Economia internazionale
-4-
Economie di scala, concorrenza imperfetta,
differenziazione di prodotto
e commercio internazionale
Dalle teorie tradizionali (dei vantaggi comparati) alla
nuova teoria del commercio internazionale
• Nei modelli tradizionali (Ricardo; Heckscher-Ohlin) i paesi commerciano perchè
sono tra loro diversi; la diversità, che si esprime nelle differenti forme delle
frontiere delle possibilità produttive, è fonte di vantaggi (e svantaggi) comparati; i
paesi si specializzano nelle industrie in cui hanno vantaggi comparati. Due ragioni
fondamentali alla base delle diversità tra paesi:
– perché presentano differenti tecnologie (Ricardo)
– perchè presentano differenti dotazioni di fattori produttivi (impiegati con diversa
intensità nelle varie industrie; Heckscher-Ohlin)
• Per le teorie tradizionali, se non sono riscontrabili differenze non sussistono motivi
di scambio. La realtà è però più complessa. Il mondo “è pieno” di flussi commerciali
anche tra paesi molto simili. La nuova teoria del commercio internazionale
evidenzia che scambio e specializzazione possono emergere, indipendentemente
dall’esistenza di vantaggi comparati, se le industrie operano con economie di scala e
i consumatori vogliono poter scegliere tra varietà differenziate di prodotti
• Nella nuova teoria l’esistenza di economie di scala rende vantaggioso per ciascun
paese concentrarsi nella produzione di una gamma limitata di beni, realizzarli così in
modo più efficiente, esportarli contro l’importazione dei beni che non produce: le
economie di scala spingono anche paesi perfettamente identici a intraprendere
scambi commerciali tra loro: una quota importante del commercio mondiale trova
quindi una giustificazione
Economie di scala e commercio internazionale: uno
sguardo preliminare;
forti differenze teoriche dalle teorie tradizionali
• I modelli tradizionali di commercio internazionale basati sui
vantaggi comparati ipotizzano rendimenti di scala costanti e
concorrenza perfetta:
– all’aumentare della quantità di tutti i fattori impiegati nella
produzione di un bene, l’output aumenta proporzionalmente; ogni
impresa è price taker perchè prende il prezzo di mercato come
dato, non può influirvi variando la quantità offerta
• Nella realtà molti settori sono caratterizzati dalla presenza di
economie di scala (o rendimenti crescenti di scala)
– La produzione è tanto più efficiente, quanto maggiore è la scala di
produzione
Economie di scala e commercio internazionale :
allargamento della scala produttiva conduce ad
aumenti più che proporzionali dell’output
• In presenza di rendimenti di scala crescenti:
– il livello di produzione aumenta in misura più che
proporzionale rispetto all’aumento nell’impiego di tutti
i fattori: se la produzione dipende dall’impiego di
capitale e lavoro, nel caso di rendimenti costanti il
raddoppio del capitale e del lavoro conduce al
raddoppio della produzione; con rendimenti crescenti, il
raddoppio di capitale e lavoro comporta un aumento più
che doppio della produzione (es. autoveicoli,
petrolchimico, siderurgia, ecc.)
– Conseguenza cruciale: i costi medi (costi per unità di
produzione) decrescono all’aumentare delle
dimensioni di mercato
Economie di scala e commercio internazionale:
un esempio numerico
Relazione tra input e output in un settore ipotetico: +3,5; +6; -40%!
Economie di scala e commercio
internazionale: una facile intuizione
• Si intuisce perchè le economie di scala spingono allo scambio internazionale. Due
paesi A e B identici, dotati della stessa tecnologia nella produzione di un bene C.
