PERCORSI DIDATTICI Il Don Giovanni di Mozart Alcune osservazioni sul rapporto musica/poesia Saverio Lamacchia L’ARTICOLO PROPONE UN’ANALISI DELLA CELEBRE OPERA DI MOZART, APPROFONDENDO IN PARTICOLARE IL DUETTINO TRA DON GIOVANNI E ZERLINA «LÀ CI DAREM LA MANO» E L’ARIA DI DONNA ELVIRA «AH CHI MI DICE MAI», NELL’ATTO I. Mozart e l’opera italiana Wolfgang Amadé Mozart (1756-1791), austriaco di nascita, è uno dei più importanti compositori nella storia dell’opera italiana. Nel Settecento l’italiano era la lingua franca dei musicisti. Compositori, strumentisti e cantanti del Bel Paese erano presenti in tutte le corti d’Europa; inoltre, la diffusione per ogni dove del melodramma italiano, che veniva rappresentato spesso in lingua originale, contribuì a renderlo l’idioma della musica per eccellenza. Mozart, precocissimo in tutto, imparò la nostra lingua da bambino, e si dedicò ben presto al melodramma, da un lato perché era il genere musicale meglio remunerato – il padre Leopold, molto sensibile a questi aspetti, non perdeva occasione di farglielo notare nelle sue lettere –, ma soprattutto per la sincera e bruciante passione per il teatro musicale, che egli manifestò per tutta la sua vita. La cattolicissima Vienna poi – dove Mozart trascorse gli ultimi dieci anni di vita – era una delle capitali europee più impregnate di cultura italiana: era la città del resto dove il Metastasio troneggiò come poeta cesareo per mezzo secolo, dal 1730 al 1782, data della morte. Mozart scrisse la sua prima opera italiana a dodici anni, La finta semplice; ne seguirono numerose altre, nei diversi Nuova Secondaria - n. 7 2014 - Anno XXXI generi del dramma serio (altrimenti detto “opera seria”) e del dramma giocoso (o “opera comica”), tra le quali le celebri tre su testo di Lorenzo da Ponte: Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte (1786-1790). Un qualsiasi musicista che avesse voluto comporre un’opera in italiano doveva conoscerne i rudimenti di metrica: infatti il testo verbale del melodramma (il cosiddetto “libretto”, dal minuscolo te- sto a stampa che sin dagli esordi del genere veniva messo a disposizione degli spettatori) in questo periodo è sempre in poesia. Mozart, di madrelingua tedesca, impiegò tuttavia le risorse della metrica della nostra lingua con grande pertinenza, e spesso con grande acume. È quanto si vuole brevemente mostrare negli esempi che seguono, tratti da un capolavoro eccelso come il Don Giovanni. Questa immagine e le seguenti: fotogrammi del film Don Giovanni di J. Losey (1979). 67 PERCORSI DIDATTICI Il Don Giovanni Il dissoluto punito o sia Il Don Giovanni fu rappresentato per la prima volta a Praga il 29 ottobre 1787, con enorme successo. Com’è noto, le storie rappresentate a teatro consistono spesso in una rielaborazione di storie precedenti: Mozart innalzò nel pantheon dei miti della modernità un soggetto teatrale che girava già da un paio di secoli e che aveva due antecedenti di grande rilievo nel teatro di parola: El burlador de Sevilla y convidado de piedra di Tirso de Molina (1630) e Dom Juan ou Le festin de pierre, prima commedia in prosa di Molière (1665). Alquanto meno illustre l’atto unico il Don Giovanni o sia Il convitato di pietra di Giovanni Bertati e Giuseppe Gazzaniga (rispettivamente librettista e musicista); esso tuttavia, rappresentato a Venezia solo pochi mesi prima durante il carnevale 1787, fu certamente la fonte diretta di Da Ponte. Il brano più noto del Don Giovanni è il duettino tra Don Giovanni (voce di basso) e Zerlina (soprano) «Là ci darem la mano», nell’atto I. Il duetto d’amore (“duettino”, com’è intuitivo, è un