PIZZETTI ILDEBRANDO Parma 20/09/1880 – Roma 13/02/1968 Studiò pianoforte col padre Odoardo, pianista e professore di teoria della Scuola musicale di Reggio Emilia, dove il Pizzetti visse i primi anni di vita, dimostrando prestissimo una grande passione per il teatro. Frequentò il ginnasio e nel 1895 entrò nel Conservatorio di Parma. Vi studiò per sei anni armonia e contrappunto con Telesforo Righi e approfondì la conoscenza del canto gregoriano e della musica vocale e strumentale dei secoli XV e XVI attraverso l’insegnamento di Giovanni Tebaldini, direttore dell’istituto. Dopo aver esercitato l’insegnamento privato e svolto per due stagioni (19011902) l’attività di maestro sostituto di C. Campanini e A. Conti al Teatro Regio di Parma, ottenne la cattedra di composizione al Conservatorio della città (1907). Frattanto, dopo vari tentativi (Romeo e Giulietta, Lena, Mazeppa, Aeneas) di accostarsi a Shakespeare, Byron, Corneille, Puskin e Ovidio, scrisse la musica di scena per La Nave di D’Annunzio e nel 1908 esordi con questa opera al Teatro Argentina di Roma, dando inizio a un lungo periodo di amicizia e collaborazione con il poeta, che lo battezzò Ildebrando da Parma. Nello stesso anno divenne professore di armonia e contrappunto nell’Istituto Musicale L. Cherubini di Firenze, che diresse dal 1917 al 1924. Questa città influì con la sua atmosfera culturale sulla formazione del Pizzetti, che vi fondò con E. Consolo la Società degli Amici della Musica e con G. Bastianelli la pubblicazione periodica Dissonanze, organo della musica contemporanea in Italia, e frequentò la cerchia di Bastianelli, Papini, Soffici, Salvemini, Prezzolini e De Robertis, raccolti intorno al periodico La Voce. Dal 1924 al 1936 diresse il Conservatorio di Milano, svolgendo pure attività di direttore di concerti e di opere proprie. Dopo aver compiuto una tournée in America (1929), dove tra l’altro presentò al Metropolitan Fra Gherardo, nel 1936 succedette a Respighi come titolare della cattedra di perfezionamento in composizione all’Accademia di Santa Cecilia in Roma, che tenne fino al 1958. Fu presidente dell’Accademia dal 1948 al 1951. Accademico d’Italia dal 1939, nel 1931 vinse il Premio Mussolini per la musica, nel 1950 vinse il Premio Italia con l’opera radiofonica Ifigenia e nel 1958 ebbe il premio internazionale Feltrinelli. Svolse attività di critico musicale sul Secolo di Milano (1910), sulla Tribuna di Roma (1937), sulla Nazione di Firenze e su vari periodici e riviste musicali. Se la vita del Pizzetti influì sulla sua produzione artistica e sui suoi orientamenti, ciò avvenne certamente in misura minore di quanto non avvenga per la maggior parte dei musicisti. Infatti il Pizzetti scelse per sé una vita normale, tutta dedita alle sue multiformi attività di compositore, scrittore, organizzatore e direttore di musica. Una cosa non gli mancò mai: una cerchia di amicizie che gli consentì di esprimere le sue non comuni doti di conversatore, di dibattere i problemi vivi della cultura e, soprattutto, di passare dal momento teoretico a quello realizzativo. La sua non fu una vita da salotto, ma di cenacolo sì. Certe sue inclinazioni verso l’Arcadia non sono, dunque, il frutto di un credo estetico, bensì di una naturale predisposizione a discutere e a elaborare le sue pur personalissime idee nel crogiolo del dibattito collettivo. In questo senso il Pizzetti fu l’esatto opposto del musicista puro, severamente impegnato soltanto nella sua opera di compositore, cui tutti gli altri interessi