PROGRAMMA
DISCORSO INAUGURALE DEL RETTORE
CESARE EMANUEL
INTERVENTO DEL DIRETTORE GENERALE
GIORGIO DONNA
INTERVENTO DEL RAPPRESENTANTE DEGLI STUDENTI
MATTEO VARGIOLU
PROLUSIONE
VITO RUBINO
MADE IN ITALY E ITALIAN SOUNDING
IDENTITÀ CULTURALE E TUTELA DELL’ORIGINE DEI PRODOTTI ENOGASTRONOMICI
INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REGIONE PIEMONTE
SERGIO CHIAMPARINO
PREMIAZIONI
CORO E ORCHESTRA DELL’UNIVERSITÀ DEL PIEMONTE ORIENTALE
PRESENTANO BARBARA GALLO E PAOLO POMATI
ANNO
XVII
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Discorso inaugurale del Rettore
CESARE EMANUEL
Costruire, significa collaborare.
Costruire un porto, significa fecondare la bellezza di un golfo.
Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici,
ammassare riserve contro un inverno dello spirito
che, da molti indizi, mio malgrado, vedo venire.
Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano
Due anni fa, durante l’inaugurazione dell’anno
accademico e di questo mandato rettorale,
ponevamo in evidenza come l’Ateneo, nel
compiere il suo quindicesimo anno di età,
superasse la sua fase pioniera. Sulla base delle
competenze e dei risultati acquisiti ci eravamo
convinti che ci fossero le condizioni e le
energie per diventare più adulti.
Ciò che collettivamente ci proponevamo
era una doppia sfida: al nostro interno,
accentuando l’impegno nella didattica,
nella ricerca, nell’alta formazione e nella
terza missione; nel contesto di appartenenza,
valorizzando i legami interistituzionali con i
partner capaci di sollecitare nuova domanda
di conoscenza e di innovazione e con bacini
studenteschi fino a quel momento poco
considerati. Sapevamo di dover risalire le
correnti avverse della crisi e dei perduranti
tagli dei finanziamenti pubblici all’università,
ma ci motivava l’urgenza di lasciarci alle spalle
quella prima fase, perché è lo slancio verso il
nuovo che muove l’entusiasmo, la passione, la
creatività e il cambiamento.
Oggi è venuto il momento di chiederci
a che punto siamo arrivati, che cosa sarebbe
indispensabile fare per mantenere attivo il
moto progressivo intrapreso, come siamo stati
finora giudicati e a che cosa aspiriamo.
I risultati di questo biennio sono presto
riassunti. L’anvur ci ha piazzati al quarto
posto in Italia nella classifica degli atenei medi
per la ricerca scientifica (2013). Per il censis
siamo i migliori per le scienze mediche e tra
i top five per le scienze politiche e sociali,
fisiche, matematiche, informatiche, biologiche
e giuridiche (2014). Il miur ha recentemente
ripartito il fondo di finanziamento ordinario
e siamo al decimo posto nazionale per
incremento riconosciuto. Le operazioni di
sdoppiamento dei corsi di laurea tra le tre sedi
hanno portato un aumento del 12% delle
matricole pure.
Su questa base così rafforzata abbiamo
spostato in avanti la frontiera della conoscenza.
Sperimentiamo programmi, scuole estive,
attività in luoghi d’incontro e di scambio
con il mondo della cultura, della ricerca,
delle professioni, del lavoro e dell’impegno
sociale; utilizziamo nuove metodologie di
comunicazione ricorrendo a linguaggi visivi,
multimediali e perfino a rappresentazioni
teatrali in lingua straniera. Si libera l’intelligenza
anche attraverso l’appropriato indirizzo delle
energie fisiche, della voce, del dominio delle
emozioni, dei codici e degli idiomi.
Dagli studi e dai laboratori alimentiamo
la ricerca di base e applicata, concorriamo
a formare idee di impresa e imprese, a
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promuovere la brevettazione, a sperimentare e
a validare nuove teorie, metodi e procedure, a
ricevere premi; incoraggiamo quel dialogo che
alimenta la società della conoscenza, promuove
lo sviluppo, crea cittadinanza scientifica e
favorisce l’inclusione e l’interazione sociale.
L’esito dei cambiamenti non si misura
solo attraverso queste buone performance, ma
anche con il grado di ricaduta sul territorio.
La nostra storica tripolarità si sta velocemente
trasformando in una bipolarità, generata
dalle interdipendenze tra le sedi dell’offerta
formativa presenti nei centri principali dei
due quadranti del Piemonte orientale: quello
che si dispiega lungo l’asse Vercelli-Novara
a nord e quello tra Alessandra e Asti a sud.
Questa organizzazione è ormai assunta
come l’espressione dell’“altro Piemonte”,
alla cui configurazione ha contribuito
anche la progressiva chiusura dei corsi
di laurea decentrati nelle altre città del
Piemonte Orientale, se si escludono quelli
delle professioni sanitarie programmati
in stretta sinergia con le asl e con la
Regione Piemonte. Essa costituisce anche il
referente identitario che abbiamo precisato
con il termine multicampus: un modello
policentrico, punto di riferimento per tutti
gli studenti che aspirano a formarsi in un
ambiente realmente capace di aprire al
mondo del lavoro e dell’innovazione.
Questi risultati non possono essere
considerati come il frutto esclusivo
delle nostre iniziative sostenute dalle
istituzioni locali, cui va il mio profondo
ringraziamento. Costituiscono anche l’effetto
degli adeguamenti che l’Ateneo ha dovuto
intraprendere per rispondere alle direttive del
Governo e degli organi di valutazione istituiti
per dar corso all’attuazione della Riforma
Gelmini. È un corposo riferimento tecniconormativo che, pur continuando ad attribuire
al miur gli indirizzi generali di riferimento,
conferisce agli atenei la libertà di compiere le
scelte più appropriate sulla base di premialità
che scaturiscono dalla valutazione dei costi,
della qualità, delle caratteristiche e dei
risultati conseguiti dai servizi e dai prodotti
offerti. Con questa procedura l’Italia, pur
destinando alle università una quota di risorse
tra le più basse in Europa, priva di tagli solo
nell’ultimo anno, si distingue per l’utilizzo di
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criteri distributivi molto rigorosi e di natura
competitiva, che non trovano uguali in
nessun’altra nazione.
Sono ancora necessari aggiustamenti,
semplificazioni e precisazioni; le sole quote di
premialità non sono sufficienti, per esempio, a
coprire le spese per la ricerca scientifica, dove
l’ultimo bando prin (Progetti di Rilevante
Interesse Nazionale) risale al 2012. Questi
provvedimenti hanno tuttavia iniziato a
imporre agli Atenei una nuova razionalità
operativa e di governance e hanno il merito
di offrirsi come indicatori di prestazioni
attese. Le loro prime conclusioni sono state
per ora tradotte e divulgate dagli organi
di informazione attraverso classifiche di
“virtuosità” o, all’opposto, di “dilettantismo
gestionale”. La nostra posizione comprova
che in questo biennio il nostro slancio ci
ha promosso. Sono cresciute la visibilità, la
credibilità e la considerazione che abbiamo nel
sistema universitario e della ricerca, in quello
dell’istruzione, nell’ambito delle imprese,
nell’opinione pubblica e tra gli stessi studenti.
I medesimi risultati ci ammoniscono che
il futuro non è più quello di una volta e che
va costruito a passo a passo. Il nostro slancio
non può essere arrestato, ma deve proseguire
fino a diventare una componente stabile del
nostro modo d’essere. Dovremo cimentarci
con concorrenti più agguerriti di quelli con
cui ci siamo confrontati finora: lo saranno
sicuramente i grandi atenei, risultati meno
virtuosi a causa delle inerzie e delle lentezze
di partenza, e le università del Sud, le cui
potenzialità, in genere, si manifestano a
seguito di momenti emergenziali quali sono
quelli che stanno ora attraversando.
Le università sono anche gruppi
di pressione capaci di influenzare gli
orientamenti dei centri di governo e di
valutazione deputati al loro controllo. È
dimostrato, per esempio, come la decisione
di aumentare le classi del giudizio di merito
determini una distribuzione statisticamente
più equilibrata e omogenea. Analogamente,
una riduzione dei prodotti scientifici e
didattici da sottoporre a valutazione può
alterare profondamente gli esiti finali. Se
si accogliessero istanze di questo genere, si
tornerebbe alla piatta uniformità degli atenei,
si penalizzerebbe il buono che è stato fatto da
quelli virtuosi, e si continuerebbe a premiare,
come in passato, chi opera secondo logiche
che con la valutazione e il merito hanno poco
o nulla a che fare.
Non vanno poi dimenticati i cambiamenti
culturali e del costume che la società va
maturando e quelli che si manifestano
in relazione alla crisi. Sono fenomeni già
conosciuti, che stanno assumendo dimensioni
sempre più rilevanti, come la propensione
alla mobilità interregionale e internazionale
dei giovani che intraprendono la carriera
universitaria, la pervasività sempre più spinta
delle tecnologie informatiche e telematiche,
l’internazionalizzazione delle imprese, il
minor sostegno pubblico dell’istruzione
universitaria, comune a tutti i paesi avanzati,
l’inscindibilità della produzione scientifica da
quella formativa e così via.
Queste trasformazioni sono da un lato
portatrici di domande, di saperi e di valori
progressivi; dall’altro sono generatrici di
iniquità e di diseguaglianze per chi ne resta
privato. All’università pubblica viene richiesto
di combinare queste asimmetrie e di rispondere
con proposte convincenti e univoche. Ciò
comporta l’esigenza di scelte sempre più
oculate sulle modalità di allestimento, di
comunicazione e di fruizione dei prodotti
formativi, nonché sulla copertura dei loro costi
di produzione.
