PUBLIREDAZIONALE
Cantare,
e cantando
toccare
l’anima...
In queste pagine, due belle
immagini in borghese
di Ekaterina Bakanova
e il soprano impegnata nei
ruoli di Regina della Notte,
Fanciulla di neve, Gilda
(Foto Ricardo Herrgot)
e Lucia di Lammermoor
(Foto Nicola Nesi)
Lei ha debuttato come Regina della notte nel Flauto magico.
Cosa ricorda di questa esperienza?
«Il mio debutto nei panni della Regina della Notte è stata la mia grande fortuna. Sono stata scelta da un famoso regista tedesco, Achim
Freyer, a Mosca, durante una lunga audizione, dove si sono presentati
30 soprani per il ruolo. Io avevo 20 anni e frequentavo il primo anno
dell’Accademia Musicale. Nonostante la mia giovinezza, sono stata
ammessa nella prima compagnia, come solista, alla Novaja Opera di
Mosca. È stata un’esperienza molto importante per me, non facile e
anche brutale, perché la regia era molto moderna, scomoda e provocatoria, proprio nello stile di Freyer, ma sono entrata grazie a questa
parte in uno dei migliori teatri della capitale della Russia, dove poi ho
preparato con diversi direttori d´orchestra, registi e bravissimi maestri
accompagnatori diverse opere e ruoli, per debuttarli sul palcoscenico
di Mosca. Sicuramente è stato un periodo importante nella mia vita».
Ekaterina Bakanova, una delle più
interessanti voci di soprano lirico-belcantista
dell’attuale panorama lirico; discipilina,
tecnica e volontà di emozionare chi ascolta
sono le regole della sua carriera
E
katerina Bakanova, interprete in questo periodo di Violetta
in Traviata alla Fenice di Venezia, è una delle più interessanti voci di soprano lirico-belcantista, con notevolissima
propensione all’agilità, del panorama attuale. Il suo carnet
di impegni, sia in Italia che a livello internazionale, si sta
infittendo di appuntamenti artistici. Il soprano russo racconta di sé,
dei suo inizi, della sua concezione del canto e dell’interpretazione e
dei suoi progetti futuri.
Lei ha iniziato i suoi studi musicali in Russia: c’è una buona
scuola di canto?
«Ho cominciato i miei studi musicali presso la scula d´Arte nella mia
cittá natale negli Urali, a Mednogorsk, dove studiavo fisarmonica,
pianoforte e il canto. All’etá di 16 anni ho lasciato la mia famiglia,
la casa e mi sono trasferita da sola a Mosca (2000 km distante e
38 ore di treno dalla mia cittá),per continuare l´istruzione al famoso
CollegioMusicale di Gnesin e poi successivamente all’Accademia.
Per noi in Russia l´istruzione superiore è molto importante. Definisce
lo status della persona, il livello del mestiere che fa, lo stipendio ecc.
Un cantante senza laurea dell`Universitá non puó essere ammesso come solista in un teatro. Per questo l´istruzione superiore nella
capitale della Russia è sempre stato il mio sogno e il mio obiettivo.
Ho vissuto ben 10 anni a Mosca e la mia grande fortuna nella vita
sono sempre stati gli insegnanti: prima Margarita Landa a Mosca e poi
Gioacchino Gitto a Roma, con cui ho perfezionato la tecnica vocale, e
Franco Silvestri per l´interpretazione. Bisogna dire che la preparazione
e l’educazione russe rimangono, fino ad oggi, secondo me, tra le migliori. Ci teniamo molto alla disciplina, conosciamo le lingue straniere
(io ne parlo quattro), sappiamo suonare gli strumenti che ci aiutano
ad imparare la scrittura musicale piú velocemente e correttamente,
conosciamo gli stili, la storia dell’arte, studiamo profondamente solfeggio e armonia, che sono fondamentali per la formazione completa
di un ottimo musicista. Quello che a volta manca sono l’interpretazione e la tradizione.Per questo bisogna perfezionarsi con i bravi coach
dell’estero, ascoltare molto i grandi cantanti e musicisti del passato,
avere sempre la mente aperta alle cose nuove che avvengono adesso,
nel nostro tempo, perfezionandosi sempre».
