La magia dell’effimero tra gli ingranaggi di un ordigno barocco
Storia e retroscena oltre le quinte del Farnese
Due antiche tavole dai grafismi secenteschi: questo l’unico indizio da cui partire
per intraprendere una nuova ricerca.
Obiettivo: svelare le origini di un enigmatico congegno teatrale tuttora avvolto nel
mistero, la cosiddetta “macchina-ombrello”. Quando e da chi fu ideata? Fu
effettivamente realizzata o rimase invece un mero progetto cartaceo? E se mai fu
davvero costruita, in quale spettacolo fece la sua comparsa?
I due disegni progettuali che illustrano l’aspetto di questa macchina in due fasi del suo
funzionamento - chiusa e “mezzo aperta” - conservati attualmente nella raccolta “Mappe e Disegni”
presso l’Archivio di Stato di Parma1, sono stati finora attribuiti, anche se privi di firma e datazione,
allo scenotecnico ferrarese Francesco Guitti (1600?-1640).
Si tratta di un “Ordigno che porta otto personaggi i quali da principio saranno uniti, poi a poco a
poco, si dilatano in figura circolare formando i raggi del sole”, una sorta di “ombrello gigantesco,
che – aprendosi come un normale copripioggia – dischiude nuvolette per ogni raggio sulle quali un
angioletto sta seduto canta e suona”.2
Secondo gli studi finora condotti sull’argomento, questa macchina scenica – insieme agli altri
progetti contenuti nella suddetta raccolta come le macchine di Venere e di Marte – è sempre stata
attribuita al Mercurio e Marte, torneo inaugurale del Gran Teatro Farnese di Parma, allestito in
occasione delle nozze tra Odoardo Farnese e Margherita de’ Medici nel 1628.
Figura 1 - Tavola progettuale rappresentante l'ordigno mezzo aperto
Parma, Archivio di Stato Mappe e Disegni. Vol. 4, disegni dal n. 1 al n. 38, piante, alzati del Teatro Farnese, di parte
di esso e macchine teatrali
2
De Angelis Pompeo et al., Lo spettacolo e la meraviglia, il Teatro Farnese di Parma e la festa Barocca, Eri, Torino
1992, p. 194
1
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A questa messinscena
collaborarono, oltre al
Guitti,
personaggi
d’eccellenza quali Claudio
Achillini (1574-1640) per
il libretto, e Claudio
Monteverdi (1567-1643)
per le musiche. Ciò che
nacque dal loro lavoro e
dal contributo di numerose
altre
maestranze
è
l’emblema dello spettacolo
barocco,
in
cui
protagonista principale è
lo stupore: divinità volanti,
Figura 2 - Tavola progettuale rappresentante l'ordigno chiuso
duelli mozzafiato, tripudi
di angioletti e colpi di scena a non finire. Come dichiara il musicologo Dinko Fabris: “Mai
nell’Europa del Seicento una corte profuse altrettante energie finanziarie ed umane come quella di
Parma fece per gli spettacoli del 1628”3.
L’architetto del teatro, Giovan Battista Aleotti si occupò perfino di progettare un complesso
apparato idraulico che permettesse la realizzazione del gran finale della rappresentazione: una
quanto mai audace naumachia, inattesa e sconcertante4. Si trattò di una vera e propria battaglia
navale, con tanto di imbarcazioni e mostri marini, per la quale l’enorme platea del Farnese fu
allagata per una profondità di “mezzo braccio”. Di essa l’abate Folchi, testimone oculare
dell’evento, racconta: “…Io mi stetti sempre, come suol dirsi con la febbre, poiché mi metteva
paura l’aver sopra la volta di un salone così vasto, carico di molte migliaia di persone e di molte
macchine e che poi anche il medesimo salone avesse a sostenere il peso dell’acqua la quale si alzò
meglio di mezzo braccio… Gli ingegneri medesimi stavano per lo stesso mio discorso in qualche
timore.”5
Tra i vari marchingegni adoperati in questo spettacolo, è sempre stata finora annoverata la suddetta
“macchina-ombrello”, sebbene le opinioni formulate riguardo alla sua effettiva funzione all’interno
della messinscena non risultino affatto concordanti. Le due principali ipotesi sono:
1) che servisse per far comparire i raggi del sole che circondavano Apollo, come riportato nella
didascalia di uno dei due disegni e come sostenuto dalla studiosa Irene Mamczarz6.
2) che fosse utilizzata per l’apparizione di un tripudio di angioletti dopo l’uscita di scena della
macchina di Marte, tesi supportata dallo storico e regista Pompeo de Angelis: “Poi finito il
dialogo tra Venere e Marte, risale il nuvolone del dio guerriero e al suo posto c’è un tripudio
di angioletti, assicurato da una sorta di ombrello gigantesco […]”7.
Entrambe le teorie non sono però esenti da contraddizioni.
3
Fabris Dinko, Mecenati e musici. Documenti sul patronato artistico dei Bentivoglio di Ferrara (1585-1645), 1999,
Lucca, p. 80
4
In auge fin dai tempi dei romani, la naumachia era un grandioso spettacolo consistente nella simulazione di uno
scontro armato tra vere imbarcazioni (biremi, triremi…) che si davano battaglia nell’acqua. La novità assoluta di quella
predisposta per il gran finale del Mercurio e Marte consta nella scelta di allestire questo genere di rappresentazione solitamente ambientata in arene e anfiteatri all’aperto - all’interno di uno spazio chiuso e addirittura al primo piano di
un edificio di dimensioni colossali.
5
Lettera dell’abate Folchi datata 22 dicembre 1628, cit. in Capelli Gianni, Il Teatro Farnese di Parma. Architettura,
scene, spettacoli, Parma 1990, p. 94
6
Mamczarz Irene, Le théâtre Farnese de Parme et le drame musical italien (1618-1732), étude d’un lieu théâtral, de
representations, des formes: drame pastoral, intermèdes, opéra-tournoi, drame musical, Olschki, Firenze, 1988, p. 217218
7
De Angelis Pompeo, op. cit., p. 194
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Il testo di Mamczarz offre una dettagliata descrizione del funzionamento della macchina traendo
prevalentemente le sue informazioni dall’articolo pubblicato nel 1959 dalla ricercatrice Elena
Povoledo8 e paragonandola ad un dispositivo simile esposto dallo scenotecnico Sabbatini nel suo
trattato. Tuttavia, nel resoconto analitico della trama, all’interno del medesimo scritto di Mamczarz,
non vi è alcuna menzione della macchina: questa non è neppure nominata e non si trovano scene o
effetti speciali ad essa riconducibili.
