LETTERA DEL PARROCO
Anno 2013, numero 12 - mese di dicembre
Cari fratelli e care sorelle nel Signore,
come tutti sanno il Natale di Nostro Signore è celebrazione della sua nascita, della sua venuta, del suo prender casa nel nostro mondo e non è
una celebrazione facile, perché è all’incrocio di tre fili che insieme disegnano il tessuto della vita di chi crede e magari inquietano chi non crede.
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Via Pietro Colletta 21, Milano
Parrocchia Angeli Custodi
Il filo della memoria.
È indiscutibile la nascita nel tempo e nello spazio di un bimbo di nome Ieshua’ o Iehoshua’, che significa JHWH è salvezza o JHWH salva. Un nome proprio per nulla originale in Terra Santa, ma reso famoso perché quel
bimbo nato a Betlemme disse con parole e con la vita di essere il Figlio di
Dio, il Messia promesso e atteso da millenni. Per i discepoli di tale Maestro, ricordare la sua nascita non è celebrazione nostalgica o mero ricordo,
ma confessione di fede: in quel punto dello spazio e del tempo la storia
dell’uomo e del mondo fu rivelazione di Dio ovvero l’uomo scoprì che Dio
(proprio Dio!) ha del tempo e dello spazio per l’uomo, è un Dio-con-noi, l’Emanuele. E se dopo due millenni per noi questo annuncio rischia di essere
cosa già nota, di risuonare come dato acquisito, come risposta scontata e
semplice anche sulla bocca dei nostri bimbi, in realtà non lo è proprio: chi
di noi può dirsi cristiano? Al massimo possiamo confessare in tutta verità
e sincerità che ci proviamo, ma che non abbiamo nessun titolo per meritarci il paradiso, che resta una grazia purissima.
In questo numero:
Ci hanno parlato… Giuseppe Gennari
pag. 3
Ci hanno parlato… Claudia Mazzucato
pag. 4
Il catechista
pag. 6
Avvento e presepe
pag. 8
Leggere insieme il Vangelo
pag. 9
Raccontare la carità per favorire i cambiamenti
pag. 11
Gruppi di Ascolto della Parola di Dio nelle Case
pag. 13
Per inviare suggerimenti, lettere e articoli scrivere a: [email protected]
Il filo dell’oggi.
Il Natale di Gesù è da sempre celebrazione eucaristica ovvero rendimento di grazie per la sua
morte e risurrezione e a questo riguardo si potrebbero dire tante cose, ma mi limito a una. Il Natale lo celebriamo in chiesa come Chiesa (assemblea dei credenti) il 25 dicembre di ogni anno
finché Lui, il Signore, non tornerà alla fine dei tempi. In questo modo la nostra fede, la fede della Chiesa, confessa che quel Natale non appartiene alla storia passata, ma è di oggi: oggi nasce
il Signore per far rinascere creature nuove i credenti (e i non credenti). E rinascere insieme, non
da soli. Ringraziamo Dio di averci donato Papa Francesco che sta cercando di disegnare un
cammino evangelico per la Chiesa e per tutti coloro che vogliono rinascere con quel Bimbo. Scrivevo nel marzo di quest’anno (erano i giorni del Conclave) che la tentazione nel tempo dell’attesa del nuovo Papa fosse quella di sognare il Papamessia che da solo mette a posto le cose. Son
passati 9 mesi da quel 13 marzo e è bene ricordare le sue prime parole: Fratelli e sorelle, buonasera!
Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli
Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo … ma siamo qui … Vi ringrazio
dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo Vescovo: grazie! E prima di tutto,
vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme
per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca.
E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di
Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo,
perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio Cardinale Vicario, qui presente, sia fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella!
E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del
popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di
voi su di me.
Mi pare che gli auguri per questo Natale possano essere quelli di camminare insieme: ora è il
tempo della Chiesa e non solo del Papa. E quando a Natale saremo riuniti nelle nostre case, invito tutti a una pausa di silenzio perché il Signore che nasce benedica il nostro Papa.
Il filo del domani.
L’ho visto per pochi giorni su un muro delle nostre case e mi ha fatto pensare: un cartellone
pubblicitario completamente azzurro, senza nessuna scritta o immagine. L’azzurro del cielo, del
mare, del nostro pianeta fiorito in un universo buio…
Cosa scrivere disegnare su quell’azzurro?
Da parte mia lo so e ringrazio quel panettiere sardo che me lo ha suggerito. Nei giorni bui del
ciclone preparava gratuitamente 300 kg di pane per chi ne aveva bisogno e disse queste poche
parole al giornalista che lo intervistava: “Non si può non farlo” e i suoi occhi aggiungevano
“Guardati intorno!”. Il suo volto e le sue parole ci stanno proprio bene in quell’azzurro.
Buon Natale a tutti!
Don Guido
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Ci hanno parlato…
Giuseppe Gennari, GIP presso il Tribunale di Milano
(a cura di Fabrizio Favero)
Giuseppe Gennari, GIP presso il Tribunale di Milano ci ha parlato del tema economia e legalità nella
nostra città di Milano.
Economia e illegalità è un binomio fondamentale
che purtroppo identifica due dimensioni che vanno spesso a braccetto: la criminalità organizzata è
un esempio di questi rapporti tra economia e illegalità nei termini in cui la criminalità organizzata si
avvale del mondo economico e nella fattispecie di
quello lombardo. La criminalità economica è una
delle più dannose dal punto di vista sociale e una
delle più trascurate, anche nelle aule dei tribunali,
infatti è un errore pensare che sia un crimine di
poco conto, poiché il bancarottiere (colui che si
macchia del crimine di bancarotta) distrugge un
sistema economico e mette sulla strada un sistema intero composto da dipendenti dell’azienda,
fornitori, clienti, ecc...
Parlare di infiltrazioni della criminalità organizzata
nel mondo economico lombardo è fuorviante e
chi sostiene che in Lombardia ci siano “solo” infiltrazioni sottovaluta di gran lunga la dimensione
del fenomeno: la presenza stabile di criminalità
organizzata risale ad almeno 20-30 anni fa. La mafia calabrese e siciliana in quegli anni dispiegava il
suo potere con decine e decine di morti e di sequestri di persona che hanno portato negli anni
’90 ad azioni forti da parte dello Stato che attraverso numerose indagini e arresti hanno incarcerato e condannato per mafia fino a 2.500. Successivamente dagli anni ’90 e per un decennio si ha
avuto un “periodo di vuoto”: poche indagini e una
calma apparente che ha cancellato il passato dalla
memoria collettiva, per “riscoprire” un “ritorno”
della mafia calabrese a Milano intorno al 2006. In
realtà non era nulla di nuovo, come ci dice Giuseppe Gennari, infatti la mafia calabrese degli anni
2000 è composta dalle stesse famiglie che avevano
incominciato ad operare su Milano negli anni ’70
per arrivare ad avere oggi un totale controllo in
Lombardia. Dunque e i fatti di questi ultimi 30 anni lo dimostrano, non ha senso parlare di infiltrazione mafiosa, ma piuttosto di una presenza stabile e radicata, data dal fatto che la mafia calabrese
per sua natura ha una struttura basata su nuclei
territoriali che si radicano nel territorio affermando la loro presenza. Non esistono soldi che
vengono investiti dalla mafia in Lombardia, bensì
persone e gruppi fisici di persone che vivono sul
territorio ed esercitano il loro potere mafioso.
