LETTERA DEL PARROCO Anno 2013, numero 12 - mese di dicembre Cari fratelli e care sorelle nel Signore, come tutti sanno il Natale di Nostro Signore è celebrazione della sua nascita, della sua venuta, del suo prender casa nel nostro mondo e non è una celebrazione facile, perché è all’incrocio di tre fili che insieme disegnano il tessuto della vita di chi crede e magari inquietano chi non crede. www.parrocchie.it/milano/angelicustodi [email protected] Via Pietro Colletta 21, Milano Parrocchia Angeli Custodi Il filo della memoria. È indiscutibile la nascita nel tempo e nello spazio di un bimbo di nome Ieshua’ o Iehoshua’, che significa JHWH è salvezza o JHWH salva. Un nome proprio per nulla originale in Terra Santa, ma reso famoso perché quel bimbo nato a Betlemme disse con parole e con la vita di essere il Figlio di Dio, il Messia promesso e atteso da millenni. Per i discepoli di tale Maestro, ricordare la sua nascita non è celebrazione nostalgica o mero ricordo, ma confessione di fede: in quel punto dello spazio e del tempo la storia dell’uomo e del mondo fu rivelazione di Dio ovvero l’uomo scoprì che Dio (proprio Dio!) ha del tempo e dello spazio per l’uomo, è un Dio-con-noi, l’Emanuele. E se dopo due millenni per noi questo annuncio rischia di essere cosa già nota, di risuonare come dato acquisito, come risposta scontata e semplice anche sulla bocca dei nostri bimbi, in realtà non lo è proprio: chi di noi può dirsi cristiano? Al massimo possiamo confessare in tutta verità e sincerità che ci proviamo, ma che non abbiamo nessun titolo per meritarci il paradiso, che resta una grazia purissima. In questo numero: Ci hanno parlato… Giuseppe Gennari pag. 3 Ci hanno parlato… Claudia Mazzucato pag. 4 Il catechista pag. 6 Avvento e presepe pag. 8 Leggere insieme il Vangelo pag. 9 Raccontare la carità per favorire i cambiamenti pag. 11 Gruppi di Ascolto della Parola di Dio nelle Case pag. 13 Per inviare suggerimenti, lettere e articoli scrivere a: [email protected] Il filo dell’oggi. Il Natale di Gesù è da sempre celebrazione eucaristica ovvero rendimento di grazie per la sua morte e risurrezione e a questo riguardo si potrebbero dire tante cose, ma mi limito a una. Il Natale lo celebriamo in chiesa come Chiesa (assemblea dei credenti) il 25 dicembre di ogni anno finché Lui, il Signore, non tornerà alla fine dei tempi. In questo modo la nostra fede, la fede della Chiesa, confessa che quel Natale non appartiene alla storia passata, ma è di oggi: oggi nasce il Signore per far rinascere creature nuove i credenti (e i non credenti). E rinascere insieme, non da soli. Ringraziamo Dio di averci donato Papa Francesco che sta cercando di disegnare un cammino evangelico per la Chiesa e per tutti coloro che vogliono rinascere con quel Bimbo. Scrivevo nel marzo di quest’anno (erano i giorni del Conclave) che la tentazione nel tempo dell’attesa del nuovo Papa fosse quella di sognare il Papamessia che da solo mette a posto le cose. Son passati 9 mesi da quel 13 marzo e è bene ricordare le sue prime parole: Fratelli e sorelle, buonasera! Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo … ma siamo qui … Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo Vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca. E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio Cardinale Vicario, qui presente, sia fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella! E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me. Mi pare che gli auguri per questo Natale possano essere quelli di camminare insieme: ora è il tempo della Chiesa e non solo del Papa. E quando a Natale saremo riuniti nelle nostre case, invito tutti a una pausa di silenzio perché il Signore che nasce benedica il nostro Papa. Il filo del domani. L’ho visto per pochi giorni su un muro delle nostre case e mi ha fatto pensare: un cartellone pubblicitario completamente azzurro, senza nessuna scritta o immagine. L’azzurro del cielo, del mare, del nostro pianeta fiorito in un universo buio… Cosa scrivere disegnare su quell’azzurro? Da parte mia lo so e ringrazio quel panettiere sardo che me lo ha suggerito. Nei giorni bui del ciclone preparava gratuitamente 300 kg di pane per chi ne aveva bisogno e disse queste poche parole al giornalista che lo intervistava: “Non si può non farlo” e i suoi occhi aggiungevano “Guardati intorno!”. Il suo volto e le sue parole ci stanno proprio bene in quell’azzurro. Buon Natale a tutti! Don Guido Pagina 2 Ci hanno parlato… Giuseppe Gennari, GIP presso il Tribunale di Milano (a cura di Fabrizio Favero) Giuseppe Gennari, GIP presso il Tribunale di Milano ci ha parlato del tema economia e legalità nella nostra città di Milano. Economia e illegalità è un binomio fondamentale che purtroppo identifica due dimensioni che vanno spesso a braccetto: la criminalità organizzata è un esempio di questi rapporti tra economia e illegalità nei termini in cui la criminalità organizzata si avvale del mondo economico e nella fattispecie di quello lombardo. La criminalità economica è una delle più dannose dal punto di vista sociale e una delle più trascurate, anche nelle aule dei tribunali, infatti è un errore pensare che sia un crimine di poco conto, poiché il bancarottiere (colui che si macchia del crimine di bancarotta) distrugge un sistema economico e mette sulla strada un sistema intero composto da dipendenti dell’azienda, fornitori, clienti, ecc... Parlare di infiltrazioni della criminalità organizzata nel mondo economico lombardo è fuorviante e chi sostiene che in Lombardia ci siano “solo” infiltrazioni sottovaluta di gran lunga la dimensione del fenomeno: la presenza stabile di criminalità organizzata risale ad almeno 20-30 anni fa. La mafia calabrese e siciliana in quegli anni dispiegava il suo potere con decine e decine di morti e di sequestri di persona che hanno portato negli anni ’90 ad azioni forti da parte dello Stato che attraverso numerose indagini e arresti hanno incarcerato e condannato per mafia fino a 2.500. Successivamente dagli anni ’90 e per un decennio si ha avuto un “periodo di vuoto”: poche indagini e una calma apparente