Sono invece ignote le fonti da cui deduce la propria descrizione della scena De Angelis che, come
regista e uomo di spettacolo, restituisce un’avvincente narrazione della rappresentazione, volta forse
più a coglierne il sapore e l’atmosfera piuttosto che a fornire una precisa ricostruzione filologica
dell’evento.
Le fonti dirette
Per dirimere la questione la risposta più ovvia sarebbe cercare ausilio nelle fonti dirette a
disposizione, ovvero il Libretto del Mercurio e Marte scritto dal poeta Claudio Achillini9 e la
cronaca di uno spettatore – Marcello Buttigli10 - che personalmente assistette alla messinscena del
1628.
Come denota lo studioso Giuseppe Massera nel suo articolo del 1979, il libretto “non offre precisi
ragguagli né accorte didascalie per la realizzazione scenica”11. Lo scopo di questo testo era infatti in
origine quello di riadattare le invenzioni di Alfonso Pozzo e di Ascanio Pio di Savoia per la Difesa
della Bellezza12 e comporre nuovi versi che potessero comunque adeguarsi alle macchine già in
dotazione al teatro.
In qualità di mancato spettacolo inaugurale del Farnese, la Difesa della Bellezza doveva aprire, dieci
anni prima del Mercurio e Marte, il Gran Teatro costruito per volere di Ranuccio - padre di
Odoardo - in occasione del passaggio in territorio farnesiano del Granduca di Toscana Cosimo
Medici nel 1618. Quando per motivi di salute il viaggio fu annullato, il teatro era quasi ultimato;
numerose macchine per lo spettacolo erano già state costruite ed erano già iniziate le prove per la
grandiosa messinscena, che nulla aveva da invidiare al successivo Torneo, soprattutto per la
cospicua applicazione di ingegni scenotecnici e “coups de théâtre”. “Lo spettacolo del Pozzo aveva
un impianto drammaturgico piuttosto debole, nel quale tutto era demandato alla spettacolarità
dell’apparato e delle mutazioni sceniche”13.
Interrotti i lavori, il Farnese rimase chiuso ed inutilizzato per dieci anni prima di rivedere la luce
con il Mercurio e Marte. “Così la Difesa della Bellezza divenne il canovaccio sia della regia che del
testo”14 ed alcuni dei macchinari precedentemente costruiti dall’architetto del teatro, Giovan
Battista Aleotti, furono sicuramente conservati ed utilizzati nel 1628, come spiega E. Povoledo
riguardo allo studio delle opere dell’archivio di Lonati:
[…] Bisogna considerare che le grandi e costose macchine dei teatri barocchi non
venivano costruite per un solo spettacolo, ma erano in partenza destinate alla
8
Povoledo Elena, Macchine e ingegni del Teatro Farnese, in “Prospettive”, a VII n° 19 (1959), pp. 49-55
Achillini Claudio, Mercurio e Marte, torneo regale fatto nel superbissimo teatro di Parma nell'arrivo della sereniss.
principessa Margherita di Toscana moglie del sereniss. duca Odoardo Farnese, Seth et Erasmo Viotti, Parma, 1628
10
Buttigli Marcello, Descrittione dell'apparato fatto per honorare la prima e solenne entrata in Parma della
Serenissima Principessa Margherita di Toscana. Pr: Seth e Viotti, 1629
11
Massera Giuseppe, Meccanica, musica, idraulica nella festa farnesiana del 1628, in “Aurea Parma”, fasc. II, sett.
1979, p. 107
12
Pozzo Alfonso, La difesa della bellezza, trascr. in Ciancarelli Roberto, Il progetto di una festa barocca: alle origini
del Teatro Farnese di Parma 1618-1629, Bulzoni, Roma 1987
13
Fagiolo Marcello, Atlante tematico del Barocco in Italia, Le capitali della festa, Italia centrale e meridionale, De
Luca, Roma 2008, p.105
14
Dall’Acqua Marzio et. al., Lo spettacolo e la meraviglia, il Teatro Farnese di Parma e la festa Barocca, Eri Editore,
Torino 1992, p. 130
9
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dotazione del palcoscenico. Non è quindi nemmeno da escludere che nei depositi
del teatro Farnese esistessero ancora, inutilizzate, parte delle macchine costruite
dieci anni prima da Aleotti per la Difesa della bellezza, e che Guitti le avesse
riattivate per l’occasione. […]15
Il saggista Roberto Ciancarelli conferma infatti - all’interno de Il progetto di una festa barocca - le
somiglianze tra i due spettacoli, evidenti soprattutto negli impianti scenici, oltre che nelle
invenzioni poetiche e nelle trame.
Nel 1627 Fabio Scotti (“maggiordomo” dei Farnese) scrisse ad Enzo Bentivoglio, l’impresario che
si occupava degli allestimenti: “Sarà necessario usare i macchinari, ma è mia opinione che Vostra
Signoria Illustrissima non potrà decidere fino a quando non veda queste macchine con i suoi occhi e
giudicare quali possano essere rimesse in ordine e quali non possano.”16 Il Bentivoglio si recò a
Parma e in breve tempo predispose il restauro delle macchine del 1618 e consegnò all’Achillini il
libretto della Difesa della Bellezza scritto dal Pozzo, affinché potesse trarne spunto ed adattare il
nuovo testo ai marchingegni già costruiti.
Gli effetti scenici presenti nel Mercurio e Marte e le note dei movimenti di scena e delle macchine
incluse nel testo dello spettacolo precedente risultano infatti corrispondenti e ulteriori somiglianze si
riscontrano confrontando i contenuti poetici dei due libretti.
Per citare qualche esempio: entrambi esordiscono con un Prologo cantato dall’Aurora che compare
per proclamare la venuta del nuovo sole, allusivo richiamo all’ospite da celebrare. La nube di
Venere, che si trasforma in conchiglia, è la stessa per tutti e due gli spettacoli ed ambedue i libretti
comprendono in conclusione un’invocazione ai venti perché diventino più mansueti e rendano il
giorno più sereno.
