All’interno:
Morning
Glory
Baustelle
In uscita
nel 2011
N. 1/2011
8 GENNAIO 2011
ArtsClub Italia
Arts Club
Awards
2010
1
news
Beady Eye in arrivo
La band di Liam Gallagher e
degli ex Oasis, senza Noel,
ha pronto il primo album
della nuova carriera: si
intitolerà Different Gear, Still
Speeding e uscirà il prossimo 28 Febbraio. Singolo di
lancio è ‘Four Letter Word’,
previsto nei negozi il 17
Gennaio.
Klaxons, EP gratuito
Regalo di Natale dei Klaxons
ai fan: la band ha rilasciato in
download gratuito sul loro
sito Klaxons.net l’EP intitolato Landmarks Of Lunacy,
contentente sei canzoni fra
quelle “cassate” dalla casa
discografica durante le registrazioni del secondo album
della band.
Subways, una colletta
I Subways (foto) hanno promosso una sorta di azionariato popolare per finanziare
le registrazioni del loro
terzo album: i fans potranno
effettuare una donazione,
e a seconda della cifra, potranno persino avere l’album
recapitato direttamente a
casa. Il ricavato coprirà le
spese di registrazione e in
parte andrà in beneficenza.
Verdena, WOW
Si chiama WOW ed è uno
degli album più attesi del
2011: parliamo dei Verdena,
che hanno recentemente rilasciato il singolo di
lancio ‘Razzi Arpia Inferno
e Fiamme’, gustosa anteprima di un lavoro imponente
costituito di ben 27 tracce.
L’album sarà disponibile dal
18 Gennaio.
Death Cab For Cutie
Nuovo album in arrivo per
la band di culto dell’indie
americano. Si intitolerà Codes And Keys, ed è previsto
per il 2011 ancora, però,
senza una data precisa. Lo
produrrà Alain Moulder, che
ha lavorato con Nine Inch
Nails e Depeche Mode. “Sarà
pieno di tastiere”, ha rivelato
il frontman Ben Gibbard.
Arts Club, it’s good
to be back
Song of the year:
Suburban War, Arcade Fire
di Redazione
di Alessandro Gandini
E
così, come promesso mesi addietro, eccoci di nuovo qua con il vostro
magazine bello colorato a chiudere il
primo anno della nostra vita e ad aprire il secondo, questo 2011 che già dai
primi rumours si preannuncia un anno
interessante sotto il cielo dell’indie
rock. In attesa di scoprire cosa ci riserverà il futuro, diamo ancora un’occhiata a questo 2010 che musicalmente,
senza retorica, ci ha dato tanto. Un
po’ per gioco, un po’ per sfida, ci siamo
dunque cimentati con un’attività divertente e al contempo molto difficile: dare
le pagelle alla musica indie degli ultimi
dodici mesi. Non è stato facile, la redazione si è confrontata e ha discusso, e il risultato di questo
confronto è ciò che trovate nelle prossime pagine: che è solo la nostra opinione, e come tale non
è la verità. Ma ci piace offrirvi il nostro punto di vista, e grazie ai social network e alla rivista Paper
Street che ci ospita nella sua sezione musicale potete anche dirci come la pensate, se siete d’accordo con i nostri premi, se abbiamo preso clamorosi abbagli.
Eccovi dunque la prima edizione degli Arts Club Awards. Abbiamo preso in considerazione tre
macro-categorie: Best Song, Best Album e Best New Artist, affiancandovi alcuni “premi speciali”
come l’evento dell’anno, l’artista meglio vestito, il miglior live, cercando di fornirvi uno scorcio,
dalla nostra angolazione, dell’anno appena trascorso. Chi vince? Chi perde? Tra poco lo scoprirete. Buona lettura!
Morning Glory 2010
P
artiamo con una confessione. Sono sempre stato in difficoltà nei confronti degli Arcade Fire, dei quali ero da sempre
consapevole del grande talento: eppure, in passato faticavo a
schiacciare il tasto repeat (esclusa la devastante ‘Rebellion’) e a
non pensare che le loro canzoni si trattavano di ottimi lavori cui
mancava qualcosa, senza cioè che il mio gusto mi riportasse in
modo naturale ad ascoltarli copiosamente, come succede con
altri artisti molto meno bravi. Poi però l’affresco suburbano, evoluzione e consacrazione, mi ha definitivamente steso e convinto.