facevano al massimo da corona. Si ricorda di lui una conferenza su Dante, e non sulla musicalità o sulla musicabilità di Dante, bensì proprio sulla sua opera di poeta: tutto ciò che porta all’approfondimento della conoscenza dell’uomo è fondamentale per un musicista, tanto più se si tratta di un musicista, come il Pizzetti fu, essenzialmente di teatro. Nel periodo in cui il Pizzetti si affacciò alla vita culturale, la cultura italiana stava vivendo una profonda crisi di trasformazione. La cultura del XIX secolo non era andata molto al di là di un impegno politico inteso in primo luogo come impegno di scoperta di un’identità culturale nazionale e di proclamazione di un patriottismo e di un’apertura sociale che non uscirono dalla genericità. Le grandi trasformazioni economiche e strutturali in atto esigevano una presa di posizione assai più analitica sui rapporti sociali concreti e nello stesso tempo travolgevano antichi modelli e valori senza che ne apparissero dei nuovi di una qualche consistenza e durata. La stessa retorica, unica fonte di certezze, fu sottoposta alla pressione di contenuti mai prima considerati che imposero forme adeguate assolutamente nuove. Fu l’epoca degli ismi e delle poetiche premesse al concreto poetare. Solo gli operisti sembrarono sfuggire al contagio di questa rimessa in discussione di tutto, ma fu illusione di breve durata: anche il rapporto tra il melodramma e il suo pubblico si fece precario, soprattutto diventò sempre meno possibile fare musica buona per tutti. La giovinezza del Pizzetti trascorse appunto nel periodo in cui gli stessi protagonisti della stagione verista andavano affannosamente e disordinatamente alla ricerca di nuovi soggetti, di nuove tecniche, di un ampliamento e di un affinamento del linguaggio. Il divorzio tra musica e cultura stava per tramontare: le capacità trasformistiche del melodramma mostrarono chiaramente di avere dei limiti e la cultura, perdendo le sue certezze, dovette dimettere la boria accademica che spesso l’aveva tenuta lontana dalla coscienza nazionale. Il clima era adatto alla discussione e il temperamento personale del Pizzetti fece il resto. Trascorsi gli anni di Parma nella lettura di testi teatrali (fatto comune a tutti i musicisti italiani), il Pizzetti fu nominato professore al Cherubini di Firenze. Fu subito a contatto con D’Annunzio, allora fiesolano d’elezione, con Giannotto Bastianelli e, poco a poco, con tutti gli intellettuali che facevano capo alla rivista La Voce. Per inciso, a Firenze fondò la Società degli Amici della Musica ed esercitò l’attività di critico della Nazione, nonché di corrispondente del Secolo di Milano. Più tardi, in epoca fascista, i dibattiti culturali si smorzarono e allora l’attività teorica del Pizzetti si limitò a quella di critico (La Tribuna), nonché di saggista sulle riviste specializzate. Il Pizzetti manifestò la vocazione a fare il presidente (Accademia di Santa Cecilia, Società Italiana Autori Editori), ma ciò fu dovuto al fatto che, a qualunque istituzione partecipasse, egli vi svolse effettivamente attività e non si limitò a intendere la sua partecipazione come un fatto puramente onorifico. Si tenne sempre al corrente della produzione musicale contemporanea. Anzi, il suo scritto giovanile Musicisti contemporanei (1914), pur contenendo lacune d’informazione dovute al fatto che è difficile prendere visione di un’opera musicale prima che sia trascorso qualche anno dalla prima esecuzione, costituisce un panorama assai ricco e, quel che più conta, insolitamente