Lo scenario stesso della città di Cnido, come scrive De Angelis, “è certamente una gioia per gli
occhi, ma la sua immissione è un movimento in più che non favorisce lo svolgimento della trama.
La macchina e lo scenario sono quelli del 1618. Erano disponibili e quindi l’Achillini li utilizzò”17.
Per verificare se anche la “macchina-ombrello” faccia parte di questa serie di apparati scenici
successivamente ripresi, è utile richiamarsi brevemente al libretto della Difesa della Bellezza.
Anche in esso non si trovano dispositivi simili, né otto raggi del sole, né otto Amorini, né
addirittura Apollo come personaggio. Questo permette perciò di escludere un’eventuale
connessione tra il marchingegno e lo spettacolo del 1618.
Tornando quindi all’analisi delle due ipotesi riguardanti la funzione della macchina all’interno del
Mercurio e Marte del 1628, è necessario fare riferimento all’altra fonte diretta, la Descrittione
dell’apparato fatto per honorare la prima e solenne entrata in Parma della Sereniss. Principessa
Margherita di Toscana, moglie del sereniss. Duca Odoardo Farnese, opera del Buttigli, che
assistette a tutti i festeggiamenti predisposti per le nozze - compreso il conclusivo Torneo - e ne
riportò minuziosa descrizione.
Per soppesare con prudenza l’effettiva attendibilità storica di questo genere di cronache, occorre
tenere presente che esse erano prevalentemente redatte dai poeti dell’epoca secondo pompose
formule e schemi prestabiliti. Esse dovevano prioritariamente servire, insieme ai libretti (spesso
corredati da incisioni) ad esaltare la committenza al cospetto dei posteri, rendendo solenne memoria
della loro magnificenza, piuttosto che a restituire un’oggettiva ricostruzione filologica degli eventi.
Commenta infatti il saggista Cesare Molinari:
“E’ ben difficile dire se e dove l’amplificazione retorica di un’opera che sembra crescere
su se stessa, come gonfiata dall’interno, ma non senza una sua giustificazione ed una sua
necessità, ceda ad una ispirazione poetica tenue magari, ma genuina.
15
Povoledo Elena, op. cit., p.53
Ciancarelli Roberto, op. cit., p.73
17
De Angelis Pompeo, op. cit., p. 199
16
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Comunque, studiando la relazione del Buttigli, non ci si può sottrarre all’impressione che
si tratti di un lavoro dalla struttura rigorosamente unitaria, anche se non è ben chiaro se
essa derivi dall’intellettualismo calcolatore che fa rimbalzare l’azione da un personaggio
all’altro, o sarebbe meglio dire da un ingegno all’altro, oppure da un’unitaria concezione
poetica.”18
Anche nel suddetto scritto del Buttigli non si trova tuttavia alcun richiamo al dispositivo in
questione. La meticolosità quasi pedante con cui l’autore, in ben 369 pagine, descrive tutti i carri e
le nuvole che fanno il loro ingresso di scena in scena, porta a pensare che sarebbe un’inspiegabile
dimenticanza questa esclusione della “macchina-ombrello” dalla cronaca, se essa fosse stata
effettivamente presente all’interno dello spettacolo.
Una svolta inattesa
I dati per ora raccolti non fanno dunque che suffragare un’ipotesi del tutto contraria a quanto
inizialmente dichiarato in questo scritto, smentendo il possibile legame tra il misterioso dispositivo
e il Torneo del 1628.
L’unico autore che si è finora espresso in questa direzione è Giuseppe Adami19, il quale sostiene
che queste due tavole (insieme agli altri disegni della raccolta in cui sono conservate) furono
eseguite successivamente al Mercurio e Marte, sebbene richiamandosi in parte a quello specifico
allestimento. Egli non offre però precise motivazioni a supporto di questa ardita dichiarazione, tanto
innovativa da confutare ogni altra tesi finora sostenuta dalla maggior parte degli storici.
La base della sua teoria consta nel recente ritrovamento di due codici inediti (denominati
rispettivamente α e β) presso l’archivio familiare dell’ingegnere militare Pietro Paolo Floriani
(1585-1638). I due codici contengono svariati schizzi inerenti gli apparati scenici ideati o realizzati
dallo scenografo Francesco Guitti in occasione dell’allestimento di cinque spettacoli tenuti tra
Ferrara e Parma nell’arco di anni compreso tra il 1625 e il 163120. Secondo la sua opinione,
ventiquattro dei cinquantaquattro disegni contenuti nel “codice α” riguardano i festeggiamenti
parmensi del 1628. Alcuni disegni del codice β, rappresentano invece l’aspetto del primo teatro
dell’Accademia ferrarese degli Intrepidi successivamente al restauro operato dallo stesso Guitti nel
1625. Questa raccolta è interamente attribuita al Floriani (che partecipò probabilmente agli eventi in
qualità di spettatore), escluso il foglio 45 verso, in cui è riconoscibile la calligrafia dello
scenotecnico Guitti, che con lui collaborò successivamente, soprattutto per lavori di ingegneria
militare. Il codice α racchiude, secondo Adami, pressoché tutte le macchine impiegate per il
Torneo, compresa una “barca” praticabile usata nella naumachia e uno scorcio della scena marina.
Neppure all’interno di questa raccolta compare tuttavia la macchina a forma di ombrello.
Il dato definitivo, la cosiddetta “prova del nove” per dirimere la controversia è l’assenza di ogni
menzione al suddetto congegno anche all’interno dell’elenco manoscritto delle 21 macchine
sceniche che furono utilizzate nel Mercurio e Marte, conservato presso l’Archivio di Stato di
Parma21. Sebbene non datata e non firmata, la suddetta lista è chiaramente riconducibile agli
apparati scenotecnici allestiti per il Torneo del 1628, di cui il dispositivo in questione pare essere
l’unico mancante.
18
Cesare Molinari, Le nozze degli dei. Un saggio sul grande spettacolo italiano del Seicento, Bulzoni, Roma, 1968,
p.81-82
19
Adami Giuseppe, Scenografia e scenotecnica barocca tra Ferrara e Parma (1625-1631), L’Erma di Bretschneider,
Roma, 2004
20
Questi spettacoli sono: il Mercurio e Marte e l’Aminta, con il prologo Teti e Flora, nel 1628 a Parma, lo Sdegno di
Marte nello stesso anno a Ferrara dove si svolse anche la Contesa nel 1631 e una tragedia ispirata alla vicenda della
“fuga di Enea dalla Regina Elisa” nel 1625.