Ha partecipato e ha vinto diversi Concorsi. Sono utili queste
esperienze per un giovane cantante?
«Io sono convinta che fino un certo punto i concorsi internazionali
sono molto importanti, perché aiutano a un giovane cantante a trovare un agenzia, fanno girare un´po di piú il tuo nome, aiutano ad
ottenere i primi contratti e semplicemente danno la possibilitá di
guadagnare dei soldi, che purtroppo sempre mancano ai giovani.
Importante ricordarsi che lo scopo principale dei tutti concorsi è il
lavoro successivo. Ci sono tanti cantanti che hanno vinto numerose
competizioni, ma non cantano da nessuna parte».
Come definirebbe la sua voce?
«Come quella di un soprano lirico. Ho sempre cantato il repertorio liricoleggero, ma sono convinta che, sin dall’inizio, la mia natura era stata
diversa, anche se ho avuto sempre facilità nel registro sovracuto».
Gilda in Rigoletto è diventato da subito uno dei personaggi
che canta più spesso. Cosa le piace di questo ruolo?
«Il ruolo di Gilda è per me particolare, perché è stata la prima opera
che ho debuttato in Italia in 2007 a Trapani, avendo vinto il Concorso
Giuseppe di Stefano al Luglio Musicale Trapanese. Mi ricordo il grande
Maestro Rolando Panerai, il presidente della giuria, che ha accennato
il duetto del secondo atto con me durante la Semifinale del concorso.
È stato meraviglioso! Ho sempre cercato di rendere il carattere di Gilda
più vicino ai tempi nostri, creare il contrasto più forte possibile già tra
il I e il II atto del dramma, rendendo il ruolo più interessante per il pubblico. Mi piace sempre rivelare in un personaggio quello che nessuno
si aspetta di sentire o vedere nella parte che interpreto».
Qual è, secondo lei, la base di una buona tecnica di canto?
«La base di una buona tecnica di canto secondo me è perfezionarsi
sempre. Registrarsi mentre si studia a casa e durante le esibizioni
sul palco, essere attenti ad ogni suono, ad ogni frase, avere in mente un certo ideale e non accontentarsi mai. La disciplina vocale e la
capacità di dosare giustamente la voce durante le prove e le recite».
Un altro personaggio che è entrato a far parte del suo repertorio è Lucia di Lammermoor. Ci può parlare delle difficoltà
di questo ruolo?
«Ho debuttato il ruolo di Lucia di Lammermoor dopo aver vinto il concorso di As.Li.Co. 2012. Per me la difficoltà di questo ruolo è sempre stata la tessitura. Come altre difficoltà indicherei l´uguaglianza
del suono in tutta l’estensione vocale, l´intonazione e le capacità
drammatiche per affrontare la scena della pazzia. Io ho avuto la
fortuna di preparare la parte con il grande Henning Brockhaus. Sono
stata sempre affascinata dal personaggio di Lucia e sognavo di cantarlo ma, adesso, sono attratta da i ruoli ben diversi».
Lei si definirebbe un soprano belcantista?
«Sicuramente sì! Amo Mozart e mi auguro di cantarlo il più possibile!
Il repertorio russo, anche, è molto vasto e meraviglioso. Peccato che
all’estero le nostre opere di Rimskij-Korsakov, Rachmaninov, Musorgskij, Cajkovskij, Stravinsky, si diano molto di rado. Mi manca
molto quel repertorio».
Quanta importanza ricopre il lato della recitazione per un’artista «moderna»?