che ha cancellato il passato dalla memoria collettiva, per “riscoprire” un “ritorno” della mafia calabrese a Milano intorno al 2006. In realtà non era nulla di nuovo, come ci dice Giuseppe Gennari, infatti la mafia calabrese degli anni 2000 è composta dalle stesse famiglie che avevano incominciato ad operare su Milano negli anni ’70 per arrivare ad avere oggi un totale controllo in Lombardia. Dunque e i fatti di questi ultimi 30 anni lo dimostrano, non ha senso parlare di infiltrazione mafiosa, ma piuttosto di una presenza stabile e radicata, data dal fatto che la mafia calabrese per sua natura ha una struttura basata su nuclei territoriali che si radicano nel territorio affermando la loro presenza. Non esistono soldi che vengono investiti dalla mafia in Lombardia, bensì persone e gruppi fisici di persone che vivono sul territorio ed esercitano il loro potere mafioso. Che cosa è successo in quegli “anni di vuoto”? Dopo gli arresti e tutta l’attenzione che lo Stato aveva posto sul fenomeno (2.500 persone arrestate), la criminalità ha capito che bisognava cambiare il settore di attività, non era più possibile e tollerabile ammazzare persone in strada poiché di fronte ad eventi di questo genere la cittadinanza si sarebbe ribellata con il conseguente intervento della forza pubblica. Dunque la mafia si “ricicla” cambiando attività e facendo economia ed impresa: non si fanno più morti, ma scavi e demolizioni, presentandosi con un biglietto da visita che è figlio delle uccisioni degli anni ’70-‘80. Ora si ha modo di fare mafia, attraverso il lavoro: se all’inizio l’impresa mafiosa era un’impresa subita dal contesto imprenditoriale non mafioso, progressivamente è diventata una componente naturale del lavoro (sappiamo che quelle cose –gli scavi e demolizioni– le fanno loro) arrivando addirittura ad essere “necessaria”, poiché forniscono un servizio. Ricorda Giuseppe Gennari, in Lombardia non c’è prova dell’esistenza di un pizzo, inteso come quello siciliano, ma vi è la presenza di una mafia forte del suo nome e della sua autorevolezza che si impone come impresa e in cambio offre un servizio che viene svolto veramente e viene fatto pagare come se il servizio fosse svolto da un’azienda “normale”. Non solo, addirittura vengono offerti servizi aggiuntivi, come ad esempio lo smaltimento dei rifiuti. Ecco che si ha assistito ad un rinnovamento del sistema mafioso; quello che trent’anni fa era solo la violenza dell’imposizione mafiosa, ora diventa una “convenienza” per tutti, poiché l’imprenditore stesso accetta il sistema, perché non si fida delle istituzioni qualora avviasse una denuncia e Pagina 3 denuncia e inoltre può alimentare il suo desiderio di guadagno e anche risparmiare. La mafia ora non è più un fenomeno temuto, perché ha avuto la capacità di rispondere ad un bisogno del territorio, senza disturbarlo, ma riuscendo a coesistere con esso: di fronte all’eccesiva burocrazia, alle eccessive regole, la mafia semplifica la vita all’imprenditore. In questo senso possiamo dire che la burocrazia italiana è “mafiogena”, ovvero la stessa burocrazia è un tessuto che favorisce la presenza della mafia. Gennari insiste poi sul rapporto diretto tra criminalità mafiosa e criminalità comune: il più grande errore infatti è pensare che il pagare una tangente o l’evasione di una tassa, sia altro dall’essere mafiosi, in realtà nel momento stesso in cui si compiono queste azioni, esse stesse sono funzionali all’organizzazione mafiosa, poiché si arriva ad un momento nel quale per fare quell’attività bisogna per forza avvalersi di persone che sono legate ad un’organizzazione mafiosa (documenti false, imprese che producono fatture false, ecc..) cosicché da semplice evasore si diventa alimentatori di un circolo mafioso. Non esiste una distinzione tra reati di mafia e gli altri legati al mondo economico, il problema della legalità e della lotta alla criminalità organizzata quindi non riguarda solo chi è a contatto in modo diretto con la criminalità organizzata, ma è una scelta di tutti poiché ogni volta che si fanno delle scelte illegali, si accede a delle logiche illegali e si ha la possibilità di venire a contatto con persone mafiose, bisogna avere la consapevolezza che accettando il loro modo di ragionare, si alimenta il loro potere. Non va dimenticato che le organizzazioni mafiose sono essenzialmente delle organizzazioni che estremizzano, anche con lo strumento della violenza, la naturale tendenza che noi italiani abbiamo al favore, al clientelismo, alla scorciatoia, al taglio della strada: non sono diversi o altro da noi, loro sono solo più professionali e più organizzati di noi con una rete di relazione ampissima che coinvolge medici, professionisti, ingegneri, commercialisti, direttori di banche che in cambio della parcella alimentano il meccanismo mafioso. Conclude Gennari dicendo che la mafia non si sconfigge per via giudiziaria, poiché in ultimo sono i meccanismi e modi di pensare e di agire che devono essere modificati e cambiati; gli arresti servono, ma fino ad un certo punto. Oggi non è più possibile far finta di niente, bisogna formare una coscienza collettiva, costruire consapevolezza che il problema esiste, attraverso il racconto e la denuncia di ciò che accade. Claudia Mazzucato, professoressa di diritto penale (a cura di Luca Massari) A partire dal difficile tema del senso della risposta al reato, Claudia Mazzucato ci ha proposto un discorso arduo da accogliere, ma che al contempo si percepisce come sentito, ragionato e affascinante. Ha preso le mosse dalla considerazione che il reato in democrazia e nelle dittature ha significati diversi: in democrazia non si tratta tanto della disubbidienza ad una norma. Anzi è successo nella storia del secolo scorso che l’ubbidienza ad un’autorità e ad una legge criminose nei contenuti, pur se legittime nella forma, abbia portato alle più gravi delle atrocità. In democrazia il reato è senza dubbio un fatto previsto dalla legge come tale, ma esso è l’offesa colpevole ad un bene rilevante. Tale bene deve Pagina 4 essere di rango almeno pari, se non superiore, alla libertà