Anno XV - Numero ??? - 19 maggio 2009 Le Interviste Parlano il direttore Gelmetti ed il regista Zeffirelli A Pag. 2 Questa volta prima dell’opera Tre brani musicali di Mascagni al posto di un altro atto unico A Pag. 4 La storia di “Pagliacci” Un fatto di vera cronaca, ambientato nel luogo originale: Montaldo Uffugo A Pag. 6 e 11 L’arte del clown Storia dell’eterno sforzo dell’uomo per far sorridere A Pag. 8e9 Il pagliaccio cattivo Il lato perfido delle maschere, da Arlecchino ai giorni nostri A Pag. 10 e 12 PAGLIACCI d i R u g g e ro L e o n c a v a l l o 2 P Pagliacci Il Giornale dei Grandi Eventi Parlano il direttore Gianluigi Gelmetti ed il regista Franco Zeffirelli Un’ambientazione anni ‘60 per il capolavoro di Leoncavallo getto della Bohème, n.d.r.) avessero critiagliacci, opera in un atto tradiziocato in modo così acceso Leoncavallo». nalmente abbinata nelle rappresenL’allestimento è lo stesso visto e applautazioni ad un altro titolo melodito dal 14 al 19 febbraio scorso (quattro drammatico, questa volta sarà l’unica le recite) al Maggio Musicale Fiorentino. opera in palcoscenico: contrariamente a Una messa in scena rivoluzionaria per quanto vuole la tradizione - che la vede il uno dei padri nobili più delle volte in acdella regìa italiana, coppiata con Cavalleche, di solito, è semria Rusticana di Mapre molto rispettoso scagni - l’opera sarà delle indicazioni depreceduta da alcune gli autori. pagine sinfoniche del Al posto della piazza compositore livornedi un paesino calase: l’Inno al Sole, dalbrese di fine Ottol’opera Iris e la Sinfocento, la periferia denia da Le Maschere e gradata di una città l’Intermezzo da Cadel Sud, negli anni valleria Rusticana. ‘60. E’ questa l’amSecondo Zeffirelli, in- Franco Zeffirelli e Gianluigi Gelmetti bientazione scelta fatti, il dittico Cavaldal Maestro Franco Zeffirelli che rifugge leria-Pagliacci non giova alla comprenogni allestimento «oleografico» tradiziosione né dell’una né dell’altra opera, conale. La scena appare ricca, piena di come se il pubblico fosse esposto a una solori, di movimenti di masse, come nello vrabbondanza di emozioni. stile del maestro fiorentino. I coristi e le «Ho sposato quest’idea di Zeffirelli - spiega comparse non vestono i panni di contail Maestro Gianluigi Gelmetti, che torna dinelli e massaie rurali, bensì quelli di sul podio del “suo” teatro - e senza saperproletari e borghesi. Invece di scorci pitlo ho scelto gli stessi brani che Mascagni toreschi e piazzette baroccheggianti, la amava eseguire prima di Pagliacci, opera che scenografia comprende l’officina di un Mascagni apprezzava moltissimo, pur non gommista, lamiere di «bandone», motoamando, anch’egli, la messa in scena conrini, biciclette, Vespe e, sullo sfondo, temporanea con Cavalleria». quelle grandi locandine, un po’ kitsch, «Quando si parla di Verismo – continua con le facce di clown, come ancor oggi se Gelmetti - occorre usare il massimo rispetto ne vedono in provincia. verso questo concetto, molto spesso usato «Solitamente evito ogni tipo di “attualizzasuperficialmente come sinonimo di eccessizione”- spiega Zeffirelli - tuttavia in quevo e troppo realistico. Il Verismo di Leoncasto caso l’opera di Leoncavallo si prestava, vallo coincide con il momento in cui l’arte perché lo stesso autore voleva rendere «conesprime senza più pudori i sentimenti umatemporaneo» quel mondo pittoresco. Leoncani, svelandoli per quello che sono. Ma ancovallo trasse spunto, peraltro, da una vicenda ra con educazione. Come dichiara Tonio nel realmente accaduta, un caso che giudicò suo Prologo, il compositore intende proporre la padre, magistrato a Cosenza, riguardante verità dei sentimenti, con una musica che una compagnia di attori girovaghi, in cui un ricerca la suprema illusione, l’illusione del marito geloso uccise la moglie e l’amante di vero. Pagliacci è un lavoro straordinarialei. Mentre con Rigoletto non avrei ma potumente accurato, a livello melodico, armonito fare un’operazione del genere, con Pagliacco e dall’orchestrazione raffinata. Un’opera ci sì: giullari gobbi nelle corti europee non ci colta, ricca di significati, che non va diretsono più, mentre si trovano ancora compata in modo solamente duro, ma anche lieve, gnie di teatranti che portano il loro spettacotrasparente. Non mi sono mai spiegato perlo in piccoli paesi». ché compositori e librettisti di altissimo liA proposito di teatri, il Maestro non pervello come Catalani, Boito, Pizzetti, sopratde occasione per gettare un sasso nello tutto Puccini (con il quale Leoncavallo stagno: «Il teatro musicale italiano deve ebbe degli screzi per l’esclusiva sul sogmantenersi da solo, come negli Stati Uniti, con gli sponsor Il G iornale dei G randi Eventi privati. Da noi bisognerebbe Direttore responsabile eliminare tutti gli aiuti pubblici agli enti lirici e detassare Andrea Marini totalmente i biglietti. Lo Stato Direzione Redazione ed Amministrazione dovrebbe limitarsi piuttosto a Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma sovvenzionare - e bene - la fore-mail: [email protected] mazione dei giovani artisti. Ci Editore A. M. sono tanti giovani, ricchi di Stampa Tipografica Renzo Palozzi talento e di idee che hanno deVia Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma) ciso di dedicare la loro vita alRegistrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 l’arte e non riescono a trovare © Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore l’occasione per potersi espriLe fotografie sono realizzate in digitale mere».. con fotocamera Kodak Easyshare V705 Andrea Cionci Prossimi appuntamenti Stagione 2009 - Teatro Costanzi 18 - 23 Giugno LE GRAND MACABRE di György Lieti Stagione estiva - Terme di Caracalla 14 Luglio - 06 Agosto TOSCA di Giacomo Puccini 29 Luglio - 09 Agosto 02 - 09 Ottobre 29 - 06 Novembre CARMEN di Georges Bizet PELLÉAS ET MÉLISANDE di Claude Debussy TANNHÄUSER di Richard Wagner 18 - 31 Dicembre ~~ LA TRAVIATA di Giuseppe Verdi La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi, 19 - 27 maggio 2009 PAGLIACCI Dramma in un prologo e due atti Libretto e musica di Ruggero Leoncavallo Prima rappresentazione: Milano, Teatro dal Verme, 21 maggio 1892 Maestro concertatore e Direttore Mestro del Coro Regia e scene Costumi Nedda (S) Gianluigi Gelmetti Andrea Giorgi Franco Zeffirelli Raimonda Gaetani Personaggi / Interpreti Myrtò Papatanasiu (19, 21, 24, 27) Susanna Branchini (20, 23, 26) / Mina Yamazaki (22) (nella commedia Colombina) Canio (T) (nella commedia Pagliaccio) Tonio (Bar) (nella commedia Taddeo) Peppe (T) (nella commedia Arlecchino) Silvio (Bar) Stuart Neill (19, 21, 23, 24, 26) Renzo Zulian (20, 22, 27) Seng-Hyoun Ko (19, 21, 23, 26) Silvio Zanon (20, 22, 24, 27) Danilo Formaggia (19, 21, 23, 26, 27) Cristiano Olivieri (20, 22, 24) Domenico Balzani (19, 21, 24) Pierluigi Dilengite (20, 23, 26) / Gianpiero Ruggeri (22, 27) ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA Coro di Voci Bianche di Roma dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e del Teatro dell’Opera di Roma Allestimento Opere Scenografiche S.R.L. L’OPERA SARA’ PRECEDUTA DALL’ESECUZIONE DI TRE CELEBRI BRANI SINFONICI DI PIETRO MASCAGNI: L’INNO DEL SOLE DA IRIS, L’OUVERTURE DA LE MASCHERE E L’INTERMEZZO DA CAVALLERIA RUSTICANA. Visitate il nostro sito internet www.giornalegrandieventi.it dove potrete leggere e scaricare i numeri del giornale N Il Pagliacci Giornale dei Grandi Eventi on è solito stravolgere il dettato del libretto Franco Zeffirelli, regista di questo spettacolo, ma per una volta ha voluto attualizzare l’ambientazione portandola in una periferia degradata del Sud Italia degli Anni Sessanta. Come al suo solito un allestimento ricco, sontuoso, pieno di colori e di masse variopinte. Un allestimento questo, creato proprio per l’Opera di Roma nel 1992 e poi rivisitato per il Maggio Musicale Fiorentino dove ha de- buttato nel febbraio scorso. Per queste otto recite torna sul podio del Costanzi – dove l’opera Pagliacci è andata in scena per 9 volte – Gianluigi Gelmetti, che di questo Teatro ne è stato direttore principale fino a 2 anni fa. Pagliacci, che debuttò al Teatro Dal Verme di Milano nel 1892, fu la prima opera di Leoncavallo e gli conferì un immediato grandissimo successo. Un successo che però attirò verso il compositore napoletano molte invi- die da parte di diversi colleghi. Tale opera, piuttosto breve nonostante il prologo ed i due atti, viene di solito presentata abbinata ad un altro lavoro, il più delle volte Cavalleria rusticana di Mascagni. Questa volta, invece, a precedere l’opera saranno tre celebri brani sinfonici sempre di Mascagni: L’Inno del sole (e non “al sole” come comunemente chiamato) dall’Iris (adottato anche come Inno Olimpico), l’Overture da Le Maschere e l’Intermezzo di Cavalleria rusticana. I colorati Pagliacci di Zeffirelli La vicenda, che trae spunto da un reale fatto di cronaca al centro di un processo di cui fu giudice il padre di Leoncavallo, si svolge a Montalto Uffugo in Calabria, il giorno di Mezzagosto, fra il 1865 e il 1870. Preso dalla rabbia per il rifiuto di Nedda, Tonio racconta il segreto della donna al marito Canio, il quale accorre per sorprenderla durante il convegno amoroso. Silvio però riesce a fuggire e Canio, minacciando Nedda, tenta di farle confessare il nome dell'amante. A questo punto interviene il commediante Peppe e ricorda a Canio che la recita sta per cominciare. Canio soffre, ma deve tenere per sé i suoi sentimenti. Questo è il destino dei pagliacci: tramutare il pianto in risate e il dolore in smorfie. La Trama Prologo: il commediante Tonio annuncia la commedia che sta per essere rappresentata ed il credo artistico dell'autore. Spiega che si tratta di un soggetto Verista, il quale racconta degli autentici sentimenti umani che possono nascondersi dietro la finzione scenica. Atto I: Nel paese calabrese, alle tre del pomeriggio. I contadini acclamano festosi l'arrivo di un gruppo di teatranti di girovaghi. Il capo della compagnia Canio, vestito da pagliaccio, invita tutti i contadini e le contadine allo spettacolo che si terrà in serata. Canio sospetta che il commediante Tonio insidi la moglie Nedda e lo avverte che, se nella finzione la scena di una sposa sorpresa in flagrante tradimento può creare una situazione comica, nella realtà una vicenda simile potrebbe concludersi in tragedia. Il discorso è interrotto dall'arrivo degli zampognari. Le donne si avviano verso la chiesa e gli uomini in taverna, lasciando Nedda da sola. La donna non riesce a nascondere il proprio turbamento dopo le parole del marito e canta un'aria in cui celebra la libertà degli uccelli nel cielo. Nel frattempo Tonio si avvicina e le confessa il proprio amore, ma ella lo respinge deridendolo e gli dice di tenere le sue confessioni d'amore per lo spettacolo della sera. Addolorato, il commediante giura di vendicarsi. Entra in scena Silvio, un giovane possidente di campagna della zona, il vero amante di Nedda. La donna gli racconta l'accaduto e Silvio le propone di fuggire con lui