duetto più breve) è un luogo classico del melodramma. La situazione è presto detta: Don Giovanni, «giovane cavaliere estremamente licenzioso» (così viene presentato nell’elenco dei personaggi), vaga randagio in perenne ricerca di avventure amorose e s’imbatte in un gruppo di contadini, tra i quali i promessi sposi Zerlina e Masetto. Liberatosi di quest’ultimo a suon di minacce, Don Giovanni si fa avanti con Zerlina promettendole un matrimonio ben più fortunato, e indicandole un luogo dove appartarsi. Questo il testo di da Ponte (atto I, scena 9); il lettore potrà seguirlo con l’ausilio di una registrazione audio o video, ormai accessibile a chiunque e in qualunque momento grazie a youtube: 68 Don G. Là ci darem la mano, là mi dirai di sì; vedi, non è lontano, partiam, ben mio, da qui. Zer. Vorrei, e non vorrei, mi trema un poco il cor; felice, è ver, sarei, ma può burlarmi ancor. Don G. Vieni, mio bel diletto. Zer. Mi fa pietà Masetto. Don G. Io cangerò tua sorte. Zer. Presto, non son più forte. a2 Andiam, andiam mio bene a ristorar le pene d’un innocente amor. Vanno verso il casino di D. Gio. abbracciati etc. Da Ponte impiega versi d’una medesima lunghezza, i settenari; i due personaggi hanno una quartina ciascuno, poi un verso a testa per un totale di quattro (dunque un’altra quartina), infine una terzina a 2, predisposta cioè per il canto simultaneo; una prescri- zione, questa, tipica del genere “libretto per musica”: evidentemente non avrebbe senso in un testo destinato ad essere recitato piuttosto che cantato. L’assetto metrico è connesso col significato drammatico: un effetto di “stringendo”, si direbbe. Fisicamente separati all’inizio (parole diverse), si avvicinano sempre di più (sticomitia) e finiscono abbracciati (stesse parole). Si noti anche l’insinuante etc. che Da Ponte scrive in coda alla didascalia, una falsa reticenza pudica, che è invero una scaltra sottolineatura: lo spettatore può facilmente immaginare cosa stanno per fare i due novelli amanti (invero un istante dopo saranno bruscamente interrotti nei loro propositi). Se Don Giovanni è deciso e sa quel che vuole sin da subito («Là mi dirai di sì»), Zerlina sembra inizialmente indecisa («vorrei e non vorrei»), non tanto dal pensiero di tradire Masetto, quanto dal rischio di essere ingannata dal bel cavaliere. Tanto più che non è chiaro a chi Zerlina rivolga la sua prima quartina. Se Don Giovanni è l’unico personaggio lì presente, è anche vero che l’uso della terza persona («può burlarmi») fa preNuova Secondaria - n. 7 2014 - Anno XXXI PERCORSI DIDATTICI sumere che ella stia parlando a sé stessa, cioè che le sue parole siano un pensiero ad alta voce; il che succede spesso nel melodramma: ma in questi casi il librettista lo specifica all’attore/cantante non meno che al lettore/spettatore, indicando la didascalia tra sé oppure scrivendo i versi relativi tra parentesi. Qui Da Ponte però non lo fa. Ma Don Giovanni sa insistere: «io cangerò tua sorte» è evidentemente l’argomento decisivo, che supera la «pietà» provata da Zerlina per Masetto. Dichiarata la sua debolezza («non son più forte», con l’ultima parola che rima, non a caso, con «sorte»), Zerlina cede, e si avvolge nelle braccia e nel canto con il cavaliere. E la musica? Mozart amplifica, coi mezzi del compositore, il senso di progressivo avvicinamento della scena. E lo Nuova Secondaria - n. 7 2014 - Anno XXXI fa anche assecondando le risorse della metrica italiana: poesia e musica qui contribuiscono a rappresentare in modo sensibile il diverso atteggiamento iniziale di Don Giovanni e Zerlina, con lui che parte in quarta e lei che