Suburban War vince l’Arts Club Award 2010 come miglior canzone dell’anno, perché apice compositiva all’interno del concept
album capolavoro “The Suburbs”. L’incedere grandiosamente disturbante di questa canzone narra di una periferia sonora postmoderna e scura, racconta di amicizie che si dividono e di paesaggi che cambiano per colpa del tempo che modifica e violenta
cose e persone, “they keep erasing all the streets we grew up in”,
e la malinconia lascia spazio al disturbo, all’alienazione, alla patologia del vivere della periferia e della città del terzo millennio,
che fa violenza all’anima in un affresco sublime. E infine, inaspettata e solenne, l’esplosione finale, che è un lamento, un urlo
disperato di aiuto e di paura per il senso di smarrimento dell’identità e dell’esistere, nel presente, del passato e del presente.
In fondo quello con cui abbiamo a fare nei nostri giorni è
una guerra quotidiana, che non è fatta di oggetti ma di parole usate come armi, e del sentimento dell’angoscia come
categoria di spazio e tempo della contemporaneità. Questa canzone è come guardarsi allo specchio e fare i conti con questa realtà, senza nessun trucco che l’addolcisca.
di Lucio Laugelli
G
A
nche quest’anno si è svolto Morning Glory,
il contest per band emergenti promosso dall’Associazione Culturale e Rivista On-line Paper
Street. Terza edizione, sicuramente quella con
più iscritti e più traffico on-line. Se nel 2008 e
nel 2009 le cose erano andate bene, quest’anno
sono migliorate ulteriormente: da tutto il Nord
Italia (e non solo) gruppi emergenti hanno dato
la loro adesione fino ad arrivare al consueto live
finale – svoltosi al Qba, locale alessandrino –
dove hanno vinto i The Last Project, indie rock
band di Pavia (foto). Secondi i Bob In The Box,
from Milano. Grazie all’appoggio della Provincia
di Alessandria, ad uno staff ormai collaudato e a
tutti gli sponsor che hanno creduto in Morning
anche quest’anno gli artisti emergenti hanno avuto una vetrina on-line (prima) e dal vivo (dopo)
per far conoscere le proprie canzoni senza spendere un cent. L’appuntamento è per Morning
Glory 2011 e, come abbiamo già accennato nelle nostre pagine sui social network, molte cose
cambieranno: per scoprire di cosa si tratta non vi resta che restare collegati con noi e con il circuito della musica indipendente promossa da Paper Street.
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Top 5
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li Arcade Fire piazzano addirittura due
canzoni in questa speciale classifica, entrambe
tratte da “The Suburbs”: la seconda di queste
(quarto posto) è We Used To Wait altra perla dal
medesimo genio. Non solo Canada nel “best
song of 2010”, ma certo tanta America, con gli
sperimentali Interpol di Lights (terzo posto) e
il pop-rock di Pyro dei Kings Of Leon (quinto
posto), stelle ormai affermate anche in ambito
commerciale. Meritevole di maggiore attenzione è però il caso dei Foals (foto), band anglogreca di stampo intellettuale che ci regala un
capolavoro degno quasi del primo posto, Spanish Sahara, meravigliosa ballata di quasi sette minuti che figurerebbe stupendamente in
qualunque album dei Radiohead. Rimangono
fuori dalla Top 5, con rammarico, gente come i
The Drums, i Klaxons e tanti altri che ci hanno
fatto ballare, cantare, sognare. Ma i posti erano
pochi, e la concorrenza alta. (a.g.)
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unner up come miglior album dell’anno, sicuramente “High Violet” dei The National. Giunto pochi
anni dopo “Boxer”, si conferma quasi emozionante
e intenso come il suo predecessore. Complice la
calda e riconoscibile voce di Matt Berninger, ogni
canzone del disco, a partire dalla prima, la struggente, Terrible Love, regala all’ascoltatore un suono
pregno di intimismo ma caratterizzato da un crescendo quasi da arena. Tra chitarre, archi, e atmosfere lo stile National è sempre più perfezionato e
inimitabile. Pezzi come Conversation 16, nonostante non siano troppo accessibili, non possono non
toccare il cuore dell’ascoltatore.
