ultima impresa, coronamento di tutte le altre”. Ora è malato anche lui, è lui ad aver bisogno di cure, a dover essere alleviato. Ora può offrire la sua sofferenza fisica. E lo fa senza mai un lamento. Perché per lui – e lo ripeteva spesso ai suoi poveri – la sofferenza è una ricchezza che non va sprecata. Niente ha più valore del soffrire con amore e per amore. La sofferenza non è passività, ma azione; non è una disgrazia che cade sulle spalle di qualcuno, ma una condizione di vita feconda, una perla preziosa da spendere per il prossimo. Il limite non è una menomazione, ma una possibilità. Inutile il povero malato? Tutt’altro: una sua preghiera vale la gloria di Dio, un lamento represso lo rende apostolo. E l’apostolato fatto dagli infermi è il più alto di tutti. Don Angelo passa lunghe ore davanti alla croce, simbolo di tutte le sofferenze umane. Guardandola – diceva ai suoi Nel 1930, grazie ai lavori di ampliamento dell’Ospizio, nasce un nuovo reparto. È destinato ai sacerdoti anziani, malati e soli. Il primo ospite? Don Angelo Bignardi, il vecchio rettore del seminario che aveva rifilato un ceffone al piccolo Lolli, salito imprudentemente sul cornicione della chiesa. Nello stesso anno muore Maria Belletti, il braccio destro di don Angelo; nel 1944 Pia Ghigi, l’anno dopo Giannina de Giovanni. Nel ’57, in un incidente stradale, si spegne suor Argia Drudi, la dottoressa dei poveri: tanti anni prima, giovane e di umili origini, si era presentata a don Angelo pensando di aiutare nelle faccende domestiche, invece lui l’aveva fatta studiare, perché l’Opera aveva bisogno di medici e farmacisti. Per il fondatore, queste morti significano dolore, ma la fede è più grande: “Tutto passa – commenta – solo Dio rimane”. Ormai anziano e in carrozzina, don Angelo comincia a pensare anche alla sua di morte: “Quando giungerà, quel giorno come un torrente mi riverserò nell’oceano infinito dell’amore”. Le gambe non gli reggono più. È più silenzioso negli anni della vecchiaia, ma cuore e mente rimangono ferventi; con25 Nel 1930, grazie ai lavori di ampliamento dell’Ospizio, nasce un nuovo reparto. Il reparto è destinato ai sacerdoti anziani, malati e soli. Il primo ospite? Don Angelo Bignardi, il vecchio rettore del seminario che aveva rifilato un ceffone al piccolo Angelo Lolli, salito imprudentemente sul cornicione della chiesa. 26 Il 9 aprile 1962, quattro anni dopo la morte, la sua salma viene portata dal cimitero monumentale di Ravenna nella cripta dell’Opera Santa Teresa. Quel 9 aprile, man mano che passa per le strade della città, il corteo diventa un lungo serpentone silenzioso, con la gente che si aggiunge numerosa uscendo dalle case. I più vicini al feretro sono gli infermi dell’Ospizio, alcuni lo accompagnano sulle loro carrozzelle. Le campane delle chiese della città suonano insieme i rintocchi; dal cielo un aereo sorvola la bara e getta fiori. Sono per quel prete umile che amava il nascondimento, per quell’uomo folle d’amore per Dio e per le sue creature, per quel romagnolo tenace e appassionato che aveva trasformato in forza la debolezza. malati – si comprende il perché del dolore. “Confidate nel Signore” Il 21 agosto del 1957 don Angelo compie 77 anni. È la prima volta che festeggia il compleanno nella sua camera, stando a letto. Il 6 aprile dell’anno successivo le sue condizioni si aggravano. Mancano pochi giorni all’incontro faccia a faccia con Dio. Alle suore, che non si muovono dalla sua stanza, riesce a dire alcune frasi, interrotte da lunghe pause: “Confidate nel Signore… date a lui le vostre pene… vogliatevi bene… abbandonatevi a lui… pregate la Madonna…”. Il 17 aprile entra in agonia tra le 9 e le 10. Alle 23.20 si spegne. Ai funerali, che si celebrano il 21 aprile nella chiesa di Santa Teresa, la commozione è tanta. Come la gratitudine per quel padre dei poveri che aveva trovato la Verità