Nelle nostre proposte saremo chiamati
a essere meno timidi nel palesare il valore
non solo della formazione, ma di una
vera e propria educazione universitaria, a
impostare un’offerta formativa comprensibile
a un’utenza composita, internazionale e non
limitata ai potenziali studenti di prossimità,
convergente su curricula accessibili, condivisi
ed estensibili a scale ampie. Saremo chiamati
a riconoscere l’importanza cruciale dei servizi
di orientamento, in entrata e in itinere, di
job placement, di coaching, di counselling, di
quelli offerti da piattaforme digitali combinate
con reti di altri atenei e di residenze in cui gli
studenti possano condividere una esperienza di
vita e di reciproca conoscenza. Dovremo essere
capaci di porre attenzione all’affermazione
del brand, di curare al meglio il valore
comunicazionale, dedicando, come mai prima,
le giuste risorse incrementali al reputation game.
L’adeguamento di questi servizi, già presenti
nel nostro Ateneo, configura la necessità di
mantenere l’investimento sui livelli degli ultimi
anni, anche se questo obiettivo dipenderà dalle
premialità che sapremo meritarci.
Diventa essenziale, in questa prospettiva,
la possibilità di poterci assicurare il ricambio
e la crescita del personale docente e tecnicoamministrativo. La perdurante limitazione
del turnover è destinata a frenare le nostre
potenzialità di crescita; ciò è tanto più grave
se lo si combina con la nostra capacità
documentata di ottenere risultati significativi.
Se si aggiunge la dimostrazione di aver
ottimizzato e utilizzato pienamente tutte le
risorse disponibili, di fronte a un eventuale
giudizio negativo non ci riterremo accusati,
ma semmai parte lesa.
Il forte accento su questo vincolo strutturale
non ci assolve dal farci carico dei problemi
che lo scenario delineato propone e dei modi
di affrontarli. Perpetuare lo slancio per noi
implica, più di quanto non sia già avvenuto
finora, la condivisione dei traguardi che ci
prefiggiamo, la responsabilizzazione collettiva e
il perseguimento di metodi di governo partecipati,
l’adempimento consapevole di tutte le missioni
che ci sono assegnate per realizzare una fattiva
sinergia tra tutte le attività e i ruoli connessi.
La crescita ci richiede di riconoscerci come
un sistema, non come semplici insiemi di
parti, che, pur animati da buone volontà,
camminano con relativa autonomia verso un
traguardo. A questo sistema va assicurata la
capacità di regolarsi, di evolvere e di accrescerne
la complessità, scongiurando le inerzie, le
rigidità, la frammentazione, le rivalità e la
disorganizzazione. Va insomma assicurata la
possibilità di costruire e non solo di conservare.
Un funzionamento sinergico porta con
sé il miglioramento della qualità del sistema;
mette sotto i riflettori le interdipendenze
e le complementarietà che si rendono
indispensabili per portare il prodotto e il
servizio su livelli prestazionali superiori
alle soglie di accettabilità già raggiunte.
Nell’ambito dell’offerta didattica e
della ricerca il sistema condiviso facilita
l’attivazione di percorsi curricolari e di
programmi scientifici capaci di favorire
la mobilità degli studenti, di sviluppare
la curiosità intellettuale, l’innovazione, lo
spirito di iniziativa e l’attitudine a misurarsi
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con un contesto che è in rapido mutamento e
si dilata ormai oltre i confini nazionali.
Il dettato della Riforma, per favorire
queste convergenze, ci offre diverse possibilità
di manovra, che andranno attentamente
valutate per indirizzare la nostra attività
verso linee di prodotto interdisciplinari e
interdipartimentali alternative ai curricula
formativi, centrati su semplici associazioni di
insegnamenti e settori scientifico-disciplinari,
nonché a ricerche che si indirizzano su
conchiuse vocazioni settoriali.
Fa da sfondo a queste considerazioni la
nostra ferma volontà:
• di immettere in ruolo il maggior numero
possibile di docenti e di ricercatori risultati
idonei nelle procedure concorsuali;
• di accrescere il grado di attrattività di
docenti e di ricercatori, la numerosità dei
percorsi formativi integrati con quelli di
università e di enti stranieri, sotto forma
di lauree doppie o di titoli congiunti;
• di consolidare i rapporti di partnership
con università europee ed extraeuropee,
per incentivare la mobilità e sviluppare
collaborazioni scientifiche e di ricerca;
• di approfondire, grazie alle nuove
strutture, nuovi filoni di ricerca come
l’agro-alimentare;
• di promuovere l’alta formazione e
l’occupabilità dei laureati al di fuori dei
nostri confini.
È, insomma, la volontà di contribuire a
liberare definitivamente il nostro Ateneo
e il suo territorio di riferimento da una
dimensione locale, per proiettarlo in uno
scenario aperto, in una logica di attrazione
e di esportazione di competenze e di
intelligenze.
Su questo ambizioso programma pesa
il rischio che i tagli recentemente disposti
sui bilanci regionali e locali si riverberino
in modo non indolore sul contesto che sta
al di fuori delle nostre mura, ma che per
noi si configura come un complemento
irrinunciabile. Il nostro Ateneo è stato
spesso definito un “ascensore sociale”. La
garanzia del diritto allo studio è per noi
cruciale, sia per offrire risorse disponibili agli
studenti meritevoli appartenenti alle sempre
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più numerose famiglie meno abbienti, sia
per fornire le residenze agli studenti che
provengono da destinazioni lontane, sia
per completare la gamma dei servizi non
contemplati nelle missioni di Ateneo.
Siamo impegnati con l’Ente regionale per
il Diritto allo Studio Universitario per rendere
competitive le residenze rispetto ai canoni di
locazione del mercato locale. L’allestimento
di comunità studentesche residenziali sta
alla base di un ambiente universitario vivace
e dinamico. Questo aspetto trascina con
sé il tema delle mense, per scongiurare la
permanenza di un servizio convenzionato con
i soli pubblici esercizi. Residenze e mense,
insieme ad altri, sono servizi ineludibili, se
vogliamo intraprendere in modo efficace
i programmi di internazionalizzazione cui
abbiamo accennato.
I tagli e gli adeguamenti nel sistema dei
trasporti pubblici costituiscono una severa
limitazione all’accesso alle sedi da parte degli
studenti pendolari, che nel nostro Ateneo
sono nettamente prevalenti. Si avverte un
deciso ostacolo alla mobilità interurbana
tra l’area nord e sud del Piemonte orientale.
Da questa situazione critica ha preso forma
il progetto di sdoppiamento dei corsi nelle
tre sedi, che, se da un lato ha contribuito
ad accrescere la popolazione studentesca,
dall’altro ha posto l’esigenza aggiuntiva del
miglioramento del collegamento delle sedi
ubicate sulle due assialità urbane VercelliNovara e Alessandria-Asti.
La tradizionale ripartizione provinciale
nella diffusione delle notizie giornalistiche,
unitamente a una ancora inadeguata copertura
del servizio pubblico radiotelevisivo, limita
pesantemente la diffusione delle informazioni
tra le sedi e sull’intero territorio in cui gli
studenti risiedono. Questo vincolo non
promuove l’unitarietà del nostro Ateneo
e le iniziative che vengono compiute per
generarla, ma, al contrario, alimenta l’idea
opposta, cioè quella di una perdurante
frammentazione geografica che, a sua volta,
è da ritenersi largamente responsabile sia
dell’evasione studentesca verso i grandi poli
universitari, sia del mancato apprezzamento
del valore sociale di una Università nei
territori mediani.
La limitazione delle disponibilità
finanziarie pubbliche per il sostegno
dell’Università accresce l’importanza delle
fonti ausiliarie assicurate dagli enti locali
e dalle fondazioni del territorio, con cui si
è finora realizzato un eccellente gioco di
squadra. Auspichiamo che questa esperienza
contagi anche gli enti sovralocali che non
hanno sede nel nostro territorio e li stimoli
a garantire o ad aumentare il loro sostegno.
Suscitano preoccupazione le recenti iniziative
intraprese per candidare il capoluogo regionale
a “città universitaria” e non il Piemonte
a “regione universitaria”. Non si tratta di
piccolo patriottismo d’ateneo; riteniamo
che il nostro ideale sia un grande sistema
di università regionali capace di restituire
le migliori performance. Sotto questo punto
di vista vogliamo essere rassicurati che il
Piemonte non si divida in due anche sul
versante degli investimenti in formazione,
ricerca e ospitalità così come sta già avvenendo
nel caso dell’Unione europea. La media delle
due diverse velocità, che potrebbero essere
impresse da una politica fortemente centrata
sull’epicentro metropolitano, rischierebbe di
allontanare ancora di più il Piemonte dagli
obiettivi cui è chiamato. Come ci ricorda
l’Unione europea attraverso i suoi programmi
di sviluppo, la competitività dei territori è
espressa dalla coesione sociale e istituzionale
e dai dinamismi decentrati nelle armature
policentriche delle loro città medie. Tutto ciò
chiama in causa il ruolo programmatico e
regolativo regionale.
Perpetuare lo slancio, infine, significa
riconoscere e tradurre in leve di sviluppo le
potenzialità che si manifestano nel nostro
contesto. Stiamo valutando di proseguire,
per il terzo anno consecutivo, la politica
degli sdoppiamenti, attivando il corso di
laurea in Lettere anche ad Alessandria e a
irrobustire il parco delle lauree magistrali con
il trasferimento del corso di Società e sviluppo
locale ad Asti. Nel nostro impegno sociale ci
siamo candidati a organizzare gli Stati Generali
della Cultura del Piemonte Orientale. Sarà
un’occasione privilegiata per definire l’identità
del nostro territorio, al momento ancora
nascosta e frammentata. Sul versante del
trasferimento tecnologico, stiamo trasformando
il nostro incubatore d’impresa novarese in
Incubatore del Piemonte Orientale, a sostegno
di tutte le start-up che vorranno avviare attività
imprenditoriale nell’intero territorio.