21
Teatri e spettacoli farnesiani, busta 1, fasc. 11, sottofasc. 7, senza datazione [1627/1628], senza luogo [Parma]
Sommario delle 21 macchine. Doc. 1 (duplice copia) cc. 8
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Questa la decisiva conferma che, contrariamente a quanto finora dichiarato dagli storici, la
“macchina-ombrello” non fu affatto utilizzata all’interno del Mercurio e Marte.
Ciò dimostra quindi la veridicità delle dichiarazioni di Adami, che reputa proprio tutti i dispositivi
rappresentati nella raccolta dell’Archivio di Stato come successivi a questo allestimento22.
Si riscontrano effettivamente alcune incongruenze tra i suddetti disegni progettuali, con le rispettive
didascalie manoscritte, e i meccanismi rappresentati nel libretto del Torneo e nelle relazioni dei
testimoni.
Un esempio fra tutti è la “macchina dei seguaci di Marte per lo Ballo” (il cui disegno è tuttora
conservato nella stessa raccolta in cui si trovano le tavole rappresentanti la “macchina-ombrello”).
Si poteva pensare che anche questa presentasse una connessione con il Mercurio e Marte, in quanto
nella trama era effettivamente prevista la comparsa di una nube “sanguigna” condotta dal dio
guerriero. Nel libretto dell’opera, però, non si leggono allusioni né ad apparati per l’ingresso dei
suoi seguaci né allo svolgimento in scena di un ballo. L’eventuale collegamento col Torneo è
ulteriormente smentito dalla totale mancanza di riferimenti a una “macchina dei seguaci di Marte”
all’interno del suddetto elenco dei 21 dispositivi presenti in scena.
La “macchina-ombrello” e questo dispositivo “dei seguaci” non costituiscono un caso isolato:
pressoché tutti i congegni conservati nella medesima raccolta suscitano infatti ancora numerosi
grattacapi circa l’effettiva collocazione storica. Pur avendo escluso l’ipotesi del loro utilizzo
all’interno del Mercurio e Marte, essa resta malgrado tutto incerta.
Ci si ritrova dunque apparentemente al punto di partenza, e l’attenzione viene ricondotta al nucleo
centrale da cui lo studio è partito, ovvero le due tavole secentesche. Esse risultano a questo punto
nuovamente slegate da qualunque contesto storico e artistico a cui finora potevano essere correlate e
occorre quindi spingersi oltre per indagare più a fondo la questione.
Ricostruzione e analisi tecnica
Un metodo alternativo e pratico
per ampliare la ricerca mi è parso
quello di approfondire gli aspetti
tecnici della macchina - le
problematiche
progettuali
e
costruttive – nonché capire nel
dettaglio i meccanismi ed il
funzionamento in modo da
valutarne appieno le potenzialità.
Partiamo dall’assunto per cui, se il
progetto, oggi come ieri, risulta
oggettivamente in grado di
funzionare, maggiori sono anche le
probabilità che, all’epoca, fosse
stato effettivamente costruito e
portato in scena. Per questo motivo
ho provveduto alla realizzazione di
un modellino in scala dell’ordigno,
da cui è possibile dedurre alcuni concetti.
22
Figura 3 – Modellino in scala dell’ordigno, chiuso
Il problema della collocazione storica della raccolta era già avvertito come una questione irrisolta prima degli studi di
Adami. Ad esempio, nella bibliografia del testo Lo spettacolo e la meraviglia, il Teatro Farnese di Parma e la festa
Barocca, redatta da Marzio Dall’Acqua, allora direttore dell’Archivio di Stato parmense, si specifica: “Presentiamo la
collocazione dei diversi disegni e delle incisioni attinenti al Teatro Farnese, senza sollevare i problemi di autografia
aleottiana di molti di essi, né, in alcuni casi, se questi documenti iconografici (è il caso delle macchine sceniche) siano
realmente da collegare al Farnese o agli spettacoli in essi rappresentati.”
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In primo luogo, sebbene in scala ridotta, il meccanismo dimostra di avere tutte le carte in regola per
svolgere efficacemente la propria funzione.
Il movimento è innescato da un filo (M)23 che, tirato dalla sommità del plafone, grazie a un argano o
tamburo, solleva l’estremità posteriore del legno più lungo (C). Un secondo filo (H), passante per
una carrucola (collocata nel punto I) collega il tronco di cono (F) alla parte posteriore del “carrello”
con le ruote (legno A). Lo scorrimento del suddetto filo sulla carrucola produce il graduale
avvicinamento del tronco di cono al punto I (nel quale sono imperniati gli otto legni con i
seggiolini). La progressiva riduzione della distanza mette in azione i perni tra i legni D ed E,
spingendo questi ultimi verso l’esterno e causando l’allargamento circolare dei seggi attaccati alle
estremità.
La macchina dovette tuttavia risultare nel complesso abbastanza instabile, tant’è che De Angelis nel
suo saggio del 1992 riferisce: “Il cerchio si allarga al massimo diametro, ruota, si piega
obliquamente, forma un ellisse”; espedienti questi tutto sommato scenografici ed applauditi, ma che
potrebbero essere stati il fortuito risultato di un inconveniente tecnico e della precarietà strutturale.
Ciò è motivato in parte dalla mancanza di un albero centrale (quello che si può trovare nei normali
ombrelli, ovvero il sostegno rigido che si conclude nel manico, su cui si fa scorrere la struttura dei
raggi per l’apertura), qui sostituito da un semplice filo.
Inoltre, tutto il peso e l’equilibrio della macchina risulta gravare sul legno C - il più lungo sollevato per l’estremità posteriore dalla fune. Esso è utilizzato di taglio e dunque più facilmente
soggetto a “sbandamenti” ed inclinazioni sui lati. Inoltre esso cede a sua volta il ruolo di bilanciere
ai due legni sull’asse centrale: il legno E più in alto e quello più in basso, che “decidono”
l’orientamento sull’asse dell’intero macchinario.
