Dedico questo lavoro
ai miei genitori e a mio figlio
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Indice
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Tutto ha un inizio
Carla Lonzi
Per una musica diversa
la strage e il Commissario Calabresi
Tra sesso e militanza
La doppia morale
Lotta Continua
tra un matrimonio e l’altro
Circoli Ottobre
Assaltatore dei Lagunari
Il vuoto
la Milano di Fo e dei teatri
Bonfietti
Dario Fo e la Milano da bere
Berlino
Eduardo
Paolo Buffo e Mauro Rostagno
Post-considerazione
Testi e contesti
Indice dei nomi
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Ricordare il passato può dare origine
a intuizioni pericolose, e la società stabilita
sembra temere i contenuti sovversivi della memoria
Herbert Marcuse
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Tutti i diritti riservati
© Copyright 2009, Sergio Martin
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Tutto ha un inizio
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In piena guerra fredda, creatasi dopo la fine della seconda guerra
mondiale, tra Ovest (Stati Uniti d’America e alleati della NATO) e Est
(Unione Sovietica e Patto di Varsavia), che avrà realmente fine solo con
la caduta del muro di Berlino, cioè verso la fine di questi appunti; In
Italia l’Assemblea Costituente approva la Costituzione e aderisce al
Patto Atlantico, con una scelta di campo a favore degli Stati Uniti.
Superato nel 1948, anche l’attentato a Palmiro Togliatti, segretario del
Partito Comunista Italiano e ministro di Grazia e Giustizia dei governi
della Liberazione e il conseguente rischio di guerra civile, si dice grazie
anche alla vittoria di Bartali al giro ciclistico di Francia; Nel 1951,
mentre l’Italia entra a far parte della CECA, la Comunità Europea del
Carbone e dell’Acciaio, prima base per l’attuale Comunità Europea, e ha
termine il piano Marshall che ha dato all’Italia oltre 1.200 milioni di
dollari per intraprendere la ricostruzione, dopo i disastri del fascismo e
della seconda guerra mondiale, io, ultimo di cinque figli nasco a Oderzo in
una calda giornata di fine agosto, sotto il segno della vergine.
Il 26 agosto, data importante perché mio padre del personale
viaggiante delle Ferrovie dello Stato e come tale dipendente pubblico,
prendeva la paga un giorno dopo, il ventisette del mese e pertanto il
ventisei di soldi non ce n’erano mai, di conseguenza niente regali al mio
compleanno e anche pochi amici che se lo ricordassero, essendo tutti in
vacanza, normalmente inviati da parenti e amici o in colonia; non vorrei
che si pensasse subito che si poteva anche andare in vacanza, è solo un
modo di dire quando non c’è lavoro o non si deve andare a scuola, si sta in
vacanza. Diversa dalla vacanza di chi può andare al mare a nuotare o in
montagna a sciare o anche viceversa.
Anch’io d’altronde andavo sempre in vacanza a Ospitale di Cadore,
finita la scuola venivo spedito, anzi caricato, sulla Littorina, quei treni
corti che sbuffano, per Calalzo e il capotreno mi faceva scendere alla
stazione di Ospitale di Cadore, dove vivevano i nonni materni e dove a
volte mi trovavo con mio cugino Danilo che abitava a Belluno.
Alle otto andavo a portare la colazione al nonno, che era sul bosco della
chiesa a tagliare legna dalle quattro di mattina, faceva colazione col vino
e diceva questo è il latte dei vecchi. Gli davo una mano a tagliare gli
alberi, all’epoca non esistevano le motoseghe, ad accatastare i tronchi,
farli scendere lungo un viottolo e caricarli sul carretto, sistemato su una
rientranza della statale di Alemagna, quella che i signori usavano per
andare a Cortina d’Ampezzo, e poi si spingeva il carretto fino a casa,
oppure si tagliava l’erba la si lasciava diventare fieno e poi sia la nonna
che il nonno si caricavano il blocco in testa e lo portavano su in casa fino
al terzo piano, io sulla gerla riportavo gli attrezzi.
Con Danilo ci eravamo inventati anche un codice di scrittura in modo
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che se qualcuno avesse intercettato le lettere non avrebbe potuto
leggerle, chissà quali segreti contenevano.
Ho iniziato a fumare qui in montagna, si andava da Felice, il gestore
dell’unico bar-tabacchi e si chiedeva per conto di qualche fantomatico
ospite di passaggio un pacchetto da 10 di HB o di Marlboro prima di
passare alle Mentolo e alle Turmac, sigarette ovali dal fascino slavo.
Ti faceva sentire grande.
D’inverno l’unico riscaldamento era la stufa economica in cucina, su cui
la nonna preparava da mangiare, alla sera la nonna mi dava la borsa
dell’acqua calda, loro avevano il ‘prete’, una struttura ad arco in legno con
dentro le braci, e si andava a dormire stando tutti raggomitolati sotto al
piumino, finché il tepore non si estendeva e potevi lasciarti andare,
distenderti dentro al letto, il bagno era collocato sopra la stalla per cui
leggermente più tiepido delle altre stanze, anche se a volte dovevi
rompere lo strato di ghiaccio sul catino per poterti lavare.
Il fatto che la struttura per scaldare il letto matrimoniale si chiamasse
‘prete’ la dice lunga su come e con chi passassero le notti molte donne
sole o con i mariti in guerra, o all’estero per lavoro, ma a questo
collegamento ci sono arrivato molto, molto dopo.
In realtà di fratelli ne ho sempre avuti tre, due femmine e un maschio,
perché uno era morto prima del mio arrivo, soffocato nella culla, cosa in
quegli anni abbastanza normale e frequente, se ci fosse stato lui, molto
probabilmente non sarei arrivato io.
Oderzo città par scherso
col Montegan de traverso
un punto perso nell’universo
Oderzo, noto come Opitergium i cui nativi detti opitergini si vantavano di
aver fondato Venezia per scappare alle violente devastazioni di Attila, in
realtà rientrava nell’area di influenza della Repubblica Romana al punto
da far chiamare Opitergina la laguna di Venezia, in epoca più recente
famosi gli scontri tra fascisti e partigiani, culminati nella strage del
Brandolini.
Certo è che i fascisti durante il regime non avevano scherzato e
probabilmente neppure i romani avevano scherzato, malgrado abbiano
lasciato acquedotti e strade, visto l’odio verso Roma ‘ladrona’ e il peso
della Lega da queste parti.
Come è certo che i partigiani della brigata Garibaldi non hanno
rispettato i patti firmati dal mio omonimo, Sergio Martin, che aveva
concesso salva la vita, in cambio della resa incondizionata a nome e per
conto del Comitato di Liberazione Nazionale, invece quelli della brigata
Garibaldi, istituirono un processo sommario e molti dei fascisti a cui era
stata garantita salva la vita, in cambio della resa incondizionata, furono
uccisi.
A Oderzo in realtà ci ho vissuto fino ai tre anni, perché mio padre
dovette trasferirsi a Mestre, allora importante snodo ferroviario, per
cui io sono cresciuto alla Gazzera, quartiere dormitorio tra Mestre e
Porto Marghera, che stava diventando in quegli anni un importante polo
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industriale, con particolare attenzione alla chimica, nonché all’ombra di
Venezia dove si poteva andare raramente e da cui più volte, inutilmente,
la terraferma ha cercato di staccarsi.
I ricordi si perdono, si scompongono e ricompongono, però mi è chiaro
che ho vissuto i primi anni più a contatto con Lucia, anche perché i
fratelli maggiori erano stati mandati in collegio, Franco ad Alba in
Piemonte, dove lavorava in tipografia per stampare per le edizioni
Paoline, «Famiglia cristiana», settimanale cattolico distribuito alla
domenica nelle parrocchie, e Silvana, sempre in collegio, in un altro luogo
che proprio non ricordo, dove ha imparato a cucire, a fare la maglia,
disegnare e fare maschere, sì perché la concezione dell’epoca era che le
donne dopo le elementari andassero a lavorare, imparando possibilmente
qualcosa che poi risultasse utile per la casa, per la famiglia, tipo il lavoro
a maglia o la cucina, appunto.
Le ragazze non potevano uscire di casa
accompagnare mia sorella Lucia e stare con
alla fine della strada, dandoci appuntamento
modo da rientrare a casa insieme, altrimenti
da sole, per cui io dovevo
lei, più spesso ci dividevamo
allo stesso punto alla sera in
erano botte.
Il giorno della mia prima comunione o della cresima non ricordo e
sovrappongo i due sacramenti, fu una grande festa, di positivo ricordo
che noi cresimandi eravamo tutti vestiti uguale con una tunica bianca e
due bande laterali rosse, ricevetti anche dei regali, l’orologio del
rappresentante di tessuti me lo prese subito mio fratello che pur
essendo sette anni più grande non ne aveva ancora uno, venne a offrirmi i
sacramenti il Patriarca di Venezia, Angelo Roncalli, che subito dopo sarà
nominato Papa con il nome di Giovanni XXIII e sarà un grande Papa,
all’altezza dei tempi in grado di confrontarsi con Kennedy e Krusciov,
rispettivamente responsabili all’epoca degli Stati Uniti d’America e
dell’Unione Sovietica.
Pensai che mio figlio avrebbe deciso lui se farsi battezzare e prendere
gli altri sacramenti, quando avrebbe avuto l’età della ragione io non glieli
avrei imposti e almeno in questo sono stato di parola.
Ricordo perfettamente le discussioni in famiglia, quando Gianfranco è
scappato dal collegio di Alba e se ne è tornato a casa senza licenza media
e senza il baule con tutte le sue cose.
Non ho mai capito cosa fosse successo, cosa sia stato a spingerlo a un
gesto così clamoroso e contestatario, come la fuga, rinunciando anche
alla licenza media cioè al certificato che sanciva i tre anni di collegio, che
non devono essere stati facili.
Mi sembra di rivedermi peregrinare per Mestre, mano nella mano con la
mamma, alla ricerca prima di un istituto dove mio fratello potesse
sostenere l’esame di terza media e poi di una scuola dove iscriverlo.
Questa è stata una delle poche battaglie che la mamma ha intrapreso e
vinto contro suo marito.
Per papà, Franco doveva andare a lavorare, una opportunità gli era
stata offerta, l’aveva rifiutata e ora gli spettava il lavoro, avrebbe
dovuto guadagnarsi la vita e contribuire all’andamento economico della
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famiglia, la mamma ha insistito a tal punto, si è battuta, ha cercato ed è
riuscita a fare in modo che prendesse il diploma di perito meccanico
all’Istituto tecnico statale Pacinotti, lo stesso che avevamo trovato mano
nella mano peregrinando per la città.
La stessa cosa non valeva per le figlie femmine che finite le elementari
sono subito andate a ‘imparare’ un lavoro, oppure stavano in casa a
lavorare sul telaio comprato a rate.
Siamo in pieno sviluppo industriale ed economico, basato
essenzialmente sui bassi salari, con una grande richiesta di manodopera
per cui è molto facile trovare lavoro.
Anche se Marialivia Sereni così descrive su «l’Espresso» il ‘Natale
FIAT’ del 1961:
[...] è il tono generale della città che è cambiato. Si pente chi ha
sostituito la 600 con la 850. Si pente chi ha fatto studiare il figlio
invece di mandarlo a lavorare. Si pente il meridionale che ha
chiamato la famiglia a Torino, e il torinese che ha convinto la
moglie a lasciare la fabbrica o il banco di verdura. [...] Gli orari
ridotti deprimono perché lasciano intravedere il licenziamento [...].
E così, nello stesso anno, cantava Fausto Amodei su testi di Franco
fortini:
E se Berlino chiama, ditele che s’impicchi:
crepare per i ricchi no, non ci garba più….
E se la Nato chiama, ditele che ripassi:
lo sanno pure i sassi, non ci si crede più…
E se la patria chiede di offrirgli la tua vita,
rispondi che per ora la vita serve a te.
Si iniziava a respirare un’aria diversa, si sentiva crescere una
opposizione, c’era stata una grande ribellione nel paese contro la
‘legge truffa’ che voleva modificare i meccanismi di voto, ma
iniziavano anche le tragedie naturali ed i terremoti, che
impegnavano tutti alla solidarietà
Ricordo con chiarezza la sera del 9 ottobre del 1963, quando l’unico
canale della televisione di stato, in bianco e nero, annuncia la caduta, ‘il
scivolamento’, del monte Toc nella diga del Vajont, causando la scomparsa
di interi paesi a partire da Longarone e la morte di oltre duemila
persone.
Una strage annunciata, rammento la discussione e la preoccupazione di
mia madre, originaria di Ospitale di Cadore venti chilometri più sopra, e
mio fratello che preparò subito lo zaino per andare a portare soccorsi e
a vedere che fine avessero fatto i parenti.
La valle del Vajont era controllata da due paesini, Erto e Casso, opposti
tra loro, uno friulano l’altro cadorino, avevano in comune solo le
bestemmie e il duro lavoro per la sopravvivenza, per cui molti erano
contenti quando arrivò la SADE società elettrica privata, dietro alla
quale c’era Giuseppe Volpi conte di Misurata, già ministro fascista e
imbonitore di partigiani, per salvarsi il malloppo che gli sarebbe servito a
fare la diga più grande del mondo.
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La diga voleva dire operai, ingegneri, manodopera varia, espropri, un po’
di soldi, di benessere e nessuno voleva dare retta a Tina Merlin, che
come quando faceva la staffetta partigiana, continuava a girare le
frazioni, a dire e a scrivere su «l’Unità» che il monte Toc sarebbe
crollato e la diga sarebbe stata un pericolo, un grave pericolo e non la
manna della provvidenza.
Anche Edoardo, geologo e figlio dell’ingegner Carlo Semenza,
progettista e costruttore della diga, ha cercato di convincere il padre
che con il riempimento dell’invaso della diga quasi sicuramente il monte
Toc sarebbe franato.
Come poi è avvenuto e per assurdo il disastro fu così immane proprio
perché la diga ha retto cioè era stata costruita molto bene.
Andai a trovare i nonni materni, Amabile e Raimondo, poco dopo la
tragedia, mi è ancora impressa nella mente una scala a chiocciola, in
quello che era stato il centro di Longarone, la scala dava nell’ingresso
della casa del dottore, il medico curante dei nonni, e ora si stagliava
solitaria a guardare il campanile in mezzo a fango e rovine.
Si camminava a piedi sopra gli antichi ponti e le vecchie strade di
origine romana e si guardava sbigottiti i nuovi ponti, le nuove strade
crollate sotto la furia dell’acqua, a volte sul vecchio ponte trovavi la
scritta ‘pericolante’, poi la scritta scompariva senza che vi venisse fatto
alcun lavoro.
Mi raccontò il nonno, sotto una pioggia gentile e scansando piccoli
torrentelli d’acqua, che se ne parlava da tempo che il monte Toc era
pericolante e c’era il rischio che scivolasse, franasse, cadesse dentro la
diga e così è stato, pensa mi diceva con un’aria di antica rassegnazione,
l’acqua è tornata indietro fino a Davestra il paese prima di Ospitale, da
noi si è sentito un grande lungo boato e poi l’acqua è scesa distruggendo e
portandosi via tutto, paesi interi, comprese le case e gli uomini che ci
dormivano dentro.
C’era nel nonno una grande rassegnazione, una forte e arrabbiata
impotenza, ricordava che contro il fascismo potevi combattere,
nasconderti in montagna, ti ribellavi in tanti modi a partire dalle piccole
cose, contro questa burocrazia, queste scelte imposte dall’alto spiegate
con parole che non riesci a comprendere, non puoi, non riesci a ribellarti,
non ne hai gli strumenti e neanche la forza.
Sono tornato con mio figlio in quei posti, abbiamo passeggiato su in cima
alla diga guardando il panorama e sul fondo si stagliavano le nuove
costruzioni di Longarone, le case con il tetto piatto ideate dall’architetto
Scarpa, famoso e pure preside della facoltà di Architettura a Venezia e
in montagna fa le case col tetto piatto, come quelle che si trovano in
Sardegna o nei posti di mare, in modo che la neve si fermi e si accumuli e
la gente possa lamentarsi per l’umidità.
Bisogna sempre offrire un pretesto alla gente perché possa
lamentarsi, così magari perde di vista i problemi veri.
Imponente quella diga, la seconda diga più grande al mondo, ed è
rimasta pressoché intatta, e guardando quel panorama mi è sorta la
domanda: come mai la maggior parte della gente di queste parti che
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andava a cercare lavoro all’estero, persino in America e in Argentina,
finiva per fare il gelataio, forse per fare qualcosa che per sciogliersi non
aveva bisogna di una montagna che gli cadesse dentro.
Il 1963 è anche l’anno della morte di Papa Giovanni XXIII, detto il ‘Papa
buono’, che era riuscito prima di morire a emanare l’enciclica Pacem in
terris indirizzata a tutti gli uomini di buona volontà, (non più solo ai
cattolici), ma soprattutto è l’anno dell’assassinio a Dallas del presidente
americano John Fitzgerald Kennedy, che tante speranze aveva suscitato
nel mondo, irrompono sulla scena mondiale e sono in tournée in Italia i
Beatles e Luigi Meneghello dall’Inghilterra dove è dovuto andare a
insegnare dalla sua Vicenza, ci manda in Italia Libera nos a malo, romanzo
rurale che avrà successo anni dopo.
Alle elementari si andava a scuola a piedi, era normale, c’era solo la
paura degli zingari e il divieto categorico di accettare caramelle da
estranei, il maestro molto umano sempre disponibile, ci faceva fare i
calcoli con le diecimila lire del tempo, erano rosse e molto grandi, che
nessuno di noi avrebbe avuto la possibilità di vedere in casa, ero
abbastanza bravo, sono sempre andato bene e mi appassionavo alla storia
e alla matematica e mi divertivo pure a litigare con i compagni.
A volte si dovevano portare dei pezzi di legna per riscaldare l’aula.
L’impatto con le scuole medie è stato terribile.
Dovevo fare dei lunghi tratti di strada a piedi, prendere due autobus e
alzarmi prestissimo.
Ero stato iscritto alle professionali, le scuole dei figli degli operai, ma
mi hanno bocciato ugualmente, ricordo le lezioni di applicazioni tecniche,
ore a lavorare su un pezzo di ferro o di legno, una volta non so perché ho
fatto arrabbiare l’insegnante, un signore tracagnotto e zoppicante, che
mi lanciò un pezzo di ferro, chissà cosa sarebbe successo se avesse
colpito qualcuno, o forse era una sua tecnica e sapeva benissimo come
lanciare.
Poi mi hanno iscritto alla media unificata, ma non ho legato con la
professoressa di italiano che voleva studiassi tutto a memoria e neppure
con alcuni compagni che venivano accompagnati a scuola in Jaguar.
Una ragazza in particolare, Patrizia, amava far vedere le mutandine o
fingeva di non voler farsele vedere mettendo subito prima un
fazzolettino che a volte chiedeva a me, anche certe ‘prof’ e certe
supplenti amavano vedere i ragazzini che cercavano in tutte le maniere di
sbirciare le loro gambe e a momenti si concedevano facendoci vedere dei
pezzi di coscia o accavallavano le gambe lasciandoti intravedere… e tutti
a sgomitarsi credendo di aver visto chissà cosa...
Forse anche per questo mi sono sempre piaciuti i tedeschi, malgrado il
clima più freddo, loro sono spesso nudi senza problemi e i bambini
crescono assieme in modo promiscuo evitando tutti i problemi dovuti al
non sapere al non conoscere, al dover supplire con la fantasia.
Metterei davanti alle scuole delle riproduzioni delle sculture del Canova
o farei fare delle sculture con un uomo e una donna nudi che fanno
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all’amore e i gay con la fantasia sostituiscano il partner.
Avevo fatto gruppo con alcuni ragazzi poco più grandi di me ma molto
più ‘sgamati’, si dava ‘buca’ a scuola, si andava nei bar a giocare a flippers
o a biliardo, soprattutto a boccette, oppure a carte e a bere vino.
Essere poveri significa vedere la difficoltà che fanno i tuoi genitori ad
arrivare a fine mese, mia madre faceva la spesa a credito, segnando
l’importo in un libretto e poi ai primi del mese passava a saldare, le
scarpe normalmente sono sempre o troppo grandi o troppo piccole, ed i
vestiti riciclati da quelli dei fratelli o amici, con il rischio che quando
litigavi ti rinfacciassero che quello era il loro maglione o la loro giacca.
Significa anche che in casa non ci sono libri, non c’è neppure l’abitudine
a leggere, perché è una cosa da signori che i poveri non possono quasi non
devono permettersi.
Ci furono le prime ribellioni, la fuga da casa in treno fino a Belluno, poi
il ritorno sconfitto per non sapere cosa fare e dove andare, l’essermi
nascosto in un campo di grano, i giochi con gli amichetti e le prime
attrazioni sessuali ma senza la comprensione di cosa fossero e del
perché.
C’era un clima di cambiamento, si respirava un’aria di ribellione le cose
così come erano non andavano più bene, si cambiava dall’interno
rifiutando di tagliarsi i capelli o scorciandosi le gonne, ricordo che le
ragazze se le arrotolavano in vita, facendole così salire.
La politica e il sesso in casa erano assolutamente vietate, non se ne
parlava, non esistevano. Come i libri.
Papà e mamma con l’aiuto degli amici, come si usava al tempo, aiuto che
poi andava ricambiato, si erano costruiti una casetta a due piani con un
terrazzo e annesso magazzino e laboratorio di falegnameria. Io ho
contribuito scavando il fossato per il raccordo con la fognatura.
E quando potevo e il tempo lo permetteva andavo in terrazzo a leggere
o a fingere di studiare o semplicemente a prendere il sole, una volta mia
madre mi trovò con dentro al libro un giornalino pornografico, di quelli da
leggere con una mano sola, e con l’altra mi titillavo il pisello, non sapevo
ancora assolutamente nulla del e sul sesso, il gesto probabilmente mi
veniva spontaneo, come risposta a una esigenza fisica, assolutamente
naturale.
Venni assalito da mia madre in maniera, per me, incomprensibile:
«[...] andrai all’inferno [...] diventerai cieco [...] ti si seccherà tutto,
maiale, porco, depravato, brucerai all’inferno» e poi come al suo solito si
toglieva la ciabatta e cercava di picchiarmi con quella... ma io ero veloce,
correvo verso una finestra l’aprivo e mi mettevo a urlare e lei mi
chiedeva per favore di smettere... cosa penseranno i vicini...
Il suo problema furono i vicini anche anni dopo quando me ne andai di
casa per andare a vivere con altri compagni in un nuovo quartiere operaio,
la Cita a Porto Marghera, «[...] cosa penseranno i vicini [...]» furono le sue
ultime parole in quella triste giornata di saluti e addii temporanei.
Ora ne sono dispiaciuto, ma allora qualsiasi cosa mi dicesse mio padre,
io dovevo fare l’opposto, mio padre era un bravo falegname, ma sapeva
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fare di tutto perché per farsi la casa ha dovuto imparare per forza,
anche se l’acqua calda e fredda escono invertite, io non ho imparato nulla,
facevo quello che mi diceva, ma senza un minimo di passione, eseguivo
senza alcuna applicazione, papà, si vedeva poco in casa essendo spesso in
treno, all’epoca il personale accompagnava il treno fino alla destinazione
finale, tipo Venezia-Reggio Calabria e ritorno, stando fuori casa tre o
quattro giorni, poi doveva restituire i piaceri agli amici... e andare a fare
le loro case.
Avrò avuto otto, nove anni quando mio padre mi portò a Spalato in
Croazia, da un collega ferroviere, partimmo da Venezia su una nave
sospesa sull’acqua, erano sotto un regime comunista, tutti dovevano
andare a scuola e prima di entrare si toglievano le scarpe, facevano molta
ginnastica e anche teatro, dicevano spesso «mnogo dobro», grazie molte.
Appresi allora che Spalato, Split in croato, nel passato aveva fatto
parte dei domini della Repubblica di Venezia e sotto il fascismo fu
annessa al Regno d’Italia, per essere durante la guerra conquistata dai
partigiani di Tito ed essere annessa alla Repubblica socialista di Croazia
e agli italiani furono sequestrati i beni e rinviati in patria.
Era una bella cittadina con una grande storia, pulita, tutti potevano
lavorare e studiare, tutti avevano una casa ma non potevano commentare
le scelte del potere se non positivamente.
Quasi come qui da noi, oggi, con Berlusconi.
L’unico altro viaggio con mio padre fu, anni dopo, al Salone
dell’automobile di Torino, dove io continuai a portarci mio figlio, fino a
quando le giunte di sinistra non lo sacrificarono al Motor Show di
Bologna.
In realtà andammo assieme anche a Oderzo, dove eravamo nati, mi
portò a trovare i nonni, i suoi genitori che io non avevo mai conosciuto, al
cimitero, mi fece vedere quella che era stata la sua casa di famiglia, ci
bevemmo un bicchier d’acqua al bar, dove salutò degli amici e tornammo
definitivamente a casa.
Visto che anche alle medie non mi applicavo, ho iniziato a lavorare in una
falegnameria dove facevo le pedane, ora le chiamano pallets, per la
Monteponi Montevecchio di Porto Marghera e mi alternavo a seconda dei
turni della scuola, lavoro al mattino e scuola al pomeriggio o viceversa;
Quando finalmente mi sono diplomato, cosa dico, ho preso la licenza
media, più per anzianità che per merito, mio padre mi ha portato al
garage Jarach e Cecconi, sulla sua Lambretta 125, dicendomi: «questo
sarà il tuo lavoro, comportati bene, non farmi fare brutta figura».
Il garage era sempre aperto, ma io dovevo arrivare alle otto del
mattino mettermi tuta e stivaloni e iniziare a ‘ingrassare’ le macchine,
dopo averle messe sul ponte, era il 1966 e le autovetture dell’epoca
avevano ventotto o trentaquattro punti, a seconda del tipo di macchina,
che dovevano essere riempiti di grasso e poi si passava al lavaggio vero e
proprio, che comprendeva anche il lavaggio del gruppo motore.
Alle nove ero già tutto bagnato e si proseguiva con piccole pause fino
alle diciassette o oltre, tanto agli apprendisti gli straordinari non
venivano pagati.
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Ho capito subito che non faceva per me, anche se i rapporti con i
colleghi e con i padroni erano buoni e mio fratello aveva lavorato a Porto
Marghera d’estate a pulire i silos con temperature che arrivavano a
settanta/ottanta gradi e condizioni di lavoro impossibili, venivano
chiamati, non a caso, ‘i negri’ di Porto Marghera, per cui non potevo dire
niente.
Mi sono fatto il patentino e coi primi salari mi sono comperato una
Lambretta 50, che mi consentiva una grande autonomia e una grande
libertà di movimento. Rientravo a casa a ore impossibili, una notte trovai
mio padre ad attendermi che mi chiese se mi sembrava l’ora di rientrare
io risposi di sì e lui se ne tornò a dormire sconsolato.
Non c’era dialogo tra noi e neppure confidenza lui era abituato a
comandare ed io dovevo ubbidire, con la crescita ed una limitata
autonomia il meccanismo di potere era entrato in crisi ma non era stato
sostituito da nulla, c’era come un vuoto che col tempo diventerà un abisso
coperto solo dalla mamma e dalle sue costanti attenzioni e
preoccupazioni.
Nel paese è in corso una grande ripresa economica ma gli industriali
tendono a non riconoscere alcun diritto ai lavoratori e tanto meno
cercano di distribuire parte dei cospicui guadagni, per cui qualsiasi
piccola conquista è frutto di una grande battaglia, e aumentano gli
apparati repressivi all’interno delle industrie che operano in stretto
collegamento con gli apparati repressivi dello stato.
Al punto da far dire a Luigi Macario della FIM-CISL:
«Taluni imprenditori stanno scavando con le loro mani un nuovo e più
profondo abisso di rancore [...] il terrorismo FIAT ricorda quello dei
negrieri dell’Alabama [...]».
E un delegato ACLI di Torino afferma:
Nelle fabbriche il sindacato è ancora fondamentalmente una
organizzazione clandestina. Chi fa l’organizzatore sindacale rischia
il licenziamento [...] viene maltrattato, trasferito, ricattato.
Troppi sono convinti che lo Stato sia pacifico solo se i lavoratori
rinunciano ai loro diritti [...] l’efficienza aziendale, la produttività,
asserviscono l’uomo [...].
E una studentessa che ha assistito alle cariche delle forze dell’ordine
contro le operaie della Face Standard di Milano così racconta:
[...] in un attimo mi si è rivelato ciò che nessuna testimonianza
letteraria o umana avrebbe potuto farmi capire: il sopruso, la
violenza legalizzata, il disprezzo delle opinioni e dei sentimenti. Ho
visto, carabinieri e poliziotti tempestare di colpi giovani
scioperanti, ho sentito volgari intimidazioni e poi i candelotti
fumogeni e il lugubre suono della carica.
E il torinese Fausto Amodei, girava per le piazze d’Italia cantando:
In una vecchia casa piena di cianfrusaglie,
di storici cimeli, pezzi autentici ed anticaglie,
c’era una volta un tarlo di discendenza nobile
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che cominciò a mangiare un vecchio mobile…..
Il proverbio che il lavoro ti nobilita nel farlo
Non riguarda solo l’uomo, ma pure il tarlo…
In breve tempo, grazie alla sua ambizione,
riuscì ad accelerare il proprio ritmo di produzione..
Per legge di mercato assunse poi per via
Un certo personale con contratto di mezzadria…
Lavorare per mangiare qualche piccolo boccone
Che dia forza di scavare per il padrone;
l’altra parte del raccolto, ch’è mangiata dal signore,
prende il nome di maltolto o plusvalore …..
Il 1966 è stato anche l’anno dell’alluvione di Firenze e dell’esondazione
dell’Arno, che ha preoccupato e interessato tutto il mondo, ma quello
che ha colpito sono state le migliaia di giovani con la barba e i capelli
lunghi o le ragazze con le prime minigonne che si alternavano a Firenze
per salvare i libri e le opere d’arte dal fango, scriveva Giovanni Grazzini
sul «Corriere della Sera»:
Questa stessa gioventù che fino a ieri ha attirato la vostra ironia
oggi ha dato a Firenze un esempio meraviglioso, spinta dalla gioia di
mostrarsi utile, di prestare la propria forza e il proprio entusiasmo
per la salvezza di un bene comune.
E De Gregori alla sera, dopo una giornata tra il fango e i libri, cantava,
traducendo Bob Dylan:
Venite madri e padri / Da tutto il paese /
E non criticate / Ciò che non potete capire /
I vostri figli e le vostre figlie/
Non li potete comandare / La vostra vecchia strada /
Sta rapidamente invecchiando /
Andatevene vi prego dalla nuova /
Se non potete anche voi dare una mano /
Perché i tempi stanno cambiando
Il 1966 è pure l’anno della morte dello studente socialista Paolo Rossi a
causa di assalti di giovani di destra alla facoltà di Architettura a Roma,
che determinò le prime occupazioni di facoltà, l’anno che Gianni Agnelli
decide di sostituire Valletta alla presidenza della FIAT, è l’anno de «La
zanzara», giornalino di alcuni studenti milanesi che si permettono di
parlare dei loro problemi e della loro sessualità, creando scandalo, e sarà
l’anno del maggior coinvolgimento americano in Vietnam e dell’uscita della
Francia di De Gaulle dalla NATO, per non condividerne le scelte.
Luigi Tenco canta, tradotta da Bob Dylan, astro nascente della musica di
protesta mondiale, la risposta è caduta nel vento:
…quando dal mare un’onda verrà
e i monti lavare potrà
quante volte un uomo dovrà litigar,
sapendo che è inutile odiar?
E poi quante persone dovranno morir,
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perché siano troppe a morir? ….
Ho lasciato i boy scout, dove ero caposquadriglia e mi divertivo un
sacco, era una continua scoperta di quante cose si possono fare con poco,
basta avere dietro un coltellino e un pezzo di spago, puoi andare a caccia
o a pesca e farti una capanna, me ne sono andato per protesta, perché
monsignor Vecchi aveva mandato via don Renato, il prete operaio del mio
quartiere, tenendo l’anziano parroco ‘di ruolo’ che le voci popolari
dicevano se la facesse con la perpetua e assolveva e giustificava sempre i
piccoli padroncini che fabbricavano scarpe, usando e sfruttando
manodopera minorile in scantinati puzzolenti con collanti dimostratisi in
seguito cancerogeni.
Oppure quelli che facevano fare le maglie a ragazzine di otto dieci
dodici anni in spazi angusti col rumore assordante dei telai per dieci ore
al giorno e poche lire di ricompensa e la scusa per i genitori che
avrebbero imparato un mestiere.
Con i boy scout avevo imparato oltre a fare i nodi e accendere un fuoco
a non avere paura a dormire solo anche all’aperto, a chiedere se serviva
qualcosa e ad aiutare il prossimo con spontaneità e non solo a far
attraversare la strada alle vecchine, li consiglio a chiunque, purché non si
protraggano troppo a lungo, essendo deleteri sotto l’aspetto sessuale.
Ricordai le parole di don Mazzolari:
Una mansuetudine che non sia fame e sete di giustizia, ma
paravento alla propria ignavia e al proprio benessere non è la
mansuetudine cristiana. Il punto di partenza della ‘rivoluzione
cristiana’ non dev’essere la supina accettazione dell’ordine
costituito, ma l’amore; vogliamo impedire che il piccolo star bene di
uno determini lo star male di molti.
Queste situazioni di sfruttamento creavano in me un senso di ribellione
spontanea, ho iniziato a collaborare con le ACLI e a fare volontariato per
dei ragazzi handicappati, sono entrato in contatto con il centro di
documentazione di Pistoia, mi sono abbonato al loro bollettino e ho
conosciuto altre realtà legate alla chiesa di base, i ragazzi di Barbiana,
l’Isolotto, Danilo Dolci in Sicilia, ho iniziato a leggere Lettera ad una
professoressa, il libro in cui gli allievi di don Milani, il priore della scuola
di Barbiana denunciano l’ingiustizia della scuola di classe che perpetua e
aggrava le differenze sociali, e distruggere la scuola di Ivan Illich.
Andai a Firenze all’Isolotto la città satellite progettata dal sindaco La
Pira, dove don Mazzi, parroco di base si definiva, in contrasto con la
curia fiorentina riuscì a coinvolgere tutto il quartiere con assemblee sul
sagrato della chiesa, per un po’ ho abitato da una simpatica nonnina molto
solidale con la battaglia in corso, aveva il balcone della cucina che dava
proprio sulla chiesa, poteva assistere alla messa all’aperto da casa.
Mi trovai coinvolto marginalmente alla costituzione locale dell’ MPL,
Movimento Politico dei Lavoratori, costituito da Livio Labor delle ACLI,
(che avevano rotto il collateralismo con la Democrazia Cristiana), con
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Gennaro Acquaviva, Luigi Covatta, Giangiacomo Migone, Russo Spena e
altri, per ricostituire la sinistra italiana si diceva già allora,
parteciparono alle elezioni ma senza ottenere alcun seggio, non da ora la
sinistra ama disperdere voti.