Non possiamo sottacere che la Scuola
e i Dipartimenti di Medicina e di Scienze
del farmaco, i corsi di laurea di Biologia, di
Informatica e di Scienze dei materiali e il
nascente Parco delle malattie autoimmuni
eleggano l’asse Novara-Vercelli anche come
sede potenziale di un distretto biomedicofarmaceutico scientificamente avanzato. La sua
affermazione implica che la nuova Città della
salute ne venga a costituire il fulcro dal punto
di vista della ricerca e della sperimentazione
scientifica, opportunamente integrate con
l’attività medica e assistenziale. In questa
prospettiva riteniamo che non debba più
esserne messa in discussione la localizzazione
già definita e che sia indispensabile configurare
un percorso che, utilizzando il modello
vincente dell’Azienda ospedaliero-universitaria,
permetta al più presto di porre rimedio alle
gravi carenze delle strutture esistenti e di
superare le resistenze indotte da atteggiamenti
conservativi e localistici.
Rappresentare la nostra visione,
manifestare le nostre disponibilità, metterci
in gioco, fare squadra, dibattere e rivendicare
ciò che ci spetta sono stati esercizi che ci
hanno motivato e sorretto nello slancio di
perfezionare il grande progetto della presenza
universitaria nel Piemonte orientale. Oggi
ribadiamo la volontà di continuarlo e di
protrarlo sul più lungo avvenire possibile.
D’altronde, come afferma David Grossmann,
«l’incapacità di credere in una situazione
migliore è già l’inizio della sconfitta». Non è
questo il nostro stile.
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Intervento del Direttore Generale
GIORGIO DONNA
Il nostro Ateneo è profondamente
impegnato in una sfida coraggiosa ed
entusiasmante. È una delle università più
giovani che non ha timore di confrontarsi,
che intende crescere sul piano dimensionale e
qualitativo e vuole porsi come catalizzatore di
un territorio storicamente frazionato e poco
coeso. Vogliamo adottare un atteggiamento
intraprendente, convinti che la sola strada per
sopravvivere stia nel “farsi trainare dal futuro
desiderato”, sulla base delle opportunità e delle
minacce che incombono, e non nel “lasciarsi
spingere dal passato”, con il rischio di derive
che possono relegarci ai margini del sistema
universitario. La crescita e il cambiamento
assorbono energie e devono essere compatibili
con le risorse umane, finanziarie, logistiche che
si è capaci di mettere in campo, soprattutto
in un contesto che ostacola ogni possibile
aumento di dotazione.
Sotto il profilo finanziario, la disciplina
e il rigore che caratterizzano la nostra
tradizione, associate alle positive performance
conseguite sul piano didattico e scientifico,
hanno permesso di chiudere il bilancio
2013 e di prefigurare un bilancio 2014 in
solido equilibrio. Il fondo di finanziamento
ordinario, che conta per i due terzi dei ricavi, è
salito del 5,5%, passando dai 42,6 milioni del
2013 ai 45 del 2014. L’Ateneo non ha debiti
finanziari, rispetta i valori fissati dal Ministero
per tutti gli indicatori cosiddetti di virtuosità,
e al termine del 2013 disponeva di un avanzo
finanziario libero di quasi 11 milioni, che ci
aspettiamo almeno di mantenere nel 2014.
Nonostante le ristrettezze con cui le università
italiane hanno dovuto fare i conti, siamo
riusciti a “mettere fieno in cascina” che potrà
tornare molto utile in futuro.
In questo quadro la strategia da adottare
deve essere orientata a tutelare questo
punto di forza, operando all’insegna del
rigore gestionale e della costante verifica di
compatibilità degli investimenti, sostenendo la
ricerca (che nel 2014 ha generato entrate per
circa 12 milioni) e dando maggiore impulso
a fonti di entrata potenzialmente interessanti
ma ancora troppo marginali nella nostra
economia, come l’alta formazione e l’attività
per conto terzi. Al riguardo intendiamo
puntare su alcuni filoni di attività, a carattere
prevalentemente interdisciplinare, in cui
possiamo ambire ad assumere una posizione
competitiva di rilievo, affidandone la gestione
e lo sviluppo a centri interdipartimentali
appositamente costituiti. Al preesistente ma
rinnovato ceims, dedicato al management
sanitario, si sono aggiunti simnova
(simulazioni in campo medico), cusa (sul
tema dell’amianto) e FoodLink (sistema
agroalimentare).
Sotto il profilo amministrativo, la crescita
e il cambiamento hanno messo sotto forte
pressione la macchina organizzativa. Un
motore non può operare costantemente
“fuori giri” senza collassare: occorre riuscire
a innestare una marcia superiore. È questo
l’obiettivo che si è inteso dare all’apparato
amministrativo, cui non si è chiesto solo di
fare di più, ma di cambiare, ridisegnando
in profondità il suo modo di essere e di
funzionare. Si è tracciato un percorso in
tre tappe: la prima, realizzata nel 2013,
ha modificato l’hardware organizzativo,
ridefinendo le strutture, i ruoli, le
responsabilità, i collegamenti gerarchici e
funzionali; la seconda, sviluppatasi nel corso
del 2014, si è dedicata a progettare il software,
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disegnando e cominciando a sperimentare
i meccanismi operativi necessari al buon
funzionamento di un’organizzazione più
evoluta e comunque complessa; tra questi, un
sistema di obiettivi strutturato per ogni area
di responsabilità, la pesatura delle posizioni
organizzative, condotto con la partecipazione
di rappresentanti delle organizzazioni
sindacali, un sistema periodico di riunioni
opportunamente strutturate e finalizzate e
il modello di valutazione delle performance
individuali.
Il 2015 dovrà dimostrare che il
cambiamento messo in campo è ambizioso
ma sostenibile, che il cambio di marcia sta
avvenendo ed è tale da rendere il nostro
Ateneo più evoluto, efficiente e dinamico;
in una parola, più competitivo. Siamo
consapevoli che ogni cambiamento può
aprire qualche ferita che va rimarginata
e incorrere in qualche errore cui porre
rimedio, ma soprattutto genera nuove idee:
fortunatamente, la strada del miglioramento
è infinita. Su questa strada assumono rilievo
prioritario alcune leve: la qualità del capitale
umano, i progetti strategici, lo sviluppo di
risorse-chiave, i centri di servizio.
Il nostro Ateneo dispone di un capitale
umano dotato di un buon potenziale,
che può arrivare a formare un’orchestra
eccellente. Tuttavia, per raggiungere questo
obiettivo bisogna far crescere competenze
ancora deboli, diffondere valori ancora
poco affermati, rimuovere atteggiamenti
ancora persistenti. Abbiamo l’intenzione di
realizzare gradi di delega più pronunciati
rispetto a quelli che nel passato hanno
caratterizzato l’amministrazione. Ognuno
deve progressivamente trasformarsi da
esecutore diligente di compiti assegnati a
contributore proattivo di risultati che ha la
responsabilità di raggiungere. In tal senso nel
2014 si è avviato un processo di formazione
al ruolo, per promuovere una cultura
organizzativa più forte e condivisa. Occorre
fornire consapevolezza, principi e strumenti
che consentano a ognuno di esercitare al
meglio il proprio ruolo attraverso linguaggi,
valori e parole d’ordine comuni, pure nella
diversità delle responsabilità e delle funzioni
attribuite. Questo tema ha già coinvolto i
venti responsabili di settore e di ufficio e a
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partire dal 2015 verrà esteso ai titolari di
incarichi di responsabilità e poi a tutto il resto
del personale.
Una seconda leva di cambiamento è
rappresentata dai progetti strategici. Nel 2015
si punterà in particolare su ict, contabilità
economica, archivi e protocolli. In merito all’ict
proseguiremo nel progetto preparato nel 2013
e avviato nel 2014. È la chiave per intramare
nell’organizzazione sistemi, procedure e
processi che la tecnologia rende possibili e
da cui un’organizzazione moderna non può
prescindere, a pena di una irrimediabile perdita
di competitività. Voglio spendere un’esplicita
parola di apprezzamento per tutti coloro che
vi sono impegnati e che stanno permettendo
di procedere con esemplare rispetto dei tempi
e degli investimenti programmati. I primi
risultati visibili, che andranno a regime nel
2015, sono importanti: la verbalizzazione
online degli esami, la nuova posta elettronica
unica per tutto l’Ateneo, il nuovo sito web.
Circa la contabilità economica, il piano di
lavoro che abbiamo predisposto non si riduce
all’adempimento di un dettato ministeriale,
peraltro non privo di aree opache, ma
è mirato a disporre di uno strumento
informativo capace di tracciare in modo più
intellegibile il profilo economico, finanziario
e patrimoniale dell’Ateneo, consentendo
in questo modo valutazioni più puntuali
a fini decisionali. Anche il progetto sugli
archivi e sul protocollo deve produrre un
salto di qualità nel funzionamento operativo
dell’Ateneo, in modo da allinearlo a uno stato
dell’arte da cui è oggi molto lontano. Grazie
a questa iniziativa molta meno carta dovrà
circolare, molta carta inutile si potrà buttare,
molto più chiaro risulterà il «chi deve fare che
cosa e come».
Ci sono tre risorse-chiave che meritano
un’attenzione e un impegno straordinari. La
prima è costituita da quella che in termini
aziendali si definirebbe la corporate identity
dell’Ateneo, segnalata a suo tempo come
una nostra debolezza non più sostenibile. A
questo riguardo si sono già raggiunti risultati
importanti: abbiamo scelto come vogliamo
essere chiamati, attraverso quale logo e quale
colore vogliamo essere identificati, quali
messaggi e valori vogliamo trasmettere,
come vogliamo presentarci sul sito web.
L’identità emersa non è tradizionale nel
panorama universitario; abbiamo pensato
che una rappresentazione innovativa fosse
più appropriata per accelerare la visibilità di
un Ateneo giovane, apprezzato al di sotto dei
suoi meriti e delle sue qualità, conosciuto
in modo impreciso dal contesto esterno. Il
passaggio prossimo da sviluppare nel 2015
sarà costituito dal ridisegno dei siti web dei
Dipartimenti e dalla realizzazione di una
nuova versione in inglese del sito.
La seconda risorsa che dobbiamo
irrobustire è costituita dal capitale informativo.