A queste problematiche vanno aggiunte eventuali difficoltà di peso, da tenere in conto nel teorizzare
una costruzione in dimensioni reali della macchina. La lunghezza totale doveva essere compresa tra
i 7 metri e mezzo e i 10 metri e l’apertura dei raggi poteva raggiungere anche i 6 metri e mezzo di
estensione (diametro della circonferenza formata dai seggi allargati). Calcolando il peso di travi
lignee di queste dimensioni, cui si aggiunge il carico, per quanto esiguo, dei personaggi che vi
salivano (si suppone potesse trattarsi di bambini, secondo la pratica diffusa fin dai tempi di
Brunelleschi, messa in atto per esempio nell’Annunciazione di San Felice in Piazza del 1439),
bisogna ammettere che la macchina veniva sottoposta ad un grande sforzo e potrebbe dunque
lasciare alcune perplessità di
stampo tecnico-meccanico.
La seconda prova che si può
trarre dal modellino è il
carattere progettuale delle
tavole.
Potendole
confrontare con un prototipo
in scala ridotta della
macchina vera e propria, ci
si accorge subito di quanto
plausibile sia l’ipotesi che i
suddetti disegni siano stati
realizzati
prima
dell’eventuale costruzione
del dispositivo. Si trovano
infatti su di essi lievi errori
ed imprecisioni che non
sarebbero potuti sfuggire ad
un tecnico che avesse già
Figura 4 - Modellino in scala dell'ordigno, visione laterale, aperto
affrontato la costruzione
23
Le lettere fanno riferimento alla figura 1.
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della macchina, trattandosi il più delle volte di snodi fondamentali per il buon funzionamento del
congegno. Questo si può riscontrare per esempio nel tronco di cono (in cui non si vedono fori o
perni e non è ben specificato il modo in cui i legni vi siano fissati) e nelle forcelle in cui sono
imperniati i legni D ed E (che nel disegno sono quasi impercettibili, mentre per una corretta
apertura del meccanismo devono avere una profondità di circa un quarto della lunghezza del legno).
Queste incongruenze rappresentative possono essere motivate dal fatto che la teoria precedette la
pratica e che quindi le medesime difficoltà riscontrate nella costruzione del modellino furono
effettivamente affrontate dagli stessi scenotecnici e falegnami dell’epoca solo successivamente alla
progettazione. Oppure si può pensare che facciano parte di tutta quella serie di piccole omissioni ed
errori, “con cui i tecnici teatrali hanno da sempre custodito le loro realizzazioni, al fine di
proteggere col segreto la meraviglia indotta dai macchinismi da loro stessi ideati”24.
Avendo dunque appurato la funzionalità
del dispositivo e le problematiche tecniche
ad esso intrinseche, ci si accorge di come
occorra continuare a procedere per tentativi
per arrivare a comprendere quale fosse
l’effettiva collocazione storica della
macchina.
L’emergere di nuove ipotesi
Marchingegni analoghi a quelli del Torneo
si possono ritrovare negli spettacoli allestiti
dal Guitti a Ferrara (come La contesa e
l’Andromeda) e presso i Barberini a Roma
(come il Sant’Alessio e l’Erminia sul
Giordano).25 Oppure potrebbero essere gli
altri allestimenti secenteschi del Farnese
successivi al Mercurio e Marte a vedere
l’effettiva applicazione della “macchinaombrello”: Le vicende del Tempo, la Filo,
ovvero Giunone rappacificata con Ercole,
lo spettacolo musicato dal maestro Oliva
nel 1664, La Parma e Il favore degli dei.26
Procedendo per esclusione è possibile
eliminare alcune di queste ipotesi: in tutti i
libretti delle opere ferraresi e romane del
24
Figura 5 - Modellino in scala, visione frontale, aperto
Adami Giuseppe, op. cit., prefazione
Tra gli spettacoli ferraresi: La contesa fu messa in scena nel 1631 in occasione delle nozze tra Giovan Francesco
Sacchetti e Beatrice Estense Tassoni, mentre l’Andromeda, scritta da Ascanio Pio di Savoia fu allestita nel carnevale del
1638. Presso i Barberini a Roma furono invece inscenati nel 1632 il Sant’Alessio, dramma composto da Giulio
Rospigliosi e musicato da Stefano Landi, e nel 1633 l’Erminia sul Giordano, con libretto dello stesso Rospigliosi e
partiture di Michelangelo Rossi.
26
- Le vicende del Tempo, dramma fantastico di Bernardo Morando del 1652 con musiche di Francesco Manelli, in
occasione della visita degli arciduchi Carlo, Sigismondo, Francesco ed Anna di Toscana
- La Filo, ovvero Giunone rappacificata con Ercole di Francesco Berni, con scene di Carlo Pasetti e musiche di
Francesco Manelli, in occasione delle nozze di Ranuccio II Farnese con Margherita Violante di Savoia nel 1660
- Spettacolo musicato dal maestro Oliva per le seconde nozze del duca Ranuccio II con Isabella d'Este nel 1664
- La Parma scritto da Alessandro Guitti nel 1668, in occasione delle terze nozze del duca Ranuccio II con la sorella
della seconda moglie, Maria d'Este
- Il Favore degli Dei del 1690 con testo di Aurelio Aureli e musiche di Bernardo Sabadini, in occasione delle nozze di
Odoardo Farnese con Dorotea Sofia di Neoburgo.
25
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Guitti si riscontra infatti l’assenza di riferimenti al suddetto dispositivo. Inoltre, secondo lo studio di
Adami, i due codici del Floriani sopra citati contengono pressoché tutte le macchine utilizzate, oltre
che nel Mercurio e Marte, anche nel torneo a piedi La contesa e l’omissione di riferimenti
all’interno di questi codici smentisce ulteriormente l’eventualità di un possibile nesso con la
macchina.
Solo nella trama del Sant’Alessio si riscontra un riferimento a un’apparizione di otto beatitudini
(Atto III, scena V), che dato il numero potrebbe in qualche modo riguardare l’ordigno in questione,
ma un’incisione allegata al libretto rappresentante tale scena ci mostra chiaramente come il loro
ingresso avveniva semplicemente a piedi e non a bordo di apparati scenotecnici.