la notte stessa: in questo modo potrà affrancarsi dal marito e dalla vita girovaga che non ama. Mentre Nedda cerca di resistere a queste proposte, Tonio ritorna non visto e ascolta le parole di Silvio. Alle continue insistenze del giovane possidente, Nedda si lascia convincere e promette di fuggire con lui durante la notte. Atto II: La sera, durante la rappresentazione della commedia. I contadini e le contadine accorrono per assistere allo spettacolo dei pagliacci, accolti da Tonio, Peppe e Nedda. Fra gli spettatori c'è anche Silvio. Lo spettacolo inizia. Colombina (Nedda), in assenza del marito Pagliaccio (Canio), attende il buffo servo Taddeo (Tonio) che le deve portare la cena. Giunge Arlecchino (Peppe) pronto a dichiararle il suo amore. Arriva quindi anche Taddeo il quale, nonostante le sarcastiche battute di Colombina, le confessa di non riuscire a dimenticarla, ma accortosi della presenza di Arlecchino, se ne va, lasciando soli i due innamorati. Mentre Arlecchino rinnova le sue promesse d'amore e propone a Colombina di avvelenare il marito e quindi fuggire insieme, Taddeo ritorna ed annuncia l'imminente arrivo di Pagliaccio. Arlecchino si dilegua, mentre Pagliaccio entrando in scena ode pronunciare da Colombina le medesime parole che ella - nella realtà - aveva detto poche ore prima a Silvio. In quello spettacolo si ripete, dunque, la stessa scena di gelosia del pomeriggio. Pagliaccio vuole conoscere il nome dell'amante di Colombina. A questo punto finzione e realtà si confondono. Quando la donna risponde che l'uomo che era con lei è Arlecchino, il marito la incalza chiedendole il nome del suo vero amante ed accecato dalla gelosia, la colpisce con un pugnale. Nedda cade invocando Silvio. L'amante accorre al suo fianco, ma Canio uccide anche lui. Poi, rivolgendosi al pubblico, annuncia: «La commedia è finita!». 3 Le Repliche Mercoledì 20 maggio, ore Giovedì 21 maggio, ore Venerdì 22 maggio, ore Sabato 23 maggio, ore Domenica 24 maggio, ore Martedì 26 maggio, ore Mercoledì 27 maggio, ore 20.30 20.30 20.30 18.00 17.00 20.30 20.30 L’editoriale Aspettando Chiarot di Andrea Marini Sembra ormai certa la convergenza tra Ministero dei Beni Culturali e Comune di Roma sul nome di Cristiano Chiarot come nuovo Soprintendente al Teatro dell’Opera di Roma. Sembra, abbiamo detto, perché nei giorni scorsi, al Ministero dei Beni Culturali sull’argomento c’è stata una riunione tra i soci fondatori ed in particolare tra Ministero - rappresentato dall’attivissimo ed estremamente attento ai problemi di Roma Sottosegretario Francesco Giro - Sindaco della Capitale Alemanno e Presidente della Regione Marrazzo. La decisione doveva essere annunciata ufficialmente quel giorno, ma invece a fine giornata le agenzie di stampa tacevano ogni notizia. Pare che l’incontro si sia bloccato su delle resistenze del Presidente della Regione Marrazzo che lasciando la sala avrebbe detto «è solo una riunione interlocutoria». C’è da sperare, per il bene del Teatro, che questa attesa non duri ancora a lungo. Ci sono da preparare le stagioni, da reimpostare – forse anche drasticamente, cercando di salvare e valorizzare le maestranze - la vita di un Teatro. Cristiano Chiarot viene dal Teatro La Fenice di Venezia, una realtà piccola ma forse tra le più vitali del mondo lirico italiano. In quella sede Chiarot si è occupato tra l’altro di Marketing e Comunicazione, proprio quello di cui è gravemente carente l’Opera di Roma. Ma il Soprintendente in pectore è anche uomo allo stesso tempo risoluto e di dialogo. C’è da sperare, dunque, che sia messo nelle condizioni di lavorare al più presto, che non gli siano posti dinnanzi pretestuosi ostacoli. E questo per il bene del Teatro. Pagliacci 4 Il Giornale dei Grandi Eventi Prima di “Pagliacci”, tre brani del compositore livornese «P Mascagni sinfonico per iniziare er me lui fu più di un librettista o di un amico: molto spesso fu anche il consigliere, l’ispiratore, poiché aveva come pochi la visione delle grandi linee sceniche; insomma creava il dramma, non era un semplice riduttore come tanti». Così in vecchiaia Mascagni ricordò l’amico e collaboratore Luigi Illica. Letterato avventuroso e geniale, Illica fu certamente il librettista più aperto e brillante dell’era post-verdiana. Con Mascagni diede vita ad un sodalizio importante che produsse tre titoli assai diversi l’uno dagli altri: Iris (1898), escursione nel simbolismo orientaleggiante, Le maschere (1901) riscoperta della commedia dell’arte, e Isabeau (1911) primo avvicinamento mascagnano al decadentismo che avrebbe poi portato a Parisina con D’Annunzio. Iris e Le maschere sono certamente fra le opere più interessanti di Mascagni, il tentativo (perfettamente riuscito nel primo caso, più discutibile nel secondo) di esplorare nuove potenzialità espressive della drammaturgia musicale. In entrambe si ritrova una pagina sinfonica d’ampio respiro e d’indubbio rilievo. L’Iris e L’inno del Sole In Iris si tratta del celeberrimo “Inno del Sole” Pietro Mascagni e non “Inno al sole” come in genere si dice: è, infatti, il sole a cantare «Son io, sion io la vita». Mascagni costruisce l’avvio dell’opera con estrema eleganza. Parte dalla notte e da suoni cupi sprofondati al grave in orchestra: sonorità soffuse quasi impercettibili. Poi (I primi albori) appare il tema più convinto e scolpito, sia pur sempre con volumi sonori contenuti. I fiori si risvegliano, la tessitura orchestrale sì ampia a toccare gli acuti e poi, finalmente, spunta l’aurora e in un crescendo di tensione dal Programma Musiche di Pietro Mascagni Da Iris: Inno del Sole Da Le maschere: Overture Da Cavalleria rusticana: Intermezzo pianissimo al fortissimo, il tema si espande, coinvolge l’orchestra e infine il coro che entra appunto con l’Inno. Pagina d’effetto che Mascagni riprenderà alla fine ad accompagnare la sventurata Iris verso la morte. Questo brano, per la sua straordinaria forza, bellezza e senso evocativo, è stato adottato anche come Inno Olimpico. maschere) fischiata alla prima assoluta in contemporanea in sei teatri differenti! Con uno sforzo promozionale notevole, infatti, l’editore Sonzogno organizzò il debutto di questo lavoro contemporaneamente la stessa sera: il 17 (!) gennaio 1901 a Genova, Milano, Roma, Torino, Venezia e Verona. In realtà avrebbe dovuto esserci anche Napoli, ma al San Carlo il debutto slittò di qualche giorno per l’improvvisa indisposizione di un cantante. Fu un fiasco generale tanto che Illica inviò a Mascagni uno spiritoso telegramma: «Sei fiaschi rasentano il successo. Consoliamoci». Nonostante il verdetto negativo del pubblico e della critica Le maschere contengono pagine piacevoli, rese dal musicista con mano leggera e gustosa orchestrazione. Spicca la Sinfonia di gusto cimarosiano (era l’epoca in cui si riscopriva Il matrimonio segreto, appunto di Cimarosa), vivace, scorrevole, deliziosa: i due temi principali evidenziano i differenti caratteri del lavoro, il caldo e intenso lirismo (l’amore fra i due giovani innamorati) e il gioco degli inganni; si pensi ad esempio a quelle brillanti terzine ai bassi, simili a tanti sberleffi: «Se tutto lo spartito fosse potuto rimanere all’altezza della Sinfonia – commentò uno dei critici dell’epoca Giorgio Vigolo – avremmo avuto un capolavoro di brio e quasi il Falstaff di Mascagni». Roberto Iovino Le Maschere Nell’affrontare Le maschere, Mascagni si pose l’obbiettivo di rilanciare il teatro comico italiano. Non ci riuscì e del resto se il compositore livornese può vantare il primato di essere diventato un nome di richiamo internazionale in una sola sera con il debutto della sua prima opera (Cavalleria rusticana), vanta purtroppo anche il più triste record di avere avuto un’opera (Le Caricatura di Mascagni e Le Maschere di Augusto Majani alias Nasica Il Giornale dei Grandi Eventi Pagliacci Stuart Neill Canio, Capo della compagnia e marito geloso P Il tenore Stuart Mill interpreterà il ruolo di Canio, Pagliaccio tradito dalla bella moglie Nedda. 5 Susanna Bianchini, Mina Tasca Yamazaki e Myrtò Papatanasiu S Nedda, attrice e moglie fedifraga Il ruolo di Nedda sarà interpretato dai Soprani Susanna Branchini, Mina er le sue esibizioni in tutto il mondo, Stuart Neill si è affermato Yamazaki e Myrtò Papatanasiu come uno dei tenori più importanti del nostro tempo: collabora con il Metropolitan Opera, il Teatro alla Scala, La Fenice, la usanna Branchini si diploma al Conservatorio Morlacchi Vienna Statsoper, il Royal Opera Covent Garden e numerose altre (Perugia) e debutta in Carmen al Teatro Nazionale di Roma istituzioni musicali internazionali. Ha inoltre lavorato con direttori (2002). Si esibisce poi in Turandot e in Madama Butterfly nei d’orchestra di notevole calibro (tra cui Zubin Mehta e Lorin Maazel) più importanti teatri italiani. Nel 2004 è Tosca e ottiene grandi suce con orchestre di grande livello. Il suo debutto è stato al Metropoli- cessi anche all’estero con La forza del destino e Alzira di Giuseppe tan Opera di New York, dove ha interpretato Arturo ne I Puritani. E’ Verdi. E’ poi Mimì ne La Boheme, Desdemona in Otello e Nedda ne stato poi Edgardo in Lucia di Lamermoor all’Opera I Pagliacci, rappresentato anche in Giappone de Paris, ha partecipato all’Oberto di Giuseppe (2007). Molto intensa la sua attività concertistiVerdi alla Royal Covent Garden e all’Aida all’Alte ca, sia per le celebrazioni verdiane, sia per i 140 Opera Frankfurt. Nell’attuale stagione ha interanni dalla morte di Francesco Cilea. Nel 2008 è pretato La Tosca, Don Carlo e Requiem e dopo Caalle Terme di Caracalla, all’Arena di Verona e nio ne I Pagliacci sarà Radames in Aida e insieme al Teatro Massimo di Palermo. In questa staalla Rundfunk Sinfonie Orchester Berlin, interpregione dopo Nedda ne I Pagliacci a Roma sarà terà la IX sinfonia di Beethoven. con lo stesso ruolo a Palermo e parteciperà alRenzo Zulian si esibisce nei principali teatri del l’Opera Festival di Savonlinna in Finlandia. mondo e collabora con le più importanti istituzioMina Tasca Yamazaki debutta al Teatro Giglio ni liriche italiane per le quali interpreta, tra le aldi Lucca come Ciociosan in Madama Butterfly, tre, opere come Il Trovatore, Aida, La forza del destiruolo che riveste in seguito in Italia e all’estero no, La Bohème, Tosca, Madama Butterfly, Manon Le(Salisburgo, Oslo, Cagliari, Roma, Helsinki, scaut, Turandot, Cavalleria rusticana, La Traviata, RiTrieste, Venezia, Palermo, Città del Messico). goletto e Pagliacci. Svolge inoltre attività concertiArtista dotata di una spiccata sensibilità, è parstica, in Italia e all’estero. Si esibisce in vari ruoli ticolarmente portata per l’interpretazione di al Festival Puccini di Torre del Lago, a Parma, a ruoli drammatici: è stata infatti Violetta ne La Napoli, a Trieste, a Siviglia, alla Philadelphia Traviata, Mimì ne La Boheme, Donna Elvira nel Opera Company e allo Staatstheater di Stuttgart. Don Giovanni, Liù nella Tirandot. Ha inoltre Ospite più volte dell’Opera di Vancouver, tra le partecipato a diverse manifestazioni artistiche, sue