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Venerdì
6 Marzo 2015
CULTURA, RELIGIONI, TEMPO LIBERO, SPETTACOLI, SPORT
anzitutto Pordenone,
Sepúlveda a “Dedica”
arà lo scrittore cileno Luis Sepúlveda il
protagonista della 21ª edizione di “Dedica”, il
festival che si terrà a Pordenone da domani al 14
marzo. Sepúlveda presenterà in anteprima il suo
nuovo libro, L’avventurosa storia dell’uzbeko muto
(Guanda, pagine 142, euro 14,50) dove racconta il passato
e i sogni della sua generazione attraverso la lente
dell’affetto e dell’umorismo. Alla rassegna, curata
quest’anno da Bruno Arpaia, parteciperanno inoltre
Giuseppe Cederna, Giancarlo De Cataldo, Carmen Yáñez,
Daniel Mordzinski, il Ginevra Di Marco Trio e i Modena
City Ramblers.
S
E
L Z E V I R O
IL “FALÒ” DIGITALE
DEI LIBRI
IN UNIVERSITÀ
Idee. Oltre la matematica del diritto e della giustizia, esiste anche quella «eccedente»
dell’amore; che spesso innesca una spirale contagiosa i cui frutti risultano incalcolabili
VITTORIO MARCHIS
lcuni giorni or sono aprendo la posta elettronica
del mio Ateneo, ho letto, nel resoconto
dell’ultimo consiglio di amministrazione: «È
stato altresì deliberato di approvare a partire
dall’esercizio 2015, per il materiale bibliografico non di
pregio che perde valore nel tempo, l’adozione della
modalità di iscrizione “interamente a costo del valore
annuale degli acquisti di volumi”». Approfondendo ho
capito che questa delibera fa diretto riferimento all’art.
4 comma 1 lettera b del decreto ministeriale 19/2014 sui
“Principi contabili e schemi di bilancio economicopatrimoniale per le università”. In sostanza dal presente
anno l’acquisto di libri viene degradato a quello dei beni
di consumo, e quindi una volta usati i libri possono
essere alienati perché ormai privi di valore (e di tutela).
Tutto ciò era, sino a ieri, molto più complesso in quanto
un libro (come qualsiasi altro bene inventariato) per
potere essere derubricato dal registro dei beni dello
Stato, doveva seguire una procedura assai complessa, e
tutto ciò costituiva anche una garanzia per la sua
conservazione. Questo privilegio rimane soltanto per i
"libri che non perdono valore nel corso del tempo" ma a
questo punto sorge subito la domanda: "che cosa si
intende per materiale bibliografico di pregio?". Si
aprono nuovi scenari che lasciano ancora molti punti
interrogativi. Bisognerà creare un nuovo Ente per la
Definizione del Materiale Bibliografico di Pregio?
Personalmente dubito fortemente di tutte le valutazioni
che sono dichiarate come "algoritmicamente
scientifiche", come dubito delle promesse della rete,
dove le cosiddette biblioteche universali di libero
accesso si dimostrano spesso
come mere offerte
La cosiddetta
Secondo le nuove commerciali.
"rivoluzione digitale" sta
direttive
cambiando le regole del
gli stampati
gioco: sono alcuni anni che
«non di pregio»
le biblioteche universitarie
sono abbonate alle riviste
diventano
digitali, alcuni ministri
«materiali
hanno più volte auspicato
di consumo»
che gli studenti possano
da digitalizzare
usare tablet e smart phone
o da buttar via
per studiare, e soprattutto si
Ma chi stabilisce
è ricevuto spesso l’invito a
che cos’è
produrre materiale
bibliografico a supporto dei
«di pregio?»