Lezione che non è servita a nulla se gli stessi personaggi continuano a
dividersi e a moltiplicare le sigle ancora oggi.
Le contestazioni alla Chiesa ufficiale, la chiesa dei poveri ispirata da
San Francesco, il diritto allo studio, il diritto alla casa, il diritto di
essere ragazzini e non andare a lavorare a otto, dieci, dodici anni, il
rispetto di tutti gli uomini, il diritto delle donne a essere rispettate
prima di tutto dai loro mariti, padri e fratelli, la pace, lo sfruttamento
dell’uomo, questi erano i temi su cui dibattevamo.
Ho iniziato a organizzare dei concerti nel cinema di quartiere usando la
domenica mattina che il cinema era chiuso e costava meno, iniziai con i
gruppi locali come Gualtiero Bertelli, D’Amico e il nuovo canzoniere
veneto e poi Giovanna Marini e Ivan Della Mea che venne con Paolo e
Alberto Ciarchi, facevano tutti capo ai Dischi del sole di Gianni Bosio.
Mi sono licenziato dal garage Jarach e Cecconi, non solo perché ero
bagnato dalla mattina alla sera, non ci vedevo nessun sbocco
professionale, malgrado avessi fatto un corso di meccanico serale con
l’ENAIP, ho iniziato allora i lavori più diversi legati alla semplice
sopravvivenza, tra cui la vendita rateale delle enciclopedie Einaudi e il
commesso in un negozio di scarpe in viale Piave a Mestre, dove sono
successi tutta una serie di piccoli episodi che racconterò in seguito, poi
sono passato a fare il commesso in un negozio di mobili ironia della sorte
si chiamava Mobilificio F.lli Scarpa.
Ero bravo a vendere e riuscivo a ‘rifilare’ l’enciclopedia quasi a tutti, ma
la cosa non mi piaceva, alla sera avevo l’amaro in bocca. Suonavo il
campanello e venivo fatto accomodare nel salotto buono, dove spesso per
raggiungere il tavolo dovevo usare le pezzuole di lana, per non sporcare il
pavimento, si respirava l’odore di cera e di pulito, sentivi la fatica della
casalinga, e tutto era in ordine con i centrini lavorati all’uncinetto e il
vaso di vetro di Murano. Se c’era un figlio maschio in età scolare la
vendita dell’enciclopedia era cosa certa, non altrettanto se la figlia era
femmina, tutti avrebbero fatto qualsiasi sacrificio pur di garantire un
futuro diverso ai figli, per le femmine ci avrebbero pensato più avanti,
bisognava solo trovargli un buon marito.
Nel negozio di mobili sono entrato come aiuto-commesso e aiutante di
Toni che faceva le consegne. Uno dei miei primi giorni di lavoro ho dovuto
consegnare all’undicesimo piano, un salotto con un divano tre posti di
Cassina, cioè un divano importante, da trattare con cura, io ero di sotto
per cui avevo tutto il peso e dovevo spingere, Toni stava sopra e tirava,
ma soprattutto guidava lungo le rampe di scale facendo bene attenzione
a non toccare mai i muri o i soffitti, arrivati in cima consegnato il divano
e sistemati gli altri mobili, neppure un bicchiere d’acqua ci è stato
offerto.
Regolarmente dove esisteva un ascensore c’era un cartello che ne
vietava l’uso per carico e scarico mobili e un portinaio che controllava che
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il cartello venisse rispettato.
C’erano delle situazioni che non solo ci offrivano da bere ma ci davano
la mancia ci invitavano a pranzo o cena se era l’ora, ci ringraziavano
contenti di avere in casa dei mobili belli, e altre situazioni quelle nelle
case dei ‘ricchi’ dove tutto era dovuto.
Il negozio dove lavoravo era molto grande, diviso in tre settori, una
parte, quella dove lavoravo io dove si vendevano le cucine in legno
massello o le prime cucine firmate da architetti e design, una con in
esposizione i soggiorni e una con le camere da letto e i divani,
rappresentavamo le migliori ditte italiane di mobili.
In mezzo a dividere il negozio di cucine dove lavoravo io dagli altri c’era
un bar, dove facevo colazione e mi prendevo il grappino alle 11 quando mi
alzavo all’alba per andare a fare i picchetti a Porto Marghera, la figlia
del gestore quando eravamo soli si faceva un cono gelato ci costruiva una
riga nel mezzo e si metteva a leccare sorridendomi, con suggestioni che
mi sono arrivate solo molti anni dopo.
I fratelli Scarpa avevano anche un negozio laboratorio a Venezia alle
Zattere, ci sono andato spesso per costruire un tavolo rotondo che una
volta allungato restasse rotondo e ci sono riuscito.
Avevo fatto un tavolo, anzi due prototipi diversi, entrambi che si
allungavano e restavano rotondi e ho capito perché non lo avevano ancora
inventato.
Una volta allungati i tavoli rotondi diventano ovali e si ambientano
perfettamente con le stanze che normalmente sono rettangolari, i miei
tavoli rimanendo rotondi facevano sì che poi non si riuscisse più a
passare, sarebbero andati bene solo per gli arabi o per quelli che
possedevano un castello, o più semplicemente negli ambienti molto grandi.
Molti clienti avrebbero voluto le nostre cucine, ma non se le potevano
permettere,
allora
consigliavo
l’acquisto
dei
mobili
senza
elettrodomestici incorporati, per i quali li mandavo nel negozio di un
amico il quale anziché darmi la percentuale, faceva lo sconto al cliente,
questo fece sì che vendessi moltissimo e di conseguenza avessi molta
autonomia in negozio, anche perché a Toni era stato dato un nuovo
aiutante per le consegne.
Spesso usavo il negozio anche come sede di riunioni politiche o del
circolo culturale o come punto di riferimento e di informazione per gli
spettacoli.
Mi sono iscritto a una scuola serale per geometri, e ho fatto la prima e
seconda e poi la terza e quarta, continuando a lavorare e a fare
intervento politico, ho fatto amicizia con un mio compagno di classe,
Flavio, che a volte mi portava in giro con la macchina del cognato, targata
CD, Corpo diplomatico, quella semplice sigla ti consentiva di violare il
Codice della strada e non solo.
Avevo conosciuto un rappresentante che vendeva quadri ma soprattutto
stampe, in realtà lui non può più offendersi, ma se ci fosse si
arrabbierebbe molto, perché sosteneva fosse l’arte portata al popolo
cioè serigrafie, litografie, acqueforti e altri sistemi di riproduzione che
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consentivano di fare più copie di un’opera d’arte, altrimenti a
disposizione di pochi, garantendone però una certa unicità essendo
numerate e firmate una per una dall’autore.
Non si può dire che organizzassi mostre, ma mettevo delle opere alle
pareti del negozio, sostituendole tutti i mesi, a me abbellivano i locali e
lui ogni tanto riusciva a venderne qualcuna.
Fu così che conobbi suo figlio Piero, diventammo amici e decidemmo di
aprire un circolo culturale, che chiamammo La Comune di cui divenni il
segretario e aumentò il mio impegno nel sociale.
Scriveva Pericle nel 430 prima di Cristo:
Occuparsi nella stessa misura della nostra casa e della nostra città
è per noi un fatto connaturato [...] per noi, chi non partecipa in
alcun modo alle ‘cose’ della città non è certo un cittadino
tranquillo, bensì un cattivo cittadino [...].
All’epoca c’era un forte Partito Comunista assestato sotto il 30%, una
Democrazia Cristiana quasi sul 40% un Partito Socialista che faticava a
stare al 10% e i socialdemocratici al 5%, poi un Partito Repubblicano sul
3%, il Movimento Sociale Italiano che cercava di raggiungere il 10% e il
Partito Liberale Italiano sul 3/4 %.
Insomma, governava sempre la Democrazia Cristiana alleandosi a turno
con qualcuno e avendo l’appoggio esterno di qualcun altro. La Democrazia
Cristiana da sola copriva già tutto l’arco costituzionale avendo al suo
interno le forze più diverse, ognuna con una propria corrente e un
proprio esponente che a seconda delle situazioni prendeva il governo del
partito e poi del paese, con lotte intestine enormi e governi che
cambiavano una volta all’anno.
L’MSI alla sua destra aveva Rauti, con Ordine Nuovo e a seconda dei
momenti altri movimenti, il caos era alla sinistra del PCI dove col
movimento contro la guerra in Vietnam dilatatosi in antiamericanismo e il
sommovimento del Sessantotto le sigle della cosiddetta sinistra extraparlamentare si erano moltiplicate.
Ero andato a una riunione della DC dove interveniva da Roma l’onorevole
Bodrato, che ha iniziato con lo scusarsi perché sarebbe dovuto andare
via dopo l’intervento per altri impegni, mi sono alzato e ho detto che
allora potevamo andarcene via tutti, perché noi eravamo lì perché c’era
lui, si è fermato fino alla fine, ma la cosa non mi è piaciuta.
Per un po’ ho frequentato anche il gruppo che si era formato a Mestre
attorno all’«Annuario Veneto», edito da Marsilio, con Cesare e Gianni De
Michelis, Giorgio Sarto, Stefano Boato e altri, che affrontava
soprattutto i problemi legati alla salvaguardia di Venezia.
L’Italia del dopo ‘boom’ si ritrova a festeggiare il capodanno 1969 alla
Bussola di Viareggio e i giovani che stavano prendendo coscienza si
ritrovano di fuori per lanciare non solo uova e pomodori contro pellicce e
smoking, la polizia interviene e spara, spara proiettili veri, uno dei quali
colpirà alla schiena Soriano Ceccanti, che resterà paralizzato. Tra chi
fugge verso il mare per sfuggire agli arresti, assieme a quelli che
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saranno i fautori della futura lotta continua, c’è anche il giovane Massimo
D’Alema.
Avevo iniziato a frequentare una di queste sigle, i ragazzi appunto di
Lotta Continua, che avevano aperto una sede vicino alla stazione di
Mestre e iniziato a fare interventi nei quartieri e volantinaggi davanti
alle fabbriche, facendo intervento a Cà Emiliani, uno dei quartieri più
disagiati in cui spesso le fabbriche chimiche di Marghera scaricavano
liquami tossici, feci amicizia con Gianfranco Bettin, che abitava in quel
quartiere e condivise le nostre battaglie, ora noto scrittore e consigliere
regionale dei verdi molto sbiaditi nel frattempo dopo la perdita di Alex
Langer.
In Lotta Continua c’era un’area libertaria spontaneista che mi piaceva
molto, ma in realtà prima ero entrato in contatto con delle persone che
avevano costituito il gruppo Democrazia diretta, non sapevo bene cosa
significasse, mi trovavo bene con loro ci si incontrava si discuteva si
andava in giro per il Veneto a scoprire paesi nuovi, incontrare gente
diversa, partecipare alle sagre di paese, a cercare osterie, in una di
queste abbiamo incontrato un tale Guccini che cantava:
Ho visto / la gente della mia età andare via
lungo le strade che non portano mai a niente
cercare il sogno che conduce alla pazzia
nella ricerca di qualcosa che non trovano
nel mondo che hanno già, dentro le notti che dal vino sono bagnate
[...].
E continuava:
È un Dio che è morto / ai bordi delle strade
Dio è morto / nelle auto prese a rate
Dio è morto / nei miti dell’estate / Dio è morto [...]
Cantava quello che noi pensavamo, cantava i nostri pensieri, mi feci dare
l’indirizzo, prima che diventasse il titolo di un suo ellepi, e anni dopo
andai a trovarlo a Bologna.
Il centro di democrazia diretta era a Casanova Staffora, che è una
località nell’Oltrepò pavese, immersa nei boschi e attraversata da un
torrente, dove l’Angela Volpini, una cortese signora che asseriva di
parlare con la Madonna, aveva aperto il Centro di Nova Cana.
Aveva molto seguito tra la gente del posto, ma c’erano anche tanti
ospiti da fuori, all’epoca era controllata da emissari del Vaticano per
verificare se la frequentazione con la Madonna fosse vera, non so come
sia andata a finire ma la comunità esiste ancora, probabilmente la
Madonna ha preso altre strade.
Era un luogo dove si stava bene, divenne col tempo anche un movimento
politico diretto dal dottor Ernesto Baroni, amico o medico della famiglia
Agnelli, il quale elaborò una piattaforma operativa basata su cinque punti:
morale, culturale, politico, economico, giuridico, disposti sia sul piano
orizzontale che sul piano verticale dando vita a una piattaforma di
venticinque punti base, in modo da svilupparne gli aspetti sia da un punto
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di vista proprio, sia dal punto di vista degli altri quattro.
Scriveva Baroni:
… Ciascuna di queste operazioni si articola in modo
autonomo dal centro alla periferia, coprendo gradualmente
tutti gli interessi virtuali della comunità mondiale, delle
singole comunità regionali, delle aree omogenee, dei comuni
e dei quartieri, per incontrare la realtà umana in tutto lo
spessore del suo contesto storico.
Si formeranno così dei gruppi di lavoro per ciascuno di questi
cinque livelli, che a loro volta si collegheranno con i gruppi di
Ciascuna di lavoro corrispondenti alle altre operazioni. Non si
considerano il livello nazionale e provinciale per non far
coincidere le operazioni del gruppo con le strutture del
vecchio tipo di stato nazionale burocratico, che rappresenta
un nodo storico da superare [...].
Non tutto mi era chiaro, ma tornavo a Casanova Staffora appena
possibile, perché c’era un clima positivo che ti faceva sentire bene.
E ogni tanto qualcuno che conoscevo lì, lo portavo a casa dei miei
genitori, una volta arrivai a casa con un nero, un bel ragazzo di colore,
mia madre continuava a toccargli il braccio per vedere se il colore veniva
via. Ci andai anche con Paolo Saccarola, un amico di infanzia che abitava
vicino ai contadini dove mia madre mi mandava a prendere il latte, che
iniziò con l’Angela Volpini a fare l’attore, scoprì la vocazione della sua
vita interpretando Gesù Cristo in uno spettacolo teatrale e approdò in
seguito su RAI 1, a impersonare un cattivo nella “Piovra”, prima di
schiantarsi in una notte romana contro un platano.
Era un attore nato e ottimo musicista, alto, bello, dalla faccia bonaria,
si rovinò i polpastrelli delle dita a causa di uno sciopero della fame
intrapreso perché non voleva fare il servizio militare, all’epoca
obbligatorio, era omosessuale e la morale dell’epoca non lo consentiva.
Ci tornai anche con Piero, prima passammo per Milano a cercare di
capire cosa fosse o chi fossero quelli di «Re Nudo», era una rivista ma
sembrava avesse la pretesa di essere un movimento, organizzava e
proponeva concerti con gruppi indiani e strumenti strani, di cui si iniziava
a leggere e se ne sentiva parlare, ricordo un salone disadorno oscurato
da tendaggi e le ombre di qualche candela, con Paolo Ciarchi seduto su un
tappeto a gambe incrociate, che ci accolse con grande cordialità e ci
illustrò la loro attività.
Arrivammo a Casanova Staffora la sera, con un piccolo manifesto
realizzato da «Re Nudo», dove tutti i personaggi di Disney copulavano
credo si dica così, insomma scopavano fra loro, ve li potete immaginare
Minni con Topolino, Pluto con Pippo, Gambadilegno con Clarabella e
Orazio, Peter Pan con Capitan Uncino... il tutto molto colorato, non ci
avevamo visto nulla di male, creò invece una tremenda discussione
sostenuta soprattutto dal segretario della Camera del lavoro di Mestre
che determinò alla fine la nostra espulsione e per punizione ci fecero
dormire nel fienile attiguo alla casa, e così ebbe conclusione anche
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l’avventura con Democrazia diretta.
Questi compagni del partito comunista sono tutti un po’ bigotti e un po’
attenti a non scontentare nessuno, scrive Giovanna Marini nel suo diario
di viaggio:
“… A Cesena c’è l’Adelchi che ci invita a casa sua, ormai tanto non ci
perde più niente, dice la Marisa, lo chiamano cinès da quando lui ha
difeso Dario Fo al dibattito . Franca Rame lo coccolava, in paese lo
sfottono, dicono che se ne è innamorato, non può più parlare, ormai non
perde più niente a invitarci pure tutti da lui, tanto è bollato. Quando
c’era lo sciopero, il segretario della sezione che abita davanti ad Adelchi
di giorno scioperava per salvare la faccia, ma di notte portava le regalie
al padrone, i polli, il vino, l’Adelchi lo spiava , se ne è accorto e l’ha
dichiarato a una riunione. Ormai non ha proprio più nulla da perdere, è
uno onesto.….”
Carla Lonzi
«La donna senza un uomo è come un pesce senza bicicletta» riportava un
manifesto di rivolta femminile.
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La curiosità era molta la voglia di capire, di sapere quello che succedeva
pure, un giorno andai a Milano per vedere, conoscere, incontrare, Carla
Lonzi, fondatrice di «Rivolta femminile», non so se fosse un movimento o
solo un giornale, abitava nel vecchio centro di Milano, in una casetta a
due piani con un piccolo giardino davanti, prima del suo cancello c’era una
falegnameria con dei mobili fatti a mano e delle sculture di legno, in una
un uomo e una donna si abbracciavano e mi fermai a guardare, nell’attesa
che qualcuno rispondesse alla mia scampanellata, finalmente uscì una
signorina con la crestina in testa che mi chiese cosa desiderassi, cercai
di spiegarle, ma mi sentii dire che la signora non parla con gli uomini...
rimasi interdetto, poi cercai di spiegare che venivo da Venezia, uomo
rimanevo.
Scoprii dopo che Carla Lonzi era una stimata critica d’arte e aveva un
figlio con Pietro Consagra un bravo scultore che aveva lo studio attiguo
alla sua abitazione e il suo approdo al femminismo fu un percorso lento e
combattuto, aveva scritto:
Il femminismo mi si è presentato come lo sbocco tra le alternative
simboliche della condizione femminile, la prostituzione e la
clausura: riuscire a vivere senza vendere il proprio corpo e senza
rinunciarvi. Senza perdersi e senza mettersi in salvo.
Ritrovare una completezza, un’identità contro una civiltà maschile
che l’aveva resa irraggiungibile.
Sosteneva che:
[...] della grande umiliazione che il mondo patriarcale ci ha imposto
noi consideriamo responsabili i sistematici del pensiero: essi hanno
mantenuto il principio della donna come essere aggiuntivo per la
riproduzione dell’umanità, legame con la divinità o soglia del mondo
animale; sfera privata e pietas. Hanno giustificato nella metafisica
ciò che era ingiusto e atroce nella vita della donna [...].
Se la prendeva con Lenin perché così parlava a Clara Zetkin:
[...] la lista dei vostri peccati, Clara, non è ancora terminata. Ho
sentito che, nelle vostre riunioni serali dedicate alle letture e alle
discussioni con le operaie, voi vi occupate soprattutto delle
questioni del sesso e del matrimonio [...] questo è un particolare
scandaloso [...].
Diceva di Reich:
[...] l’orgasmo, contrariamente a quanto credeva Reich, non è
un problema identico per l’uomo e per la donna nella cultura
patriarcale: nel coito uno lo ottiene automaticamente, l’altra
lo ottiene mediatamente [...]. Ma la donna, che proviene
dall’oppressione storicamente protrattasi nei millenni, non ha
alcun paradiso perduto alle spalle e osservando tutti i gradini
dall’animalità all’umanità li vede dominati dal maschio,
dunque dal coito [...].
Poche righe ma profonde credo riescano a rendere il senso della
sua ricerca.
Per una musica diversa
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Mi sono detto meglio darsi alla musica e con Piero andammo a Roma per
scoprire il Folk Studio, ancora nella sede storica di via Garibaldi, che era
poi lo studio di un pittore americano e conoscemmo quello che poi
diventerà un grande comune amico, Giancarlo Cesaroni.
Andammo anche a Milano per prendere contatto con i Circoli La
Comune, nati dopo l’uscita di Dario Fo e Franca Rame da Nuova Scena,
partecipammo a una infiammata assemblea al Comitato Vietnam di via
Cesare Correnti, ora Teatro Arsenale, sull’intervento culturale e le linee
da seguire.
Ironia della vita, in via Cesare Correnti 11 a Milano, di fronte alla
palazzina del Comitato Vietnam, dove ora ha sede il teatro Arsenale, ci
tornerò spesso, molto spesso in futuro, perché ci verrà ad abitare
Rosalba, o forse ci abitava già, ma io non la conoscevo ancora, una bella
ragazza romana, con la quale avrò una bella storia; la conoscerò a Roma
dove verrà a trovarmi nella sede dei circoli e mi innamorerò delle sue
lunghe gambe che apparivano sotto un lungo pastrano e lasciate libere da
un corto gonnellino plissettato.
I Circoli avevano prima di tutto una funzione organizzativa, perché la
polizia iniziava a impedirti l’organizzazione di spettacoli in qualche modo
impegnati o definiti contro il potere o la chiesa o senza il visto della
censura, obbligatorio all’epoca, la creazione di questi Circoli
presupponeva che lo spettatore risultasse iscritto, in questo modo la
manifestazione diventava privata e impediva alla polizia di poterla
interrompere o al questore di vietarla, cosa che altrimenti succedeva
spesso.
Per offesa alla morale cattolica la questura aveva vietato anche lo
spettacolo di Eduardo de Filippo De Pretore Vincenzo, malgrado avesse
ottenuto il visto della censura, ma dava fastidio alla chiesa cattolica.
Il fatto di esserne parte o averne la direzione per le compagnie
teatrali o i gruppi musicali significava poter lavorare o no, all’epoca noi a
questo non ci pensavamo ma gli artisti che ci dovevano campare
ovviamente sì, determinando lotte interne per l’egemonia.
Proseguimmo per Roma per andare a trovare il duca Emanuele Canevaro,
una conoscenza dei tempi di democrazia diretta e dell’Angela Volpini, che
ci chiese di preparare la cena mentre lui si faceva il bagno, la cosa ci
lasciò perplessi, si era creato un clima surreale, cenammo in compagnia di
una principessa arrivata dalla Sicilia e un membro dei Cavalieri di Malta,
con il pollo preparato da noi, non vi dico come, e del cibo portato da loro.
In un’altra occasione ero a Firenze sempre con Piero, non sapevamo
dove andare a dormire e decidemmo di chiamare il duca, Emanuele
Canevaro ci invita ad andare a Certaldo che viene a prenderci alla
stazione, dove troviamo non lui ma dei ragazzi che ci aspettano su una
132 FIAT, arrivati nella villa di Certaldo, troviamo tantissime persone
soprattutto ragazze e scopriamo che il nostro amico era diventato il
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messia italiano di una setta americana ‘I bambini di Dio’.
Devi diventare bambino di Dio se vuoi andare in cielo... cantavano
ragazzi inglesi e americani in giro per Firenze.
Veniamo salutati singolarmente dal guru americano della setta,
temporaneamente in visita che a me dice: « Tu hai Gesù nel cuore!».
I capi, i responsabili andarono a dormire con le ragazze in villa, dopo
una cena a mezzanotte a base di riso e verdure, noi siamo stati mandati
con i ragazzi nelle stalle, in realtà ex stalle ora riattate a dormitorio.
Questo non mi risparmiò il mattino successivo dal dover fare una serie
di inutili incombenze tipo spostare dei grossi vasi di fiori in un posto per
riporli poi nel posto originario, suppongo per non disturbare gli ospiti che
venivano catechizzati.
Venni avvicinato da una ragazza alta con la tunica fino ai piedi che mi
prese per mano e mi portò a sedere sotto un grande albero, mi parlò in un
bell’italiano dal chiaro accento straniero, disse che non dovevo aver
paura, loro erano per l’amore, ero fortunato ad aver incontrato David, il
loro maestro, facevano vita comunitaria si dividevano compiti e lavori, si
tratta di dimostrare il proprio amore per il prossimo nell’opera di
apostolato e proselitismo, vivevano in comunità aperte, di lasciti e
offerte e se avessi voluto potevo fare l’amore con lei, si alzò ed entrò in
casa, fu quasi come un’apparizione, ero tra lo sbigottito e l’incredulo...
andai via assieme a due ragazzi e una ragazza che come me ritenevano il
tutto molto assurdo, mi fermai due giorni a casa della ragazza nel centro
di Firenze.
Al mattino presto venivo svegliato dallo sferragliare delle ruote dei
carretti sul selciato di pietra, stavano preparando i banchi del mercato,
mi sembrava tutto molto più terreno.
Seppi poi che erano stati ospiti delle stalle del duca, nella villa di
Firenze anche Enzo Del Re e Antonio Infantino assieme ad altri artisti
che facevano spettacoli in Toscana.
Conoscemmo anche Giorgio Gaslini che nel tentativo di superare gli
steccati dei generi musicali e nello sforzo di coinvolgere in un rapporto
stretto, autore, esecutore e fruitore dell’opera musicale aveva steso il
manifesto ‘musica totale’. Gaslini aveva scoperto e sottolineava la
funzione sociale del musicista, personaggio non più isolato in un mondo
elitario ma posto in contatto reale con le masse popolari, protagoniste
sempre più coscienti della storia.
Andai a trovare anche Giannozzo Pucci, amico dai tempi dell’Angela
Volpini, nipote del sarto liberale Emilio Pucci con sede in via Puccio Pucci
4, che mi aveva concesso pure un appartamento vicino al duomo di
Firenze per un lungo periodo, dove imparai a conoscere la città e
assistetti a una partita di calcio in costume, andai anche a vedere una
sfilata di moda nel palazzo dello zio.
Mi colpiva sempre il suo portamento, la sua eleganza, la sua
disponibilità, riusciva ad affrontare tanti problemi ma con leggerezza,
era bello, ma non faceva nulla per apparirlo, aveva una eleganza naturale,
spontanea, mi informarono che aveva avuto un terribile incidente in
Francia, era rimasto schiacciato con la sua Citroën due cavalli in mezzo a
due TIR, perdendo entrambe le gambe, aveva ragione ma c’erano
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problemi con l’assicurazione, mi ricordo che pensai « per fortuna che la
sua condizione economica gli permette di farsi fare delle protesi, che gli
consentono, nella tragedia una certa autonomia».
Tornai a trovarlo nella tenuta di Fiesole dove si era ritirato, al pian
terreno c’era un giovane straniero alto e biondo, dall’italiano incerto ma
simpatico, mi spiegò che era ospite del conte e faceva il liutaio e che
avrei trovato Giannozzo Pucci al piano superiore, andai e lo trovai che
cercava di alzarsi dal letto e mi pregò di passargli le protesi, lo feci
cercando di nascondere il mio disagio, una partiva dal ginocchio, l’altra
molto sopra per cui aveva tutto lo snodo del ginocchio, si era impratichito
bene. Riuscì a fissarle senza il mio aiuto, si muoveva in modo un po’
meccanico ma sembrava con facilità, non sono più andato a trovarlo, ho
tante scusanti il lavoro, i soldi, gli amori e non ultimo accompagnare i
compagni nell’ultimo viaggio ma non bastano a eliminare del tutto i miei
sensi di colpa.
Intanto continuavo la mia vita da commesso a settanta, ottanta e poi
novantamila lire al mese, come ho detto avevo lasciato casa e condividevo
l’appartamento operaio con dei compagni, facevo il militante di Lotta
Continua e continuavo con Piero il lavoro del circolo La Comune.
Oltre a Franco e Vally, si erano aggiunti Silvano operaio della Sirma,
Marilena impiegata delle Assicurazioni Generali, mia sorella Lucia che
lavorava in un maglificio, Leda sorella di Vally, l’avvocato Zaffaroni che
all’occorrenza ci difendeva gratis e altri, ai concerti e normali spettacoli,
si erano aggiunti gli spettacoli di Dario Fo e Franca Rame, che
organizzavamo in tutta la provincia.
Ricordo lo spettacolo Fedayn, la rivoluzione palestinese attraverso la
sua cultura e i suoi canti , realizzato con l’OLP l’Organizzazione per la
Liberazione della Palestina, vedeva in scena Franca Rame e sette giovani
palestinesi, i quali dormirono a casa dei miei genitori sconvolgendo mia
madre, vista la loro giovane età e il numero impressionante di cicatrici e
ferite su tutto il corpo.
Partecipavo alle riunioni del Soccorso Rosso, promosso da Franca Rame
per raccogliere fondi e garantire la difesa dei compagni arrestati e a
volte andavo nella loro casa a Cernobbio, sul lago di Como, da Milano
prendevo un treno con sole carrozze letto e il controllore mi buttava giù
alla prima stazione che era appunto Cernobbio, dove avrei dovuto
scendere, ma non c’erano altri treni che fermassero e altre possibilità
per me di arrivarci.
Conobbi il figlio Jacopo che mi propose di fare il giro d’Europa in treno,
non potevo permettermelo sia per il tempo sia per i soldi, so che lo fece
con Gad Lerner, che aveva iniziato a collaborare con loro al capannone di
via Colletta e frequentava il Gruppo Gramsci.
Così racconterà Gad Lerner la sua militanza ad Aldo Cazzullo:
I primi militanti di Lotta Continua che incontrai, quando avevo
sedici anni, furono due torinesi trapiantati a Milano, Paolo Hutter
e Nino Vento. Ci univa la sensibilità comune ai temi delle fabbriche
25
e anche la visione della scuola [...]. Facevo una vita rigida, con
persone più grandi di me, sperimentavo la severità di un gruppo
che si era forgiato anni prima. Mi intimoriva in particolare Guido
Viale, mio superiore perché responsabile della scuola.
Nel 1974 fuggii da Roma verso Milano e la mia fidanzata
reprimendo grandi sensi di colpa. In un bollettino interno venni
indicato alla pubblica riprovazione come indisciplinato e disertore
[...]. Ripresi a fare intervento davanti alle fabbriche, con un
compito ingrato: dopo l’addio di Baglioni e dei centocinquanta di
Sesto andai alla Magneti Marelli a ricostruire il gruppo di Lotta
Continua. Gridavamo nel deserto. Era plumbeo il clima di quelle
fabbriche già tecnologicamente superate: la Breda siderurgica, la
Breda termomeccanica, l’area di Sesto e Crescenzago, gli
stabilimenti della Falk. Erano state le fabbriche del PCI, della
grande CGIL, il cui funzionario di zona si chiamava Antonio
Pizzinato, ce l’aveva a morte con gli estremisti ed era adorato
dagli operai; ma la crisi precoce aveva aperto uno spazio a una
scelta estremista e disperata, come quella di Prima Linea. Sia noi
sia la CGIL eravamo perdenti [...].
Con il ‘maggio francese’ era esploso il Sessantotto, partito in sordina con
piccole occupazioni o contestando ruoli e poteri si è diffuso a macchia
d’olio in tutta Europa anzi in tutto il mondo, unendosi alle battaglie
contro la guerra e contro l’espansionismo americano, contro lo
sfruttamento, investendo tutta la Francia e gran parte delle università
italiane.
Grandi manifestazioni, spettacoli con il Living Theatre e il Brad and
Puppet, concerti di Bob Dylan e Johan Baez , contro la guerra in Vietnam,
stavano attraversando l’Europa, sempre più frequenti gli scontri tra
estremisti neri e rossi, io ovviamente, rientravo nella seconda categoria.
In Italia Leoncarlo Settimelli così cantava in ‘Grecia 67’ il colpo di stato
dei colonnelli :
… E’ quasi l’alba, la notte va / ed uno sbirro sveglia mi dà
Mi hanno messo le manette / e non erano ancora le sette ..
E Gualtiero Bertelli in ‘primo agosto’ cantava gli scioperi degli operai
della Montedison:
…e mentre vi aspettiamo,
servi di chi ci sfrutta,
vi siete finalmente ritirati,
in preda anche voi, per una volta,
alla paura d’essere picchiati.
Se questa è violenza , o padrone,
abbiamo scordato la tua legalità;
solo la tua violenza è legalizzata;
a questa noi opponiamo l’unità.
Ma la canzone più emblematica e più cantata nei cortei è senz’altro ‘La
violenza’ di Alfredo Bandelli, che attraverso la voce di Pino Masi
diventerà l’inno di Lotta Continua:
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… Ma oggi ho visto nel corteo
tante facce sorridenti,
le compagne quindicenni, gli operai con gli studenti:
il potere agli operai! No al sistema del padrone!
Sempre uniti vinceremo, viva la rivoluzione!
La violenza la violenza La violenza la rivolta
Chi ha esitato questa volta, lotterà con noi domani …
Resteranno famosi gli scontri di Valle Giulia a Roma dove il preside di
Architettura chiamò la polizia per fare sgomberare la facoltà, tra i
manifestanti che si distinsero maggiormente troviamo Giuliano Ferrara,
Aldo Brandirali e Paolo Liguori ora in modi diversi al servizio di Silvio
Berlusconi, in realtà c’era anche Paolo Pietrangeli che dopo aver
infiammato le platee di mezza Italia con Contessa ora fa il regista per
Maurizio Costanzo.
Paolo Liguori in realtà sostiene:
[...] A Valle Giulia c’eravamo anche noi, ma non partecipammo agli
scontri con i poliziotti, del tutto impreparati all’idea che gli
studenti non scappassero ma reagissero [...].
Scrive Guido Crainz in Il Paese Mancato:
[...] Le occupazioni si estendono alle facoltà e alle città che fino
allora erano state meno coinvolte [...] le agitazioni si intensificano
dopo che il ministro Sullo ha presentato una proposta di riforma
[...] largamente inadeguata [...] toccava solo in parte lo strapotere
dei baroni e la vecchia struttura delle facoltà e non diceva nulla sul
diritto allo studio [...]. A rendere incandescente il clima sono anche
le aggressioni compiute da gruppi neofascisti con assalti a scuole
occupate, come a Palermo, o ad atenei come a Milano e a Napoli
[...] con la bomba collocata a Genova dove avrebbe dovuto parlare
Melina Mercuri o con l’aggressione a studenti pavesi, infine con le
bombe a sedi del PCI o a librerie di sinistra a Roma a Padova e a
Milano [...]. La situazione è davvero pesantissima e l’Ufficio politico
del PCI incarica Giorgio Napolitano di porre al vicepresidente del
consiglio il problema della repressione poliziesca nell’Università
[...].
Il Sessantotto si estese anche nei paesi del Patto di Varsavia con
manifestazioni e occupazioni che normalmente l’Unione Sovietica
bloccava sul nascere, famosa la ‘Primavera di Praga’ dove per protestare
contro l’occupazione sovietica della Cecoslovacchia lo studente Jan
Palach , si recò in piazza San Venceslao e si diede fuoco, imitando i bonzi
vietnamiti, era il 19 gennaio 1969.
Gesto che Pino Pinelli, il ferroviere uscito dalla finestra del quarto
piano della questura di Milano, il 15 dicembre dello stesso anno, così
commenta: «Non lo capisco. Chi si uccide fugge. Chi rimane continua a
lottare per la sua idea».
