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Accademia di Belle Arti di Brera
Milano
Arturo Martini
di Matteo Olivari
Prof. Miklos N. Varga
IV anno del Corso di Scultura
prof. A. Cavaliere - M. Ceretti
Anno Accademico 1984/85
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Prologo
Quando ho dovuto pensare all’argomento per la tesi finale di storia
dell’arte, uno degli artisti che mi sono venuti in mente è stato Arturo
Martini.
Sono al quarto anno del corso di scultura, pensai, e voglio incontrare
una persona che possa darmi degli stimolanti punti di riflessione sul
fare artistico in generale e in particolare su quest’arte affascinante che è
la scultura.
Una figura che potesse anche aiutarmi in questi primi passi da
“apprendista stregone” che incominciavo a fare.
Sembra assurdo iniziare una tesi su di un artista, parlando di sè stessi.
In realtà ciò è estremamente logico se penso che questo incontro mi ha
permesso di scoprire delle affinità con Martini.
Cercando di capirne la personalità artistica e umana, ho intuito di trovarmi di fronte un amico che da tempo mi aspettava.È come guardarsi
allo specchio e trovare delle rispondenze con l’immagine che ci sta di
fronte.
È chiaro che io non cerco paragoni o accostamenti - come potrei? - ; le
“somiglianze” sono di ordine mentale e di atteggiamento nei confronti
di una pratica artistica che tende a rivestire interamente l’esistenza,
fino ad assumerne il controllo.
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Non sembrino presuntuose queste parole sulla bocca, o è meglio dire
sulla penna, di un ragazzo, ma invece vorrei che venissero lette come il
presentimento di un destino, per la costruzione del quale io lavoro e
impegno le mie energie.
Costruzione che si mette costantemente in rapporto con un vivente in
atto, con una situazione culturale che mi appartiene e che mi circonda.
L’espressione di me stesso io cerco, come pure la cercò Arturo Martini.
Ho detto all’inizio che ho trovato delle rispondenze con il modo di rapportarsi all’arte e al fare artistico di Martini e il mio (!).
Ciò l’ho potuto fare leggendo i suoi scritti, in particolare quei “Colloqui
con Ar turo Martini” (1) che Gino Scarpa, giornalista, tenne con l’artista
nel 1944.
Sono illuminanti per capire la complessa personalità martiniana; qui
possiamo quasi toccare la sua profonda irrequietezza che gli faceva
assumere atteggiamenti e posizioni contraddittorie sui vari argomenti
che man mano trattava.
La lettura di questo libro è un po’ difficoltosa per il particolarissimo
modo di parlare di Martini, il quale è come un fiume in piena che nel
suo scorrere non guarda cosa trascina con sé, ma avanza, fino a trovare
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uno sbocco, qualcosa che possa accoglierlo e nel quale possa trovare
quiete.
Martini mi ricorda questo fiume; il fiume di parole che dice e che deve
dire quasi per un bisogno interiore di spurgo e di chiarezza.
Lui stesso ha detto che doveva parlare per estarre dal magma di pensieri,
qualcosa di illuminante, un pensiero preciso sull’arte e sulla scultura.
Ora che ci penso, tutta la sua attività artistica può reggere al paragone
col fiume che sempre scorre; quasi rigenerando costantemente la sua
pena, Martini non poteva esimersi dal creare sculture dalle quali però
non si sentiva appagato.
Anche quando scriverà quel famoso libretto intitolato “La scultura lin gua mor ta” (2) nel ‘45, lo farà quasi per liberarsi di un groppo fastidioso che lo turbava da tempo (almeno da quando, per ragioni professionali, aveva dovuto operare in un modo a lui estraneo).
Martini si scaglia contro l’aspetto più deteriore della scultura, che nel
suo tragico destino si trovò coinvolta in strani giochi di potere; ma
mentre prima la soccorrevano il buon gusto e la bravura degli artisti,
quando questi due elementi indispensabili le vennero meno, ebbe a
comparire ciò che sfinì il suo corpo stanco: la statuaria monumentale!
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Questa e solo questa fu la ragione che spinse Arturo Martini a scrivere il
tanto discusso libretto; è contro ciò che si scagliano le proprie amarezze
di artista, che si vede in qualche modo frustrato nel desiderio di rivincita che lo trova apparentemente solo.
Il suo è lo sconforto di chi si vede vinto dopo una lotta che lo ha impegnato a fondo succhiandogli tutte le energie; lotta che era iniziata fin
dagli anni ‘30, quando dopo aver vinto la I Quadriennale Romana
(1931), cominciarono in misura massiccia ad arrivargli le commissioni da parte dell’ufficialità.
In realtà Martini aveva già lavorato per la committenza quando, avendone vinto il concorso, eseguì il Monumento ai Caduti di Vado Ligure
nel ‘23; e aveva anche provato, con il Monumento al Pioniere, fatto a
nome dell’americano Maurizio Sterne, quanto fosse triste e arido l’esercizio di un mestiere che rimane sganciato dall’autentica ragione della
pratica artistica -come pure di qualsiasi pratica che metta in gioco la
propria individualità : l’espressione di sé, del proprio sentire interiore
che si manifesta in una forma tangibile.
Una dolente nota di sconforto - e anche di speranza , per chi non si
fermi all’apparenza, ma voglia carpirne la sostanza - è presente nel
libretto e accompagna il cadenzare degli argomenti trattati: “Domande
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all’estetica, Immagine, Ritmo, Metafora, Nomi della scultura,
Ripetizione della statua, Linguaggio, ecc.”.
Cerco di mettere in evidenza le vere ragioni dell’esistenza di questo
libro (ampiamente chiarite dagli studiosi) quasi per un bisogno personale di sicurezza.
Sicurezza di una possibilità non negata al mio operare.
Credo che a questo punto come ogni tesi che si rispetti, io mi debba
mettere a parlare senz’altro dell’artista Martini e invece la smetta di
parlare in termini di relazione Martini-Matteo.
Sarà comunque inevitabile che durante l’esposizione, io mi metta
costantemente in rapporto con la sua figura, perchè tale è la ragione che
mi ha spinto a sceglierla quale soggetto, non essendo il mio scopo quello di scrivere un saggio critico.
Io non sono uno storico dell’arte, ma uno che vuole operare secondo i
mezzi che sono propri alla scultura.
Da qui un punto di contatto; e non mi sembra poco.
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Prologo - Matteo Olivari