Che cosa è successo in quegli “anni di vuoto”?
Dopo gli arresti e tutta l’attenzione che lo Stato
aveva posto sul fenomeno (2.500 persone arrestate), la criminalità ha capito che bisognava cambiare il settore di attività, non era più possibile e
tollerabile ammazzare persone in strada poiché di
fronte ad eventi di questo genere la cittadinanza
si sarebbe ribellata con il conseguente intervento
della forza pubblica. Dunque la mafia si “ricicla”
cambiando attività e facendo economia ed impresa: non si fanno più morti, ma scavi e demolizioni,
presentandosi con un biglietto da visita che è figlio delle uccisioni degli anni ’70-‘80.
Ora si ha modo di fare mafia, attraverso il lavoro:
se all’inizio l’impresa mafiosa era un’impresa subita dal contesto imprenditoriale non mafioso, progressivamente è diventata una componente naturale del lavoro (sappiamo che quelle cose –gli
scavi e demolizioni– le fanno loro) arrivando addirittura ad essere “necessaria”, poiché forniscono un servizio.
Ricorda Giuseppe Gennari, in Lombardia non c’è
prova dell’esistenza di un pizzo, inteso come
quello siciliano, ma vi è la presenza di una mafia
forte del suo nome e della sua autorevolezza che
si impone come impresa e in cambio offre un servizio che viene svolto veramente e viene fatto
pagare come se il servizio fosse svolto da un’azienda “normale”. Non solo, addirittura vengono
offerti servizi aggiuntivi, come ad esempio lo
smaltimento dei rifiuti.
Ecco che si ha assistito ad un rinnovamento del
sistema mafioso; quello che trent’anni fa era solo
la violenza dell’imposizione mafiosa, ora diventa
una “convenienza” per tutti, poiché l’imprenditore stesso accetta il sistema, perché non si fida
delle istituzioni qualora avviasse una denuncia e
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denuncia e inoltre può alimentare il suo desiderio
di guadagno e anche risparmiare. La mafia ora non
è più un fenomeno temuto, perché ha avuto la
capacità di rispondere ad un bisogno del territorio, senza disturbarlo, ma riuscendo a coesistere
con esso: di fronte all’eccesiva burocrazia, alle eccessive regole, la mafia semplifica la vita all’imprenditore. In questo senso possiamo dire che la
burocrazia italiana è “mafiogena”, ovvero la stessa
burocrazia è un tessuto che favorisce la presenza
della mafia.
Gennari insiste poi sul rapporto diretto tra criminalità mafiosa e criminalità comune: il più grande
errore infatti è pensare che il pagare una tangente
o l’evasione di una tassa, sia altro dall’essere mafiosi, in realtà nel momento stesso in cui si compiono queste azioni, esse stesse sono funzionali
all’organizzazione mafiosa, poiché si arriva ad un
momento nel quale per fare quell’attività bisogna
per forza avvalersi di persone che sono legate ad
un’organizzazione mafiosa (documenti false, imprese che producono fatture false, ecc..) cosicché
da semplice evasore si diventa alimentatori di un
circolo mafioso. Non esiste una distinzione tra
reati di mafia e gli altri legati al mondo economico, il problema della legalità e della lotta alla criminalità organizzata quindi non riguarda solo chi è
a contatto in modo diretto con la criminalità organizzata, ma è una scelta di tutti poiché ogni volta che si fanno delle scelte illegali, si accede a delle logiche illegali e si ha la possibilità di venire a
contatto con persone mafiose, bisogna avere la
consapevolezza che accettando il loro modo di
ragionare, si alimenta il loro potere. Non va dimenticato che le organizzazioni mafiose sono essenzialmente delle organizzazioni che estremizzano, anche con lo strumento della violenza, la naturale tendenza che noi italiani abbiamo al favore,
al clientelismo, alla scorciatoia, al taglio della strada: non sono diversi o altro da noi, loro sono
solo più professionali e più organizzati di noi con
una rete di relazione ampissima che coinvolge
medici, professionisti, ingegneri, commercialisti,
direttori di banche che in cambio della parcella
alimentano il meccanismo mafioso.
Conclude Gennari dicendo che la mafia non si
sconfigge per via giudiziaria, poiché in ultimo sono i meccanismi e modi di pensare e di agire che
devono essere modificati e cambiati; gli arresti
servono, ma fino ad un certo punto. Oggi non è
più possibile far finta di niente, bisogna formare
una coscienza collettiva, costruire consapevolezza che il problema esiste, attraverso il racconto e
la denuncia di ciò che accade.
Claudia Mazzucato, professoressa di diritto penale
(a cura di Luca Massari)
A partire dal difficile tema del senso della risposta
al reato, Claudia Mazzucato ci ha proposto un
discorso arduo da accogliere, ma che al contempo
si percepisce come sentito, ragionato e affascinante.
Ha preso le mosse dalla considerazione che il reato in democrazia e nelle dittature ha significati
diversi: in democrazia non si tratta tanto della disubbidienza ad una norma. Anzi è successo nella
storia del secolo scorso che l’ubbidienza ad un’autorità e ad una legge criminose nei contenuti, pur
se legittime nella forma, abbia portato alle più gravi delle atrocità.
In democrazia il reato è senza dubbio un fatto
previsto dalla legge come tale, ma esso è l’offesa
colpevole ad un bene rilevante. Tale bene deve
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essere di rango almeno pari, se non superiore,
alla libertà che viene privata al reo con la pena
detentiva. Quindi la previsione di un fatto come
reato si giustifica solo se questo fatto davvero ha
una carica offensiva verso beni che preesistono
all’intervento del legislatore; come ad esempio
nel caso dei diritti umani. Essi vengono riconosciuti
perché preesistono e non sono concessi dalla autorità. Perché ci sia un reato è necessario, almeno, che vi sia colpevolezza: che si potesse e si
dovesse agire diversamente. In sintesi, il reato è
un fatto offensivo commesso potendo e dovendo non
compierlo.
