MARLENE DIETRICH
l’angelo azzurro “fatto per l’amore dalla testa ai piedi”
la donna, l’attrice, il mito
Nino Genovese
La grande “diva” Marlene Dietrich, icona del fascino femminile tipico del Novecento, “femme
fatale”, sensuale, perversa, conturbante, fiera, dominatrice, ambigua, capace di ammaliare sia
gli uomini che le donne (data la sua “bisessualità” dichiarata), continua a vivere nell’immaginario collettivo della gente grazie al cinema e alle sue magnifiche interpretazioni, da “L’angelo
azzurro” a “Marocco”, da “Shangai express” a “Capriccio spagnolo” e così via… Numerosi
ruoli, sempre originali, trasgressivi, “sopra le righe”, ma affascinanti e coinvolgenti come lei,
di cui – nel ventennale della scomparsa (è morta il 6 maggio 1992) – cerchiamo qui di offrire
un ampio profilo, un ritratto a tutto tondo.
Marlene Dietrich
come apparve, nel 1930, nel film L’angelo azzurro
(Der Blaue Engel) di Joseph Von Sternberg, nel
ruolo della cantante di cabaret Lola-Lola, che
fa perdere la testa al severo professore tedesco
Immanuel Rath (Emil Jannings) e a tanto pubblico
maschile, entrando, in tal modo, prepotentemente,
in quell’immaginario collettivo di cui, a tutt’oggi,
continua a far parte a pieno titolo: perché Marlene
e il suo mito nascono proprio con questo film.
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S
eduta su una botte, con il pagliaccetto, il
cilindro e le scarpe bianche con il tacco
alto, il reggicalze e le giarrettiere nere, a
valorizzarne le lunghe, affusolate, bellissime
gambe fasciate di calze di seta, mentre canta, con
voce roca e sensuale: «Ich Bin Von Kopf Bis Fuss
Auf Liebe Eingestellt» («Sono fatta per l’amore
dalla testa ai piedi»).
Tutti noi la ricordiamo così, Marlene Dietrich,
Marlene Dietrich
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Le vere, autentiche vicende biografiche
dell’attrice, invece – nonostante ella abbia scritto
un’Autobiografia – sono abbastanza vaghe, sfumate:
com’è giusto e preferibile che sia per una “diva”, la
cui vita reale deve rimanere segreta, sconosciuta,
ammantata da un alone di leggenda.
Sappiamo che nasce a Berlino il 27 dicembre
del 1901; ma qualche biografo parla del 1902
(in questo caso, fra alcuni mesi ricorrerebbe il
110° anniversario della sua nascita); muore a
Parigi il 6 maggio del 1992, all’età di 91 anni (e,
quindi, sicuramente ricorre ora il ventennale della
scomparsa). Di famiglia borghese, dopo la morte
del padre, viene allevata dal patrigno; compie
studi musicali e frequenta l’Accademia di Max
Reinhardt. Dopo la morte in guerra del patrigno,
si dedica all’attività teatrale, ottenendo qualche
successo soprattutto nella commedia musicale.
Secondo la leggenda, è proprio vedendola in uno
spettacolo musicale, nel 1928, dal titolo Zwei
Kravatten, che il regista viennese Joseph Von
Sternberg, ritornato dall’America in Europa, per
dirigere L’angelo azzurro, il primo film sonoro
della storia della cinematografia tedesca, con Emil
Jannings (famoso attore teatrale ed interprete
di grandi ruoli all’epoca del muto), decide di
scritturarla al posto dell’attrice Lucie Mannheim
fortemente voluta dallo stesso Jannings e dai
dirigenti della Casa di produzione. Forse, l’attore
tedesco (in realtà, di origine svizzera) aveva un
presentimento, un timore, che, puntualmente, si
sarebbe verificato: quel ruolo, affidato ad un’illustre
sconosciuta, ma dotata di un fascino irresistibile,
avrebbe oscurato il suo, per il quale addirittura il
film era stato costruito, ed avrebbe creato un mito.
E così è stato.
