Lo scaffale d i Poesia scinante gioco di variazioni al loro interno; inoltre il tratto epigrafico, il garbato e improvviso 'alzo' surreale, la misura da un lato confidenziale e dall'altra ellittica e allusiva, fanno sì che si configuri come un passaggio significativo nella poesia italiana di questi anni. Stefano Verdino Albino Crovetto, Imposizioni. Poesie 20072010, i l canneto, Genova 2011, pp. 112, € 10,00. L a pubblicazione di una nuova raccolta rappresenta sempre, niiiriiriiiiii urliyiìi per Elena Salibra, una sfida. Così avviene per il martirio di ortigia, introdotto da una lucida analisi di Maria Cristina Cabani. Le occasioni quotidiane, che alimentano i versi e consentono quell'andamento narrativo perseguito dall'autrice, assumono ora un significato più profondo che dal personale si apre all'assoluto: "la stella del fondale che ha posato / il pescatore sul bordo della barca / chiede la giusta posizione come / ogni cosa nel suo luogo". L a dimensione temporale, prevalente nelle raccolte precedenti, non definisce gli eventi ma l i sospende in una duplice ciclicità, quella maggiore delle stagioni che si ripetono e quella minore del giorno che si consuma: "comincia da qui i l mio letargo settembrino / un poco anticipato dalla calura d'agosto / che declina. / / tutto eguale per strada / nei lungarni lungo la statale 206 all'alba al tramonto [...]". In questo modo la poetessa può meditare sulle "morte stagioni" leopardiane e decidere, nel chiedere "di rimando a Remi [...] cos'è / i l tempo per te", che "adesso qui con la presente e viva / voglio ricominciare". Il tempo, che assume molteplici coordinate per definire culture diverse, la verticalità di un grattacielo giapponese ("al 51esimo piano bevi un cafè du ciel / e spendi il tempo in verticale") e l'orizzontalità della metropolitana ("<? troppo veloce il treno"), si sottomette allo spazio, che è anche grafico {"tutto spostato d'un tanto / nei miei versi / d'un tempo d'un senso d'un dove") e metapoe- tico ("sul crescente cercavi quella curva / che fa tornare / i l treno (o i l verso) alla partenza"). Il martirio, infatti, si configura come un compendio di luoghi, fittizi e reali: il taglio pittorico, che apre e chiude con linee caravaggesche e dechirichiane la raccolta, permane nella descrizione dei paesi realmente visitati. Si affina, così, lo sguardo della poetessa nella selezione dei dettagli: "sembra la mia quella casa / là sull'altura di terragno giallo [sotto i monti mangiati dalle cave] ". Tale cura, che restituisce colori e margini al mondo ("un cielo spezzato / m i colora d'azzurro le rientranze / del terrazzo sopra i l riad"), mantiene intatta la vitalità di personaggi, spazi e oggetti di cui i versi riproducono il movimento, di caproniana memoria: "ma è un alternarsi / di bitorzoli e rientranze / / anche / questa città che sulla scena ride / mentre sale / la funicolare / tra la roccia e i l mare". Descrivendo e raccontando, dunque, la Salibra tenta di appagare la propria ansia comunicativa, implicita fin dalla dedica iniziale "a chi le ha già lette". I versi oscillano tra un "me" e un "te confusi" come "un miscuglio di colori"; se talvolta i l soggetto lirico prevale ("io non ho più lena e cerco le vestigia / del mistero d'ortigia"), i l "tu", tuttavia, domina la dimensione dell'incertezza, centrale nella raccolta: "se tu stemperi"; "se mi chiedi"; "se i l lapsus si ripete sono qui / a risalire il sentiero da capre / con te ancora fermo davanti". Il dubbio non si stempera, acquista in ipotesi consistenza verbale ("toccasse il mìo cuore arretrerei I tra le scaglie di salsedine Ila ritesserti le maglie di un ricordo / che pure un giorno è bastato a smemorare") e di esso si riappropria, alla fine, il soggetto poetico che non chiede "venia": "ma non so se la mano che mi tocca / la spalla è la stessa che un tempo / m'aggrinzava la pelle quando lo spazio / / tra noi forse non era ancora i l nostro". Mara Boccaccio Elena Salibra, il martirio di ortigia, Manni, Lecce 2010, pp. 80, € 10,00. I a voce di Anna Maria Carpi diventa in j questo volume, che propone poesie nuove e una scelta dalle raccolte precedenti, sempre più quella di un classico contemporaneo, profondamente riconoscibile in una "limpidezza" (così Fausto Malcovati) da cui traspare i l caos dell'esi- stenza. Come dice Nietzsche (Carpi ne ha tradotto le poesie), andare in alto significa calarsi nella profondità. Il nitore apollineo (mai lezioso ma sempre segnato dal concreto vissuto) è