Andavo spesso a trovare Marco Fasolato, un ex partigiano, nel suo
laboratorio per la realizzazione di vetri speciali e artistici, lui oltre a
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raccontarci che agenti della CIA a Roma gli avevano rubato il brevetto di
un vetro speciale che è stato, a suo dire, in seguito usato dalla NASA;
Ci raccontava le azioni della e nella Resistenza e garantiva che
all’occorrenza sapeva dove andare a prendere le armi che avevano
seppellito. Raccontava del fascismo, dell’omicidio Matteotti, delle leggi
speciali che consentivano che suoi amici fossero caricati nei treni merci
e portati nei campi di concentramento in Germania, di come a volte si
riusciva a salvarne qualcuno.
Ci raccontava di come avevano fatto le cassapanche col doppio fondo o
le false pareti dove si occultavano ripostigli per tenere nascosti ebrei e
partigiani.
Aveva una casetta-laboratorio a Campalto, subito fuori Mestre, volendo
ci arrivavi a piedi, era diventato un punto di riferimento per menti
inquiete ed insoddisfatte e lui a seconda dell’estro centellinava o
regalava i suoi racconti.
Francesco Guccini cantava:
Son morto con altri cento, son morto ch’ero bambino
Passato per il camino e adesso sono nel vento e adesso sono nel
vento
Ad Auschwitz c’era la neve, il fumo saliva lento
Nel freddo giorno d’inverno e adesso sono nel vento ...
In Italia il 1968 era diventato un 1969 con grandi scioperi e grandi
manifestazioni operaie.
I fascisti erano usciti allo scoperto, protetti, se non alimentati, da
diversi apparati dello stato, sempre più spesso assistevamo ad assalti
squadristici, era sufficiente che ti trovassi nella zona sbagliata con
addosso un eskimo o un giornale considerato di sinistra per trovarti
accerchiato e uscirne massacrato.
Si distrugge l’enorme e fertile piana di Gioia Tauro, nell’omonimo
stupendo golfo con ulivi millenari, per far posto al più grande centro
siderurgico d’Europa, che a oggi non è ancora riuscito a entrare in
funzione.
A Torino corso Traiano diventerà un campo di battaglia durante una
manifestazione sindacale per la casa, dove si inseriscono operai FIAT in
lotta, cittadini esasperati, elementi di Potere Operaio ed estremisti di
destra e la polizia non ancora preparata a questo livello di scontri,
manganella e spara candelotti su tutti.
Così ce lo descrive Nanni Balestrini:
[...] Diecimila persone si riuniscono tra corso Agnelli e corso
Unione Sovietica [...] riusciamo a ricomporre il corteo che
c’avevano disperso all’inizio e svolta per corso Traiano [...] poi
improvvisamente dai poliziotti schierati davanti a noi partono le
scariche di lacrimogeni. Ma un numero pazzesco incredibile che
andavano a finire dappertutto [...] intanto la gente di corso
Traiano si era rotta le scatole per tutti questi lacrimogeni [...]
stavano cominciando a tornare a casa gli edili e gli altri operai che
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abitavano nella zona [...] si unirono subito ai compagni e
cominciarono a buttare materiale edile in mezzo alla strada e
costruire barricate [...] sulle barricate c’erano delle bandiere
rosse e su una c’era un cartello con su scritto Che cosa vogliamo?
Tutto. Continuava ad arrivare gente da tutte le parti [...] ma
adesso la cosa che li faceva muovere più che la rabbia era la gioia
[...] la gioia di essere finalmente forti. Di scoprire che ste
esigenze che avevano sta lotta che facevano erano esigenze di
tutti era la lotta di tutti [...].
Almirante diventa segretario del Movimento Sociale Italiano e Rauti con
una parte di Ordine Nuovo rientra nel partito e l’altra parte fonda a
Mestre, nella mia città adottiva, Ordine Nuovo Rivoluzionario, dove
troviamo Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Martino Siciliano, che nei
prossimi anni diventeranno tristemente famosi.
Emerge con forza il problema delle morti sul lavoro, che così vengono
cantati da Gualtiero Bertelli:
… Il padrone e il gazzettino li chiamano incidenti,
incidenti sul lavoro: è per fatalità!
Ma bisogna aprire gli occhi tutti quanti
Per dire insieme la verità
Si muore soltanto per lo sfruttamento
Che diventa ogni giorno sempre più pesante:
se con impianti vecchi hai ritmi più duri
non sono incidenti, sono delitti :::
E’ fatalità, è l’ironico titolo della canzone di Paolo Ciarchi e Dario Fo:
Io son metalmeccanico e secondo le statistiche
-E’ fatalità, è fatalità
campo cinque sei anni in meno della media normalità.
-E’ fatalità, è fatalità
Devo prendere o lasciare, muoio prima per campare …
Fa sorridere pensare che il principale impegno dell’attuale Presidente
della Repubblica Giorgio Napolitano sia contro gli incidenti sul lavoro.
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La strage e il commissario Calabresi
Si va verso l’unità sindacale, iniziando dai metalmeccanici e dai chimici,
esplodono le prime bombe, i primi attentati alla Fiera di Milano, sui treni,
per fermare, bloccare le lotte operaie, che si stavano unendo con le
proteste degli studenti o semplicemente per sputtanare, diffamare
questo tentativo di unire, di creare un unico fronte, fra operai e
studenti, fino alla bomba del 12 dicembre 1969 alla Banca
dell’Agricoltura di Milano, con attentati anche a Roma e in giro per il bel
paese.
Sarà una orrenda strage che passerà alla storia come ‘Strage di Stato’,
ha colpito a morte diciassette agricoltori, ferendone altri
ottantaquattro, persone inermi che stavano effettuando le loro
contrattazioni nell’atrio della Banca Nazionale dell’Agricoltura, nel
centro di Milano.
Prima, di una lunga serie, la strage di chiara marca fascista, che hanno
cercato in tutti i modi di attribuire agli anarchici e alla sinistra, bloccò di
colpo le lotte operaie e il processo di unificazione sindacale.
Fu firmato immediatamente il contratto dei metalmeccanici, fermo da
tempo.
Mi impegnai molto nella controinformazione e nel diffondere le vignette
di Roberto Zamarin, l’autore di Gasparazzo, sulla defenestrazione del
ferroviere anarchico Pino Pinelli, dal quarto piano della questura di
Milano, avvenuta il 15 dicembre 1969.
In una vignetta si vede un signore col paracadute che bussa alla porta
del dottor Calabresi e chiede «È permesso…?».
In un’altra vignetta lo stesso dottor Calabresi davanti alla finestra
aperta che chiede a Pinelli: «O mangi questa minestra o...».
L’altra vignetta è quella del famoso riconoscimento di Valpreda da
parte del tassista Rolandi, veramente incredibile: erano stati messi
quattro poliziotti in giacca e cravatta d’ordinanza e l’anarchico
trasandato capelli lunghi ci mancava solo il cartello appeso al collo con su
scritto, appunto, ‘Sono io’.
Mi chiedevo e chiedevo come è possibile entrare in Questura col
motorino e uscirne dal quarto piano, per finirne schiacciati sul
marciapiede.
Licia Pinelli pensa che:
[...] Pino è stato il granellino di sabbia che ha inceppato il
meccanismo. Dopo la bomba di piazza Fontana avevano
cominciato la caccia agli anarchici, che erano la parte più
debole [...] la morte di Pino è stata un infortunio sul lavoro,
per loro sarebbe stato più comodo metterlo in galera .con
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gravi imputazioni e tenerlo dentro per anni [...] quello che ho
pensato io è che loro l’hanno picchiato, si è sentito male,
creduto morto, buttato giù dalla finestra. Si sono trovati con
uno così, svenuto, e forse per questo l’ambulanza è stata
chiamata prima, checchè ne abbiano detto. Hanno cercato di
liberarsene buttandolo giù. Così l’ho immaginata allora.
Nessuna sentenza mi ha dato ragione. Ma nessuna sentenza
è riuscita a convincermi del contrario [...].
E dal libro di Sofri su Pinelli riprendo le parole del giudice D’Ambrosio:
[...] all’attento e critico esame degli atti processuali, emerge che,
subito dopo la precipitazione, ci furono da parte dei presenti
reazioni di sgomento dovute non tanto a sentimenti di pietà verso
il Pinelli quanto a considerazioni più o meno conscie delle
conseguenze negative personali che da quell’episodio potevano loro
derivare. Ne sono prova evidente la circostanza che il dottor
Allegra e lo stesso dottor Calabresi non si preoccuparono di
precipitarsi nel cortile e di accertare le condizioni di salute del
Pinelli [...] ma di avvertire il questore.
Credo che una grossa preoccupazione fosse quella di fornire una versione
il più possibile simile tra tutti i presenti nell’ufficio del dottor Calabresi
al momento del tragico evento, e malgrado questo non ci riuscirono, viste
le versioni contrastanti fornite in diverse occasioni.
La stranezza che le indagini siano state subito rivolte a sinistra
soprattutto contro gli anarchici, con l’arresto di Pietro Valpreda e
compagni, risulta più evidente se si va a vedere, che dal 3 gennaio 1969 ci
sono stati nel nostro paese, centoquarantacinque attentati, uno ogni tre
giorni, novantasei sono di riconosciuta marca fascista o perché gli autori
sono stati identificati o per l’obiettivo (soprattutto sedi del PCI e dello
PSIUP), gli altri sono incerti, anche se per gran parte la mano sembra
sempre la stessa, quella fascista appunto, esclusi gli attentati alla Fiera
di Milano probabilmente di origine anarchica.
Ma le indicazioni erano sempre di cercare a sinistra, quando molti
attentati venivano organizzati con la collusione degli stessi apparati che
avrebbero dovuto prevenire, l’ordine era di tenere alta la tensione; lo
scrive lo stesso Paolo Emilio Taviani nelle sue memorie edite dal Mulino:
[...] La responsabilità della strage è interamente dell’estrema
destra e in particolare di Ordine Nuovo, uomini tecnicamente seri e
collegati con settori dei servizi segreti [...] E dopo la strage un
ufficiale del SID da Padova raggiunse Milano per sostenere il
depistaggio sulla sinistra [...].
Parola del ministro dell’Interno democristiano.
Scrive invece il magistrato Luigi Fiasconaro:
[...] di mano in mano che l’istruttoria procedeva, all’incredulità si
sostituì la sorpresa. La sorpresa si trasformò in indignazione
quando andammo a Padova per interrogare la commessa che
aveva venduto le borse usate per collocare le bombe del 12
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dicembre. Da quell’interrogatorio infatti, ci rendemmo conto [lui e
il giudice Emilio Alessandrini ndr.] che non tutte le prove di ciò che
era accaduto erano state trasmesse dalla polizia ai magistrati [...]
raccogliemmo la prova che, subito dopo la strage, i vertici dello
stato avevano indirizzato le indagini soltanto verso gli anarchici
[...].
Contemporaneamente si diffondevano sempre più spesso e con maggiore
consistenza anche voci di tentativi di colpo di stato come in Grecia, c’era
probabilmente in noi, anche molta paranoia, visto che più volte sono
venuti i compagni a dormire a casa, mia madre non ha mai chiesto nulla,
offriva ospitalità garantiva un letto comodo e un pasto caldo, si è sempre
resa disponibile, mi veniva chiesto se potevo ospitare e io rispondevo di
sì, e se non potevo dai ‘miei’ avevo altri amici che potevano farlo e lo
facevano.
Il giudice Salvini in seguito scriverà:
[...] ricordiamoci che non fu affatto un golpe da operetta [...] così
come abbiamo appreso da testimoni di giustizia che strutture della
massoneria facevano parte del piano di quella notte tra il 7 e 8
dicembre del 1970 del principe Junio Valerio Borghese [...].
Nel libro Il giorno della bomba il comandante partigiano, medaglia d’oro,
Giovanni Pesce così ricorda i giorni della strage:
[...] quel 12 dicembre, ricordo mi trovavo in via Vittor Pisani.
All’improvviso, un tuono lontano, breve però: non uno sparo un colpo
secco. Una esplosione arrivata fin dove mi trovavo attraverso
chilometri di strade, di case, di cielo [...] qualcuno accennò a una
caldaia [...] Sul tram della linea 1 che mi portava verso il centro,
però, il discorso della caldaia andò via via spegnendosi man mano
che alle fermate saliva gente nuova [...] poi vidi un commissario di
polizia che conoscevo che mi disse ‘purtroppo è un attentato’ [...]
nella mia non breve vita sono stato in guerra più di una volta e ho
partecipato a parecchie tremende battaglie, ma mai avevo
osservato uno spettacolo tanto terribile: corpi insanguinati,
brandelli di carne disarticolati, mobili sventrati, tavoli rovesciati.
E attorno, tra i morti, documenti e carte, borse e altri oggetti [...]
i funerali delle vittime si svolsero il 15 dicembre. Tutte quelle
bare, con attorno tutta quella gente! [...] Gente venuta lì a
confermare la volontà di tutto il popolo che voleva e vuole
continuare a credere, a sperare nella democrazia e nella
Repubblica.
Quello che accadde dopo è [...] una storia che si dipana attraverso
mille contraddizioni, mille ipotesi tra persecuzioni di anarchici,
suicidi oscuri, indagini bloccate, rivelazioni clamorose, smentite,
morti sospette e ancora indagini, processi interminabili e poi
l’assoluzione di tutti gli imputati [...].
In quegli anni, probabilmente, era stata decisa una strategia diversa per
l’Italia, no al colpo di stato come in Grecia, troppo rischioso vista la
forte consistenza del Partito Comunista e della sinistra, anche se
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tentativi di golpe ce ne sono stati, forse un po’ raffazzonati come quelli
di Egardo Sogno e della ‘Rosa dei venti’, sicuramente nelle stanze del
potere si è detto meglio avviare la strategia della tensione, in questo
modo si spiegherebbe il perenne coinvolgimento di apparati dello stato e
dei servizi segreti, ad attentati, stragi e depistamenti e quando è il caso
nel sostegno diretto ai latitanti.
Strategia che ha modificato la vita di molti e cambiato il naturale
evolversi della storia nel nostro bel paese.
Se noi andiamo a rileggere la sentenza del 21 marzo 1972 del giudice di
Treviso Stiz, vi si trovano tutti i collegamenti tra Rauti, Freda e
Ventura, il deposito di armi, il possesso del timer, il loro coinvolgimento
con prove documentate negli attentati precedenti alla strage, come si
trova la testimone di cui era scomparsa la testimonianza sulle borse che
contenevano gli esplosivi e che lei sostiene e sosteneva di aver venduto a
Franco Freda.
Senza i politici collusi, la stampa connivente, i servizi segreti poi
deviati, i depistaggi, il trasferimento dei processi da una sede a un’altra,
suicidi improbabili e morti certe, sparizioni improvvise di testimoni prima
e di incartamenti poi, ora potremo più facilmente scrivere d’amore, sesso
e libertà e probabilmente non dovremo neanche fare i conti con uno come
il nostro presidente del consiglio, Silvio Berlusconi.
Invece il Canzoniere veneto cantava sull’aria di ‘Povero Matteotti’:
… Te l’han fatta brutta e la tua vita
te l’han tutta distrutta!
Anonimo e innocente, amavi l’anarchia: per questo t’hanno preso
E t’han portato via. In una cella oscura ti hanno interrogato
E poi dal quarto piano ti hanno suicidato
E mentre succedeva tutto questo e Umberto Bindi cercava di cantare
‘Per un piccolo eroe’:
T’hanno dato una medaglia / perché hai vinto una battaglia,
t’hanno detto che sei grande / quando hai perso braccia e gambe
e per questa tua vittoria / t’hanno scritto nella storia. ….
Ho detto cercava di cantare, perché avendo dichiarato di essere
omosessuale faceva molta fatica a trovare lavoro e tantomeno spazi
nell’unica televisione esistente, controllata attraverso la DC dal vaticano.
Nella società montava la protesta, anche contro il servizio militare, e
vediamo giovani come Filippo Nappi che parte da Marghera con il
figlioletto Davide di diciotto mesi, per recarsi a Caserta, non in gita ma
per presentarsi in caserma, al servizio di leva, solo che le caserme non
sono attrezzate per ospitare i bambini e neanche i militari di carriera
sono preparati a queste evenienze e il colonnello riesce solo a fornirgli
una licenza di cinque giorni, per riportare a casa il figlio e viene all’ordine
del giorno il problema del servizio militare e della leva obbligatoria, che
sarà su tutti i giornali il 13 febbraio del 1972.
Perché la mattina del giorno prima, per incapacità dei comandanti,
muoiono a Malga Villalta, nell’alta Val Venosta sette alpini travolti da una
slavina e si pone il problema del ruolo dell’esercito in una società
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attraversata da dure lotte sociali.
Responsabile di sede era diventato Alberto Bonfietti, bella persona che
arrivava da Mantova, grande compagno, ora annoverato tra gli ottantuno
morti dell’aereo, anzi della ‘Strage di Ustica’, e con lui era aumentato
l’impegno nelle fabbriche e nei quartieri, scaturito con un blocco di tre
giorni di Porto Marghera e della stazione di Mestre.
Colonne di fumo nero si alzavano dalle barricate e dai copertoni
incendiati sui binari della stazione, arrivarono Trentin e Carniti da Roma,
si mobilitarono tutti i dirigenti sindacali per raccomandare calma e buon
senso.
Così ricorda quei giorni Michele Boato:
[...] esplodono le fabbriche la Chàtillon è occupata. Si ribellano i
15.000 operai delle imprese che costruiscono i nuovi impianti del
petrolchimico [...] la trattativa fallisce, si alzano barricate con i
camion e i tubi delle fognature, l’accesso alla Montedison è
bloccato, la polizia non interviene subito perché impegnata a
Cavarzere dallo sciopero dei pendolari, gestito sempre da LC [Lotta Continua, ndr.], quando accorrono le camionette della celere non
riescono a fendere un ingorgo di chilometri. Per tre giorni è
battaglia: cariche, pestaggi, la polizia spara e ferisce un operaio,
gli operai rovesciano e incendiano una jeep [...].
Anche Lotta Continua aveva iniziato a predisporre un suo servizio
d’ordine, ricordo Cesare che faceva lezioni di aikido, a cui non ho mai
partecipato, ma era esilarante assistervi, ricorderò sempre Beppe,
operaio alla SIRMA, che non riusciva mai a fare una mossa giusta.
Come non dimenticherò mai la faccia di un celerino che mi rincorre con
il manganello teso, pronto a colpirmi, quando gli cade il cappello e dopo un
attimo di indecisione si ferma a raccoglierlo e io riesco a dileguarmi.
Non esistevano i telefonini e qualche compagno saliva sui tetti per
indicare le vie di fuga libere e dai balconi la gente ci proteggeva,
lanciando qualsiasi cosa contro i questurini del secondo reparto celere,
oppure stracci bagnati e limoni per difenderci dai gas lacrimogeni.
Ci sono in quel periodo, tante lotte, tante battaglie su più fronti, nelle
università con il Movimento studentesco, il primo a predisporre un forte
servizio d’ordine interno, i famosi Katanga, le scuole sono un laboratorio
per tutti i gruppi giovanili, nelle fabbriche dove c’era soprattutto Lotta
Continua, Potere Operaio e Avanguardia Operaia a seconda delle zone,
oltre alla presenza del sindacato e della sinistra storica, l’esercito con i
PID (‘Proletari in divisa’).
Gli innumerevoli arresti di gente politicizzata, portano le lotte anche
dentro alle carceri, insegnando ai detenuti politici i trucchi della malavita
ed offrendo a molti malavitosi un respiro politico e culturale alla loro
ribellione.
A Reggio Calabria, nella rivolta di una intera città, vincono i fascisti
con ‘Boia chi molla’.
Le lotte iniziano a entrare nelle città a fare i conti con le condizioni
abitative, con il costo dei prodotti e l’aumento del costo della vita ma ci
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sono anche piccole conquiste sia come condizioni salariali e di lavoro sia
come condizioni di vita, migliorano i trasporti pubblici, viene approvata la
legge sul divorzio, si organizzano gruppi di donne che vanno a Londra ad
abortire e alcune cliniche iniziano a praticare l’aborto anche in Italia,
nasce l’AIED e si distribuisce la pillola anticoncezionale, si creano
comitati che occupano case e asili, si riducono le ore di lavoro e si dà vita
alle ‘centocinquanta ore’ per consentire agli operai di migliorare la loro
istruzione e prendersi la licenza media; all’epoca requisito minimo per
partecipare a concorsi o ad avanzamenti di carriera.
C’è un grande interesse su quel che avviene nel resto del mondo, le
lotte in Germania dei nostri connazionali che vogliono uscire dalle
baracche, in Portogallo, per l’indipendenza del Mozambico e dell’Angola,
contro il franchismo in Spagna e contro la garrotta che Franco, l’unico
dittatore sopravvissuto alla seconda guerra mondiale, riservava agli
oppositori.
Manifestazioni di solidarietà col popolo greco contro la dittatura dei
colonnelli si alternano a quelle con le lotte del popolo palestinese e contro
la guerra in Vietnam.
Nascevano nuovi giornali e riviste, noi avevamo fatto «Lotta Continua»
quotidiano, dopo essere stato quindicinale e settimanale e aver fatto un
giornale per il processo Valpreda e un tentativo di giornale al sud, Potere
Operaio aveva il suo giornale e Avanguardia Operaia cercava di fare il
«Quotidiano dei lavoratori».
Si volantinava ovunque, oltre ad andare a fare i picchetti in caso di
scioperi e manifestazioni, spesso trovavi ai margini dei cortei o delle
situazioni di lotta chi cercava di venderti «Lotta comunista» o «Servire
il popolo», uno con la testata nera e l’altro rossa.
E Pino Masi cantava:
tutto il mondo sta esplodendo, nel Vietnam si fa la storia,
l’America Latina sta combattendo e Cuba le ha mostrato
la via della vittoria;
In tutto il mondo i popoli acquistano coscienza
E nelle piazze scendono con la giusta violenza, quindi ..
Cosa vuoi di più, compagno, per capire che è suonata l’ora del fucile ….
Mentre Ernesto Bassignano in ‘ compagno dove vai ‘ ci ricorda:
Un giorno in più del nostro padrone
Continueremo questa occupazione.
E’ una lotta dura, ma non è un’avventura
Per questo non abbiamo più paura…
Avanti tutti insieme, avanti alla riscossa,
l’Italia Verde la vogliamo rossa
E pensare che adesso lo stesso Bassignano vorrebbe un’Italia un po’ più
attenta al territorio con una più convinta attenzione al rispetto per la
terra-madre.
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Avevo lasciato il lavoro per poter sostenere l’esame di Stato da
geometra come privatista e superatolo aprii lo ‘Studio centro’ come dire
se vuoi fare centro devi venire da me... dire presuntuoso forse è poco...
ma iniziai a lavorare in proprio, oltre a continuare a manifestare per un
mondo più giusto.
Volevo fare architettura più consono al mio essere geometra ma Piero e
Franco optarono per sociologia a Trento e io mi unii a loro arrivando in
una università da dove erano appena usciti Curcio, Mauro Rostagno e
Marco Boato.
E mentre Rostagno e Boato si impegneranno in Lotta Continua, Renato
Curcio si trasferirà a Milano con Mara Cagol per dare vita al Collettivo
Politico Metropolitano, da cui nasceranno le Brigate Rosse.
Così ricordava quegli anni Mauro Rostagno:
[...] partii per Milano [...] lasciai la casa aperta [...] fu tutto
ridistribuito fra la comunità trentina rimasta. In quei giorni
nasceva Lotta Continua: un’attività travolgente. Cominciai a
reclutare gente che andasse davanti alle fabbriche. Ogni giorno mi
alzavo alle quattro del mattino per andare davanti alla Pirelli. Poi
tornavo a casa, dormivo un paio d’ore, ritornavo in fabbrica verso
le undici ci stavo fino alle tre del pomeriggio. Un panino e tornavo
alle porte alle cinque per l’uscita del ‘giornaliero’. Dopo la riunione,
fra le sette e le otto, andavo a mangiare. Dalle dieci alle undici di
sera di nuovo davanti alla fabbrica per l’entrata e l’uscita dei turni
[...] tutte le ore non passate davanti alla fabbrica le passavo alle
sedi universitarie dove si raccoglievano migliaia i persone per le
assemblee studenti-operai [...].
Racconta Pietrostefani:
[...] che dopo le occupazioni delle case di via Mac Mahon, le
occupazioni di viale Tibaldi, organizzate da Nini Briglia, furono la
svolta per Lotta Continua a Milano. Nel ‘72 la sinistra
extraparlamentare milanese gravitava attorno alla nostra sede di
via San Prospero, quasi ogni settimana [...] venivo convocato dal
questore Allitto Bonanno, che mi trattava con grande cortesia,
forse perché mio padre era Prefetto in carica [...] il commissario
Allegra preparava il caffè e Allitto chiedeva [...] fino a quando
arrivammo alla contrapposizione totale [...].
Il 14 marzo 1972 sotto un traliccio dell’alta tensione a Segrate si
conclude tragicamente il sogno rivoluzionario di Giangiacomo Feltrinelli,
che avevo incontrato pochi mesi prima nei pressi della sua libreria a
Mestre, dove mi aveva espresso la sua convinzione che anche in Italia
avremmo avuto un colpo di stato e dovevamo da subito predisporci alla
latitanza e alla resistenza armata.
Pochi all’inizio credono ad un suo errore durante il tentativo di
effettuare un attentato, i più pensano ad una manovra dei servizi segreti
per far fuori un oppositore particolarmente pericoloso in quanto colto e
ricco.
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Scrive Corrado Stajano nel libro Il sovversivo:
[...] La sera del 5 maggio 1972 né la presenza antica di bellezza e
di arte, né i segni della storia e della cultura servirono a salvare
dalla furia della polizia, tra la bottega del vinaio e quella del
tappezziere, un giovane non alto, ricciuto, gli occhiali da miope, il
viso serio e sofferto, vestito con una giacca marrone, un paio di
pantaloni di lana nera, una camicia con le maniche lunghe dai
disegni di fantasia color giallo arancione. Franco Serantini di
ventanni, sardo, anarchico, figlio di nessuno nella vita come nella
morte [...].
Questo era il clima, quando ricevo una telefonata concitata a casa, per
avvertirmi che è stato ucciso a Milano il commissario Luigi Calabresi, lo
stato d’animo è contraddittorio, da una parte la sensazione che giustizia
è fatta, con l’anarchico Pinelli, uscito dalla stanza del commissario al
quarto piano della questura di Milano, dall’altra come qualcosa che non
torna, noi volevamo chiarezza e giustizia su Pinelli non la morte di
Calabresi, che significa che non ci sarà più chiarezza su quei fatti.
Decido che non c’è nulla da festeggiare ma una nuova giustizia da
ricercare.
Si moltiplica l’impegno nell’evidenziare le contraddizioni della questura
di Milano e delle inchieste in corso.
La questura dopo il defenestramento di Pinelli, ha parlato a più voci
sostenendo tesi diverse e contraddittorie. Addebitando la strage agli
anarchici e dicendo che Pinelli aveva confessato che c’erano le prove
della sua colpevolezza e che il suo alibi non aveva retto, mentre fu
dimostrato che l’alibi era vero, ad esempio Pansa, il giornalista
dell’Espresso, nel suo brutto libro L’utopia armata scrive:
[...] Una morte oscura, ancora oggi mai chiarita. Seguita da
un’incauta conferenza stampa del questore Marcello Guida, dove
Pinelli venne definito suicida e complice nella strage. A fianco del
questore con altri funzionari Calabresi pronunciò appena una frase
‘lo credevamo incapace di violenza, invece.. è risultato legato a
persone sospette’.
Avessero veramente voluto cercare i colpevoli non avrebbe dovuto
essere difficile, visto che un mio amico, fidanzato con la sorella di
Martino Siciliano, mi riferì senza problemi che i colpevoli andavano
ricercati tra i neofascisti e in particolare tra gli amici di Delfo Zorzi,
che comprendevano Freda, Ventura e lo stesso Martino Siciliano.
La sintesi ‘Calabresi assassino’, può sembrare con le orecchie di oggi
eccessiva, ma essendo che dalla stanza del commissario, lo stesso che lo
aveva invitato in questura e lo continuava a trattenere illegalmente, esce
un cittadino anche se anarchico, dalla finestra e le versioni sul fatto
sono molteplici e contraddittorie, ‘la sintesi’ era l’unica possibile per
cercare la verità, mobilitando la pubblica opinione.
Sono convinto che il cattolico Calabresi, lo avessero lasciato arrivare al
processo, lo avessero lasciato vivere, e crescere i suoi figli, si sarebbe
pentito e avrebbe raccontato la verità su quei tragici giorni, essendo lui
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alla fine un servitore dello Stato che cercava di applicare ordini ricevuti
e in realtà era solo una piccola pedina.
Come scrive Giorgio Bocca su «Epoca»:
[...] forse sarebbe opportuno ricordare che Calabresi per quanto
funzionario capace e intelligente, era pur sempre un quadro
intermedio della polizia che sopra di lui c’erano capi della politica
come Allegra, questori, prefetti, procuratori e più su capi dei
servizi segreti come Henke e ministri come Rumor e Andreotti e
che parte di queste alte autorità parteciparono al depistamento e
all’insabbiamento delle indagini sulla strage di stato di cui Pino
Pinelli fu vittima [...].
E Guido Crainz in Il Paese mancato:
[...] Anche una segnalazione che giunge al vertice del PCI nel
giugno 1972 dall’interno delle forze armate [...] ipotizza che Calabresi abbia confusamente intuito dei legami fra gli apparati dello
stato, la pista nera e la CIA; vistosi isolato e in un certo senso
scoperto [...] avrebbe minacciato di rivelarli.
mentre nei cortei si cantava:
quella sera a Milano era caldo /
ma che caldo, che caldo faceva,
brigadiere, apri un po’ la finestra, /
una spinta e Pinelli va giù
La risposta arriva, se la si vuole leggere, con la strage di Peteano, piccolo
paese nei pressi di Gorizia, il 31 maggio 1972, cioè tredici giorni dopo
l’assassinio del commissario Calabresi, vengono uccisi tre carabinieri ma
potevano essere di più.
Le indagini condotte da Dino Mingarelli braccio destro del generale
golpista Giovanni De Lorenzo, vanno subito verso la sinistra e Lotta
Continua in particolare, partendo dal presupposto, sbagliato ma comodo
per loro, che avendo Lotta Continua organizzato la campagna stampa
contro Calabresi ne ha anche organizzato l’assassinio e pertanto anche i
carabinieri di Peteano, sono stati uccisi da elementi della stessa
organizzazione.
Non fa una piega e tutti gridano “Lotta Continua assassina”.
Marco Boato esperto di controinformazione e responsabile giustizia
per Lotta Continua, così ricorda quei fatti:
[...] A Peteano [...] saltarono in aria tre carabinieri. Mi procurai il
rapporto del colonnello Mingarelli, che come prima ipotesi di
indagine attribuiva la strage a Lotta Continua di Trento. Costruii
una rete di avvocati in tutta Italia che venivano a Trento a
difendere i nostri militanti gratis o quasi [...] il primo fu Sandro
Canestrini, ex partigiano, ex comunista che aveva fatto assolvere
Paolo Sorbi [...].
Personalmente sono convinto che i responsabili, per entrambi i delitti,
vadano ricercati nell’organizzazione clandestina Gladio, ammessa dal
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presidente Giulio Andreotti solo nell’ottobre del 1990 e nei nostri servizi
segreti che all’occorrenza vengono definiti deviati, con l’uso o l’apporto di
qualche gruppo o singolo elemento, a seconda dei casi, di estrema destra,
visto, come si dimostrerà, che la strage di Peteano è stata organizzata
da loro, anche i fatti precedenti sono molto più probabilmente, frutto
della stessa strategia.
Come si sa il diavolo fa le pentole e non i coperchi...
Vincenzo Vinciguerra neo-fascista membro di Ordine Nuovo, anni dopo,
confesserà che la strage di Peteano è opera sua e del suo gruppo, rifiuta
di fare i nomi dei complici e si prende l’ergastolo.
Nel frattempo il tribunale di Trento assolve i compagni di Lotta
Continua, per la strage di Peteano, accusa e condanna il colonnello
Mingarelli per falso materiale e ideologico e per soppressione di prove,
condanna confermata in Cassazione nel 1992.
Come il colonnello Dino Mingarelli era il braccio destro del generale
Giovanni De Lorenzo (autore del tentativo di colpo di stato del luglio
1964), così il generale Giovanbattista Palumbo, comandante della
divisione Pastrengo di Milano aveva appoggiato Mingarelli nel depistaggio
della strage di Peteano per attribuire l’attentato ai gruppi di sinistra e
guarda caso lo ritroviamo nelle accuse ad Adriano Sofri e negli
interrogatori del pentito Marino per accusare Lotta Continua della morte
di Calabresi.
La strage di Peteano va nel dimenticatoio e anche le indagini
sull’assassinio di Calabresi prendono la strada dell’estremismo di destra e
del traffico internazionale di armi, per fermarsi in qualche cassetto.
Si respira un clima pesante, tra arresti, scioperi, manifestazioni,
notizie contraddittorie, nel costante tentativo di instaurare un regime
che consenta al padrone di guadagnare, che sembra l’unico imperativo di
quella società.
Clima ben rappresentato ne ‘ il treno che viene dal Sud ’ di Sergio
Endrigo:
Il treno che viene dal sud / non porta soltanto Marie
Con le labbra di corallo / e gli occhi grandi così …
Dal treno che viene dal Sud / discendono uomini cupi
Che hanno in tasca la speranza / ma in cuore sentono che
Questa nuova, questa grande società, / questa nuova bella società
Non si farà
39
Nel frattempo mio fratello era riuscito a diplomarsi e dopo un periodo di
lavoro a Marghera, decise di andare a lavorare in Sardegna, alla cartiera
del Timavo ad Arbatax, sono sempre stato convinto fosse un modo
elegante per andare via di casa.
Andai a trovarlo facendo tappa a Roma, in via delle Vacche 8, dietro a
piazza Navona, una delle più belle piazze d’Italia, ospite di Alessandro
Ojetti e Renato Ferraro, che avevo conosciuto a Venezia in occasione
della presentazione del loro film Marzo 43 luglio 48.
Li aiutai a stendere la moquette in un appartamentino vicino al loro,
scoprendo di essere l’unico a capirci qualcosa, feci anche un massaggio
alla caviglia della padrona di casa, venuta a vedere se i lavori
procedevano e apprezzai le belle mutandine rosse.
Conobbi e frequentai anche degli strani e simpatici hippy, che vivevano
in una specie di comune in un grande appartamento in piazza Navona, ed
erano spesso accompagnati da dei giovanottoni robusti, che non
riuscirono ad impedire che Paul Getty Jr, nipote dell’uomo più ricco al
mondo, venisse rapito, cosa che riuscì ad evitare la figlia dell’avvocato
Gianni Agnelli, che faceva parte dello stesso gruppo e frequentava lo
stesso appartamento.