più recenti interpretazioni vi sono l’Adriana tra cui il Festival Verano di Madrid, il Festival Lecouvreur a Catania, Andrea Chénier a Trieste, I vePuccini di Torre del Lago il Festivalles di Sanspri siciliani all’Opéra di Toulon. Ha inoltre preso Myrtò Papatanasiu e Stuart Neill tander. parte alla produzione dei Vespri siciliani in occaMyrtò Papatanasiu, diplomata al Conservatosione delle Celebrazioni Verdiane e poi pubblicata in DVD. Diverse le rio di Salonicco e musicologa, vince numerosi concorsi e si perfesue tournée in tutto il mondo, che lo vedono cantare anche a Santia- ziona prima al Megaron di Atene e poi all’Opera di Milano. Dego del Cile e in Corea del Sud. Recentemente si è esibito a Torino e a butta all’Opera di Salonicco con Il Combattimento di Tancredi e CloNapoli in Cavalleria rusticana e a Vancouver con Tosca. Tra i suoi pros- rinda ed in seguito interpreta il Fidelio, il Medium e Il matrimonio sesimi impegni, la Norma alla Palm Beach Lyric Opera e Il Trovatore al- greto, che vanno in scena anche all’estero. E’ poi anche Donna Anl’Opera di Atlanta. na nel Don Giovanni, la Missa Solemnis, Petite Messe Solennelle, e partecipa a numerose lavori andati in scena in tutto il mondo. Nel 2007 è Violetta ne La traviata a Roma e nel 2008 è Tosca. Ha poi anSeng – Hyoun Ko e Silvio Zanon che inciso arie e duetti di Rossini, il Turco in Italia e Don Giovanni con l`Opera di Amsterdam e la IX Sinfonia di Beethoven con la Sydney Symphony Orchestra. Tonio, gobbo factotum e vendicativo S Ad alternarsi nel ruolo di Tonio - che nella Commedia interpreta il pagliaccio Taddeo - saranno i baritoni Seng – Hyoun Ko e Silvio Zanon. eng – Hyoun Ko si diploma all’Accademia di Musica di Seoul (1985), prosegue gli studi all’Accademia della Scala e vince numerosi concorsi, per poi debuttare con Le nozze di Figaro a Seoul (1982), dove in seguito si esibirà spesso con un repertorio di opere verdiane e veriste. Dal 1990 il baritono canta spesso in Italia (Festival di Torre del Lago, Festival Verdi di Parma, Teatro Verdi di Padova, Teatro del Maggio musicale Fiorentino) in Europa (Spagna, Francia, Germania, Belgio, Grecia e Svizzera), in Giappone, negli Stati Uniti e in Israele. Vincitore del Festival di Orange nel 2006 e nel 2007, l’artista è attualmente in tournee con I Pagliacci. Seng – Hyoun Ko Silvio Zanon inizia a studiare canto nel 1996. Dotato di una voce dal timbro drammatico e incisivo, molto adatta ai ruoli verdiani e veristi, nel 2000 vince il concorso “Primo Palcoscenico”. Si esibisce poi in numerose città italiane (tra esse la natia Venezia, dove interpreta in prima mondiale il S. Francesco d’Assisi) e su prestigiosi palcoscenici internazionali (Germania, Spagna, Giappone, Slovenia e Grecia). Nel 2002 vince i premi “Ettore Bastianini” e “L.Dordoni”. Molto attento alla cura del personaggio e alla qualità scenica, Zanon si dimostra anche un artista assai duttile, specializzandosi in regia e drammaturgia presso il teatro stabile del Veneto (2006). Reduce dall’interpretazione del Rigoletto a Vicenza, dopo Tonio ne I Pagliacci sarà Scarpia in Tosca a Torre del Lago (luglio – agosto 2009) e in Norvegia (novembre 2009). Pagina a cura C. Di G. - Foto Corrado M. Falsini 6 «V Pagliacci Il Giornale dei Grandi Eventi La Storia dell’Opera Quel Prologo, quasi un manifesto verista oi non potete neppure lontanamente avere un’idea di quel che successe nella sala del Costanzi in quella serata indimenticabile. Dopo la Siciliana il pubblico applaudì, dopo la Preghiera acclamò con entusiasmo, dopo il duetto tra Santuzza e Turiddu diede in manifestazioni di gioia delirante. Alla fine dell’opera gli spettatori parevano letteralmente impazziti». Scriveva così il grande soprano Gemma Bellincioni, prima Santuzza, ricordando il trionfo di Cavalleria rusticana al suo debutto nel maggio 1890. Lo stesso Mascagni aveva scritto al padre due giorno dopo: «Mai mi sarei immaginato un entusiasmo simile». La clamorosa affermazione dell’opera mascagnana ebbe ripercussioni notevoli sull’intero mondo teatrale italiano. Non solo cambiò la vita di Mascagni che si trasformò in una sola sera da un semplice maestruncolo di provincia al compositore più famoso delle nuove generazioni. Indicò la strada anche ai suoi compagni di lavoro, quei musicisti della cosiddetta “Giovine Scuola Italiana” che stavano faticosamente cercando un difficile equilibrio fra tradizione e innovazione. Il primo a capire la portata dell’invenzione mascagnana fu Leoncavallo: «Dopo il successo di Cavalleria – scrisse anni dopo - mi chiusi in casa disperato ma risoluto a Enrico Caruso tentare l’ultima battaglia e in cinque mesi scrissi il poema e la musica di quest’opera...». Il compositore scelse - lo dichiarò egli stesso - una vicenda reale alla quale aveva assistito, un fatto di sangue avvenuto nel 1865 a Montalto di Calabria e giudicato da suo padre, un Il baritono Victor Maurel, primo Tonio magistrato di idee liberali. In realtà di per dirvi come pria: “Le laquel tragico episodio solo grime che noi versiam son alcuni particolari sono false! Degli spasimi e dei noconfluiti nel libretto. Lo stri martir non allarmatespunto arrivò dalla coltel- vi!” No. L’autore ha cercato lata con la quale un gio- invece pingervi uno squarvane del paese aveva uc- cio di vita. Egli ha per masciso per gelosia il dome- sima sol che l’artista è un stico di casa Leoncavallo. uomo e che per gli uomini La cornice festosa gli fu scrivere ei deve. E al vero invece suggerita dalla ispiravasi... Dunque vedrete particolare solennità del amar sì come s’amano gli esferragosto di Montalto seri umani; vedrete de l’odio dedicato alla Madonna i tristi frutti. Del dolor gli della Serra. Fonti lettera- spasimi, urli di rabbia udrerie furono invece La fem- te e risa ciniche». me de Tabarin di Catulle Opera di grande effetto Pagliacci Mendés e Un drama nuevo drammatico, di Estebanez. L’opera, ri- contiene alcune pagine di fiutata da Ricordi, venne grande popolarità. Si acquistata da Sonzogno. pensi naturalmente a “RiUn ottimo affare: Pagliacci di pagliaccio” che, in un e Cavalleria da allora for- procedere melodico teso, mano un dittico perfetto, su uno strumentale scuro, spesso riproposto conte- riassume l’essenza stessa del dramma: il contrasto stualmente. fra l’apparenza doverosamente gaia dell’attore e il Il Prologo suo animo scosso dalla Pagliacci nella sua prima gelosia e dal dolore. L’elestesura era definita nel li- mento di maggior novità bretto “Opera in un atto”. sta nella costruzione Durante le prove, però, drammaturgica dell’opeLeoncavallo pensò (forse ra, una sorta di teatro nel su suggerimento di Mau- teatro, formula assai cara rel) di introdurre il Prolo- al Novecento. Ed è progo, suddividere il lavoro prio questa trovata a renin due parti e inserire l’In- dere la trama avvincente: termezzo orchestrale (e dalla finzione si passa alanche in questo caso si la realtà (anch’essa finziovede l’analogia con Caval- ne!) in un gioco che, come leria). Il Prologo acquistò nella vita, mescola comun’importanza fonda- media e tragedia. Il coro mentale perchè divenne che in scena assiste alla una sorta di manifesto del rappresentazione delle verismo: «Io sono il Prolo- maschere è protagonista e go. Poiché in scena ancor le pubblico insieme e quella antiche maschere mette l’au- rappresentazione passa tore, in parte ei vuol ripren- dal divertimento alla effedere le vecchie usanze e a voi ratezza di un omicidio di nuovo inviami. Ma non senza soluzione di conti- nuità, in un gioco macabro governato da Leoncavallo con indubbia efficacia musicale. Il debutto e la critica Il debutto avvenne il 22 maggio 1892 al Dal Verme di Milano con la direzione di Arturo Toscanini e la interpretazione, nei panni di Tonio, di Victor Maurel che era stato il primo Jago verdiano. Fu un successo sincero di pubblico con qualche riserva da parte della critica e della “intellighentia” di allora. Nel giudicare le opere di quel periodo non c’erano mezze misure. O le si amava o le si odiava con passione. Achille Tedeschi sul Corriere della sera profetizzò, sbagliando clamorosamente: «Successo immediato quanto effimero». Rimski-Korsakov definì il lavoro leoncavalliano “musica illusionista” e Camille Bellaigue affermò di aver provato orrore durante l’ascolto. I Renè Leibowitz, tuttavia, uno degli apostoli della dodecafonia, nella sua Histoire de l’Opera considerò il lavoro degno «di occupare un posto privilegiato tra i capolavori dell’arte lirica». I giudizi della critica non interessavano affatto l’editore cui stavano a cuore solo gli esiti commerciali. E il 2 giugno Sonzogno scriveva con soddisfazione a Guido Menasci, uno dei due librettisti di Cavalleria rusticana: «...Pagliacci sono un vero successo e Leoncavallo, alla dovuta lunga distanza da Pietro [Mascagni] è un compositore facile e che ha il colpo d’occhio teatrale sicuro. Ormai l’omnibus musicale della Scuola Mascagni è al completo...Coi compositori che ho già e coi concorsi triennali io faccio già più di quello che si può fare per determinare il risveglio dell’arte musicale italiana e farle riprendere il primato nel mondo...». Roberto Iovino La polemica con Mendès l tema della gelosia che scatena la tragedia non era insolito al tempo di Leoncavallo. Si pensi a Carmen, Otello, Cavalleria rusticana. Ma l’opera che doveva portare il compositore napoletano alla ribalta somigliava in maniera impressionante a La Femme du tabarin del francese Catulle Mendès (1841-1909), che di recente era stata pubblicata a Parigi. Era questa una novella in dialogo (che l’autore aveva redatto in forma di pièce teatrale in un atto) in cui un delitto d’onore veniva consumato sulle tavole del palcoscenico, tra l’incredulità degli spettatori. La concordanza tra il libretto di Leoncavallo e il testo di Mendès dimostra che il musicista aveva avuto certamente modo di conoscere la pièce. Mendès, venuto a conoscenza del libretto di Leoncavallo, protestò vigorosamente contro il presunto plagio e con una lettera sul “Figaro” del 9 giugno 1899 rivendicò la paternità del soggetto e intentò addirittura una causa. La causa fu poi ritirata (giacché anche La Femme du Tabarin aveva dei precedenti letterari!), ma Leoncavallo volle lo stesso ribattere alle accuse. Rivelò allora di aver tratto ispirazione da un fatto realmente accaduto, un delitto d’onore a cui egli aveva assistito in prima persona durante l’infanzia trascorsa in Calabria. Per rafforzare la sua difesa, il compositore citò come testimone proprio quel D’Alessandro (nell’opera Canio), che aveva commesso il delitto e che, uscito di prigione, era stato assunto a servizio dal barone Sprovieri in Calabria. E. Ca. Il Pagliacci Giornale dei Grandi Eventi 7 Guida musicale Preludio e Prologo, immagini dell’opera L’ spesso con varie trasformazioni melodiche nell’opera. Ad esso segue, quasi simbolicamente, quello della gelosia di Canio, serpeggiante, accennato dai violoncelli. Dopo la ripresa del tema iniziale, il Preludio si lega direttamente al Prologo, introduzione classica del melodramma secentesco che viene volutamente ripreso da Leoncavallo: è un momento di estrema difficoltà vocale che spinge la voce del baritono ad acuti impegnativi, come il la bemolle e il sol naturale. La vocalità verista, infatti, è tutta sfogata tra il registro centrale una valenza fondamentale per quanto riguarda l’enunciazione di alcuni importanti aspetti della poetica verista dell’autore. Tonio, lo scemo, si presenta al pubblico secondo la tradizione della Commedia dell’Arte e, come un allegoria della coscienza dell’artista, spiega le intenzioni del compositore che, ispiratosi a un fatto realmente accaduto, ha cercato di dipingere uno squarcio di vita: “egli ha per massima sol che l’artista è un uom e che per gli uomini scrivere ei deve!”