Tirando le somme, se avrete la costanza e l’attenzione di immergervi completamente in un disco
del genere, dopo qualche ascolto vi troverete di
fronte a una gemma rara, a un disco quadrato e
sentito. Dalla frizzantemente sostenuta Bloodbuzz
Ohio, alla dolce e malinconica Runaway, ogni canzone dell’album, ogni canzone è caratterizzata da
atmosfere di meditazione, a volte di oscurità, che lo
rendono unico per atmosfera e trasporto. Meritevoli della Top 5 i lavori di These New Puritans, Gorillaz
e Caribou. (a.b.)
Anno nuovo
uscite nuove
Best Album:
The Suburbs,
Arcade Fire
5
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T
di Alessandro Blangetti
F
ra tutti i dischi usciti in questo 2010, “The Suburbs”, terzo album dei
canadesi Arcade Fire, è sicuramente quello più epico e azzeccato. Un lavoro molto atteso, dopo i primi due capolavori del gruppo (gli osannatissimi “Funeral” e “Neon Bible”) che però non ha disatteso le aspettative.
Quasi un concept album, che tratta i nostalgici temi della crescita, del
cambiamento, dell’abbandono dei sobborghi natii e della conseguente
acquisizione di consapevolezza e preoccupazione per la decadenza del
mondo che ci circonda. Tema ricorrente nei brani del disco sono infatti
la guerra che viene a crearsi nei sobborghi urbani e la devastazione della
natura ad opera di tecnologia e urbanistica rispetto agli anni della propria
infanzia, a cui consegue una perdita di serenità (di tutto questo parla ad
esempio il primo brano del disco, omonimo dell’album).
Anche i suoni di questo LP sono molto eterogenei, e passano dalla rabbia quasi punk di Month Of May alle influenze eighties di Sprawl II. E poi
ce la splendida, barocca, Rococo. L’alternanza delle voci di Win e Regina,
poi, garantisce ulteriore particolarità e varietà al lavoro. Rispetto ai vecchi
album dei nostri però, nonostante la cura e l’artificiosità messa in certi
suoni, “The Suburbs” risulta assai più accessibile e mai prolisso nonostante la sua lunga durata.
Brani come Ready To Start, Suburban Wars e Half Light II (No Celebration)
hanno arrangiamenti complessi e trattano temi delicati, ma sono di sicuro impatto per qualsiasi ascoltatore.
Il riff di A City With No Children, ad esempio, non può non rimanere in
testa già al primo ascolto, e l’entusiasmo per il pezzo cresce ogni volta
come in ogni brano dell’album.
Il gruppo di Montreal ha tirato fuori canzoni belle e misurate, nonostante
l’hype che gli si era creato intorno. Nonostante un paio pezzi del lungo
lavoro girino a vuoto, “The Suburbs” (foto cover sotto) risulta l’album della
consacrazione al grande pubblico per gli Arcade Fire e il miglior momento musicale del nostro 2010. Un album studiato, ma con canzoni pop di
una qualità che in quest’anno è rimasta insuperata.
Q
uesto 2011 appena iniziato si preannuncia
davvero interessante. Imminenti in arrivo i Verdena,
ormai certezze dell’indie nostrano; dal Regno Unito
poi tornano i White Lies, a due anni dal tormentone
To Lose My Life. Dall’anno nuovo ci attendiamo un
paio di ritorni eccellenti e attesi: gli Strokes, ad esempio, dopo qualche anno di progetti solisti, vanno alla
ricerca del loro quarto album. Forse più di tutti, però,
aspettiamo i Glasvegas, chiamati a confermare l’incredibile debutto del 2008. Tra i nomi storici dovrebbero tornare R.E.M., Radiohead e forse (ancora) gli
U2. E ancora: Mumford, Fleet Foxes e Death Cab For
Cutie. Ce n’è per tutti i gusti. Last but not least: i cool
hunters di NME sono pronti a giurare su Anna Calvi,
songwriter britannica dal nome italianissimo, accreditata come la nuova PJ Harvey. Se son rose... (a.g.)