Erano gli anni dei capelloni, degli alternativi, della musica ribelle, dei
primi spinelli e non solo, della scoperta del proprio corpo e del sesso, gli
anni delle ‘comuni’, il tentativo di una vita comunitaria che riuscisse a
superare le barriere delle convenzioni e delle famiglie.
Sostenevano che bisognava darsi da fare per lavorare al proprio
cambiamento, in modo che il mondo possa essere cambiato, è possibile
realizzare un sistema migliore, solo se si uniscono lo sforzo interiore di
autoliberazione e l’attività esteriore.
Inutile cercare di realizzare qualcosa di nuovo senza saper creare nel
contempo uomini nuovi, contestavano duramente l’assunto del socialismo
istituzionalizzato, che pretende di poter fare la rivoluzione con uomini
vecchi.
La prima ‘comune’ italiana nacque a Ovada, un paesino posto sulle colline
del Monferrato, uomini, donne e bambini vivevano assieme e coltivavano
la terra, e pure gli animali vivevano in modo promiscuo, c’erano le galline
con i maiali e le caprette con i conigli, non davano fastidio a nessuno ma
rompevano le convenzioni e la polizia intervenne in forze.
In Sardegna, ospite di Franco e Maria nel loro appartamento nel
quartiere della cartiera di Arbatax, nei miei giri alla scoperta dell’isola
fui scandalizzato dal tentativo generale di appropriarsi delle spiagge, in
molti tratti di costa c’erano cartelli e filo spinato che ti impedivano
l’accesso al mare, riuscii a entrare in alcuni villaggi solo minacciando di
chiamare i carabinieri – che però non mi stavano particolarmente
simpatici – avendo io diritto di poter raggiungere la spiaggia, anche se
non sapevo nuotare.
Tornai spesso a usufruire della sacra ospitalità dei sardi e della
famiglia Piroddi, che come tutti d’estate si trasferivano armi e bagagli
nelle tende al mare, era come se il paese di Jerzù si trasferisse per due
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mesi al mare creando una tendopoli con nonne e nipoti e i capifamiglia che
si occupavano dei fuochi e di cucinare la carne alla brace, dopo essere
andati a caccia.
INSERIRE FOTO SARDEGNA
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Tra sesso e militanza
Nel 1969 abbiamo assistito anche allo sbarco del primo uomo sulla Luna,
aveva talmente dell’incredibile che c’era chi sosteneva fosse tutta una
montatura della CIA, malgrado la voce di Tito Stagno che dallo schermo
di RAI1 gridava ha toccato! ha toccato! Un minuto prima che la navicella
toccasse veramente la Luna, e ci fu Woodstok.
Doveva essere una tre giorni di pace e di musica da tenersi in una
piccola località, nella contea di Ulster nello stato di New York, Woodstok
fu l’incontro di 500/600.000 giovani che avevano voglia di cambiare, che
non volevano sentirsi soli, che pensavano di avere qualcosa da dire e
cercavano il modo di farlo, che pensavano di non fare peccato stando
nudi a toccarsi nei prati.
Con i primi anni settanta, mentre lo scontro in atto nella società tra
masse giovanili in rivolta e sistema in piena reazione è al culmine, inizia a
diffondersi il ‘rock duro’ dei Led Zeppelin e dei Deep Purple, con
l’apparizione di David Bowie che mette in scena la sua ambiguità
transessuale. Ma è John Lennon a colpire, sia con le sue canzoni
impegnate e con gli inni alla Pace, sia con gli ‘happenings’ assieme a yoko
Ono (nudismo di coppia, slogan pacifisti e sit-in antimilitaristi ..),
diventando l’alfiere del libero amore.
Nel mio piccolo appartamento a Potomarghera ascolto Manuela, la
ragazza con cui divido l’appartamento, esprimere il desiderio di fare un
figlio e lo voleva da me, pur essendo fidanzata con un simpatico ragazzo
che alla politica preferiva il parapendio, poi diceva non te ne devi
preoccupare farò tutto io, te ne dovrai dimenticare, la cosa mi lasciava
perplesso e un po’ inorridito e mi rifiutai.
Su questa decisione probabilmente pesò anche il fatto che ero vergine e
di sesso non ne sapevo molto, non che non avessi avuto delle storie e
intuivo pure il funzionamento, il meccanismo dell’amore profano, ma al
momento opportuno il mio pisello si rifiutava di funzionare forse più o
meno consciamente memore della strigliata della mamma in terrazzo...
Era comunque anche la dimostrazione che le donne desideravano
appropriarsi del proprio corpo, iniziare a decidere in proprio su tutto
quello che le riguardava a partire dalla maternità, probabilmente anche
con degli eccessi.
Scrive Elena Giannini Belotti:
[...] Gli uomini erano assolti dal peccato della masturbazione in
considerazione dei loro prepotenti istinti sessuali [...] malgrado si
dicesse che mandasse in acqua il cervello, danneggiasse il midollo
spinale, rendesse idioti e impotenti [...] ma quella femminile era
talmente oscena da risultare inimmaginabile e dunque non esisteva
[...] la verginità femminile era obbligatoria, nessun maschio
avrebbe accettato una femmina già usata da lui stesso, perché se
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l’aveva fatto con lui l’avrebbe fatto con altri [...].
C’era qualcosa di strano, perché vivevamo gli impulsi sessuali, ci si
toccava con facilità, si iniziava anche a parlare di sesso, di fare all’amore
e c’era anche chi lo faceva, ma guai a parlarne in sezione, guai ad
affrontare il problema su uno qualsiasi dei tanti giornali della sinistra,
era come dato per scontato, qualcuno aveva la passerina qualcuno il
pisellino se riuscivano a metterli d’accordo meglio per loro, ma guai a
dirlo.
In questa Italia dalla ricostruzione al benessere pochi sanno l’inglese,
anche per colpa del doppiaggio che ci presenta tutti i films in italiano
anziché nella lingua madre come avviene negli altri paesi, e arrivano in
ritardo anche le canzoni di Jimi Hendrix, chitarrista che in scena arrivò
a scopare la sua chitarra ed a masturbarla tenendola tra le gambe come
si trattasse della prosecuzione del suo membro.
Oltre a non sapere l’inglese, va detto che tra il lavoro, l’impegno nel
sociale, l’intervento politico e culturale, qualche apparizione a casa, le
presenze all’università di Trento, che con il presalario di cinquecentomila
lire annue (che giravo all’organizzazione), mi aveva dato anche il posto
letto, di tempo, non me ne rimaneva nemmeno per pensare.
Una sera in sede un compagno mi chiama e dice c’è Sofri per te al
telefono, tutti mi guardano... chissà cosa pensano, io non avevo mai
incontrato il capo assoluto di Lotta Continua, mi vuole a Roma per gestire
il coordinamento nazionale dei Circoli Ottobre.
Avevo già dovuto aprire il Circolo Ottobre a Mestre, con conseguente
rottura con Piero e i compagni del circolo La Comune, che nel frattempo
si era imposto in città per il suo intervento culturale, mi stavo
impegnando nella distribuzione del film: 12 dicembre per la regia di Pier
Paolo Pasolini, potevo anche andare a Roma, era come si aprisse una
finestra su un nuovo mondo.
Roberto Zamarin, l’autore di Gasparazzo e delle vignette su Calabresi in
quanto titolare della stanza da cui uscì Pino Pinelli dalla finestra, muore
in un incidente d’auto mentre porta il quotidiano «Lotta Continua» al
nord, si diceva la sua vignetta più bella fosse quella con la didascalia: «La
rivoluzione lavora con metodo» (Marx) dove degli uomini uguali con
tenacia e intelligenza distruggono la gigantesca insegna della FIAT che io
e probabilmente anche lui ora, sostituiremmo col muro di Berlino, questa
era la militanza, richiedeva un impegno totale e a volte stupidamente
rischioso.
Così racconta ad esempio la sua militanza Franca Fossati:
[...] A ventun anni stavo nel movimento studentesco di Capanna, in
un gruppetto operaista dissidente guidato da Andrea Banfi, poi mi
sono fidanzata con Mauro Rostagno, vivevo in una comune con altre
sei persone senza acqua calda e senza una lira, mi arrangiavo facendo
pulizie e posando per un pittore. Finita la storia con Mauro, pensai di
partire per il sud, ma Pietrostefani mi dirottò sulla Germania. Andai a
Francoforte, con Checco Zotti e due ragazzi svizzeri. Facevamo un
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supplemento di «Lotta Continua» per gli immigrati, [...] Durante le
vacanze del 1973 conobbi quello che sarebbe diventato mio marito,
Andrea Marcenaro, e mi fermai qualche giorno in più da lui a Genova.
Mi incontrò Paolo Brogi e mi rimproverò: gli operai stavano occupando
la Ford e io mi perdevo in vicende d’amore. Tornai subito in Germania
[...].
E Franco Travaglini, che ora fa il giornalista in Sardegna, scrive:
[...] A Bologna la divisione fra le due anime del sessantotto è
esemplificata dalla separazione del movimento studentesco in due
gruppi, i Cupi e i Ludici. Per predisposizione caratteriale, io ero nei
Cupi: seriosi, un po’ maoisti, di letture marxiane, mentre gli altri
erano dissacratori sul modello degli Uccelli romani. Si discuteva su
come intervenire nelle lotte in fabbrica, e già si distinguevano i
gruppi: Potere Operaio, dove c’era Francesco Berardi detto Bifo,
Lotta Continua e quelli de «il manifesto»... scelsi Lotta Continua i
cui soci fondatori erano Michele Calafato, Paolo Cesari, Gianni
Sofri, Carlo Degli Esposti [...].
Prima di arrivare a Roma vi voglio raccontare ancora un paio di episodi.
Devo aver avuto un certo fascino, perché pur non curandomi, piacevo
alle donne; me ne ero accorto senza realizzarlo bene quando ho lavorato
nel negozio di scarpe in viale Piave; alcune signore tornavano e
chiedevano di me o aspettavano che fossi libero e si facevano provare più
paia di scarpe, alcune volte anche stivali, amavano farsele mettere e
togliere e nel farlo le toccavo e loro aprivano le gambe, prima solo un
poco, poi facevano balenare le mutandine e poi con un sorriso se ne
andavano.
Non so se riuscite a figurarvi la situazione, immaginatevi la signora
seduta su una sedia comoda, io in ginocchio davanti a lei alle prese con le
diverse calzature, selezionate in precedenza, prova una prendi un’altra,
aiutala ad alzarsi, fai le prove davanti allo specchio, accompagnala alla
sedia e prova un’altra scarpa... uno stivaletto o un gambale...
La signora in questione sorride, allarga le gambe, ti tocca con la punta
del piede, ti chiede tanto per chiacchierare cosa fai nella vita, dove vai
questa sera e allarga le gambe... a volte non le portavano proprio... le
mutandine.
In seguito mi sono masturbato moltissimo, ma allora non capivo, anche
se sentivo uno strano prurito al basso ventre, come ho capito tardi il
tranello tesomi dalle ‘sorelle petroli’.
Erano tre signore, ora si direbbe avvenenti signore, chiamate così
perché padrone di una grossa ditta che commerciava in combustibili, alle
quali avevo arredato un appartamento e avevano più volte inutilmente
sollecitato la mia presenza, poi una mattina passa una delle tre , quella
che avrebbe usato l’appartamento e si sarebbe dovuta sposare a giorni,
per chiedermi di passare da lei per sistemare un tavolo a suo dire
traballante... feci che andare, chiusi il negozio e le diedi un passaggio
sulla mia moto e lei ne approfittò per stringersi per paura di cadere, in
ascensore ebbe un atteggiamento che sarebbe stato inequivocabile per
chiunque, non avesse avuto a che fare con un imbranato di prima
categoria, arrivato in cucina mi stendo a terra per bloccare il tavolo, un
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bel tavolo rotondo di mogano a base centrale e da sotto vedevo lei con
delle mutande nere, grandi ed elastiche, di moda all’epoca e poi la trovai
che mi attendeva distesa sul divano, un bel pezzo della C&B Italia, lei
pure era un pezzo niente male ma il mio pisello non ne volle sapere, la
salutai lasciandola di sasso.
Nel 1972 partecipai all’organizzazione delle giornate del cinema
democratico, la prima e unica contro-biennale cinema autogestita e
organizzata in campo Santa Margherita a Venezia, usando i due cinema
all’epoca presenti il Moderno e il Santamargherita.
Ricordo le discussioni con Citto Maselli e Ugo Pirro, la paciosa amicizia
di Marco Ferreri e l’energica collaborazione di Gian Maria Volontè, la
vitalità di Paola Pitagora e la simpatia di Lou Castel (militante di Servire
il popolo) attore del film Nel nome del padre il cui regista arrivò in Rolls
Royce, creando non poche polemiche.
Tra i films presentati c’era Il giardino dei Finzi Contini e La notte dei
fiori di Gian Vittorio Baldi. Vennero a presentarlo diversi attori e alla
fine della proiezione portai un’attrice molto bella di cui conservo le foto,
a dormire a casa mia immaginatevi il tragitto di notte da Venezia alla
Gazzera, periferia di Mestre, oltre quindici chilometri in due su di una
motoretta ‘cinquanta’, arrivato a casa gli offrii il mio letto misi un
cartello sulla porta ‘Non disturbare’ e io dormii per terra.
Ero diventato amico di molti artisti e pittori, ricordo Armando
Pizzinato, grande uomo, pittore poco valutato all’epoca, gli aveva giocato
contro il fatto che lui comunista avesse venduto una sua opera alla Peggy
Guggenheim, risultando l’unico italiano contemporaneo presente nella sua
collezione.
Frequentavo casa sua dove spesso trovavo il fratello del primo sindaco
di Venezia dopo la Liberazione, anche lui pittore, anche lui ex partigiano
ed era bello ascoltare i loro racconti, rivivere le loro battaglie. Si
discuteva molto anche della salvaguardia di Venezia, del canale di
Malamocco, delle difese contro l’alta marea, della progressiva
eliminazione degli inquinamenti dell’acqua e dell’aria, fino alla necessità di
ridislocazione e allontanamento dalla laguna delle industrie che risultino
incompatibili con la salvaguardia dell’equilibrio ecologico.
Ricordo che queste discussioni sfociarono in una interpellanza
parlamentare da parte di Gianquinto Giobatta.
Incontravo spesso Emilio Vedova, Luigi Nono, (che erano entrati anche
nel Circolo La Comune), Giuseppe Santomaso, Carmelo Zotti, Gianquinto,
Ulisse e tanti altri artisti che lavoravano all’Accademia di belle Arti di
Venezia e da tutti ,quasi sempre, riuscivo ad avere delle opere che giravo
a Michele Guidugli, responsabile del settore quadri e grafiche per il
finanziamento dell’organizzazione, che da lì a poco sarei andato a
condividere.
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La doppia morale
Mi ha sempre colpito all’interno della Chiesa cattolica in particolare, ma
nella società in generale, la doppia morale cioè la capacità di giudicare in
modo diverso lo stesso fatto.
Una famiglia normale, in crisi, chiede il divorzio o la separazione e non
riesce ad averlo, un ricco o potente va alla Sacra Rota cioè l’organo
preposto dalla Chiesa cattolica per gli annullamenti dei matrimoni e il
matrimonio viene annullato, cioè non è mai esistito, senza problemi, basta
pagare. Una ragazza o una signora vuole interrompere – per i motivi più
diversi – la gravidanza, non può, per i preti ci sono percorsi appositi, a
Torino esistono anche degli orfanotrofi per i figli degli ecclesiastici.
Ma queste stesse persone che usufruiscono di queste possibilità, per
poter divorziare o abortire, sono contrarie che diventino un diritto per
tutti.
La cosa più evidente sono i politici tipo Almirante, Berlusconi o Casini
contrari all’aborto, contrari al divorzio per tutti gli altri, loro invece
possono tutto, la Sacra Rota annulla e comunque si risposano, fanno figli,
aiutano ad abortire, vanno a donne, Viva l’Italia!
Le stesse persone che poi attaccavano Palmiro Togliatti per aver
scelto di stare con la compagna Nilde Jotti, lasciando la moglie o come
Fausto Coppi a cui non si è mai perdonato la convivenza con Giulia
Occhini, che i giornalisti avevano ribattezzato ‘la dama bianca’.
Il marchese Camillo Casati Stampa era uno di questi signori potenti,
contrario all’aborto e al divorzio, e ostile a qualsiasi conquista civile che
riguardasse gli altri, membro dell’alta società romana a cui il Vaticano
aveva annullato ben due matrimoni per consentirgli di sposare Anna
Fallarono, di cui ama scrivere:
«Oggi Anna mi ha fatto impazzire di piacere. Ha fatto l’amore con un
soldatino in modo così efficace che da lontano anche io ho partecipato
alla sua gioia».
Oppure: «Oggi al mare ho fatto rotolare Anna sulla sabbia poi ho
chiamato due avieri per fargli togliere i granelli con la lingua».
Ma quando scopre la moglie tra le braccia del giovane missino Massimo
Minorenti, di cui lei dice di essersi innamorata e ospita in casa, quando il
marito è assente, non esita a uccidere moglie, amante e se stesso.
Erede risulterà essere la minorenne Annamaria Casati Stampa, avuta
dal marchese con la prima moglie Letizia Izzo il cui tutore legale, dopo
esserne stato controparte, diventerà l’avvocato Cesare Previti.
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Cesare, figlio dell’avvocato ‘grande fascista’ Umberto Previti, militerà
nelle file dell’MSI, prima di aderire al PLI, e una volta riuscito a essere
nominato unico tutore dell’erede di un patrimonio enorme, non esiterà a
fargli vendere la villa di Arcore e annesso parco al giovane rampante
costruttore Silvio Berlusconi, il tutto a rate e per poco ovviamente e
neppure in contanti ma in cambio di azioni.
I casi della vita.
Pier Paolo Pasolini diceva:
«La morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere
compresi».
Donatella Colasanti, nell’anno dell’assassinio del poeta, riuscì a
sopravvivere e a farsi comprendere, diversamente da Rosaria Lopez che
non superò le trentasei ore di torture morali, fisiche e sessuali inflittegli
da Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira.
Le due ragazze saranno chiuse nel bagagliaio della macchina di Guido,
lasciata sotto casa, convinti fossero morte, una guardia sentirà i lamenti
di Donatella che riuscirà a salvarsi e raccontare quello che passerà alla
storia come il ‘massacro del Circeo’.
Tre giovani della buona borghesia romana legati alla destra, uno dei
quali riuscirà a fuggire e a far perdere le sue tracce per sempre, gli altri
riusciranno a evadere godendo di strane e altolocate protezioni,
continuando a violentare e uccidere.
Doppia morale che emerge con evidente chiarezza ad esempio nella
guerra all’Iraq e al dittatore Saddam Hussein, per l’egemonia del golfo
Persico e dei pozzi petroliferi, come fosse stato l’unico dittatore al
mondo.
Oltre tutto la democrazia americana ha perso per strada i motivi per
cui è intervenuta in forze in un paese straniero, causando una ripresa del
terrorismo internazionale. Non si sono mai trovate le tanto decantate
armi chimiche ma capannoni pieni di sagome di missili e carri armati in
carton-gesso e o cartapesta realizzati da una ditta piemontese.
FOTO CASATI STAMPA
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Lotta Continua
La sede di Lotta Continua nazionale era a Roma dietro al ministero della
Pubblica istruzione, sulla salita iniziale di via Dandolo al numero 10, il
coordinamento nazionale dei Circoli Ottobre era al 51 di via Mameli, a
metà via sulla sinistra partiva un vicolo dove trovavi la storica insegna del
Folk Studio di Giancarlo Cesaroni, risalendo via Mameli lambivi il
Gianicolo e il Parco della Rimembranza, percorrevi via Garibaldi in discesa
e sotto l’arco di porta Settimiana iniziava via della Lungara.
In un vicolo a fianco delle carceri mi era stata data una stanzetta
composta da un tavolino sghembo, un letto con la rete rotta e un
materasso di lana con i grumi, una sedia spagliata ossia con la paglia
rotta, il tutto era nel quartiere di Trastevere e ci si sentiva tanto
rivoluzionari.
Ero ospite di un compagno dell’amministrazione, il Brunaccioli, punta di
diamante di un gruppo di compagni viareggini, tra cui spiccavano il
Franceschini e il Simoncini.
Alla sera si sentivano le donne gridare dall’alto del Gianicolo,
comunicavano con i loro cari in galera e il rito si riproponeva uguale tutte
le sere, tranne la domenica che era di pomeriggio, a mia volta mi sentivo
un po’ prigioniero, non avevo soldi, Lotta Continua passava settantamila
lire al mese quando le passava ma dovevi vestirti e mangiare e avevo mal
di denti.
Un amico radicale mi mandò da Giancarlo Arnao, un dentista con uno
studio molto grande e luminoso all’Aventino, uno dei sette colli di Roma,
con per assistenti due ragazze svedesi bionde e carine, che per
devitalizzare un dente mi chiese sessantamila lire, sessantamila lire
difatti corrispondenti a un mio mese di lavoro.
Fu solo allora che scoprii che i denti si potevano curare, ero abituato
con mio padre che mi portava dal dentista della mutua e via il dente via il
dolore, non riuscirò mai a dimenticare un grasso e grosso dentista della
mutua di Mestre che mi tolse un dente sano rompendolo in sette pezzi
perché non voleva venire via...
Arnao, con molta pazienza mi spiegò che i denti si dovevano salvare e
ricostruire e io gli spiegai che prendendo dall’organizzazione in cui
militavo settantamila lire e neppure tutti i mesi, non potevo pagarne
sessantamila solo per devitalizzare un dente e fu così che il dottor
Arnao iniziò a dedicare un giorno alla settimana, il giovedì, alla cura dei
denti dei compagni, ovviamente gratis.
Alla sede di Lotta Continua si entrava attraverso una porticina ricavata
da un enorme portone in ferro, per consentire l’entrata anche dei camion
per la consegna della carta alla tipografia annessa, dove si stampava
48
appunto il quotidiano «Lotta Continua», se per caso non c’era nessuno
cioè se Diano si era assentato dal gabbiotto della portineria, venivi
assalito da due mastini napoletani, Cuba e Assassino, io ero uno dei pochi
che i cani rispettavano e non si sono mai permessi di mordere, assieme
alla loro amica Laura De Rossi che li accudiva con fare materno e
probabilmente passava ai cani la sua rabbia, rendendoli inavvicinabili.
Avevo trovato ospitalità a casa del figlio dell’urologo Bracci, medico
curante del Papa Paolo VI e del Presidente della Repubblica Giovanni
Leone, marito di Donna Vittoria, al quale dissi che alla BNL si erano
rifiutati di aprirmi un conto corrente, mi disse di tornare il giorno dopo.
Tornai con i miei bollettini da mille o duemila lire per un totale di ben
122.200 lire, fui ricevuto subito dal direttore e mentre si scusava mi
faceva preparare gli incartamenti, ero trattato molto meglio di Gian
Maria Volontè, che aveva il conto nella stessa filiale e dopo il teatro di
strada, aveva avuto successo con il cinema di impegno e quando poteva ci
aiutava.
Conobbi Nancy una compagna americana che parlava benissimo l’italiano
la quale ebbe la pazienza di tenermi con sé tre giorni e mi insegnò a fare
all’amore.
Fu molto dolce e paziente, mi fece vedere, toccare e leccare il suo
organo, mi spiegò che si poteva raggiungere il piacere in tanti modi e non
serviva obbligatoriamente la penetrazione e anche se il mio pisello non
voleva saperne non importava nulla, era sufficiente che lo volessi io.
Mi insegnò a farla venire leccandola, fumammo io e la sua figa un sigaro
cubano, di quelli belli lunghi e abbastanza grossi, prima le leccavo un po’
la passera in modo che si inumidisse poi iniziavo con inumidire la punta del
sigaro in vagina e fumavo io, poi la vagina riusciva a tirare meglio di me e
non tossiva neppure, quindi il mio pisello senza che nessuno facesse nulla
iniziò a chiedere spazio, a pretendere attenzione, all’inizio veniva quasi
subito, ma anche a questo rimediò da solo, riuscendo a garantire delle
prestazioni ritenute sufficienti a soddisfare la bella fighetta di Nancy.
E anche lei nel suo insieme espresse il suo gradimento, invitandomi a
trasferirmi a casa sua per approfondire la conoscenza della sua
meravigliosa passera, a volte con la panna montata, a volte con i frutti di
bosco o semplicemente per gustare un buon prosecco.
Francesco De Gregori, che avevo difeso dall’attacco dei compagni della
Magliana che pretendevano continuasse a esibirsi gratuitamente, e da
quello più grave dei giornalisti di lotta continua, mi aveva portato al
Cenacolo, un locale subito fuori Roma, dove la RCA dava appuntamento a
tutti i suoi artisti una volta alla settimana, si beveva, si mangiava e ci si
raccontavano le novità scambiandosi pareri e informazioni, magari
qualcuno presentava qualche nuova canzone.
La ritenevo un’iniziativa positiva anche se molti a partire da Lucio
Battisti la snobbavano, io ebbi l’opportunità di conoscere oltre a Morandi
e Laura Efrikan, Rino Gaetano che era nella stessa etichetta
discografica di De Gregori e Venditti, La IT di Vincenzo Micocci, ma non
ci eravamo mai incontrati, diventammo quasi amici, anche se non
collaborammo mai, questa la canzone che fece al Folk Studio:
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Quel giorno Renzo uscì, andò lungo quella strada
E una Ferrari contro lui si schiantò
Il suo assassino lo aiutò e Renzo allora partì
Verso un ospedale che lo curasse per guarir
Quando Renzo morì ero al bar
La strada era buia si andò al San Camillo
E lì non l’accettarono forse per l’orario
Si pregò tutti i santi ma si andò al San Giovanni
E lì non lo vollero per lo sciopero
Quando Renzo morì ero al bar
Era ormai l’alba andarono al Policlinico
Ma lo si mandò via perché mancava il vicecapo
C’era in alto il sole si disse che Renzo era morto
Ma neanche al Verano c’era posto
Quando Renzo morì io ero al bar
Al bar con gli amici bevevo un caffè
Rino Gaetano morì a Roma il 2 giugno 1981, si schiantò alle tre di notte
con la sua Volvo contro un camion, alcuni giorni prima ebbe un incidente
simile, ne era uscito illeso e aveva comperato una macchina uguale.
Venne prontamente soccorso e portato al Policlinico che rifiutò di
curarlo, l’ambulanza fece tappa in altri quattro ospedali che lo
rifiutarono, solo al Gemelli ricoverato vi morì.
Sembra la sua canzone, come se avesse cantato la sua morte.
Da Milano dove oramai vivevo andai a salutarlo per l’ultima volta in una
chiesa sul lungo Tevere, piena di gente sbigottita e incredula e pochi
colleghi. Ricordo Dalla e De Gregori e il mio amico Micocci, molto provati
non solo per la morte di un amico, ma per la scomparsa di un sicuro
talento.
Andai a vivere in via Garibaldi 22 a casa di Nancy, sopra un ristorante
frequentato da Sandro Pertini e altri esponenti della sinistra
tradizionale e di fronte alla prima sede del Folk Studio e iniziammo un
rapporto intenso, lei aveva tre lauree insegnava ed era un’ottima cuoca e
una grande amante a cui piacevano giochi strani e una volta al mese si
scopava uno dell’amministrazione.
Casa nostra era molto frequentata perché finalmente si mangiava,
conobbi così molti compagni ma soprattutto tante compagne, molte
dall’estero, Svezia, Norvegia, Germania e iniziai a sentire parlare di
femminismo e ad avere quelle risposte che Carla Lonzi, non mi aveva dato
anni prima a Milano.
All’inizio di via Garibaldi abitava Alan Sorrenti, di fronte Paola Pitagora
aveva una bottega laboratorio di vestiti usati, dove spesso incontravi
Renato Mambor membro con Pino Pascali e Jannis Kounellis del gruppo di
‘artisti maledetti’, in vicolo del Cinque poco sopra piazza della Scala
abitava Gian Maria Volontè con la sua stupenda compagna, in piazza
Santa Maria all’ultimo piano ci stava Bud Spencer, col quale però non
riuscimmo mai a instaurare un rapporto, malgrado la moglie del
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produttore dei suoi films fosse una nostra simpatizzante.
Nella piazza c’erano due ristoranti da Galeazzi, dove andavo a mangiare
con Antonello Venditti mentre nell’altro ci andavo con Francesco De
Gregori, che abitava in via del Mattonato a duecento metri da casa mia e
a quattrocento dalla sede dei Circoli Ottobre.
Giaime Pintor abitava con la sorella Roberta e la madre, sopra quello
che noi chiamavamo il ‘bar dei carabinieri’, perché sempre pieno di
‘caramba’, ai piedi di via Dandolo dove abitavano anche Roberto Ciccuto
con Monique e il regista di documentari Antonello Branca che lavorò a
lungo con i Circoli.
In piazza San Cosimato Maurizio Panici e altri compagni avevano aperto
Il Cielo, ora Teatro Argot, e Ambra un negozietto di vestiti usati.
In uno dei vicoli dietro piazza Santa Maria, c’era Spaziozero un locale
dove si sperimentava teatro e in vicolo del Moro Aichè Nanà, la
spogliarellista che aveva fatto scandalo a metà anni Sessanta per aver
esposto il seno a un gruppo di intellettuali, aveva aperto un suo spazio di
ricerca teatrale e subito sopra Cesaroni aveva spostato il Folk Studio
dopo che Harold Bradley se ne era tornato in America.
Quando venne a Roma sollecitata da me, Lidia Ravera andò ad abitare in
vicolo della Scala, dove tentò il suicidio il giorno che Giaime Pintor sposò
la mia compagna.
Trastevere il mondo in un quartiere.
Riuscii a coinvolgere nel lavoro dei Circoli Ottobre, Giaime Pintor e
Marco Lombardo Radice, l’uno magro e alto con un naso enorme e dei
capelli molto lunghi e sottili, l’altro massiccio con una testa riccioluta e
un’espressione dolce, due persone magnifiche di una intelligenza e una
sensibilità rare, collaboravamo a «Ombre Rosse» di Goffredo Fofi, alle
riunioni partecipavano anche Marino Sinibaldi e Gianfranco Bettin,
facevamo in proprio un bollettino di coordinamento e un giornaletto
«Cominciamo a far le prove», usavamo le vignette di Renato Calligaro
friulano gentile vissuto a lungo in America Latina, in questo nostro
giornaletto fu pubblicata la prima embrionale storia di Rocco e Antonia
che poi divenne Porci con le ali.
Non siamo mai riusciti a fare una nostra radio, collaboravamo con radio
città futura e editavamo e diffondavamo tanti dischi a partire da quelli
di Lotta Continua con i testi del Canzoniere del Proletariato, in realtà
quasi tutte le canzoni erano scritte da Alfredo Bandelli, quelli di Enzo
Del Re, rigorosamente 33 giri e mono ( cioè non stereo perché secondo
lui i proletari non avevano gli apparecchi!), e quelli di Pino Masi e inoltre
avevamo diversi Canzonieri sparsi per l’Italia, Pisa, Viareggio, Napoli,
Cosenza, Genova, il Victor Jara di Firenze animato da Davide Riondino e
Daniele Trambusti, il Circolo Ottobre di Mantova dalle innumerevoli
attività di cui ricordo la fiaba: L’asino con il corno serigrafata a colori sia
in italiano che in dialetto.
Con un compagno di stampa alternativa duplicavamo le cassette e non
solo quelle dei nostri autori.
Andai a Milano nella soffitta di Nino Vento, dove abitava Lidia Ravera
per chiederle se veniva a Roma a fare «Il Pane e le rose», una sua
rivistina che si occupava di cose strane come la sessualità, il fare
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all’amore, il problema dello stare assieme, delle donne e lei venne.
Erano anni strani che vivevamo con serenità e frenesia, facendo cose
eccezionali, convinti assolutamente convinti che avremo fatto la
rivoluzione, trovando tanta umanità e disponibilità, le stesse cose ora
sarebbe improponibile il solo pensarle.
Avevamo il Teatro Operaio specie di canzoniere militante guidato da
Piero Nissim del Canzoniere Pisano, una sezione cinema coordinata da
Sandrino, ora un grande fonico, con cui lavoravano Alessandro Ojetti,
Renato Ferraro, Antonello Branca e tanti altri, tra cui Nino Bizzarri che
vinse anche un premio al Festival di Berlino, con una nostra produzione.
Non posso non citare il furgone realizzato con Roberto Faenza, di cui
ricordo un unico viaggio Napoli–Torino–Trento, la genialità consisteva nel
fatto che erano state modificate le sospensioni, svuotato l’interno e
inseritaci una moviola con annessi e connessi in modo che mentre il
furgone si spostava da una località all’altra, l’operatore riusciva a
sviluppare e montare il materiale girato.
Questo permetteva una volta arrivati a destinazione, nel nostro caso a
Torino, di far vedere agli operai della FIAT le manifestazioni degli
operai di Pomigliano, e così di seguito nelle tappe successive, in teoria
questo furgone avrebbe dovuto essere sempre in movimento, non avevano
ancora inventato Internet e neppure Berlusconi.
Si lavorava con il Collettivo Nuova Scena cioè con quelli rimasti dopo la
scissione dei Circoli La Comune di Dario Fo e Franca Rame, che si erano
legati ad Avanguardia Operaia, il Collettivo di Silvano Piccardi presentava
uno spettacolo sulle Barricate di Parma anzi il titolo era:
Parma 1922: barricate! Come un popolo sconfisse i fascisti .
Di cui riporto La canzone delle idee giuste:
Le idee giuste Non crescono sui rami
Le idee giuste Non sono come fiori
Che raccogli passando per strada
Ma sono frutto del mondo in cui stai
Non si nasce né santi né eroi
Non si nasce col timbro del genio
Si diventa pian piano col tempo
Quel che impone la necessità [...]
Con Lisi Natoli, che aveva aperto con Silvana e altri compagni romani, nel
quartiere di Testaccio un tendone, creando una spazio teatralmusicale
denominato Spaziouno o spaziozero, organizzammo un giro del Brad and
Puppet, gruppo americano che lavorava con dei pupazzi enormi e faceva
animazione contro la guerra in Vietnam.
Memorabile il viaggio a Napoli su di un furgone scassatissimo, fummo
accolti da una selva di bambini, ragazzini e di donne entusiasti,
realizzando lo spettacolo nei vicoli del centro e alla mensa dei bambini
proletari, che garantiva non solo un pasto ma anche un’istruzione di base
ai ragazzi di strada, aperta da Goffredo Fofi con Cesare Moreno e altri
compagni e sostenuta da alcuni ricchi simpatizzanti milanesi.