imparziale per un’opera uscita dalla penna di uno che era sulla breccia. Come formazione culturale il Pizzetti appartenne senz’altro alla generazione dell’Ottanta, eppure non si riscontra, nei suoi scritti, quel livore antiromantico che caratterizza le prese di posizione dei suoi colleghi: anzi la sua valutazione dell’opera italiana ottocentesca e perfino verista, è serena, magari discutibile ma certamente coerente con le sue idee. Il suo essere personaggio emergente per mezzo secolo nella vita musicale italiana costituisce, a conti fatti, il suo massimo contributo alla storia della musica. Immediatamente dopo la sua scomparsa i suoi lavori praticamente scomparvero dai cartelloni dei teatri e dai programmi dei concerti. Il fatto è generale: la generazione precedente quella in attività non è sufficientemente antica per essere storicizzata e non è sufficientemente moderna per mantenere l’attualità. Però dall’eclissi rossiniana si salvò Il Barbiere di Siviglia, da quella mascagnana la Cavalleria rusticana, da quella di Respighi Le fontane di Roma. Probabilmente la ragione di questo fatto sta nella caratteristica dell’opera pizzettiana di non essere stata sogetta ad alti e bassi ma, a parte le opere di apprendistato, di aver mantenuto tutta uniformemente un alto livello. Non esiste, forse, il lavoro che emerge, che presenta punte di genialità prorompente e irripetibile. Ma ciò era estraneo al carattere del Pizzetti. Basti pensare al suo primo modello ideale: il canto gregoriano. Nel canto gregoriano la singola sfumatura, lo stilema ritmico o melodico e l’improvvisazione del momento non hanno mai valore prevaricante: è il tutto che conta e compito della singola parte è di costruire il tutto e di armonizzare con esso. Il canto gregoriano non ha momenti di stanca o momenti di accensione che non siano giustificati dall’economia generale. L’opera del Pizzetti ha appunto questo carattere del prevalere della globalità sul particolare. Ciò non significa che il particolare non sia accuratamente studiato, non abbia valore intrinseco, ma solo che esso non soverchia mai la concezione generale dell’opera. L’ascolto musicale non è generalmente rivolto alla globalità dell’opera e la sua tensione non è continua: stimolata dal particolare emergente, poi via via si rilassa in attesa di un’altra fonte di richiamo. Forse a questo fu dovuta la temporanea eclissi dell’opera pizzettiana. La carriera teatrale del Pizzetti si aprì con D’Annunzio e, se si fa eccezione per L’assassinio nella cattedrale, Il calzare d’argento e Clitennestra, si chiuse con D’Annunzio. Vennero dapprima le musiche di scena per La nave, che rivelarono il valore del Pizzetti al pubblico e al poeta, poi seguì un progetto per la riduzione a melodramma della Fedra di Euripide. Il Pizzetti era in grado di scrivere i libretti da sé e anzi, quando lo fece, ne trasse giovamento la corrispondenza tra parola e musica. Ma a quell’epoca (1909) la soggezione del giovane Pizzetti nei confronti del Vate affermato fu tale che, quando il poeta, cui il progetto e il libretto erano stati sottoposti, disse che avrebbe provveduto egli stesso alla stesura del libretto, il Pizzetti non solo non osò rifiutare ma se ne sentì lusingato. I versi, già di per sé musicali, di D’Annunzio erano una camicia di forza per qualsiasi musicista, tanto più se non aveva il coraggio di pretenderne l’assoggettamento alle proprie esigenze: ne sapeva qualcosa Mascagni, reduce dalla tormentata composizione della dannunziana Parisina. La soluzione