sporcandosi la tonaca lisa nel fango della città, che era sceso da cavallo e si era piegato sul derelitto, lo aveva raccolto non badando alle sue ferite aperte e purulente, e se ne era preso cura. Era morto don Lolli, l’uomo che era riuscito a cambiare il cuore ispessito di tanti ravennati lontani da Dio. L’Opera S. Teresa oggi La causa di beatificazione e canonizzazione del servo di Dio don Angelo Lolli, aperta solennemente dall’arcivescovo di Ravenna-Cervia mons. Luigi Amaducci il 7 maggio 2000, l’anno del Giubileo, nella basilica di S. Maria in Porto in Ravenna, si è conclusa, nella sua fase diocesana, il 20 aprile 2008 in Duomo con una cele27 compiuti cento. Loro non conoscono àncore, tranne quella di Cristo. Sulla barca messa in acqua da don Lolli veleggiano in alto mare, con gli occhi sempre all’orizzonte. Perché la Provvidenza può suggerire altre mete e i naufraghi dell’esistenza sono sempre di più. Suore che hanno un dono: la tenerezza. Il loro fondatore si era raccomandato: “Siate devote alla Madonna, imparerete la tenerezza”. Oggi come allora, tengono la mano degli emarginati, dai bambini disabili agli adulti cerebrolesi, agli anziani in carrozzina, tra cui molti sacerdoti. Sono oltre 180 gli ospiti della cittadella della carità che si trova nel centro storico di Ravenna; circa altri 100 sono accolti nelle case famiglia animate da volontari laici. Lì, tra gli altri, ci sono i traumatizzati della strada. Perché la vita è sacra, e vale il suo mistero anche quando si è costretti su un letto. Queste suore vestite di blu trasformano la sofferenza in un canto di lode. Poiché, come diceva il loro fondatore, “sono assillate dal dolce tormento di Dio”. brazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo mons. Giuseppe Verucchi. Era il felice coronamento dei festeggiamenti in occasione del 50° anniversario della morte del fondatore dell’Opera S. Teresa. Don Angelo Lolli, quell’Ospizio che aveva tanto desiderato per i malati cronici abbandonati, l’aveva paragonato a una “nave che tanto più si sente sicura quanto più si lancia al largo”. Ebbene, dalla nascita in cielo del suo fondatore, quella “nave” continua a navigare nei mari calmi della carità. A Ravenna, tutte le opere a cui don Lolli ha aperto la strada - dalla farmacia, al poliambulatorio, ai centri residenziali per minori e disabili psichici, fino all’ultima nata tra le realtà assistenziali attuali, la casa per malati di aids - hanno un nome solo: Santa Teresa. E per la gente, le suore della Piccola Famiglia di Santa Teresa di Gesù Bambino, angeli che si muovono in quella cittadella della carità, sono semplicemente “le suore di Santa Teresa”. Risiedono accanto al Duomo; la più giovane ha poco più di trent’anni, la più anziana ne ha 28 PREGHIERA per la beatificazione di don Angelo Lolli Signore Dio, Padre di infinita carità, che attraverso il tuo umile Servo don Angelo Lolli hai mostrato lo splendore del tuo Amore misericordioso, umilmente ti prego: degnati di glorificarlo anche su questa terra, lui che nella partecipazione generosa alla croce di Cristo Gesù, tanto ti ha amato e tanto sì è prodigato per la tua gloria, facendo del bene ai sofferenti e agli abbandonati. Ti supplico di volermi concedere, per sua intercessione, la grazia (…) che ardentemente desidero. Tre Gloria Imprimatur: Ravenna, 6 giugno 2000 Mons. Giuseppe Verucchi Arcivescovo 29 La vita 21 agosto 1880 Nasce da Alba Pasi, lavandaia, e Orlando Lolli, bracciante. Prima di lui, nel 1869, era nata Rosa. Romeo era arrivato quattro anni prima. I fratelli Giovanni e Luigi erano morti a 9 e 16 mesi. La famiglia abita nella borgata di San Biagio, in via Scaletta 82, alla periferia di Ravenna. 22 agosto 1880 Viene battezzato nel Duomo di Ravenna con il nome di Angelo Maria. Agosto 1886 A causa dell’epidemia di colera che colpisce la Romagna, muore la sorella più grande Rosa, appena diciassettenne. La sua stanza viene affittata dai Lolli a Lucia Casadio, detta Luzì, una donna pia che lo inizierà alla preghiera e ai sacramenti. 