I reati colpiscono persone, non la maestà della
legge: i beni che vengono lesi nel reato appartengono a qualcuno in carne ed ossa. La lesione di
tali beni fa sorgere una domanda: la domanda di
giustizia (che è anche il titolo di un libretto di
C.M. Martini e G. Zagrebelsky, pubblicato per Einaudi nel 2003). Entrambi gli autori ci dicono che
nessuna teoria della giustizia è soddisfacente e
quindi quella di giustizia resta una domanda aperta.
Tutti sappiamo, invece, subito molto bene che
cosa sono le ingiustizie. Subire un reato significa
quindi provare una esperienza di ingiustizia che fa
nascere una domanda. A questa domanda bisogna
rispondere e questo verbo rispondere ci porta di
fronte al tema della responsabilità. Come dice il
criminologo Adolfo Ceretti : bisogna passare dalla idea di responsabilità per qualcosa, alla responsabilità verso qualcuno.
Se pensiamo alla domanda di giustizia come qualcosa che richiede una risposta verso gli altri, ci accorgiamo che servono verità e responsabilizzazione.
Il processo penale, invece, è finalizzato ad applicare una pena al colpevole: a fare del male a chi ha
fatto del male. Ne consegue che l’autore del reato
non ha alcun interesse a responsabilizzarsi e a dire
la verità, perché si farebbe del male da solo. E
proprio per questo, la legge garantisce all’imputato il diritto di non rispondere e di dire il falso. La
vittima, ascoltata in un processo, deve impegnarsi
a dire la verità e, se non lo fa, verrà a sua volta
punita (e anzi a volte le prime parole che la vittima si sente dire dalla giustizia sono proprio la minaccia di denuncia in caso di false dichiarazioni).
Inoltre, nel processo penale, tutte le volte che
l’autore non viene trovato o muore, la vittima
non riceve alcuna risposta.
La pena rischia di assomigliare troppo al reato; il
caso della pena di morte è il più chiaro: uccidere
chi ha ucciso. Ma in generale, fare del male a chi
ha fatto del male contraddice il bene che si vuole
difendere.
Claudia Mazzucato, alla ricerca di una risposta alla
domanda di giustizia che non sia nemica della giustizia come virtù, come verità e come responsabi-
lizzazione e che sia coerente e fedele alla democrazia, ha proposto la giustizia ripartiva. Ha lavorato dal 1994 a tali programmi che consistono nel
partecipare insieme, attivamente, volontariamente ad un lavoro di riparazione delle conseguenze
e del reato, con il coinvolgimento del reo, della
vittima e della comunità.
Non si tratta di lussi che non si possono permettere, né di qualcosa di umanitario: si tratta di essere coerenti. È provato scientificamente che i
paesi con sistemi penali più miti sono quelli che
lanciano segnali più forti sui loro precetti penali.
E, specie in democrazia, a noi interessa che le
persone non compiano reati perché lo scelgono e
non perché hanno paura della legge. Il precetto
non uccidere è molto più forte in Italia che negli
Stati Uniti d’America. In Sudafrica, la risposta
all’Apartheid (che è un crimine contro l’umanità)
è stata un percorso di giustizia ripartiva: la commissione verità e riconciliazione dovuta alla genialità
e alla scaltrezza politica di Mandela che ha saputo
vedere che passando attraverso la punizione legittima degli autori del reato di Apartheid il popolo sudafricano non sarebbe mai stato unito.
Nel nome dell’unità del corpo politico sudafricano,
Mandela ha proposto una giustizia che lavora con
ago e filo per ricucire e non con la spada per ferire: chi ha avuto il coraggio di dire la verità di
fronte alle vittime, ha avuto la amnistia.
La verità più importante della punizione.
Serata complessa: sono molti i dubbi e le domande; in parte presentati a Mazzucato, in parte mormorati o rimuginati tra sé. Claudia Mazzucato ha
riletto le nostre contestazioni come segno della
domanda di giustizia che resta aperta e ha portato diversi esempi. Ha anche proposto di portare
in un incontro futuro alcune testimonianze.
Colpisce, riassumendo questa serata, ricordare
che l’intervento di Claudia Mazzucato si era concluso, prima della discussione, citando Nelson
Mandela di cui rivediamo la testimonianza in questi giorni della sua memoria.
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Il catechista
Paola Tufigno
Nell'anno della fede, a fine settembre è stato organizzato un congresso mondiale sulla catechesi, conclusosi
con un pellegrinaggio a Roma e un incontro col Papa
in piazza San Pietro, dove sua santità ha celebrato la
S. Messa.
Per me è sempre un'emozione vedere quanta gente, di tutte le nazioni, si raduna là davanti alla Basilica, forse la più famosa del mondo. I due porticati
che si diramano da essa sono come le braccia di
una madre (la Chiesa) che ti aspetta e ti accoglie:
a me dà sempre questa sensazione, è come se là
mi sentissi più "a casa". La fatica di entrare in piazza, dove ho raggiunto nelle prime ore del mattino
un posto a sedere è stata ripagata dall'incontro
col Papa. Durante l'attesa ci sono stati canti e la
recita del Rosario in latino: l'uso di questa lingua
mi ha fatto capire l'universalità e la cattolicità del
momento ed è stato bello sentire quest'unità nella
preghiera con gli altri fedeli presenti. Alle 10.30 è
iniziata all'interno della basilica la celebrazione liturgica durante la quale si sono alternate a leggere
persone di diversa nazionalità. Noi che eravamo
nella piazza seguivamo grazie a dei pannelli visivi
distribuiti qua e là.
Un grande silenzio è sceso tra la gente quando il
Papa ha iniziato la sua breve ma significativa omelia di cui riporto ciò che più mi ha colpito. Innanzitutto non si dice "fare il catechista" ma "essere
catechista" Chi è il catechista? Colui che custodisce e alimenta la memoria di Dio. La custodisce in
se stesso e la sa risvegliare negli altri. "è bello fare
memoria di Dio, come la Vergine Maria che davanti all'azione meravigliosa di Dio nella sua vita
non pensa all'onore, al prestigio, alla ricchezza,
non si chiude in se stessa. Al contrario, dopo aver
accolto l'annuncio dell'Angelo e concepito il Figlio
di Dio, che cosa fa? Parte, va da Elisabetta, anziana
parente, anch'essa incinta e nell'incontro con lei il
suo primo atto è la memoria dell'agire di Dio della fedeltà di Dio nella sua vita, nella storia del suo
popolo, nella nostra storia. Recita il Magnificat.
Maria ha memoria di Dio (Luca 1, vv. 46-48-50).