. Con tale affermazione Leoncavallo esprime, anche se in maniera non del tutto ma nel q u a l e ognuno può ritrovare un po’ di se stesso. Dopo un magniloquente “Incominciate!” di Tonio, si apre il siRuggero Leoncavallo pario… Dopo il folgorante successo della prima recita al Teatro Dal Verme di Milano, l’opera fu replicata immediatamente nei grandi teatri lirici stra- e quello acuto con grandi salti di sesta e quarta; è prorompente, fortemente espressiva e sovente all’unisono con l’orchestra. Il Prologo si deve al celebre baritono francese Victor Maurel: famoso più per le sue eccezionali qualità di interprete che per la bellezza della sua voce, suggerì a Leoncavallo di aggiungere questa famosa pagina musicale che, oltre ad essere un importante spazio solistico per il baritono, assume La prima edizione dello spartito Pagliacci ancora cosciente, un cambiamento storico nel rapporto compositore-pubblico, ovvero lo spostamento dell’asse della comunicazione artistica verso l’interlocutore, la rinuncia allo statuto demiurgico dell’artista-creatore, a cui si sostituisce l’assecondamento del gusto dell’ascoltatore. Come scrissero i musicisti della Giovane Scuola verista: “Il miglior giudice di musica è infatti il nostro cuore commosso”. Nella seconda parte del Prologo, che ha la forma tradizionale dell’aria, si manifesta l’aspetto fondamentale dei sentimenti, esposti in tutta la loro umanità, seppure spinti all’estremo. Mentre il musicista compone, le lagrime scendono sul suo viso ed egli è intimamente partecipe del dram- nieri di Vienna, Varsavia, Berlino, ottenendo strepitosi e reiterati successi. All’ammirazione entusiastica del pubblico, per lungo tempo non corrispose, comunque, una benevola considerazione da parte della critica: la stampa specializzata tedesca cercò di ridimensionare la novità rappresentata da Pagliacci sottolineando una presunta diretta filiazione dalla musica del “campione” locale Wagner. Si scrisse che senza Tristano e Isotta o senza i Maestri cantori di Norimberga una simile opera non sarebbe mai stata concepita. Effettivamente, considerando che Leoncavallo era stato il librettista di se stesso e che nell’opera ricorrono ben quattro leitmotive, si può immaginare come il wagnerismo avesse immagine di tutto quello che è la musica dei Pagliacci è racchiusa nel Preludio, perfetto scenario che anticipa i colori accesi del resto dell’opera. Una musica vivace, quasi elettrizzata, sottolinea l’atmosfera gioiosa e rustica di festa paesana, pur senza giocare la carta scontata della melodia popolare. La strumentazione ricca e onnipresente svolge un discorso a immagine di tutta l’opera, accenna tre dei quattro leitmotiv organizzati dall’autore e oppone violentemente la piena orchestra alle risposte acute e trillanti dei flauti e dell’ottavino. La struttura ritmica è impiantata su una tradizionale misura ternaria di 3/8 da cui si discosta per accennare in 2/4 al corno, piano e dolorosamente, lo straziante tema della risata dolorosa del pagliaccio. È il motivo conduttore più fortunato dell’opera, ma Leoncavallo sceglie di non abusarne facendolo ricomparire solo al termine del primo atto, nel celebre arioso “Vesti la giubba”, e alla fine dell’opera dove, con un’esplosione orchestrale in fortissimo (fff), accompagna la frase finale di Tonio “…la commedia è finita!”. Il secondo leitmotiv compare subito dopo: è quello dell’amore adulterino tra Nedda e Silvio, che ricorre lasciato tracce profonde anche in Italia. Il giovane compositore, appena uscito dal Conservatorio di Napoli, si professava un seguace dell’idea wagneriana, pur senza abbandonare le caratteristiche e le antiche tradizioni della musica italiana che ritroviamo ben presenti in tutta la sua produzione. Tuttavia la sua era una musica nuova, che sfuggiva a quel predeterminato controllo dall’alto che il modello wagneriano richiedeva: essa puntava alla sollecitazione dell’emotività immediata del pubblico. Anche la critica francese ebbe parole sprezzanti per questa musica “tumultuosa e vistosa” di cui null’altro sapeva dire se non che i facili effetti drammatici e un lirismo grossolano la destinavano al pubblico piccolo borghese delle grandi città italiane. Tale atteggiamento di sufficienza era nient’altro che un tentativo di arginare la novità proveniente dall’Italia e perdurò fino all’intervento del grande critico e musicista René Leibowitz, il quale per primo prese le difese del Verismo musicale. L’opera italiana stava infatti rialzando la testa dopo l’esaurimento del filone romantico e questo non poteva che preoccupare fortemente i francesi, legati alla produzione naturalistica di autori come Alfred Bruneau e Gustave Charpentier, e i tedeschi, fedeli al genio di Bayreuth. An. Ci. Pagliacci 8 Il Giornale dei Grandi Eventi L’arte del pagliaccio Da “uomo del villaggio” a beniamino di bambini ed adulti C lown, termine inglese, significa uomo del villaggio. È una deformazione di clod, e deriva dal latino colonus: abitatore di colonia, colono, contadino. Per estensione, equivale a villano, impacciato, goffo. È difficile stabilire la sua prima apparizione nel mondo dello spettacolo. Esso non è, infatti, che il grottesco nello spettacolo e pertanto nasce con lo spettacolo. rimprovero: “Procurate che quelli che fan le parti dei buffoni non dican più di quanto è scritto per loro; perché ce n’è di quelli che ridono essi stessi, per indurre una certa quantità di stupidi spettatori a ridere pure, benché frattanto debba prestarsi attenzione a qualche battuta essenziale del dramma”. Come il campo di Enrico V ha il suo soldato “spaccone”; come un carattere eminentemente tragico, quale il Don Giovanni, è affiancato “Concerto in maschera” di Richard Geiger. (Collezione Privata) È una reincarnazione del mimo e del sannio, del personaggio comico della commedia e del giullare. È il diavolo e il vizio della sacra rappresentazione e del mistero. È il prosecutore delle tradizioni delle maschere della commedia dell’arte: zanni (da sannio) e arlecchini. Ma soprattutto rappresenta un elemento naturale, spontaneo, eterno, dello spettacolo. È il servo sciocco spagnolo (el gracioso). È il giullare (jester o fool) del teatro elisabettiano e si confonderà più tardi con Pierrot e Pulcinella. È il comico - già preesistente allo Shakespeare - cui Amleto rivolgerà qualche da Sganarello, nuovo Sancho per nuovo Don Chisciotte; come perfino negli oratori appaiono, talvolta, sulla scena di una cattedrale, le maschere comiche (ricordo il Guglielmo d’Aquitania del Pergolesi), così non v’è forma di spettacolo che, rovesciando l’azione tragica e la tensione drammatica al grottesco, non esiga la presenza del clown. Il Il clown Rhum quale è, più che un personaggio rituale, la materializzazione stessa di una sfaccettatura, di una esigenza naturale e spontanea dell’animo umano: l’elemento che commenta, che irride, che giuoca e che alleggerisce, anche dal di dentro, il dramma. Nelle giostre e tauromachie di Corea, cui accennano anche i sonetti del Belli, intervengono i nani per una parodia della corrida, documentata in stampe “taurine” anche dal Pinelli. Nelle corse dei bàrberi, come quelle del Palio di Siena, appare di tanto in tanto, a sollazzo della folla, il fantino gobbo, o esotico, o lillipuziano, dal nomignolo burlesco, che assume nello spettacolo il ruolo di clown. Nel rodeo troveremo sempre, accanto ai più abili cavalieri, il montatore - impiastrato di fuliggine d’un asino o d’un bufalo che finisce per essere gettato comicamente a terra, dopo aver resistito a una serie di tentativi sempre più violenti per essere disarcionato. Nelle riviste su ghiaccio o acquatiche non aspetteremo molto a vedere apparire il pattinatore o il tuffatore comico, vestiti in maniera ridicola: il tuffatore, poniamo, in un vecchio costume a strisce del principio del secolo. E in tutti questi personaggi, e in molti altri, L'Orchestre du Cirque in una illustrazione di Paris Illustrè del 1883 dove più, dove meno, per quanto differenti siano le sfumature con cui si presentano, è in germe il personaggio del clown. Ma nel circo il clown raggiunge il suo vero posto e si realizza più compiutamente. Staccandosi dalla tragedia e dalla commedia, in cui interviene come una coloritura d’ambiente, come una diversità, diventa autonomo. Non è più il villano importuno delle ecloghe cinquecentesche dei “Rozzi” che interrompe i teneri colloqui delle Ninfe e dei Pastori e ne viene cacciato con insulti e bastonate, né è l’incauto buffone che Amleto tiene a bada. È - finalmente - il meneur du jeu; e soltanto qui l’attributo di clown, uomo rustico, uomo della colonia, diventa soggetto. Non più rincalzo, né condimento; assume, infine, il ruolo di protagonista. Quali sono le caratteristiche del clown? Quali gli elementi della sua arte? Ascoltiamo che cosa richiede Francesco Fratellini, che fra i clowns è stato tra i più grandi, da un vero clown. E ne ricostruiremo le caratteristiche e virtù che si avvicinano, come è facile accorgersi, al tipo stesso del comico dell’arte: “Un pagliaccio non deve solo saper far l’idiota per divertire la gente; deve essere acrobata, danzatore, prestigiatore e cavallerizzo, ciarlatano e un pochino musicista. Il pagliaccio deve conoscere tutte le arti insieme. Ecco che cosa occorre per diventare un clown sul serio, un clown in grande. E questo è niente se l’artista non trova in sé l’ispirazione e quella, caro mio, non c’è nessuno che la possa insegnare”. Confrontiamo il clown “ideale”, ora, con un famoso comico dell’arte, Tiberio Fiorilli detto Scaramuccia, e vediamo in che cosa consiste il suo spettacolo: è saltatore, acrobata, ammaestratore di bestie - si presenta sempre col suo fedele pappagallo - cantante, musicista, versificatore, danzatore, imitatore. Nell’ “entrata” del “Minuetto dell’Asinello” dà fuoco a tutte le polveri del suo repertorio: “L’Asinello innamorato / canta e raglia a tutte l’ore / pare Il Trio Louis Ronx, Geo, Foottit, Madame F Foottit Il Pagliacci Giornale dei Grandi Eventi 9 I Clown che hanno fatto storia L’eterno comico contrasto tra il “Magnifico” e lo “Zanni” A un musico affannato / quando narra il suo valore / e cantando d’amor va - ut re mi fa sol la” (ragli). Dalla osservazione comica, dalla caduta, dal frizzo, dal lazzo, dalla capriola, il clown, come nel “Minuetto dell’Asinello”, è passato all’ “intermezzo”, all’ “entrata”, al “numero”. Prima ha intrattenuto il pubblico tra un esercizio e l’altro del volteggiatore o dell’acrobata, poi ha eseguito lui stesso qualche virtuosità musicale, infine è arrivato a compiere, dapprima da solo, poi accompagnato da altri pagliacci, il suo numero o entrata comica: commedia sintetica, sketch, mimodramma comico. Mario Verdone ffermatosi in Inghilterra, il primo clown è di origine italiana. Si chiama Joe Grimaldi, è vissuto dal 18 dicembre 1779 al 31 maggio 1837. Charles Dickens è il suo biografo. Nipote del saltatore Giovan Battista Nicolini Grimaldi, detto Gamba di Ferro, debuttò come attore nel 1800 in una arlecchinata mostrando un eccezionale estro comico, degno della commedia dell’arte. Era saltatore, danzatore, comico, cantante, parodista ed era famoso anche per le sue “invenzioni”: con frutta e verdura eseguiva un ritratto, con quattro formaggi, una culla e un parafuoco, costruiva una carrozza. Fu considerato di valore pari a quello di Kean. Jean Baptiste Auriol Un posto di primo piano nella storia del clown occupa Jean Baptiste Auriol (1806-1881), ammirato da Théophile Gautier: clownacrobata, entrava in pista su trampoli di quattro metri, ne perdeva uno e continuava a stare in equilibrio, saltellava con l’altro. Saltava su una colonna di sedie rovesciate e vi restava in cima, senza cadere; si appoggiava in equilibrio su una piramide di bottiglie; si fingeva scimmia; saltava soldati con baionetta in spalla, facendo tutta una serie di giuochi, ora audaci, ora lepidi. Era giocoliere, cavallerizzo, funambolo, attore, ercole. Dopo Joe Grimaldi e Auriol, troviamo tra i clown più celebri: James Clement Boswell, parodiatore di Shakespeare, (1826-1859); i Price che crearono il “violino saltatore”, suonato anche nel salto mortale; i mimi acrobati Hanlon Lees, le cui memorie ebbero la prefazione di Théodore de Branville; Billy Hayden, Tony Grice, Medrano detto Boum Boum, la coppia Foottit e Chocolat, e Dario e Bario, Antonet (Umberto Guillaume di Brescia), Beby (Frediani), Rhum, gli Zavatta, Little Walter, i russi Karandash e Popov, i Rivels, Joe Jackson inventore di acrobazie ciclistiche comiche. “I Saltimbanchi” di Pablo Picasso Il “Magnifico” e lo “Zanni” Nella coppia di clowns troviamo il clown bianco e il toni, dai francesi chiamato auguste. Il primo è elegante, infarinato, col berrettino a pan di zucchero, il vestito di un pezzo, pieno di lustrini e di stelle. Il secondo è impacciato, malvestito, senza grazia, con la vo- che tanta fortuna ebbe in Russia, il trio Cavallini e, prima d’essi, i Fratellini: Francesco elegante clown bianco, Paolo, dal frack scomposto, e Alberto, dalle immense scarpe, l’enorme trucco sugli occhi, le lampadine che si accendono sui calli: un Auguste. Beniamini degli scrittori, dei pittori, degli intellettuali di tutto il mondo, ebbero un bibliotecario di eccezione: Tristan Bernard. Raymond Radiguet ha descritto il loro camerino nel Ballo del conte d’Orgel, in una sequenza che si svolge, nel febbraio 1920, al Circo Medrano. Un altro grande clown è lo svizzero Grock (Adrien Wettach; 18801959), figlio di un orologiaio cultore di atletismo e acrobazia. Maestro in ogni specialità della pista, ebbe anche grandi qualità musicali. Fece coppia per sei anni, dal 1907, con Antonet; più tardi ebbe per partner, prima Max van Emden, poi Alfred Schatz. Ma il numero perfezionato con l’andare degli anni e personalissimo, in una esibizione che durava complessivamente più di mezz’ora, era quello mu- ce stonata. Sono il Magnifico e lo Zanni della commedia dell’arte, il parlatore e il compare distratto, quello che picchia con la paletta di gomma, cioè lo schiaffo-bastone, e quello che prende gli schiaffi. Il nome auguste viene da un garzone sciocco, tanto mal vestito da divertire il pubblico, come lo Charlot del film Il Circo che entra nella pista con una pila di piatti e la tiene a lungo in equilibrio finche non finisce per farla cadere. Coppia classica di Magnifico e Zanni possiamo vedere nei due clowns divenuti celebri col cinema: Olivier Hardy e Stan LaureI. “Augusto di serata” è il clown che è presente in pista per l’intero spettacolo, riempie gli intervalli, è sempre attivo creando inconvenienti, parlando al direttore di pista, fingendo di aiutare gli uomini della barriera e in realtà infastidisce, ricevendo colpi e spinte. “Clown Il celebre clown Grock musicale” è quello che sicale, al piano, con la fiesegue numeri musicali ansarmonica, col minuscolo che con bicchieri, campaviolino estratto da una nelli e campanacci, come valigia, con la sedia che nei numeri di Ferdinand gli dava il modo di fare Guillaume (Polidor). salti e cadute bizzarre di grande comicità. Grock ha Clown italiani scritto anche alcuni libri di ricordi. Come Antonet Guillaume, Mario Verdone sono italiani Giacomino, Pagliacci 10 Il Giornale dei Grandi Eventi La deformità come fenomeno da baraccone Ridi Tonio, pagliaccio cattivo, anzi … sogghigna! L o spettatore ha mai riflettuto sul motivo per cui i clown vengono rappresentati con grottesche deformazioni somatiche, come mani o piedi enormi, grandi bocche disegnate, nasoni e orecchie spropositate? La risposta è piuttosto semplice: essi riproducono quelle che erano le autentiche deformità di cui erano affetti gli infelici “fenomeni da baraccone” che, fino ai primi anni del XX se- colo, popolavano i circhi ambulanti e che, successivamente, con l’affermarsi di un maggiore rispetto per i diritti e per la dignità umana, ne furono esclusi, proprio come oggi sta accadendo agli animali, ritenuti umiliati dalla costrizione ad effettuare esercizi assurdi ed innaturali. Pensando alla “Sindrome di Stoccolma”, l’ambigua e paradossale attrazione esercitata dal carnefice sulla sua vittima, si può capire anche la cosiddetta “Sindrome di Barnum”, cioè l’altrettanto ambigua attrazione che noi tutti, chi più chi meno, e soprattutto i soggetti in età molto giovane, proviamo nei confronti di soggetti con caratteristiche somatiche estreme che possono essere di segno negativo (il nano, la donna barbuta, i gemelli siamesi, i soggetti deformi) ma anche di segno positivo (forzuti, giocolieri, acrobati e domatori) in soggetti, cioè, dotati di “poteri” particolari. Il circo è, appunto, la più antica istituzione capace di mettere insieme questi estremi opposti, lo spettacolo che punta direttamente a smascherare il nostro inconscio, mettendo in evidenza ciò che vorremmo essere, allo scopo di suscitare ammirazione ed invidia, ma nello stesso tempo, ciò da cui vogliamo prendere le distanze, suscitando, al contrario, curiosità, stupore e disgusto: il circo, in altre parole, punta ad evocare emozioni di segno opposto e per questo si adatta bene alla disincantata ingenuità dei bambini. Alcune figure affini al pagliaccio sono state reclutate dalla Commedia dell’Arte sotto forma di Maschere, allo scopo di creare personaggi con tratti psicologici specifici, sottolineati dall’esasperazione di talune deformità somatiche o dalle caratteristiche dei costumi che indossano: la doppiezza infida è espressa, così, dalla tuta multicolore di Arlecchino, la presunzione saccente dalla pancia di un Balanzone “pieno di sé”; Dalla Commedia dell’arte al melodramma di fine ‘800, forse il più efficace epigono teatrale del pagliaccio caratterizzato somaticamente è rappresentato dal Tonio-Taddeo di Leoncavallo. La sua gobba, infatti (o la deformità generica, nelle edizioni più recenti dell’opera), si presta alle buffonerie della maschera di Taddeo, ma anche alla dinamica drammaturgica dell’opera. In altre parole, Tonio recita nella parte dello sciocco Taddeo perché brutto, ma per lo stesso motivo diventa cattivo quando Nedda lo respinge. Caratteristiche somatiche comuni, rassicurante elemento dell’aspetto esteriore I pagliacci, in genere, attraggono particolarmente i bambini e, infatti, non a caso , il divertimento del pubblico (anche melomane!) è legato alla sua capacità di regredire parzialmente sul piano psicologico, in modo da apprezzare non solo il trucco che rende ridicoli questi perso- naggi, ma, paradossalmente, anche la paura fittizia indotta dai lazzi e dagli scherzi pesanti che si scambiano tra loro; in altre parole, essi simulano, apparendo deformi ed aggressivi, una diversità estrema sia fisica che psicologica e, dunque, mettono alla prova, soprattutto nei soggetti più giovani, la capacità di attingere ai propri livelli emozionali primari e di confrontarsi con essi. Per questo, molti bambini piangono nel vedere i pagliacci e, per lo stesso motivo, le reazioni del pubblico nei confronti del Tonio di Leoncavallo sono quelle tipicamente riservate al “cattivo” di turno. Questo rimanda al problema del nostro rapporto problematico con il “diverso”, quale che sia la natura di questa diversità: nella notte dei tempi, le difformità somatiche erano certamente fonte di curiosità, ma anche di paura, poiché l’appartenenza ad un gruppo sociale, con tutti i vantaggi che ne derivavano, dipendeva dal fatto di poter essere accettati dal gruppo stesso sulla base di una relativa uniformità dell’aspetto esteriore. Per questo motivo, si sono formati gruppi diversi, spesso contrapposti, e per lo stesso motivo, probabilmente, si sono venute strutturando, nel corso dei secoli quelle “razze” umane che nulla hanno a che vedere con differenziazioni di tipo evolutivo. Ciò non ha impedito a soggetti con caratteristiche somatiche estreme, di rimanere nell’immaginario come oggetti di sentimenti altrettanto estremi : il loro frequente confinamento nei circhi non ha impedito ad alcuni di essi di condurre una vita relativamente dignitosa e, a qualcuno, neppure di diventare famoso come accadde all’Uomo Elefante, John Merrick. Per tornare al pagliaccio, possiamo dire che esso rappresenta la sintesi estrema del processo di simbolizzazione che ha permesso di salvaguardare il significato del personaggio, conferendogli una dignità artistica (vedi l’“IT” di Stephen King) che ne ha saputo sfruttare le contraddizioni, aggiungendo ai vecchi binomi allegria-tristezza e pauraattrazione, quello più recente bontà-cattiveria molto attinente alla figura del pagliaccio Tonio. Egli, infatti, interpretando il personaggio di Taddeo, ne incarna le inclinazioni buffonesche, ma nello stesso tempo, attraverso il suo aspetto deforme, anche quelle subdolamente malvagie espresse contro la bella Nedda che, inorridita dal suo aspetto, lo respinge. E siccome, le deformità sono comunque segno di malattia, esse rappresentano anche il tentativo estremo di giustificare i suoi comportamenti vendicativi: l’ambivalenza del personaggio, infatti, va di pari passo con quella del pubblico che è in grado di accettare la figura di Tonio, solo se indotto ad impietosirsi per lui e per il suo triste destino. Malattia, bruttezza e malvagità si confermano così come i tre pilastri su cui è imperniato lo spirito romantico che ha appassionato generazioni di melomani. Giuseppe Magnarapa Neuropsichiatra e scrittore Il Pagliacci Giornale