dizione del travaglio dionisiaco. Travaglio dionisiaco perché i l tema di questa raccolta è sempre quello della morte, del trionfo della lacerazione dionisiaca sul temporaneo fermo-immagine apollineo. Nella risalita all'origine, Carpi incontra, ad apertura di libro, i "genitori inetti: / gli amati, i maledetti". L a madre "era un uccello / che migrava / con le ali tarpate", sul cui grembo dormire rannicchiata, mentre i l padre dorme "profondo" (profondo, scrive l'autrice, non "profondamente") in una stanza in fondo (a rimare con profondo). M a ci sono anche i padri spirituali, come il Norberto Bobbio al quale rivolgersi deferente con il Lei, ma per metterne in discussione la fiducia negli altri: "Con gli altri, dice. E dove sono gli altri?": gli altri ai quali pure la Carpi torna ossessivamente; o nella ragione: " L a ragione è per pochi, i pochi forti". Anche Dio "è soltanto per pochi", impassibile come il sole a dicembre, un sole dal quale non si riesce però a distogliere lo sguardo, perché, pascalianamente, la scommessa è ineludibilmente questa: "o la polvere / o l'abbraccio divino", e ci vuole più coraggio a morire che a vivere. Bertolt Brecht, altro padre spirituale, in punto di morte riesce a rallegrarsi per ogni canto di merlo che gli sopravvivrà. U n barlume di speranza come la speranza folle di qualche pagina precedente nella quale di fronte al miracolo terreno di una nuova alba, di un sole che s'affaccia nella stanza, ci si chiede: " . . . la mia fede che per me non c'è fine?". Non si può fare a meno di enumerare i padri che hanno accompagnato la propria vita e i propri studi: "Fame di padri, fame senza fine". Dopo le grandi domande, Carpi torna alla fugace quotidianità con la quale s'è aperto il libro, anche se è da essa che nascono le domande assolute; una fugacità per sfuggire alla quale rifiutare l'angelo della storia di Klee e lo scorrere del tempo, per eternarsi in un unico immobile, parmenideo, istante. L a quotidianità ora è quella dei viaggi in Italia e in Europa, per sentirsi straniera proprio in quella Germania la cui voce lette- raria Carpi ha resuscitato, da raffinata traduttrice, nella nostra lingua. E ci troviamo nella Russia di Pietro i l Grande che immagina la sua città sul Baltico (ma qui la Storia si riaffaccia in un gioco, nel libro, tra micro e macro), o della Seconda guerra mondiale o pure nei nostri giorni. Poi le Marche della giovinezza ("Anni felici quando tutto ami / e in leggerezza lasci / perché nulla è perduto e tornerà"), per sentirsi infine spaesata in un ristorante sotto casa, a Milano: " A l di là della strada è casa mia. Mia, / com'è strano. / Quelle finestre buie al terzo piano, / le mie cose, pazienti zitte sole". "Fuori del mondo infine", per ribadire la paura dell'essere soli: la vita è un teatro nel quale, comparsa o autore, "essere in gioco, in mezzo, / in mezzo agli altri, in mezzo senza fine". L'ossessione della poetessa Carpi dà voce a quella di tutti noi altri. Enzo Rega Anna Maria Carpi, L'asso nella neve. Poesie 1990-2010, Transeuropa, Massa 2011, pp. 120, € 10,00. D a venticinque anni, a partire da Canti cioiridria e ciarlieri (1985), Loretto Mattonai pubblica presso Gazebo una serie di volumetti di cui si serba ricordo. Per esempio gli haiku di cinque leS pri lontane (1998) mi sono una volta serviti per fare lezione d'italiano a un amico americano: "solca i l soffitto / un gran prurito; i tarli in / fila armonica"; "tela in tazza / di ambrato colore, un / ragno da tè". Infatti Mattonai è sempre sintetico, lievemente ellittico, ma ha una sintassi sicura, robusta; unisce leggerezza e vigore. Parla di eventi riconoscibili che pure vivono nel linguaggio. Nel 2009, con La strada bianca, Mattonai ha affrontato una sfida ardua: un'elegia in morte della madre Franca. Il libretto si compone di brani di diversa lunghezza, da poche parole alla pagina, svolti fra verso e prosa, questa però di solito non giustificata al margine destro, sicché un respiro ritmico-tipografico si lascia sempre cogliere. t-WM;. H 1.-.