«La tecnica vocale resta sempre la cosa fondamentale, ma preferisco sempre un cantante con una-due note calanti ma che mi tocca
l´anima e mi commuove durante la recita piuttosto che quello perfetto ma freddo e poco artista. Oggigiorno, spesso i cast li fanno i registi, specialmente all’estero, in Germania, per esempio. Un cantante
di oggi deve saper muoversi bene, essere snello, prendersi cura di
sé, perché entra sul palco e rimane sempre in evidenza».
Lei sta interpretando ora Violetta alla Fenice di Venezia, un
altro grande personaggio. Ci vuole parlare della sua visione
di questa straordinaria figura di donna?
«Come sappiamo “La Traviata” si basa su una storia vera e su un
personaggio realmente esistito che si chiamava Marie Duplessis,
pseudonimo di Alphonsine Rose Plessis, una celebre cortigiana vissuta a Parigi ai tempi di Luigi Filippo. Era nata in un paesino della
Bassa Normandia da una famiglia molto povera e cominciò a lavorare giovanissima; a quindici anni si trasferì a Parigi, dove la sua
bellezza e la sua intelligenza l´hanno aperto le porte del bel mondo e
a soli sedici anni si ritrovò ad essere la cortigiana più richiesta e più
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ben pagata di Parigi. Portava con sempre con sé un mazzo di camelie, bianche 25 giorni al mese, gli altri 5 giorni rosse: ciò serviva ad
indicare la sua “disponibilità’” ai suoi amanti... Per questo motivo fu
soprannominata “la signora dalle camelie”. Ma esiste anche un altra
ragione. Siccome lei soffriva dei vertigini le davano fastidio i profumi
forti, come quello di rosa per esempio, e per questo preferiva i fiori
senza profumo e ha scelto per questo la camelia.
I suoi protettori erano uomini ricchi e in vista, che le offrivano aiuti
finanziari in cambio della sua compagnia pubblica e privata. Frequentava l’Opera e i teatri, viveva nel lusso, aveva gioielli, pellicce,
carrozze a volontà. Alexandre Dumas figlio, che era anche il suo
amante, rimase affascinato da questa donna. Nel suo romanzo “La
signora delle camelie”, ispirato proprio a lei, scrisse che Marguerite
non perdeva una prima, e passava tutte le serate al teatro o al ballo.
Ogni volta che c’era un nuovo spettacolo, si poteva esser certi di incontrarcela, con tre piccoli oggetti che non la lasciavano mai, e che
stavano sempre sul parapetto del suo palco di platea: l’ occhialino,
un sacchetto di dolci e un mazzo di camelie.
Marie Duplessis era una persona colta e brillante nella conversazione, era una donna unica nel suo genere. Fu amante anche del compositore Franz Liszt e delle persone più ricche e
più conosciute del suo tempo. Il famoso conte
Edouard de Perrégaux, dopo esserne stato l’amante, decise di sposarla; il matrimonio però
ebbe fine per le ingerenze del padre di lui, che
non sopportava di avere per nuora una cortigiana. Dopo la separazione Marie si lasciò andare
ad una vita disordinata; dopo meno di un anno,
a soli 23 anni, morì di tisi, oppressa dai debiti
e dimenticata da tutti. Fu sepolta in una fossa
comune, ma il conte la fece riesumare per assicurarle una sepoltura dignitosa e la sua tomba
fu poi traslata al cimitero di Montmartre dove si
trova sino ad oggi.
Giuseppe Verdi, che in quegli anni si trovava a
Parigi, vide proprio la rappresentazione teatrale della “Signora dalle camelie” di Dumas, e probabilmente pensò,
sopo aver già letto il romanzo, che quello sarebbe stato il soggetto
della sua nuova opera da rappresentare alla Fenice.