È una direzione verso cui spingono il
Ministero e l’anvur attraverso il sistema di
qualità, destinato a incidere in modo sempre
più pregnante sui processi di valutazione
degli atenei. In concreto, si tratta di costruire
un sistema informativo direzionale in grado
di supportare adeguatamente il Rettore, gli
organi di governo, il Presidio di qualità,
il Nucleo di valutazione, i responsabili di
dipartimenti e scuole, dei corsi di studio e
della ricerca.
La terza risorsa ha un titolo curioso:
il Progetto Fiducia. Mi sembra un nome
appropriato per una iniziativa, inserita nel
Piano strategico, che si pone l’obiettivo di
elevare la coesione, il gioco di squadra e il
“tasso di sorriso” nei nostri luoghi di lavoro.
In economia e nelle imprese la fiducia è
ormai diffusamente riconosciuta come risorsa
preziosa, decisiva per alimentare un circuito
positivo di motivazione, collaborazione,
autostima, spirito di identificazione, senso
di appartenenza. Il valore della fiducia
diventa inestimabile in momenti difficili e
di crisi, dove le parole che più facilmente
ricorrono hanno un’intonazione negativa:
demotivazione, difesa, privilegio dell’interesse
particolare, orientamento al breve termine,
ricerca di alibi, opportunismo. La fiducia è
risorsa delicata, perché è difficile da costruire
e facile da perdere, ma può essere gestita.
Gli strumenti a disposizione sono numerosi:
comunicazione e trasparenza, formazione
e coinvolgimento, sviluppo del welfare
aziendale, promozione di riti e occasioni
di scambio sociale collaterali al lavoro,
tolleranza per gli errori e intransigenza sui
comportamenti, affermazione e rispetto di
valori comuni. Il Progetto Fiducia intende
occuparsi di queste cose in modo non
estemporaneo, ma sistematico.
Infine, un cenno ai centri di servizio, che
hanno il ruolo di curare tematiche di comune
interesse per tutte le strutture dell’Ateneo.
Mentre il cespa, dedicato allo sviluppo delle
procedure amministrative, ha proseguito nella
sua operatività, curando soprattutto il Progetto
ict, il clupo (centro linguistico di Ateneo) si
è avviato su nuove basi e con nuovi obiettivi
e meccanismi di governo. Dovrebbe presto
concludersi la fase di progettazione del centro
destinato a curare lo sviluppo delle nuove
tecnologie didattiche.
Siamo chiamati ad affrontare queste
impegnative sfide strategiche in presenza
di condizioni assai sfavorevoli. Ne voglio
ricordare in particolare due, che attengono alla
dimensione finanziaria e a quella normativa.
In termini di fondi pubblici attribuiti, l’Italia è
ormai nettamente staccata dai paesi di serie A e
inizia a vedere minacciata la propria leadership
dei paesi di serie B. A ciò si aggiunge il blocco
dei livelli contrattuali, che persiste ormai dal
2009 e pone il personale universitario tra
gli ultimi posti nelle categorie del pubblico
impiego. Ancora, il meccanismo dei puntiorganico correlato ai pensionamenti colpisce
impropriamente gli atenei più giovani e in
crescita, proprio come noi siamo.
Sotto il profilo normativo pesa l’avvilente
problema dell’amministrazione improduttiva.
L’apparato normativo in cui siamo
immersi – ipercomplesso, ambiguo e spesso
contraddittorio – determina continue esigenze
di interpretazione, sistematico rinvio delle
scadenze, cronico ritardo dei provvedimenti
ministeriali, finendo per generare incertezza
e inefficienza, comprimere l’autonomia,
esasperare l’attenzione al brevissimo termine,
mortificare il buon senso.
La nostra Pubblica Amministrazione è
profondamente malata; meno malandata di
come è spesso dipinta e giudicata, ma più
di quanto essa sia disposta ad ammettere. È
un malato difficile da guarire, perché tende
a rifiutare le cure, forse perché si ritiene
immortale. In più occasioni mi è capitato di
cimentarmi in questa impresa: ormai venti
anni fa al Comune di Torino, circa dieci anni
fa al miur, oggi all’upo. Mi sono convinto che
11
cambiare è difficile ma si può, tenendo conto
che non se ne può più fare a meno, perché il
mondo corre veloce e non sta ad aspettarci.
Qualche segnale positivo c’è: l’arresto nella
discesa del fondo di finanziamento ordinario;
la coraggiosa adozione di un sistema di
allocazione delle risorse basato su costi
standard e misure di performance; i meccanismi
di valutazione della qualità sviluppati
dall’anvur. Auguriamoci che possano essere
sintomi di un cambiamento di tendenza che
non può più attendere. Ci siamo impegnati
a “fare straordinaria amministrazione” in un
contesto che pone difficoltà già a svolgere
quella ordinaria, anche a costo di mettere
troppa carne al fuoco, convinti che sarebbe più
rischioso metterne troppo poca.
Un autorevole esperto di management,
Henry Mintzberg, ha scritto: «Per un’impresa
nulla vale quanto la dedizione delle persone.
Un’organizzazione senza dedizione è come una
persona senz’anima: opera, ma non ha forza
vitale. E la pubblica amministrazione, con
le sue vaghezze, sfumature, difficili esigenze
di mediazione tra interessi contrastanti, ha
disperatamente bisogno di questa forza».
Dedizione significa anteporre gli obiettivi
dell’ente cui si appartiene ai propri, farsi
custode dei suoi valori e costruttore del suo
futuro. In questa esperienza ho imparato a
voler bene a questo Ateneo giovane, serio,
intraprendente ma ancora inevitabilmente
fragile. Mi sono convinto che lo meriti.
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Intervento del Rappresentante degli Studenti
MATTEO VARGIOLU
Buongiorno al Rettore, ai docenti, al personale tecnico-amministrativo, al Presidente della Regione
Piemonte, Sergio Chiamparino, a tutti i presenti e, soprattutto, un caro saluto ai colleghi studenti.
Questo intervento viene svolto da uno
studente che si è trasferito da un altro Ateneo
e che qui all’upo ha trovato – condividendo
questa sensazione con molti suoi colleghi –
preparazione, disponibilità e collaborazione
della quasi totalità dei docenti, come pure del
personale tecnico-amministrativo.
Con oggi iniziamo simbolicamente l’anno
accademico 2014-2015, con difficoltà sempre
presenti, ma cercando di stringere i denti
e auspicando un futuro più semplice e più
tranquillo. Come membro dell’associazione
Alfa Omega, mi è stato permesso di crescere
come studente e rappresentante, di potermi
confrontare su vari temi con il Rettore,
con i docenti e con il personale tecnico
amministrativo. Da pochi mesi sono stato
eletto rappresentante degli studenti dell’upo
in seno al Co.Re.Co. (Comitato Regionale di
Coordinamento delle Università del Piemonte).
Fin dalla prima riunione ho potuto costatare
che il sistema universitario piemontese
presenta sia scenari critici sia “buone pratiche”
che hanno permesso di ottenere migliori
performance. Citerei un esempio per ciascuna
situazione: il sistema di finanziamento e le
borse di studio.
Fino a oggi le Università si sono avvalse
sia delle sovvenzioni regionali sia di quelle
provenienti da strutture esterne attraverso
bandi. In questo periodo di spending review e
di crisi finanziaria mondiale anche il Piemonte
risente e risentirà sempre più dei tagli effettuati
in ogni settore. Ne consegue che le Università
saranno tra i primi enti che dovranno trovare
nuovi sistemi per finanziarsi e, evidentemente,
rivedere la tassazione studentesca, su cui tornerò
in seguito. Tutti quelli che hanno a cuore
l’Università, inclusi gli studenti, dovrebbero
iniziare a riflettere sull’immagine, sulla gestione,
sulla sostenibilità del nostro Ateneo di qui a
dieci anni.
Il problema delle borse di studio, già
sollevato dai miei colleghi negli anni precedenti,
sembra essersi indirizzato su un cammino
decisamente migliore. Mentre in passato la
Regione Piemonte ha ricevuto cifre decrescenti
dal riparto del Fondo Statale Integrativo
a fronte di un incremento non irrilevante
dell’ammontare del Fondo stesso, si prevede che
la copertura per le borse di studio sarà dell’85%
degli aventi diritto, pari a 21,8 milioni di euro,
suddiviso in questo modo:
• oltre 14 milioni di euro per le entrate della
tassa regionale per il diritto allo studio
universitario;
• oltre 5 milioni dal fondo statale;
• oltre 2,5 milioni di risorse finanziarie
provenienti dalla Regione.
Il Piemonte, pertanto, potrebbe diventare un
punto di riferimento affinché il Governo cambi
rotta e possa prendere coscienza della necessità
di sostenere l’aumento della copertura delle
borse di studio a livello nazionale e non di
diminuirle come attualmente sta avvenendo.
A noi tutti, infatti, appare chiaro che lo studio
è un diritto e il sostentamento di chi ha più
difficoltà economiche è un dovere da cui lo
Stato non può tirarsi indietro.
Passando agli obiettivi di breve
termine, vorrei invitare il Rettore e tutta
l’amministrazione a proseguire il dibattito
avviato dai rappresentanti degli studenti
eletti in Senato Accademico, in Consiglio di
Amministrazione, nel Comitato per le Attività
Sportive di Ateneo e nel Nucleo di Valutazione
per quello che riguarda tre importanti riforme
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da portare a casa entro la metà dell’anno,
in modo da poter offrire agli studenti, dal
prossimo anno accademico, tutti gli strumenti
necessari per vivere al meglio il proprio ruolo di
componenti della comunità universitaria.
In primo luogo occorrerebbe arrivare,
quanto prima, all’istituzione di un Senato degli
Studenti sul modello già sperimentato in altre
università italiane, sulla base di una bozza che
è già stata presentata agli Organi. Lo riteniamo
fondamentale per una realtà come la nostra,
tripolare, perché potrebbe fornire non solo un
luogo di incontro e di raccordo fra tutti i livelli
di rappresentanze accademiche, ma anche un
luogo per far dialogare le ragazze e i ragazzi delle
tre città di prospettive universitarie comuni.