dei Grandi Eventi 11 L’ambientazione del libretto di “Pagliacci” Da un ricordo d’infanzia la chiave della storia D Consilina, Eboli, Napoli, Potenza, Arezzo, Cava dei Tirreni e Montalto Uffugo, dove Ruggero giunse con la famiglia nel 1862, all’età di soli cinque anni, e dove rimase fino al 1868. Domiciliato al primo piano di un’antica casa di proprietà degli Alimena, ai piedi della torre del campanone, al rione Castello, visse qui gli anni più belli della sua fanciullezza. Nella piccola cittadina calabra, che all’epoca contava poco più di 5.000 anime, Ruggero frequentò col fratello maggiore Leone la Scuola Pia di grammatica, sotto la direzione del sacerdote Giuseppe Rossi. Fu un soggiorno breve quello del piccolo Ruggero a Montalto, ma essenziale per la sua futura attività di compositore e librettista. L’esperienza di vita a Montalto, paese della sua infanzia, dell’allegria, della spensieratezza, dei primi studi musicali, e l’importanza che anni più tardi avrà per Leoncavallo, è ampiamente descritta dallo stesso compositore nella sua pseudo-autobiografia, dal titolo Appunti vari delle autobiografici [sic] di R. Leoncavallo, conservata nel Fondo Ruggero Leoncavallo presso la Biblioteca Cantonale di Locarno: “I miei ricordi cominciano ad avere invece un nesso, in rapporto di continuità da quando mio padre fu traslocato a Montalto Uffugo, in provincia di Cosenza. […] Montalto è però il paese della mia infanzia, delle mie birichinate e dei primi studi. Si è visto come io nascessi in un ambiente in cui l’arte era una parte essenziale della mia vita. Mio padre stesso era appassionato di musica e più d’una volta la sua voce squillante sonora echeggiò sotto le volte della piccola chiesa calabrese in occasione della festa della Madonna di Mezz’agosto, La famiglia Leoncavallo: il padre Vincendurante la messa da un zo, la madre Virginia D’Auria ed i primi palco costruito apposta due figli: Leone e Ruggero ue sono essenzialmente i motivi per cui il compositore napoletano Ruggero Leoncavallo, illustre esponente della Giovane Scuola italiana con Puccini, Mascagni e Giordano, che professò ideali di rinnovamento dell’opera lirica in senso verista, sin dall’età di cinque anni e fino alla fine dei suoi giorni rimarrà legato a doppio filo a Montalto Uffugo, cittadina calabrese in provincia di Cosenza, ricca di storia e tradizioni e patria di personaggi insigni nell’ambito della cultura, che deriva il suo nome da mons altus, per l’ubicazione elevata da cui domina la valle del fiume Crati. Innanzitutto a Montalto Leoncavallo ha vissuto dal 1862 al 1868 i momenti più belli della sua infanzia; in secondo luogo, pur essendo trascorsi molti anni dal suo soggiorno in Calabria, il compositore recuperò da quei ricordi ormai lontani una vicenda di sangue realmente accaduta nel paesino calabrese, che farà da canovaccio alla trama del libretto di Pagliacci, il suo massimo capolavoro. La famiglia Leoncavallo - la moglie Virginia d’Auria ed i figli Leone, Ruggero e Gastone - seguì per lungo tempo il padre Vincenzo, magistrato di origine pugliese nei trasferimenti di lavoro in diverse sedi del centro-sud dell’Italia: Sala pei cantori […] La nostra vita a Montalto scorreva lieta e facile, tra balli, mascherate, ricevimenti in casa delle migliori famiglie del luogo […], le scampagnate o le gite ai bagni di mare a Paola, che erano un vero viaggio di parecchie ore, e le gite a Cosenza, il capoluogo, che la prima volta mi stordì quasi fosse un’immensa popolosa città”. Molti anni più tardi Leoncavallo volle che Pagliacci venisse rappresentata anche all’Opéra di Parigi, perché riteneva importante proporre sul rinomato palcoscenico francese la ricostruzione della sua diletta Montalto, ispirandosi e attenendosi il più possibile agli splendidi e indelebili ricordi di quand’era fan- “I Montalto Uffugo. Chiesa della Madonna della Serra ciullo, a quelle impressioni, a quel mondo fatto di sogni e di speranze che ormai era trascorso, ma che lui desiderava tanto recuperare. Il 17 dicembre 1902 il successo fu clamoroso, tanto che l’11 gennaio 1903 il Consiglio Comunale di Montalto gli conferì la cittadinanza onoraria. Fu poi particolarmente vicino a Montalto quando nel 1905 un terremoto portò nel paese distruzione e morte e, sempre per amore della ‘sua’ terra, nel 1913 pensò addirittura di candidarsi come deputato alle elezioni politiche nel collegio di Cosenza. Montalto ricambiò sempre tanto attaccamento, dedicandogli una via, un bar, una filarmonica, una sala cinematografica e, nel corso degli anni, diverse manifestazioni per commemorare l’illustre cittadino. Paola Palermo Montalto Uffugo nell’Opera sinistro, e l’altro nel ventre da’ fratelli Luigi e l teatro e la vita non son la stessa coGiovanni D’Alessandro fu Domenico suoi sa”, recita Canio nel primo atto dei compaesani che quivi eransi postati. La si disanguinosi Pagliacci, ma sarà proceva che i d’Alessandro si erano determinati a prio Leoncavallo, autore del libretto e ciò per questioni precedentemente avuto collo della musica di questo capolavoro veriScavello a causa di gelosie donnesche. Per le sta, che si ispirerà proprio a quel suggequali ferite la sera del sei suddetto mese a cirstivo “nido di memorie” della sua gioca le ore due della notte lo Scavello finiva di ventù, quando con la famiglia risiedeva a vivere”. Montalto Uffugo, trasponendo nella finzione scenica un fatto di sangue realmenLa grandezza dell’opera Pagliacci sta prote accaduto a Montalto il 5 prio nella capacità di aver Marzo 1865. Il processo petrasposto sul palcoscenico nale che seguì al fattaccio con efficacia situazioni e di cronaca nera fu presiepersonaggi di quell’episoduto dal padre di Leoncadio reale così cruento, favallo, Vincenzo, all’epoca cendo nel contempo rivimagistrato presso la Giudivere la Montalto nel clima catura Mandamentale di della festa di ferragosto, Montalto, e fu a carico dei che si svolge tra l’1 e il 15 fratelli Giovanni e Luigi agosto per onorare la VerD’Alessandro, accusati di gine Santissima della Seromicidio premeditato e agra, patrona del paese. guato ai danni di Gaetano Nel libretto, infatti, sono riScavello, domestico di casa presi elementi del paese e Leoncavallo. Come si legge della festa patronale, quali dagli atti processuali coni costumi locali “con le vanUffugo. L’atrio dove avservati nell’Archivio di Sta- Montalto tere, i tummarini e i caratterivenne il delitto, demolito nel 1962 to di Cosenza, il movente stici cappelli a cirvuni”, la fedi tale assassinio fu dovuto a “gelosie donde del popolo che in abito da festa si reca nel Tempio della Serra, le danze zingarenesche riguardanti una donna che non merische, gli spettacoli dei saltimbanchi, gli tava riguardi”: strumenti musicali tipici di quelle terre “La sera del 5 spirante mese a circa le ore 4 come la zampogna, l’uso di terminologie della notte il nominato Gaetano Scavello di frequenti nel gergo dialettale quali ‘comaCarmine di questo Comune, mentre usciva da re’ e ‘compare’, oltre che la messa a fuoco questo Teatro, che è sito nel fondo dell’atrio di di sentimenti e affetti propri della gente questo locale di S. Domenico, per giungere nel del Sud, come la gelosia, la focosità, la quale debbonsi percorrere due lati dell’atrio passionalità, la virilità e l’onore. medesimo, e giunto a piè della detta scala interna ricevé due colpi di stili uno nel braccio P. Pal. 12 Pagliacci «I La maschera portata nella commedia di “Pagliacci” da Peppe Il Giornale dei Grandi Eventi Arlecchino, demone o simpatica canaglia? l tenero fido arlecchin», così Leoncavallo descrive il carattere della maschera indossata dal commediante Peppe (secondo tenore), forse l’unico dei commedianti dall’indole mite e buona, in qualche modo sovrapponibile al ruolo ricoperto sul palchetto del teatro itinerante. Peppe è, infatti, il personaggio che, all’interno della vicenda di sangue, cerca di far rinsavire il capocomico Canio dal vibrare il colpo sull’amante, prima che lo «spettacolo nello spettacolo» abbia inizio. Sulle origini della maschera di Arlecchino, conosciuta in tutto il mondo, si è molto disquisito; com’è noto essa è frutto dell’innesto dello Zanni bergamasco con personaggi diabolici farseschi della tradizione popolare francese. La sua carriera teatrale nasce nel ‘500, impersonato dall’attore Alberto Naselli, conosciuto anche come Zan Ganassa; successivamente è il mantovano Tristano Martinelli che modifica il personaggio, adattandolo ai gusti del pubblico parigino e donandogli una nuova parlata: una sorta di miscuglio tra veneto, emiliano e lombardo, con parole straniere imparate lungo la strada. L’origine più antica del personaggio è legata alla ritualità agricola; nel XII secolo questo personaggio era una figura affine a quella di un demone ctonio (divinità sotterranea legata alle attività vulcaniche e sismiche della terra). Nella sua Historia Ecclesiastica, Orderico Vitale racconta dell’apparizione di una familia Herlechini, un corteo di anime morte guidato da un demone/gigante. Ritroviamo la figura di Hellequin nel charivari, un antico rituale di pubblica condanna e derisione delle seconde nozze dei vedovi nel corso del XVI secolo. Questo era caratterizzato da grida, gesti osceni, frastuono e travestimenti ed era praticato soprattutto nell’Europa Centrale e in Inghilterra, nel Medioevo. Si trattava probabilmente di un modo per esorcizzare la paura del soprannaturale; l’avvento del Cristianesimo non era riuscito a sradicare queste manifestazioni di carattere pagano, che, soprattutto nelle campagne, esercitavano ancora fascino e timore. Nella tradizione popolare francese del Due-Trecento troviamo un diavolo chiassoso e scurrile, gran inventore di beffe e truffe: è l’Alichino dantesco (21° canto, 118) il quale, con altri chiassosi diavoli, fa parte della scorta, non richiesta, che viene assegnata ai due poeti pellegrini nell’Inferno, nel passaggio per la bolgia dei barattieri. Nel corso del Seicento, la maschera assume i connotati di una scimmia antropomorfica dal ghigno malefico, con sopracciglia vistose e un gran bernoccolo sulla fronte, mentre, nel libro Composition de Réthorique, di Tristano Martinelli, si trova un incisione che rappresenta forse il primo Arlecchino o il primo attore che impose una forte presenza Pablo Picasso - Arlecchino seduto scenica al personaggio, indossa la tunica larga e bianca, con alcune pezze colorate sparse. A partire dalle incisioni della Raccolta Fossard, precedenti a Martinelli, Arlecchino appare invece con una specie di calzamaglia; da questo alcuni deducono che discenda direttamente dai giocolieri di strada che, notoriamente, avevano un costume attillato. Tristano Martinelli e gli altri grandi Arlecchini Come detto, Tristano Martinelli fu uno dei primissimi attori a vestire i panni di Arlecchino; avuta l’occasione di girare per l’Europa con la Compagnia degli Accesi, riuscì presto ad imporsi grazie alle sue capacità mimiche e fu particolarmente apprezzato alla Corte di Francia, dove ricevette il plauso della coppia reale e dei