fornita al problema dal Pizzetti consiste in un declamato melodico che differisce da quello mascagnano solamente per una maggior pacatezza e apollineità ereditata dal canto gregoriano. Anche la coralità è meno decorativa, più essenziale e a volte costituisce il senso profondo del dramma più ancora del comportamento scenico e vocale dei singoli: eredità, questa, della classicità greca da cui l’opera è desunta, ma anche prodotto originale della sensibilità pizzettiana. Dopo Fedra il Pizzetti rimase, nella concezione formale del teatro, un dannunziano, però i versi dell’Immaginifico gli andavano stretti e, consapevole ormai del proprio valore, provvide da solo ai libretti delle proprie opere. Per D’Annunzio compose ancora le musiche per La Pisanella (ma sono musiche di scena) e La sinfonia del fuoco per Cabiria. Bisogna fare un salto di quasi quarant’anni per ritrovare, nel catalogo dell’opera pizzettiana, un dramma dannunziano musicato, dall’alto di una semisecolare esperienza e senza l’ingombrante presenza dell’autore, dal Pizzetti: La figlia di Iorio. L’allontanamento dal D’Annunzio non fu, tuttavia, dovuto soltanto a motivi contingenti relativi al bisogno, da parte del Pizzetti, di disporre di una maggiore flessibilità del libretto. Come bussole per orientarsi in un mondo in fase di radicale trasformazione, contenuti-valori permanenti e resistenti al mutare delle forme di organizzazione del mondo, il Pizzetti scoprì in sé due cose fondamentali: la classicità nella forma (e questa D’Annunzio poteva fornirgliela) e l’amore, un amore universale di chiara derivazione religiosa (a questo proposito poeta e musicista si trovarono su sponde opposte). Il tema dell’amore è il filo conduttore che congiunge tra loro opere pizzettiane anche assai diverse per argomento e tematica contingente: da Dèbora e Jaéle allo Straniero, a Orsèolo, a L’oro, a Vanna Lupa, alla radiofonica Ifigenia, a Cagliostro e, finalmente, all’Assassinio nella Cattedrale, nel quale i tormenti delle opere precedenti sembrano comporsi in una superiore purificazione. Il numero e il valore delle composizioni corali (naturalmente si citano di preferenza le composizioni di più ampie dimensioni, come il Requiem, ma forse si trovano pagine ancora più pregnanti e partecipate in certe piccole composizioni, come Cade la sera) comprovano l’importanza che questo genere musicale ebbe per il Pizzetti. La musica strumentale del Pizzetti, oltre a quella destinata in qualche modo alla scena, concilia la perfetta strumentalità alla sua sensibilità drammatica, che dovunque cerca il canto. Esemplari sono, a questo proposito, non solo i Canti della stagione alta per pianoforte e orchestra ma anche composizioni apparentemente meno adattabili al continuo melologo, come la bella Sonata per violino e pianoforte. Non si può chiudere un discorso sul Pizzetti senza citare il suo prezioso e copioso contributo all’arricchimento del repertorio della lirica vocale italiana. Fu sepolto nel cimitero della Villetta di Parma. Il Pizzetti fu autore delle seguenti composizioni: opere teatrali, Il Cid (A. Beggi; non rappresentata e distrutta, 1902), Fedra (libretto proprio, da D’Annunzio, Milano, 1915), Dèbora e Jaéle (proprio; ivi, 1922), Fra Gherardo (Milano, 1928), Lo straniero (Roma, 1930), Orséolo (Firenze, 1935) L’oro (Milano, 1947), Vanna Lupa (Firenze, 1949), Ifigenia, tragedia musicale radiofonica (libretto proprio e di A. Perrini; RAI, 1950; in teatro, Firenze, 1951), Cagliostro (RAI, 1952; in teatro, Milano, 1953), La figlia di