Infatti, se è vero che la bionda attrice tedesca, ancor
prima dell’avvento del sonoro, aveva preso parte a
ben 17 film, è anche vero che, fino a quel momento,
non era riuscita ad emergere. Invece, dopo la
grande notorietà ottenuta grazie a Von Sternberg
e a L’angelo azzurro, firmerà un favoloso contratto
con la Casa di produzione americana Paramount
che, in concorrenza con la Metro Goldwin Mayer,
cercava un mito di femminilità da contrapporre a
quello di un’altra bellezza di origine nord-europea,
come Greta Garbo.
Così, Merlene Dietrich – che, nel frattempo, si era
sposata ed aveva avuto una figlia – si trasferì ad
Hollywood, insieme con il suo Pigmalione, Joseph
Von Sternberg, per l’appunto, che l’aveva lanciata
e che diventerà, ben presto, il suo compagno; con
lui, tra il 1930 e il 1935, girò sei film: Marocco,
Disonorata, Shangai Express, Venere bionda,
L’imperatrice Caterina, Capriccio spagnolo. E di
Von Sternberg la Dietrich ebbe occasione di dire:
«Il regista dell’Angelo azzurro è l’uomo a cui ho più
desiderato piacere».
Tuttavia, questo sodalizio artistico ed umano con
Von Sternberg si esaurì dopo cinque anni. La
Dietrich, nonostante i reiterati inviti di Goebbels,
rifiutò di ritornare nella Germania di Hitler,
impegnandosi, anzi, nella lotta contro il nazismo,
tanto da ricevere la “Legion d’onore” dai francesi e
la “Medal of Freedom” dagli Americani (per le cui
truppe aveva pure cantato).
Sul piano artistico, poi, abbandonato il suo
“scopritore”, girò diversi, importanti film, tra l’altro
(e per citarne solo alcuni) con registi del calibro di
Rouben Mamoulian (Il cantico dei Cantici, 1933),
Frank Borzage (Desiderio, 1936), Jacques Feyder
(La contessa Alessandra, 1937), Ernst Lubitsch
(Angelo, 1937), René Clair (L’ammaliatrice,
1941), Raoul Walsh (Fulminati, 1941), William
Dieterle (Kismet, 1944), Billy Wilder (Scandalo
internazionale, 1948 e Testimone d’accusa, 1958),
Alfred Hitchcock (Paura in palcoscenico, 1950),
Fritz Lang (Rancho Notorious, 1952), Orson
Welles (L’infernale Quinlan, 1958), Stanley Kramer
(Vincitori e vinti, 1961).
Ma la Dietrich (come, peraltro, valgono anche a
oh se lo fa!»); Charles Laughton («Vorrei che
insegnasse recitazione»); Gerard Philipe («L’attore
perfetto. Sia intellettualmente che fisicamente. La
personificazione di un’immagine romantica»); Edith
Piaf («Delicata e forte, coraggiosa e timida, con il
canto esprime il proprio cuore, dà il suo amore, la
sua amicizia, il suo aiuto e la sua ispirazione…»);
Elvis Presley («È arrivato quando i giovani avevano
bisogno di un’anima romantica…»); Frank Sinatra
(«Uno degli uomini più gentili che conosco»);
Orson Welles («In lui una mente brillante è unita
a un cuore semplice e pratico; offre generosamente
l’una e l’altro»); Billy Wilder («Un maestro
muratore che conosce gli attrezzi del mestiere e li
adopera con perizia…»).
Gli unici registi italiani citati sono Vittorio De
Sica (a proposito del quale si limita a ricordare una
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dimostrare queste sue scelte, attente ed oculate)
era una donna di cultura, sensibile e intelligente,
che scrisse, nel 1979, un’autobiografia dal titolo
Nehmt Nur Mein Leben (Monaco, 1979), tradotta
negli Stati Uniti con il titolo My Life Story, mentre
alcuni anni prima, nel 1961, aveva già scritto un
libretto, Marlene Dietrich’s ABC, tradotto anche in
italiano e ristampato diverse volte (di cui l’ultima
nel 1996, a cura di Fernaldo Di Giammatteo,
presso gli Editori Riuniti di Roma, con il titolo
Dizionario di buone maniere e di cattivi pensieri
e con il sottotitolo Amori, vizi, virtù e idee di una
grande attrice).
Che cos’è dunque questo particolare Dizionario?