che viene privata al reo con la pena detentiva. Quindi la previsione di un fatto come reato si giustifica solo se questo fatto davvero ha una carica offensiva verso beni che preesistono all’intervento del legislatore; come ad esempio nel caso dei diritti umani. Essi vengono riconosciuti perché preesistono e non sono concessi dalla autorità. Perché ci sia un reato è necessario, almeno, che vi sia colpevolezza: che si potesse e si dovesse agire diversamente. In sintesi, il reato è un fatto offensivo commesso potendo e dovendo non compierlo. I reati colpiscono persone, non la maestà della legge: i beni che vengono lesi nel reato appartengono a qualcuno in carne ed ossa. La lesione di tali beni fa sorgere una domanda: la domanda di giustizia (che è anche il titolo di un libretto di C.M. Martini e G. Zagrebelsky, pubblicato per Einaudi nel 2003). Entrambi gli autori ci dicono che nessuna teoria della giustizia è soddisfacente e quindi quella di giustizia resta una domanda aperta. Tutti sappiamo, invece, subito molto bene che cosa sono le ingiustizie. Subire un reato significa quindi provare una esperienza di ingiustizia che fa nascere una domanda. A questa domanda bisogna rispondere e questo verbo rispondere ci porta di fronte al tema della responsabilità. Come dice il criminologo Adolfo Ceretti : bisogna passare dalla idea di responsabilità per qualcosa, alla responsabilità verso qualcuno. Se pensiamo alla domanda di giustizia come qualcosa che richiede una risposta verso gli altri, ci accorgiamo che servono verità e responsabilizzazione. Il processo penale, invece, è finalizzato ad applicare una pena al colpevole: a fare del male a chi ha fatto del male. Ne consegue che l’autore del reato non ha alcun interesse a responsabilizzarsi e a dire la verità, perché si farebbe del male da solo. E proprio per questo, la legge garantisce all’imputato il diritto di non rispondere e di dire il falso. La vittima, ascoltata in un processo, deve impegnarsi a dire la verità e, se non lo fa, verrà a sua volta punita (e anzi a volte le prime parole che la vittima si sente dire dalla giustizia sono proprio la minaccia di denuncia in caso di false dichiarazioni). Inoltre, nel processo penale, tutte le volte che l’autore non viene trovato o muore, la vittima non riceve alcuna risposta. La pena rischia di assomigliare troppo al reato; il caso della pena di morte è il più chiaro: uccidere chi ha ucciso. Ma in generale, fare del male a chi ha fatto del male contraddice il bene che si vuole difendere. Claudia Mazzucato, alla ricerca di una risposta alla domanda di giustizia che non sia nemica della giustizia come virtù, come verità e come responsabi- lizzazione e che sia coerente e fedele alla democrazia, ha proposto la giustizia ripartiva. Ha lavorato dal 1994 a tali programmi che consistono nel partecipare insieme, attivamente, volontariamente ad un lavoro di riparazione delle conseguenze e del reato, con il coinvolgimento del reo, della vittima e della comunità. Non si tratta di lussi che non si possono permettere, né di qualcosa di umanitario: si tratta di essere coerenti. È provato scientificamente che i paesi con sistemi penali più miti sono quelli che lanciano segnali più forti sui loro precetti penali. E, specie in democrazia, a noi interessa che le persone non compiano reati perché lo scelgono e non perché hanno paura della legge. Il precetto non uccidere è molto più forte in Italia che negli Stati Uniti d’America. In Sudafrica, la risposta all’Apartheid (che è un crimine contro l’umanità) è stata un percorso di giustizia ripartiva: la commissione verità e riconciliazione dovuta alla genialità e alla scaltrezza politica di Mandela che ha saputo vedere che passando attraverso la punizione legittima degli autori del reato di Apartheid il popolo sudafricano non sarebbe mai stato unito. Nel nome dell’unità del corpo politico sudafricano, Mandela ha proposto una giustizia che lavora con ago e filo per ricucire e non con la spada per ferire: chi ha avuto il coraggio di dire la verità di fronte alle vittime, ha avuto la amnistia. La verità più importante della punizione. Serata complessa: sono molti i dubbi e le domande; in parte presentati a Mazzucato, in parte mormorati o rimuginati tra sé. Claudia Mazzucato ha riletto le nostre contestazioni come segno della domanda di giustizia che resta aperta e ha portato diversi esempi. Ha anche proposto di portare in un incontro futuro alcune testimonianze. Colpisce, riassumendo questa serata, ricordare che l’intervento di Claudia Mazzucato si era concluso, prima della discussione, citando Nelson Mandela di cui rivediamo la testimonianza in questi giorni della sua memoria. Pagina 5 Il catechista Paola Tufigno Nell'anno della fede, a fine settembre è stato organizzato un congresso mondiale sulla catechesi, conclusosi con un pellegrinaggio a Roma e un incontro col Papa in piazza San Pietro, dove sua santità ha celebrato la S. Messa. Per me è sempre un'emozione vedere quanta gente, di tutte le nazioni, si raduna là davanti alla Basilica, forse la più famosa del mondo. I due porticati che si diramano da essa sono come le braccia di una madre (la Chiesa) che ti aspetta e ti accoglie: a me dà sempre questa sensazione, è come se là mi sentissi più "a casa". La fatica di entrare in piazza, dove ho raggiunto nelle prime ore del mattino un posto a sedere è stata ripagata dall'incontro col Papa. Durante l'attesa ci sono stati canti e la recita del Rosario in latino: l'uso di questa lingua mi ha fatto capire l'universalità e la cattolicità del momento ed è stato bello sentire quest'unità nella preghiera con gli altri fedeli presenti. Alle 10.30 è iniziata all'interno della basilica la celebrazione liturgica durante la quale si sono alternate a leggere persone di diversa nazionalità. Noi che eravamo nella piazza seguivamo grazie a dei pannelli visivi distribuiti qua e là. Un grande silenzio è sceso tra la gente quando il Papa ha iniziato la sua breve ma significativa omelia di cui riporto ciò che più mi ha colpito. Innanzitutto non si dice "fare il catechista" ma "essere catechista" Chi è il