intervista Giorgio Schön ff di Marco Centenari - Fotografie di Romana Rocco TI, I E MASERA R A R R E F NARIO ONCESSIO C E H C E RA R LLO, OLT O DI VETTU IE OSA IP IO T I -G N O G T O U ON DI A DI UNA FAM C A T O IO L S IS R N IG O F IO . C Z O E COLL ILOTA HA NOPOST RIERA DI P TO: LA MO I VITA R N A IA C P A IM U R S NO STILE D U OLO S A NELLA Z N N U A . G À E IT ELL’EL DA VELOC ATEZZA E D IN F F DA RALLY E A R A LL A FATTO DE STILISTA, H 44 AUTOMOBILE | MAGGIO 2009 e s s a l c i d o c c o t n U 45 MAGGIO 2009 | AUTOMOBILE intervista Giorgio Schön Anche una delle Ferrari di Gilles Villeneuve (al centro tra la rossa F40 e la gialla 360) fa parte della collezione di Giorgio Schön. Nella pagina a fianco, la coda dell’Opel GT 1900 che vediamo anche sotto insieme alla grande Commodore 2500. un tipo spiritoso, Giorgio Schön. Un umorista sottile, raffinato. Non se la prende quando gli dicono che è un uomo “firmato” perché figlio di Mila Schön, una delle più grandi stiliste italiane. «Sì, firmato Diaz», risponde sorridente. E narra di un curioso fenomeno che si verificò nell’Italia trionfante della fine del 1918, dopo la diffusione dello storico bollettino della vittoria del 4 novembre. I nostri soldati avevano sconfitto gli austriaci sul Carso, e il generale Armando Diaz annunciò la vittoria mediante un bollettino che si concludeva seccamente con “firmato Diaz”. A quel tempo ancora parecchia gente aveva un livello scolastico molto basso e quel “firmato” venne inteso come il nome proprio del generale. E così, nell’entusiasmo collettivo, alcuni neonati vennero battezzati Firmato: Firmato Brambilla, Firmato Esposito, e così via. Lui, però, è “firmato” davvero. Non tanto fuori, dove aspetto fisico ed eleganza vanno oltre ogni giudizio. È firmato dentro. È un uomo esclusivo per stile e piacevolezza, che sembra arrivato dagli ambienti della più alta diplomazia internazionale. E in verità, pur essendo un uomo d’affari, può essere davvero considerato un ambasciatore, perché diffonde con convinzione lo straordinario messaggio di due firme dell’automobilismo italiano: Ferrari e Maserati. E lo fa dopo aver operato per anni nel campo dell’alta moda. Il passaggio, come dice lui stesso, è stato faci- È 46 AUTOMOBILE | MAGGIO 2009 le, perché forma e sostanza sono le stesse, quelle dell’ingegno e del gusto italiani. Ma con l’automobile Giorgio Schön ha un legame che va ben oltre la professionalità. È un legame antico e radicato, che nasce dalla passione. «Sì, la passione che mi ha trasmesso mio padre, che ha partecipato a due o tre Mille Miglia, quelle vere, e che è stato il fondatore della scuderia Sant’Ambroeus – racconta –. Ma forse il motivo ancor più forte risiede in una circostanza casuale: quella della coabitazione nello stesso stabile di corso Sempione, a Milano, con la famiglia del grande Alberto Ascari. Il palazzo era loro e la mia famiglia era in affitto. C’era profonda amicizia tra noi. Io giocavo con Tonino, il figlio di Alberto, che era appena più grande di me. Io sono del ’46 e all’epoca d’oro di Alberto ero un bambinetto. Giocavamo in solaio, Tonino e io, anche se c’era qualche divergenza di tema: io adoravo i trenini, lui i carrarmati e i soldatini. Entrambi, chiaramente, eravamo come rapiti dalle imprese di Alberto, che seguivamo anche dal vivo. A Monza per esempio. E andavamo in vacanza insieme, a Cortina. Ricordo che una volta feci il viaggio con Alberto, con la loro auto di famiglia, che era un’Aurelia B12. Rimasi impressionato da quel maestro, che guidava con una dolcezza e una fluidità incredibili. Non cambiava mai. Mise la quarta fuori di casa e la tolse a Cortina. E un giorno mi fece fare un giro a Monza con una Ferrari Barchetta. Inebriante. Ecco, penso che la mia passione per l’automobile abbia queste radici». E quando hai cominciato a correre? «A 21 anni, nel 1967. Piuttosto tardi si direbbe oggi, quando i ragazzini cominciano a correre in kart a otto anni. Ma all’epoca andava così. Per prendere la licenza a 18 anni occorreva la patria potestà, e io sapevo bene che non l’avrei ottenuta. Aspettai quindi di essere mag- giorenne e cominciai. Da tempo con un mio amico risparmiavamo i soldi per comprarci una macchina. Inizialmente ci eravamo tassati con una quota di mille lire la settimana, ma ben presto capimmo che a quel ritmo i soldi per la macchina li avremmo messi insieme a cinquant’anni. E allora adottammo un regime fiscale molto più rigoroso, alla Padoa Schioppa, e passammo da mille a diecimila lire la set- timana. In tal modo riuscimmo a