Iorio (libretto proprio, da D’Annunzio; Napoli, 1954), L’assassinio nella cattedrale (libretto proprio, da T. S. Eliot; Milano, 1958), Il calzare d’argento (R Bacchelli; Milano, 1961), Clitennestra Milano, 1965), Rondò veneziano, azione coreografica (Caramba; Milano, 1931); musiche di scena: La Nave, 2 pezzi (D’Annunzio; Roma, 1908), La Pisanella (D’Annunzio; Parigi 1913; come azione coreografica, Roma, 1955), La sacra rappresentazione d’Abram e d’Isaac (F. Belcari; Firenze, 1917; 2ª versione ampliata, 1926), Agamennone (Eschilo; Siracusa, 1931), Le Trachinie (Sofocle, Siracusa, 1933), La rappresentazione di S. Uliva (C. d’Errico, da anonimo del secolo XVI; Firenze, 1933), Edipo a Colono (Sofocle; Siracusa, 1936), Le feste delle Panatenee (Paestum, 1936), Come vi piace (Shakespeare; Firenze, 1938), La lunga notte di Medea (C. Alvaro; Milano, 1949), Il Campiello (Goldoni; Venezia, 1957); musiche per film: Cabiria di G. Pastrone (1914), Scipione l’Africano di C. Gallone (1937), I promessi sposi di M. Camerini (1941), Il mulino del Po di A. Lattuada (1949), per orchestra: Sinfonia in la (1940), Extase, intermezzo (1898), Il sonno di Giulietta, (1899), Ouverture per l’Edipo a Colono (1901), 3 preludi sinfonici per l’Edipo Re (1904), Ouverture per una farsa tragica (1911), La Pisanella, suite dalle musiche di scena (1913), Sinfonia del fuoco, per Cabiria (1914), Danze per l’Aminta del Tasso (1914), Concerto dell’estate (1928), Rondò veneziano (1929), Canzone di beni perduti (1950), Preludio a un altro giorno (1951); per strumento solista e orchestra: Poema emiliano per violino (1913), Canti della stagione alta, concerto per pianoforte (1930), Concerto in do per violoncello (1934), Concerto in la per violino (1945), Aria (Augurio nuziale) per violini all’unisono (1958), Concerto in mi bem. per arpa (1960); musica vocale con orchestra: Canto di guerra per coro (1899), Canzone a maggio per solo e coro (1901), Scena lirica da Le ruine di Braunia (R. Salustri, 1901), Messa a 4 voci e archi (sine Credo, 1902), 2 Liriche drammatiche napoletane per tenore (versione anche per pianoforte, 1916-1918), L’ultima caccia di S. Uberto per coro (versione anche senza coro, 1929), Epithalamium per soprano tenore e baritono, coro e piccola orchestra (dai Carmina di Catullo, 1939), Oritur Sol et occidit, cantata per baritono (1943), Cantico di Gloria: Attollite portas (dai Salmi) per 3 cori, 24 fiati, 2 pianoforti e percussioni (1948) Vanitas vanita-tum, cantata per soli, coro maschile (1958), Vocalizzo per mezzosoprano (1960), Filiae Jerusalem, adjuro vos, piccola cantata d’amore per soprano, coro femminile e orchestra (1966); inoltre: 3 Canzoni (Donna lombarda, La prigioniera, La pesca dell’anello) per soprano e quartetto o orchestra d’archi (1926); 2 Poesie d’Ungaretti (La Pietà, Trasfigurazione) per baritono, violino, viola, violoncello e pianoforte (1953); musica da camera: 2 quartetti (in la, 1906, in re: 1933); Trio con pianoforte (1901, distrutto), Trio con pianoforte in 1a (1925); Sonata per violino e pianoforte (1901, distrutta), Sonata in la per violino e pianoforte (1919), Sonata in fa per violoncello e pianoforte (1921), Aria in re per violino e pianoforte (1906), Colloquio, per violino e pianoforte (1949); 3 Canti (versione per violino e pianoforte e per violoncello e pianoforte, 1924); per pianoforte: Sogno (1898), Foglio d’album (1906), Poemetto Romantico (1909), Da un autunno già lontano, 3 pezzi (1911), Sonata 1942 (1942), Canti di ricordanza, variazioni su un tema di