catechista? Colui che custodisce e alimenta la memoria di Dio. La custodisce in se stesso e la sa risvegliare negli altri. "è bello fare memoria di Dio, come la Vergine Maria che davanti all'azione meravigliosa di Dio nella sua vita non pensa all'onore, al prestigio, alla ricchezza, non si chiude in se stessa. Al contrario, dopo aver accolto l'annuncio dell'Angelo e concepito il Figlio di Dio, che cosa fa? Parte, va da Elisabetta, anziana parente, anch'essa incinta e nell'incontro con lei il suo primo atto è la memoria dell'agire di Dio della fedeltà di Dio nella sua vita, nella storia del suo popolo, nella nostra storia. Recita il Magnificat. Maria ha memoria di Dio (Luca 1, vv. 46-48-50). In questo cantico di Maria c'è anche la memoria della sua storia personale, la storia di Dio con lei, Pagina 6 la sua stessa esperienza di fede, ed è così per ognuno di noi, per ogni cristiano la fede contiene proprio la memoria della storia di Dio con noi, la memoria dell'incontro di Dio che si muove per primo, che crea e salva, che ci trasforma: la fede è la memoria della sua parola che scalda il cuore, della sua azione di salvezza con cui ci dona la sua vita, ci purifica, ci cura, ci nutre. Il catechista è proprio un cristiano che mette la memoria del suo incontro col Signore al servizio degli uomini, non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per parlare di Dio, del suo amore, della sua fedeltà. Parlare e trasmettere tutto quello che Dio ha rivelato cioè la dottrina nella sua totalità, senza togliere, né aggiungere. Il catechista allora è un cristiano che porta in sé la memoria di Dio, si lascia guidare dalla memoria di Dio in tutta la sua vita e la sa risvegliare nel cuore degli altri. È IMPEGNATIVO QUESTO! Impegna tutta la vita. Lo stesso catechismo, che cos'è se non la memoria di Dio, memoria della sua azione nella storia, del suo essersi fatto vicino a noi in Cristo, presente nella sua parola nei sacramenti nella sua chiesa nel suo amore? Cari catechisti vi domando: siamo noi memoria di Dio? Siamo veramente come sentinelle che risvegliano negli altri la memoria di Dio che scalda il cuore? Infine rifacendosi alla seconda lettura della Messa del giorno (Prima lettera a Timoteo Timoteo 6, 11) il Catechista è uomo della memoria se ha un costante, vitale rapporto con Lui e con il prossimo, se è uomo di fede, che si fida veramente di Dio e pone in lui la sua sicurezza, se è uomo di carità, d'amore che vede tutti come fratelli, se è paziente, perseverante e sa affrontare le prove, gli insuccessi con serenità, se ha speranza nel Signore, se è uomo mite, capace di comprensione e di misericordia." Dopo queste parole così chiare e incisive mi sono sentita addosso una grossa responsabilità. Mi sono anche detta che non ho fatto nulla per ricevere dal Signore il dono della fede, ma proprio perché mi è stato dato gratuitamente e ha reso la mia vita più bella e gioiosa, non posso tenerlo per me, ma occorre che lo comunichi agli altri, in particolare ai ragazzini del catechismo. Concludo con una frase presa dalla lettera pastorale del cardinale Scola (Il campo è il mondo pag 40): "pieni di gratitudine i cristiani intendono restituire il dono che immeritatamente hanno rice- vuto che, pertanto, chiede di essere comunicato con la stessa gratuità. Per noi catechisti il "campo" sono i nostri bimbi che iniziano il loro cammino verso Gesù Con l'aiuto del Signore buttiamo un seme di cui forse non vedremo i frutti ma il seme va buttato. Chiedo ai genitori di aiutarci e collaborare con noi in questo percorso verso si lui perché senza il sostegno della famiglie il lavoro è più faticoso. CI HANNO SCRITTO… Com’è bello leggervi ogni mese... È una "coccola" che non mi faccio mancare. Mi fa sentire lì, vicino a voi,in quella parrocchia degli Angeli Custodi, che mi è restata nel cuore. E... Com’è stato bello leggere i ricordi di don Guido che ho imparato a conoscere e stimare... Anche se non ho mai avuto il piacere di conoscere di persona. Spero un giorno di poterlo incontrare. Vorrei dare un grande abbraccio a tutti quelli della Pac, specie quelli di miei tempi ;) ... Roberta, Pierluigi, la Betti, Marco, Rombo e... Tutti gli altri, che so, hanno il privilegio di continuare il loro cammino, lì! Un salutone e grazie! Elena Fullin Pagina 7 Avvento e presepe 2013 Pippo con gli amici presepisti Secondo alcune fonti, la prima descrizione del presepio è presente in un Vangelo apocrifo, precisamente nel Protovangelo di Giacomo: Ed ecco che io, Giuseppe, camminavo e non camminavo più. Guardai nell'aria e vidi l'aria colpita da stupore; guardai verso la volta del cielo e la vidi ferma, e immobili gli uccelli del cielo; guardai sulla terra e vidi un vaso giacente e degli operai coricati con le mani nel vaso: ma quelli che masticavano non masticavano, quelli che prendevano su il cibo non l'alzavano dal vaso, quelli che lo stavano portando alla bocca non lo portavano; i visi di tutti erano rivolti a guardare in alto. Ecco delle pecore spinte innanzi che invece stavano ferme: il pastore alzò la mano per percuoterle, ma la sua mano restò per aria. Guardai la corrente del fiume e vidi le bocche dei capretti poggiate sull'acqua, ma non bevevano. Poi, in un istante, tutte le cose ripresero il loro corso. Questo mondo in attesa, immobile, che trattiene il respiro, nell'istante in cui nasce il Salvatore, lo ritroviamo come per incanto nei nostri presepi! Appunto, il nostro presepe: come lo faremo quest’anno? È la domanda che prima della pausa estiva ci pone don Guido, ma a dire il vero al rientro delle ferie non abbiamo ancora alcuna idea. La lettera pastorale del nostro vescovo «il Campo è il Mondo» ci ha suggerito il tema; gli argomenti trattati sono ampi e sfaccettati con particolare riferimento alla parabola del seme e la zizzania. Abbiamo dato inizio alle sei domeniche di Avvento ponendo alla base della prima candela un campo arido, sassoso, invaso da spine e sterpi; la seconda settimana il campo è dissodato, i sassi, le spine e gli sterpi sono raccolti al bordo del campo; la terza settimana è rappresentato un campo arato pronto per la