Inizialmente ciascun paese produce 10 unità di bene, impiegando ciascuno 15 unità
di lavoro: con questa divisione del lavoro, nel mondo vengono offerte 20 unità di
bene che richiedono l’impiego di 30 unità di lavoro
• In realtà lo stesso risultato (produzione di 20 unità di bene) potrebbe essere ottenuto
in modo molto più efficiente se la produzione si concentrasse in uno dei due paesi, A
o B. In questo caso 20 unità di C si otterrebbero solo con 25 unità di lavoro
• Il commercio internazionale rende possibile ciò: il paese che concentra la
produzione di C al suo interno dovrà sottrarre lavoro ad altri settori, rinunciando a
produrre all’interno altri beni, importandoli dall’estero. L’opposto vale per il paese
che perde la produzione di C; esso potrà impiegare il lavoro liberato dalla
produzione di C nella produzione di altri beni che esporterà ad A in cambio di C
• Quindi il commercio internazionale consente a ciascun paese di produrre una
gamma limitata di beni, traendo vantaggi di efficienza dall’esistenza di
economie di scala. I consumatori, ovunque si trovino, sono beneficiati dalla
possibilità di acquistare beni meno costosi (grazie allo sfruttamento delle
economie di scala); inoltre, il commercio internazionale accresce la varietà di
beni a disposizione dei consumatori, aumentando vieppiù il loro benessere
Economie di scala e struttura di mercato
• Importante distinzione, le economie di scala possono
essere:
– Esterne all’impresa, ma interne all’industria
• Il costo unitario dipende dalle dimensioni dell’industria, ma non da quelle
delle singole imprese: anche imprese di piccola dimensione che operano in
condizione perfettamente concorrenziale possono godere dei vantaggi della
dimensione del loro settore; ciascuna piccola impresa trae un beneficio del
fare parte di su settore di grande dimensione (logica del distretto industriale)
– Interne all’impresa
• Il costo unitario dipende dalle dimensioni della singola impresa, ma non
necessariamente da quelle del settore nel suo complesso
• La struttura di mercato è imperfettamente concorrenziale nel senso che le
imprese possono modificare il prezzo di vendita variando la propria offerta;
le imprese grandi hanno un vantaggio di costo sulle imprese piccole
– Entrambi i tipi di economie di scala sono cause importanti di
commercio internazionale; vanno analizzate in modo distinto; si
inizia con le economie di scala interne all’impresa
La teoria della concorrenza imperfetta
• Concorrenza imperfetta
– Le imprese sono consapevoli di poter influenzare il prezzo
dei loro prodotti; il prezzo non è un dato esogeno
all’impresa come nella concorrenza perfetta
• Le imprese sanno che possono vendere di più riducendo il loro
prezzo
– Ogni impresa si considera come “price setter”, piuttosto
che come “price taker”: può governare, in una misura più o
meno cospicua, il prezzo del suo prodotto
– La struttura di mercato di concorrenza imperfetta più
semplice è quella di monopolio puro, un mercato nel quale
esiste un’unica impresa che non subisce concorrenza alcuna
e che può variare quindi il prezzo senza porsi il problema
del comportamento dei concorrenti
La teoria della concorrenza imperfetta:
il caso più semplice del monopolio
• Monopolio: una breve descrizione, il concetto di
ricavo marginale
• L’impresa fronteggia una curva di domanda D inclinata
negativamente che coincide con il ricavo unitario o prezzo; la
pendenza negativa della curva di domanda indica che l’impresa può
aumentare la quantità venduta solo abbassando il prezzo
• La curva del ricavo marginale MR indica invece il ricavo extra che
un’impresa guadagna dalla vendita di un’unità addizionale. Mentre
in concorrenza perfetta MR = D = Prezzo costante, in monopolio il
ricavo marginale è sempre inferiore al ricavo unitario/prezzo talché
la curva MR giace sempre sotto la curva di domanda, D
– Per vendere un’unità addizionale di prodotto un’impresa deve
ridurre il prezzo di tutte le unità vendute già in precedenza (non
solo dell’unità al margine)
La teoria della concorrenza imperfetta: ricavo
unitario, marginale; costo medio e marginale
Le “curve” del monopolista
(in blu i valori medi, in rosso i valori marginali)
Costo, C,
e prezzo, P
AC
MC
D
MR
Quantità, Q
La teoria della concorrenza imperfetta
– Ricavo marginale e prezzo
• Il ricavo marginale è sempre inferiore al prezzo
• La relazione tra ricavo marginale e prezzo
dipende da due elementi:
– la quantità di prodotto che l’impresa sta già