Come scrive Fernaldo Di Giammatteo, in esso
«troviamo – bene ordinato e diviso secondo alfabeto,
come si conviene a una rispettabile signore tedesca
– un dizionario di buone maniere, di ricette, di
aforismi, di consigli galanti, di ritrattini affettuosi,
di meditazioni e di cattivi pensieri», che rivelano
«quel buonsenso borghese e conservatore che
appartiene alla civiltà dell’Europa ottocentesca».
Così, ora in maniera colta e intelligente, qualche
volta anche in modo banale, ma quasi sempre con
una buona dose di auto-ironia che non guasta mai,
la Dietrich elenca, in ordine alfabetico, termini
filosofici o tratti dalla vita comune, personaggi
contemporanei o del passato, conosciuti
direttamente o – indirettamente – attraverso le loro
opere, titoli di libri, oggetti, ricette, segni zodiacali,
consigli, riflessioni e tante altre cose.
Tra i numerosissimi personaggi citati, se ne possono
indicare alcuni, tratti dal mondo dello spettacolo
in senso lato (cioè, da quell’ambiente che, per
ovvi motivi, la Dietrich più seguiva e meglio
conosceva), seguiti da qualche lapidaria definizione:
Fred Astaire («Elegante! Elegante! Elegante!»); i
Beatles («Li amavo, disprezzo profondamente
la persona che ha causato il loro scioglimento»);
Gilbert Becaud («Ha scritto le più belle canzoni
d’amore che siano mai state composte»); Jean-Paul
Belmondo («Sangue nuovo, faccia nuova, vitalità
nuova, fluido nuovo, erotismo nuovo…»); Ingmar
Bergman («Lo trattano come un re… Quando lo
incontri si dimostra all’altezza di questo titolo…»);
Richard Burton («Adoro il suo accento gallese e lo
ammiro come uomo e come attore. Ai miei occhi,
la sua unica pecca è costituita dalle sue scelte infelici
in materia di donne. Lo ammiro anche per come
regge l’alcool»); Maurice Chevalier («Il maestro
della più difficile e rischiosa tra le professioni di
teatro«); Jean Gabin («Duro fuori, tenero dentro.
Facile da amare!»); Alfred Hitchcock («Quando
dirige sembra che non lo faccia. Ma lo fa, lo fa,
sequenza del film Miracolo a Milano), Roberto
Rossellini («Ha il dono di trovare seguaci non
solo entusiasti, ma utili. E ne ha anche un altro
davvero raro: è un amico»), Luchino Visconti («Per
lui è facile incantare, sedurre, dominare, guidare,
stregare; e senza fare alcuno sforzo»).
Oltre a registi, attori, cantanti, il Dizionario
annovera anche poeti e scrittori, come Heinrich
Heine, Rainer Maria Rilke, Goethe, Dostoevskij,
Hemingway, Eric Maria Remarque; artisti, come
Salvador Dalì, Paul Cézanne; scienziati, come
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Albert Einstein; filosofi, come Kant, Schopenauer;
grandi compositori, come Bach, Stravinskij; ed
ancora paesi, regioni, città («Italia: Ovunque è
bellezza»; «Roma: Quanto siamo stupidi a non
vivere a Roma»), e tanto altro ancora.
Naturalmente, l’elenco sarebbe lunghissimo; ma il
nostro intento era quello di rendere l’idea del tipo
di definizioni utilizzato dalla Dietrich nel suo libro,
veramente insolito ed originale, oltre che poco
conosciuto, che costituisce una sorta di summa,
James Stewart, John Wayne e così via.
Ma è chiaro: anche se realtà e finzione sono un
tutt’uno inscindibile, che spesso e volentieri si
confondono, per effetto della magia del cinema, c’è
sempre (o quasi) una certa differenza, se non una
totale frattura, tra la donna e l’attrice; tra la donna
così com’è nella realtà, con il suo bagaglio culturale
ed umano, e l’attrice, con i variegati personaggi
interpretati ed il mito che riesce ad incarnare.
Questi ultimi, sicuramente, contano molto di più.
Ed infatti, di Marlene Dietrich tornano alla
memoria, e rimangono, “immortalati” dalle
pellicole, i tratti somatici particolarmente espressivi,
i capelli biondi, gli zigomi prominenti e le guance
incavate, il sorriso indecifrabile, l’algida, ma al
tempo stesso conturbante, bellezza, la sensualità
contemporaneamente misteriosa ed ironica,
sfrontata e irraggiungibile.