3 novembre 1890 Entra in seminario. Ha 10 anni. Luglio 1901 Muore il padre, Orlando Lolli. 6 giugno 1903 Viene ordinato sacerdote dall’arcivescovo di Ravenna, mons. Conforti. Sono presenti la madre e alcuni amici. Sarà parroco nella parrocchia del suo borgo natio, San Biagio, e gli verrà affidata la direzione del settimanale diocesano di Ravenna. Dotato di uno spiccato talento per la musica, per trent’anni ricoprirà l’incarico di maestro del coro e organista del Duomo. Agosto 1909 Muore la madre, Alba Pasi. 25 maggio 1911 In via Paolo Costa, nella sede della biblioteca circolante cattolica da lui curata, fonda insieme a quattro donne volenterose la “Pia Opera assistenza infermi a domicilio”, che viene inaugurata ufficialmente il 18 dicembre. Obiettivo: “proteggere in qualunque modo l’ammalato”, cercando di alleviare le sue sofferenze. È la prima pietra delle futura Opera di Santa Teresa. Da ora si moltiplicheranno le attività per sostenere i poveri di Ravenna. 30 Giugno 1927 25 gennaio 1928 24 ottobre 1931 1938 17 aprile 1958 21 aprile 1958 9 aprile 1962 7 maggio 2000 20 aprile 2008 Fonda il bollettino mensile “L’Amico degli Infermi”, che uscirà in migliaia di copie. Sospesa la pubblicazione durante gli anni della seconda guerra mondiale, riprenderà subito dopo. Arriva ancora oggi nelle case. Don Angelo inaugura l’Ospizio cronici abbandonati, e lo intitola a Santa Teresa del Bambino Gesù. Nasce ufficialmente la Congregazione religiosa delle “Suore della Piccola Famiglia di Santa Teresa del Bambino Gesù”. Sedici novizie emettono i primi voti. Don Angelo va a vivere all’interno dell’ospizio, con i suoi ammalati. Si spegne nella sua stanza, alle 23.20, dopo essere entrato in agonia tra le 9 e le 10 del mattino. Alle suore della Congregazione religiosa da lui fondata, che lo assistono accanto al suo letto, raccomanda di stare unite al Signore e di pregare la Madonna. Ha 78 anni. Tra la commozione dei ravennati, nella chiesa di Santa Teresa si svolgono i funerali. La salma viene portata dal cimitero monumentale della città di Ravenna, nella cripta dell’Opera Santa Teresa. Durante il trasporto, in tantissimi accompagnano il corteo. I più vicini al feretro sono alcuni infermi dell’ospizio, che lo affiancano in carrozzella. Nel santuario di Santa Maria in Porto a Ravenna, si apre la causa di beatificazione e canonizzazione di don Angelo Lolli. Nella Cattedrale di Ravenna, si conclude la fase diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione del servo di Dio don Angelo Lolli, con la solenne concelebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo mons. Giuseppe Verucchi. 31 Bibliografia ALESSANDRO PRONZATO, Don Angelo Lolli le follie dell’amore, Gribaudi, Milano 2008 ENZO TRAMONTANI, Don Angelo Lolli maestro di solidarietà, Opera S. Teresa del B.G., Ravenna 2003 DON ANGELO LOLLI, Ogni giorno un pensiero, a cura della Piccola Famiglia di Santa Teresa del Bambin Gesù, Shalom, Camerata Picena (An) DON ANGELO LOLLI, La carità. Meditazioni, a cura della Piccola Famiglia di Santa Teresa del Bambin Gesù, Shalom, Camerata Picena (An) DON ANGELO LOLLI, Fiori a Maria, Opera S. Teresa del B.G., Ravenna 2008 Essere per gli altri, Editrice Ave, Roma 1992 La “Piccola via”di S. Teresa e la spiritualità di don Angelo Lolli, a cura delle Suore della Piccola Famiglia di Santa Teresa di Gesù Bambino, Ravenna 2006 Atti del Convegno sul Servo di Dio Don Angelo Lolli in occasione del centenario dell’ordinazione sacerdotale, Opera Santa Teresa, Ravenna, 2003 OPERA SANTA TERESA DEL BAMBINO GESÙ Via S. Teresa, 8 - 48121 RAVENNA Telefono: 0544/38548 – Fax: 0544/214245 Siti internet: www.operasantateresa.it - www.donangelololli.it e-mail: [email protected] 32