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Tra i tanti documentari prodotti, ricordo quello per la mobilitazione sul
divorzio, realizzato assieme a un signore romano che si era inventato una
macchina che animava le figure, le faceva muovere, usammo molti
originali della propaganda elettorale della Democrazia Cristiana nel
dopoguerra, ero riuscito a farmeli dare da Vladimiro Dorigo, responsabile
dell’archivio storico della Biennale di Venezia.
Alla vittoria del referendum promosso dalla Democrazia Cristiana di
Fanfani, per eliminare la possibilità di divorziare, Carlo Cagni, bella
persona e grande disegnatore, figlio del segretario democristiano
Zaccagnini, festeggiò mettendo fuori dalla sua mansarda la bandiera
rossa, gli fu tolta dopo cinque minuti dai servizi segreti: abitava di
fronte al Senato della Repubblica e non era concepibile che nei pressi ci
fosse una bandiera rossa.
Durante la campagna per il referendum per il divorzio devo aver fatto
qualcosa ritenuta grave perché venni spedito, per punizione, dal
responsabile organizzativo, Paolo Brogi, a fare intervento politico in
Sardegna. Ero ospite nella casa estiva del padre di qualche compagno, mi
trovavo benissimo, finalmente una dimensione di normalità ma venni
richiamato dopo poco e dovetti rientrare a Roma.
C’era Enzo Del Re musicista da Mola di Bari, che suonava le sedie o gli
scatoloni e componeva canzoni genialmente assurde e girava a diecimila
lire a spettacolo più tremila lire per le medicine e il rimborso del viaggio
di sola andata perché per lui comunque era sempre e solo un andare, con
una valigia di dischi e una di vestiti e giornali.
Dice di lui Corrado Sannucci:
Nonostante la povertà dei mezzi tecnici l’effetto finale era
ammaliante, si portava dietro come eredità l’effetto ipnotico delle
percussioni, [...] su questa base si poggiava il canto di una voce
morbida, profonda, con una sillabazione netta, scandita [...] Le
canzoni erano ironiche, prive di qualsiasi pesantezza ideologica
fare “l’amore alla catena di montaggio è un modo nuovo di fare la
revoluciòn” cantava [...].
Solo che si rifiutava di salire in automobile o anche su di una moto,
viaggiava a piedi o solo sui mezzi pubblici, che però si rifiutava di pagare
perché avrebbero dovuto essere gratis, come a Bologna diceva, e non
c’era spiegazione possibile neppure che stavamo lottando proprio per
questo; finché a Roma lo fermarono i controllori e lo denunciarono anche
per offese a pubblico ufficiale, si prese otto mesi per non voler pagare le
cinquanta lire del biglietto...
Lo ospitai per un periodo a casa mia, è un modo di dire, a casa di Nancy,
solo che mangiava esclusivamente riso e non c’erano mediazioni possibili,
oltre a usare poco la saponetta, era di una rigidità estrema senza
mediazioni e a qualsiasi appunto ti rispondeva con citazioni del
presidente Mao o di Fidel Castro.
Pino Masi battitore libero, sempre diviso tra Pisa e la Sicilia,
cantautore ufficiale di Lotta Continua usava in realtà le canzoni del
Bandelli che non usciva dalla sua Pisa, organizzava con la nostra
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supervisione, megaconcerti in cui di volta in volta riusciva a coinvolgere
nomi noti da Lucio Dalla a Gaber a Bennato, aveva lavorato anche con
Dario Fo nel Ci ragiono e canto n° 3 e collaborato all’organizzazione del
primo concerto di Fabrizio De André.
Avevamo organizzato una mini tournée con la Comuna Baires, gruppo
teatrale che arrivava dall’Argentina e si stabilirà a Milano, che suscitò
innumerevoli discussioni essendo quello della Comuna un teatro molto
forte e duro, dove se il copione prevede ci si debba picchiare ci si picchia
veramente, ricordo ancora il loro spettacolo a Venezia all’università di Cà
Foscari con il pubblico diviso in due fazioni che per poco non arrivavano
alle mani.
Ero riuscito ad organizzare anche alcuni concerti con Toni Esposito.
Una mattina mi trovai in ufficio James Senese un ragazzotto riccioluto
e nero che parlava napoletano e con questa sua bella parlata mi spiegava
che aveva fondato o stava fondando i ‘Napoli Centrale’ e che erano
disponibili a lavorare con noi e io scoprii, grazie a lui, i figli della guerra
cioè i figli dei soldati americani di colore e delle ragazze napoletane
concepiti nelle giornate della liberazione di Napoli dal fascismo.
Ci fu l’11 settembre del 1973, il colpo di stato in Cile, dove il generale
Augusto Pinochet, con l’aiuto e il sostegno del governo americano,
assalterà la sede del governo uccidendo il Presidente socialista,
democraticamente eletto Salvador Allende. Il nostro compagno Paolo
Hutter resterà prigioniero nel campo sportivo, trasformato in lager, per
più di un mese e per noi sarà una mobilitazione continua.
La Comunità dell’Isolotto di Firenze organizzò una veglia e tutta la
comunità riunita in piazza cantò Se questa terra lo chiede, il canto di
Unidad Popular:
Se questa terra lo chiede / dobbiamo essere noi
Quei che sollevano il Cile. Avanti, diamo una mano!
Vogliam spezzar le catene / riprender quello che è nostro,
resisteremo insieme / uniti ad ogni costo.
Stavolta non si tratta / cambiare un presidente,
nel popolo si crea / un Cile differente.
Venite tutti a unirvi: / la nostra porta è aperta
E l’unità popolare / sarà la nostra forza
Lo yankei cacceremo / con le sue torbide trame
Con l’unità popolare / riprenderemo il potere [...]
Hutter lo ritroverò poi, negli anni Novanta, a fare l’assessore ‘verde’ al
Comune di Torino, mentre io con fatica cerco di far passare una nuova
idea di teatro che non sia solo un momento di consumo ma un momento di
vita, di condivisione.
Mi capitava di andare in giro per l’Italia a fare incontri e riunioni,
andavo spesso a Viareggio, dove c’era un forte Circolo Ottobre che
portava il nome di uno dei più bravi carristi e animatori del carnevale che
faceva ricca la città nel periodo invernale, e andavo a dormire all’Uliveto
ospite dell’Umberto Franceschini, detto ‘il macellaio’, perché era il suo
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mestiere da generazioni e lo svolgeva con passione, facendo diventare la
sua bottega punto di incontro e di riferimento. E dove si incontrava
spesso Sandro Luporini, Giorgio Gaber e molti giovani artisti d’arte
contemporanea ora famosi.
Ricordo con piacere i viaggi a Palermo... partivo con l’aereo economico
della notte e attendevo l’alba in piazza Marina, ammirando alberi secolari
dove i rami si confondevano con le radici, respirando l’aria che arrivava
dal mare, pensavo che vivevamo in un paese unico, meraviglioso e lo
stavano distruggendo con raffinerie di petrolio e impianti petrolchimici.
Aspettando l’alba mi sembrava chiaro che l’Italia dovesse essere la
patria dell’eolico, delle energie alternative grazie al sole, all’acqua e al
vento di cui era ricca ed essendo circondata dal mare mi vedevo porti
come stazioni, dove ferry boats caricavano camion e macchine per
lasciarle nella stazione successiva.
Una volta che mi fermai a dormire venni svegliato da una donna
bellissima tutta nuda, castana naturale, che mi chiedeva se mi serviva
qualcosa, ricordo che risposi grazie vengo a prendere il caffè in cucina, la
ritrovai vestita, forse era il frutto dei miei sogni.
Il Circolo Ottobre di Milano era rappresentato da Gigi Noia e
Schianchi, attraverso i quali conobbi Gianni Sassi, il quale era un genio
della comunicazione e stava costituendo una nuova casa discografica, La
Cramps, il primo gruppo furono gli Area, di una potenza travolgente con
un cantante Demetrio Stratos che era una forza della natura, iniziammo
a collaborare organizzando come Circoli Ottobre i concerti degli Area,
cercando di distribuirli ovunque, ed essendo la loro musica una
mediazione tra il rock duro e l’impegno politico, normalmente
funzionavano molto bene.
A Milano, Romano Frassa e altri compagni daranno vita anche al
Collettivo Cinema Militante, grazie al quale saranno documentate molte
manifestazioni dell’epoca, anche se non ci sarà mai un intervento a favore
della televisione, come ci sarà per le radio libere.
La prima radio fu, credo, ‘senza chiedere permesso’ di Roberto Faenza
e altri compagni realizzata su una roulotte posizionata su una collina
bolognese, poi si diffusero a macchia d’olio obbligando la corte
Costituzionale a regolarizzare la liberalizzazione dell’etere nel 1976.
Nel marzo 1973 tutto il Piemonte è colpito da scioperi, Torino è invasa
da cortei improvvisati fino al blocco e alla occupazione totale di tutta la
FIAT, emergono le avanguardie operaie legate a Lotta Continua.
Il 12 aprile 1973 l’agente di polizia emigrato dal sud Antonio Marino
resterà ucciso a Milano durante l’assalto di elementi dell’MSI e
dell’estrema destra contro il blocco dei poliziotti, si scoprirà il
responsabile nella persona di Vittorio Loi, figlio del famoso pugile Duilio,
si cercherà di dare il minor risalto possibile alla notizia cercando di
confondere le cose, non si può lasciare che si dica in modo chiaro che i
fascisti uccidono i poliziotti.
Il ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani, scioglierà Ordine Nuovo,
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con l’accusa di ricostituzione del partito fascista, questo non impedirà a
suoi elementi di organizzare la strage di piazza della Loggia il 28 maggio
1974 a Brescia dove moriranno otto persone e novantaquattro saranno i
feriti tra i partecipanti alla manifestazione promossa dai sindacati.
Scrive il «Corriere della Sera»:
Lo Stato esita a punire i servitori infedeli, i capi intriganti, gli
organismi malati [...] sono note le colpe, le debolezze e gli atti
concreti che hanno favorito le organizzazioni del terrorismo nero
[...] stiamo vivendo in questi giorni il dramma di una democrazia
che si logora perché scarsa è la fiducia nella Costituzione e nel
paese, diffusa la tentazione di acquistare forza personalizzando le
istituzioni.
Pier Paolo Pasolini così interpreterà la situazione:
Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato
golpe. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano [...] Io so
i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna [...] Io so
i nomi di coloro che tra una messa e l’altra hanno dato le
disposizioni e assicurato la protezione a vecchi generali, a giovani
neofascisti [...] Io so i nomi delle persone serie e importanti che
stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide
atrocità fasciste. Io so.
Molti sanno, ma molti altri e molto più potenti, occultano, nascondono,
costruiscono falsi indizi e false piste per imbrigliare il paese nel dubbio e
nella paura. Era già attiva, molto attiva, la Loggia P2 con gangli in tutti gli
apparati dello Stato, ma questo lo scopriremo molto più avanti.
A Roma centinaia di baraccati occupano le case nel quartiere di San
Basilio così ce la racconta Antonio Savasta militante di Autonomia
Operaia, che entrerà poi nelle Brigate Rosse:
[...] finché non fu ucciso quel ragazzo del Collettivo dei Castelli e
lo uccidono proprio di fronte a me [...] c’è questa sparatoria da
parte della polizia e muore questo ragazzo [...] e poi la notte c’è
stata una sparatoria feroce perché quelli della sezione sono
tornati armati e hanno fatto l‘ira di Dio cioè scontri a fuoco con la
polizia [...] mi sembrava assurdo anziché risolvere il problema in
termini politici si usava la forza delle armi [...].
Il problema della casa a Roma è un problema che si trascina da tempo,
scriveva nel 1970 Giovanni Mazzetti dell’Unione baraccati e animatore
della Scuola 725:
Roma una città di tre milioni di abitanti, un inferno urbanistico ed
economico nel quale le condizioni di vita peggiorano di giorno in
giorno [...] la quasi totalità della popolazione vive ammassata negli
edifici intensivi costruiti nel dispregio più assoluto delle più
elementari norme urbanistiche [...] i lavoratori vengono ricacciati
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in baracche o in borgate dai prezzi fissati dai grandi proprietari
immobiliari [...] L’iniziativa pubblica con la sua criminale assenza
[...] favorisce lo sfruttamento dei lavoratori. Se si esclude il
problema della casa, tutti gli altri problemi: quello dello
sfruttamento sul lavoro, quello dell’evasione e del ritardo scolare,
quello della salute pubblica, sono comuni a tutti i lavoratori romani
[...].
Nel frattempo si scoprono i primi scandali, vengono a galla i fondi neri
della Montedison, per finanziare i partiti di governo e della destra, solo
al PCI non li abbiamo dati dichiarerà con orgoglio un dirigente e Massimo
Riva così commenterà l’arrresto di Sindona:
[...] se Sindona ha potuto spingere la sua attività fin sul confine del
Codice penale ciò è avvenuto perché non gli sono mancate solidarietà
importanti [...] perché il salvataggio delle sue banche in liquidazione
viene operato dai tre maggiori istituti pubblici che, in pratica, è come
dire con i soldi di tutti gli italiani [...].
Il 17 giugno 1974 a Padova nel corso di una incursione in una sede
missina resteranno uccise due persone, sarà la prima azione mortale delle
Brigate Rosse, nello stesso anno grazie a un infiltrato, ‘frate mitra’, i
carabinieri del generale Dalla Chiesa arresteranno Franceschini e Renato
Curcio della direzione delle Brigate Rosse, le quali continueranno
imperterrite a uccidere.
In questo clima noi cercavamo di fare cultura, Dino Audino della Savelli
aveva aperto la collana ‘Il pane e le rose’ editando molti libri scritti dai
nostri compagni e simpatizzanti sul problema della musica del teatro e
della cultura in generale, si discuteva sul ruolo dei cantautori che a
Giaime Pintor non piacevano, non amava De Gregori, che definiva
ermetico e intimista, pur concordando che fosse il migliore e più
disponibile, ci trovammo spesso in conflitto, anche se con Giaime non si
poteva litigare, talmente era dolce, solo una volta lo vidi arrabbiato,
eravamo andati a pranzo dall’abruzzese, trattoria usata spesso dai
compagni del giornale, e parlando avevamo criticato alcune compagne,
qualcuna aveva origliato e pubblicato tutto il giorno dopo su «Lotta
Continua».
Non esistevano le intercettazioni, ma gli spioni sono sempre esistiti.
Giaime Pintor con altri aveva fondato «Muzak», settimanale di nuova
musica, seguendo una sua intuizione musicale e scritto un libro: Libro
bianco sul pop in Italia firmato come anonimo e nella dedica che mi fece
scrisse: «A colui a cui devo fama, gloria, povertà e coscienza politica. Con
riconoscente amore».
Ovunque tu sia caro Giaime, abbiti cura, scusa e grazie di tutto.
Si era aperta la contraddizione tra i costi di produzione della musica,
gli organizzatori dei concerti e chi voleva entrare gratis sostenendo che
la musica è di tutti, per cui organizzavano l’assalto alle sedi dei concerti;
Si potrebbe sintetizzare che la teoria era di stampa alternativa e la
manovalanza dell’autonomia.
Io mi sentivo nel mezzo, perché vivevo la contraddizione di molti
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artisti, sinceramente di sinistra, ma che non sapevano come arrivare a
fine mese, gli Area lavoravano solo d’estate e dovevano fare i salti
mortali per sopravvivere d’inverno, credo sia stata la vera spinta che ha
fatto nascere i cantautori, lo stesso fenomeno che anni dopo ha dato vita
agli attori monologanti: La necessità di campare tutto l’anno.
Mauro Pagani, della PFM così ha sintetizzato la situazione:
“il musicista rock è uno che cerca di comunicare le sue cose alla gente…
e la musica è sua …nel momento stesso in cui si pone su un palco o in un
disco diventa ‘nostra’ .. da qui in poi la musica rock nasce per essere per
forza contaminata, usata e maneggiata … i concerti hanno bisogno di
teatri, impianti voce, spese di spostamento e organizzazione, pubblicità;
i dischi di sale di registrazione, organizzazione discografica,
distribuzione, apparecchi per ascoltarli …”
Insomma la musica aveva un costo, qualsiasi prodotto culturale per farlo
necessitava anche di danaro, e non si poteva distribuirlo gratis.
Amerika
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Con Nancy andai negli Stati Uniti, a trovare i suoi fratelli, genitori e
amici, non ci furono problemi per il visto, i comunisti non potevano
entrare negli USA, io non ero mai stato iscritto a nessuna organizzazione
comunista, eravamo extraparlamentari, ma non catalogati dalla CIA.
L’aereo partiva da Parigi e Nancy pensò di farmi conoscere la città, solo
che Elsa Morante mi aveva dato una copia de La Storia un suo romanzo di
seicento pagine che mi appassionò talmente che uscivo di casa solo per
comperare la classica ‘baghette’ con un po’ di formaggio e poi riprendevo
la lettura... perdendo così la conoscenza di Parigi e delle sue follie,
povera grande Nancy.
All’areoporto di New York ad attenderci c’era una macchina che dire
lunga è dire poco, il padre aveva anche una Opel 1900, cioè una macchina
che loro consideravano piccola, da usare per gli spostamenti veloci, la
benzina costava cento lire a gallone cioè cinque centesimi di euro per
quattro litri di benzina!
Restammo quindici giorni nel Bronx, e in quel periodo ci furono sei morti
solo alla nostra fermata del metro, anche se a noi non successe mai nulla,
andammo a visitare Manhattan dove mi impressionarono molto le decine
di barboni stesi su cartoni sopra i soffioni di aria calda, emessi dagli
impianti dei grattacieli, andammo a incontrare le Pantere Nere nel
centro di Harlem, riuscii ad acquistare i diritti per distribuire in Italia
un film su Alcatraz, l’isola prigione di massima sicurezza, realizzato dalla
Firestone, andammo a trovare uno zio al sessantottesimo piano del
Rockfeller Center, arrivavi che non sapevi dove fosse lo stomaco
talmente era veloce l’ascensore, nell’ufficio grande come l’atrio di una
stazione lo zio stava giocando a golf.
Andammo anche a Boston dove la sorella di Nancy studiava
all’università, rimasi impressionato dai campus universitari e dai cimiteri
a cielo aperto e andammo a Martha’s Vineyard l’isola dei Kennedy; mi
colpì molto che tutte le case fossero fornite di apparecchi per rompere i
barattoli, il vetro e altro e farne dei cubi da depositare negli appositi
contenitori all’ingresso, gli ecologisti italiani avrebbero dovuto fare un
corso nella vituperata America.
Litigammo e io mi misi a fare l’autostop, non sapevo cosa fossero le
carte di credito e non conoscevo una parola di inglese, chissà dove
pensavo di andare, mi ritrovarono e mi fecero fare un giro sul Pacifico,
inteso come oceano, io non sapevo nuotare ma mi buttarono in acqua con
una tavoletta e regolarmente arrivavo a riva, una sensazione magnifica.
Possiedo ancora un cartellino che mi è stato regalato con su scritto
‘Bike route’ e il disegnino di una bicicletta, io lo leggevo come è scritto e
lo facevo spesso perché l’isola era piena di quei cartelli, probabilmente
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facevo tenerezza oppure pensavano come sono stupidi questi italiani;
Si perché si usa generalizzare e per colpa di uno… diverso è per i
meriti quelli sono individuali.
Facemmo pace scopando un pomeriggio in piscina all’aperto.
Non ero riuscito a imparare una parola di inglese, forse avrei dovuto
preoccuparmi, ma stavo bene, avevo visto posti magnifici, incontrato
gente meravigliosa, scoperto mondi diversi, facevo bene all’amore, non
avevo di che preoccuparmi, dovevamo decidere solo quando fare la
rivoluzione; e nel frattempo sentivo di condividere le parole del musicista
statunitense John Cage : A tutti coloro che ci odiano, che gli USA
possano diventare soltanto un’altra parte del mondo; non più, non meno.
Con Nancy la storia finì probabilmente perché grazie a lei avevo scoperto
il sesso, mi aveva chiesto di sposarla, poi forse per timidezza aveva
aggiunto: altrimenti devo tornare a casa in America, non mi rinnovano più
il permesso di soggiorno...
Risposi: «Non ti preoccupare io faccio l’organizzatore...».
Convinsi Goffredo Fofi, ‘l’enfant prodige’ del cinema italiano, lo
chiamavano i francesi, a sposarla.
Lui lo fece una mattina di buon’ora, mi proibì di partecipare al
matrimonio e poi mi tolse il saluto, io avrò senz’altro sbagliato ma lui era
maggiorenne e liberissimo di rifiutare.
Si ripetè la domanda di matrimonio con Karin e pure la motivazione
altrimenti non mi rinnovano il permesso di soggiorno... e devo tornare in
Germania, anche la mia risposta fu uguale:
«Non ti preoccupare, di mestiere faccio l’organizzatore...».
Essendo Karin più disinvolta il problema divenne probabilmente di
dominio pubblico perché una mattina trovai nella sede dei Circoli Ottobre
Alex Langer che mi stava aspettando.
Con Alex ci vedevamo spesso era venuto anche a mangiare da me quando
stavo dalla Nancy, ci eravamo incontrati anche a Trento all’università, mi
piaceva come persona e poi andava in moto e collaborava con Dario Fo,
traducendo dall’italiano al tedesco le sue opere, ma non avevamo un
grande rapporto, probabilmente lui era troppo colto e viaggiava a volte su
un pianeta diverso, per cui mi sorprese la sua visita.
Come mi sorprese molto di più anni dopo, la sua morte, la morte di un
parlamentare e leader europeo che si scopre solo senza risposte.
Quella mattina era molto preoccupato perché Sofri gli aveva detto che
avrebbe dovuto sposare Karin e lui non se la sentiva di sposarsi, ma non
sapeva come dire di no ad Adriano. Anzi disse che non poteva dire di no
ad Adriano. Gli dissi di non preoccuparsi, d’altronde facevo
l’organizzatore, e chiesi a Giaime Pintor di sposare Karin.
In questo caso vennero fatte le cose in grande.
Ci fu una festa in un ristorante di Trastevere, intervennero tantissimi
compagni, lo stesso Luigi Pintor, fondatore de «il manifesto» e molto
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altro, Francesco De Gregori e Giovanna Marini con Paolo Pietrangeli,
Fulvio Grimaldi, di ritorno dall’Irlanda dove Lotta Continua era molto
conosciuta, dopo il pranzo andai con Guido Continenza e i compagni della
diffusione del giornale in un parco a chiacchierare e seppi solo in serata
che meravigliati dall’assenza di Lidia Ravera andarono a cercarla e
scoprirono il tentativo di suicidio.
La diffusione del giornale era quasi un corpo separato, «Lotta
Continua» andava in stampa sempre all’ultimo momento e spesso in
ritardo e loro facevano l’impossibile per recuperare i ritardi e
consegnare in tempo le copie per la distribuzione; una volta per cercare
di capire accompagnai Sandro, che doveva portare i pacchi del giornale
all’aeroporto, facemmo in undici minuti un percorso che normalmente ne
richiedeva quaranta, pazzesco e a volte succedeva che si perdevano gli
aerei e allora chi c’era doveva partire, come nel caso di Zamarin, e
cercare di distribuire almeno in parte il giornale, altrimenti tutto il
lavoro sia politico che economico per farlo, sarebbe stato inutile.
Avrei dovuto pormi il problema del perché non mi volevo sposare... ma
nessuno mi sollecitò e continuavo a vivere alla giornata a dare e prendere
senza aver chiaro cosa volessi fare e soprattutto dove volessi andare.
Ci pensai a lungo quando Lionello Massobrio, capo dell’amministrazione
riferendomi di una riunione con quelli de «il manifesto» per la raccolta
fondi ‘Armi al MIR’ a favore della resistenza cilena disse testualmente:
«non ti preoccupare tanto quelli dopo la rivoluzione li facciamo fuori»,
‘quelli’ erano i compagni de «il manifesto».
Qualcosa non funzionava.
Il 6 maggio 1976 ero con Karin a Mestre per trovare i miei genitori, e
organizzare uno spettacolo per Alessandro Panagulis l’eroe greco morto il
primo maggio in un incidente sospetto, quando ci arrivò la notizia e le
immagini del terremoto del Friuli, breve giro di telefonate e si organizza
una squadra e in nove compagni di Venezia e Mestre si parte come
volontari a portare solidarietà e soccorsi ai terremotati del Friuli.
Quello che ci colpì di più fu il fatto che i soldati, in una zona piena di
caserme e di installazioni militari, per tre giorni restarono chiusi in
caserma, noi arrivammo per primi in paesi sperduti, subimmo le scosse di
assestamento, scavammo con le mani, raccogliemmo salme e distribuimmo
coperte, acqua e solidarietà e poi dopo tre giorni e tre notti intensissimi
su un mezzo dei Vigili del Fuoco partimmo per Mestre.
Io dovevo tornare a Roma e Karin ne approfittava per passare da casa
lavarsi e prendersi qualche vestito.
Eravamo su un furgone FIAT dei Vigili del Fuoco, in tre davanti, Karin
in mezzo, a un certo punto mi strattona la spalla perché mi ero
addormentato con la testa fuori dal finestrino, deve essere stata quella
pillola che ci hanno dato contro le infezioni a intontirmi, oltre alla fatica
di quei giorni, mi riprendo e vedo il furgone che va tutto a sinistra contro
il guard rail, urlo e il vigile sterza tutto a destra e ci ritroviamo in un
fossato, pochi metri e saremmo andati a sbattere contro un muro,
probabilmente si stava appisolando anche il vigile del fuoco, anche a lui
devono aver dato la pillola.
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Arrivano i soccorsi e ci portano all’ospedale di Palmanova, ricoverano il
vigile con rottura della mandibola e non so cos’altro e Karin, che si
scoprirà avere il bacino rotto, una ferita alla testa su cui verranno messi
ventitre punti di sutura e altre contusioni. Io mi sento quantomeno sano
ed esco dall’ospedale, una volta assicuratomi che tutto fosse a posto,
appena fuori crollo, avevo una storta alla caviglia destra e non riuscivo ad
alzarmi in piedi.
Mi trovavo davanti all’ospedale di Palmanova, strapieno di feriti e
terremotati, senza una lira, non conoscendo nessuno e non sapendo cosa
fare, non avevano ancora inventato i telefonini e neppure le carte di
credito e se lo avevano fatto io non le avevo, mi si avvicina un signore
dall’aria preoccupata, deve aver visto o intuito, gli spiego la mia
situazione e si offre di ospitarmi a casa sua.
Due anziani genitori mi accolgono come il figliol prodigo, mi procurano le
stampelle e mi offrono un minestrone buonissimo, abuso di questa
ospitalità per una decina di giorni, rischiando pure di incendiargli la
camera perché preso dalla stanchezza mi sono addormentato con la
sigaretta accesa la quale ha incendiato un po’ di coperta e lenzuola, non
ho mai ringraziato abbastanza questa famiglia, se leggono queste righe
sanno che mi ricordo con affetto di loro, nell’emergenza si vede la
sostanza profonda degli italiani che sono fondamentalmente buoni e
genuinamente disponibili.
Karin fu poi ospite di mia madre e mia sorella per tre mesi finché non si
rimarginò la ferita al bacino.
I Circoli Ottobre
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Non era facile fare cultura, Lotta Continua per prima considerava i
Circoli Ottobre una struttura di finanziamento, eravamo sopportati ma
non supportati, cercavo di mediare, collaboravo con l’amministrazione
centrale e con Michele Guidagli e Ettore Camuffo che si occupavano di
quadri e grafiche e cercavo di farle acquistare dai miei artisti o di
organizzare mostre: famosa quella per le ‘Armi al MIR’ a favore della
resistenza cilena.
Abbiamo prestato il nome e offerto le garanzie per organizzare i viaggi
in Portogallo, per incontrare i protagonisti della ‘Rivoluzione dei garofani’
e dove Lotta Continua aveva aperto una specie di ambasciata, hanno
continuato a cercarmi per anni, volevano da me una marea di soldi, non ho
mai potuto mettere piede in Portogallo.
La ‘Rivoluzione dei garofani’ fu il colpo di stato attuato dai militari
dell’ala progressista delle forze armate portoghesi che pose fine al lungo
regime autoritario di Antonio Salazar e che portò al ripristino della
democrazia.
Abbiamo organizzato una tournée al sud d’Italia con Francesco De
Gregori, dove gli incassi andavano metà a Lotta Continua e metà ai Circoli
Ottobre, in più Francesco, oltre a non percepire una lira, si era fatto
mettere a disposizione dalla RCA, la sua casa discografica, una macchina
con autista, si era imposto un biglietto d’ingresso a mille lire.
Per non avere problemi avevo noleggiato dalla Davoli, una delle più
importanti ditte di diffusori sonori, un furgone con tutta l’attrezzatura
e un tecnico, che poi risultò essere lo stesso giovane Davoli.
Dovevano essere nove date alla fine credo riuscimmo a farne sette, in
macchina c’era l’autista, io, Francesco e Corrado Sannucci, cantautore
romano amico di Marco Lombardo e della moglie Marina e figlio del Folk
Studio Giovani, nonché collaboratore dei Circoli, che spesso
apparentemente nei concerti riscuoteva più consensi di Francesco.
La prima data vicino a Civitavecchia andò bene, grande pubblico con un
entusiasmo da stadio, ma nessun particolare problema, a Pescara in un
palazzetto da duemila posti ci saranno state almeno tremila persone
stipate all’inverosimile. De Gregori sentiva la tensione ed era arrabbiato
per il troppo pubblico e un po’ preoccupato per l’entusiasmo che sentiva
eccessivo, quasi come lui fosse una star vera e non un compagno che
cantava canzonette, ma scese sul palco accolto bene fino a quando non
intonò: Giovanna era la migliore... lo faceva per poche lire... fummo
assaliti dalle femministe, il problema era che molte erano del servizio
d’ordine e per fermarle dovettero intervenire in forze i maschi non solo
del servizio d’ordine e Sannucci con le canzoni militanti... riuscimmo a
terminare il concerto e scappare in direzione di Roma.
Per risparmiare o si tornava a casa, visto che avevamo la macchina
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pagata o si dormiva in una camera da tre letti io e Francesco in quello
matrimoniale e Corrado nel singolo con l’obbligo di addormentarsi dopo di
noi.
Ora è, purtroppo era, un affermato giornalista sportivo di «la
Repubblica», all’epoca un militante politico, cantautore impegnato,
studente di medicina dalla corporatura enorme lo si potrebbe definire
l’orco buono e russava come un orco ubriaco, quasi come me ora.
A Bari andammo a dormire al Jolly hotel.
Arrivati a Bari, Davoli, che arrivava prima su piazza per montare
l’impianto, ci segnala che sono previsti due concerti, uno anche alla sera,
era domenica e avremmo dovuto rientrare in serata, De Gregori va su
tutte le furie, sia per la doppia recita sia per il prezzo del biglietto
fissato a milleduecento o addirittura a millecinquecento lire entrambe le
cose non concordate ed estranee allo spirito dell’iniziativa.
Alla fine facemmo le due repliche, non avevamo alternative il pubblico
premeva... e iniziava a rumoreggiare... fu un successo entusiasta, pubblico
in visibilio al di là di qualsiasi aspettativa...
Fu la consacrazione per Francesco De Gregori, la sua fama era al
massimo e sarà confermata dal successo di Rimmel, l’ellepi uscito
quell’anno. Molti lo consideravano antipatico, saccente o indisponibile, in
realtà, De Gregori, era proprio una bella persona, autenticamente di
sinistra, attento a non farsi strumentalizzare e non facile a offrirti
confidenza. Era stato tra quelli che saranno definiti ‘gli angeli del fango’,
quei giovani barbuti andati a Firenze per salvare i libri.
Aveva partecipato alle manifestazioni contro la guerra in Vietnam e
aderiva con sincerità a una quotidiana battaglia per cambiare la società,
solo che amava scrivere e cantare canzoni, e questo chissà perché gli
portava l’accusa di opportunismo, avrebbe dovuto fare come molti suoi
colleghi, che dopo il primo successo, evitavano le piazze.
Malgrado alcune contestazioni perché la musica doveva essere gratis e
molti giovani non siano potuti entrare, essendo tutto esaurito, noi
arrabbiati con i compagni della sede di Lotta Continua e del Circolo
Ottobre, ci prendemmo il lusso di dormire in un hotel serio, ma dovetti
disdire le tappe successive e litigare per avere dai compagni di Bari la
quota spettante a Lotta Continua nazionale.
Fu un comportamento inqualificabile che avrebbe dovuto aiutarmi a
capire che i tempi stavano cambiando e la gente stava peggiorando, stava
avanzando l’individualismo e anche alcuni compagni se potevano ti
fregavano.
Scrive Francesco De Gregori su Re Nudo :
“… i compagni di Stampa Alternativa evidentemente ignorano che i
problemi e le contraddizioni della musica italiana sono gli stessi che a un
livello ben più grave, generano tutti i ‘fattacci’ del capitalismo, dalla
cassa integrazione, al licenziamento dei lavoratori della Volkswagen, dalla
condanna del compagno Marini, alle bombe fasciste. … se qualcosa si può
fare per la musica di oggi credo che sia cercare di elidere al massimo la
frattura creatore-consumatore. … dobbiamo in parole povere
conquistarci un pubblico … ai compagni di stampa alternativa vorrei dire
che spero che in futuro limitino il più possibile la loro dose di ‘adamantina
incazzatura’ e si muovano su un terreno forse meno esteticamente
rivoluzionario ma più realista. ..”
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Scrive invece Ligi Manconi in arte Simone Dessì:
“… I nostri critici,quindi, l’illustre Pintor, il lepido Castaldo, l’aggrondato
Renzi – ansiosi come sono di passare dall’arma della critica alla critica
delle armi contro Francesco De Gregori- rischiano poi di farsi ‘scavalcare
a sinistra’ perfino dai più consunti vociani…”
e nella polemica con i colleghi di Muzak disse: “ … Quello che, a questo
punto, verrebbe da proporre sarebbe una ‘grande conciliazione’ tra i
‘leggeri’ e i militanti’ ; ai primi ne potrebbe derivare, di buono, una
maggiore capacità di agganciare il proprio ‘poetare e musicare’ ai
problemi reali delle masse, … ai secondi una maggiore capacità e duttilità
nella comunicazione, nell’individuazione di un nuovo linguaggio, nella
scoperta dei contenuti che richiede quel pubblico di massa che affolla i
concerti.. .
Contraddizioni senza fine, probabilmente non si riusciva a perdonare a
De Gregori che non si accontentasse di essere bello e colto, pretendeva
pure di avere successo, senza capire che il successo lui non lo aveva
cercato, gli era arrivato perché i giovani si riconoscevano in quello che
cantava.
Il 1975 è anche l’anno della morte di Giovanni Zibecchi a Milano e
Tonino Miccichè a Torino, ucciso da una guardia giurata nel quartiere
operaio della Falchera, Tonino oltre che un compagno di Lotta Continua
era anche un amico, vado nella sede di Lotta Continua di Torino in corso
San Maurizio e incontro il responsabile, Giorgio Pietrostefani, che mi
apostrofa così: «Che cazzo ci fai tu qui!».