cortigiani. Re Enrico III era letteralmente innamorato di questo Arlecchino e invitava spesso a corte il Martinelli per goderne le gesta, coprendolo di doni. Di tale simpatia approfittava l’attore, che si permetteva di attaccare con sfottò satirici piuttosto pesanti uomini politici, aristocratici e prelati, sicuro di passare immancabilmente impunito. Essendo un servo, il personaggio di Arlecchino aveva il pregio di poter essere liberamente interpretato rispetto ad altri ruoli; sebbene la mimica fosse più importante della parola, non mancava un canovaccio, composto da battute improvvise, imbrogli e burle a spese dei padroni avidi e taccagni. Quando non sa come cavarsi d’impaccio o liberarsi da un guaio, Arlecchino diventa un abile maestro nel far funzionare le gambe: fa capriole, piroette e salti acrobatici. Il Duca di Mantova, protettore della Compagnia degli accesi nominò presto nuovo capocomico il buon Martinelli, che interpretò Arlecchino fino alla morte, avvenuta nel 1630. Altri Arlecchini famosi calcarono le scene nel corso dei secoli, artisti come Dominique Biancolelli, con la troupe della Comé- Ferruccio Soleri, ultimo Arlecchino die italienne, riscosse grande successo in Francia, ammirato per le doti acrobatiche che lo contraddistinguevano. Biancolelli fu il favorito di Luigi XIV, fino alla morte, avvenuta nel 1688. Carlo Goldoni, considerato uno dei padri della commedia italiana, diede lustro alla maschera scrivendo tanti capolavori per il suo personaggio, interpretato spesso dall’attore Antonio Sacco. Una di esse è Arlecchino Servitore di due padroni, e presenta un Arlecchino birichino e grazioso, spogliato completamente dei suoi significati originari e popolari. Goldoni lo privò di tutto quello che definiva volgarità, indecenza, inverosimiglianza della commedia all’improvviso, ma che originariamente ed in essenza rappresentava l’atteggiamento popolare. La riforma goldoniana produsse il lento declino delle maschere in scena fino alla loro pressoché totale scomparsa. La maschera si è tramandata fino ai nostri giorni, grazie agli attori Marcello Moretti (1919-1961) e Ferruccio Soleri, (1929), il quale, per oltre 25 anni ha interpretato un apprezzato ed ineguagliabile Arlecchino. Livio Magnarapa Il Pagliacci Giornale dei Grandi Eventi 13 I lavori di Leoncavallo La “maledizione” di Pagliacci, opera di troppo successo S trano destino, quello di Ruggero Leoncavallo. Musicista di solido mestiere, letterato formatosi alla scuola di Carducci, artista sensibile e patriota fervente che non esitò a stracciare le lettere del Kaiser e restituire le onorificenze ricevute nelle sue tournée in Germania quando scoppiò la prima guerra mondiale. Eppure il giudizio dei suoi contem- poranei, dai critici agli stessi colleghi fu sempre severo nei suoi confronti. Con punte di sarcasmo e di acidità persino eccessive. Per Puccini e Mascagni, Leoncavallo era “bisbestia”: «Bestia il primero, Leon, bestia il secondo, cavallo, bestia l’intero, Leoncavallo». E alla sua morte, nell’agosto 1919, D’Annunzio che sapeva essere pungente e velenoso quanto sensuale e aulico commentò: «E’ un eccellente finale di quel copioso fabbro di melodrammi e di operette che aveva congiunti nel suo nome i nomi di due bestie nobili e morì soffocato dall’adipe melodico». Eppure Leoncavallo ricoprì un ruolo non indifferente nella cultura musicale del suo tempo, contribuendo non solo alla fortu- na del teatro musicale “serio”, ma anche al rilancio dell’operetta che da noi era sempre stata trattata con sufficienza, quasi fosse avanspettacolo, forse per la presenza di una solida tradizione di opera comica. E Pagliacci non fu opera casuale ma, al di là dei gusti personali, rappresenta uno dei lavori più rilevanti in campo teatrale del repertorio di fine Ottocento. Formatosi al Conservatorio di Napoli, Leoncavallo frequentò anche la facoltà di lettere a Bologna, attratto dalla figura di Carducci. Non completò il corso di laurea, ma conobbe Pascoli e si avvicinò al teatro wagneriano che aveva in Bologna il suo centro italiano di propulsione. Tramontato il sogno di mettere in scena un proprio spettacolo, Leoncavallo lasciò Bologna e iniziò una vita errabonda che lo portò dal Cairo a Parigi in cerca di fortuna. Pagliacci non fu - come nel caso di Mascagni - la prima opera effettivamente scritta: altre giacevano chiuse nel cassetto in attesa di una rappresentazione. Schiacciato dal successo di Pagliacci Il trionfo dei Pagliacci spianò però la strada ad altri titoli. Ma, come Cavalleria rusticana per Mascagni, costituì una sorta di maledizione. Anche per Leoncavallo bissare il primo trionfo fu impresa impossibile. Non solo. L’etichetta di “compositore verista” se la trovò cucita addosso senza neanche rendersene conto. Lui che con Chatterton e con I Medici sembrava più orientato verso il ripristino tardoromantico del dramma lirico a sfondo storico. I Medici, prima parte di una trilogia italiana mai completata, nel 1893 sortirono un clamoroso fiasco. Né meglio le cose andarono quando il povero Leoncavallo si trovò costretto a competere con Puccini. Tutti e due, si scoprì, stavano musicando Bohéme da Murger. Puccini la mise in scena nel 1896, Leoncavallo qualche mese dopo e, naturalmente, perse nel confronto. Tuttavia, lasciando da parte la deliziosa opera pucciniana, la Bohéme di Leoncavallo contiene pagine di estrema gradevolezza e coglie forse più che la partitura del concorrente, lo spirito autentico dell’originale romanzo francese. Nel 1900 le quotazioni di Leoncavallo tornarono a salire grazie al successo di Zazà, rappresentata al teatro Lirico di Milano. L’opera è una rivisitazione di quel mondo del cafè-chantant che Leoncavallo aveva frequentato nel suo soggiorno parigino. Interpretata da grandi artiste, Zazà fu conosciuta in breve tempo in tutto il mondo. Leoncavallo usò mano leggera, abbozzò efficaci scene d’ambiente, trovò alcune melodie felici. Nel 1904 Leoncavallo si trasferì a Brissago sulla sponda svizzera del Lago Maggiore. Lì avrebbe in seguito registrato con Enrico Caruso la celebre romanza Mattinata (“L’aurora di bianco vestita”) che è tuttora fra le sue melodie più popolari. Mattinata ci introduce nel repertorio più “leggero” trattato da Leoncavallo. Non solo le liriche da camera ma anche l’operetta che in Italia era sempre stata a un livello alquanto basso (se la si confronta con i capolavori francesi di Offenbach o viennesi di Strauss e Lehár) e che proprio i musicisti della Giovi- ne Scuola cercarono di risollevare. Leoncavallo profuse particolare impegno, ottenendo un buon successo con La reginetta delle rose (1912, su testo di Forzano). Allo scoppio della guerra, Leoncavallo fu fra i più appassionati sostenitori dell’interventismo. L’8 giugno 1915 scrisse ad Illica una bella lettera in cui gli esprimeva la sua ammirazione per la decisione di partire volontario per il fronte a 58 anni: «Lascia che ti abbracci e che ti esprima la mia invidia per non poter fare altrettanto». Nel 1916 al Carlo Felice di Genova Leoncavallo propose Goffredo Mameli. Di questo lavoro, che ebbe scarsissima fortuna, è testimonianza una recensione firmata Vittorio Guerriero ma scritta dal giovanissimo Eugenio Montale. Lo stesso poeta ha ricordato, anni dopo, quell’episodio: «...incontrai una sera Vittorio Guerriero che, poi, dopo, fu noto come autore di romanzi... era critico musicale di un giornale; mi diceva: «io non mi intendo affatto di opere, non so perchè mi abbiano fatto critico musicale. Tu devi scrivere un articolo su quest’opera». «Ma io non l’ho mai sentita...». Insomma, scrissi l’articolo senza aver mai sentito questo Mameli; l’articolo fu pubblicato e poi dopo conobbi Leoncavallo il quale dichiarò che mai, nessun critico, lo aveva compreso così profondamente...». Alla sua morte, sul tavolo di lavoro c’era un Edipo Re su libretto in un atto di Forzano che portato a termine da Giovanni Pennacchio con preesistenti musiche leoncavalliane, andò in scena postumo nel 1920 a Chicago. Roberto Iovino Pagliacci 14 Q I commenti della stampa dopo il debutto del febbraio scorso a Firenze «Un allestimento di Zeffirelli che colpisce ed affascina» uesto allestimento scenografico de I Pagliacci firmato da Franco Zeffirelli, ha debuttato al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino dal 14 al 19 febbraio scorso, rivelandosi per spettatori e critici una gradita sorpresa. La scena, in precedenza ambientata nella piazza di un paesino calabrese dell’Ottocento, è ora trasportata in un cantiere degli anni Cinquanta e Sessanta, tra operai, biciclette, lambrette e discariche a cielo aperto. Le opinioni su questa nuova interpretazione del lavoro di Leoncavallo, basato su un fatto di cronaca vera, sono state per lo più positive. Se, infatti, La Repubblica (15/02/2009) descrive l’allestimento come «sfarzoso e traboccante di personaggi», senza spazi vuoti sulla scena, il Corriere fiorentino parla di uno spettacolo «di grande impatto visivo, ricco, sontuoso e coloratissimo, con grande cura nella definizione dello spazio scenico» e con una «vistosa caratterizzazione dei personaggi» (17/02/2009). Anche Libero (18/02/2009) ha parole di apprezzamento per il lavoro di Zeffirelli, D affermando che «muovere le masse è una delle cose più difficili da realizzare sul palcoscenico» e «nel movimento incessante c’è la firma del grande regista». Anche la recensione del sito teatro.org (17/02/2009) è essenzialmente favorevole: nell’articolo pubblicato, che sottolinea il buon successo di pubblico, si legge, infatti, che lo spettacolo è «molto curato nell’aspetto esteriore e con un sicuro dominio del movimento scenico dei singoli e delle masse, con una scena talmente bella che il verismo diventa kolossal», anche se «dando tanto rilievo alla cornice compromette la violenza della scena finale che perde in pregnanza drammatica». Meno entusiasti le valutazioni espresse da L’Unità (18/02/2009) e da Il Nuovo Corriere (16/02/2009), che parlano rispettivamente di «successo buono ma non esaltante» e di «opera barocca ma apprezzata», con un allestimento che «in un’opera ridondante come Pagliacci appesantisce la scena già di per sé sovraccarica di passioni e tragedia». Cristina Di Giorgi Pagliacci all'Opera di Roma Costanzi - Caracalla 9 a 9 opo quasi due anni dall'esordio milanese, Pagliacci giunse al Teatro Costanzi il 18 gennaio 1894. Direttore fu Gaetano Cimini. Fra gli interpreti Carlo Lanfredi (Canio), Lina Pasini Vitale (Nedda) e Vittorio Brombara (Tonio). Pochi anni dopo (il 19 ottobre 1914) una speciale serata fu organizzata per i rimpatriati dalle terre occupate. Per l'occasione giunsero a Roma Arturo Toscanini e cantanti d'eccezione come Enrico Caruso (uno dei massimi interpreti del ruolo di Canio), Lucrezia Bori e Giuseppe De Luca. L'edizione successiva fu nel maggio 1922 con le scene di Cesare Ferri e Ettore Polidori. Sul podio Giulio Falconi per dirigere Fortunato De Angelis, Hina Spani e Benvenuto Franci. Dovettero passare quindi vent'anni e fu la volta di Tullio Serafin che il 4 aprile del 1942 guidò