comprarci una Mini Cooper S, inglese, perché la Mini Innocenti non c’era ancora, e con quella cominciammo. Base di partenza, come per gran parte dei giovani della nostra generazione, furono i rally. Noi, tanto per essere modesti, cominciammo con quello... “meno impegnativo”, il Rallye di Montecarlo, 1967. Correvamo entrambi con uno pseudonimo, per non esse- re individuati dalle famiglie. Il mio era Nohcs, che è Schön letto alla rovescia; quello del mio amico Agrev, Verga. Ci beccarono subito, anche perché io ero nella condizione del sorvegliato speciale grazie alla bella idea che avevo avuto tempo prima, di far preparare da Conrero la Mini che mia mamma usava quotidianamente. Ma ormai il dado era tratto. Con la Mini io corsi anche in pista e vinsi tre campio- 47 MAGGIO 2009 | AUTOMOBILE intervista Giorgio Schön nati italiani di velocità. Poi passai alla Porsche e con l’amico Giovanni Borri, di Parma, che faceva i profumi per il nostro marchio di moda, disputai il campionato internazionale marche. Gran bella esperienza, che ho poi ripetuto con la Beta Montecarlo ufficiale dopo che ero entrato nella squadra Lancia. Col team Martini, invece, allora diretto da Cesare Fiorio, ho corso molto nei rally, con tutte le versioni della Delta, fino alla S4». Cosa ricordi di questo squadrone italiano che, come si diceva all’epoca, faceva tremare il mondo? «Quello che ricordo con più piacere è il clima che si era instaurato all’interno del team. L’atmosfera era sempre piacevolissima, goliardica, e i rapporti tra noi che eravamo tutti diversi l’uno dall’altro, con personaggi irripetibili, come Munari, Mannucci, Verini, Russo, Ballestreri, erano sempre e comunque improntati alla più sincera amicizia. E, a proposito dello squadrone che fece tremare il mondo, voglio raccontare della tremarella che prese questi grandi uomini, questi cavalieri del rischio, per una curiosa circostanza di cui fui io l’involontario protagonista. Eravamo in Finlandia, e il giorno prima del rally io cominciai ad avvertire un fastidioso prurito in varie parti del corpo. Il dottor Bartoletti, nostro medico, mi diede un’occhiata e sentenziò senza appello: varicella. Come varicella, alla mia età? Certo, se non l’hai fatta da bambino... Ed ecco che tra i grandi uomini, tutti, non uno esclu- 48 AUTOMOBILE | MAGGIO 2009 so, si scatenò una furibonda corsa al telefono. Il prefisso per l’Italia! Mamma, mamma, sono io, ho fatto la varicella da bambino? Certo tesoro che l’hai fatta. Ma sei sicura? Sono sicurissima, e hai fatto anche il morbillo e gli orecchioni. La scarlattina no, sta attento!». E della tua esperienza di motonauta cosa ci racconti? Sappiamo che hai corso in offshore e che hai vinto una Viareggio-Bastia-Viareggio, vero? «Sì, è vero, ma fu una cosa del tutto casuale ed estemporanea. Un giorno mi telefona Cesare Fiorio e mi chiede se voglio andare a fare un giro in motoscafo. Che giro? La Viareggio-Bastia. Però, dico io, proprio un giretto! Sì, ma è solo per onor di firma, me l’ha chiesto il proprietario della barca, che è il Dry Martini. Lui non può, ha degli impegni. A me servirebbe un pilota e ho pensato a te. Tu sai andar per mare, no? Sì, ma ci vado con un gozzo da pesca, che fa sì e no dieci nodi. Va benissimo, è la stessa cosa, vedrai. E infatti vidi: oltre duemila cavalli, più di 200 all’ora... Vai tranquillo, mi dice Cesare, devi solo tirare diritto. Vado e tiro diritto. E infatti arriviamo primi a Bastia, che è in Corsica. Al ritorno si scatena un uragano, una pioggia terribile e, sul mare in burrasca, non vedo più niente. Guido tenendo due dita sull’occhio sinistro per garantirmi una finestrella di visuale. Il destro è chiuso. A un certo punto si fermano i motori, cominciano a fumare, c’è il pericolo d’incendio. Quelle barche sono serbatoi galleggianti, si sta a galla su ettolitri di carburante. Ho paura, quasi quasi mi tuffo e proseguo a nuoto, ma sono in mezzo al Tirreno, non ce la farei. Miracolosamente i motori ripartono, schizziamo via verso Viareggio e arriviamo di nuovo primi. Alla premiazione, nell’atmosfera mondana della Bussola, lo speaker invita sul palco i protagonisti della gara: ed ecco a voi il trionfatore Cesare Fiorio accompagnato dal fido meccanico Giorgio Scone! Capito? Da notare che Cesare era la settima o l’ottava gara che faceva con quello scafo, legato alla nostra squadra, corse per via della sponsorizzazione Martini. E non aveva mai vinto prima. Feci un’altra garetta senza impegno, ma poi tornai al mio gozzo diesel. Anzi, adesso preferisco la vela. Se ci