Tornano alla memoria, e rimangono, i personaggi,
prelevati di sana pianta dalla letteratura
cinematografica degli Anni Trenta e seguenti,
con gli stereotipi e i cliché tipici di quelle storie
inverosimili e melodrammatiche, ma riscattati dal
pericolo incombente del ridicolo, in cui sarebbero
potuti facilmente cadere, attraverso una sorta di
ghigno beffardo e una buona dose di intelligente
ironia: donna tra i legionari (Marocco); fredda
e cinica spia alla Mata Hari, che, però, prima
di essere fucilata, si specchia nella sciabola del
comandante del plotone d’esecuzione (Disonorata);
avventuriera internazionale (Shangai Express);
sciantosa di lusso (Venere bionda); zarina di tutte
le Russie (L’Imperatrice Caterina); perfida creatura,
appassionata e perversa (Capriccio spagnolo); ed
ancora incantevole ladra, contessa, favorita del Gran
Visir, ricca moglie di un diplomatico, giocatrice,
sciantosa da saloon, prostituta e chiromante e,
naturalmente (per molte volte) cantante.
Ma – soprattutto – torna alla memoria, e vi rimane
impressa in maniera indelebile, la Lola-Lola de
L’angelo azzurro, affascinante e conturbante,
“fissata” nella sua femminilità tentatrice e diversa,
nel suo erotismo misterioso, sfrontato, ironico,
nella sua sensualità allo stato puro, mentre,
muovendosi sulle lunghe gambe nude, canta con
voce roca e sensuale: «Dalla testa ai piedi sono fatta
per l’amore, io so soltanto amare…».
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in pillole, del suo pensiero, delle sue opinioni, dei
suoi giudizi.
È vero: esso, probabilmente, aggiunge poco alla sua
immagine di attrice; ma, sicuramente, può servire a
farci comprendere meglio la sua personalità umana,
la sua sensibilità, il suo modo di pensare, ancorato
a una sana “logica” borghese, sostanzialmente
conservatrice, in stridente contrasto – se vogliamo –
con i personaggi portati sullo schermo, avventurosi,
strani, un po’ sopra le righe.
Non solo. C’è un elemento al quale non si è mai
pensato molto: accanto alla Dietrich, donna fatale,
che indossa stupendi abiti femminili, a volte
perfino eccessivi ed iperrealisti, arma di fascino e di
seduzione, c’è anche una Dietrich in abiti maschili,
che indossa il frac e il cilindro, negando proprio ciò
che nella persona di Marlene è oggetto privilegiato
di culto, cioè le gambe.
E proprio i pantaloni, che costituiscono una sorta
di diaframma tra lo spettatore e la sua diva, nella
vita privata, a quanto pare, erano il suo capo di
abbigliamento preferito: tanto da gettare nello
sgomento i dirigenti della Paramount, ma da creare,
nel contempo, uno “stile” imitatissimo e seguìto da
molte attrici e cantanti.
In questo modo, però, emerge anche una certa
ambiguità del personaggio, un’allusione a gusti
sessuali particolari, che, ad esempio, qualcuno ha
voluto vedere, appena accennati, anche nel film
Marocco, là dove Marlene regala un bacio sulle
labbra ad una sua spettatrice: forse, il primo bacio
omosessuale della storia del cinema.
D’altronde, le cronache della “Hollywood
Babilonia” degli anni Trenta la vedono protagonista
di scandali mormorati, di arditi accoppiamenti, e
riconoscono in lei la capacità di superare barriere
morali assai rigide, essendo, fra l’altro, nota e
dichiarata la sua “bisessualità”.
Ad esempio, il braccialetto che Claudette Colbert,
in una famosa scena di Cleopatra di Cecil B. De
Mille, portava alto fino a metà braccio, sarebbe
stato un pegno d’amore fra le due dive. Ma, in
compenso, anche la lista (vera o presunta) degli
uomini travolti dal suo fascino è lunghissima: oltre
al primo marito e a Von Sternberg, ci limitiamo
a citare gli scrittori Erich Maria Remarque ed
Ernest Hemingway; il regista Fritz Lang; gli attori
Maurice Chevalier, Jean Gabin, Gary Cooper,
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