vendendo
– l’inclinazione della curva di domanda
 ci informa su quanto il monopolista
deve ridurre il suo prezzo per vendere
un’unità in più di prodotto
La teoria della concorrenza imperfetta
• Assumiamo che la curva di domanda fronteggiata dall’impresa sia lineare:
Q=A–BxP
Si riscriva ponendo P a sinistra P = A/B – Q/B
Il ricavo totale è
P x Q = (A/B) x Q – Q2/B
Il ricavo marginale (derivata di PQ rispetto a Q) è
d(PQ)/dQ = MR = A/B – 2 x Q/B
Poichè A = Q +B x P, Il ricavo marginale MR è riscrivibile come:
MR = P – Q/B
quindi P – MR = Q/B
– Quando Q = 0, MR=P; al crescere di Q, la differenza tra P e MR aumenta
– Quando B=infinito P=MR (è la concorrenza perfetta); la distanza tra P e MR
cresce al diminuire di B (quanto più aumenta la pendenza della curva di
domanda tanto più ci si allontana dalla concorrenza perfetta)
– Costi medi e marginali
• Il costo medio (AC) è il costo totale diviso per la quantità prodotta
• Il costo marginale (MC) è il costo sostenuto dall’impresa per produrre
un’unità addizionale
La teoria della concorrenza imperfetta
• Quando i costi medi sono decrescenti all’aumentare dell’output vuol dire che
ci sono economie di scala: quanto più si produce tanto minore è il costo per
unità di output
• Con costi medi decrescenti, il costo marginale è sempre inferiore al costo
medio
• Supponiamo che i costi totali, C, di un’impresa assumano la forma:
C=F+cxQ
– Questa è una funzione di costo lineare, con una parte fissa (F) e una
parte variabile (c x Q) in funzione della quantità prodotta
– Il costo fisso in una funzione di costo lineare determina l’emergere di
economia di scala: quanto più si produce, aumento di Q, tanto più si
riduce il costo per unità di output
– c è il costo marginale (c = dC/dQ)
• Il costo medio dell’impresa è dato da:
AC = C/Q = F/Q + c
si riduce all’aumentare di Q; il costo marginale c è inferiore (si trova sotto) al
costo medio AC
La teoria della concorrenza imperfetta
Costi medi versus costi marginali
Costi per unità
6
5
4
3
2
Costi medi
1
Costi marginali
0
2
4
6
8
10 12 14 16 18 20 22 24
Output
La teoria della concorrenza imperfetta: ricavo
unitario, marginale; costo medio e marginale
Ora sono più chiare le “curve” del monopolista
(in blu i valori medi, in rosso i valori marginali)
Costo, C,
e prezzo, P
AC
MC
D
MR
Quantità, Q
La teoria della concorrenza imperfetta
• La massimizzazione del profitto per il monopolista si ha con una
produzione in corrispondenza della quale il ricavo marginale
uguaglia il costo marginale. In questo punto il prezzo supera il
costo medio e l’impresa guadagna profitti di monopolio (extraprofitti)
• MR = costo marginale  P – Q/B = c  P=Q/B + c
• In situazione di monopolio puro (ad esempio naturale), gli extraprofitti sono permanenti (nessun concorrente può contenderli)
• Il monopolio puro è un caso particolare; normalmente gli extraprofitti attraggono concorrenti nel lungo periodo; la possibilità di
una concrrenza imperfetta, con presenza di un certo numero di
competitori, è prevista da altre strutture di mercato: oligopolio e
concorrenza monopolistica
La teoria della concorrenza imperfetta: ricavo
unitario, marginale; costo medio e marginale
Fissazione del prezzo e decisioni di produzione del monopolista
Costo, C,
e prezzo, P
Profitti del monopolista
PM
AC
AC
MC
D
MR
QM
Quantità, Q
La teoria della concorrenza imperfetta
• Oligopolio
• Economie di scala interne generano una struttura di mercato
oligopolistica
– Ci sono molteplici imprese, ognuna delle quali è abbastanza
grande da influenzare i prezzi, ma nessuna gode di un
monopolio incontestato
• Le interazioni strategiche tra oligopolisti sono rilevanti e
complicano notevolmente l’analisi
– Ogni impresa decide le sue azioni, tenendo presente non
solo la risposta dei consumatori, ma anche come tale
decisione possa influenzare le azioni della rivale:
interdipendenza delle decisioni e comportamenti collusivi e
strategici rendono l’analisi molto complessa
La teoria della concorrenza imperfetta
– Concorrenza monopolistica (Krugman-Helpman, 1985)
• Caso particolare di oligopolio che consente una notevole semplificazione
dell’analisi
• Due assunzioni centrali hanno lo scopo di aggirare il problema
dell’interdipendenza:
– si assume che ogni impresa sia in grado di differenziare i suoi prodotti
dalle rivali; ciò comporta che i suoi clienti non si spostino
“immediatamente” verso i prodotti delle altre imprese in corrispondenza
di lievi aumenti di prezzo; la differenziazione di prodotto assicura che