In questo cantico di Maria c'è anche la memoria
della sua storia personale, la storia di Dio con lei,
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la sua stessa esperienza di fede, ed è così per
ognuno di noi, per ogni cristiano la fede contiene
proprio la memoria della storia di Dio con noi, la
memoria dell'incontro di Dio che si muove per
primo, che crea e salva, che ci trasforma: la fede
è la memoria della sua parola che scalda il cuore,
della sua azione di salvezza con cui ci dona la sua
vita, ci purifica, ci cura, ci nutre.
Il catechista è proprio un cristiano che mette la
memoria del suo incontro col Signore al servizio
degli uomini, non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per parlare di Dio, del suo amore,
della sua fedeltà.
Parlare e trasmettere tutto quello che Dio ha
rivelato cioè la dottrina nella sua totalità, senza
togliere, né aggiungere. Il catechista allora è un
cristiano che porta in sé la memoria di Dio, si
lascia guidare dalla memoria di Dio in tutta la sua
vita e la sa risvegliare nel cuore degli altri.
È IMPEGNATIVO QUESTO!
Impegna tutta la vita. Lo stesso catechismo, che
cos'è se non la memoria di Dio, memoria della
sua azione nella storia, del suo essersi fatto vicino
a noi in Cristo, presente nella sua parola nei sacramenti nella sua chiesa nel suo amore?
Cari catechisti vi domando: siamo noi memoria di
Dio? Siamo veramente come sentinelle che risvegliano negli altri la memoria di Dio che scalda il
cuore?
Infine rifacendosi alla seconda lettura della Messa
del giorno (Prima lettera a Timoteo Timoteo 6,
11) il Catechista è uomo della memoria se ha un
costante, vitale rapporto con Lui e con il prossimo, se è uomo di fede, che si fida veramente di
Dio e pone in lui la sua sicurezza, se è uomo di
carità, d'amore che vede tutti come fratelli, se è
paziente, perseverante e sa affrontare le prove,
gli insuccessi con serenità, se ha speranza nel Signore, se è uomo mite, capace di comprensione
e di misericordia."
Dopo queste parole così chiare e incisive mi sono sentita addosso una grossa responsabilità. Mi
sono anche detta che non ho fatto nulla per ricevere dal Signore il dono della fede, ma proprio
perché mi è stato dato gratuitamente e ha reso la
mia vita più bella e gioiosa, non posso tenerlo per
me, ma occorre che lo comunichi agli altri, in particolare ai ragazzini del catechismo.
Concludo con una frase presa dalla lettera pastorale del cardinale Scola (Il campo è il mondo pag
40): "pieni di gratitudine i cristiani intendono restituire il dono che immeritatamente hanno rice-
vuto che, pertanto, chiede di essere comunicato
con la stessa gratuità.
Per noi catechisti il "campo" sono i nostri bimbi
che iniziano il loro cammino verso Gesù
Con l'aiuto del Signore buttiamo un seme di cui
forse non vedremo i frutti ma il seme va buttato.
Chiedo ai genitori di aiutarci e collaborare con
noi in questo percorso verso si lui perché senza il
sostegno della famiglie il lavoro è più faticoso.
CI HANNO SCRITTO…
Com’è bello leggervi ogni mese... È una "coccola" che non mi faccio mancare.
Mi fa sentire lì, vicino a voi,in quella parrocchia degli Angeli Custodi, che mi è restata nel cuore.
E... Com’è stato bello leggere i ricordi di don Guido che ho imparato a conoscere e stimare...
Anche se non ho mai avuto il piacere di conoscere di persona. Spero un giorno di poterlo incontrare.
Vorrei dare un grande abbraccio a tutti quelli della Pac, specie quelli di miei tempi ;) ... Roberta, Pierluigi, la Betti, Marco, Rombo e... Tutti gli altri, che so, hanno il privilegio di continuare il
loro cammino, lì!
Un salutone e grazie!
Elena Fullin
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Avvento e presepe 2013
Pippo con gli amici presepisti
Secondo alcune fonti, la prima descrizione del
presepio è presente in un Vangelo apocrifo, precisamente nel Protovangelo di Giacomo:
Ed ecco che io, Giuseppe, camminavo e non camminavo più. Guardai nell'aria e vidi l'aria colpita da stupore; guardai verso la volta del cielo e la vidi ferma, e
immobili gli uccelli del cielo; guardai sulla terra e vidi
un vaso giacente e degli operai coricati con le mani
nel vaso: ma quelli che masticavano non masticavano,
quelli che prendevano su il cibo non l'alzavano dal
vaso, quelli che lo stavano portando alla bocca non lo
portavano; i visi di tutti erano rivolti a guardare in alto.
Ecco delle pecore spinte innanzi che invece stavano
ferme: il pastore alzò la mano per percuoterle, ma la
sua mano restò per aria. Guardai la corrente del fiume e vidi le bocche dei capretti poggiate sull'acqua,
ma non bevevano. Poi, in un istante, tutte le cose ripresero il loro corso.
Questo mondo in attesa, immobile, che trattiene
il respiro, nell'istante in cui nasce il Salvatore, lo
ritroviamo come per incanto nei nostri presepi!
Appunto, il nostro presepe: come lo faremo quest’anno? È la domanda che prima della pausa estiva
ci pone don Guido, ma a dire il vero al rientro
delle ferie non abbiamo ancora alcuna idea.
La lettera pastorale del nostro vescovo «il Campo
è il Mondo» ci ha suggerito il tema; gli argomenti
trattati sono ampi e sfaccettati con particolare
riferimento alla parabola del seme e la zizzania.
Abbiamo dato inizio alle sei domeniche di Avvento ponendo alla base della prima candela un campo arido, sassoso, invaso da spine e sterpi; la seconda settimana il campo è dissodato, i sassi, le
spine e gli sterpi sono raccolti al bordo del campo; la terza settimana è rappresentato un campo
arato pronto per la semina; quindi alla quarta il
campo è cosparso di seme; alla quinta i seme sono in germogli e alla sesta c’è un’esplosione di colori con bionde spighe di grano, fiori rossi e bacche colorate… il Natale è imminente!!
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Il tema dell’Avvento ci fa volare con la fantasia in
ambienti naturali e semplici, in quelle comunità
rurali dove il tempo si ferma, dove Francesco
tanti secoli fa diede il via ad una tradizione - tutta
nostra - che dona a tutti, grandi e bambini, attese
e stupore.
Ecco che si concretizza il progetto, la nostra comunità respira ancora l’aria serena ed entusiasta
del pellegrinaggio ad Assisi; quale idea migliore se
non dar vita al tema dal quale siamo partiti ambientandolo «il Campo è il Mondo» nel paesaggio
in cui San Francesco ci ha donato il suo presepe?