semina; quindi alla quarta il campo è cosparso di seme; alla quinta i seme sono in germogli e alla sesta c’è un’esplosione di colori con bionde spighe di grano, fiori rossi e bacche colorate… il Natale è imminente!! Pagina 8 Il tema dell’Avvento ci fa volare con la fantasia in ambienti naturali e semplici, in quelle comunità rurali dove il tempo si ferma, dove Francesco tanti secoli fa diede il via ad una tradizione - tutta nostra - che dona a tutti, grandi e bambini, attese e stupore. Ecco che si concretizza il progetto, la nostra comunità respira ancora l’aria serena ed entusiasta del pellegrinaggio ad Assisi; quale idea migliore se non dar vita al tema dal quale siamo partiti ambientandolo «il Campo è il Mondo» nel paesaggio in cui San Francesco ci ha donato il suo presepe? Detto fatto, sullo sfondo le colline caratteristiche dell’appennino umbro, ai piedi delle quali un contadino fermo in mezzo al campo sospende il lavoro di aratura perché nota che al villaggio c’è un gran fermento, sta avvenendo qualcosa di nuovo. Sì, nel villaggio composto da una piazzetta su cui si affaccia la casa del fattore da una parte, il magazzino della fattoria e la casetta del contadino con annessa la stalla dall’altra, c’è un gran movimento, due forestieri - Maria e Giuseppe - chiedono ospitalità per un evento importante, la nascita del loro bambino. Tutti si danno da fare, un ragazzino indica il posto dove fare alloggiare questi ospiti inattesi, una mamma tira fuori dal solaio la culla dei loro piccoli e la cede a Maria per deporre il bambino che sta per nascere, un altro ragazzino è intento a dare un po’ di latte ad una pecorella, una contadina si premura a portare un grosso cesto di frutta, mentre altri pastori sono ammirati e stupiti di quanto sta accadendo davanti ai loro occhi. Il Mondo è sereno, le menti degli uomini sono rivolte ad accogliere Gesù, il Salvatore, prodigandosi in mille premure, e i loro cuori sono pieni di gioia. Il fattore, chiuso nella sua bella casa sfolgorante di luce, non si accorge di nulla. Leggere insieme il Vangelo Ugo Basso Con il gruppo che di mese in mese prepara questo foglio abbiamo letto i testi proposti dalla liturgia dell’Immacolata Concezione di Maria (8 dicembre) che trovate nella pagina seguente. • • • Genesi 3, 9a-b; 11c; 12-15; 20: la prima lettura cuce alcuni passaggi del drammatico colloquio fra il Signore, Adamo ed Eva, all’inizio del libri della Genesi, immediatamente successivo al famoso morso del frutto. Efesini 1, 3-6; 11-12: con il caratteristico complesso linguaggio san Paolo ricorda il destino di salvezza che da sempre il Signore ha voluto per l’umanità, secondo il suo eterno disegno d’amore. Luca 1, 26b-28: il brevissimo racconto dell’annunciazione con il saluto dell’angelo ripreso nella preghiera dell’Ave Maria. Le letture, che quest’anno saranno lette domenica 8 dicembre invece di quelle della IV di avvento, sintetizzano quella che si suole chiamare storia della salvezza. L’uomo, usando della propria libertà, si contrappone a Dio che non rinuncia al suo progetto di salvezza riproposto all’umanità attraverso il libero consenso di una donna. Non è proprio facile cogliere nelle letture temi così impegnativi, tuttavia siamo riusciti a trovare tanti motivi di riflessione per noi. Innanzitutto la gioia a cui l’angelo invita Maria, una gioia che, per un verso si contrappone al disagio imbarazzato della coppia nuda davanti al Signore e, per un altro, stupisce considerando il difficile compito che Maria accetta e le indicibili sofferenze che la travolgeranno entro pochi anni. La gioia a cui è chiamata non esclude né banalizza le angosce che la aspettano, ma è la possibilità di partecipazione al progetto divino di salvezza. Maria è riconosciuta vergine: non ci siamo affannati nel ragionare sul termine, occasione di infiniti dibattiti, ma abbiamo sentito nella verginità la disponibilità all’accoglienza che non è solo della gio- vane ebrea, ma dell’umanità o di quella parte dell’umanità aperta appunto all’accoglienza della verità, della salvezza, della gioia; quell’umanità che non si abbandona alla disperazione neppure quando il male e il dolore nella vita e nella storia sembrano avere l’ultima parola. Occorre fede, occorre speranza senza ignorare, come appunto Maria, il prezzo della sofferenza. La sofferenza, che è nell’esperienza di tutti, resta un mistero che non sarà risolto da nessun filosofo, da nessun teologo studioso: ma certo non è scagliata contro la creazione la maledizione del Signore. La maledizione è per il serpente o, ancor meglio, per ciò che rappresenta: l’inganno, la volontà di condurre altri al male e, purtroppo, anche questa è un’esperienza che conosciamo. E chi riesce a credere queste cose, chi riesce credere che l’umanità, nonostante il male inevitabile o provocato dall’uomo, sia destinata alla salvezza deve farsi sacramento per chi non crede, segno, testimonianza: appunto perché “benedetto dal Signore prima della nascita”, una benedizione che è dono, certo, ma anche grave responsabilità. Una responsabilità come quella che il mitico Adamo non ha saputo reggere, lasciandosi convincere dalla abilità del serpente, più capace e intelligente, ma ingannatore. Dunque una liturgia non così astratta come può parere: ci parla di trasgressione e di inganni, che possiamo fare e subire; ci parla di libertà, una libertà che pretendiamo, ma che ci impone di scegliere tra il mangiare il frutto e accogliere l’angelo; ci parla di attesa e di speranza, che chiedono impegno e pazienza. Una liturgia infine che ci pone qualche domanda: ci basta sapere che il Signore è con noi? Ci basta per dire di sì di fronte a responsabilità che ci sembrano superiori alle nostre forze? Ci basta per accogliere la gioia? Domande che restano lì: noi abbiamo preferito riprendere il lavoro per il giornale. Pagina 9 Libro della Genesi 3, 9a-b. 11c. 12-15. 20 In quei giorni il Signore Dio chiamò Adamo e gli disse: «Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose Adamo al Signore Dio: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi. Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 1, 3-6. 