ciascuna impresa goda di un certo potere di monopolio nel suo
particolare prodotto ed è quindi in qualche misura e transitoriamente
isolata dai competitori
– si assume che ogni impresa consideri come dati i prezzi praticati dalle
rivali; essa quindi ignora l’impatto che la sua politica di prezzo potrà
avere sulle politiche di prezzo delle altre imprese; quindi anche se
ciascuna impresa si confronta con dei competitori essa si comporta come
un monopolista
Ma nel lungo periodo eventuali extra-profitti non possono sussistere:
entrano nuove imprese, attratte dagli extra-profitti, aumenta la
concorrenza, la pendenza della curva di ricavo unitario muta, finchè essa
non diviene tangente alla curva di costo medio e i profitti extra sono
azzerati
La teoria della concorrenza imperfetta
– Esistono settori di concorrenza monopolistica nel
mondo reale?
• Alcune industrie costituiscono delle ragionevoli
approssimazioni, ad esempio, il settore automobilistico
in Europa (Fiat, Volkswagen, Peugeot, Renault, Ford,
General Motors, Volvo, Nissan producono beni
differenziati)
• Il pregio fondamentale del modello di concorrenza
monopolistica non è il realismo, ma la relativa
semplicità che consente di studiare i meccanismi che
governano la specializzazione con economie di scala
La teoria della concorrenza imperfetta
– Assunzioni del modello
• Immaginiamo un’industria costituita da un certo numero di imprese;
ciascuna di esse produce un bene differenziato dalle altre; i beni
dell’industria non sono quindi esattamente gli stessi; sono imperfetti
sostituti per il consumatore
• Ciascuna impresa è quindi monopolista nella produzione di una
particolare varietà di bene, ma la domanda per quella varietà di bene
dipende dal numero degli altri beni simili e imperfetti sostituti
disponibili e dal prezzo praticato dalle imprese che li producono. In
generale ci si può attendere che un’impresa:
– venderà di più, quanto maggiore è la domanda complessiva che si
rivolge al settore di cui fa parte l’impresa e quanto maggiore è il prezzo
praticato dalle altre imprese rivali presenti nell’industria
– venderà di meno, quanto maggiore è il numero delle imprese presenti
nel settore e quanto maggiore è il prezzo da essa stessa praticato
La teoria della concorrenza imperfetta
– Una particolare funzione di domanda con queste
•
proprietà è quella di Salop (1979):
–
Q = S x [1/n – b x (P – PM)]
O anche
Q = S/n – S x b x (P – PM)
in cui:
– Q rappresenta le vendite dell’impresa
– S rappresenta le vendite totali di settore
– n è il numero di imprese presenti nel settore
– b è un termine costante che rappresenta la sensibilità delle vendite di
un’impresa al prezzo da essa praticato
– P è il prezzo praticato dall’impresa stessa
–PM è il prezzo medio praticato nell’industria
La teoria della concorrenza imperfetta
– Equilibrio di mercato
• Un’impresa che pratica un prezzo uguale a quello medio dell’industria (P=PM) avrà
una domanda per il suo prodotto pari a 1/n x S (la domanda che si rivolge all’industria
diviso il numero delle imprese); la domanda che si rivolge alla singola impresa sarà
inferiore o maggiore di 1/n x S a seconda che il prezzo praticato dall’impresa è
superiore o maggiore a quello medio dell’industria
• Per semplicità si assume che le vendite totali dell’industria, pari a S, non siano
influenzate dal prezzo medio praticato nell’industria; quindi ciascuna impresa può
guadagnare clienti solo a spese delle altre imprese presenti in quell’industria (non da
altre industrie; ne deriva che S è una misura dell’ampiezza “data” del mercato)
• Tutte le imprese presenti nel settore sono simmetriche, cioè
– La funzione di domanda e quella di costo sono identiche per tutte le imprese;
ipotesi semplificatrice che consente di “ridurre” la descrizione dell’industria alla
determinazione di solo due elementi: numero di imprese e prezzo medio (uguale
per tutte)
• Il metodo per la determinazione del numero di imprese e del prezzo medio praticato
prevede tre passaggi:
– deriviamo la relazione tra numero di imprese e costo medio dell’impresa
rappresentativa
– deriviamo la relazione tra numero d’imprese e prezzo praticato da ogni impresa
– deriviamo il numero d’imprese di equilibrio ed il prezzo medio di equilibrio
praticato da ciascuna impresa nell’industria (uguale per tutte)
La teoria della concorrenza imperfetta
• Numero di imprese e costo medio
– Qual è la relazione di dipendenza tra numero d’imprese e
costo medio?