Esaminando i libretti e i documenti riguardanti i successivi spettacoli nel Farnese ci si rende subito
conto di quanto rare siano le fonti e le informazioni rispetto a quelle – già di per sé scarse – che
riguardavano il Mercurio e Marte, e di quanto sia dunque difficile ottenere una ricostruzione
filologicamente corretta degli eventi. Un esempio tra tutti è l’allestimento farnesiano del 1664 di cui
resta ignoto perfino il titolo e di cui le uniche informazioni rimasteci sono il nome dell’autore delle
partiture (il maestro Oliva) e l’occasione per cui fu messo in scena (nozze tra Ranuccio II e Isabella
d’Este).
Un’inattesa “pulce nell’orecchio”, per così dire, rivela però una nuova possibile traccia scorrendo
l’elenco delle “Macchine presenti in scena” nel libretto de Il Favore degli Dei.
Vi si legge: “Otto raggi in Machina, che servono di corteggio ad Apollo ne l’aria” e poco oltre
“Otto Amorini, che volano nel fine del Primo Ballo per l’aria” 27.
Lo spettacolo risale al 1690, Francesco Guitti è da tempo deceduto e l’allestimento scenotecnico è
affidato ai tre fratelli Mauro, veneziani. Tra di essi emerge Gasparo, iniziatore della tradizione
familiare, citato in numerosi libretti secenteschi con la qualifica di “direttore delle scene e
macchine” e “ingegnere”, coadiuvato da Domenico (pittore, decoratore e ideatore delle scene) e
dallo scenotecnico Pietro (dei tre il meno conosciuto). Dopo aver lavorato a Venezia, Monaco,
Torino e Piacenza, Gasparo fu assunto presso la corte Farnese dal duca Ranuccio II. Il successo
della sua famiglia è dovuto alle scene che realizzò nel 1685 insieme al fratello Domenico per il
Servio Tullio messo in scena a Monaco. Questo trionfo permise loro di sovrintendere, insieme al
terzo fratello Pietro, alla realizzazione delle macchine per il Favore degli Dei e la Gloria d’Amore,
imponente naumachia messa in scena in un teatrino appositamente allestito nella Grande Peschiera
di Parma.
“Poco conosciamo, dal punto di vista tecnico, delle apprezzate macchine di Gasparo; l’apparenza,
stando alle incisioni, ci fa presumere una meccanica di tipo evoluto, con piattaforme che calavano
dalla soffitta e montacarichi che salivano dal sottopalco, del tipo comune in quegli anni ai grandi
teatri veneziani […]. Le macchine galleggianti della naumachia consistevano in ingegnosi vascelli
di facile manovra, con grottesche figurazioni di orche e mostri, vivacemente colorati e carichi di
elementi decorativi.”28
Tornando al libretto del Favore degli Dei, in riferimento alla scena XXII del primo atto si legge,
nella nota a margine: “Si vede in lontano spuntar trà i colli della valle Apollo sopra il suo carro
corteggiato da un Coro di Raggi in machina”29, e nella scena XXIII “Apollo sopra il suo carro, che
si viene à poco à poco avanzando verso Dafne” […] “S’asconde col suo carro trà i monti. Parte il
raggio e si vede Apollo che sceso dal carro comparisce sopra d’un colle incaminandosi verso
Dafne”30.
27
Aureli Aurelio, Il favore degli dei, drama fantastico musicale fatto rappresentare dal Serenissimo Sig. Duca di
Parma nel suo Gran Teatro per le felicissime nozze del Serenissimo Sig. Principe Odoardo suo primo genito con la
Serenissima Signora Principessa Dorotea Sofia di Neoburgo. Dedicato a’ Serenissimi sposi Poesia d'Aurelio Aurelj,
musica di D. Bernardo Sabadini, Parma 1690, p. xiii-xvi
28
D’Amico Silvio, et al., Enciclopedia dello spettacolo, Unione Editoriale, Roma, 1968, ad vocem: Mauro.
29
Ibid, p. 28
30
Ibid, p. 28-29
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Difficile a dirsi se si tratti di fortuite coincidenze: in primo luogo il fatto di trovare nella stessa
trama otto Amorini31 e otto raggi del sole con Apollo (che riprendono le due ipotesi di impiego
della macchina-ombrello rispettivamente di De Angelis e Mamczarz), e in seconda battuta, di
trovare, oltre ad essi, anche altri personaggi e ordigni “riconoscibili”, come una macchina per i
seguaci di Marte32 (che in quest’opera si esibiscono tra l’altro in un ballo), una conchiglia di
Venere, un congegno per il volo di Mercurio e altri carri e nuvole. Dispositivi questi ultimi, che tutti
potrebbero rientrare all’interno delle raccolte finora, in parte ingiustamente, attribuite al Mercurio e
Marte.33
Occorre tenere conto, al seguito di questa affermazione, che i temi e i personaggi ricorrenti negli
spettacoli barocchi sono quasi sempre gli stessi e si ripropongono con poche varianti, così come le
formule utilizzate dai poeti nella letteratura cortese dell’epoca. Nelle trame barocche,
prevalentemente ideate in funzione di importanti festeggiamenti aristocratici, la drammaturgia è
posta infatti al servizio della spettacolarità, con l’unica funzione di veicolare l’idea che persino le
più alte schiere celesti siano disposte a mobilitarsi per rendere omaggio, tramite la rappresentazione
di valori e passioni universali, al nobile Mantenitore, committente dello spettacolo. Secondo questo
stereotipo, non stupisce dunque l’utilizzo frequente dei medesimi cliché: ne è un esempio,
l’elegante volo discendente di Mercurio da un lato all’altro del palcoscenico. In conseguenza, le
strutture stesse dei meccanismi si ripresentano pressochè invariate, come frutto dell’esperienza e
dell’ingegno di abili scenotecnici ormai avvezzi a risolvere le stesse ricorrenti “esigenze”: carri,
voli, nuvole, mostri marini, conchiglie e tutti gli elementi appartenteni alla mitologia e al contesto
classico.
Bisogna ammettere tuttavia che, si tratti o meno di una coincidenza, ci si trova comunque di fronte
al punto in cui libretti e disegni, racconti e documenti finalmente coincidono, o per lo meno
maggiormente si avvicinano, lasciando così intravedere una possibile congiunzione.