Detto fatto, sullo sfondo le colline caratteristiche
dell’appennino umbro, ai piedi delle quali un contadino fermo in mezzo al campo sospende il lavoro di aratura perché nota che al villaggio c’è un
gran fermento, sta avvenendo qualcosa di nuovo.
Sì, nel villaggio composto da una piazzetta su cui
si affaccia la casa del fattore da una parte, il magazzino della fattoria e la casetta del contadino
con annessa la stalla dall’altra, c’è un gran movimento, due forestieri - Maria e Giuseppe - chiedono ospitalità per un evento importante, la nascita del loro bambino.
Tutti si danno da fare, un ragazzino indica il posto
dove fare alloggiare questi ospiti inattesi, una
mamma tira fuori dal solaio la culla dei loro piccoli e la cede a Maria per deporre il bambino che
sta per nascere, un altro ragazzino è intento a
dare un po’ di latte ad una pecorella, una contadina si premura a portare un grosso cesto di frutta,
mentre altri pastori sono ammirati e stupiti di
quanto sta accadendo davanti ai loro occhi.
Il Mondo è sereno, le menti degli uomini sono
rivolte ad accogliere Gesù, il Salvatore, prodigandosi in mille premure, e i loro cuori sono pieni di
gioia.
Il fattore, chiuso nella sua bella casa sfolgorante di
luce, non si accorge di nulla.
Leggere insieme il Vangelo
Ugo Basso
Con il gruppo che di mese in mese prepara questo foglio abbiamo letto i testi proposti dalla liturgia dell’Immacolata Concezione di Maria (8 dicembre) che trovate nella pagina seguente.
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Genesi 3, 9a-b; 11c; 12-15; 20: la prima lettura cuce alcuni passaggi del drammatico
colloquio fra il Signore, Adamo ed Eva, all’inizio del libri della Genesi, immediatamente
successivo al famoso morso del frutto.
Efesini 1, 3-6; 11-12: con il caratteristico
complesso linguaggio san Paolo ricorda il
destino di salvezza che da sempre il Signore
ha voluto per l’umanità, secondo il suo eterno disegno d’amore.
Luca 1, 26b-28: il brevissimo racconto
dell’annunciazione con il saluto dell’angelo
ripreso nella preghiera dell’Ave Maria.
Le letture, che quest’anno saranno lette domenica
8 dicembre invece di quelle della IV di avvento,
sintetizzano quella che si suole chiamare storia
della salvezza. L’uomo, usando della propria libertà, si contrappone a Dio che non rinuncia al suo
progetto di salvezza riproposto all’umanità attraverso il libero consenso di una donna.
Non è proprio facile cogliere nelle letture temi
così impegnativi, tuttavia siamo riusciti a trovare
tanti motivi di riflessione per noi. Innanzitutto la
gioia a cui l’angelo invita Maria, una gioia che, per
un verso si contrappone al disagio imbarazzato
della coppia nuda davanti al Signore e, per un altro, stupisce considerando il difficile compito che
Maria accetta e le indicibili sofferenze che la travolgeranno entro pochi anni. La gioia a cui è chiamata non esclude né banalizza le angosce che la
aspettano, ma è la possibilità di partecipazione al
progetto divino di salvezza.
Maria è riconosciuta vergine: non ci siamo affannati
nel ragionare sul termine, occasione di infiniti dibattiti, ma abbiamo sentito nella verginità la disponibilità all’accoglienza che non è solo della gio-
vane ebrea, ma dell’umanità o di quella parte
dell’umanità aperta appunto all’accoglienza della
verità, della salvezza, della gioia; quell’umanità che
non si abbandona alla disperazione neppure quando il male e il dolore nella vita e nella storia
sembrano avere l’ultima parola. Occorre fede,
occorre speranza senza ignorare, come appunto
Maria, il prezzo della sofferenza.
La sofferenza, che è nell’esperienza di tutti, resta
un mistero che non sarà risolto da nessun filosofo, da nessun teologo studioso: ma certo non è
scagliata contro la creazione la maledizione del
Signore. La maledizione è per il serpente o, ancor
meglio, per ciò che rappresenta: l’inganno, la volontà di condurre altri al male e, purtroppo, anche questa è un’esperienza che conosciamo.
E chi riesce a credere queste cose, chi riesce credere che l’umanità, nonostante il male inevitabile
o provocato dall’uomo, sia destinata alla salvezza
deve farsi sacramento per chi non crede, segno,
testimonianza: appunto perché “benedetto dal
Signore prima della nascita”, una benedizione che
è dono, certo, ma anche grave responsabilità. Una
responsabilità come quella che il mitico Adamo
non ha saputo reggere, lasciandosi convincere
dalla abilità del serpente, più capace e intelligente,
ma ingannatore.
Dunque una liturgia non così astratta come può
parere: ci parla di trasgressione e di inganni, che
possiamo fare e subire; ci parla di libertà, una libertà che pretendiamo, ma che ci impone di scegliere tra il mangiare il frutto e accogliere l’angelo; ci parla di attesa e di speranza, che chiedono
impegno e pazienza. Una liturgia infine che ci pone qualche domanda: ci basta sapere che il Signore è con noi? Ci basta per dire di sì di fronte a
responsabilità che ci sembrano superiori alle nostre forze? Ci basta per accogliere la gioia?
Domande che restano lì: noi abbiamo preferito
riprendere il lavoro per il giornale.
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Libro della Genesi 3, 9a-b. 11c. 12-15. 20
In quei giorni il Signore Dio chiamò Adamo e gli disse: «Hai forse mangiato dell’albero di cui ti
avevo comandato di non mangiare?».
Rispose Adamo al Signore Dio: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io
ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente
mi ha ingannata e io ho mangiato».
Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame
e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della
tua vita.
Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e
tu le insidierai il calcagno».
L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 1, 3-6. 11-12
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella
carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio
amato.
In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo
Lettura del Vangelo secondo Luca 1, 26b-28
In quel tempo l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a
una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si
chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
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Raccontare la carità per favorire i cambiamenti
Giuseppe Calbi e Giuseppe Nocera
Anche quest’anno, in una grigia mattinata di autunno, vincendo la pigrizia e la consueta routine,
abbiamo partecipato al convegno diocesano della
Caritas Ambrosiana dal tema intrigante:
“Raccontare la carità per favorire i cambiamenti”.
All’incontro hanno partecipato relatori di assoluta
eccellenza, con storie e vissuti diversi, ma ugualmente coinvolgenti: Luciano Manicardi, monaco di
Bose, con una relazione dal titolo “Gesù di Nazareth, il grande narratore” e lo scrittore Erri De
Luca sul tema “Le opere non bastano: quali parole per raccontare la Carità?”