ondeggia, e la comunanza di intenti conclusiva. Il settenario è un verso flessibile quanto alla posizione degli accenti, tranne quello sulla penultima sillaba metrica, obbligatorio come in tutti i versi italiani. I primi versi di Don Giovanni recano l’accento sistematicamente sulla prima sillaba (Là; vé-di), quelli di Zerlina sulla seconda (vor-réi, mi tré-ma, fe-lí-ce). Ciò ha un preciso riscontro nella partitura di Mozart, e quindi all’ascolto (cfr. qui l’esempio 1): accento musicale e accento verbale vengono a coincidere. Don Giovanni attacca sempre “in battere”, cioè sul primo tempo, forte, della battuta musicale; Zerlina, pur ripetendo la stessa melodia, la canta “in levare”, cioè cominciando sul tempo debole; fenomeno che può rilevare visivamente anche un non esperto di musica osservando nell’esempio che la prima nota di Don Giovanni, sul Là, è posta subito dopo la stanghetta (tempo forte, appunto), mentre la prima nota di Zerlina, su Vor-, è posta subito prima di essa (tempo debole). È da notare che nella teoria musicale il ritmo in battere viene definito “ritmo maschile”, quello in levare “ritmo femminile”: e nessun altro esempio può essere più pertinente. Dunque un elemento della poesia si associa al suo analogo musicale al fine di assicurare un comune effetto drammatico. Ulteriore conferma della partenza in quarta di Don Giovanni è il suo attacco insieme all’orchestra, senza che questa lo preceda con un breve preludio, o con un’anticipazione del tema, come avviene spesso nelle opere. Il tono generale, cui contribuisce sia la melodia vocale, sia l’accompagnamento strumentale, è amabile e suadente, come se fosse una serenata: ed è il tono appunto scelto da Don Giovanni, che Zerlina accoglie e rilancia. È un capolavoro di psicologia teatrale: Don Giovanni sa che, in quanto cavaliere che corteggia una contadina, arriverà in modo più rapido e sicuro al proprio fine adottando un tono cavalleresco, trattandola come una sua pari. E infatti: si noti all’ascolto come «Presto, non son più forte» venga ripetuto più volte in musica, con un andamento discendente della melodia: Zerlina è sempre più insicura di sé e sta cedendo. E niente è più efficace nel rappresentare la sua definitiva resa quanto l’attacco della terzina a 2 con Don Giovanni: ora sono insieme in tutto e per tutto, e la musica li avvolge in un abbraccio, su un 69 PERCORSI DIDATTICI ritmo caratteristico di giga, cioè di una danza stilizzata spesso associata nella musica del tempo all’idillio arcadico. Non sempre musica e poesia si sposano felicemente, come nel caso appena esaminato. O meglio, altrove Mozart sembra alterare, ovvero rifigurare, tanto la forma metrica quanto il senso del testo poetico predispostogli dal librettista. Sempre dal Don Giovanni, riporto qui il testo dell’aria di Donna Elvira (soprano), n. 3 della partitura, atto I scena 5. Il testo di da Ponte prefigura un’aria di Donna Elvira, cui segue un recitativo di Don Giovanni e del suo servo Leporello (basso buffo). Giova ricordare che il Don Giovanni, come tutte le opere del Settecento, è un’opera a ‘numeri’ o pezzi chiusi: con questi ultimi si intendono le arie (pezzi solistici), o i duetti terzetti quartetti ecc., collegati tra loro dal cosiddetto “recitativo”; quest’ultimo è la modalità di elocuzione intonata più prossima al parlato; nei pezzi chiusi suona l’intera orchestra, nei recitativi solo i pochissimi strumentisti che compongono il cosiddetto “basso continuo”. L’aria di Donna Elvira consta di due quartine di settenari (versi lirici), con schema di rime axax byby; indi abbiamo un settenario e due endecasillabi per Don Giovanni