La “macchina-ombrello” ne Il favore degli dei
Il favore degli dei fu allestito il 25 maggio 1690 nel Gran Teatro Farnese (che dopo il precedente
spettacolo era rimasto chiuso e inutilizzato per 22 anni) a conclusione dei festeggiamenti per le
nozze di Ranuccio II Farnese con Dorotea Sofia di Neoburgo34. Oltre all’impiego di Gaspare e
Pietro Mauro nel ruolo di scenotecnici e del terzo fratello Domenico per le scenografie (cui
contribuì in misura minore anche Ferdinando Galli Bibiena), numerose altre maestranze
contribuirono alla messinscena di questo spettacolo: Aurelio Aureli compose il libretto, Bernardo
31
Nel corpo del libretto de Il favore degli dei, analizzando la scena nella quale dovrebbe fare la sua comparsa la
macchina individuata, nell’elenco delle macchine presenti in scena, come macchina degli otto Amorini, si deduce
chiaramente (dalla didascalia esplicativa dei movimenti scenici) che questo dispositivo doveva essere adibito alla loro
uscita di scena in volo dopo la conclusione del ballo dei seguaci di Marte. Per questo motivo il congegno degli Amorini
è difficilmente individuabile nella “macchina-ombrello” che fu, per le sue caratteristiche, più verosimilmente adibita ad
un’entrata trionfale, (come per esempio quella di Apollo), piuttosto che ad un’uscita.
32
Nella descrizione data sul libretto il dispositivo si discosta parzialmente da quello rappresentato nella tavola
conservata nell’Archivio di Stato di Parma (Mappe e Disegni).
33
Queste raccolte sono: 1) i trentotto disegni conservati presso l’Archivio di Stato di Parma (Mappe e Disegni), 2) otto
disegni (forse in parte riproduzioni tratte da quest’ultima raccolta) che attualmente appartengono alla collezione privata
dell’ingegner Alberto Sciolla di Roma, 3) la collezione Manoscritti parmensi (ms. Parmense 3708) conservata presso la
Biblioteca Palatina di Parma (di cui, secondo Cesare Molinari, 11 sono riferibili allo spettacolo La divisione nel Mondo,
melodramma di Giulio Cesare Corradi, rappresentato a Venezia nel 1675, secondo Adami, non solo undici, ma l’intera
collezione è relativa al suddetto spettacolo, mentre secondo Edward Carrick, pseudonimo di Edward Gordon Craig, esse
sono opera dei fratelli Mauro, e si riferiscono alle macchine teatrali costruite nel 1645 dallo scenotecnico Giacomo
Torelli.
34
A iniziare la festa fu il consueto ingresso solenne della sposa nella città, riccamente adornata per l’occasione con
eleganti apparati scenografici. L’intero periodo di festeggiamenti fu inoltre costellato di sontuose cerimonie, balli e
banchetti, nonché altri memorabili allestimenti teatrali quali L’idea di tutte le perfezioni e L’età dell’oro nel Teatrino di
Corte, La Teodelinda, nel Teatro del Collegio dei Nobili e la spettacolare naumachia, Gloria d’Amore.
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Sabadini le musiche, Federico Crivelli si occupò delle coreografie, Ippolito Vecchi di maschere,
stucchi e parrucche e Gaspare Torelli dei costumi.
Cirillo e Godi sostengono che l’apparato scenotecnico al completo comprese un totale di 41
macchine “in aria, e in terra” e che un pubblico di addirittura 14 mila spettatori assistette a questo
spettacolo che durò complessivamente 8 ore.
La scena in cui potrebbe fare la sua comparsa l’ordigno rappresenta la valle fiorita di Tempe,
irrigata dal fiume Peneo35.
Un’incisione allegata al libretto in riferimento a questa scena riporta al fondo la scritta “Dom.
Mauro In” rivelandone l’ideatore. “Il punto di fuga posto leggermente in diagonale le dona una
scioltezza e una naturalezza del tutto degne della tradizione paesaggistica veneta da cavalletto”36.
Si tratta di una delle prime scenografie nelle quali viene abbandonata la struttura simmetrica37
seicentesca in favore di una composizione paesaggistica più libera che probabilmente trae spunto
dalle novità escogitate da Ferdinando Galli Bibiena, come la cosiddetta scena per angolo (non
sviluppata prospetticamente su un unico asse ma su due diagonali incrociate) da lui utilizzata per la
prima volta nel 1687.38
Trattandosi di un bozzetto scenografico, più che di una tavola tecnica, non svela con chiarezza
quale fosse effettivamente il meccanismo celato dietro l’apparizione di Apollo, ma restituisce
comunque
un’idea
generale di come la scena
doveva apparire nel suo
complesso o, per lo meno,
di come inizialmente
venne immaginata dagli
artisti.
L’inizio
vede
l’apparizione
del
congegno di Peneo che
sorge dalle acque di fronte
a
Dafne
e
Delfa,
accompagnate da un coro
di
Ninfe
pescatrici.
Successivamente giunge,
dal lato destro del fondo
della scena, il dio del sole
a bordo di un carro,
condotto da due destrieri,
che avanza sulle nuvole.
Figura 6 - Incisione rappresentante l'arrivo di Apollo ne Il favore degli dei
35
Secondo Cesare Molinari (Le nozze degli dei) il nome del fiume è invece Alfeo.
Cirillo Giuseppe e Godi Giovanni, Il trionfo del barocco a Parma nelle feste farnesiane del 1690, Silva, Parma 1989
p. 172
37
In molte scene di tema architettonico disegnate da Domenico Mauro per il Favore degli dei l’ormai monotona
prospettiva torelliana ad asse centrale viene camuffata non solo dalla sovrabbondanza degli elementi esornativi,
“strutture esuberanti e movimentate, sovraricche di un’opulenta e bizzarra decorazione che a volte ricorda,
complicandoli, i motivi ornamentali di Ludovico Burnacini: colonne tortili, cariatidi, terrazze e balaustre, cornici a
volute, festoni, drappeggi” (D’Amico Silvio, op. cit.), ma anche dall’estremo movimento delle linee prevalentemente
curve e arcuate.