11-12 Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo Lettura del Vangelo secondo Luca 1, 26b-28 In quel tempo l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». Pagina 10 Raccontare la carità per favorire i cambiamenti Giuseppe Calbi e Giuseppe Nocera Anche quest’anno, in una grigia mattinata di autunno, vincendo la pigrizia e la consueta routine, abbiamo partecipato al convegno diocesano della Caritas Ambrosiana dal tema intrigante: “Raccontare la carità per favorire i cambiamenti”. All’incontro hanno partecipato relatori di assoluta eccellenza, con storie e vissuti diversi, ma ugualmente coinvolgenti: Luciano Manicardi, monaco di Bose, con una relazione dal titolo “Gesù di Nazareth, il grande narratore” e lo scrittore Erri De Luca sul tema “Le opere non bastano: quali parole per raccontare la Carità?” Nel primo intervento Manicardi introduce la figura di “Gesù narratore” che viene raccontato attraverso la pratica della sua vita. Come ogni narrazione parla di una storia, così i Vangeli parlano di Gesù il narratore, l’esegeta vivente di Dio. Le storie di Gesù - come ci ricorda Luca fin dalle pagine iniziali del suo Vangelo - descrivono un Dio che si manifesta nella storia, che irrompe nel tempo e nello spazio, di un Dio che prende gli uomini per mano. Attraverso le sue parole, le sue vicende, le sue opere, Gesù è il narratore per eccellenza di Dio, fino a diventare immagine di quel Dio che parlava anche quando non c’era nessuno che lo ascoltasse. I racconti narrativi dei Vangeli, quindi, conducono il lettore attraverso un viaggio “trasformativo” verso un personale cammino spirituale e un percorso di fede individuale. Molti sono i personaggi che si presentano nei Vangeli, ma uno solo è il personaggio cui si rivolgono: il lettore. Ognuno di noi, di volta in volta, si può ritrovare nella tristezza del giovane ricco, nella vicenda di Lazzaro, nell’ansia del figlio che va e ritorna, nella delusione del figlio che resta, nell’altruismo del samaritano buono, nel seminatore che non sempre trova il terreno fertile, oppure nella vicenda di Zaccheo, dove il lettore è chiamato a salire sul Sicomoro nel desiderio di vedere Gesù e di con- dividerne il percorso di salvezza. E poi ci sono i paradossi: il seminatore del seme che deve morire per fruttificare, il pastore che lascia le sue 99 pecore per cercare quella smarrita, il padrone della vigna che retribuisce gli operai chiamati a lavorare per ore diverse ma con la stessa paga e non in base al merito. Sono immagini che sconvolgono i normali parametri: Gesù DISORIENTA PER ORIENTARE e a chi ascolta queste parabole rivela la chiave di lettura del paradosso. Gesù viene presentato come animato da una forza poliedrica di creatività, di capacità di vedere, di osservare e rispondere a ciò che viene dalla realtà, animato di una capacità di stupore, di meraviglia, di concentrazione e di essere presente in ciò che si fa e che si vive. Gesù non rinuncia ad essere se stesso, cadendo nel conformismo, ma impara dalla natura (il fico), dalle vicende domestiche (la chiocciola), dal contadino che semina sul campo buono e sulle pietre. Gesù narratore non ha scritto nulla ma ha lasciato una traiettoria da seguire, un esempio e un modello da riprodurre per scrivere la sua vita secondo la sua umanità, la sua vita e il suo silenzio. È umano quando mangia con i peccatori, con le prostitute, i cambiavalute. È coraggioso quando si scontra con i poteri costituiti rischiando in prima persona, disobbedendo a ciò che contraddice l’amore, la fede: quella stessa fede e fiducia che salvano il cieco. Ci insegna con il suo silenzio che anche questo, come la parola, può servire a mantenere saldo un rapporto d’amore o d’amicizia, a creare uno spazio per l’ascolto, a divenire come il buon terreno capace di ricevere il seme della parola: della parola di Dio e della parola (a volte un po’ inquietante) dei propri simili. Nella sua relazione, lo scrittore napoletano Erri De Luca si definisce “non credente”, ma scrive della Bibbia, di Gesù di Nazareth e di Maria perché il vero narratore sa distinguere il piano personale da quello dello scrittore, mantenendo separati i due ruoli. Non usa il termine “ateo”. L’ateo è Pagina qualcuno che, avendo risolto il “problema” della fede una volta per tutte, esclude la divinità dalla sua vita e dal suo orizzonte, ed in questo è simile al talebano che non ammette obiezioni alla sua conclusione. Il non credente è una persona che tutti i giorni frequenta le Scritture Sacre, pur senza rivolgersi alla divinità. Il “credente”, invece, rinnova tutti i giorni il suo atto di fede, in particolare nella recita del Padre Nostro: una preghiera di poche parole, ma, come dice De Luca, non ne servono tante perché Dio sa quello che la persona in preghiera ha in animo di chiedere. La preghiera non serve solo a portare una richiesta a conoscenza, ma a rivolgersi alla divinità, dandole del “tu”: la preghiera non è un chiedere ma sporgersi su Dio, chiamandolo Padre Nostro. Per De Luca il “Padre Nostro” significa ricordare a Dio il vincolo di tutela che un giorno si è assunto. Non occorre solo pregare: occorre riconoscere il volto di Dio in quello del passante. Nello sconosciuto che ha incontrato nella mensa della stazione ferroviaria di Bologna, nel detenuto che ha visitato nel carcere di Regina Coeli, nel vecchio mendicante che si nascondeva per non costringerlo quando faceva il muratore a Milano - a fargli la consueta elemosina, nei musulmani incontrati, quando era autista della Caritas in terra e in guerra di Bosnia, nel bambino in corsa verso lo sportello del camion per una caramella, nel volto di una donna che aspettava la grazia di ricevere un barattolo di cibo. Sono volti diversi da quello di suo Padre ma recanti sempre lo stesso sorriso. Occorre amare Dio con tutta l’energia amorosa del cuore: solo quando hai dato tutto l’amore, Dio te lo ritorna rinnovato e molto più forte. L’amore non è una serenata sotto un balcone chiuso, ma è quella forza di gelosia che spinge Caino ad uccidere Abele perché gli ha tolto l’esclusiva del rapporto con la divinità. L’amore