Probabilmente il ruolo imponeva anche un atteggiamento, in realtà
Pietrostefani era molto meglio di come appariva.
A Torino capitava di andarci spesso, per le riunioni, per le
manifestazioni, per le attività del Circolo Ottobre, ma cercavo di stare
alla larga dalla sede e da ‘Pietro’ normalmente andavo da Andrea Gobetti
che si occupava delle attività dei Circoli e aveva una bella casa dove
ospitarmi.
È’ anche l’anno della fine della guerra in Vietnam, dopo venti anni di
crescendo militare, di uso di armi batteriologiche, di napalm, dopo essere
arrivati a impiegare fino a 535.000 soldati, gli americani si ritirano.
Fanno il giro del mondo le immagini dell’ultimo elicottero che cerca di
volare via con un grappolo di uomini appesi che cercano di fuggire da
Saigon.
Poi uccidono anche Alceste Campanile, compagno dei Circoli Ottobre di
Reggio Emilia, riusciamo a organizzare un concerto con Francesco De
Gregori e tanti altri, arriva uno in carrozzina che mi chiede se può
partecipare, accompagno sul palco lui e la carrozzella è Pierangelo
Bertoli.
Era bello Alceste, a volte ci giocava sopra e faceva il figo con i ray ban,
gli occhiali americani di moda all’epoca, suonava la chitarra e faceva il
Dams a Bologna, discipline artistiche, aveva ventidue anni e tanti ideali, il
mondo davanti e la convinzione di poterlo cambiare, amava la musica e le
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canzoni di De Gregori.
Viene ucciso con due colpi di pistola il primo lo riceve alla nuca e esce
dalla fronte... il secondo al cuore è inutile... almeno per uccidere....
Ci sono coinvolti elementi di AN intesa come Avanguardia Nazionale
sempre di destra ma da non confondere con Alleanza Nazionale di Fini,
colpi partiti dalla pistola del Bellini, il cui padre ha rapporti con settori
dello stato noti come ‘apparati deviati’, forse per questo, per arrivare a
questa verità si è passati per il sequestro Saronio, si sono ascoltate le
parole del padre contro di noi, si sono dette e lette cose ignobili.
Mi arriverà da Mestre una cartolina con la mia foto mentre intervenivo
al concerto, una delle poche fotografie con un microfono in mano e sul
retro una citazione da Mao, non il gatto di casa ma il presidente cinese
idolatrato all’epoca dalla metà del mondo, che diceva:
«Un rivoluzionario senza cultura è solo un ribelle».
Aveva ragione il mio amico Mauro, ero solo un ribelle, anche se oggi mi è
venuta in mano la carta del ‘ribelle’ dai tarocchi di Osho e tra l’altro dice:
«La figura potente e autorevole di questa carta è evidentemente
padrona del proprio destino [...] che sia ricco o povero il Ribelle è un vero
imperatore poiché ha spezzato le catene [...] la gente ha paura una paura
terribile di coloro che conoscono sé stessi [...]».
Pietrostefani lo ritroverò a Venezia, anni dopo, per l’ultimo saluto a
Checco Zotti, stupendo compagno e amico, stroncato dal cancro, era
arrivato con ammiraglia blu e autista, il ‘Pietro’, perché Checco amava
muoversi in treno anche se per l’occasione aveva dovuto accettare il
carro funebre.
Il miglior funerale della mia vita, sarà il mio, ma questo è stato grande.
Agnese con tutti gli Zotti ed Ettore Camuffo furono magnifici.
Ci trovammo in chiesa, perché uno degli undici fratelli era prete e non
si poteva fargli un dispetto, poi al cimitero monumentale di Venezia
all’isola di san Michele, viene messo sotto terra, in mezzo a una miriade
di altre lapidi e a tante compagne e compagni, c’è anche mio padre in quel
cimitero, lui è nella sezione di quelli che si fanno cremare, occupa meno
posto è più discreto, ne approfitto e gli porto un fiore.
A fianco ci sono Ezra Pound, Igor’ Stravinskij e ora anche Emilio
Vedova.
Poi si va tutti in un isola a mangiare e bere, forse più a bere. Ci sono
tanti compagni da ogni parte, molti tedeschi, io mi lascio andare, bevo e
racconto, rido anche, perché se uno ha conosciuto Checco non può non
ridere ripensandolo, ma qualcuno si arrabbia non si ride ai funerali.
Siamo figli di questa società e facciamo finta che la morte non faccia
parte della vita e ogni volta ci facciamo prendere alla sprovvista, come
per il sesso, come fosse solo una necessità per procreare e non una
componente fondamentale per vivere e così si vive male e si finge di
scandalizzarsi spesso.
Quando arrivavo a casa di qualche compagno o perché ospite o per
qualche riunione trovavo le finestre aperte, anche in pieno inverno o con
temperature basse o tempo brutto, le finestre erano aperte, cercai di
capire parlandone con Marco Lombardo il quale mi disse col suo sorriso
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bonario, un po’ sghembo, che voleva dire che i compagni si facevano le
‘canne’ ed essendo io un dirigente non volevano lo sapessi e allora
aprivano le finestre, per fare uscire, più che il fumo, l’odore.
Ci misi un po’ a capire cosa fossero le ‘canne’ e Marco me ne fece subito
una, il fatto che dovessero nascondersi mi sembrò pazzesco, da lì nacque
l’idea di un Festival del proletariato giovanile dove affrontare questi
problemi, che si materializzerà nel Festival di Licola.
In una riunione preparatoria con i compagni de «il manifesto» e di
Avanguardia Operaia dove io cercavo di spiegare il programma nei due
palchi previsti – il palco 1 e il palco A – e avendo inserito Martin Joseph –
che nessuno conosceva – sul palco più importante, Luigi Manconi disse che
era mio nipote da Udine, questo determinò nei miei confronti l’accusa di
nepotismo.
Solo quando sentirono parlare Martin Joseph che intervenne per
presentare il suo intervento al pianoforte, raccontando che era a Roma
da molti anni come funzionario della FAO, ma amava la musica e il jazz e
aveva già inciso molti ellepi ma non aveva ancora imparato bene l’italiano,
ebbero ben chiaro che era inglese e non poteva essere mio nipote e
neppure io il suo, per scusarsi cambiarono l’accentuazione del mio
cognome e da allora diventai Màrtin all’inglese e non più Martìn alla
veneta.
Con Luigi Manconi, allora compagno di Lucia Annunziata che militava ne
«il manifesto», fui protagonista di un altro episodio: eravamo con la
macchina del padre di De Gregori, guidata da Francesco, io, due miei
amici tedeschi, Hubi e Karin, Luigi e non so chi altro, ricordo che c’era
una persona in più della capienza, ci fermarono i carabinieri all’altezza di
Campo dei Fiori, mitra spianati, tutti fuori, mani alzate gambe divaricate,
era il periodo del terrorismo e della RAF in Germania e con noi c’erano
due tedeschi, in più Manconi aveva un’accusa di omicidio, per un vecchio
fatto successo in Sardegna, ci tennero bloccati per un tempo
immemorabile, finché un giovane carabiniere chiese a Francesco ma lei è
quello del terzo reparto celere riferendosi alla canzone, De Gregori fece
cenno di sì, senza il coraggio di rispondere e ci lasciarono andare.
La settimana successiva i carabinieri si presentarono con i mitra
spianati a casa della fidanzata di De Gregori nel quartiere San Lorenzo,
per una perquisizione, questo era il clima.
L’ultima volta che incontrai Luigi Manconi fu a Pieve di Cadore per
l’ultimo saluto a Marco Lombardo Radice, tenuto da zio Pietro, il
compagno Ingrao.
Era l’anno che crollò il muro di Berlino, l’anno che nacque mio figlio e
nacque anche suo nipote, il figlio del fratello Giovanni, che nessuno
avrebbe mai pensato potesse diventare padre, quell’anno Marco
Lombardo decise di andare, di lasciarci, il suo cuore si fermò a Pieve di
Cadore e lì rimase, ai piedi di un’imponente montagna, la stessa che
ammiravo da ragazzino, in un cimitero rude sotto una terra di sassi, per
anni senza lapide e senza nome.
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Mi dispiace molto che nel suo ruolo di sottosegretario alla Giustizia,
Manconi, non abbia cercato di sperimentare un nuovo tipo di carcere.
Continuiamo a riproporre lo stesso modello di galera rinascimentale, io
farei dei villaggi, dei campus, obbligatoriamente chiusi, con campi di
lavoro e scuole di lingua e corsi pratici per lavori utili, tipo falegname,
idraulico o meccanico e una scuola delle religioni e un corso di educazione
civica che insegni la convivenza civile.
Mi piacevano le donne, pur avendo scoperto che esistevano anche gli
omosessuali e di piacere anche a loro, Karin era giovane, molto bella con
due grandi occhi ed era disinibita, molto disinibita, per un veneto
imbranato come me, mi trasferii a vivere al quartiere Prati a casa sua,
vicino a dove Giancarlo Cesaroni aveva lo studio-laboratorio di chimico,
vederlo all’opera sembrava più un mago e pure ostico tra i suoi alambicchi
polverosi.
Su Cesaroni si raccontavano una serie di storie diventate leggende, che
fosse stato molto ricco e avesse perso tutto giocando ai cavalli, che
possedesse una scuderia per conto di ricchi arabi; avendo continuato a
collaborare con lui fino a poco prima della sua morte, avvenuta a Roma nel
1998, posso dire che era una bella persona, probabilmente con tanti
problemi e amava più la musica di qualsiasi altra cosa, non era ricco e non
aveva arabi alle spalle e spesso neppure quei cantanti che aveva aiutato a
crescere, non era un tipo semplice, ma si lasciava voler bene e ti ripagava
dandoti retta.
Ho anche cercato di ripulire il Folk Studio, Giancarlo mi ha lasciato
mettere a posto il soppalco e cambiare la iuta che avrà raccolto la
polvere di tutti gli spettatori passati in vent’anni, ma si è sempre
rifiutato di aggiungere una telecamera con dei monitor e dei tavolini sul
soppalco della sede in via Sacchi 3, ho partecipato però a delle serate
memorabili con artisti ora famosi, ma allora assolutamente sconosciuti o
quasi, come:
Benigni, che faceva il Cioni Mario e ti lasciava interdetto quasi
instupidito, Francesco De Gregori, che amava duellare sempre con
qualcuno e a differenza che nei concerti si lasciava andare anche a
qualche battuta, il fratello Luigi Grechi, indicato sempre come il fratello
di... e non come un bravo folksinger, come in realtà è. Mario Schiano, che
arrivava zoppicando e se ne andava barcollando per il troppo bere,
Antonello Venditti, sempre a posto tutto a modino con gli occhiali scuri e
qualche critica già pronta, Giorgio Lo Cascio, troppo legato a Francesco e
Antonello non si è fatto una sua strada come avrebbe meritato, Stefano
Rosso, col suo Letto 26 e il suo spinello sempre acceso. Mimmo
Locasciulli, ‘il dottore’ sempre troppo preso dal suo Borsalino, Giovanna
Marini, con quella voce e quel Treni per Reggio che ti faceva venire la
pelle d’oca, Paolo Pietrangeli, che se una volta non faceva Contessa non lo
lasciavano uscire, Ivan Della Mea e la sua cara moglie.
Una Domenica pomeriggio arrivò Francesco Guccini, annunciato solo
come Francesco, ci fu un passa parola e ci trovammo fuori tremila
persone. Corrado Sannucci, molto amato con quelle sue canzoni che
anticipavano lo slogan ‘Il personale è politico’, Fabrizio De André e
tantissimi altri, molti dei quali ritrovai nella sera dell’ultimo saluto nel
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seminterrato che Giancarlo aveva trovato dietro a via Cavour alle spalle
del Colosseo.
Ci eravamo lasciati da poco, quindici giorni prima era venuto a Torino in
quello che credevo il mio teatro, per il concerto di Almeta Speaks, aveva
iniziato ad annacquare il whisky, ma troppo tardi.
Ciao Giancarlo abbiti cura!
Molti anni prima ero andato a Genova da Fabrizio, accompagnato dalla
figlia del grafico Sambonet e dal suo fidanzato, un compagno di Lotta
Continua che mi ospitò nel suo soppalco in via Solferino a Milano e poi
partimmo per Genova.
De André abitava nel vecchio centro storico un appartamentino normale
due stanze, bagno, camera e cucina, conosceva già i miei amici, ci accolse
affabile, parlammo di lotte e di rivoluzione, lui ci intonò una canzone
d’amore, di passione e speranza, gli chiesi di fare un concerto per noi e
lui disse di sì, semplicemente sì.
Ci risentimmo e concordammo la sua presenza a una
manifestazione.spettacolo a Pontedera per gli operai della Piaggio in
lotta, poi ritornò in altre occasioni credo anche in quello per Alceste
Campanile.
Alla fine di quel concerto mi disse quasi mi chiese:
«Ora posso andare alla Bussola».
Di quel concerto ho l’immagine quasi visiva di Edoardo Bennato che
arriva a piedi con lo zaino sul davanti, la chitarra a tracolla e il tamburo
dietro, aveva lasciato la Mercedes a tre chilometri per paura di
contestazioni, mi ero preso lo sfizio di controllare perché non poteva
essere arrivato da Napoli a piedi, con tutta quella roba sulle spalle.
Feci un viaggio in Mercedes anche con Lucio Dalla, mi colpì il fatto che
raggiungemmo la Mercedes con una ‘due cavalli’ e poi andammo da Roma a
Bologna nella sua casa in via delle Fragole, a un certo punto mi chiese se
volevo una birra, all’epoca non esistevano gli autogrill o ce ne erano pochi
e non capivo, ma dissi di sì, lui si fermò e dal bagagliaio prese due birre,
ci aveva inserito un frigo bar nel bagagliaio della sua macchina, d’altronde
con tutto il tempo che passi in auto devi farti furbo; mi tornarono in
mente le parole di Antonello Branca che raccontava di un Lucio Dalla
ragazzino che suonava agli angoli delle strade o fuori dai ristoranti per
ragranellare qualche soldo.
Con Antonello Venditti andammo invece un venticinque aprile a fare un
incontro in provincia di Roma sulla Resistenza, ovviamente fece anche
alcune canzoni al pianoforte, al ritorno finimmo in un fossato con la sua
Renault 5 Alpine, per fortuna il sindaco ci venne in soccorso.
Fabrizio De André tornai a trovarlo in moto con Claudio, un caro amico
con casa a Velletri dove si produceva la velletrana, l’erba un po’ strana.
Andammo con la sua moto, una Guzzi 850, a Tempio Pausania in
Sardegna dove c’era anche Dori Ghezzi, che era una meraviglia, sempre
attenta, disponibile, lo amava di un amore vero, intenso, forte. Lo seguiva
lo proteggeva, lui ci fece visitare la tenuta, ci portò a vedere le mucche e
ci illustrò con orgoglio il meccanismo a discesa per dargli da mangiare, ci
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parlò dell’isola e dei sardi con grande amore, malgrado tutto, mangiammo
all’aperto in un clima di totale serenità e allegria.
Andai a un suo concerto a Viareggio, usava un camper come camerino e
per poter affrontare il pubblico si bevette quasi una bottiglia di whisky
poi finiti i bis, rientrato in camerino, si mise due dita in gola per cercare
di liberarsi di un po’ di alcool.
Lo rividi al concerto con la PFM, la Premiata Forneria Marconi, dove
c’era anche Davide Riondino, ma lo salutai un pomeriggio a Milano a casa
sua in zona Fiera, dopo il padre gli era morto anche il fratello, stava
riprendendo a bere e facemmo strane considerazioni sulla vita.
Dice De Andrè a Claudio Bernieri:
“… Io come sono andato alla Bussola, sono andato a cantare a Lotta
Continua, mi sembrava abbastanza doveroso farlo io riuscivo a tirar fuori
i soldi da una parte e li andavo a far fare a gente che non ce li aveva,
che mi sembrava combattessero cause giuste … se io non avessi avuto il
problema dei denari … probabilmente sarei andato gratis dappertutto .
Mi sento più tranquillo, più a posto, probabilmente perché non sono molto
sicuro di me”. E aggiunge :” Io faccio delle canzoni per mestiere, e non è
stato il denaro a farmi allevare vacche, te lo giuro; se poi allevare vacche
mi darà la possibilità di levarmi dai problemi economici, meglio, però lo
faccio per passione.”
Ciao Fabrizio e grazie.
Con la sede romana di Lotta Continua non avevamo molti rapporti e
spesso erano tesi, i responsabili erano Giorgio Lovisolo e Erri De Luca,
che così ricorda quegli anni:
[...] A Roma avevamo più punti di ritrovo e più militanti che in
qualsiasi città d’Italia. Con un torinese, Giorgio Lovisolo, ero
incaricato della gestione della sede. Mi occupavo del servizo
d’ordine, che contava centinaia di ragazze e ragazzi. L’urgenza era
l’antifascismo e noi lo facevamo sul campo. La gioventù dispersa
trovò in Lotta Continua fiducia e coordinamento, le adesioni
crescevano. [...] Noi i fascisti a Roma li abbiamo sconfitti. [...] Dopo
il delitto del Circeo facemmo una manifestazione, molto ben
inquadrata, nei Parioli neri: non fummo attaccati perché eravamo
inattaccabili [...] difendevamo le occupazioni. Dovevamo essere
numerosi come gli agenti. Per cacciarci da Casalbruciato e dalla
Magliana dovevano mobilitare truppe dal resto d’Italia, compreso il
secondo celere di Padova, con cui sentivamo di avere un conto in
sospeso a nome di quelli che ci avevano preceduto: ci siamo battuti
bene anche pensando ai morti di Reggo Emilia del luglio Sessanta e
a piazza Statuto.
Loro concepivano la cultura solo come un mezzo per fare soldi e gli
intellettuali dovevano mettersi al servizio della politica.
Paolo Liguori ora responsabile di “Studio aperto”, faceva parte del
‘Gruppo degli Uccelli’ e si vantava di aver cagato nel salotto di Moravia,
non mi sembrava una bella cosa, ma mi guardavo bene dal dirla.
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Come mi sono guardato bene dall’intervenire quando Carlo Panella
ritornò dall’Iran facendo un racconto entusiasta di Khomeyni e della sua
rivoluzione, riuscendo a far schierare a suo favore l’esecutivo di Lotta
Continua, a me i fanatismi non sono mai piaciuti e ha iniziato a
confermarsi in me l’idea che qualcosa non funzionava.
Come non andava bene che Paolo Buffo, il vice di Massobrio
all’amministrazione, una sera a passeggio per Trastevere mi consigliasse
di lasciare perdere la Karin che è una leggera, la dà a tutti.
Che poi Karin amasse scopare ed essere scopata era un problema suo e
al massimo mio e lo fu quando accettò il corteggiamento del fratello di un
mio amico.
Con Paolo diventammo poi dei grandi amici, al punto da condividere
l’appartamento lasciato libero da Mauro Rostagno in via Laura
Mantegazza e poi un pezzo di vita.
Un racconto di questo tipo non può essere lineare e neppure puntuale,
anche se vero, accennavo prima al Festival del proletariato giovanile
detto poi semplicemente di Licola, zona sul mare vicino a Napoli.
L’organizzazione era a carico di Lotta Continua, «il manifesto» e
Avanguardia Operaia, lo spazio fu individuato e ottenuto da Paolo
Scabello, col quale feci due sopralluoghi, Paolo era un bravo, anzi geniale
compagno di Lotta Continua di Roma e per ironia della sorte morì a Milano
al Parco Lambro, a una festa di «Re Nudo» durante il servizio militare.
A Licola, c’era il mare, una sabbia fine molto fine che sembrava polvere
che spesso diventava polverone, una squadra medica coordinata da Marco
Lombardo Radice, uno spazio musica con una radio, diretto da Giaime
Pintor, uno spazio di e per le donne, due palchi: uno principale
programmato con gruppi e cantautori conosciuti, e uno secondario
lasciato a disposizione di chi voleva suonare, o intervenire, ma per non
offendere nessuno chiamati palco uno e palco A.
Massimo, giovanissimo compagno romano, che diventerà un bravissimo
datore luci a teatro, prima di morire per una rara malattia, accompagnò
suo padre Umberto Terracini, grande e storico esponente del Partito
Comunista Italiano, accolto con piacere anche da chi non era d’accordo.
Riporto alcuni frammenti di cronaca di quei giorni:
Giovedì 18 settembre sulla spiaggia pineta di Licola-Napoli
incomincia la prima Festa pop organizzata dal Movimento degli
studenti la apre Janis Joplin con due ore di ritardo incomincia la
musica dal palco centrale diecimila persone affondate nella sabbia
tollerano Guido Dazzon Trio [...] applaudono Paolo Pietrangeli
dimostrando tradizionalismo spettacolare ed entusiasmo politico in
parti uguali [...] al mattino si piglia il sole sulla spiaggia, nudi, sia i
ragazzi che le ragazze poche ma decise a sfatare il mito di
‘Concettina-che-sta-velata-anche-dietro-la-finestra’.
Suona il Canzoniere del Lazio e in trentamila si scatenano in una
sfrenata tarantella [...] nella radura, uno spiazzo di terra polverosa
nella pineta, che porta il nome di ‘Spazio dibattiti’ continua la
discussione sulla musica [...] per il dibattito sulla sessualità la
radura trabocca. Omosessuali, femministe, ragazzi, ragazze
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nessuna curiosità morbosa nessuna pruderia si parla di tutto, il
personale è politico [...] Ore due del mattino seimila persone tutte
sveglie a vedere un audiovisivo sull’aborto a cura del Circolo La
Comune [...] alle dieci del mattino ricominciano radio, dibattiti,
cortei slogan [...] Dal palco centrale Toni Esposito risveglia gli
entusiasmi sopiti da Pierino Nissim del Teatro Operaio [...] Giorgio
Gaslini improvvisa un autoelogio della sua democrazia e poi esegue
alcuni canti rivoluzionari [...].
Ovviamente grande successo per il Gruppo operaio di Pomigliano d’Arco,
erano di casa, De Gregori venne ma dopo tre canzoni lasciò il palco al
compagno Giorgio Lo Cascio, Alan Sorrenti interpretando alla lettera lo
spirito del Festival, per venticinque minuti effettuò dei gorgheggi sonori
e fu sonoramente contestato a iniziare dai suoi amici di ‘Stampa
alternativa’, dovemmo far schierare il servizio d’ordine e fummo
sommersi da scarpe e lattine piene di sabbia, Venditti preferì non
presentarsi malgrado gli impegni presi.
Alan Sorrenti in seguito dirà:
“ … forse a qualcuno dava fastidio che avessi fatto Dicitenecello Vuje, e
il grande successo ottenuto. Proprio perché si valutava il successo
secondo un’ottica politica. L’Italia è il paese del non senso assoluto, e
continua ad essere così in maniera più eclatante. A Licola non ho cantato
assolutamente quel pezzo. Ho iniziato a fare vocalizzi. A proporre un set
sperimentale … era il periodo in cui si stava abbattendo la forma canzone
per trovare nuove forme espressive… E’ stata una brutta esperienza.”
Non posso che esprimere ad Alan tutta la mia amicizia e solidarietà;
Complessivamente ricordo un bel clima e finalmente la sinistra affrontò
il problema delle droghe e del sesso, Vincenzo Vita dirigente di
Avanguardia Operaia, successivamente diventato sottosegretario e
responsabile media dei Democratici di Sinistra, dovette presentarsi
all’università di Roma e fare autocritica per essersi fatto uno spinello.
De Gregori in seguito scriverà:
[...] il concerto di Licola è stato in assoluto il concerto da cui ho
imparato più cose anche se ho suonato si e no venti minuti. Però
non sono tutte rose e fiori per un concerto bello come Licola avrò
fatto almeno dieci concerti in cui mi sentivo unicamente
strumentalizzato [...].
Anche in Lotta Continua ci fu una certa turbolenza, ma l’iniziativa fu
strenuamente difesa da Mauro Rostagno che fece un intervento
entusiastico.
Fu scritto:
[...] Licola è stata la prima occasione per un incontro di massa che
portasse alla luce della politica quelle tematiche fino a poco tempo
fa relegate nel ghetto del ‘personale’ e che il femminismo ha
imposto a tutto il movimento [...] per quattro giorni migliaia di
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persone hanno fatto festa, hanno fatto musica, e soprattutto
hanno fatto politica cercando di vivere in maniera collettiva [...].
Dopo di allora comunque nessuno ha più aperto le finestre al mio arrivo.
Recentemente ho avuto il piacere di ritrovare un compagno di
Avanguardia Operaia, Alberto Pugnetti, che mi scrive:
[...] Bei tempi fantastici, quelli [...] davvero [...] ogni tanto ripenso a
Licola e come inconsciamente diedi, credo a te, il mio ‘Maggiolino’
per portare da lì a Bologna il portoghese Josè Alfonso ( Grândola
Villa Morena [...]) senza sapere nulla della persona alla quale affidai
l’auto [...] roba che se adesso uno solo si avvicina alla mia macchina,
chiudo le serrature [...] roba da matti [...] altri tempi.
Per chi non li ha vissuti sono veramente difficili da spiegare quegli anni,
ovunque trovavi grandi disponibilità e solidarietà, sapevi che un piatto di
minestra e un letto non te lo negava nessuno e se facevi l’autostop sapevi
che saresti arrivato tranquillo ovunque, uomo o donna che fossi e se ti
rubavano in casa ed eri conosciuto nel quartiere potevi richiedere
indietro la refurtiva e se ti rubavano il portafoglio in treno non potevi
fare la denuncia perché non avevi più i soldi per la carta bollata,
obbligatoria in quegli anni per qualsiasi cosa.
Ricordo bene la sensazione di essere al centro di tutto, di vivere in un
tempo dove tutto poteva cambiare.
Con Dario Fo, Franca Rame e il loro collettivo i rapporti erano
contradditori e a volte conflittuali, In un lungo documento sull’attività
dei Circoli La Comune e sull’intervento culturale si dice:
[...] riguardo al problema del ‘chi’ debba e ‘con chi’ si debba oggi
svolgere il lavoro s’impone anzitutto di riprendere il discorso sui
Circoli Ottobre di Lotta Continua. [...] che sono nati come un mezzo
per l’autofinanziamento: subordinando a questo scopo il senso e il
valore del lavoro politico sul fronte culturale. Questa visione miope
e strumentale [...] s’è dimostrata fallimentare da ogni punto di
vista. Sembra ora che questa impostazione sia stata posta sotto
revisione critica [...].
Vogliamo insistere: eventuali contraddizioni in merito al lavoro
culturale, tra le forze rivoluzionarie o tra gruppi diversi di
produttori culturali, non possono a nostro avviso giustificare la
rottura del fronte culturale, la separazione burocratica in diverse
formule organizzative.[...] noi speriamo che i compagni di Lotta
Continua, che ci hanno rivolto tra l’altro utili suggerimenti e
critiche per il nostro lavoro, rivedano la loro posizione e decidano
di rientrare nei Circoli La Comune, che con la loro presenza
assumerebbero un aspetto più compiuto e una presenza
maggiormente articolata in tutta Italia [...].
Lotta Continua non è stata in grado o non ha voluto recepire questo
invito, a volte anche pressante, d’unione sull’intervento culturale e
all’interno dei Circoli La Comune, egemonizzati da Avanguardia Operaia,
si è riproposto il problema dell’egemonia politica sul lavoro del Circolo e
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sul ruolo e il peso decisionale di Fo e Rame, e in un’infiammata assemblea
trovatisi in minoranza, Dario e Franca decidono di proseguire da soli non
concependo di essere estromessi dalle scelte politiche del Collettivo, ma
stava proprio cambiando stagione
In un documento molto lungo e sofferto Giaime Pintor scrive:
[...] credo che la storia dei Circoli Ottobre vada ripercorsa per
capire cosa intendo con ‘inutilità’. Quando i Circoli Ottobre
ottennero la loro cosiddetta autonomia da Lotta Continua, cominciò
un periodo proficuo di lavoro fra le masse giovanili, mentre rimase
tradizionale sia la produzione specifica (della Commissione Cinema
o del Teatro Operaio) sia il discorso di fondo sulla cultura [...] così
l’autonomia da Lotta Continua stà diventando una diversità da
Lotta Continua e rischia di trasformarsi in una divergenza da Lotta
Continua [...] credo che da questo punto di vista Licola cominci a
dare i suoi migliori frutti, a far circolare le idee, a globalizzare la
visione del partito e dei militanti [...] la crescita del «Pane e le
Rose» passa, necessariamente, per la crescita dei Circoli, per il
rifiuto, che dobbiamo avere il coraggio di esprimere, di essere i
gestori di una cultura che è il fantasma di se stessa, cioè, in ultima
analisi, del giovanilismo [...]
Il compito di «Muzak» [...] sia propriamente quello che ho negato
essere del «Pane e le Rose». Un giornale di opinione e di massa,
unitario e aperto, che tenti di analizzare l’insofferenza senza
peraltro far scaturire la coscienza. Ecco sì credo che, «Muzak» sia
solo uno strumento di crescita democratica, antifascista e
tendenzialmente anticapitalista delle masse giovanili dei più
sperduti luoghi d’Italia. La sua concorrenza con il «Pane e le Rose»
avviene solo quando quest’ultimo perde i suoi collegamenti politici
[...] A Radio Licola e al dibattito sulla musica non ho risposto
all’attacco portatomi da Andrea Valcarenghi, (Re Nudo)
specificando che ero lì come rappresentante dei Circoli Ottobre e
non come direttore di «Muzak». [...]
Rimane di fatto che, unitamente alla stanchezza generale e al
bisogno che sento di organizzare diversamente la mia vita e la mia
attività, troppe sono le divergenze di fondo e di concezione della
battaglia politica che mi dividono dai Circoli Ottobre così come
sono. E in particolare dal coordinamento nazionale in cui vedo
pericolose prese di posizione volte a mantenere in vita una
struttura, a mio avviso profondamente da cambiare, comunque sia
e a qualsiasi costo [...].
Ho riportato stralci del sofferto intervento di Giaime per cercare di
rendere la complessità del dibattito che portò alla chiusura del centro di
coordinamento dei Circoli Ottobre il 4 agosto 1976, perché ritenevamo
oramai conclusa la loro funzione, vista anche l’impossibilità di un diverso
rapporto con l’organizzazione, non lasciando alcun sospeso economico,
regalando tutte le copie dei nostri films e documentari al Circolo La
Comune di Renzo Rossellini.
Mesi prima un nostro simpatizzante e collaboratore mi aveva chiesto se
poteva andare a lavorare in un nuovo quotidiano appena aperto ricordo
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che gli dissi non ti preoccupare vai pure è tutta vita, era «la Repubblica»
di Eugenio Scalfari, caro Sergio pensa se ti avessi risposto che la
rivoluzione aveva bisogno del tuo aiuto...
In realtà non riuscii a saldare, chiudere i conti con la Sviluppo e
Stampa, la società che da sempre ci sviluppava la pellicola e ci faceva le
copie dei films perdendo così anche migliaia di metri di pellicola girata da
Pier Paolo Pasolini durante la preparazione del film 12 dicembre e non
utilizzata dai compagni che parteciparono al montaggio.
Pasolini fu anche direttore responsabile del quotidiano «Lotta
Continua» e realizzò il film 12 dicembre ufficialmente per i Circoli
Ottobre, in realtà fu una produzione tutta di Lotta Continua per
rafforzare l’intervento sulla ‘Strage di Stato’ e il defenestramento
dell’anarchico Pinelli alla questura di Milano.
Un paio di volte fui ospite della sua casa-torre vicino a Viterbo, ricordo
il salone delle riunioni con un tavolo lunghissimo, tante sedie e un grande
camino sulla parete stretta, lui invece viveva nella torre alta, gli
consentiva di pensare.
Dopo la sua morte sua cugina mi invitò a casa sua nei pressi dell’EUR e
mi chiese di occuparmi della fondazione che aveva intenzione di aprire e
dedicare a Pier Paolo, rifiutai spiegandogli che ero un operaio della
cultura, non avevo la preparazione e i mezzi, la cultura appunto, per
occuparmi di una cosa così importante.
Peccato perché probabilmente avrei utilizzato meglio la sua casa e le
torri che ora sono abbandonate e sommerse dalla natura.
Partecipai all’organizzazione del congresso di Lotta Continua di Rimini
nell’ottobre del 1976, in cui esplose tutto il malcontento delle compagne
e vennero a galla molte contraddizioni e si decise, Adriano Sofri decise,
di sciogliersi nel movimento, io lo avevo già fatto con i Circoli Ottobre e
non accettai di lavorare al quotidiano «Lotta Continua» e poi «Reporter»
finanziato dal potere che fino a ieri contestavo.
Andai a trovare Karin a Francoforte, nella sua Germania e partecipai
alla battaglia contro l’apertura della terza pista dell’aeroporto per
realizzare la quale sarebbe stata distrutta parte della Foresta nera,
erano state costruite delle palafitte sugli alberi, ma non servirono a
bloccare i lavori e neppure le ruspe che avanzarono imperterrite.
Continuavo a vivere a Roma, il mio coinquilino e amico Paolo Buffo,
lasciata l’amministrazione di Lotta Continua, aveva iniziato a fare il
direttore di produzione per il cinema, io non riuscivo a trovare lavoro,
una sera alla settimana veniva Marco Lombardo a cena con altri compagni
e senza farsene accorgere lasciava il frigo pieno.
La sinistra extraparlamentare si stava ammorbidendo e molti gruppi
avevano deciso di partecipare alle elezioni mentre sempre più spesso si
facevano sentire le Brigate Rosse malgrado avessero arrestato per la
seconda volta Renato Curcio.
E Giorgio Gaber cantava sui testi di Luporini:
«avere una linea e unirsi attorno a un’idea / per confrontarsi / e
decidere insieme la lotta / in assemblea [...] / tutto che saltava in
aria e c’era un senso di vittoria / [...] tutto sembrava pronto per la
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rivoluzione / ma era una tua immagine o soltanto un’invenzione /
[...] / e allora ti torna voglia di fare un’azione / ma ti sfugge di
mano e si invischia ogni gesto che fai / ci siamo sentiti insicuri e
stravolti / come reduci laceri e stanchi, come inutili eroi / [...].
Il 1976 è anche l’anno della morte del presidente Mao e dell’arresto della
moglie con la ‘Banda dei quattro’, l’Unione Sovietica era già in crisi da
tempo dopo l’invasione di Praga, ad alcuni rimaneva Cuba e Lisa Foa a
nome nostro si chiedeva cosa fosse andato storto nel nostro
internazionalismo, ma molti non si fermavano più ad attendere la
risposta.