38
Il contatto tra Ferdinando Bibiena e i fratelli Mauro (che giustificherebbe la trasmissione e lo sviluppo di questo
genere di invenzioni) è dimostrato dal fatto che, come si è detto, lo stesso Ferdinando partecipò alla creazione di una
delle scenografie per il Favore degli dei, nel cui libretto infatti si legge: “Inventore, e dipintor delle scene, eccettuata
quella delle therme. Il signor Domenico Mauro da Venetia. Inventore, e dipintore delle therme reali. Il signor
Ferdinando Galli detto il Bibiena servitore attuale di S.A.S.”.In questa unica scena, tuttavia, Ferdinando conserva
ancora, rispetto all’impianto innovativo di Domenico Mauro, una piantazione tradizionale, sviluppata in larghezza più
che in profondità.
36
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Da esso si dipanano una serie di raggi luminosi che terminano ciascuno in una nuvoletta sulla quale
sta seduto un personaggio.
Gli storici Giuseppe Cirillo e Giovanni Godi, nel descrivere la suddetta scena precisano: “al Dio
fanno da corollario altri otto congegni a foggia di raggi solari con figure sedenti. Nell’incisione del
Mattioli […] si rappresenta il giungere del marchingegno verso Dafne e Delfa, poi calato dietro le
quinte montuose; non prima che il Dio abbia fatto allontanare a volo uno dei raggi con tanto di
ospite canoro. Infine Apollo raggiungerà il proscenio per cantare il terzetto di prammatica coi
protagonisti.”
Nell’incisione il carro sembra arrivare avanzando in volo dal fondo, verso la platea, dal lato destro
della scena. La prevalente incongruenza tra questa immagine e le effettive possibilità funzionali del
dispositivo è però proprio quella che il carro facesse il suo ingresso dall’alto, essendo il
marchingegno dotato di ruote (dunque costretto a scorrere sul pavimento) e probabilmente
introdotto in scena tramite lo srotolamento di una fune manovrata dal sottopalco.
Esistevano, al tempo, diversi tipi di macchine in grado di eseguire un movimento in aria conforme a
quello rappresentato nell’incisione: uno di questi era, per esempio, il congegno di Venere utilizzato
nel Mercurio e Marte. Esso consisteva in una serie di segmenti lignei snodabili appesi al soffitto
che potevano essere issati o calati dalla graticcia, formando differenti figure di nubi nel cielo.
Questo permetteva però solo movimenti verticali e laterali, impedendo invece avanzamenti verso il
proscenio e rendendo pertanto il meccanismo inadeguato alle esigenze di scena così come descritte
dalle fonti. Si può quindi pensare che, proprio per permettere questo tipo di spostamento, sia stata
scelta la “macchina-ombrello”, che procedeva dal fondo scivolando tra i telai (che si aprivano
lateralmente) dietro i quali era precedentemente nascosta.
Si potrebbe anche pensare, vista la conformazione generale dell’impianto scenico, che il percorso
della stessa avvenisse su una direttrice obliqua, dunque partendo dal lato e arrivando verso il centro,
seguendo il complessivo orientamento prospettico del paesaggio.
Ulteriore
elemento
di
incertezza è il fatto che uno
dei raggi si distacchi dalla
macchina “con tanto di ospite
canoro”: questo tipo di
movimento risulta infatti
potenzialmente incompatibile
con
le
caratteristiche
strutturali dell’ordigno.
A prescindere dalla sua
effettiva
funzione,
esso
ricevette,
con
buona
probabilità, il medesimo
trattamento riservato, secondo
le usanze dell’epoca, a
marchingegni simili: una
documentata
consuetudine
scenotecnica
consisteva
infatti nel celare i meccanismi
degli ingegni sia con vapori
nebulizzati di vario colore,
che con nubi dipinte su carta
e cartone, spesso lumeggiate
d’oro per esaltare gli effetti
luccicanti ottenuti con dei
Figura7 – In alto: macchina degli Amorini (funzionamento simile alla
macchina di Venere). In basso: macchina dei seguaci di Marte
lampadari posti alle loro spalle.
e macchina degli Amorini stesa per terra
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Questa operazione era lasciata per ultima, eseguita al termine dei lavori per via della tendenza del
metallo a scurire in fretta: “Tutti li carri e machine delle deità dovranno esser coperti di stagnolo ma
sarà l’ultima cosa perché vien nero”39.
Conclusioni
La storia della scenografia e della scenotecnica costituisce un terreno impervio ed incerto nel quale
si è costretti ad avanzare a tentoni, in misura sempre maggiore rispetto a quanto si ricerchi indietro
nel tempo. Oltre all’evidente scarsità delle fonti che ci permettano di svelare ciò che dietro le quinte
segretamente produceva sorpresa e meraviglia, spesso si aggiunge, ed è il nostro caso, l’effettiva
assenza dell’oggetto di studio.
Si potrebbe dire che, se nella storia dell’arte accade di rado di dover analizzare un’opera andata
perduta - generalmente ci si occupa di oggetti tangibili, conservati nel tempo e giunti a noi più o
meno intatti - nella storia della scenografia, arte dell’effimero, questo costituisce invece l’ordinario,
essendo consuetudine lo studio di capolavori che oggi, sulla scia di preziosi ed entusiastici racconti,
possiamo soltanto immaginare.
La suddetta carenza di fonti e documenti rende difficoltoso un ulteriore approfondimento in merito
allo spettacolo Il favore degli dei. Contrariamente al caso del Mercurio e Marte, infatti, di questa
rappresentazione non esistono cronache o testimonianze del pubblico. Anche presso l’Archivio di
Stato parmense, e più precisamente all’interno del fondo Teatri e spettacoli farnesiani pare non sia
rimasta alcuna traccia (salvo rari accenni in qualche lettera) che consenta di approfondirne gli
aspetti scenotecnici.
Ora come ora, tra tutte le ipotesi plausibili, non è dato di escludere del tutto neppure l’evenienza che
questa macchina non sia mai addirittura esistita e che sia rimasta - come un’idea solo fissata sulla
carta - un progetto incompiuto.
L’impossibilità di confermare con prove certe le teorie finora formulate lascia dunque la ricerca
aperta a conferme o smentite, auspicando nuove scoperte ed eventuali sbocchi futuri che allarghino
- anche al di là della cerchia degli ‘addetti ai lavori’ - gli orizzonti di questo campo che racchiude
tuttora in sé avvincenti segreti da scoprire.
Silvia Allocco
39
Reti Luca Plastico bolognese, Archivio di Stato di Parma, Teatri e spettacoli, b. 1, mazzo 1, fasc. 19
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