ripenso fui molto fortunato in quella circostanza. Su quella stessa barca trovò la morte Stefano Casiraghi, il marito di Carolina di Monaco. In campo automobilistico, invece, fu l’incidente di Herbert Muller, che morì proprio davanti a me in Francia, nel Campionato marche, che mi convinse a smettere di correre. Avevo già quattro figli, dirigevo l’azienda di mia madre e non so proprio come riuscissi a trovare il tempo per correre. Per certi versi fu una liberazione, ma durò poco. Ricominciai a correre nelle gare per auto storiche, chiaramente con molto minor impegno ma, devo dire, con immutato divertimento. Anzi, se penso a certe macchine inglesi che ho guidato e che conservo tuttora, come la Lotus 23, quella con cui Jim Clark seminò il panico Nella prima foto a sinistra, si intravede un motoscafo offshore: Schön ha vinto anche in motonautica. Le bottiglie del Rosso Corsa vengono prodotte per gli amici e i clienti. Una visita alla sua modernissima concessionaria milanese fa sognare a occhi aperti. negli squadroni Porsche e Ferrari in una leggendaria corsa al Nürburgring, il piacere è stato davvero grande». Non hai mai corso con vetture di formula? «No, e un po’ me ne dolgo perché secondo me, e anche a giudizio di altri, il mio stile di guida si sarebbe adattato bene alla precisione che richiedono le vetture a ruote scoperte. I rally sono tutt’altra cosa, è vero. Ma io, tanto per fare un esempio, prediligevo i percorsi innevati, dove occorre una condotta molto dosata. Ti dirò di più riguardo a quello che manca nella mia carriera di pilota: non ho mai corso con una Ferrari, nemmeno nelle gare storiche. Forse è stata una forma di timore reverenziale nei confronti di queste macchine straordinarie, che ai miei tempi erano irraggiungibili. Però ho fatto correre molti piloti con le Ferrari della mia scuderia Rosso Corsa nelle gare del Challenge. Abbiamo conquistato otto titoli su undici. Posso quindi dire di aver vinto con la Ferrari, ma non da pilota». Ma oltre al Rosso Corsa, non c’è anche un Rosso Barchetta fra le tue passioni? «Certo e, come qualche buontempone mi ha già chiesto, non riguarda i miei trascorsi motonautici ma attiene proprio all’automobile e a quel tipo particolare di vettura da competizione che venne definita “barchetta” per le sue 49 MAGGIO 2009 | AUTOMOBILE intervista Giorgio Schön forme arrotondate e piatte con leggera tendenza del muso e della coda a risalire verso l’alto. Si trattava delle classiche vetture aperte, delle Sport biposto, che correvano nelle gare di durata come la Mille Miglia, la Targa Florio, la 24 Ore di Le Mans. In questo settore Ferrari e Maserati hanno probabilmente recitato il ruolo più importante. Ecco perché dire oggi barchetta significa chiamare in causa le nostre due storiche case sportive. Io ho usato questo termine non per un’automobile ma per un vino, che produco io, nella mia terra. Un vino rosso che per le sue doti può suscitare emozione, come una macchina da corsa. Lo regalo ai miei clienti. Una confezione magnum nel bagagliaio». Non è Lambrusco, vero? «No, è diverso, anche se il Lambrusco lo conosco bene, non solo grazie a Giovanni Borri, che è parmigiano, ma anche per un altro motivo che ha legato una fase della mia vita all’Emilia e in particolare a Parma. Studiavo a Milano, alla Bocconi, e nonostante dedicassi molto più tempo alle corse che allo studio, non andavo male. Ma c’erano due scogli che per me, come per molti altri, sembravano insormontabili. Il primo era l’esame di matematica, col professor Ricci, che la prima volta mi disse: 15 qui o 18 nel cortile. Non capii e mi buttò fuori. La seconda volta, debitamente istruito dagli anziani, gli dissi subito 18 nel cortile. Il professore segnò il voto sul libretto e lo buttò fuori dalla finestra. E io andai a raccoglierlo, appunto nel cortile. Passato. Con il professor De Maria, invece, che insegnava economia, non ci furono né 18 né cortili. Fui costretto a emigrare all’Università di Parma, dove vuoi per il Lambrusco, vuoi per il prosciutto, il culatello, il formaggio e le belle ragazze, mi laureai. È una bella città Parma». È la mia città, ti ringrazio. «Ah, ma allora tu bevi Lambrusco. Meriti un assaggio di Rosso Barchetta. Vieni, brinderemo alla memoria di Enzo Ferrari!». 50 AUTOMOBILE | MAGGIO 2009 In alto, “Ferrarissime” da collezione. Al centro, Giorgio è tra la Mini Cooper con cui ha cominciato a correre e una Lotus 23. In questa immagine, “Barchetta” (come quella appesa alla parete) è anche il nome del vino rosso prodotto dalle cantine di Schön.