- W La strada bianca w Mattonai ricrea con vigile commozione i l mondo rurale in cui è cresciuto accanto a Franca, rievocando momenti, immaginandone altri, alternando i l passato in cui Franca era presente al fatto comune ma inspiegabile della sua assenza-presenza. Questo lavoro si compie senza sforzo apparente e senza sentimentalismo. L'inizio ha qualcosa di rituale, come inevitabile nei momenti di passaggio in cui il privato si incontra con il pubblico: "Una voce / la mamma, la tua madre tenerissima, / non è morta, ma assorta nel più divino / nascosto pensiero, una farfalla in attesa / di venire accolta nel fiore più vero". Sotto l'aspetto convenzionale sentiamo che c'è ben altro. L a rima piena (in chiusa e alla cesura del penultimo verso) ricorda i l mondo infantile delle filastrocche, ed è ribadita dalla serie morta-assorta-accolta. E segno è semplice, nitido, sicuro. Quanto alla "voce", è significativo che in tutto La strada bianca Mattonai è presentato in terza persona, o come qui con la seconda. Vede i l mondo da fuori pur essendo vicino al centro. Così comincia le sue notazioni, sempre fresche, scanzonate si direbbe se non cogliessero serenamente i l segno: "Sul suo viso, nella Cappellina, / quasi un sorriso da ragazzina". E poi: "L'inverno comincia quella sera". Tutto lì. D a notare che i frammenti sono sempre privi del punto di chiusura, delicata indicazione del genere poetico del discorso. L'influsso orientale è evidente, ma Mattonai ha una scrittura robusta, ancorché immaginosa, come terrestri sono i suoi temi. È sempre vicino alla campagna, e i lavori di Franca (seminare, potare, cucinare, frequentare un corso per massaie) sono evocati a tratti, come gesti colti in un istante. Mattonai ci propone una serie di questi momenti recuperati dal ricordo e dal fluire ininterrotto dell'esperienza, fissati senza che perdano i l loro carattere breve e intenso: " 'Bimbo, ha proprio un buon odore?', chiede Franca sorprendendo il figlio a fiutare il legno di ulivo appena spezzato dall'ascia, in quel pomeriggio d'inverno...". Il titolo La strada bianca muove da una vecchia foto riprodotta in copertina, così descritta a pagina 33: "È forse i l mattino di un giorno di primavera. / Una giovane e sorridente Franca tiene davanti a sé i due gemelli, posa una mano su ciascuno dei due. I bambini a loro volta sembrano carezzare Ruffo, i l cane riccio che sta seduto al centro del gruppetto. Dietro, la strada bianca sfiora le mura della casa di Tampiano e risale verso la collina, presto incontrando una 57 L o scaffale di Poesia curva che la cela come un avvenire". Stile pacatamente descrittivo, da osservatore minuzioso ma non ozioso di un affetto trasmesso, e solo in chiusa la registrazione si apre su altro, indicando i l carattere emblematico di quanto vi è di più quotidiano, una strada sterrata che sparisce dietro una curva. In altri squarci è più evidente lo scatto percettivo di Mattonai, che restituisce un'intuizione: "Il figlio sente la vita come la risposta assoluta, / cui manca persino una sola domanda degna di questo nome". Loretto percepisce lo stupore del mondo, una risposta senza domande. Le sue annotazioni hanno infatti questo carattere di risposte, perché sono dei momenti trovati, afferrati, felicemente immuni da ogni compiacimento. La vita si p u ò dire. Tutt'altro respiro ha il più recente lavoro di Mattonai, fuochi di stelle dure, in collaborazione con Maria Grazia Cabras. Qui la poesia incontra la canzone, infatti al libretto è allegato un efficace CD con cinque testi musicati e intonati con stile che ricorda Fabrizio De André, ma con grande semplicità. L a prima poesia, "Lettera dal carcere dello Spielberg", porta un ricordo risorgimentale adatto al 2011, senza retorica: "Scorgo radi uccelli passare / non vedo terra non vedo mare...". Mattonai si scopre una vena pubblica e sa scandire una posizione etica e risentita: "e tu sei uno di quelli / che dai libri hanno imparato / guarda oltre lo sguardo / oltre i tuoi libri vai" ("Uno di quelli"). Segue il bellissimo invito: "non ci sia idea di cui un'ala non ti porti a volare / non ci sia pensiero senza un'onda che conduca al mare". Trattandosi di canzoni, le parole devono incidersi con vigore scandito dalle ripetizioni, ma è notevole come Mattonai non rinunci alla sua voce sottile anche in questa occasione declamatoria: " H o nel sangue falci di luna affilate su pietre / e un vento che mi fruga come grotta la gola...". A i quattro testi di Mattonai se ne aggiungono tre di Cabras, uno in sardo ("Attittu", che è un lamento funebre) e un "Coro" in neogreco, entrambi con traduzione. Una poesia imprevista, coinvolgente, in cui si crede. Massimo Bacigalupo Loretto Mattonai, La strada bianca, Gazebo, Firenze 2009, pp. 72, s.i.p. Maria Grazia Cabras e Loretto Mattonai, fuochi di stelle dure. Cinque ballate e un attittu, musiche di Michele Fiumalbi e Giacomo Guerrieri, Gazebo, Firenze 2011, pp. 24+CD, s.i.p.