– Poichè le imprese sono simmetriche, in equilibrio
praticano lo stesso prezzo, P = PM, l’equazione implica
che la domanda che si rivolge alla singola impresa è
Q = S/n e l’equazione mostra che il costo medio dipende
inversamente dal livello di produzione di un’impresa
– Ricordando l’espressione del costo medio è
AC = F/Q + c
Si ottiene che il costo medio dipende dalle dimensioni di
mercato e dal numero d’imprese nel settore:
AC= n x F/S + c
– Maggiore è il numero di imprese, maggiore è il costo medio (perchè
quanto più imprese ci sono, tanto meno ciascuna di esse produce)
La teoria della concorrenza imperfetta
– Il numero di imprese e prezzo praticato dalla singola
impresa
• Il prezzo praticato dall’impresa rappresentativa dipende dal
numero di imprese presenti nel settore
– Maggiore è il numero di imprese, maggiore è la concorrenza e quindi
minore è il prezzo
• Nel modello di concorrenza monopolistica, si assume che le
imprese considerino il prezzo praticato dalle rivali come dato
– Se ogni impresa tratta il prezzo delle altre come un dato, si
può riscrivere la curva di domanda Q = S/n – S x b x (P – PM) nella
forma:
Q = (S/n + S x b x PM) – S x b x P
Il termine in parentesi è una costante, il termine S x b indica come varia la
domanda al variare del prezzo; ci si ritrova quindi con una funzione lineare
di domanda del tipo Q = A – B x P con A= (S/n + S x b x PM) e B= S x b
La teoria della concorrenza imperfetta
• Imprese che massimizzano i profitti fissano il ricavo
marginale pari al loro costo marginale, c
• Si ricordi che il ricavo marginale è dato da
MR = P – Q/B
sostituendo al posto di B = s x b, si ottiene
MR = P – Q/Sxb
• L’equilibrio viene raggiunto uguagliando ricavo e costo
marginali
P – Q/Sxb = c, da cui P = c + Q/Sxb
• Se tutte le imprese praticano lo stesso prezzo, ciascuna vende
Q = S/n; sostituendo si ha una relazione negativa tra prezzo e
numero di imprese presenti sul mercato, data dalla curva PP:
P = c + 1/(b x n)
– Maggiore è il numero di imprese presenti nel settore, minore è il
prezzo praticato da ogni singola impresa
La teoria della concorrenza imperfetta
Equilibrio in un mercato di concorrenza monopolistica
Costo C, e
prezzo, P
CC
AC3
P1
E
P2, AC2
AC1
P3
PP
n1
n2
n3
Numero
imprese, n
La teoria della concorrenza imperfetta
– Numero di imprese di equilibrio
• La curva decrescente PP mostra che maggiore è il numero di imprese,
minore è il prezzo praticato dalla singola impresa
– Maggiore è il numero di imprese, più intensa è la concorrenza subita
dalla singola impresa
• La curva crescente CC mostra che maggiore è il numero di imprese,
maggiore è il costo medio di ogni impresa
– Se aumenta il numero di imprese, ogni impresa vende meno per cui
non è in grado di ridurre molto i suoi costi medi
• Le due curve si intersecano in E con n2 imprese; n2 rappresenta il numero
di imprese nell’industria cui corrisponde un profitto zero; cioè quando si
hanno n2 imprese il prezzo che massimizza il loro profitto, P2, è
esattamente uguale al loro costo medio. Questa è una posizione di
equilibrio: se si hanno n1 imprese P1>AC1, ci sono exra-profitti; l’opposto
avviene quando il numero di imprese è n3
• Nel tempo, se ci sono extra-profitti altre imprese entreranno nell’industria,
invece le imprese ne usciranno se nell’industria ci sono perdite: il numero
delle imprese tenderà a crescere quando n1< n2, tenderà a diminuire
quando n3> n2; n2 è quindi il numero di imprese di equilibrio e P2 è il
corrispondente prezzo di equilibrio
Concorrenza monopolistica e
commercio internazionale
• Il modello di concorrenza monopolistica può
essere impiegato per mostrare come il
commercio internazionale conduca a:
– un prezzo medio inferiore, grazie alle economie di
scala
– una disponibilità di più numerose varietà di beni,
grazie alla differenziazione di prodotto
– importazioni ed esportazioni all’interno dello
stesso settore (commercio intra-industriale)
Concorrenza monopolistica e
commercio internazionale
• Effetti dell’aumento delle dimensioni di mercato
– Il numero di imprese ed il prezzo praticato nel settore di
concorrenza monopolistica sono influenzati dalle
dimensioni del mercato
– Per vedere gli effetti del commercio internazionale si
consideri la relazione CC (tra costo medio per l’impresa e
numero di imprese)
AC=F/Q + c= (F x n)/S + c
– L’integrazione internazionale comporta l’aumento di S con
conseguente riduzione del costo medio per ogni dato
numero di imprese n: si sposta a destra la CC
– La relazione PP, data da P= c +1/(b x n) non ha motivo di
spostarsi nel piano
– Nuovo equilibrio in corrispondenza di: 1) più bassi costi
medi; 2) maggior numero di imprese (e quindi di varietà
di prodotto)
Concorrenza monopolistica e
commercio internazionale
Effetti di ampliamento del mercato
Costo, C,
e prezzo, P
CC1
CC2
1
P1
2
P2
PP
n1
n2 Numero di
imprese, n
Concorrenza monopolistica e
commercio internazionale
• I vantaggi di un mercato integrato: un esempio
numerico
– Il commercio internazionale consente la creazione
di un mercato integrato che è più vasto dei singoli
mercati domestici
• Diventa quindi possibile offrire ai consumatori una
maggiore varietà di prodotti a prezzi inferiori
Concorrenza monopolistica e
commercio internazionale
– Esempio: supponiamo che le automobili siano
prodotte in condizioni di concorrenza
monopolistica.
• Assumiamo:
–
–
–
–
b = 1/30.000
F = 750.000.000 $
c = 5.000 $
ci sono due paesi (A e B) che presentano gli stessi costi nella
produzione di automobili
– le vendite annuali di automobili sono 900.000 in A e 1,6
milioni in B
Concorrenza monopolistica e commercio
internazionale
Equilibrio nel mercato delle automobili nel paese A
Concorrenza monopolistica e
commercio internazionale
Equilibrio nel mercato delle automobili nel paese B
Concorrenza monopolistica e
commercio internazionale
…Equilibrio nel mercato delle automobili nel mercato integrato di A+B
Concorrenza monopolistica e
commercio internazionale
Esempio ipotetico dei vantaggi dall’integrazione dei mercati
Concorrenza monopolistica e
commercio internazionale
• Economie di scala e vantaggi comparati;
differenti implicazioni e conseguenze
• ci sono due paesi: A (relativamente abbondante in
capitale) e B (relativamente abbondante di lavoro)
• esistono due settori: manufatti (settore intensivo di
capitale) e cibo (settore intensivo di lavoro)
• Le previsioni della teoria tradizonale (Heckscher-Ohlin)
sono chiare: A non può che esportare manufatti contro il
cibo che non può che essere esportato da B, la corrente
degli scambi (pattern of trade) e univocamente
determinata, manufatti contro cibo
Concorrenza monopolistica e
commercio internazionale
Commercio internazionale in assenza di rendimenti crescenti:
si definsice commercio inter-industriale;
A
(abbondante in capitale)
B
(abbondante in lavoro)
Manufatti
Cibo
Concorrenza monopolistica e
commercio internazionale
– Però se quello dei manufatti è un settore di
concorrenza monopolistica, in cui vigono
rendimenti crscenti di scala (economie di scala)
allora il commercio internazionale risulta formato
da due componenti:
• commercio inter-industriale
– lo scambio di manufatti contro cibo
• commercio intra-industriale
– lo scambio di manufatti contro manufatti
Concorrenza monopolistica e
commercio internazionale
Commercio internazionale con rendimenti crescenti
e concorrenza monopolistica