Nell’opera di Verdi la protagonista ha il nome di Violetta Valery. Il
libretto come sappiamo fu affidato a Francesco Maria Piave che,
per far accettare meglio il soggetto alla censura, ovviamente fu costretto a rielaborare il personaggio evitando di fare troppi riferimenti
al suo stile di vita equivoco, e cercando invece di farlo più nobile ed
elevarlo moralmente».
Una visione registica particolare, quella di Robert Carsen. Ci
si trova a suo agio?
«Non è la solita visione tradizionale ma molto moderna e molto intelligente secondo me. Mi fa piacere debuttare il ruolo di Violetta sul
palcoscenico della Fenice, perché proprio qui debuttò quest’opera
straordinaria.
La concezione di Carsen è molto forte e dura: la sua “Traviata” è una
denuncia della prostituzione come un fenomeno della società, non
è la storia di Violetta-donna. Quasi sempre la regia è molto cinica,
è un mondo dove il passato, il presente e il futuro di questa donna
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sono solamente un’ossessione sessuale da parte dei uomini che le
stanno attorno (anche di Germont). Il denaro, con la sua carica di
corruzione morale, scandisce le tappe della vita di Violetta. I soldi,
anche fisicamente, sono ovunque: all’inizio, sul letto di Violetta e poi
le banconote cadono come foglie secche dagli alberi nel secondo
atto, oltre a essere presenti nei momenti più tradizionalmente deputati come la scena della borsa durante la festa a casa di Flora. Trovo
fantastica l’ultima scena, dove vediamo Violetta in una stanza vuota,
da sola, una donna persa, sfruttata, tra tantissime foto della sua vita
così superficiale, insignificante e bruciata così velocemente.
Una giovane ragazza, una donna che fa quel mestiere, dovrebbe
essere prima di tutto molto vanitosa, piena di voglia di avere tutto
nella vita, non ascoltando mai quello che dice il cuore. La priorità su
tutto sono i soldi, culto per l’apparenza, ricchezza e superficialità.
Non a caso anche Alfredo è un fotografo di glamour! Un’idea brillante e molto forte, c’è sempre una doppia lettura ovunque. Il fatto che
Violetta usa anche la droga, nella regia di Carsen, la rende ancora
più trasgressiva, secondo me, diversa e particolare rispetto ad altre
interpretazioni. Trovo la sua una versione fuoriclasse, estremamente
interessante e sempre più attuale».
Qual è stata, sino ad ora, la sua esperienza
artistica più gratificante?
«L’esperienza più gratificante....ne sono convinta è questa mia prima “Traviata” di Carsen.
Ricorderei, però, anche la bellissima parte di
Angelica in “Orlando paladino” di Haydn e il
ruolo da protagonista nella “Fanciulla di neve”
di Rimskij-Korsakov che ho debuttato a Mosca
qualche anno fa.
Angelica l’ho cantata al Théâtre du Chatelet di
Parigi. È un’opera barocca molto bella, con i recitativi pieni di senso drammatico. È stata una
magnifica esperienza lavorare con un direttore
come Jean-Christophe Spinosi e il coreografo e
regista Kamel Ouali, che ha creato uno spettacolo pieno dei movimenti, danze, usando moltissimo il linguaggio del
corpo, che io personalmente, assieme alla presenza scenica trovo
molto importante per un artista di oggi.
Il personaggio di Fanciulla di neve rimane per me fino adesso uno
dei miei ruoli preferiti: sia musicalmente che scenicamente»
Ci può annunciare i suoi progetti futuri?
«Tra i miei prossimi progetti vorrei accennare al debutto nel ruolo di
Elena in “Cappello di paglia di Firenze” al Maggio Musicale Fiorentino,
il debutto nel ruolo di Pamina nel “Flauto magico” al Teatro Regio di
Torino,il debutto nel ruolo di Oscar in “Un ballo in maschera” all’Arena
di Verona e al Théâtre de La Monnaie di Bruxelles, e anche il debutto
al Covent Garden di Londra nel ruolo di Musetta in “Bohéme”».
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