corsi, da porre in internet in
Alla bulimia
uso gratuito. Ma come
editoriale
garantire la persistenza della
non si risponde
memoria quando tutti
con l’anoressia
conosciamo la fragilità dei
beni digitali? Anche se
nessuno dei preziosi volumi
pubblicati da Manuzio o dal Griffio subirà l’onta delle
derubricazione dalla categoria "di pregio" ciò che mi
preoccupa è invece quella letteratura "minore" (si fa per
dire) che pure è linfa vitale della ricerca nelle facoltà
(ahi, anche le facoltà sono state soppresse) sia
umanistiche, sia scientifiche. Che dire delle biblioteche
degli scienziati quando essi andranno in pensione? Che
dire degli appunti redatti dagli studenti a margine dei
corsi di qualche illustre professore? All’inizio del
Novecento questi "appunti" erano riprodotti su povera
carta acida (ormai ingiallita) scritti a mano per mezzo di
arcaiche tecniche litografiche. Per uno storico, spesso
questi materiali, indubbiamente "non di pregio" sono
ora una preziosa fonte per la storia della scienza. E qui
mi preme il ricordare che lo stesso Galileo Galilei,
quando agli inizi del Seicento, presso l’università di
Padova insegnava "Fortificazioni", di questo corso non
ci ha lasciato nulla se non gli appunti presi da alcuni
suoi allievi. Che dire infine dei manuali di istruzione e
d’uso delle apparecchiature scientifiche, che dai
laboratori emigrano nei repositori dei musei della
tecnologia? Senza il manuale ormai ogni strumento
scientifico diventa un ferrovecchio incomprensibile.
Subito salteranno fuori allora, colleghi ed esperti delle
più recenti tecnologie informatiche dicendo che ci sono
le banche dati digitali, che sta là il nostro futuro. Ma chi
mai sarà in grado di stabilire la "pregevolezza" di un
libro per poterne giustificare un futuro, magari in
versione digitale? Certo ci troviamo di fronte a una sorta
di "bulimia editoriale", ma non dobbiamo cadere
nell’opposto anoressico. E poi, anche nel mondo
digitale dietro l’angolo c’è sempre la paura di incendi e
di altre catastrofi. C’è qualcuno che se ne è mai
preoccupato? Non ho ancora trovato nulla in merito agli
eventuali "estintori" di cui dovremmo munirci. Forse
stanno davvero arrivando gli Anni della Fenice di cui
mezzo secolo fa Ray Bradbury aveva fatto profezia
A
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MADDALENA. «Cena in casa di Simone il fariseo» di A. Bonvicino detto il Moretto (1544), Chiesa della Pietà, Venezia
L’economia alternativa
del
PERDONO
GIANFRANCO RAVASI
e volessimo ricorrere alla
simbolica numerica potremmo delineare una
specie di «matematica»
della giustizia, dell’amore
e del perdono. È ovvio che
l’equazione è l’1 a 1: «occhio per occhio...», così come quella
della violenza cieca e distruttiva è il 7
a 77, sulla scia del grido di Lamek:
«Sette volte sarà vendicato Caino, ma
Lameck settantasette» (Gen 4, 24).
In antitesi a essa si pone l’equazione
del perdono così come è formulata
da Gesù che – per contrasto – la illustrerà poi con la parabola del servo
spietato (Mt 18, 23-35). Essa presuppone un 7 a 70 x 7: «Pietro domandò:
"Signore, se il mio fratello commette
colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?".
Gesù gli rispose: «Non dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (18, 21-22). Già per l’illimitata ampiezza del perdono divino rispetto al
confine circoscritto della giustizia si
era visto che l’equazione era 7 a 1.000
(Es 34, 7).
Il perdonare fa parte di quella particolare «economia» dell’amore che
non calcola ma dona, e proprio così
moltiplica i suoi effetti. Essa è descritta nella mini-parabola che Luca
incastona nell’episodio della peccatrice che incontra Gesù nella casa di
Simone il fariseo: «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva 500
denari, l’altro 50. Non avendo essi di
che restituire, condonò a entrambi il
debito. Chi dunque lo amerà di più?
E Simone rispose: "Suppongo colui al
quale ha condonato di più!". E Gesù:
"Hai giudicato bene"» (Lc 7, 41-43).
S
l perdono spezza la catena rigida
del dare-avere e introduce la logica della donazione libera e generosa. Si crea un nuovo regime
nei rapporti umani, meno vincolato
al calcolo che alla fine rende tese e
fredde le relazioni: nella parabola ciò
I
Dall’1 a 1 dell’occhio per occhio
(se non addirittura la vendetta
moltiplicata per 77 di Lamek
nella Genesi), il Vangelo passa
a un’altra logica di calcolo
in cui vale l’equazione 70 volte 7
che hai in cambio al condono-perdono è l’amore, che è molto di più dei
500 o 50 denari.