Sarebbe poi necessario riformulare la
tassazione a carico degli studenti, in modo che si
possa parlare di una vera progressività e giustizia
sociale. Bisognerebbe ridistribuire il peso della
contribuzione studentesca, in modo che essa
non gravi eccessivamente sui ceti più colpiti dalla
crisi economica. Crediamo fermamente che dalla
crisi si esca investendo in formazione e sapere;
crediamo che i giovani si debbano impadronire
di ogni ramo del sapere per costruire e far
funzionare un mondo migliore rispetto a quello
che, nostro malgrado, ci siamo trovati. Per
realizzare questo risultato, ci sembra che le strade
possibili siano due: il sistema a coefficienti e il
sistema a fasciazione continua.
Il primo si basa su un’aliquota che
personalizza le tasse in base all’indicatore della
situazione economica equivalente (isee) di
ognuno, e viene corretta attraverso la creazione
di una soglia, che potrebbe essere di 50 mila
euro al massimo, sopra la quale il calcolo
cambia per aumentare il prelievo. Il secondo,
invece, si basa sulla creazione di decine di
microfasce, normalmente da mille euro,
nelle quali viene ridistribuita la tassazione
creando progressività sulla base del valore
isee oltre il quale si sposta l’onere maggiore
della tassazione (per esempio: Firenze, 50
mila euro). Noi propenderemmo per il primo
modello, già attuato nella vicina Università
di Torino, dove il gettito complessivo è
pure aumentato, o all’Università di Roma
La Sapienza, che è passata dalla fasciazione
continua al sistema a coefficienti, volto a
garantire realmente il principio secondo cui
«ciascuno paga quanto gli spetta».
14
Infine servirebbe rivedere il regolamento
elettorale delle rappresentanze studentesche. Il
nostro massimo strumento di democrazia
partecipativa, le elezioni, negli ultimi anni
ha stentato a funzionare, sia per un generale
calo d’interesse, sia per le regole spesso
farraginose. Solo nell’ultima tornata c’è
stata una stabilizzazione che vuole essere un
“ricostituente” per la normale vita democratica
della parte studentesca degli organi accademici.
Questo rinnovato slancio deve essere la base
per la definizione di regole chiare, semplici e
trasparenti.
Un organo come il Senato degli Studenti,
borse di studio accresciute, una tassazione
più equa e regole elettorali più facili sono gli
strumenti che garantiscono agli studenti di
poter esercitare pienamente il diritto allo studio,
la libertà di pensiero e di espressione, che
purtroppo, in alcune parti del mondo si tenta
di limitare o di reprimere, come è accaduto
nei recenti avvenimenti di Parigi o in Nigeria.
Come rappresentante di una comunità che si
regge sui valori illuministici della razionalità e
della tolleranza, non posso che levare il nostro
collettivo, sdegnato dissenso contro chi intende
far tacere con la violenza coloro che la pensano
in modo diverso, o che usano strumenti, come
la satira, che non colpisce le persone, ma solo
i loro pregiudizi. La civile convivenza e la pace
non possono che essere conseguite se non
attraverso il rispetto reciproco delle culture.
Anche su questi temi noi studenti, come
futura classe dirigente, siamo chiamati a levare
chiara e ferma la nostra voce, ad assumerci
responsabilità più complesse e più velocemente
rispetto al passato. Vorremmo che l’Università
fosse determinante nel segnare la nostra crescita
e nel fornirci gli strumenti intellettuali e le
competenze più idonee per affrontare il futuro.
Non mi resta che rivolgere un augurio a tutti i
miei colleghi studenti, in particolare quelli che
sono arrivati da poco nel mondo universitario,
citando le parole pronunciate dal Presidente
della Repubblica Sandro Pertini nel discorso
di fine anno del lontano 1978: «I giovani non
hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno
bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di
altruismo».
Buon anno accademico a tutti!
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Prolusione
Made in Italy e Italian sounding. Identità culturale e tutela dell’origine dei prodotti enograstronomici
VITO RUBINO
1. Fra poche settimane prenderà il via a
Milano “Expo2015”, l’Esposizione Universale
dedicata al tema “Nutrire il Pianeta, energia
per la vita”. Oltre 130 Paesi si confronteranno
con il problema del nutrimento dell’uomo,
concentrandosi sulle principali sfide che un
tema così delicato implica per il futuro del
genere umano. Al centro della proposta c’è
«l’urgenza di descrivere e confrontarsi sulla
storia dell’uomo e sulla produzione di cibo,
nella sua doppia accezione di valorizzazione
delle tradizioni culturali e di ricerca delle
nuove applicazioni tecnologiche»1.
Dal cibo dipende l’esistenza umana e
le sue condizioni, come testimoniano le
quotidiane, tragiche immagini delle aree
del mondo colpite da carestie per disastri
naturali, guerre o sovrappopolamento. Il cibo,
tuttavia, è qualcosa di più di un semplice
mezzo di sopravvivenza: è identità culturale e
religiosa, ed è strettamente connesso al modo
di essere di ciascuno di noi. Il filosofo Ludwig
Feuerbach, rielaborando le osservazioni di
Ippocrate, sintetizzava il legame fra ambiente,
alimentazione e identità con la frase «der
Mensch ist, was er isst» – l’uomo è ciò che
mangia2. Se l’affermazione può apparire per
certi aspetti eccessiva, è sicuramente vero che
il cibo non ha solo effetti sulla salute, ma
influenza tutta la dimensione della persona.
Le prime forme di arte sono probabilmente
le pitture rupestri paleolitiche raffiguranti
gli animali e la caccia; i Greci e i Latini
conoscevano bene il legame fra cibo, salute,
identità religiosa e costumi. Praticamente
tutte le religioni contemplano in varie forme
il rapporto fra l’uomo e gli alimenti, anche se,
forse, nessuna come il cristianesimo ha fatto
proprio questo legame al punto da trasformare
il pane e il vino nei simboli della comunione
fra l’uomo e la divinità.
Il binomio alimentazione/identità culturale
ha, infine, trovato riconoscimento anche
nei giorni nostri grazie all’inserimento della
“dieta mediterranea” nel Patrimonio culturale
immateriale dell’umanità dell’unesco3,
rapporto che si estende al paesaggio e al “saper
fare tradizionale” nell’analogo riconoscimento
conferito nel 2014 alla zona vitivinicola delle
Langhe-Roero-Monferrato, inclusa nei “siti
patrimonio dell’umanità”4.
Si può dunque effettivamente ritenere
che l’alimentazione costituisca un elemento
fondamentale per l’identificazione di un
gruppo, poiché esprime caratteri, valori,
tradizioni e conoscenze, e contribuisce alla
definizione di una determinata popolazione
tanto sotto forma di auto-consapevolezza,
quanto all’esterno, nella percezione del Mondo.
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2. La tutela dell’identità enogastronomica è
un fattore rilevante anche per il diritto, che
cerca di offrire strumenti di regolazione tanto
della tipicità di alcuni cibi, quanto, più in
generale, della determinazione e della tutela
dell’origine dei prodotti agroalimentari.
Questo aspetto è divenuto negli ultimi anni
un cavallo di battaglia per l’Italia, che vede
nel proprio tratto identitario (il cosiddetto
made in Italy) la chance fondamentale per
il superamento dell’attuale stato di crisi e
la conservazione della propria specificità
nell’economia mondiale. Sulla questione
della tutela dell’origine, tuttavia, si constata
frequentemente un certo grado di confusione
fra istituti giuridici e finalità normative
completamente diversi fra loro, con il
risultato di diffondere una percezione di
15
inadeguatezza dell’attuale apparato normativo,
probabilmente più ampia del dovuto.
2.1. La tutela dei cosiddetti “prodotti tipici”
è senz’altro la prima e la più importante
forma di protezione dell’origine e dell’identità
degli alimenti. Normalmente questi prodotti
incorporano nella propria denominazione
l’indicazione geografica che caratterizza
lo speciale legame con il territorio da cui
provengono. Per questo motivo la loro
protezione passa necessariamente attraverso
l’instaurazione di una “privativa” sul
toponimo, cioè il divieto di utilizzo di quel
riferimento geografico per prodotti che
non rispondano ai requisiti del disciplinare
consacrato nel tempo e che non provengano
dalla relativa zona di origine.
Gli strumenti internazionali di tutela di
questi prodotti sono nati nell’alveo del diritto
industriale:
• la Convenzione di Unione di Parigi del
1883, nel regolare i marchi, ha per la
prima volta incluso le denominazioni di
origine fra i diritti proteggibili;
• l’Accordo di Lisbona del 1958, che ha creato
un vero e proprio registro multilaterale
dei nomi geografici che i contraenti si
impegnano a riconoscere e proteggere
nell’ambito dei propri ordinamenti;
• l’Accordo trips5, allegato al Trattato di
Marrakech, istitutivo dell’Organizzazione
Mondiale del Commercio (wto) del
1994, colloca i toponimi fra i diritti
della proprietà intellettuale correlati al
commercio, e dedica due distinti articoli
alla protezione delle denominazioni
geografiche dei vini (art. 23) e degli altri
prodotti (art. 22).
In questo contesto molti paesi hanno
scelto di assimilare i toponimi ai marchi,
consentendone la registrazione da parte dei
soggetti interessati. È così avvenuto, per
esempio, che in Canada il marchio “Parma
Ham” sia stato registrato da una azienda, e, in
applicazione del principio “first in time, first
in right”, la relativa denominazione sia stata
preclusa ai prodotti effettivamente originari
dell’Italia.
L’Unione europea, invece, ha puntato
sull’impiego di queste denominazioni come
16
strumenti di sviluppo rurale, collocandole
all’interno di norme la cui base giuridica è la
politica agricola; le ha così caricate di una vera
e propria valenza pubblicistica. Analizzando
il caso dei prodotti diversi dagli alcoolici la
scelta del legislatore europeo appare chiara.