Per occupare il tempo e racimolare due lire mi sono messo a fare
interviste ai cantanti, ne avevo fatta una a De Gregori e una a Claudio
Lolli e tra l’altro sono andato alla CGD a Milano, l’etichetta discografica
di Caterina Caselli e del marito Piero Sugar, per incontrare Loredana
Bertè, che arriva nello splendore dei suoi primi ventisei anni con una
minigonna che sarebbe potuta servire come bandana a Berlusconi,
lasciandomi scoprire durante l’intervista che non usava mutandine [...]
forse stava diventando un’ossessione.
Così commentava Marco Lombardo Radice una mia intervista:
caromartinholettol’intervistamisembra(laprimasensazionebada)infe
riore(bruttaparola)quellasudiperdegregorimipiaceval’ideanonconosc
olollieappenalesuecanzonipocopersapereilperchèmamisembraqualun
quetuallevolteseimartinmaqualunquenonloseiquindisepensicomecred
ocheneancheclaudioèqualunquec’èqualcosachenonvacirimettereitest
aemaniprobabilmentenonlofaraieandràbenelostesso(nonc’eratempo
vogliamanitesta) [...].
Così, senza spazi, per tutta la pagina...
Sarei dovuto partire militare.
Assaltatore dei Lagunari
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Poco tempo fa mi ha cercato una giornalista di RAI2 per intervistarmi sul
libro, Licenza breve, scritto con Stefano Micocci sul servizio militare,
grazie allo stimolo di Marco Lombardo Radice, ed ebbi modo di dirle che
personalmente ero contrario all’eliminazione della leva di massa, il
servizio militare era un modo per unire questo paese, e ora sarebbe un
modo per far integrare le diverse etnie che vengono a comporre l’Italia,
il problema è dare un senso al servizio militare farlo diventare a tutti gli
effetti servizio di difesa civile e in caso di necessità una vera protezione
civile.
Nel mio caso avrebbe dovuto avere un senso punitivo, essendo io
schedato come di sinistra, mi hanno messo nel corpo scelto dei Lagunari,
dove esiste un servizio di intelligence già a livello di battaglione, in modo
da essere informati in tempo reale su tutto ciò che avviene e avere il
controllo di ogni singolo militare.
Mi sono studiato il regolamento e cercavo di applicarlo. Anche perché
non potevo più fare molto affidamento sui ‘Proletari in divisa’, essendosi
probabilmente sciolti come il resto dell’organizzazione.
Avevo già ventisei anni compiuti il che significava che ero più grande
anche dei sottotenenti che mi comandavano e avevo più esperienza della
vita di loro.
Grazie all’amicizia con un importante psichiatra di Verona sono riuscito
ad aiutare alcuni commilitoni che proprio non riuscivano a sopportare la
vita militare, qualsiasi cosa facessero, anche girare per il cortile
trainando un piccolo carrettino in legno, non venivano creduti e venivano
regolarmente puniti.
Anche se dichiaravi di essere omosessuale che era all’epoca una delle
poche condizioni per cui potevi essere esonerato, non venivi creduto ed
eri poi sbeffeggiato in caserma e nelle camerate.
Io venni punito per una sciocchezza e ritenendo la punizione ingiusta,
convocai alcuni compagni al bar fuori della caserma di Malcontenta e
concordammo che facessero delle scritte sui muri della caserma.
Il caso volle che ci fosse l’ispezione di un generale, il quale vide le
scritte e andò su tutte le furie, tutti pensavano che la responsabilità
fosse mia, ma ero punito e in teoria chiuso in caserma, allora si sono
inventati che quelli che erano stati puniti in settimana non avrebbero
potuto usufruire dei permessi per il sabato e la domenica.
Non potendo sopportare un arbitrio di quel genere il venerdì,
usufruendo della libera uscita, andai a trovare il dottor Carlassara
all’ospedale di Mirano, gli illustrai la situazione e mi feci dare cinque
giorni di malattia, il massimo per un medico civile, e andai a casa dei miei
genitori.
Ero a casa di un’amica quando ricevetti la telefonata di mia sorella che
mi avvertiva che ero ricercato dalla guardia militare, gli dissi di mandarli
da me, cioè dalla ragazza che mi ospitava.
Stavamo facendo una riunione per preparare il volantino da distribuire
il lunedì mattina davanti alla caserma, per cui quando arrivarono i militari
trovarono una stanza con parecchie persone e piena di fumo, perché
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allora si fumava tutti, probabilmente anche chi non fumava faceva finta
di farlo, per non essere da meno.
Il sottotenente medico venne in camera dove mi ero messo a letto e gli
passai il certificato medico, spiegandogli che era di un primario di
medicina e membro del senato della Repubblica, lui mi fece il saluto
militare, battè i tacchi e se ne andò, con la sua scorta armata.
Rientrai in caserma il giovedì subendo lo sfogo del mio comandante di
compagnia, ma con la soddisfazione di essere riuscito a reagire a un
evidente sopruso.
A volte capitava di dover fare delle esercitazioni in acqua, degli assalti
con la baionetta in canna contro le sponde nemiche, regolarmente uscivo
dalla riga dell’adunata, mi mettevo sull’attenti e quando il comandante mi
dava la parola, spiegavo che non sapendo nuotare non potevo garantire di
poter portare a termine l’operazione e normalmente venivo esonerato.
Voi non ci crederete come non ci credette nessuno allora, ma io non
sapevo e non so nuotare.
Venni esonerato anche dal partecipare al picchetto che doveva rendere
gli onori militari al senatore Amintore Fanfani, in piazza San Marco a
Venezia, in quel caso spiegai che il picchetto andava effettuato col fucile
con un colpo in canna, e avendo io sulle dita delle verruche poteva
verificarsi che inavvertitamente partisse un colpo e colpisse, sempre per
sbaglio, proprio il senatore Fanfani, in quel caso la responsabilità non
sarebbe stata mia ma delle verruche... venni immediatamente esonerato
dal servizio.
Sono cose che ora fanno sorridere ma compiute in un mondo dove
nessuno sapeva ridere e ogni volta rischiavi di essere mandato al carcere
militare.
Per il resto il servizio militare era noioso e inutile.
Più volte a tutti coloro con cui riuscivo a parlare, a partire dal
cappellano militare, cercavo di dire che bisognerebbe fare dei corsi di
nuoto, di meccanica, di italiano o semplicemente di guida, tutto inutile
eravamo bloccati a fare delle cose inutili e a guardare i marescialli che si
imboscavano il cibo, prosciutti interi e forme di formaggio che finivano
nelle macchine private e noi si mangiava da schifo, occultavano barche,
moto e quant’altro e a noi saliva una rabbia impotente.
I mezzi tipo i motori delle barche, le barche stesse o le moto venivano
tenuti fermi in magazzino, fatti girare con cura una volta ogni tanto e poi
messi all’asta dopo cinque anni, tranne gli interessati nessuno sapeva che
non erano mai stati usati, venivano presi per due lire. Questo era il
servizio militare e l’insegnamento che ne derivava.
Mi piace ricordare che quando il mio sottotenente di leva
dichiaratamente fascista si congedò mi disse: «Martin, se hai bisogno
non farti problemi, nella mia piccola azienda un posto di lavoro per te ci
sarà sempre!».
Ho sempre creduto nella battaglia delle idee nel rispetto delle persone.
L’ultimo episodio degno di nota fu la mia licenza durante il movimento
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del Settantasette.
Mi ero raccomandato col furiere di avere quel fine settimana libero,
era venerdì e in attesa della libera uscita mi stavo fumando una sigaretta
con altri commilitoni, dietro allo spaccio, quando arriva il comandante di
compagnia e mi ordina di seguirlo dal comandante di battaglione:
Attorno a noi si sentiva un’aria strana come di sospensione, da fermo
immagine, strada facendo mi chiede cosa avessi combinato visto che
erano stati ritirati tutti i permessi e sospesa pure la libera uscita a
tutto il battaglione. Non seppi rispondere.
La mia testa ribolliva e pensavo: qua si mette male; Facendo buon viso a
cattivo gioco, andai nell’ufficio del comandante, dove attesi, attesi, venni
fatto entrare, salutai la bandiera, salutai a lungo il comandante che
avendo un piede ingessato tardava a rispondere al saluto e mi sentii
chiedere dove sarei andato in licenza.
Capito che era inutile tergiversare risposi a Bologna, sede appunto del
Convegno del movimento del Settantasette, divenne paonazzo, inveì
dicendo che avevano rotto già trentamila macchinette della Coca Cola
(testuale), mi propose una licenza più lunga, la settimana successiva, mi
mise in guardia contro il pericolo sovversivo, non sapevo cosa rispondere,
credo di essere riuscito a dire che come io mi assumevo le mie
responsabilità lui doveva assumersi le sue, mi era stato concesso un
permesso lui poteva confermarmelo o togliermelo, avevo paura di
trovarmi con un foglio di via per il carcere militare di Gaeta, mi trovai
con in mano una licenza per Bologna.
All’uscita della caserma c’era una mia amica in macchina ad attendermi,
fummo fermati all’altezza di Padova da un posto di blocco che visto il mio
tesserino e la licenza ci fecero il saluto militare e ci lasciarono andare
senza perquisire la macchina.
L’11 marzo del 1977 in via Mascarella a Bologna, nel corso di una
manifestazione un militare spara, Francesco Lo Russo militante di una
Lotta Continua che non c’è più, viene freddato da un proiettile vagante
che non si troverà mai come la mano che lo ha sparato.
La sua idea di uguaglianza, libertà e amore sopravviverà a ogni crimine,
c’è scritto sulla sua lapide fredda e bianca.
FOTO LO RUSSO
Il movimento del Settantasette fu la ribellione delle periferie intese in
senso globale non solo geografico, degli emarginati, dei dispersi delle ex
organizzazioni rivoluzionarie, delle radio libere che in assenza di una
organizzazione si erano fatte promotrici di eventi, di quelli in fuga dal
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femminismo e di quelli che con le femministe ci convivevano, un gran
casino a cui si aggiunse l’area dell’autonomia che lo portò
successivamente alla disgregazione.
Ebbe dei momenti di grande creatività e Bologna fu uno di questi.
Arrivammo a Bologna che era sera inoltrata e ci imbattemmo nel
concerto di Claudio Lolli, cantautore triste, noto per l’ellepi Aspettando
Godot e la canzone Esistono anche degli zingari felici , c’era una miriade
di gente dipinta, truccata, vestita da indiani e non solo.
Andammo a dormire da Hubi, il mio amico tedesco che dimostrò in
seguito di essere un tedesco di merda e non «di Germania», come lui
amava dire, studiava medicina a Bologna. La dimostrazione di come si
cambia nella vita, di come molti siano, crescendo, portati a rincorrere i
piccoli interessi, le apparenze, il danaro e a perdere via via i valori e
negare, rifiutare quello che sono stati i princìpi per cui hanno vissuto e
lottato.
Quei due giorni a Bologna furono intensissimi incontrai moltissimi
vecchi compagni, tra cui Andrea Jemolo che si era messo a fare il
fotografo e pubblicò una mia foto su «Ombre Rosse», Stefano Benni, i
compagni dei Circoli Ottobre di Bologna e di Forlì.
Ammetto che rientrare il lunedì è stata dura più volte ho pensato di
non presentarmi, sarei stato un disertore, in quel caso probabilmente ha
avuto il sopravvento il mio essere della vergine.
Ambra la mia amica di Roma che aveva un negozio di vestiti usati in
piazza San Cosimato, a Trastevere, di fronte al Teatro Argot, era
sposata con un pezzo grosso dell’Esercito italiano e viveva in via della
Lungara, tre vicoli dopo la mia celletta, che era stata la mia prima stanza
a Roma, in una specie di villaggio militare, dove abitava anche Spadolini e
il suo amante, quando era a Roma per il suo incarico di primo Ministro, mi
risolsi di chiederle aiuto e grazie all’intercessione di suo marito ebbi una
licenza di trenta giorni che passai a Roma, dove trovai un clima molto
cambiato.
Il giornale si era trasferito in via dei Mercati generali, al quartiere del
Testaccio, molti compagni si erano dispersi o andati all’estero o tornati
nelle loro case dai genitori con la coda tra le gambe cioè ammettendo la
loro sconfitta, alcuni si erano uniti ai gruppi terroristici in particolare
Prima Linea e altri si erano fatti prendere dalla droga e velleggiavano in
giro per la città, facendosi dare cento lire dai passanti.
Marco Lombardo Radice era andato chissà dove a fare il medico,
probabilmente per fuggire il successo del libro Porci con le ali scritto a
quattro mani con Lidia Ravera, «Muzak» era stata chiusa e Giaime si
aggirava incerto sul che fare, tra una droga e un acido che io rifiutai di
condividere; mi prese una grande malinconia ma non la piena
consapevolezza della situazione.
Ero a Roma anche il 12 maggio 1977, andai alla manifestazione promossa
dai radicali per festeggiare il terzo anniversario del referendum sul
divorzio, senza sapere che il ministro dell’Interno Cossiga aveva vietato
qualsiasi tipo di manifestazione, c’era tantissima gente, bella gente, ma si
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respirava un clima di tensione, si sparò, da più parti, si sparò, rimase sul
selciato vicino a ponte Garibaldi, Giorgiana Masi una ragazza di 19 anni
che non aveva sparato a nessuno.
Poi si dimostrò, con foto e tanto di identificazioni che c’erano agenti in
borghese che spararono, anche se i responsabili dell’assassinio non
furono mai individuati...
«[...] e poi primavera e qualcosa cambiò, qualcuno moriva, e su un ponte
lasciò, lasciò i suoi ventanni, e qualcosa di più [...]» cantò Stefano Rosso.
Versi che non addolciscono l’amaro intenso per la morte di una
studentessa di neanche vent’anni e la mancanza di giustizia,
l’impossibilità di sapere chi e perché ha sparato e un ministro che prima
nega e poi è costretto ad ammettere e giunge a dire testuale:
«[...] che in certi momenti ci sono cose che è meglio che non si
sappiano» testuali parole di Franceso Cossiga.
Guido Viale così ricorda quegli anni:
[...] Adriano pensava di tornare a Torino, io allora per non stare con
lui andai a Milano. L’organizzazione non c’era più. E poi io non avevo
né soldi né lavoro, vivevo in una casa occupata, mi mantenevo con
qualche traduzione. Il Settantasette fu una rivolta contro quanto
era rimasto del Sessantotto: la politica, l’operaismo, l’ideologia, i
gruppi. E furono proprio i residui del Sessantotto, gli autonomi, a
stroncare la nuova rivolta. I ragazzi di Roma e Bologna percepivano
le manifestazioni come spettacolo, la politica come teatro di
strada; i cortei diventavano violenti perché arrivavano quelli della
vecchia guardia, stavolta armati, a provocare scontri con la polizia,
a cui gli indiani metropolitani certo non pensavano. Fu un
movimento sterile; produsse solo una leva di brigatisti [...].
Qualcuno era andato in India, da Osho Rajneesh, nato e mai morto, come
dicono i suoi discepoli, qualcun altro era tornato ‘arancione’ o era
diventato monaco buddista, come un compagno di Modena che girava
pelato con una tunica bianca ed emetteva una tale serenità che mi dissi:
se tanto mi da tanto ha ragione lui, solo che non era nella mia natura.
C’era anche chi come Ines Arciuolo era andata in Venezuela per fare la
rivoluzione e scrive:
[...] mi divertiva l’idea di lavorare per la rivoluzione usufruendo
della retribuzione e delle tute della Fiat [...]. L’intenzione del
Partito Sandinista era di dimostrare alle donne che era possibile
anche per loro svolgere lavori specializzati. Gli operai ci
chiamavano “cochonas” (lesbiche).
Andai all’ospedale militare del Celio con la garanzia di altri quaranta
giorni di convalescenza e uscii con l’ordine di recarmi immediatamente al
mio battaglione. Piansi.
Salutai Karin che doveva partire per il Perù con Giaime, abbracciai
Paolo Buffo e presi il treno della notte per Venezia e il mattino
successivo mi presentai a Malcontenta, lungo la Riviera del Brenta dove
aveva sede il mio battaglione, mi avevano rubato anche la Lambretta 50.
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È’ evidente che gli esponenti della nostra sinistra non, dico non, hanno
fatto il servizio militare.
Mi torna alla mente l’episodio di quel militare americano che ha ucciso
l’agente dei servizi segreti italiani che stava portando la signora Sgrena,
giornalista de «il manifesto» appena liberata, all’aeroporto di Bagdad per
rimpatriarla in Italia.
L’errore non è che lui, il giovane militare americano, abbia sparato.
L’errore consisteva nel fatto che avessero lasciato lì quel posto di blocco
e qualsiasi persona di buon senso avrebbe dovuto incolpare chi aveva dato
ordini e disposizioni e non avesse informato quelli del posto di blocco del
passaggio dell’ostaggio liberato: casualità.
Il militare ha fatto quello che avremmo fatto tutti noi.
Ha sparato prima sull’obiettivo e poi in aria, sfortuna vuole che ha
colpito l’obiettivo.
Tutti noi siamo stati addestrati per dire in caso di pericolo tre volte
‘Alto là’ chi va là’. Senza una risposta esauriente sparare in aria e quindi
sparare sull’obiettivo.
È evidente che in una situazione di pericolo tu saresti già morto prima
ancora di aver ultimato di dire per la terza volta ‘Alto là’ chi va là’, è
prassi che prima si spara e poi si chiede, è un elemento animale di
sopravvivenza.
Sto scrivendo queste righe che mi giunge la notizia che un militare
italiano in ‘Servizio di Pace’ ha sparato contro una macchina che non si è
fermata al posto di blocco uccidendo una bambina di dodici anni,
l’aggravante in questo caso è che il militare italiano ha colpito la
macchina da dietro cioè quando il pericolo in teoria era già passato...
E nessuno però in questo caso ha nulla da dire... siamo in ‘Servizio di
Pace’...
Nel periodo in cui io ho svolto il servizio militare un sottotenente è
stato ucciso per aver voluto verificare se il corpo di guardia faceva il suo
lavoro alla polveriera, e chi ha sparato si è preso pure l’encomio!
Il sottotenente non era più in grado di esprimere la sua versione dei
fatti...
Le guardie alla polveriera ma anche in altri posti definiti strategici
duravano sette giorni nei quali facevi quattro ore di riposo e due di
guardia, quattro ore di riposo e due di guardia, finivi che eri
completamente rincitrullito. Nel mio periodo di servizio militare feci ben
due guardie alla polveriera, non uccisi nessuno... ma nessuno venne mai a
controllare se facevo bene la guardia...
C’era una norma chiamata LISA, con disposizione di non applicarla, che
prevedeva che se cadi anche con un solo giorno di malattia nell’ultimo
mese del servizio militare, salti tutto il mese.
Allora io mi presentai all’ospedale militare di Padova, mi feci togliere un
neo dalla schiena – rischiando la colonna vertebrale – mi diedero dieci
giorni di convalescenza, solo che all’atto del ricovero avevo sbagliato il
mese di congedo e pertanto mi ritrovai con due giorni sull’ultimo mese di
servizio e così lo passai tutto a casa.
Al congedo ero l’unico in borghese avendomi, per regolamento, fatto
consegnare tutta la mia dotazione quando sono entrato in malattia, con il
82
comandante che si rifiutava di congedarmi in borghese, ho rischiato di
restare bloccato in caserma, poi hanno capito che non gli conveniva e mi
hanno lasciato andare.
Per leggere Marino Sinibaldi che così commentava quell’anno per quelli
restati fuori:
[...] l’azzeramento delle promesse di trasformazione [...] questo era
il clima: quando c’è la catastrofe si diffonde una specie di allegria
sconsiderata e festaiola [...] si giocava e si scherzava, si stava
assieme tutto il giorno, si consumavano droghe leggere in modo del
tutto allegro [...] Tra noi c’era una parte che stava solo sdraiata
fra le margherite e c’era una parte che solamente sparava, però
c’era una parte tra tutte e due le cose.
Il vuoto
De Gasperi insegnava che l’onore di un uomo politico non è un
affare privato. Appunto per questo motivo, la DC avrebbe
dimostrato saggezza allontanando da posizioni di potere tanti
83
uomini il cui onore era leso da colpe accertate, o da sospetti non
infondati, o da manifesta inettitudine. In un paese che non riesce a
processare gli attentatori di piazza Fontana e dove l’inquirente
dispensa immunità, non si può aspettare la sentenza definitiva della
magistratura per togliere dal governo, ad esempio, un boss
indiziato di complicità con la mafia [...].
Sono le ultime parole scritte il 16 novembre 1977 su «La Stampa» da
Carlo Casalegno padre di Andrea militante di Lotta Continua, che così
commenterà:
Quel che è successo a me personalmente è solo la conferma di cose
su cui già da tempo riflettevo. Se mi chiedete il mio parere sul
perché i compagni del Sessantotto possano finire a fare i
brigatisti in quella assoluta disumanizzazione, io non ho una
risposta pronta. Certo non è un problema di oggi, perché hanno
colpito mio padre; già da tempo ci sono in giro degli atteggiamenti
che portano su questa china [...].
Carlo Casalegno non potrà scrivere altri articoli e riflessioni, perché il
giorno dopo, quattro colpi partiti dalla pistola Nagant, la stessa che
aveva ucciso sempre a Torino l’avvocato Croce, impugnata dal brigatista
Raffaele Fiore lo lascerà a terra agonizzante.
Le BR avevano deciso di attaccare i giornalisti per cercare di farli
tacere, a Genova Vittorio Bruno de «Il Secolo XIX», a Milano Indro
Montanelli del «Giornale Nuovo» e a Roma Emilio Rossi direttore del TG1,
le motivazioni le si possono leggere su «L’espresso» che pubblica stralci
di un documento trovato in un covo delle BR:
[...] è chiaro che la stampa di regime è uno strumento di guerra e
gli squallidi intellettuali che la fanno funzionare non sono altro che
dei luridi mercenari al servizio dello stato e delle multinazionali.
Chi tra i giornalisti non si vuole schierare dalla parte di chi
combatte lo stato imperialista non ha che da cambiare mestiere
[...].
Non avevo mai conosciuto Andrea Casalegno o magari ci eravamo
incontrati senza conoscerci, ma mi sentivo molto solidale con lui e mi
rattristava sapere che molti compagni di Lotta Continua dopo la chiusura
dell’organizzazione erano entrati in gruppi terroristici condividendo in
qualche modo l’assassinio del padre.
Finito il servizio militare, per un po’ sono stato a Mestre, il Bonfietti
faceva il portiere di notte, Beppe Mantovan stanco di curare il cuore di
ricchi e grassi signori era andato in Africa a fare il medico, Silvano stava
diventando il direttore del personale della fabbrica dove era operaio,
Marilena cercava di aprire una palestra per le donne, Mimma era
diventata capo stazione e si stava trasferendo in Toscana, Beatrice si
era sposata con un bel rito civile e le tette al vento e aveva trovato
lavoro a Urbanistica, i Boato erano tutti sistemati, Michele si era
sposato con Leda o con Maria e Leda faceva l’infermiera o viceversa, con
Giorgio, ora giornalista alla «Nuova», ho organizzato i concerti degli
84
emergenti Gianna Nannini e Eugenio Finardi, riuscendo pure a perderci
una parte dei pochi soldi che mi restavano.
Avevo incontrato un mio ex compagno di scuola diventato militante di
Servire il Popolo, gruppo marxista leninista diretto da Aldo Brandirali,
che ora dirige Forza Italia in Lombardia, che mi aveva proposto di andare
a fare alcune rapine, ma decisi di declinare l’invito.
Agnese Zotti e Gigi Chiais dopo la militanza a Torino, avevano messo su
famiglia a Venezia, Gianfranco Jannuzzi aspettava il reintegro a scuola,
da dove era stato sospeso per aver fumato uno spinello, altri compagni si
erano dispersi nel territorio, anzi nel mondo, visto che alcuni erano
andati a Barcellona e altri ad aprire un ristorante sulla costa basca, io di
finire l’università a Trento non potevo permettermelo, oltretutto avevo
sempre rifiutato gli esami rubati o il voto politico.
Decisi di tornare a Roma dove avevo sempre casa. Qui mi viene a
trovare Gianfranco Bettin, al quale su sua pressante richiesta farò
conoscere Francesco De Gregori, così lui racconterà la sua militanza:
[...] sono nato e cresciuto nel quartiere operaio di Porto Marghera
e là ho incontrato i ragazzi di Lotta Continua. L’imprinting fu la
rivolta operaia del ‘70: scontri, barricate, il quartiere in mano ai
rivoltosi. Anche i ragazzini come me furono coinvolti [...] l’immagine
del pugno chiuso sulle bandiere e gli striscioni [...] entrai in Lotta
Continua attraverso i collettivi studenteschi [...] nella scuola
occupata invitammo Marco Boato a spiegare la ‘legge Reale’, Guido
Viale, Mauro Rostagno, che però si addormentò in treno, non scese
a Mestre e finì a San Donà [...]. Denunciavamo il degrado delle case
e l’inquinamento, lavoravamo sul territorio fra le baracche di Cà
Emiliani [...]. Si fondavano circoli di proletariato giovanile nei
quartieri, si organizzava l’autoriduzione al cinema... dopo il ritorno
da Bari di Michele Boato, cominciammo a parlare di movimento di
consumatori, facemmo un giornale ecologista «Smog e dintorni»
[...].
Anche a Roma gli amici si erano dispersi e i compagni pensavano ai cazzi
loro, di Nancy nessuna traccia, Turid era tornata in Norvegia ma senza
Marco, Enzino Di Calogero se ne era andato a Berlino, alcuni stavano
lavorando a un nuovo giornale, una nuova avventura, un giornale di satira
politica, ci sarà Vincino il nostro vignettista, Carlo Cagni, Jacopo Fo in
arte Giovanni Karen e altri; si chiamerà «Il Male» e avrà un grande
successo i miei amici riusciranno a sputtanarsi una barca di soldi, ma era
partito come una scommessa e senza una lira.
Era il 1978 l’anno del rapimento, del sequestro e dell’assassinio
dell’onorevole Aldo Moro.
L’anno delle dimissioni di Giovanni Leone da Presidente della Repubblica
Italiana.
In quegli anni se ne sono dette di tutte su Leone e la sua famiglia a
partire dalla moglie, troppo bella perché non lo tradisse con qualche
guardia, meglio se corazziere, a lui medesimo e il figlio maggiore coinvolti
nello scandalo Lockheed, gli aerei di addestramento statunitensi venduti
all’Italia grazie al pagamento di qualche bustarella, anche se la causa
prima fu il libro della Camilla Cederna e le corna fatte all’università di
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Pisa verso alcuni studenti che gridavano ‘Leone Morto!’
Ne uscirà pulito su tutti i fronti e si dirà che dietro le accuse e la
campagna stampa c’erano elementi dei servizi segreti, Mino Pecorelli di
«Osservatorio Politico» e la P2.
È anche l’anno dell’uccisione a Milano di due giovani vicini all’autonomia
operaia: Fausto e Iaio. Delitto senza soluzione, che si aggiunge ai tanti
misteri italiani.
E il 26 agosto del 1978 con il nome di Giovanni Paolo I sarà nominato
papa, Albino Luciani, che volendo portare la chiesa cattolica allo spirito
delle origini, iniziò con il voler vedere chiaro nei conti dello Jor, la banca
vaticana governata dall’arcivescovo americano , massone e amico della P2,
Marcinkus.
Il suo papato durerà in tutto 33 giorni. Nessuna ricerca delle carte e
del suo testamento che teneva sul comodino come nessuna ricerca delle
cause della morte. I casi della vita e della religione.
Una sera incontro Dario Fo, che aveva aperto una sede al Quarticciolo,
che dopo essersi informato mi chiese perché non andavo a lavorare alla
Palazzina Liberty a Milano, dissi di sì ovviamente e così salutai la mia
casa romana, disperdendo le mie poche cose, anche il Buffo aveva deciso
di andarsene per vivere fino in fondo una nuova storia.
La MILANO di Fo e dei Teatri
Arrivato a Milano venni ospitato da Marco Mazzi, l’ex responsabile della
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Tipografia 15 giugno, erede della tipografia di Lotta Continua, una
società per azioni che non riuscì a sopravvivere, e dalla sua dolce
compagna Celeste, che abitavano in corso XXII Marzo proprio vicini alla
Palazzina Liberty.
Gli uffici del circolo La Comune anzi del ‘collettivo teatrale la comune’
diretto da Dario Fo, erano in uno scantinato di corso Umbria 18.
Per cinquemila lire al giorno mi occupavo della programmazione della
Palazzina Liberty, inventai lo slogan ‘Per ridere, riflettere, capire’
rubato a quello usato da Adriano Sofri al congresso di Lotta Continua di
Rimini.
Chiamai Gualtiero Bertelli, Giorgio Lo Cascio, Francis Kuipers, Ivan
Della Mea, gli Anfeclowns, Katie Duck, Il gruppo di Tricarico, i
Tarantolati di Antonio Infantino, il collettivo Victor Jara di Firenze,
Davide Riondino, Il Living Theatre, il Gruppo Teatro Angrogna, il Mago
Povero, la compagnia del Bagatto, i Macloma da Parigi oltre agli spettacoli
di Dario Fo e Franca Rame, Piero Sciotto e Ciccio Busacca e di Enzo
Jannacci sempre disponibili.
Piero Sciotto oltre a cantare e recitare era anche il mio referente
rispetto alla compagnia.
Julian Beck del LivingTheatre ci lascerà una copia del suo libro La vita
del teatro con questa dedica:
«Un grande ringraziamento per l’onore e il piacere di recitare alla
Palazzina Liberty con la speranza di vedere assieme la bella rivoluzione
anarchica e non violenta [...]».
Il programma come si può vedere era una sommatoria tra i ragazzi del
Folk Studio, i gruppi sopravvissuti ai Circoli Ottobre, gli amici di Fo e i
membri del Collettivo La Comune.
Gli Anfeclowns erano Giuseppe Cederna e Memo Dini, una forza della
natura, Giuseppe era una copia in piccolo del mitico clown Jango Edwards,
Memo Dini era scultoreo, quello che le ragazze chiamano ‘un figo della
madonna’.
La prima sera dello spettacolo arrivò alla Palazzina tutto il clan della
Camilla Cederna, la giornalista che da subito ebbe il coraggio civile di
contestare la tesi della questura sulla bomba alla Banca dell’Agricoltura e
sul successivo defenestramento dal quarto piano, dell’anarchico Pino
Pinelli, e che assistette alla telefonata della moglie Licia a Calabresi per
avere notizie sulla salute del marito e alla risposta di Calabresi che non
l’aveva avvertita perché in questura avevano molto da fare.
Nel frattempo avevo cambiato casa, lasciato il tinello con letto apribile
di Marco Mazzi, ero andato nell’appartamento lasciato libero da Toni
Negri, il ‘cattivo maestro’ di Potere Operaio rifugiatosi in Francia, per
sfuggire al giudice Calogero e al ‘Teorema 7 aprile’, e lì avevo ospitato
Memo Dini, che quando se ne andò si portò appresso anche la mia
fidanzata, con la quale fece pure un figlio.
La storia tra loro mi dissero durò poco, ma creò ilarità e sagaci
commenti tra i miei amici romani, memori del mio commento sulla storia
di Marina con un amico di Marco, avevo detto succede e Marco Lombardo
Radice mi chiamò per sapere come andava e il suo commento al mio
racconto fu appunto “succede”.
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Nel monolocale molto bello di via Vetere venne a trovarmi anche Piero
con alcuni compagni di Mestre che si accamparono nel salone, era da
tanto tempo che non ci si incontrava, lui si era laureato e da bravo
ragazzo di sinistra lavorava alle COOP.
Ci venne pure Claudio Lolli che sparì all’improvviso lasciandomi questa
canzone:
come un dio americano che sa solo l’inglese
a caccia di zanzare in un altro paese
come un’erba cattiva, come due occhi buoni
come un sogno di lupo
come una cosa allegra, come un valzer viennese
sotto un muso un po’ cupo
come una vendetta non chiesta da nessuno
fatto di carne e di sangue, di fretta e di digiuno
come ferito a morte, come anima in pena
come vita venduta,
come un angelo in lacrime per la rabbia e il ricordo
di una brutta caduta
cammina di notte cammina da solo
giannizzeri e gendarmi fanno festa la sera
per il dio della birra si sacrifichi un uomo nella bassa balera
lui, la testa confusa tra la morte e l’amore
sta sprofondando in silenzio
ma li ha fatti tacere, si li ha fatti tacere, era un uomo d’onore
strangolato d’assenzio
ma nel coro di voci un’anima con la visiera
riesce a far sventolare una strana bandiera
“facciamolo vivere questo ragazzo” gli dicono
“ci ha dato tanto, facciamolo vivere” gli gridano in faccia
“dentro di lui forse ci abita un santo
facciamolo vivere, magari non tanto...”
Come un giustiziere come un dio americano,
come un’Orsa Maggiore con le stelle bagnate e un coltello in mano
come un urlo del vento, come un alito sporco
come una birra scura
come una giacca larga fatta per ospitare
le spalle di un’avventura
come un inseguitore senza preda né meta
come un dio americano, figlio di chissà che poeta
come un lancio di dadi, come un poker servito
scherzo della natura
come un ercole assorto in un vicolo cieco
tra un caffè e la paura
lo trovarono vivo, o più vivo che morto
Non so se Claudio l’ha mai incisa. Forse è anche stata pubblicata, a me è
piaciuta molto, mi ricordava il De Gregori ermetico, l’America, la voglia, il
desiderio e bisogno di giustizia.
Il 29 gennaio 1979 un commando di Prima Linea uccide a Milano il
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Sostituto Procuratore Emilio Alessandrini, l’attentato avviene all’incrocio
tra viale Umbria e via Muratori a meno di duecento metri dal
seminterrato dove lavoravo, le edicole sono piene di un identikit, si
scoprirà poi essere quello di Marco Donat Cattin, solo che mi
assomigliava incredibilmente, fui tentato di tagliarmi i baffi.
E comunque non capirò mai il perché.
Alessandrini aveva indagato sui servizi segreti deviati, ma soprattutto
sulla madre di tutte le stragi, l’attentato alla sede della Banca
dell’Agricoltura di Milano, imboccando finalmente la pista della destra
eversiva e veniva ucciso mentre portava il figlio a scuola da un
fantomatico gruppo che si definiva comunista, qualcosa continuava a non
funzionare.
Come ero rimasto allibito dalla fine dell’onorevole Aldo Moro l’anno
precedente, che senso aveva uccidere Moro, una cortesia al potere
democristiano, comunque sarebbe stato un uomo finito, in quella
occasione mi ritrovai nello slogan di Bettino Craxi: ‘Né con lo Stato. Né
con le BR’. Trasformato da Enrico Deaglio direttore di «Lotta Continua»
in ‘Contro lo Stato e contro le BR’.
Paolo Brogi, il responsabile organizzativo di Lotta Continua, il duro,
quello che riusciva a tenere in riga i militanti dell’organizzazione, dirà
pubblicamente durante una assemblea:
«Dal preciso momento in cui Moro è stato fatto prigioniero, prigioniero
in condizioni ingiuste e inumane, è divenuto l’uomo al quale io mi sento più
vicino al mondo e di cui non mi importa nulla che sia un democristiano».