Nel primo intervento Manicardi introduce la figura
di “Gesù narratore” che viene raccontato attraverso la pratica della sua vita. Come ogni narrazione parla di una storia, così i Vangeli parlano di
Gesù il narratore, l’esegeta vivente di Dio.
Le storie di Gesù - come ci ricorda Luca fin dalle
pagine iniziali del suo Vangelo - descrivono un Dio
che si manifesta nella storia, che irrompe nel tempo e nello spazio, di un Dio che prende gli uomini
per mano. Attraverso le sue parole, le sue vicende, le sue opere, Gesù è il narratore per eccellenza di Dio, fino a diventare immagine di quel Dio
che parlava anche quando non c’era nessuno che
lo ascoltasse.
I racconti narrativi dei Vangeli, quindi, conducono
il lettore attraverso un viaggio “trasformativo”
verso un personale cammino spirituale e un percorso di fede individuale.
Molti sono i personaggi che si presentano nei
Vangeli, ma uno solo è il personaggio cui si rivolgono: il lettore.
Ognuno di noi, di volta in volta, si può ritrovare
nella tristezza del giovane ricco, nella vicenda di
Lazzaro, nell’ansia del figlio che va e ritorna, nella
delusione del figlio che resta, nell’altruismo del
samaritano buono, nel seminatore che non sempre trova il terreno fertile, oppure nella vicenda di
Zaccheo, dove il lettore è chiamato a salire sul
Sicomoro nel desiderio di vedere Gesù e di con-
dividerne il percorso di salvezza.
E poi ci sono i paradossi: il seminatore del seme
che deve morire per fruttificare, il pastore che
lascia le sue 99 pecore per cercare quella smarrita, il padrone della vigna che retribuisce gli operai
chiamati a lavorare per ore diverse ma con la
stessa paga e non in base al merito. Sono immagini che sconvolgono i normali parametri: Gesù
DISORIENTA PER ORIENTARE e a chi ascolta
queste parabole rivela la chiave di lettura del paradosso.
Gesù viene presentato come animato da una forza poliedrica di creatività, di capacità di vedere,
di osservare e rispondere a ciò che viene dalla
realtà, animato di una capacità di stupore, di meraviglia, di concentrazione e di essere presente in
ciò che si fa e che si vive. Gesù non rinuncia ad
essere se stesso, cadendo nel conformismo, ma
impara dalla natura (il fico), dalle vicende domestiche (la chiocciola), dal contadino che semina
sul campo buono e sulle pietre.
Gesù narratore non ha scritto nulla ma ha lasciato una traiettoria da seguire, un esempio e un
modello da riprodurre per scrivere la sua vita
secondo la sua umanità, la sua vita e il suo silenzio. È umano quando mangia con i peccatori, con
le prostitute, i cambiavalute. È coraggioso quando
si scontra con i poteri costituiti rischiando in prima persona, disobbedendo a ciò che contraddice
l’amore, la fede: quella stessa fede e fiducia che
salvano il cieco. Ci insegna con il suo silenzio che
anche questo, come la parola, può servire a mantenere saldo un rapporto d’amore o d’amicizia, a
creare uno spazio per l’ascolto, a divenire come il
buon terreno capace di ricevere il seme della parola: della parola di Dio e della parola (a volte un
po’ inquietante) dei propri simili.
Nella sua relazione, lo scrittore napoletano Erri
De Luca si definisce “non credente”, ma scrive della Bibbia, di Gesù di Nazareth e di Maria perché il
vero narratore sa distinguere il piano personale
da quello dello scrittore, mantenendo separati i
due ruoli. Non usa il termine “ateo”. L’ateo è
Pagina
qualcuno che, avendo risolto il “problema” della
fede una volta per tutte, esclude la divinità dalla
sua vita e dal suo orizzonte, ed in questo è simile
al talebano che non ammette obiezioni alla sua
conclusione. Il non credente è una persona che tutti i giorni frequenta le Scritture Sacre, pur senza
rivolgersi alla divinità.
Il “credente”, invece, rinnova tutti i giorni il suo
atto di fede, in particolare nella recita del Padre
Nostro: una preghiera di poche parole, ma, come
dice De Luca, non ne servono tante perché Dio sa
quello che la persona in preghiera ha in animo di
chiedere.
La preghiera non serve solo a portare una richiesta a conoscenza, ma a rivolgersi alla divinità, dandole del “tu”: la preghiera non è un chiedere ma
sporgersi su Dio, chiamandolo Padre Nostro.
Per De Luca il “Padre Nostro” significa ricordare a
Dio il vincolo di tutela che un giorno si è assunto.
Non occorre solo pregare: occorre riconoscere il
volto di Dio in quello del passante. Nello sconosciuto che ha incontrato nella mensa della stazione ferroviaria di Bologna, nel detenuto che ha visitato nel carcere di Regina Coeli, nel vecchio mendicante che si nascondeva per non costringerlo quando faceva il muratore a Milano - a fargli la
consueta elemosina, nei musulmani incontrati,
quando era autista della Caritas in terra e in guerra di Bosnia, nel bambino in corsa verso lo sportello del camion per una caramella, nel volto di
una donna che aspettava la grazia di ricevere un
barattolo di cibo. Sono volti diversi da quello di
suo Padre ma recanti sempre lo stesso sorriso.
Occorre amare Dio con tutta l’energia amorosa
del cuore: solo quando hai dato tutto l’amore,
Dio te lo ritorna rinnovato e molto più forte.
L’amore non è una serenata sotto un balcone
chiuso, ma è quella forza di gelosia che spinge
Caino ad uccidere Abele perché gli ha tolto l’esclusiva del rapporto con la divinità. L’amore è la
potenza travolgente che radica ed estirpa.
L’amore che purtroppo oggi viene somministrato
in dosi farmaceutiche, versato in contagocce, è
un’energia che rassomiglia alla manna: la manna
che piove tutti i giorni anche quando gli Israeliti
si scordano del loro impegno verso Dio.
“A ognuno spetta secondo il fabbisogno. È pane
dei cieli e va diviso in parti necessarie e giuste.
Raccolta al sorgere del sole va consumata prima
della notte. A farne avanzare per l’indomani, c’è
da buttarla via, perché va in malora. Così nessuno
può imbastirci scambio. Non è soggetta a diventare merce, perché è la vita.
La divinità provvedeva al nutrimento in sovrabbondanza. Dopo la raccolta del mattino ne avanzava a terra. ..Dicesti che (Dio) ne faceva piovere
più del fabbisogno perché nessuno si doveva trovare a raccogliere l’ultima porzione, la scartata,
calpestata dagli altri. Nessuno era costretto a
correre, affrettarsi a prendere la sua parte in affanno di concorrenza.