A partire dal 1992 il regolamento 2081 ha
unificato le sigle (dop, Denominazione di
Origine Protetta; igp, Indicazione Geografica
Protetta6) e il sistema di registrazione,
unico per tutta l’Unione europea, sulla base
dell’articolo 43 tce (pac). In questo modo si
è venuto a creare un vero e proprio elenco di
nomi la cui inclusione nella lista dei toponimi
protetti a livello Ue ne inibisce l’utilizzo da
parte dei soggetti non legittimati. Esso, inoltre,
assicura una protezione contro l’impiego
diretto o indiretto per prodotti non dop-igp,
l’usurpazione, l’imitazione o l’evocazione,
le indicazioni false o ingannevoli sulla vera
origine dei prodotti e ogni altra pratica capace
di indurre in errore il consumatore7.
La tutela descritta è andata via via
espandendosi, fino a includere oggi l’obbligo
di attivazione degli Stati ex officio contro le
frodi o i tentativi di usurpazione stabilito
nell’ultimo aggiornamento della disciplina.
Non a caso il legislatore Ue ha abbandonato
nel titolo il riferimento alla protezione
dei nomi geografici, per passare in senso
decisamente più ampio alla disciplina dei
“regimi di qualità” dei prodotti agricoli e
alimentari. Come si può facilmente intuire,
l’attribuzione a questi istituti giuridici di
compiti e valenze ulteriori rispetto alla
semplice protezione di un diritto di proprietà
industriale può generare incertezze applicative,
soprattutto nella declinazione in concreto
del rapporto fra questi prodotti e i principi
generali sulla concorrenza.
Così, a titolo esemplificativo, la Corte di
giustizia Ce nel caso Cambozola, chiamata
a decidere se questa denominazione potesse
essere evocativa del noto “Gorgonzola
dop”8, ha tratto elementi di valutazione
dalla percezione del consumatore con
riferimento non solo alla fonetica, ma anche
alla morfologia del prodotto. Entrambi i
formaggi si presentavano con le classiche
striature derivanti dall’erborinatura, ed erano,
quindi, a giudizio della Corte, sovrapponibili
nell’immaginario collettivo. Al contempo,
per difendere la funzione remunerativa
del prodotto dop, la Corte, con due
sentenze sul Prosciutto di Parma e il Grana
Padano9, nel 2003 ha stabilito il divieto di
confezionamento all’estero, ancorché il knowhow e le condizioni ambientali risultassero
astrattamente riproducibili anche in zone
diverse da quella di origine.
Il conflitto fra prodotti tipici e similgenerici si fa più stridente quando la
competizione avviene solo in forma indiretta
e sul piano commerciale; lo ha evidenziato
una ricerca del 2012 della nostra Università
sul grado di consapevolezza dei consumatori
in relazione alle differenze fra Grana Padano
dop e altri formaggi da grattugia di varia
provenienza esposti in forma promiscua
negli scaffali dei supermercati. La questione è
estremamente delicata, anche perché in alcuni
casi le produzioni “generiche” sono effettuate
sullo stesso territorio della dop e recano in
etichetta richiami all’origine che possono
trarre in confusione il consumatore, sebbene
in sé veritieri e quindi non censurabili sul
piano giuridico10.
La diversità di concezioni (privatistica, che
consente la registrazione dei toponimi come
marchi, e pubblicistica, che vede nei nomi
geografici l’espressione di un territorio e della
sua cultura) ha portato di fatto alla paralisi dei
negoziati per l’implementazione dell’articolo
22 del Trattato di Marrakech sulla protezione
delle indicazioni geografiche nell’ambito
wto, e al tentativo dell’Ue di procedere
autonomamente con accordi bilaterali con
singoli Stati. La tutela internazionale di questi
prodotti resta, quindi, ancora frammentaria,
consentendo talora clamorose contraddizioni
del rispetto dell’identità enogastronomica dei
popoli, come dimostra la nascita negli Usa di
un vero e proprio Consortium for common food
names che professa il diritto all’uso di nomi
ritenuti generici come “Asiago” o “Parmesan”
nel marketing di alimenti totalmente realizzati
all’estero e interviene anche in Europa
con opposizioni e azioni di contrasto alla
registrazione di nuove indicazioni geografiche.
2.2. Sul diverso versante dei prodotti che non
possiedono un legame agri-qualitativo con
il territorio, ma sono comunque espressione
delle tradizioni produttive italiane, la
battaglia si sposta sul concetto più generale
di made in Italy e l’indicazione dell’origine
nell’etichettatura. Com’è noto, la normativa
europea esclude per la maggior parte dei
prodotti l’obbligo di indicazione di origine,
imponendola solo quando la sua omissione
potrebbe trarre il consumatore in inganno
circa la reale natura del prodotto offerto in
vendita11. L’impostazione deriva dal timore,
più volte emerso anche sul piano giudiziale,
della possibile ricostruzione di barriere
commerciali fra stati membri dell’Ue legate
a suggestioni nazionalistiche, e ha portato
alla paralisi di una proposta di imposizione
dell’obbligo di etichettatura di origine a tutti i
prodotti, nonostante gli sforzi della presidenza
italiana che si è appena conclusa.
La tutela offerta in questi casi non ha
carattere formale (come nel caso delle dop-igp,
ove il dato dirimente era ed è l’inclusione nella
“lista” dei nomi registrati), bensì sostanziale:
occorre accertare in concreto l’esistenza di
elementi ingannevoli nella etichettatura,
presentazione o pubblicità dei prodotti
che portino il consumatore ad attribuire
all’alimento una origine diversa da quella reale.
Il regolamento Ue 1169/2011,
concernente le informazioni ai consumatori
sugli alimenti, ha gettato le fondamenta
di un’articolata disciplina (ancora in corso
di implementazione) sui casi in cui sia
necessaria una discovery della filiera in
etichetta12, vietando, in termini più generali,
l’attribuzione a un prodotto di una origine o
provenienza errata13.
In Italia la legge 350/03, art. 4 c. 49,
ha cercato di porre un limite al proliferare
di prodotti nella cui etichetta compaiono
bandiere, monumenti, costumi tradizionali
italiani e altri simboli o riferimenti capaci
di trarre in inganno il consumatore sulla
vera origine (estera) del prodotto, istituendo
una autonoma figura di reato con rinvio,
quoad poenam, a quanto previsto dall’art.
517 c.p.. La casistica assume, talora, livelli
allarmanti ove si consideri che in Cina sono
in costruzione città con il nome “Parma”
o “Cremona”, negli Stati Uniti esistono 21
città denominate “Florence”, 17 “Rome”, 14
“Milan”, 11 “Naples”, 5 “Turin” e così via.
Anche la pratica a noi più vicina è, purtroppo,
assai ricca di esempi: dal triplo concentrato di
17
pomodoro cinese dichiarato “product of Italy”
una volta diluito e trasformato in doppio
concentrato di pomodoro14, a oli di origine
mediterranea importati in Italia per svolgere
solo l’imbottigliamento ed essere rivenduti
all’estero come campani o toscani15.
Lo “scontro” si è così trasferito sul
concetto di “origine”, che in base al codice
doganale Ue deve intendersi – quando
alla fabbricazione di un alimento abbiano
concorso due o più paesi – il luogo
“dell’ultima trasformazione sostanziale”,
ossia economicamente giustificata e tale da
determinare una modifica significativa del
prodotto o delle materie prime di partenza.
È così stato ipotizzato che la “trasformazione
sostanziale” implichi una modificazione
chimica (dal carattere tendenzialmente
“irreversibile”), non essendo sufficiente il
semplice processo “meccanico” (come, per
esempio, una sminuzzatura o vagliatura) a
generare un prodotto “nuovo”. La Suprema
Corte di Cassazione ha tuttavia smentito
l’assunto16, ritenendo “italiana” una
macedonia preconfezionata ottenuta da frutta
estera, valutazione che si affianca al recente
parere del Ministero dello sviluppo economico
circa la compatibilità della denominazione
“italico” per un formaggio ottenuto in Italia
da latte austriaco.
Vicende come quelle descritte alimentano
le polemiche di chi afferma che il prodotto
“italiano” debba necessariamente contemplare
l’uso di materia prima italiana per non tradire
la vera essenza della nostra produzione agroalimentare. Il concetto di “origine” resta,
tuttavia, di natura giuridica e si atteggia
diversamente a seconda della tipologia di
prodotto cui ci si riferisce e alla funzione
normativa che gli si vuole attribuire.
In quest’ottica occorre, poi, una ulteriore
precisazione di estrema importanza: la
normativa sul made in Italy colpisce i
tentativi di inganno circa l’origine effettiva
del prodotto, non il mero Italian sounding.
La semplice evocazione di ricette italiane,
l’ispirazione a tradizioni gastronomiche
nostrane e l’impiego, talora stravagante,
di riferimenti all’italianità, quando non è
materialmente “decettivo”, cioè ingannevole,
non rientra nei divieti della disciplina in
commento e, in funzione del concreto
18
atteggiarsi dell’etichetta, nemmeno nella
fattispecie di “pubblicità ingannevole” prevista
dal Codice del Consumo.
Così l’uso di una immagine della
mozzarella bianca con il pomodoro rosso e
il basilico verde contornata da un paesaggio
toscano non è stato giudicato ingannevole per
la presenza dell’indicazione dello stabilimento
di produzione all’estero, e, probabilmente,
il richiamo in numerosi marchi alla “cucina
italiana” (non all’origine italiana del prodotto)
potrebbe avere la medesima sorte. In questo
modo la grande vocazione italiana per il
cibo viene sicuramente confermata a livello
globale dalla diffusione di nomi, ricette e
richiami vari, ma, paradossalmente, l’effetto
di “annacquamento” rischia, specialmente sui
mercati emergenti, di privare il nostro Paese del
tratto identitario che la nostra enogastronomia
ci ha sempre garantito nel mondo.