Iris Adami Corradetti, Tito Gobbi ed il tenore Beniamino Gigli al suo esordio nel ruolo di Canio. La regia era di Marcello Govoni e le scene di Camillo Parravicini, il quale tornò a Roma anche il 16 gennaio del 1958 per uno spettacolo diretto da Oliviero De Fabritiis, con la regia di Carlo Acli Azzolini e le voci di Mario Del Monaco, Nora De Rosa e di nuovo Tito Gobbi. Mentre alle Terme di Caracalla le rappresentazioni estive di Pagliacci continuavano con sorprendente regolarità (si contano ben 7 edizioni fra il 1945 ed il 1960, più una nel 1939), per riascoltare l'opera al Costanzi bisognò aspettare quasi 35 anni, fino al Centenario della prima rappresentazione. Il 2 maggio 1992 i Pagliacci tornano con la dire- zione di Daniel Oren, la regia ed il famoso allestimento ambientato a Napoli firmato da Franco Zeffirelli. Fra i protagonisti c'erano Leo Nucci, oltre a Giuseppe Giacomini, Cecilia Gasdia e Lorenzo Saccomani. Ancora Zeffirelli regista nel giugno del 1994. Direttore Angelo Campori. Interpreti Giuseppe Giacomini e Nicola Martinucci (Canio), Cecilia Gasdia e Carmela Apollonio (Nedda), Paolo Gavanelli (Tonio), Claudio Otelli (Peppe) e Orfeo Zanetti (Silvio). L'ultima rappresentazione all'Opera di Roma, in un Costanzi appena dotato di un sistema di aria condizionata, per la stagione estiva 2002. Dal 24 luglio al 3 agosto in scena l’allestimento del Teatro Comunale di Bologna e del Teatro Massimo Bellini di Catania con la regia di Liliana Cavani ripresa da Giovanna Maresta ambientato nella periferia romana degli anni ’50. Direttore Pier Giorgio Morandi. Interpreti Svetla Vassileva, Angeles Blancas Gulin, Simona Baldolini (Nedda), Nicola Martinucci, Alberto Cupido e Josè Cura (Canio), Luo Nucci e Alberto Mastromarino (Tonio). L’ultima rappresentazione di Pagliacci è stata nel 2007 alle Terme di Caracalla (dall’8 al 14 agosto con 5 recite), abbinata al balletto Romeo e Giulietta di Sergej Prokof’ev. La sobria regia di entrambe i titoli fu curata da Beppe Menegatti. A dirigere, l’allora 39enne giapponese Hirofumi Yoshida. Nei ruoli principali la bella Maria Carola (Nedda), Vincenzo la Scola (Canio), Carlo Guelfi (Tonio), Francesco Piccoli (Peppe). Mic. Mar. Il Giornale dei Grandi Eventi Il compositore e librettista L Ruggero Leoncavallo a professione paterna di magistrato portava la famiglia Leoncavallo a spostarsi di frequente. Così Ruggero nacque a Napoli nel 1857. Qualche anno dopo, il padre Vincenzo fu trasferito in Calabria e nel 1865 a Montalto Uffugo (attuale provincia di Cosenza) giudicò quel fatto di sangue ispirato dalla gelosia che a quasi trent’anni di distanza si trasformò nel soggetto dell’opera più celebre di Ruggero Leoncavallo: Pagliacci. Tornato a Napoli nel 1866 Ruggero, seguendo una passione che era anche dei genitori, entrò al Conservatorio di San Pietro a Majella, dove si diplomò nel 1874. Contemporaneamente s’iscrisse all’Università di Bologna, dove seguì le lezioni di Giosuè Carducci. Negli stessi anni portò a compimento la partitura dell’opera storica Chatterton, d’ispirazione wagneriana, che però fu rappresentata solo nel 1896 (al Nazionale di Roma), quando Leoncavallo si era già guadagnato la notorietà. Finiti gli studi, il compositore trascorse un breve periodo in Egitto su invito di uno zio e tentò la fortuna come pianista e direttore di banda, ma fu costretto alla fuga nel 1882 quando il governo inglese, preoccupato per le sorti della gestione del Canale di Suez, intervenne militarmente in Egitto. Si trasferì allora a Parigi, dove inizialmente condusse una vita bohémienne suonando nei Café-concert, fra cui l’Eldorado. In breve tempo, grazie ad un rapido successo e all’amicizia col baritono Victor Maurel, entrò in contatto con gli ambienti d’opera e con l’editore italiano Ricordi. Nel 1888 i rapporti italo-francesi s’inasprirono per il rafforzamento della Triplice Alleanza voluta da Crispi e Leoncavallo dovette rimpatriare. Stabilitosi a Milano, iniziò un’intensa collaborazione con Casa Ricordi come traduttore e librettista e lavorò alla composizione di una trilogia, il Crepusculum, che nelle sue intenzioni doveva comprendere “I Medici”, “Savonarola” e “Cesare Borgia”, ma di cui riuscì effettivamente a comporre solo I Medici, che andò in scena solo nel 1893 senza troppo successo. Nel frattempo il compositore iniziò la stesura di un nuovo lavoro, Pagliacci, messo a punto in soli cinque mesi. Ricordi rifiutò l’opera che venne offerta all’editore Sonzogno, già titolare dei diritti su Cavalleria rusticana di Mascagni. La “prima” al Teatro Dal Verme di Milano, il 21 maggio 1892, fu un successo e il nome del compositore si diffuse anche all’estero. Nacque in quegli stessi anni anche la famosa disputa tra Leoncavallo e Puccini per la proprietà morale del soggetto “Scènes de la vie Bohème” di Henry Murger a cui entrambi stavano lavorando. Nel 1900 il compositore ritrovò il consenso del pubblico presentando al Teatro Lirico di Milano Zazà sempre su proprio libretto. Fu un momento attivo e ricco di progetti. Dopo la composizione di Majà, che andò in scena per la prima volta al Teatro Costanzi a Roma nel 1910, Leoncavallo dimostrò un crescente interesse per l’operetta. Ne produsse ben sette tra il 1910 e il 1919, senza però abbandonare l’opera a cui tornò nel 1916 con Goffredo Mameli, lavoro patriottico a sostegno dell’interventismo nella Prima Guerra Mondiale. Gli ultimi due anni della sua vita li passò dedicandosi ad opere di minore rilievo o addirittura mai rappresentate. Morì il 9 agosto 1919 a Montecatini Terme, mentre lavorava al libretto di Tormenta, ispirato ad un fatto di cronaca nera sarda. Ludovica Sanfelice Il Pagliacci Giornale dei Grandi Eventi A 15 Dedicato ad uno dei compositori protagonisti del ‘900 Inaugurato a Roma l’Archivio Scelsi poco più di vent’anni dalla morte di Giacinto Scelsi, compositore, poeta e artista che ha vissuto appieno le temperie artistiche del XX secolo, la Fondazione Isabella Scelsi – che porta il nome della amata sorella di Giacinto - ha aperto al pubblico dopo anni di riordino e catalogazione, il suo Archivio Storico. Preziosa raccolta di oltre 16.000 documenti di natura cartacea e sonora in gran parte inediti, l’Archivio ha sede presso la Fondazione in via S. Teodoro 8, nel cuore di Roma al Palatino, dove Scelsi visse gli ultimi anni della sua vita, e costituisce il principale strumento per l’effettiva conoscenza della musica e della vita di uno dei grandi protagonisti del Novecento musicale: si potranno così sfogliare le partiture di Scelsi, ascoltare le numerose registrazioni originali, leggere la corrispondenza che ebbe con grandi personalità del mondo musicale e artistico, i suoi scritti sulla musica e le arti, nonché la sua produzione poetica, che ha seguito di pari passo l’attività compositiva. Scelsi fu personaggio per lunga parte della sua vita avvolto dal mistero e dalla riservatezza: nato a La Spezia nel 1905 si trasferì poco dopo con la sua famiglia a Roma città che lasciò solo per i suoi viaggi, molti dei quali in Oriente, e nel periodo della seconda guerra mondiale quando abitò in Svizzera. Fu un caso a sé, in qualche modo ancora un enigma: rifiutava le interviste, non voleva essere fotografato, non concedeva autografi se non l’ormai noto simbolo del cerchio sottolineato dalla linea retta. Ma nella sua sincera riservatezza fu capace di trasmettere attraverso la sua musica un mondo sonoro che ha influenzato intere generazioni, legandosi fra l’altro ad artisti come Jean Cocteau, Virginia Woolf, Walter Klein e grandi interpreti quali Nikita Magaloff e Pierre Monteux. Fortemente influenzato dal pensiero orientale, Scelsi si soffermò molto sulla centralità del suono, lo spiritualismo, il rapporto con le tematiche dell’esoterismo, il superamento della scrittura musicale tradizionale, la virtualità, il rapporto con lo spazio: le sue musiche furono da subito amate soprattutto dal pubblico francese e tedesco, che accolse diverse sue prime esecuzioni assolute, mentre in Italia ancora oggi il nome di Scelsi risulta un mondo da scoprire ed esplorare; ci auguriamo che l’apertura dell’archivio sia un’ottima occasione per entrare in questa affascinante realtà sonora. Mi. Ma. Novità in libreria Note alternative: la musica di Destra riscoperta in un saggio I n un momento di pacificazione nazionale, un saggio, Note alternative, squarcia il velo su un mondo musicale - quello in qualche modo riconducibile ai valori di destra - rimasto per circa 40 anni al di fuori di ogni circuito commerciale. Edito dalla piccola - ma agguerrita - casa editrice Trecento, è stato presentato all’ultima edizione di Atreju, la festa di Azione Giovani; il libro di Cristina Di Giorgi racconta l’evoluzione della musica della giovane destra. Musica “alternativa”, sia per i testi, decisamente non assimilabili alla musica leggera comunemente intesa, sia per i metodi di divulgazione, che in un mondo dell’editoria musicale decisamente ostile, hanno dovuto battere le piste del passaparola e dell’editing casalingo. Dalle prime forme cantautoriali per voce e chitarra dei primi anni ‘70, ad oggi, la musica militante di destra si è tenuta costantemente aggiornata per quanto riguarda le forme. Gruppi dai nomi evocativi come Compagnia dell’Anello, Ezra Sound, Delenda Carthago, Amici del Vento, Innato Senso di Allergìa, DDT e Decima Balder, hanno esplorato vari generi, che vanno dal rock, al rap, al combat folk, spingendosi fino alla ricerca sulle musiche tradizionali europee. Tra i cantautori di riferimento, spicca Massimo Morsello, cui si deve quanto di più poetico e originale sia stato scritto dai cantautori militanti. Le canzoni dei giovani di destra celebrano l’amicizia, il cameratismo, il sì alla vita e anche l’accettazione della morte, intesa come sacrificio di se stessi in nome delle proprie idee. Ideali di vita che affondano le proprie radici nella tradizione più antica. Da qui il continuo richiamo agli episodi della storia scritta dai “vinti”, (che da poco accenna a riemergere in ambito accademico e politico), con canzoni come La Vandeana, e Jean, sui volontari caduti nella difesa di Berlino. No all’aborto, no alla droga, no alla massificazione dell’individuo, sì alla Patria, alla Famiglia ed ai valori tradizionali. C’è posto anche per l’amore, visto quasi sempre sotto il lume di un ideale che trascende la coppia. Una musica dai contenuti forti, da scoprire, certamente non adatta – si direbbe oggi per “bamboccioni”. L. Di. D. Festival Internazionale della Filatelia ITALIA 2009. Tutti i francobolli del mondo in un solo spazio. A Roma. Con Italia 2009, Roma diventa la capitale mondiale del francobollo. La grande esposizione internazionale sbarca nella città eterna per cinque intensi giorni dedicati alla filatelia. Protagoniste le migliori collezioni d’Europa, dei Paesi del bacino del Mediterraneo, nonché di Canada, Stati Uniti d’America, Argentina, Sudafrica e Australia. Non perdete l’appuntamento con la storia del francobollo. www.italia2009.it Roma - Palazzo dei Congressi 21-25 ottobre 2009