e un endecasillabo per Leporello (versi sciolti, gli ultimi due a rima baciata). Dunque, il lettore del libretto vede prefigurata una chiara segmentazione, metrica e drammatica: dal punto di vista di da Ponte Donna Elvira dovrebbe cantare la sua aria e solo dopo di essa dovrebbero intervenire Don Giovanni e Leporello. Ma non è così nell’intonazione di Mozart. La situazione è questa. Nel recitativo che precede l’aria, Don Giovanni ha sentito arrivare una donna e, non avendola riconosciuta, si è nascosto, insieme a Leporello. Donna Elvira, una delle innumerevoli donne da lui sedotte e abbandonate, sfoga a sé stessa, ovvero allo spettatore, la sua ira e la sua frustrazione. A parole, vuole fare a pezzi l’empio seduttore, a sua insaputa lì vicino in osservazione. Ma solo a parole. Mozart, Donna Elv. Ah chi mi dice mai quel barbaro dov’è, che per mio scorno amai, che mi mancò di fé? Ah se ritrovo l’empio e a me non torna ancor, vo’ farne orrendo scempio, gli vo’ cavar il cor. 70 Don G. Udisti: qualche bella dal vago abbandonata? Poverina! Cerchiam di consolare il suo tormento. Lep. Così ne consolò mille e ottocento. Nuova Secondaria - n. 7 2014 - Anno XXXI PERCORSI DIDATTICI attraverso la musica, sembra suggerire qualcosa di diverso: che se Don Giovanni le riaprisse le sue braccia, ella ci tornerebbe di corsa. Infatti, contrariamente a quanto abbiamo visto nel duettino tra Don Giovanni e Zerlina, nell’aria di Donna Elvira è l’orchestra a partire prima della voce, ed è essa a dare un’impronta e un carattere peculiare a tutto il pezzo. Un carattere da opera comica: Mozart, cioè, attraverso l’orchestra, sembra preventivamente non prendere sul serio le mi- nacce di Donna Elvira. Inoltre, il compositore sembra voler creare un contrasto tra il tono scherzoso dell’orchestra e il canto irrequieto, quasi isterico, di Donna Elvira, che scaglia fulmini e saette musicali contro il traditore. Si badi nell’ascolto alle parole «vo’ farne orrendo scempio» e poi a «gli vo’ cavar il cor», ripetute più volte ed enfatizzate dal canto, che procede per ampi sbalzi dal registro grave all’acuto (e viceversa); e inoltre si faccia caso poco prima della fine, alle ultime due ripetizioni di «ca- vare il cor», alle tante note scritte da Mozart sulla sillaba -va: in termini tecnici, un’ampia “coloratura”, che contiene la nota più acuta (e quindi più enfatica) di Donna Elvira, il Si4 bemolle. Una scrittura vocale come questa consente all’interprete di rappresentare in musica il sentimento d’ira del personaggio, e insieme di dar sfoggio della propria valentìa tecnica: due aspetti che devono convivere nel melodramma, come in qualsiasi arte performativa. Ma un dato ancora più macroscopico si svela all’ascoltatore dell’aria di Donna Elvira: Mozart fa intervenire Don Giovanni e Leporello, con i loro commenti ribaldi e irrispettosi, all’interno dell’aria, non dopo di essa, come suggerito dal testo di da Ponte. Un effetto comico e nel contempo quasi un insulto per la povera donna Elvira, non presa sul serio da nessuno: da Don Giovanni e Leporello, e dal compositore, che regge le fila e tutto governa. Dunque, rispetto al precedente, un esempio per certi versi di segno opposto quanto al rapporto poesia/musica; in comune, la finezza d’esegesi del testo verbale italiano da parte dell’austriaco Mozart. Saverio Lamacchia Università di Udine BIBLIOGRAFIA H. Abert, Mozart [1919], 2 voll., Il Saggiatore, Milano 1994. W.J. Allanbrook, Rhythmic gesture in Mozart: “Le Nozze di Figaro” and “Don Giovanni”, University of Chicago Press, Chicago-London 1983. L. 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