3. La sintetica esposizione delle problematiche
relative alla protezione del made in Italy
evidenzia le criticità che l’Italia deve affrontare
in questa cruciale battaglia per la tutela della
propria identità, delle proprie tradizioni e
della propria economia nel mercato globale.
La scelta di puntare su un concetto restrittivo
di made in Italy, che includa anche la materia
prima, è probabilmente una strada sbagliata; la
normativa Ue è decisamente contraria a questa
ipotesi, e anche dal punto di vista materiale
non pare in linea con la vera vocazione del
nostro Paese.
Il made in Italy è soprattutto il know-how
di trasformazione, come dimostrano alcuni
esempi ben noti: la pasta è ottenuta per la
maggior parte con grano proveniente da altri
paesi, ma è un prodotto universalmente noto
come “italiano”; l’Italia è notoriamente paese
di formaggi, ma il latte che produciamo non
è assolutamente sufficiente a realizzare tutte
le nostre specialità gastronomiche; persino
prodotti dop come la bresaola della Valtellina
devono la loro diffusione sul mercato alla
possibilità di sfruttare carne argentina o di
altri paesi anche extra-europei, ben sapendo
che il tratto univoco si identifica nella
lavorazione e nel processo di maturazione
nello specifico ambiente geografico che dona
il nome a questi prodotti. D’altra parte
anche dal punto di vista “storico” alcune
eccellenze tipicamente italiane devono molto
allo scambio con altri popoli e altre aree del
mondo: forme di globalizzazione ante litteram
ci hanno consegnato materie prime come il
pomodoro o le arance; prodotti considerati
tipici della nostra tradizione come i taralli
sono in realtà di derivazione greca (da
δάρατος, un tipico pane greco) mentre, al
contrario, persino dop come la feta devono
il proprio nome ai mercanti veneziani (da
“fetta”, formato con cui veniva servito il
formaggio greco).
Nello scenario descritto l’indulgere
su visioni eccessivamente restrittive della
filiera produttiva rischia di alimentare le
contrapposizioni, e di rendere quindi meno
forte la posizione italiana nel contesto dei
negoziati di aggiornamento degli strumenti
giuridici che dovranno garantire nei prossimi
decenni la protezione della nostra identità
enogastronomica nel mondo. Il made in Italy
si difende anzitutto con la conservazione del
“saper fare”, e con la straordinaria e irripetibile
capacità degli italiani di coniugare la tradizione
con la ricerca e l’innovazione. Credo che
questo sia il miglior auspicio anche per
tutti noi, che iniziamo oggi un nuovo anno
accademico di studi e ricerca.
Note
Cfr. www.expo2015.org/it/cos-e
Cfr. L. Feuerbach, Il mistero del sacrificio o l’uomo
è ciò che mangia [1862], in Gesammelte Werke, ed.
Werner Schuffenhauer, Verlag, Berlin, 1967 ss., 10,
S. 358.
3
Nelle motivazioni del Comitato intergovernativo
che nel 2010 ne ha deliberato l’inclusione nella
lista si legge che «la dieta mediterranea (dal greco
δίαιτα, stile di vita) è molto più che un semplice
alimento. Essa promuove l’interazione sociale,
poiché il pasto in comune è alla base dei costumi
sociali e delle festività condivise da una data
comunità e ha dato luogo ad un notevole corpus di
conoscenze, canzoni, massime, racconti e leggende.
La dieta si fonda sul rispetto del territorio e della
biodiversità, e garantisce la conservazione e lo
sviluppo delle attività tradizionali e dei mestieri
collegati alla pesca, all’agricoltura nelle comunità
del Mediterraneo (…)».
4
Nelle motivazioni della decisione si legge che
«il sito include il range dei processi tecnici ed
economici relativi alla coltivazioni della vite e
produzione del vino che ha caratterizzato per secoli
la regione».
1
2
Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual
Property Rights, allegato al Trattato di Marrakech
istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio.
6
La differenza fra dop ed igp consiste
essenzialmente nel fatto che le prime implicano
che tutto il processo produttivo, a partire dalle
materie prime, sia realizzato nell’area geografica
del disciplinare (salve limitate eccezioni), mentre le
altre implicano solo che la fase più significativa del
processo (o anche solo la notorietà del prodotto)
derivi dalla zona geografica indicata nel toponimo.
7
Cfr. art. 13 reg. 1151/2012 UE.
8
Sentenza della Corte di giustizia Ue, 4 marzo
1999, causa C-87/97.
9
Sentenze della Corte di giustizia Ce, 20 maggio
2003, cause C-108/01 (Consorzio del Prosciutto
di Parma at al. c. Asda Stores LTD) e C-469/00,
(ravil et al.).
10
Si veda come caso emblematico la sentenza del
Tribunale di Cagliari 1363/2014 del 15 maggio
2014, relativo a un pecorino fatto in Sardegna con
latte sardo, non dop, recante in etichetta ampi
richiami alla terra di origine.
11
Cfr. art. 26 reg. Ue 1169/2011 concernente
le informazioni sull’origine degli alimenti ai
consumatori.
12
Si veda, a titolo esemplificativo, l’estensione
alle carni diverse da quelle bovine dell’obbligo di
indicazione del luogo di nascita, allevamento e
macellazione degli animali.
13
La pratica è peraltro vietata anche dalla direttiva
2005/29 Ce sulle pratiche commerciali sleali,
recepita in Italia dal Codice del Consumo.
14
Cfr. Tribunale di Nocera Inferiore, sentenza n.
404/2012, in Alimenta, 2013, I, p. 16 ss.
15
Per una ampia rassegna della casistica si veda il
report di Federalimentare “Viaggio nel ‘supermercato’
del falso made in Italy alimentare”, reperibile su
Internet all’indirizzo http://www.federalimentare.
it/m_comunicati_det.asp?ID=168.
16
Cfr. Cassazione penale, sez. III, sent. 27250/07.
5
19
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PREMIAZIONI
I MIGLIORI LAUREATI
ANNO ACCADEMICO 2012-2013
FRANCESCA AIROLDI
ELIA ANGELINO
Dipartimento di Studi per l’economia e l’impresa
Nata a Novara, residente a Romentino (NO)
Laurea magistrale in Management e finanza
Disciplina: Economia e gestione delle imprese
avanzata
Titolo della tesi: «La gestione dei rifiuti solidi
urbani: analisi delle principali aziende italiane
che operano nel settore»
Relatore: prof. Giovanni Fraquelli
Correlatore: prof. Fabrizio Erbetta
Votazione: 110/110 e lode con menzione
Scuola di Medicina / Dipartimento di Scienze
della salute
Nato a Borgosesia (VC), residente a Coggiola (BI)
Laurea magistrale in Biotecnologie mediche
Disciplina: Medicina rigenerativa
Titolo della tesi: «La grelina deacilata promuove
la rigenerazione del muscolo scheletrico»
Relatore: prof. Andrea Graziani
Votazione: 110/110 e lode
EMANUELA ANTONELLI
ELENA ARRIGONI
Scuola di Medicina / Dipartimento di
Medicina traslazionale
Nata a Torino, residente a Mussotto d’Alba (CN)
Laurea triennale in Infermieristica
Disciplina: Metodologia infermieristica
applicata alla medicina specialistica
Titolo della tesi: «Dimmi se mangi e ti dirò…
come ti senti: malnutrizione e depressione
nell’anziano, dimensioni e correlazione»
Relatore: prof.ssa Rita Agosto
Votazione: 110/110 e lode
Dipartimento di Scienze del farmaco
Nata a Biella, residente a Tronzano Vercellese
(VC)
Laurea magistrale a ciclo unico in Farmacia
Disciplina: Analisi dei farmaci
Titolo della tesi: «Sintesi di 1.4-benzodiazepine
come potenziali agenti antitubulinici»
Relatore: prof.ssa Ubaldina Galli
Votazione: 110/110 e lode con menzione
22
I MIGLIORI LAUREATI
ANNO ACCADEMICO 2012-2013
GIULIA BERGIA
MARIA CRISTINA BETTEGAZZI
Dipartimento di Studi umanistici
Nata a Casale Monferrato (AL), residente a
Bozzole (AL)
Laurea triennale in Lingue straniere moderne
Disciplina: Linguistica tedesca
Titolo della tesi: «Die Syntax, Semantik und der
Gebrauch von deutschem “also” im vergleich mit
italienischem “allora”»
Relatore: prof.ssa Miriam Ravetto
Votazione: 110/110 e lode con dignità di stampa
Dipartimento di Scienze e innovazione
tecnologica
Nata a Vigevano (PV), residente a Crescentino
(VC)
Laurea magistrale in Biologia
Disciplina: Biologia cellulare
Titolo della tesi: «Tumori stromali
gastrointestinali (GIST): entità nosologica rara
e modello esemplare per l’utilizzo di terapie
personalizzate su base molecolare»
Relatore: prof. Stefano Biffo
Correlatrice: prof.ssa Stefania Erra
Votazione: 110/110 e lode con menzione
ELISA BORTOLINI
MARIO CALVO
Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze
politiche, economiche e sociali
Nata a Casale Monferrato (AL), residente a
Casale Monferrato
Laurea magistrale in Economia e politiche
pubbliche, ambiente e cultura
Disciplina: Economia pubblica
Titolo della tesi: «Optimal Local Jurisdictions’
Size and Recent Reforms»
Relatore: prof.ssa Carla Marchese
Correlatore: prof. Alberto Cassone
Votazione: 110/110 e lode
Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze
politiche, economiche e sociali
Nato a Casale Monferrato (AL), residente a
Pontestura (AL)
Laurea magistrale a ciclo unico in
Giurisprudenza
Disciplina: Diritto ecclesiastico
Titolo della tesi: «Profili giuridici in materia di
reati culturalmente e religiosamente motivati»
Relatore: prof. Roberto Mazzola
Correlatore: prof. Andrea Caraccio
Votazione: 110/110 e lode
23
I MIGLIORI LAUREATI
ANNO ACCADEMICO 2012-2013
ANNA COPPOLA
MATTEO FANULI
Dipartimento di Studi per l’Economia e
l’impresa
Nata a Novara, residente a Novara
Laurea triennale in Economia aziendale
Disciplina: Economia e gestione delle banche e
delle imprese di assicurazione
Titolo della tesi: «La Bancassurance Vita in Italia:
analisi della raccolta premi e della redditività
dei principali operatori durante la recente crisi
finanziaria»
Relatore: prof.ssa Paola Zocchi
Votazione: 110/110 e lode con menzione
Scuola di Medicina / Dipartimento di Scienze
della salute
Nato a Saronno (VA), residente a Saronno
Laurea triennale in Igiene dentale
Disciplina: Scienze dell’igiene dentale
Titolo della tesi: «Ruolo dello stress ossidativo
nella proliferazione di osteoblasti indotta
da stimolazione con laser a diodi per uso
odontoiatrico»
Relatore: prof. Mario Migliario
Votazione: 110/110 e lode
CHIARA GALLIONE
MIRIAM GRAVELLONE
Scuola di Medicina / Dipartimento di
Medicina traslazionale
Nata a Novara, residente a Novara
Laurea magistrale in Scienze infermieristiche
e ostetriche
Disciplina: Complessità assistenziale e
innovazione nel contesto medico
Titolo della tesi: «Misurazione del rischio
clinico di embolia polmonare: applicazione del
Revised Geneva Score in un Dipartimento di
Emergenza»
Relatore: prof. Giancarlo Avanzi
Votazione: 110/110 e lode
Scuola di Medicina / Dipartimento di
Medicina traslazionale
Nata a Magenta (MI), residente a Novara
Laurea magistrale a ciclo unico in Medicina e
Chirurgia
Disciplina: Clinica medica
Titolo della tesi: «Polimorfismo del gene
pnpla3 ed elastometria epatica nel
monitoraggio della malattia da fegato grasso
alcolica e non alcolica»
Relatore: prof. Mario Pirisi
Votazione: 110/110 e lode con menzione
24
I MIGLIORI LAUREATI
ANNO ACCADEMICO 2012-2013
MANUEL LITURI
CHIARA PAOLINI
Dipartimento di Studi umanistici
Nato a Novara, residente a Novara
Laurea magistrale in Filologia moderna,
classica e comparata
Disciplina: Letteratura greca magistrale
Titolo della tesi: «Le metafore nell’Antigone di
Sofocle: lingua poetica e funzioni cognitive»
Relatore: prof. Luigi Battezzato
Votazione: 110/110 e lode con dignità di stampa
Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze
politiche, economiche e sociali
Nata ad Acqui Terme (AL), residente ad Acqui
Terme
Laurea triennale in Scienze politiche,
economiche, sociali e dell’amministrazione
Disciplina: Microeconomia
Titolo della tesi: «Derivati ed enti locali: aspetti
economici, finanziari, giuridici. Il caso di
Acqui Terme»
Relatore: prof. Roberto Zanola
Votazione: 110/110 e lode
LORENZO ZAMIRRI
Dipartimento di Scienze e innovazione
tecnologica
Nato ad Alessandria, residente ad Alessandria
Laurea triennale in Chimica
Disciplina: Chimica fisica
Titolo della tesi: «Ottimizzazione dei parametri
per il calcolo dell’energia di dispersione
molecolare»
Relatore: prof. Maurizio Cossi
Votazione: 110/110 e lode con menzione
25
PREMI SPECIALI
VI Premio “Roberta Caracci”
IV Premio “Giovanni Dellacasa”
Dipartimento di Studi umanistici
Nata a Ferno (VA), residente a Castelveccana
(VA)
Laurea triennale in Studio e gestione dei beni
culturali
Disciplina: Archeologia e storia dell’arte greca e
romana
Titolo della tesi: «Agrigento. Il Santuario a SudEst dell’Olympieion»
Relatore: prof. Carlo Zoppi
Votazione: 110/110 Lode
Dipartimento di Scienze e innovazione
tecnologica
Nata a Borgomanero (NO), residente a Lesa
(NO)
Laurea magistrale in Scienze chimiche
Disciplina: Chimica fisica ambientale
Titolo della tesi: «Materiali silicei a diverso
grado di porosità per applicazioni in celle solari
a colorante organico: sintesi e caratterizzazione
chimico-fisica»
Relatore: prof.ssa Chiara Bisio
Correlatore: prof. Leonardo Marchese
Votazione: 110/110 e Lode
DANIELA MAGNI
IV Premio “Francesco Malinverni”
ELISA COSTANTINI
Scuola di Medicina / Dipartimento di
Medicina traslazionale
Nata a Chivasso (TO), residente a Saluggia (VC)
Laurea magistrale a ciclo unico in Medicina e
Chirurgia
Disciplina: Clinica medica
Titolo della tesi: «Iter diagnostico-terapeutico
e outcome clinici in pazienti adulti ricoverati
per polmonite acquisita in comunità: studio
retrospettivo su 564 pazienti»
Relatore: prof. Mario Pirisi
Votazione: 110/110 con lode e menzione
26
CHIARA VITTONI
I MIGLIORI STUDENTI-ATLETI
LAURA PASSATORE
Scuola di Medicina / Dipartimento di Scienze
della salute
Nata a New York (Stati Uniti), residente a
Cambiano (TO)
Iscritta al corso di laurea in Fisioterapia
Medaglia d’oro ai Campionati nazionali
universitari di Milano nel Pugilato, categoria 64
kg (18 maggio 2014)
VALERIA ROFFINO
Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze
politiche, economiche e sociali
Nata a Biella, residente a Occhieppo Inferiore (BI)
Iscritta al corso di laurea in Società e sviluppo
locale
Medaglia d’oro ai Campionati nazionali
universitari di Milano nell’Atletica leggera,
specialità 3000 siepi (23 maggio 2014)
LUCA PICCHIO
Dipartimento di Scienze e innovazione
tecnologica
Nato ad Alessandria, residente a Valenza
Iscritto al corso di laurea in Scienze biologiche
Medaglia di bronzo al valore atletico del coni,
specialità Tiro con l’arco
27
IL PROFESSORE DELL’ANNO
MARCO NOVARESE
Dipartimento di Giurisprudenza e Scienze politiche,
economiche e sociali
Nato a Torino, residente a Torino
Professore associato di Economia politica
I MIGLIORI GIOVANI RICERCATORI
ALBERTO
MASSAROTTI
MAICOL
FORMENTELLI
PIERCARLO
ROSSI
Il più giovane ricercatore con
il miglior impact factor nelle
discipline scientifiche
Dipartimento di Scienze del
farmaco
Nato a Gattinara (VC),
residente a Prato Sesia (NO)
Settore scientifico-disciplinare:
Chimica farmaceutica
Il più giovane ricercatore
con il maggior numero di
pubblicazioni, soprattutto
internazionali, nelle discipline
umanistiche
Dipartimento di Studi
umanistici
Nato a Breno (BS), residente a
Ono San Pietro (BS)
Settore scientifico-disciplinare:
Lingua e traduzione / Lingua
inglese
Il ricercatore che ha attratto
più risorse per la ricerca
scientifica
Dipartimento di Studi per
l’Economia e l’impresa
Nato a Torino, residente a
Torino
Settore scientifico-disciplinare:
Diritto privato comparato
28
LA MIGLIOR PERFORMANCE INTERNAZIONALE
CRIMEDIM
Centro di Ricerca Interdipartimentale
in Medicina di Emergenza e dei Disastri
e Informatica applicata alla didattica
e pratica Medica
Staff: prof. Francesco Della Corte
(direttore); dott. Pier Luigi Ingrassia, dott.
Luca Ragazzoni, dott. Luca Carenzo,
dott. Massimo Azzaretto, dott. Fabio
Maccapani, dott.ssa Nidaa Bajow, dott.
Federico Barra, dott. Ahmadreza Djalali,
dott.ssa Marta Caviglia, dott. Davide
Colombo, dott.ssa Aurora Falcone, dott.
Marco Foletti, dott. Franco Foti, dott.
Jeffrey Franc, dott. Eugenio Bellotti, prof.
ssa Stefania Montani, prof. Mario Pirisi,
dott.ssa Alba Ripoll Gallardo, dott. Marco
Tengattini, prof. Paolo Terenziani, dott.
Fabio Volonté.
GLI EXPLOIT
CLAUDIO MARAZZINI
DANIELE VIOTTI
Dipartimento di Studi umanistici
Nato a Torino, residente a Torino
Professore ordinario di Linguistica italiana
Eletto presidente dell’Accademia della Crusca
il 23 maggio 2014 e vincitore del Premio
“Dante Alighieri Arte e Cultura 2014” (12
novembre 2014)
Nato ad Alessandria, residente a Torino
Parlamentare europeo
Alumnus della Facoltà di Scienze Politiche
(oggi Dipartimento di Giurisprudenza e
Scienze politiche, economiche e sociali) e già
senatore accademico
Candidato alle elezioni per il rinnovo del
Parlamento europeo nella Circoscrizione Italia
nord-ovest nella lista del Partito democratico;
eletto con 27.593 voti di preferenza (25
maggio 2014)
29
PROGRAMMA MUSICALE
LEONARD BERNSTEIN
Ouverture, da “Candide”
JOHANNES BRAHMS
Gaudeamus igitur (De brevitate vitæ)
da “Akademische Fest-Ouverture”
MICHAEL KAMEN
An American Symphony (Mr. Holland’s Opus),
dal film “Mr. Holland’s Opus”
DAVID FOSTER
Winter games
inno ufficiale dei Giochi Olimpici Invernali di Calgary,
Alberta (1988)
ORCHESTRA DELL’UNIVERSITÀ DEL PIEMONTE ORIENTALE
Direttore d’Orchestra:
EMANUELE FRESIA
Soprano solista:
BARBARA ROSETTA
Tastiera solista:
ROBERTO DELLEPIANE
30
UPO
IL MULTICAMPUS
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UPO - Università degli Studi del Piemonte Orientale