È questa una logica che applichiamo
spontaneamente (ed egoisticamente) a noi stessi, come ammoniva in una delle morali delle sue favole Jean
de La Fontaine: «Perdoniamo tutto a
noi stessi e nulla agli altri». Ammiccando alla celebre immagine evangelica della trave e della pagliuzza (Mt
7, 3-5), san Francesco di Sales concludeva: «Di solito coloro che perdonano troppo a se stessi sono più rigorosi con gli altri». Si dovrebbe invece essere coerenti e adottare per
tutti l’identica «economia» di perdono.
E proprio perché tutti appartengono
alla stessa creaturità adamica e alla
relativa finitudine e fragilità, è neces-
sario che si ribadisca la legge della reciprocità. Essa
brilla nel Padre nostro: «Rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori».
Un’invocazione, questa,
che è accompagnata da un
commento di probabile genesi redazionale matteana:
«Se infatti perdonerete agli
altri le loro colpe, il Padre
vostro che è nei cieli perdonerà anche
voi, ma se voi non perdonerete gli altri, neppure il Padre vostro perdonerà
le vostre colpe» (Mt 6, 12.14-15).
Questa legge, che è anche alla base
della citata parabola del servo spietato, è ribadita a più riprese nell’epistolario paolino: «Siate benevoli gli uni verso gli altro, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha
perdonato a voi in Cristo» (Ef 4, 32);
«Sopportatevi a vicenda, perdonandovi gli uni gli altri [...] Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche
voi» (Col 3, 13). Perdonàti da Dio e dagli altri, perdoniamoci a vicenda: è
questo l’impegno morale cristiano
che ha, però, ancora una sua radice
naturale, profondamente umana.
Alla spirale della violenza che infetta
la società si può e si deve opporre la
Una grammatica per la misericordia
Forse il perdono contraddice la matematica, perché la
misericordia è piuttosto una grammatica... “Grammatica del
perdono” si intitola infatti il prezioso libretto che il cardinale
Gianfranco Ravasi licenzia per Edb (pagine 40, euro 6,00) e del
quale riprendiamo una parte in questa pagina. Il presidente del
Pontificio Consiglio della Cultura esamina dapprima «Il perdono tra
natura e soprannatura», quindi delinea «Una teologia del perdono» e
conclude con «Un’etica simbolica del perdono» cui concorrono la
memoria, la psicologia, la terapia e appunto l’economia. «La
consapevolezza che il perdono sia una realtà complessa e delicata
– nota Ravasi – appare già in un curioso dato statistico: nell’ebraico
biblico, che è una lingua fatta solo di 5.750 vocaboli, sono ben 8 i
verbi per coprire semanticamente il significato di perdono».
spirale del perdono, come è attestato
– tanto per proporre un esempio concreto contemporaneo – da uno scambio di corrispondenza tra un ex terrorista delle Brigate Rosse italiane e il
gesuita padre Adolfo Bachelet, fratello di una delle vittime.
Ecco un brano della testimonianza epistolare di quel carcerato: «Mi sono
accorto che, una volta innescata la
spirale del perdono, dell’amore, del
bene gratuito, nessuno la ferma più:
diventa un contagio, una luce che si
comunica da uno sguardo all’altro, una reazione a catena. Questo è il miracolo, di cui oggi sono testimone, in
carcere. Io ho questa coscienza nuova: se riuscirò a trasformare la mia vita, questa diventerà un segnale per
gli altri e, quando loro faranno altrettanto, questo segnale si propagherà
e raggiungerà altri ancora».
i tratta, dunque, di elaborare una vera e propria educazione
al perdono che, pur non elidendo le esigenze della giustizia, le invera e le supera dando origine a una civiltà diversa che vede in azione non solo le regole dell’«economia» parallelistica del diritto, ma anche quella «eccedente» del perdono.
È sorprendente scoprire come questo anelito, che è trascendente ma anche insito in ogni creatura, sia esaltato pure dalla più nobile tradizione
musulmana, come appare in questo
apologo del sufismo che poniamo a
suggello della nostra ridotta e semplificata grammatica teologica del
perdono. «Un viandante fu superato
da un uomo su un cavallo in corsa: aveva lo sguardo cattivo e le mani insanguinate. Poco dopo spuntò un
drappello di cavalieri che gli chiesero se avesse visto un uomo macchiato di sangue a cavallo. Il viandante
chiese: "State inseguendo quel malfattore per consegnarlo alla giustizia?". "No – risposero – lo inseguiamo
per mostrargli la retta vi del pentimento e del perdono"».
S
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avvenire agorà sette