Fra Gherardo (1943), cori, 3 Cori sacri (Ave Maria a 3 v., Tantum ergo a 3 voci maschili, Tenebrae factae sunt a 6 v.; 1897), 2 Canzoni (Per un morto a 4 voci maschili, La rondine a 6 voci, 1913), Canto d’amore a 4 voci maschili (1914), Lamento con tenore (Shelley, 1920), Messa di Requiem per 4-12 solisti (1922), De Profundis a 7 voci (1938), 3 Composizioni corali (Cade la sera, D’Annunzio; Ululate, quia prope est dies Domini, Isaia; Recordare, Domine, Geremia; 1942-1943), 2 Composizioni corali a 6 voci (1961), Cantico di gloria per coro misto, 2 cori maschili e 22 strumenti (1968); liriche: 3 liriche (I. Cocconi: Vigilia nuziale, Remember, Incontro di marzo; 1904), Sera d’inverno (M. Silvani, 1906), I pastori (D’Annunzio, 1908), La madre al figlio lontano (R. Pantini, 1910), Erotica (D’Annunzio, 1912) S. Basilio (poesia popolare greca, 1912), Il Clefta prigione (1912), Passeggiata (G. Papini, 1915), 2 liriche drammatiche napoletane (S. Di Giacomo, 1916-1918), 3 Sonetti del Petrarca (La vita fugge, Quel rosignuol, Levommi il mio pensier; 1922), Altre 5 liriche (Adjuro vos, filiae Jerusalem, Oscuro è il ciel, Augurio, Mirologio per un bambino, Canzone per ballo; 1932-1933) E il mio dolor io canto (J. Bocchialini, 1940), 3 Liriche (Bebro e il suo cavallo, poesia popolare greca; Vorrei voler, Signor, quel ch’io non voglio, Michelangelo; In questa notte carica di stelle, M. Dazzi; 1944), 3 Canti d’amore (1956-1959). Inoltre eseguì revisioni e trascrizioni di sonate per violino di F. M. Veracini e di madrigali di C. Gesualdo di Venosa. Il Pizzetti fu inoltre autore dei seguenti scritti: La musica dei Greci (Roma, 1914), Musicisti contemporanei (Milano, 1914), Intermezzi critici (Firenze, 1921), La musica italiana dell’Ottocento (in L’Italia e gli Italiani del sec. XIX, Firenze, 1930), Paganini (Torino, 1940), Musica e dramma (Roma, 1945); La musica italiana dell’Ottocento (Torino, 1947), Commemorazione di G. Puccini nel primo centenario della nascita (Milano, 1959). Inoltre scrisse articoli e saggi vari in Rivista Musicale Italiana, Pianoforte, Rassegna Musicale, Pegaso, Marzocco, La Voce, La Scala (fra cui, Ildebrando Pizzetti si confida, 1949). FONTI E BIBL.: A. della Corte, Ildebrando Pizzetti e la Fedra in Rivista d’Italia 1915; G. Barini, Fedra di Gabriele D’Annunzio e Ildebrando Piezzetti, in Nuova Antologia 1915; D. Sincero, La première di Fedra alla Scala, in Rivista Musicale Italiana 1915; R. Fondi, Ildebrando Pizzetti e il dramma musicale italiano di oggi, Roma 1919; G.M. Gatti, Le liriche di Ildebrando Pizzetti, in Rivista Musicale Italiana 1919; M. Castelnuovo-Tedesco, La pisanella di Ildebrando Pizzetti, in Critica Musicale 1919; F.B. Pratella, Due avvenimenti musicali: Fedra di Ildebrando Pizzetti, in L’evoluzione della musica dal 1910 al 1917, Milano, 1919; Il Pianoforte, numero speciale dedicato al Pizzetti, 1921; R. Giani, Note marginali agli Intermezzi Critici di Ildebrando Pizzetti, in Rivista Musicale Italiana 1921; G.M. Gatti, Debora e Jaele di Ildebrando Pizzetti: guida attraverso il poema e la musica, Milano, 1922; G. Barini, Debora e Jaele dramma di Ildebrando Pizzetti, in Nuova Antologia 1923; L. Pagano, Debora e Jaele di Ildebrando Pizzetti, in Rivista Musicale Italiana 1923; G.M. Gatti, L’opera drammatica di Pizzetti, in Il Pianoforte 1926; M. Pilati, Fra Gherardo di Ildebrando Pizzetti, Milano, 1928; F. Brusa, Fra Gherardo di Ildebrando Pizzetti, in Rivista Musicale Italiana 1928; M. 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