…Che andasse pure
sciolta al sole una sovrabbondanza: servirà a garantire la pace e la giustizia tra di loro... ”.
Dio ha impedito qualsiasi valore di scambio per la
manna. Così è il sentimento amoroso: quello che
hai risparmiato nel giorno va perduto. Comunismo?! No, giustizia divina, parola di Dio.
ANGELI IN MOVIMENTO
- Gruppo Terza Età Martedì 17 dicembre ore 15.15 - Salone “Marcello Candia”
“Natale insieme” incontro dei gruppi MTE Decanato Romana-Vittoria: intrattenimento musicale
e teatrale, raccolta di fondi 2013 a favore del gruppo missionario degli Angeli Custodi.
Tutti sono invitati e piacevolmente accolti
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Gruppi di Ascolto della Parola di Dio nelle Case
Martedì 12 Novembre sono ripresi i gruppi d’ascolto. Quest’anno la Commissione per i Gruppi
d’ascolto della Parola della Arcidiocesi di Milano
ha scelto alcuni brani del secondo Isaia (o deutero
-Isaia) commentati dal biblista don Giovanni Giavini
Il brano per questo incontro è tratto dal capitolo
40 (Isaia 40, 1-11)
«Consolate, consolate il mio popolo - dice il vostro Dio.
Parlate al cuore di Gerusalemmee gridatele che la sua
tribolazione è compiuta,la sua colpa è scontata,perché
ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i
suoi peccati». 3Una voce grida:«Nel deserto preparate
la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il
nostro Dio. 4Ogni valle sia innalzata,ogni monte e ogni
colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi
in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la
gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato». 6Una voce dice: «Grida», e io rispondo: «Che cosa dovrò gridare?». Ogni uomo è come l'erba e tutta la sua grazia è
come un fiore del campo. Secca l'erba, il fiore appassisce quando soffia su di essi il vento del Signore. Veramente il popolo è come l'erba. Secca l'erba, appassisce
il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre.
Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a
Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete
notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! '°Ecco, il
Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il
dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il
gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini
sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».
Un cenno storico per inquadrare il periodo. Siamo
dopo il 600 a.C. domina sovrana la potenza di Babilonia
che, soprattutto dopo Nabukodònosor (il famoso Nabucco!), aveva eliminato la rivale e sua padrona Assiria
e aveva ricacciato i faraoni nella loro valle del Nilo. I re
di Babilonia prevalevano anche sulla Palestina e quindi
sul piccolo regno di Giuda e Gerusalemme. L'avevano
già aggiogato al loro carro, anzi, per ben due volte, in
seguito a sue ribellioni, l'avevano conquistato e costretto alla resa: una prima volta intorno al 597, e un'altra
catastrofica nel 586, con distruzione di una parte di
Gerusalemme e di altre città minori, del tempio di Sa-
lomone, delle mura, massacro di ebrei, deportazione
di gente come schiava nella grandiosa città orientale,
regno di Giuda eliminato. Un'ora di vera tragedia, anche per la fede nel «Santo di Israele», in Jhwh.
Gli ebrei sono dunque in esilio nella grandiosa Babilonia irrigata dall'Eufrate e da canali; in essa una torre in
onore del possente dio Marduk, chiamato anche Bel, il
dio vincitore e gloria dei babilonesi.
E gli ebrei come si sentivano lì, a più di 1000 chilometri
dalla loro patria? In particolare, che cosa pensavano
verso la fine dell'esilio, verso il 540, quando stava arrivando un certo Ciro dalla Persia con un fortissimo
esercito contro i babilonesi? Quali sentimenti e tentazioni provavano? Tentiamo insomma di metterci nei
loro panni.
Prevaleva lo sconforto, la perdita di speranza, anzi della fede: la tragedia sembrava una sconfitta per la
«gloria di Jhwh, del Santo di Israele»; nessun futuro
gioioso quindi da attendere da lui, anche perché la sua
ira, provocata dai loro peccati (idolatria e altri delitti),
sembrava definitiva. In alcuni però, ancora credenti
nelle parole dei profeti di allora come Geremia ed
Ezechiele (addirittura presente a Babilonia), rimaneva
un «germoglio» di speranza: dopo la tragedia ci sarà
una ripresa, un futuro da «nuova alleanza».
Ma ci sarà davvero? Come e quando? Per i vecchi credenti/speranti era fortissima la tentazione di rinunciare
alla vecchia fede di padri e di nonni, per passare alla
religione del dio Marduk e della sua corte celeste, a
quella dei loro padroni, accontentandoli anche cantando «i cantici di Sion» con cetre e danze, magari ottenendo qualche favore economico o sociale in più. Se
per gli altri quella tentazione era meno forte - caso
mai poteva spuntare quella del solo interesse alla propria fortuna -, restava però anche per loro l'incertezza
sul futuro e una nuova paura: giravano notizie dell'arrivo dell'esercito potente del persiano Ciro il Grande,
che già aveva devastato il regno babilonese e si stava
avvicinando a Babilonia! Che sarebbe successo?
Nei versi appena letti domina il tema della Parola di
Dio, che grida un messaggio di consolazione al
suo popolo esiliato, sconfortato, deluso, pauroso,
tentato di disperazione e di perdere la memoria
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delle glorie di Jhwh. A parlare al «cuore di Gerusalemme»! Sì, perché, nonostante la catastrofe
avvenuta e le rovine del tempio, delle mura e delle case, ne rimaneva ancora il cuore, ne restava
almeno, appunto, un «resto»: i pochi rimasti in
patria e gli ebrei deportati e residenti a Babilonia.
Questi sono il cuore di Gerusalemme al quale il
cuore di Dio rivolge ora la sua Parola.
Questa Parola annuncia innanzitutto la fine del periodo del castigo sui peccati del suo popolo, mentre
alcuni lo ritenevano ancora in atto e chissà per
quante generazioni: basta, dice Dio. Adesso è l'ora
del perdono, della riparazione dei mali, della salvezza. Il profeta sente una voce che lo urge a gridare; in
un primo momento egli non sa che cosa gridare, ma
poi è illuminato dall'ispirazione e dalla sua stessa riflessione su tradizioni precedenti e sull'esperienza. Deve
gridare che «ogni uomo è come l'erba e come un fiore
del campo» un fiore campestre inaridisce presto al
soffio del vento di Dio nel deserto una forza misteriosa, reale ma inafferrabile, appunto come il vento, come
un vento infuocato, a sua volta segno efficace del mistero reale ma inafferrabile di Dio.