è la potenza travolgente che radica ed estirpa. L’amore che purtroppo oggi viene somministrato in dosi farmaceutiche, versato in contagocce, è un’energia che rassomiglia alla manna: la manna che piove tutti i giorni anche quando gli Israeliti si scordano del loro impegno verso Dio. “A ognuno spetta secondo il fabbisogno. È pane dei cieli e va diviso in parti necessarie e giuste. Raccolta al sorgere del sole va consumata prima della notte. A farne avanzare per l’indomani, c’è da buttarla via, perché va in malora. Così nessuno può imbastirci scambio. Non è soggetta a diventare merce, perché è la vita. La divinità provvedeva al nutrimento in sovrabbondanza. Dopo la raccolta del mattino ne avanzava a terra. ..Dicesti che (Dio) ne faceva piovere più del fabbisogno perché nessuno si doveva trovare a raccogliere l’ultima porzione, la scartata, calpestata dagli altri. Nessuno era costretto a correre, affrettarsi a prendere la sua parte in affanno di concorrenza. …Che andasse pure sciolta al sole una sovrabbondanza: servirà a garantire la pace e la giustizia tra di loro... ”. Dio ha impedito qualsiasi valore di scambio per la manna. Così è il sentimento amoroso: quello che hai risparmiato nel giorno va perduto. Comunismo?! No, giustizia divina, parola di Dio. ANGELI IN MOVIMENTO - Gruppo Terza Età Martedì 17 dicembre ore 15.15 - Salone “Marcello Candia” “Natale insieme” incontro dei gruppi MTE Decanato Romana-Vittoria: intrattenimento musicale e teatrale, raccolta di fondi 2013 a favore del gruppo missionario degli Angeli Custodi. Tutti sono invitati e piacevolmente accolti Pagina 12 Gruppi di Ascolto della Parola di Dio nelle Case Martedì 12 Novembre sono ripresi i gruppi d’ascolto. Quest’anno la Commissione per i Gruppi d’ascolto della Parola della Arcidiocesi di Milano ha scelto alcuni brani del secondo Isaia (o deutero -Isaia) commentati dal biblista don Giovanni Giavini Il brano per questo incontro è tratto dal capitolo 40 (Isaia 40, 1-11) «Consolate, consolate il mio popolo - dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemmee gridatele che la sua tribolazione è compiuta,la sua colpa è scontata,perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». 3Una voce grida:«Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. 4Ogni valle sia innalzata,ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato». 6Una voce dice: «Grida», e io rispondo: «Che cosa dovrò gridare?». Ogni uomo è come l'erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo. Secca l'erba, il fiore appassisce quando soffia su di essi il vento del Signore. Veramente il popolo è come l'erba. Secca l'erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre. Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! '°Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri». Un cenno storico per inquadrare il periodo. Siamo dopo il 600 a.C. domina sovrana la potenza di Babilonia che, soprattutto dopo Nabukodònosor (il famoso Nabucco!), aveva eliminato la rivale e sua padrona Assiria e aveva ricacciato i faraoni nella loro valle del Nilo. I re di Babilonia prevalevano anche sulla Palestina e quindi sul piccolo regno di Giuda e Gerusalemme. L'avevano già aggiogato al loro carro, anzi, per ben due volte, in seguito a sue ribellioni, l'avevano conquistato e costretto alla resa: una prima volta intorno al 597, e un'altra catastrofica nel 586, con distruzione di una parte di Gerusalemme e di altre città minori, del tempio di Sa- lomone, delle mura, massacro di ebrei, deportazione di gente come schiava nella grandiosa città orientale, regno di Giuda eliminato. Un'ora di vera tragedia, anche per la fede nel «Santo di Israele», in Jhwh. Gli ebrei sono dunque in esilio nella grandiosa Babilonia irrigata dall'Eufrate e da canali; in essa una torre in onore del possente dio Marduk, chiamato anche Bel, il dio vincitore e gloria dei babilonesi. E gli ebrei come si sentivano lì, a più di 1000 chilometri dalla loro patria? In particolare, che cosa pensavano verso la fine dell'esilio, verso il 540, quando stava arrivando un certo Ciro dalla Persia con un fortissimo esercito contro i babilonesi? Quali sentimenti e tentazioni provavano? Tentiamo insomma di metterci nei loro panni. Prevaleva lo sconforto, la perdita di speranza, anzi della fede: la tragedia sembrava una sconfitta per la «gloria di Jhwh, del Santo di Israele»; nessun futuro gioioso quindi da attendere da lui, anche perché la sua ira, provocata dai loro peccati (idolatria e altri delitti), sembrava definitiva. In alcuni però, ancora credenti nelle parole dei profeti di allora come Geremia ed Ezechiele (addirittura presente a Babilonia), rimaneva un «germoglio» di speranza: dopo la tragedia ci sarà una ripresa, un futuro da «nuova alleanza». Ma ci sarà davvero? Come e quando? Per i vecchi credenti/speranti era fortissima la tentazione di rinunciare alla vecchia fede di padri e di nonni, per passare alla religione del dio Marduk e della sua corte celeste, a quella dei loro padroni, accontentandoli anche cantando «i cantici di Sion» con cetre e danze, magari ottenendo qualche favore economico o sociale in più. Se per gli altri quella tentazione era meno forte - caso mai poteva spuntare quella del solo interesse alla propria fortuna -, restava però anche per loro l'incertezza sul futuro e una nuova paura: giravano notizie dell'arrivo dell'esercito potente del persiano Ciro il Grande, che già aveva devastato il regno babilonese e si stava avvicinando a Babilonia! Che sarebbe successo? Nei versi appena letti domina il tema della Parola di Dio, che grida un messaggio di consolazione al suo popolo esiliato, sconfortato, deluso, pauroso, tentato di disperazione e di perdere la memoria Pagina 13 delle glorie di Jhwh. A parlare al «cuore di Gerusalemme»! Sì, perché, nonostante la catastrofe avvenuta e le rovine del tempio, delle mura e delle case, ne rimaneva ancora il cuore, ne restava almeno, appunto, un «resto»: i pochi rimasti in patria e gli ebrei deportati e residenti a Babilonia. Questi sono il cuore di Gerusalemme al quale il cuore di Dio rivolge ora la sua Parola. Questa Parola