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sordio apprezzatissimo del dublinese Conor J. O’Brien, ex membro dei
The Immediate e ora mente e voce dei
Villagers che con questa prima fatica
si fa notare per capacità di arrangiamento e trasposizione delle emozioni
che si alternano e si susseguono nello
stesso brano evolvendosi, così come il
tema del disco che è incentrato sulla
crescita personale e l’evoluzione. L’inizio dell’album con I Saw the Dead è
sostenuto ma sinuoso nel decorso incessante del piano ad accompagnare
questo requiem barocco che tratta appunto della morte. Becoming A Jackal
è il singolo che alza i toni, lasciando in
mente questa melodia pop/folk inizialmente molto intimistica che aumenta
grazie alla capacità delle percussioni
di caricare di tensione a dovere ove
ve ne è bisogno, dando cambio di ritmo e lasciando pochissimi attimi di
distrazione, mantenendo sempre alta
la concentrazione dell’ascoltatore, un
po’ come per la maggior parte del disco. Ship Of Promises porta al folk più
orchestrale alla Arcade Fire con ritmo
serrato di percussioni. La sua voce cristallina porta alla mente vari richiami
ad altri cantanti molto diversi tra loro,
da Morrissey in alcuni casi fino a Thom
Yorke (in Pieces), passando per Bright
Eyes senza dimenticare Neil Hannon
con la sua componente di baroque
– pop d’autore. Fondamentale la sua
capacità di riuscire a legare assieme
indissolubilmente linee vocali, base ritmica e chitarre, orchestrando tutto in
modo da rendere ogni elemento parte integrante dell’altro. That Day e The
Pact (I’ll Be Your Fever) scorrono leggere come gli accordi che O’Brien tesse
con delicatezza innata fra fiaba e realtà
come un cantastorie d’altri tempi. Leggiadro. Completano la Top 5 Avi Buffalo, Wild Nothing e Beach Fossils. (n.d.a.)
Best Debut:
Tame Impala,
Innespeaker
di Nicholas David Altea
D
a Perth (Australia) arriva il debutto più
convincente. Sono i Tame Impala che fra la
marea di band emergenti si innalzano su
tutti. Merito non solo della loro ottima reinterpretazione, non pedissequa di tutto l’ampio spettro della psichedelia, ma anche dalla
capacità di trasmetterlo a chi meno ha attitudine a questi gusti musicali. Vuoi poi per
la giovane età media (20 anni) e la buona
maturità musicale espressa; vuoi per i premi
ricevuti in patria e per l’ottima impressione
fatta al pubblico ma soprattutto alle band a
cui hanno avuto l’opportunità di far da spalla (Muse, Kasabian, Black Keys, Mgmt, Yeasayer e Mars Volta) che questi giovani riescono
a farsi notare con arrangiamenti arzigogolati, pensati e minuziosamente studiati con
naturalezza. Le radici psichedeliche ‘70 sono diluite in atmosfere sottomarine patinate
e vertiginose. Chitarre leggermente sporche che si arrovellano su se stesse dove la voce
non va mai troppo sopra. L’apertura con It’s Not Meant To Be è sognante e dilatata nella
sua melodia mentre in Desire Be Desire Go i rimandi sono beatlesiani di fine anni ’60.
Alter Ego e Lucidity portano una ritmicità che diventa ostinatamente di matrice “krauta”, aprendo ad atmosfere segnate da venature elettroniche senza tralasciare la melodia
presente e portante. Solitude Is Bliss (primo singolo) ricorda qualche elemento dell’indie
pop di stampo francese (Phoenix) e risulta uno dei pezzi cardine, la somma perfetta e
dosata di quello che gli australiani volevano farci arrivare. Tutto l’album si muove coeso
come un torrente nel fitto sottobosco psichedelico, denso di melodia e chitarre doubleface. Minuziosi.