Alla povera graziosità di un fiore del campo e dell'erba
il profeta paragona il suo popolo, che quindi sembrerebbe destinato a inaridire del tutto! Ma la Parola consolatoria e davvero vitale di Dio è ben diversa e quindi
farà ri-germogliare pure una povera pianticella inaridi-
ta.
Nella parte finale ecco il grido Il profeta deve annunciare dall'alto di un simbolico monte l'arrivo, l'avvento
del Signore per Sion-Gerusalemme e altre città semidistrutte del defunto regno di Giuda: Dio, dunque,
non è morto né si è ritirato con vergogna dietro le
quinte del teatro regale di Marduk e di altri dèi: Dio
viene, appunto per consolare il suo popolo semimorto.
E Dio viene come un re potente e vittorioso per distribuire premi e ricompense anche a chi non le meritava. Egli ha un «braccio» capace di meraviglie, di
sorprese, di rompere capitelli e colonne, di abbattere
porte di bronzo
Il braccio di Jhwh è anche quello di un «buon pastore», che tiene alle sue pecore, anche alle più deboli, e
cammina con loro.
Questa immagine è ripresa anche da Gesù quando
parlerà di sé come buon pastore non userà solo una
bella e commovente immagine: sullo sfondo avrà il
suo essere come il divino Buon Pastore («lo sono il
buon pastore...; Come il Padre conosce me e io conosco e amo il Padre...; Do la mia vita per le pecore...;
Questo comando ho ricevuto dal Padre mio »: cfr.
Gv 10, 14-18).
I prossimi incontri si svolgeranno:
Martedì 21gennaio alle 21,00
Martedì 18febbraio alle 21,00
Martedì 29 aprile alle 21,00
Martedì 27maggio alle 21,00
Elenco delle famiglie ospitanti
Balboni
via Muratori, 46/4
tel. 02 5464508
Vanelli
via Muratori, 32
tel.02 59900257
Vangelisti
via Colletta 21
tel. 02 55189978
Gli incontri sono aperti a tutti, anche a chi non ha partecipato agli incontri precedenti
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Gli Angeli raccontano…
CENTENIARIO DELLA FOM
Come ogni anno, il nostro oratorio si prepara a festeggiare il Natale: domenica 22 dicembre
alle 15.30, infatti, si terrà la tradizionale festa natalizia realizzata dai ragazzi delle classi di
catechismo (terza, quarta, quinta elementare, prima media e preadolescenti) e dai loro
educatori.
Quest’anno, inoltre, dall’8 al 13 dicembre, il nostro oratorio ospiterà la fiaccola per i 100
anni della Fom: all’assemblea degli oratori, infatti, il Cardinale Angelo Scola ha benedetto
sette fiaccole che faranno tappa in diversi oratori milanesi, fino a una grande fiaccolata che
terminerà il 23 maggio 2014 in piazza Duomo in occasione dell’incontro degli animatori e
apertura dell’oratorio estivo. Ogni oratorio si impegnerà a pregare durante il passaggio della fiaccola ed è per questo che, in questa settimana, essa verrà portata nelle classi di catechismo in modo che i ragazzi possano riflettersi e impegnarsi in un’orazione comunitaria,
pregando soprattutto per l’istituzione dell’oratorio, punto di riferimento di divertimento, riflessione, gioco, apprendimento e ovviamente iniziazione cristiana per tante generazioni di
bambini e adolescenti.
In piazza Duomo durante l’incontro degli animatori dell’oratorio estivo 2014 le sette fiaccole
si riuniranno dopo il loro viaggio in tutti gli oratori della diocesi, avendo creato alle spalle un
movimento di preghiera senza precedenti in cui in ogni oratorio si è pregato per tutti gli altri oratori.
Levia Messina
Sacerdoti
Parroco
Don Guido Nava
tel. e fax. 0255011912
Residente
Don Roberto Davanzo
Direttore della Caritas Ambrosiana
Ss. Messe festive: 9.00 (inv.) - 11.00 - 18.00
vigilia: 18.00
feriale: 8.15 (inv.) - 18.00
Segreteria tel. 0255011625
Lun. - Ven. 9.30 - 12.00 / 17.00 - 18.00
Lun. - Mer. - Ven. 16.00 - 17.00 (Centro di ascolto)
Hanno collaborato a questo numero: Ugo Basso, Carlo Favero, Fabrizio Favero, Roberta Marsiglia, Levia Messina, don Guido Nava, Elisabetta Perego
I numeri precedenti sono raccolti nella sezione “La Parrocchia” del sito internet parrocchiale www.parrocchie.it/milano/angelicustodi
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CALENDARIO PARROCCHIALE
III Avvento:
10. 15: Catechismo Adulti
DOM
1
LUN
MAR
MER
GIO
VEN
SAB
2
3
4
5
6
7
DOM
8
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9
MAR
10
21. 00: Gruppi Ascolto
MER
GIO
11
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21. 00: Redazione …tra le case
VEN
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S. Lucia
ADO
SAB
DOM
LUN
14
15
16
S. Giovanni della Croce
V di Avvento: Il Precursore
Novena di Natale
PREADO – Visita al Duomo
MAR
17
Novena di Natale
17. 30: Novena di Natale
MER
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Novena di Natale
17. 30: Novena di Natale
GIO
19
Novena di Natale
17. 30: Novena di Natale
VEN
20
18. 30: PREADO
SAB
21
15. 30: Catechismo II elementare
DOM
22
LUN
23
MAR
24
MER
25
NATALE DEL SIGNORE
GIO
VEN
SAB
DOM
LUN
26
27
28
29
30
S. Stefano
S. Giovanni
Ss. Innocenti
Ottava di Natale
Ottava di Natale
MAR
31
Ottava di Natale
Le profezie adempiute
DICEMBRE 2013
21. 00: Consiglio Pastorale Parrocchiale
S. Francesco Saverio
S. Ambrogio
Immacolata Concezione
Domenica dell’Incarnazione
Vigilia del Natale
Ss. Messe: 8.15 – 18.00
10. 30: Battesimi
17. 30: Novena di Natale
11. 00: Benedizione statuine di Gesù Bambino
18.00: Messa della vigilia di Natale
Ss. Messe: 9. 00 – 11. 00 – 18. 00
18.00: S. Messa di ringraziamento
CALENDARIO PARROCCHIALE
MER
1
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SAB
DOM
2
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4
5
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MER
6
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8
GIO
9
Ottava del Natale
Giornata mondiale della pace
SS. Basilio e Gregorio
Ss. Messe orario festivo: 9. 00 - 11. 00 – 18. 00
Dopo l’Ottava di Natale
Epifania del Signore
GENNAIO 2014
Ss. Messe: 9.00 – 11.00 – 18.00
21. 00: Commissione famiglia
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Parrocchia Angeli Custodi V