A
(abbondante in capitale)
B
(abbondante in lavoro)
Manufatti
Cibo
Commercio
inter-industriale
Commercio
intra-industriale
Concorrenza monopolistica e
commercio internazionale
– Differenze principali tra commercio interindustriale e intra-industriale:
• il commercio inter-industriale riflette i vantaggi
comparati, il commercio intra-industriale non riflette
vantaggi comparati
• al contrario di quanto avviene per il commercio interindustriale (in cui si sa chi esporta cosa) la struttura del
commercio intra-industriale non è prevedibile e contiene
elementi di arbitrarietà (si sa che un paese produrrà solo
alcune varietà di prodotto, ma non quante e quali)
• l’importanza relativa di commercio intra- e interindustriale dipende da quanto sono simili i paesi
Concorrenza monopolistica e
commercio internazionale
• La rilevanza del commercio intra-industriale
– Oltre un quarto del commercio mondiale è di tipo
intra-industriale
– Il commercio intra-industriale gioca un ruolo
particolarmente importante nel commercio di beni
manufatti tra paesi industrializzati, che rappresenta
la componente predominante del commercio
mondiale
Concorrenza monopolistica e commercio
internazionale
Indici del commercio intra-industriale per alcuni settori degli Stati Uniti,
1993
Chimica inorganica
0,99
Macchine generatrici d’energia
0,97
Meccanica elettrica
0,96
Chimica organica
0,91
Prodotti medicinali e farmaceutici
0,86
Macchine per l’ufficio
0,81
Telecomunicazioni
0,69
Veicoli su strada
0,65
Ferro e acciaio
0,43
Abbigliamento e accessori
0,27
Calzature
0,00
Concorrenza monopolistica e
commercio internazionale
Indici del commercio intra-industriale per alcuni macrosettori e aree geografiche dell’Unione Europea (1999)
Beni manufatti
Beni intensivi di capitale
Beni intensivi di lavoro
Beni intensivi di minerali
Beni intensivi di agric.
Stati
Uniti
0.70
0.72
0.57
0.44
0.31
Giappone
NIEs
0.40
0.40
0.34
0.49
0.07
0.50
0.51
0.46
0.39
0.24
ASEAN6 America
Latina
0.34
0.48
0.35
0.53
0.40
0.22
0.22
0.38
0.16
0.18
Africa
0.27
0.26
0.33
0.14
0.29
Note: l’indicatore è stato calcolato a partire da una disaggregazione settoriale pari alle 3 cifre della
classificazione SITC.
NIEs = Newly Industrializing Economies (Hong Kong, Singapore, South Korea, Taiwan)
ASEAN6 = sei paesi dell’Association of South-East Asian Nations (Brunei, Indonesia, Malaysia,
Philippines, Singapore, Thailand).
Fonte: NAPES http://napes.anu.edu.au/
Concorrenza monopolistica e commercio
internazionale
• Il commercio intra-industriale genera più vantaggi e meno costi del
commercio inter-industriale
– commercio inter-industriale: beneficio per i consumatori deriva dal
fatto di poter acquistare beni dall’estero a prezzi più bassi; ma ci sono
industrie che si espandono (quelle che esportano) e industrie che si
contaggono (quelle che subiscono la concorrenza delle importazioni);
stanno meglio i proprietari dei fattori usati più intensamente nei settori
che si espandono; stanno peggio i proprietari dei fattori usati più
intensamente nei settori che si contraggono
– Commercio intra-industriale: beneficio per i consumatori derivante dal
minore prezzo (come nelle teorie tradizionali) e beneficio aggiuntivo
derivante dalla possibilità di disporre di un maggior numero di varietà
di prodotto; inoltre, non ci sono costi, in quanto non esistono industrie
che si espandono e contraggono, ma imprese che si espandono o
muoiono nella stessa industria; i lavoratori delle imprese che spariscono
vengono assorbiti senza costi, nella stessa industria, dalle imprese che
si espandono: esperienza dell’integrazione europea dagli anni 50 in poi
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lezione 4