Baustelle,
Sussidiario Illustrato
della Giovinezza
E’
sicuramente la ristampa più interessante dell’anno 2010, dieci anni dopo l’uscita
del 2000 appunto, torna la ristampa di uno degli album italiani più belli del decennio
passato: “Sussidiario Illustrato della Giovinezza” dei Baustelle. Inizialmente prodotto in
1000 copie, ristampato in tiratura ridotta e subito esaurito nuovamente. Oltre al cd e
al tour dove sono state eseguite le tracce del loro primo album, per i veri collezionisti
è disponibile “Il Cofanetto Illustrato della Giovinezza” contenente la ristampa in vinile
del primo demo in cassetta del ‘96, un 45 giri con Gomma
e La Canzone del Parco reincise per l’occasione, la ristampa rimasterizzata del cd originale e, per la prima volta,
l’album in vinile, con una differente sequenza dei brani;
un libretto di 24 pagine con testi, commenti, foto e memorabilia accompagnati da una introduzione di Federico
Guglielmi, il tutto ridisegnato e progettato graficamente
da uno degli illustratori più prestigiosi quale Alessandro
Baronciani. (n.d.a)
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Best Live:
LCD Soundsystem
@ OpenAir Saint Gallen, 25/6
Best Dressed: Jonathan
Pierce, The Drums
di Alessandro Blangetti
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Event of the Year:
Libertines Reunion
@ Reading, 28/8
di Nicholas David Altea
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al 2004 Pete aveva lasciato i Libertines e nel 2005 si erano sciolti definitivamente. Un lustro dopo, il 31 Marzo 2010
l’annuncio ufficiale della reunion ventilata già mesi prima.
Festival di Reading e Leeds le prime e uniche date salvo l’aggiunta nel finale di una serata qualche giorno prima del festival, all’HMV Forum di Londra. Sabato 28 Agosto, Reading;
gli headliner sono gli Arcade Fire e sulla loro qualità non si
può dir nulla, ma l’evento dell’evento sono loro, i 4 “libertini”
tutti assieme sullo stesso palco. Lo si nota quando alla fine
dell’esibizione di Dizzee Rascal una marea di gente si muove
verso il main stage scontrandosi contro altrettanto pubblico
che stava allontanandosi dal palco. Attimi di panico e qualche svenimento per la calca creatasi ma poi tutto torna sotto
rovatomi al festival Open Air di San Gallo principalmente per
seguire uno dei primi live degli Strokes dopo la loro lunga lontananza dai riflettori, mi imbatto nel concerto che per il sottoscritto
è risultato sicuramente il più trascinante dell’anno. Sto parlando
dell’esibizione alla manifestazione svizzera degli LCD Soundsystem, che hanno dato, nell’occasione specifica, prova di grande
verve e versatilità sul palco. James Murphy, anima del progetto
LCD, si presenta agli occhi del pubblico con un’ intero stuolo di
musicisti al suo fianco, come sempre di grande spessore. Se non
stupisce più la presenza e la eccellente abilità coi sintetizzatori
analogici del solito Gavin Russom (anche lui di scuderia DFA) lascia
però di stucco l’ingresso sul palco ad inizio live di Graham Coxon,
storico chitarrista dei Blur, che durante l’esecuzione dei vari pezzi
del gruppo si dimostrerà un performer a 360 gradi, arrivando in alcuni pezzi a suonare addirittura un piccolo xilofono. Ma non basta
un’ottima band di supporto per rendere un’esibizione indimenticabile, e in questo caso possiamo dire che James Murphy riesce a
metterci del suo per rendere tutto perfetto, con un cantato e una
presenza scenica mai sopra le righe ma sempre e comunque trascinanti. Fin dai primi pezzi la gente non può fare a meno di ballare
sul groove di alcuni pezzi del gruppo di New York, e presto ci si
accorge che i brani del nuovo album dal vivo risultano ancora più
completi e trascinanti. Canzoni come Pow Pow sprigionano infatti
un ritmo incontenibile, che non può che essere ancora maggiore
nei pezzi più famosi degli LCD Soundsystem, a partire dai brani del
celebre e osannato Sound Of Silver, fino ad arrivare all’encore chiuso dall’incredibile Losing My Edge, che ascoltata in presa diretta si
conferma ancora di più come uno dei pezzi più belli mai scritti (e
non solo da James Murphy, sia chiaro). Durante tutta l’esibizione
l’entusiasmo del pubblico rimane sempre ai massimi livelli, e calcolato che fino a mezz’ora prima lo stesso palco era stato infiammato
dagli Strokes, l’impresa era tutt’altro che facile. (a.b.)
controllo.