annuncia innanzitutto la fine del periodo del castigo sui peccati del suo popolo, mentre alcuni lo ritenevano ancora in atto e chissà per quante generazioni: basta, dice Dio. Adesso è l'ora del perdono, della riparazione dei mali, della salvezza. Il profeta sente una voce che lo urge a gridare; in un primo momento egli non sa che cosa gridare, ma poi è illuminato dall'ispirazione e dalla sua stessa riflessione su tradizioni precedenti e sull'esperienza. Deve gridare che «ogni uomo è come l'erba e come un fiore del campo» un fiore campestre inaridisce presto al soffio del vento di Dio nel deserto una forza misteriosa, reale ma inafferrabile, appunto come il vento, come un vento infuocato, a sua volta segno efficace del mistero reale ma inafferrabile di Dio. Alla povera graziosità di un fiore del campo e dell'erba il profeta paragona il suo popolo, che quindi sembrerebbe destinato a inaridire del tutto! Ma la Parola consolatoria e davvero vitale di Dio è ben diversa e quindi farà ri-germogliare pure una povera pianticella inaridi- ta. Nella parte finale ecco il grido Il profeta deve annunciare dall'alto di un simbolico monte l'arrivo, l'avvento del Signore per Sion-Gerusalemme e altre città semidistrutte del defunto regno di Giuda: Dio, dunque, non è morto né si è ritirato con vergogna dietro le quinte del teatro regale di Marduk e di altri dèi: Dio viene, appunto per consolare il suo popolo semimorto. E Dio viene come un re potente e vittorioso per distribuire premi e ricompense anche a chi non le meritava. Egli ha un «braccio» capace di meraviglie, di sorprese, di rompere capitelli e colonne, di abbattere porte di bronzo Il braccio di Jhwh è anche quello di un «buon pastore», che tiene alle sue pecore, anche alle più deboli, e cammina con loro. Questa immagine è ripresa anche da Gesù quando parlerà di sé come buon pastore non userà solo una bella e commovente immagine: sullo sfondo avrà il suo essere come il divino Buon Pastore («lo sono il buon pastore...; Come il Padre conosce me e io conosco e amo il Padre...; Do la mia vita per le pecore...; Questo comando ho ricevuto dal Padre mio »: cfr. Gv 10, 14-18). I prossimi incontri si svolgeranno: Martedì 21gennaio alle 21,00 Martedì 18febbraio alle 21,00 Martedì 29 aprile alle 21,00 Martedì 27maggio alle 21,00 Elenco delle famiglie ospitanti Balboni via Muratori, 46/4 tel. 02 5464508 Vanelli via Muratori, 32 tel.02 59900257 Vangelisti via Colletta 21 tel. 02 55189978 Gli incontri sono aperti a tutti, anche a chi non ha partecipato agli incontri precedenti Pagina 14 Gli Angeli raccontano… CENTENIARIO DELLA FOM Come ogni anno, il nostro oratorio si prepara a festeggiare il Natale: domenica 22 dicembre alle 15.30, infatti, si terrà la tradizionale festa natalizia realizzata dai ragazzi delle classi di catechismo (terza, quarta, quinta elementare, prima media e preadolescenti) e dai loro educatori. Quest’anno, inoltre, dall’8 al 13 dicembre, il nostro oratorio ospiterà la fiaccola per i 100 anni della Fom: all’assemblea degli oratori, infatti, il Cardinale Angelo Scola ha benedetto sette fiaccole che faranno tappa in diversi oratori milanesi, fino a una grande fiaccolata che terminerà il 23 maggio 2014 in piazza Duomo in occasione dell’incontro degli animatori e apertura dell’oratorio estivo. Ogni oratorio si impegnerà a pregare durante il passaggio della fiaccola ed è per questo che, in questa settimana, essa verrà portata nelle classi di catechismo in modo che i ragazzi possano riflettersi e impegnarsi in un’orazione comunitaria, pregando soprattutto per l’istituzione dell’oratorio, punto di riferimento di divertimento, riflessione, gioco, apprendimento e ovviamente iniziazione cristiana per tante generazioni di bambini e adolescenti. In piazza Duomo durante l’incontro degli animatori dell’oratorio estivo 2014 le sette fiaccole si riuniranno dopo il loro viaggio in tutti gli oratori della diocesi, avendo creato alle spalle un movimento di preghiera senza precedenti in cui in ogni oratorio si è pregato per tutti gli altri oratori. Levia Messina Sacerdoti Parroco Don Guido Nava tel. e fax. 0255011912 Residente Don Roberto Davanzo Direttore della Caritas Ambrosiana Ss. Messe festive: 9.00 (inv.) - 11.00 - 18.00 vigilia: 18.00 feriale: 8.15 (inv.) - 18.00 Segreteria tel. 0255011625 Lun. - Ven. 9.30 - 12.00 / 17.00 - 18.00 Lun. - Mer. - Ven. 16.00 - 17.00 (Centro di ascolto) Hanno collaborato a questo numero: Ugo Basso, Carlo Favero, Fabrizio Favero, Roberta Marsiglia, Levia Messina, don Guido Nava, Elisabetta Perego I numeri precedenti sono raccolti nella sezione “La Parrocchia” del sito internet parrocchiale www.parrocchie.it/milano/angelicustodi Pagina 15 CALENDARIO PARROCCHIALE III Avvento: 10. 15: Catechismo Adulti DOM 1 LUN MAR MER GIO VEN SAB 2 3 4 5 6 7 DOM 8 LUN 9 MAR 10 21. 00: Gruppi Ascolto MER GIO 11 12 21. 00: Redazione …tra le case VEN 13 S. Lucia ADO SAB DOM LUN 14 15 16 S. Giovanni della Croce V di Avvento: Il Precursore Novena di Natale PREADO – Visita al Duomo MAR 17 Novena di Natale 17. 30: Novena di Natale MER 18 Novena di Natale 17. 30: Novena di Natale GIO 19 Novena di Natale 17. 30: Novena di Natale VEN 20 18. 30: PREADO SAB 21 15. 30: Catechismo II elementare DOM 22 LUN 23 MAR 24 MER 25 NATALE DEL SIGNORE GIO VEN SAB DOM LUN 26 27 28 29 30 S. Stefano S. Giovanni Ss. Innocenti Ottava di Natale Ottava di Natale MAR 31 Ottava di Natale Le profezie adempiute DICEMBRE 2013 21. 00: Consiglio Pastorale Parrocchiale S. Francesco Saverio S. Ambrogio Immacolata Concezione Domenica dell’Incarnazione Vigilia del Natale Ss. Messe: 8.15 – 18.00 10. 30: Battesimi 17. 30: Novena di Natale 11. 00: Benedizione statuine di Gesù Bambino 18.00: Messa della vigilia di Natale Ss. Messe: 9. 00 – 11. 00 – 18. 00 18.00: S. Messa di ringraziamento CALENDARIO PARROCCHIALE MER 1 GIO VEN SAB DOM 2 3 4 5 LUN MAR MER 6 7 8 GIO 9 Ottava del Natale Giornata mondiale della pace SS. Basilio e Gregorio Ss. Messe orario festivo: 9. 00 - 11. 00 – 18. 00 Dopo l’Ottava di Natale Epifania del Signore GENNAIO 2014 Ss. Messe: 9.00 – 11.00 – 18.00 21. 00: Commissione famiglia