Salgono sul palco.
Se non c’eri puoi solo immaginare il groppo in gola e l’agitazione. Se invece hai avuto la fortuna di essere presente, ti sembrerà
di aver fermato il tempo per quell’ora e mezza, un dormiveglia
agitato e consapevole, immobile nel tempo. Un boato assordante sul palco li accoglie. Salgono sul palco come se non fossero
mai scesi, come se non si fossero mai lasciati. Partiti con “Horrorshow”, andati avanti sino a “Boys In The Band”; “What Katie
Did”, “What Became of The Likely Lads” e “Can’t Stand Me Now”
le canta tutta Richfield Avenue e dintorni. “Time For Heroes” è interrotta da un problema tecnico dell’impianto di amplificazione,
ma riprende dove era stata interrotta.
Carl si avvicina a Pete, si parlano, si abbracciano, si spintonano
come bambini. Carl gli strappa la maglia e furente di colpo parte
“ I Get Along” per la chiusura.
Vedere su quel palco Pete e Carl è stato come vedere due fratelli
che non giocavano da tempo insieme. Uno ritornato dal college
svizzero e l’altro dagli zii di campagna hanno ripreso a giocare
assieme poiché solo così sapevano come divertirsi.
6
O
ltre a certi singoli particolarmente azzeccati, una cosa che ha certamente agevolato la veloce ascesa dei Drums è senza dubbio è il look vintage perfettamente studiato dei componenti del gruppo, che fatto guadagnare loro la stima di svariati fotografi e stilisti illustri. Heidi Slimane,
ad esempio, li ha voluti immortalare a tutti i costi in uno dei suoi famosi
servizi fotografici, colpito come molti dal loro abbigliamento curato nei minimi dettagli. Jonathan Pierce, biondo frontman del gruppo, è un perfetto
esempio di stile: pantaloni a vita alta, rimboccati in fondo come le maniche
della camicia, quest’ultima sempre e rigorosamente caratterizzata da fantasie vintage. E poi, all’occorrenza, felpe e giubbe collegiali d’annata. Tutti
capi di vestiaro che richiamano fortemente il passato ma che risultano nel
contesto odierno modaioli, proprio come la musica suonata dal suo gruppo. Jonathan stesso ha dichiarato in svariate interviste che quando si veste
non lascia nulla al caso. Non si può far altro che credergli, e premiare questa
sua attitudine fashion.
in uscita playlist concerti
17 Gennaio, White Lies: Rituals
Anna Calvi, Suzanne and I
31 Gennaio, Feeder @ Magnolia, Segrate (MI)
18 Gennaio, Verdena: WOW
Brandon Flowers, Only The
Young
19 Gennaio, Anna Calvi: Anna Calvi
12 Febbraio, Skunk Anansie @ Forum,
Assago (MI)
Klaxons, The Pale Blue Dot
14 Febbraio, Bright Eyes: The People’s
The Killers, Boots
Key
28 Febbraio, Beady Eye: Different Gear,
Verdena, Razzi Arpia Inferno e
Fiamme
Still Speeding
White Lies, Bigger Than Us
21 Febbraio, Fran Healy @ Tunnel,
Milano
4 Marzo, Verdena @ Hiroshima Mon
Amour, Torino
16 Marzo, Beady Eye @ Alcatraz, Milano
7 Marzo, R.E.M.: Collapse Into Now
15 Giugno, Foo Fighters @ Arena Concerti
Fiera, Milano
credits
staff
Credits: Arts Club è il magazine della Rivista Paper Street dedicato alla musica indie.
Da un’idea di Alessandro Gandini. Scrivici a: [email protected].
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Italia, Rivista Paper-Street e il gruppo Paper Street) e condividi con noi la tua musica
preferita. Arts Club: indie is cool.
Hanno curato questo numero:
Nicholas David Altea,
Alessandro Blangetti,
Alessandro Gandini,
Lucio Laugelli
e Francesca Avian (grafica).
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