Il mio amico Francis Kuipers abitava a Gradoli sul lago, venne svegliato
una mattina da mezzo esercito italiano in tenuta da combattimento con
sommozzatori per perlustrare le acque del lago e ruspe per scandagliare
il terreno, mentre lui era portato via in un furgone e non c’era nessuno
che potesse andare in via Gradoli a Roma dove i servizi segreti avevano
pure una sede, per vedere se per caso ci fosse Aldo Moro che aveva
bisogno di qualcosa, magari solo di un po’ d’acqua.
Anche qui vediamo coinvolti elementi dei servizi segreti, italiani e
americani, informazioni chiare lette al contrario, depistaggi, covi che
appaiono e scompaiono, come appaiono e scompaiono le carte trovate dal
generale Dalla Chiesa, come purtroppo è scomparso lo stesso generale e
la sua giovane e bella moglie, anche qui troviamo il Presidente emerito
Cossiga.
L’anno successivo persi un altro amico, Sergio Secci, rimase ucciso il 2
agosto 1980, nella strage fascista della stazione di Bologna, quella dove
l’orologio era rimasto fermo sulle 10,25, ma dava fastidio a qualcuno e
l’hanno fatto togliere, L’orologio era pericoloso, magari faceva pensare
alla strage, si sa i cattivi sono i comunisti e a volte gli orologi che ti
ricordano la storia.
Anche in questo caso sono coinvolti agenti dei servizi segreti italiani,
anche in questo caso assistiamo a versioni contrastanti dell’onorevole
Cossiga, anche in questo caso assistiamo a ripensamenti e a depistaggi,
anche in questo caso aspettiamo giustizia.
Sergio Secci era venuto a trovarmi per parlare di teatro e del Bread
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and Puppet e del lavoro di Peter Schumann e io gli parlai del ‘Pupazzone’
di Fo realizzato anni prima nel capannone di via Colletta.
In realtà il titolo esatto dello spettacolo di Fo è Grande pantomima con
bandiere e pupazzi piccoli e medi per semplicità detto ‘Pupazzone’, che
vede impegnata una grande compagnia e segna l’esordio di Dario Fo nel
mondo delle clownerie.
Mi venne a trovare anche un vecchio compagno che lavorava alla Regione
Lombardia, mi invitò a pranzo e mi propose di entrare in clandestinità
nella lotta armata.
Lo stesso che mi avesse detto ti andrebbe di fare una gita al lago.
Gli spiegai che dal mio punto di vista la fase era superata. la sconfitta
certa, il lavoro da fare era culturale con e tra la gente per costruire un
futuro migliore, mi ha lasciato col conto da pagare.
Demetrio Stratos, l’anima e la voce degli Area, sta male, il passa parola
che arriva è servono soldi per poterlo curare e pagare la clinica in
america, si fanno collette e poi si organizza un concerto per raccogliere
fondi, all’Arena di Milano per il 14 giugno.
Demetrio morirà il giorno prima il 13 giugno, a causa di un brutto male,
come avrebbe detto mia madre, quando si dice sono sempre i migliori a
lasciarci per primi, a volte è vero.
Non era greco come pensavo era nato ad Alessandria d’Egitto da
famiglia di origine greca, era ortodosso, era multietnico era
mediterraneo, chissà come avrebbe cantato questi nostri tempi, lui che
prima di approdare a Milano per studiare architettura e cantare con i
ribelli aveva studiato a Cipro e a Nicosia, cosa dico di questi tempi non
solo non avrebbe potuto cantare, non sarebbe neppure potuto approdare
a Milano.
Nel frattempo era approdata in Cassazione la causa tra Rame-Fo e il
Comune di Milano sull’occupazione della Palazzina Liberty, perdemmo la
causa e io dovetti cercarmi un altro lavoro.
È veramente uno strano paese quello che sfratta Dario Fo e il suo
collettivo da uno spazio abbandonato che loro hanno salvato e restituito
a un uso comune e non si pone il problema di offrirgli una sede
alternativa. Aveva ragione l’amico Eugenio Barba a dire venite in
Danimarca, vi daranno una sede e vi faranno pure un monumento.
Non riesco a vivere Dario Fo come un mito, come il genio del teatro
italiano a cui è stato assegnato il premio Nobel per la letteratura, che lui
asserisce essere stato conferito in realtà a Franca Rame e che da quel
momento si è resa insopportabile, per quanto si sia montata la testa.
Dopo aver aperto il circolo La Comune a Mestre sono andato più volte a
Milano per cercare d’incontrare Dario e Franca, non è facile incontrarli
perché cambiano spesso abitazione e sede, ma riesco a trovarli nella loro
casa provvisoria di piazzale Baracca e da allora entrano quasi nella mia
quotidianità. Apprendo lentamente la loro storia, scopro che Dario da
tempo invaghito della soubrette Franca Rame a differenza di lui, figlia
d’arte, non ha il coraggio di dichiararsi, finché lei non lo ‘incantona’ in un
angolo del palcoscenico e lo bacia;
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Da allora vivono, giocano e lottano sempre assieme.
Prima a Milano partecipando all’avventura del Piccolo Teatro di GrassiStrehler, poi formando proprie compagnie con spettacoli che potremmo
definire popolari, cioè sempre con una particolare attenzione alla gente
al popolo.
Per un periodo vivono a Roma dove si cimentano con il cinema, la
pubblicità e la televisione. Fanno un film per la regia di Carlo Lizzani, Lo
Svitato, che probabilmente funzionerebbe ora, all’epoca pochi lo hanno
capito, troppo surreale troppo geniale.
Rientrano a Milano dove mettono in scena Ladri, manichini e donne
nude, in qualche modo la sintesi tra l’eredità dei comici dell’arte portata
da Franca e la passione di Fo per il teatro popolare.
Proseguono con spettacoli che faranno la storia del teatro fino
all’approdo a “Canzonissima”, la trasmissione della RAI popolare per
eccellenza e dopo mesi di faticosi compromessi rompono perché rifiutano
la censura della direzione che voleva eliminare dal testo il riferimento
alle ‘morti bianche’ cioè a quegli operai dell’edilizia che cadono dalle
impalcature o muoiono sul lavoro.
Non si può parlare di operai, morti oltretutto, in prima serata RAI.
Tornano al teatro e Dario mette in scena, lavorando su materiali
preparati da due studiosi di musica popolare come Cesare Bermani e
Franco Coggiola, lo spettacolo Ci ragiono e canto con l’assistenza
musicale di Giovanna Marini e la partecipazione di tutte le nuove voci del
Canto Popolare.
Il titolo è la sintesi dell’esistenza, della vita dell’uomo: nasco – piango –
grido – ammazzo – mi faccio ammazzare – faccio all’amore – mi affatico –
rido – prego – credo – non credo – crepo – ci ragiono e canto.
Avvalendosi dei suoi studi ad architettura e di pittura all’accademia di
Brera, Fo si è sempre fatto le scenografie e ‘disegnato’ i propri
spettacoli, riuscendo così anche a farli ‘vedere’ ai propri collaboratori e
attori e grazie al lavoro di sceneggiatore per il cinema e prima come
autore radiofonico con Franco Parenti si è anche sempre scritto i propri
testi, per cui la messa in scena nel 1967 de La passeggiata della
domenica di Georges Michel è un po’ un’eccezione, ma è anche un approdo
a un teatro più politico con l’introduzione di polizia e manifestanti.
È’ di questo periodo anche il lavoro con Enzo Jannacci e con la famiglia
Colombaioni capostipite italiana di una tradizione di clowns e spettacoli
circensi.
‘La signora è da buttare’ è l’ultima produzione della compagnia Fo-Rame
ed è anche la prima commedia dove emerge un forte impegno politico,
dove si tenta di coinvolgere la platea, dove si richiede una presenza
attiva del pubblico e con la quale Fo, rischia censura e arresto per offese
a capo di stato estero.
Il 1968 vede Dario e Franca impegnati su un nuovo fronte, hanno dato
vita a Nuova Scena dove i testi e le scene sono sempre di Fo ma i nomi
degli attori sono in ordine alfabetico e le decisioni vengono prese dal
collettivo, il primo spettacolo è Grande pantomima con bandiere e
pupazzi piccoli e medi che debutterà non più in un teatro ma alla Camera
del lavoro di Milano, a cui seguirà Ci ragiono e canto n° 2.
È il periodo del capannone di via Colletta, della collaborazione con Nanni
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Ricordi e il Gruppo Gramsci, della partecipazioni alle assemblee in
fabbrica e nelle università è il 1969, l’anno in cui prende vita Mistero
buffo, che Dario per la tipologia dello spettacolo, per il linguaggio ‘il
grammelot’ comprensibile ovunque e la mancanza di scenografie, riesce a
rappresentare in qualsiasi situazione di lotta: sono sufficienti due fari e
un microfono.
E mentre Dario gira col suo ‘ Mistero buffo’, Nuova Scena rappresenta
con Franca, L’operaio conosce trecento parole, il padrone mille: per
questo lui è il padrone e Vittorio Franceschi mette in scena Mtm: Come
rendere musicale ciò che a prima vista sembra solo fatica e lavor o, che si
avvalgono del circuito dell’ARCI.
Lo spettacolo con Franca Rame, che sarà elogiata per l’interpretazione,
sarà l’inizio di un duro conflitto con il Partito Comunista Italiano.
Lo spettacolo successivo sarà Legami pure tanto spacco tutto lo stesso
di Fo e Franco Loi, con Franca ma sempre senza Dario in scena.
Le contraddizioni interne, unite alla frizione con il Partito Comunista e
di conseguenza con l’ARCI, dopo giornate e giornate di discussioni e
assemblee, portano alla rottura, Vittorio Franceschi e il grosso del
Collettivo rimangono in Nuova Scena, avendone la maggioranza,
trattenendo pertanto anche tutti i mezzi e attrezzature e Dario, Franca
con Paolo Ciarchi e Nanni Ricordi daranno vita al Collettivo teatrale La
Comune e cercheranno di realizzare anche un circuito alternativo.
Il primo spettacolo sarà Vorrei morire anche stasera se dovessi
pensare che non è servito a niente . Sulla Resistenza un accostamento fra
la lotta del popolo palestinese contro Israele e la lotta italiana contro il
nazi-fascismo, insomma il tentativo di un teatro cronaca.
Un collettivo come quello di Franca Rame e Dario Fo non può non
occuparsi della ‘Strage di Stato’ e del conseguente defenestramento
dell’anarchico Pinelli dall’ufficio al quarto piano del commissario Calabresi
e nasce a un anno di distanza dai fatti lo spettacolo Morte accidentale di
un anarchico.
Dario ne fa una farsa e per evitare denunce imposta il lavoro sulla
storia dell’anarchico Salsedo, nell’America degli anni Venti, ma aggiunge,
per rendere il lavoro più verosimile si supporrà che sia avvenuto in una
qualsiasi città italiana... facciamo conto Milano.
Si giocherà molto sulla deposizione di un poliziotto che sosteneva di
aver cercato di trattenere Pinelli al punto da essergli rimasta una scarpa
in mano (peccato che il corpo di Pinelli le avesse tutte e due ai piedi), e
sulla caduta raso muro non congeniale con uno che si tuffa per suicidarsi.
Lavorare si fa difficile, non avendo più il circuito ARCI, è quasi
impossibile organizzare un giro omogeneo, si lavora nelle università e
nelle fabbriche occupate, spesso nelle piazze, nei cortili, non si riescono
più ad avere i teatri per l’intervento delle questure e della polizia che li
vietano anche all’ultimo momento, ed essendosi ridotte le possibilità di
rappresentare gli spettacoli il Collettivo La Comune aumenta le proposte.
E in pochi anni mette in scena : Tutti uniti! Tutti insieme!, Ma scusa,
quello non è il padrone?, Morte e resurrezione di un pupazzo , Ordine per
Dio.ooo.ooo.ooo!, Pum, Pum! Chi è? La polizia!, Ci ragiono e canto n°3,
Guerra di popolo in Cile, Non si paga non si paga, Il Fanfani rapito, La
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giullarata e La marijuana della mamma è la più bella del 1976 seguita da
Parliamo di donne e da Tutta casa, letto e chiesa dove la protagonista
assoluta sarà Franca Rame.
Impossibile raccontare quegli anni, le fatiche, le discussioni, le
denunce, il lavoro con Soccorso Rosso per la difesa dei compagni
incarcerati, gli assalti dei fascisti fino all’estrema violenza subita da
Franca. Per un periodo il Collettivo riesce a lavorare al cinema Rossini di
Milano, finché i proprietari su pressione della questura non rinnovano più
l’affitto e Dario individua lo spazio in totale abbandono della Palazzina
Liberty ed entra per un sopralluogo accompagnato dall’assessore che gli
lascia le chiavi, che restituirà solo nel 1979 dopo aver perso la causa
intentatagli dal Comune di Milano.
In una infiammata assemblea del Collettivo La Comune, Fo la Rame e
pochi altri compagni, verranno messi in minoranza e se ne andranno
accettando di lasciare alla maggioranza tutto il materiale accumulato
negli anni, dai camion alle attrezzature tecniche al palco smontabile e
ripartono mettendo in scena con una formazione ridotta che comprende
Ciccio e Chicca Busacca, Carpo Lanzi e Piero Sciotto, lo spettacolo
Guerra di popolo in Cile.
Spettacolo dove alcuni attori si fingono poliziotti e interrompono la
rappresentazione con la scusa e il pretesto di voler arrestare alcuni noti
rivoluzionari presenti in sala, raccomandano la calma e invitano il pubblico
a non uscire perché il teatro è circondato dalle forze dell’ordine, e
leggono i nominativi – concordati in precedenza – delle persone che
devono essere arrestate.
Malgrado la formazione ridotta della compagnia per cui i pochi attori
debbano fare tutti i ruoli, la cosa risulta talmente realistica da indurre
alcuni, tra il pubblico, a distruggere agendine o a cercare di occultare
documenti.
Dario Fo sarà realmente arrestato a Sassari ma la reazione
internazionale fu talmente forte che intervenne il governo per farlo
scarcerare.
Credo si possa dire che Fo riesca a staccarsi dall’impegno politico
diretto con Storia della tigre e altre storie , scritto dopo un viaggio in
Cina, ritorna a essere lui, quello di Mistero Buffo, a usare il linguaggio
del corpo e la forza delle modulazioni vocali, impone questa sua forte
presenza istrionica facendo arrivare al pubblico tutti i personaggi che via
via rappresenta.
Una vera forza della natura.
S’impossesserà nuovamente della scena con La storia di un soldato
dall’opera di Igor’ Stravinskij messa in scena per il teatro alla Scala di
Milano, di cui ho potuto vedere le prove alla Palazzina Libery.
Fu un’operazione eccezionale dal risultato entusiasmante dove Dario Fo
ha concentrato tutto il suo sapere accumulato negli anni, dando sfogo alla
sua genialità e dirigendo con maestria trentadue attori e otto musicisti,
dove le critiche si concentrarono sui costi dell’operazione, peraltro
inferiori ai normali costi di un’opera lirica.
In quell’occasione anche la critica italiana e il potere politico dovettero
prendere atto che Fo era rappresentato con successo in tutto il mondo e
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finalmente gli era stato concesso anche il visto per gli Stati Uniti
d’America in precedenza sempre rifiutato.
Dopo lo sfratto dalla Palazzina Liberty, trovai lavoro al Salone Pier
Lombardo, aperto da Franco Parenti, Andrée Ruth Shammah e
Gianmaurizio Fercioni.
Per capire come meglio orientarmi nella programmazione teatrale, feci
un questionario a cui, tra gli altri, rispose Marco Lombardo Radice,
risposta che vi riporto integralmente sottolineando la data: 29 agosto
1979, cioè esattamente trenta anni fa.
Caro Sergio, ho ricevuto il tuo questionario: rispondo, ma –
consentimi – in modo informale e amichevole (non mi costringerai a
fare l’intellettuale serio...). Dunque, come forse tu sai io detesto il
teatro, e dunque non sono molto indicato rispondere. Ho visto, negli
ultimi quindici anni, quasi esclusivamente cose (pochissime) di amici
o parenti. C’è di peggio: teorizzo, generalizzando il mio ‘privato’,
che il teatro è una forma di spettacolo morta, più o meno come
l’opera o il palio del Saracino. Intendo una forma artistica che
continuerà, probabilmente indefinitamente, a richiamare un
pubblico estremamente ristretto di ‘specialisti’ dunque
sopravviverà fittiziamente (sovvenzioni, ecc.): un po’ come la
letteratura greca (il suo studio) o, appunto, l’opera.
Si può invertire la tendenza? Lo potete voi, che lo volete? Forse sì,
ma – secondo me – a condizione di capire a fondo alcune cose a
cavallo fra la sociologia, la psicologia e l’arte.
La prima, e la fondamentale, è questa: che alcune ‘forme artistiche’
sono fatto prevalentemente (se non esclusivamente) sociale, e
altre individuale, e altre miste.
Ora il teatro è forma sociale, storicamente. Se si leggono un po’ i
grandi romanzi dell’Ottocento, che cosa fosse il teatro al momento
del suo massimo splendore appare chiaro: un momento, un centro di
un tessuto sociale ben preciso, di una classe (se mi passi il termine
sono anche chissà perché così demodé). In Balzac ci sono scene
bellissime nei teatri; come anche in Tolstoi: altro paese, altra
cultura. In comune appunto la collocazione del teatro in un tessuto,
un suo posto. All’interno di questo, di questo ruolo sociale del
teatro si è sviluppato anche un discorso artistico, si è evoluto il
gusto, ecc.. Ma all’interno: voglio dire che i nobili tolstoiani
andavano all’opera innanzitutto per ammirare le tette della bella
Helene e spettegolezzare su i suoi amanti, poi – in secondo luogo –
per apprezzare le novità dell’opera italiana o invece rifiutarne la
novità.
Ora si dà il caso che quel tessuto sia scomparso: la follia è sperare
che il teatro possa continuare a esistere (come cosa viva!) senza
una socialità, come rapporto individuale con un prodotto artistico.
Follia perché la nostra società ha sviluppato prodotti culturali ‘per
uso individuale’ estremamente più funzionanti: libri (poco), cinema,
TV. Se io come singolo individuo ‘atomizzato’ voglio un prodotto
culturale beh, per dio, mi sbatto in un cinema o accendo la TV o mi
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leggo un libro, cose infinitamente più comode semplici e allettanti
che andare in un posto tale all’ora tale magari decidendo prima il
giorno e spendendo abbastanza per vedere qualcosa che posso per
lo più trovare in TV o in un cinema (dove vado quando voglio, all’ora
che voglio, ecc.).
Banalità? Sarà. Però il punto è questo. Allora il problema è ricreare
un tessuto per il teatro. (Fra parentesi il discorso è abbastanza
simile a quello che facemmo un tempo sui concerti: esistendo
dischi, cassette, radio ecc, il concerto è, va al di là del fatto
puramente musicale – cioè appunto diviene fatto sociale – o non è).
Quale, come? Qui veramente non ho idee. Certo è che solo quando
ha un qualche tessuto il teatro continua a vivere. Ma quale socialità
trovare in queste città disgregate? Fa un po’ tu.
Una riflessione di estrema attualità che andrebbe ripresa e che rientra
nelle discussioni in corso ora sul ruolo della cultura e il contributo e il
ruolo dello Stato che molti elementi dell’attuale governo chiedono sia
azzerato.
Nel frattempo avevo dovuto lasciare la casa di via Vetere in zona
Ticinese, dove più volte avevo incontrato Erri De Luca che si era messo a
fare il muratore e viveva in zona con altri compagni di Lotta Continua,
che facevano i lavori più disparati e disperati, trovai casa da Marco
Manna il mio fonico alla Palazzina, solo che per arrivarci dovevo
attraversare la città, decisi allora che era giunto il momento di fare la
patente.
Mi iscrissi a un’autoscuola vicino al teatro in zona Porta Romana.
Ci andavo nel tempo libero e a volte saltavo le lezioni di guida, dopo
alcuni mesi l’istruttore mi dice che io non potrò mai prendere la patente,
sono troppo imbranato e mi chiede trecentomila lire, la richiesta mi
lasciò interdetto ma poi gli diedi i soldi e ottenni la patente di guida.
Era un’autoscuola dell’ACI e io avevo poco tempo da perdere, ma non
basta a giustificare.
Emerge l’astro di Bettino Craxi, le elezioni anticipate del 1976 avevano
confermato ma ridotto il predominio democristiano con oltre il 38% dei
voti, un’avanzata del Partito Comunista Italiano portandolo al 35%, una
sonora sconfitta della sinistra extraparlamentare che aveva fallito il suo
confronto con il voto e una discesa sotto la soglia del 10% del Partito
Socialista con un arretramento del Movimento Sociale Italiano al 6% e
Craxi in una combattuta assemblea all’hotel Midas di Roma sostituirà De
Martino alla guida del Partito Socialista dandogli una impronta molto più
efficientistica.
Nel paese il clima sta cambiando, la legge sui pentiti sta dando i suoi
frutti e molti sono gli arresti, i terroristi si stanno avvitando su sé
stessi, la gente ha voglia di bello, di futilità, di divertimento, non ne può
più di morti ammazzati, attentati, stragi, targhe o domeniche alternate o
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chiusure anticipate, scioperi, disagi, blocchi stradali e manifestazioni.
Nel frattempo vengono uccisi l’operaio comunista Guido Rossa, il
giornalista Walter Tobagi e il giudice Vittorio Bachelet, ma assistiamo
anche all’uccisione di due detenuti nelle loro celle a Nuoro e di un altro a
Torino a opera dei Brigatisti e il neofascista Concutelli strangolerà
sempre in carcere prima Ermanno Buzzi condannato per la strage di
Brescia e poi un altro neofascista coinvolto nella strage di Bologna.
Anche Prima Linea non è da meno e ucciderà un militante di Autonomia
Operaia per impedirgli di deporre, cioè testimoniare a un processo, fino
all’uccisione di Roberto Peci per punire il fratello Patrizio che aveva
tradito, fornendo nomi e cognomi oltre agli indirizzi degli alloggi dei
brigatisti.
Siamo arrivati alla resa dei conti interna senza più alcun rapporto con la
realtà vera, si uccide chi si pensa abbia fatto o possa fare uno sgarbo.
Era diventato presidente della Repubblica Sandro Pertini, che, senza
remore, pratica e predica l’onestà, apre il palazzo non solo alle
scolaresche e infonde al paese un maggior clima di fiducia e speranza.
A Torino assistiamo, molti sbigottiti, alla ‘marcia dei quarantamila’, sono
quadri e impiegati, dirigenti che manifestano contro gli operai e i
sindacati per poter andare al lavoro, da mesi è in corso una dura
vertenza contro i licenziamenti e la cassa integrazione proposta dalla
FIAT per arginare la crisi, i picchettaggi davanti alla fabbrica si fanno
durissimi e nessuno può entrare a lavorare, la reazione degli impiegati è
la manifestazione del 14 ottobre 1980, che obbligherà i sindacati a
chiudere l’accordo con l’azienda accettando licenziamenti e cassa
integrazione e la sinistra a interrogarsi se fino a quel momento ha fatto
bene a difendere il lavoro e non i lavoratori.
Francesco De Gregori canta:
Viva l’Italia, l’Italia liberata / l’Italia del valzer, l’Italia del caffè
L’Italia derubata e colpita al cuore / viva l’Italia che non muore
Viva l’Italia, presa a tradimento
l’Italia assassinata dai giornali e dal cemento
[...] l’Italia con gli occhi aperti nella notte triste
viva l’Italia, l’Italia che resiste
Al teatro Pier Lombardo si stava bene, c’era un ambiente molto positivo,
gente simpatica, grandi attori a partire da Franco Parenti che mi spiegò
aveva scoperto molti anni prima Dario Fo in un bar di Brera e l’aveva
portato in radio a fare il “Poer Nano” e poi fecero la compagnia teatrale
Parenti-Fo-Durano, finché non si intromise Franca Rame e la compagnia si
sciolse. Franco non era tenero con Franca, probabilmente gli addebitava
la fine di quella avventura teatrale.
Collaborai alle riprese televisive della trilogia di Giovanni Testori,
dovevamo riprendere gli spettacoli in teatro e la Andrée mi manda da
Testori per chiedergli se era possibile sostituire l’attore.
Vado nel suo studio in zona Brera, a fianco dell’Accademia di Belle Arti,
con sul retro dello studio, un bel parco, commentiamo alcuni suoi quadri,
parliamo dello spettacolo e quando gli dico che l’attore non è adeguato al
ruolo, vengo sommerso d’improperi, riuscendo a evitare per poco un
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catalogo in testa.
Scoprirò poi che l’attore in questione era l’amante di Testori, la Andree
lo sapeva benissimo e mi ha usato, e ogni volta che il maestro sarà
presente in teatro dovrò nascondermi per evitare di irritarlo.
I cattolici e le loro contraddizioni che amano addebitare agli altri...
tanto poi loro si vanno a confessare.
Chiesi a Franco Parenti perché continuassimo a organizzare i concerti
di musica antica o meglio di musica barocca di Laura Alvini, che non
avevano pubblico e lui mi rispose perché oltre a essere molto brava era
una sua amica.
Allora con Vincenzo Ferrari inventammo ‘Scene per un concerto’
quattro concerti di Laura Alvini su musiche di Johann Sebastian Bach,
con i fondali di quattro diversi artisti milanesi Alik Cavaliere con
Vincenzo Ferrari, Emilio Tadini e Gianfranco Pardi. Fu un lavoro lungo
trovai un piccolo ma fondamentale contributo da Novella Sansoni,
assessore alla Cultura della Provincia di Milano, e riuscii a far realizzare
da un laboratorio amico i fondali dai bozzetti dei quattro artisti, ma fu
un lavoro ripagato dal risultato.
Fu un trionfo sala completamente esaurita e commenti entusiastici. E
finalmente il giusto riconoscimento alla ricerca musicale di Laura Alvini.
Arrivato a Milano alla Palazzina Liberty, forse perché c’era Dario Fo,
forse perché ci passavano artisti interessanti, ho avuto la fortuna di
conoscere un gruppo di giovani giornalisti desiderosi di vedere e di fare;
Marina Stroder, bella ed esuberante direttrice di un nuovo giornale
locale, il freelance tutto fare Paolo Crespi che cercava di non perderla di
vista ma Marina regolarmente lo seminava.
Il critico serio e attento Ugo Volli che per strada ha capito che non è
tanto la critica che paga, Anna Bandettini seria e caparbia
corrispondente di «la Repubblica» che con Aldo La Stella non ha mai
tradito il primo amore, Marco Mangiarotti a «Il Giorno» e la più
distaccata Giuseppina Manin al «Corriere della Sera», oltre al più
distaccato ed importante Franco Quadri, all’ermetico Renato Palazzi e al
signore dei critici Roberto de Monticelli, questo mi ha aiutato nel mio
lavoro perché avevano capito che cercavo di proporre spettacoli
interessanti e perciò mi davano fiducia.
Al Pier Lombardo riuscii a sperimentare molte cose, non sempre con
successo.
Provai a fare il cinema di mezzanotte, proiezioni di film il sabato sera
con annesso ristorantino a cura di Pratobello, con cibi biologici e o
macrobiotici, le domeniche mattina incontri con l’astrologia, incontri di
approfondimento sugli spettacoli teatrali in cartellone a cura del prof.
Bisicchia e del prof. Guglielmino.
Progettai con un amico gay ed esperto musicale, una settimana dedicata
a Maria Callas, fu un lungo lavoro che poi per problemi di diritti si ridusse
a una ‘Ventiquattro ore no-stop’, con filmati inediti, cantanti, interventi,
pannelli con foto rare e con un pubblico molto attento e partecipe da
tutta l’Italia del nord, per tutte le ventiquattro ore.
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Quello che sicuramente funzionò fu il concerto di Paolo Conte.
Paolo Conte, me lo aveva segnalato Francesco De Gregori, quando avevo
lasciato Roma.
Avevo cercato di contattarlo senza riuscirci per portarlo alla Palazzina
Liberty, lo trovai telefonicamente il giorno di ferragosto e riuscii a
fissare un appuntamento a casa dell’avvocato ad Asti, dove lo convinsi a
tenere tre concerti incastrati nella programmazione teatrale, il primo il
sabato pomeriggio, gli altri domenica e lunedì sera, per i quali
concordammo il compenso di un milione di lire.
Al rientro in teatro spiegai la cosa ad Andrée Shammah, la quale mi
disse che andava tutto bene ma garantivo il compenso sul mio stipendio,
guadagnavo all’epoca cinquecentomila al mese e faticavo ad arrivare a
fine mese, sarebbe stata dura che io potessi integrare il compenso per
Conte, mi dissi in qualche modo faremo.
Fissai un incontro a casa di Nanni Ricordi, che avevo conosciuto quando
aveva messo in piedi i Circoli La Comune con Franca Rame, e definimmo
tutti gli accordi con Paolo Conte, che scoprii essere persona attenta,
disponibile, un po’ timida, timidezza che alcuni scambiano per arroganza.
Incontrai Enzo Jannacci in osteria e gli chiesi di intervenire al
concerto, mi supplicò di non insistere, anzi me lo scrisse anche come
dedica nell’ellepi che stava pubblicando in quei giorni, cercai Bruno Lauzi,
Francesco De Gregori mi promise che sarebbe arrivato la sera di lunedì.
Per il sabato pomeriggio avevo invitato tutti i giornalisti e molti amici,
Egle, la moglie di Paolo, mi chiese se poteva cambiarsi e lo fece nel mio
ufficio, si mise un vestito con uno spacco che sarebbe diventato di moda
solo molti anni dopo con l’imporsi del tango argentino, Sandra la compagna
di Nanni Ricordi, aveva un decolté eccezionale, asserivano di dover
tenere le pubbliche relazioni...
Conte si presentò in smoking col suo sorriso sghembo e dopo un inchino
alla sala gremita si sedette al pianoforte e rapì subito il pubblico, in
particolare quello femminile, con questa sua cantata strana, quasi
stonata, questa voce che ti porta lontano, che ti fa entrare nelle
atmosfere delle sue canzoni.
Enzo Jannacci che da nove anni non si esibiva in pubblico avendo scelto
di fare il medico, si sedette al pianoforte a fianco di Paolo Conte e
suonarono e cantarono assieme Gelato al limon e non so cos’altro.
Fu un’apoteosi.
Non si contano le chiamate per i bis.
Conte si presentava in palcoscenico, si inchinava al pubblico che
guardava sbigottito, quasi sorpreso, come a dire cosa succede ho fatto
solo il mio concerto.
Le due repliche successive furono un tutto esaurito grazie
all’entusiasmo del pubblico, al passa parola e all’articolo di Mario
Luzzatto Fegiz su tutta la pagina spettacoli del «Corriere della Sera».
Lunedì arrivò pure Renzo Fantini, compagno di antiche battaglie, l’agente
di Conte e Mimma Gaspari della RCA, che si impegnò ad aiutarmi per lo
spettacolo di Davide Riondino, anche lui nella stessa scuderia.
Bruno Lauzi, non serviva più che intervenisse ma venne domenica senza
cantare e in seguito dovetti portargli Paolo Conte in studio a suonare lo
xilofono per il suo nuovo disco, come da impegni, De Gregori sostiene di
essere venuto lunedì ma di essere arrivato troppo tardi.
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Oramai il fenomeno Conte era avviato.
In seguito accompagnai Paolo Conte a un concerto a Firenze, noi
eravamo in un cinema-teatro vicino alla stazione, l’ingresso costava
cinquemila lire, in contemporanea cantava Ornella Vanoni al Teatro Verdi
l’ingresso veniva venticinquemila lire e Paolo disse: «Ecco io devo andare
a suonare in quei teatri».
Direi che li ha abbondantemente superati.
Non posso non menzionare la cena che facemmo anni dopo con Paolo
Conte, Caterina Caselli, il marito Piero Sugar e il suo compagno di scuola
nonchè presidente del Consiglio, Bettino Craxi, che ci intrattenne tutta
la sera sulla politica del Partito Comunista e sul fatto che avrebbe
dovuto cambiare nome, va detto che la storia, almeno in questo, gli ha
dato ragione.
Come non posso non ricordare che Conte , già famoso e richiesto in
tutto il mondo, intervene gratuitamente nel 1989 all’inaugurazione del
teatro che avevo aperto a Torino con la cooperativa Granserraglio,
ritardando la cena con Giovanni Goria, suo compaesano e presidente del
consiglio in carica.
Lo spettacolo di Davide Riondino, con Paolo Hendel e Daniele Trambusti
fu molto interessante, forse troppo, anticipava i tempi e non fu capito.
Non ebbe molto pubblico e nemmeno l’attenzione della critica che
meritava, per fortuna che le spese ce le rimborsò la RCA e non mi
vennero trattenute dallo stipendio, altrimenti avrei dovuto lavorare
gratis per almeno quattro mesi.
Su indicazione di Andrée organizzai un recital di poesie con Eduardo de
Filippo, in occasione dei suoi ottanta anni, preparai lo spettacolo mentre
lui stava lavorando al Teatro Manzoni, presentava tre suoi atti unici, e
per un mese continuai ad andare nel camerino di Eduardo con gli
ingrandimenti delle poesie, sempre più grandi, non ci vedeva quasi più.
Preparavamo lo spettacolo lui in poltrona io a mettere assieme le poesie
e gli scritti, i commenti, desiderava fosse tutto previsto, calcolava anche
le eventuali interruzioni e gli applausi.
Eduardo de Filippo non sembra che reciti, non si nota la fatica, è tutto
naturale vero, ma tutto calcolato provato fino all’ultima poesia prevista
come bis, che sembra soffiata, ma arriva chiara alle ultime file.
Il recital fu una cosa straordinaria al punto che Eduardo decise di
tenerlo in repertorio, il ricavato venne dato alla Casa di riposo per
artisti.
Durante le prove Eduardo mi spiegò che era più ottimista perché ora i
giovani capiscono più facilmente e le generazioni non si susseguono più
ogni venti anni ma con maggiore rapidità e parafrasando Elsa Morante
sosteneva che il futuro sarà salvato dai ragazzini e dalle donne.
Andai anche a trovare Gino Paoli, nella sede della sua etichetta Senza
Fine, ci conoscevamo già perché negli anni roventi lui era nella scuderia
dell’amico bolognese Willi David, abitava con la famiglia vicino al teatro,
feci anche amicizia col figlio Giovanni, ma non riuscii mai a fare qualcosa
con lui.
Mentre era un grande divertimento andare all’Ultima spiaggia
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l’etichetta di Nanni Ricordi, dove spesso trovavi Gianfranco Manfredi e
Richy Gianco.
Gianfranco Manfredi, ora noto sceneggiatore di film e fumetti, era
considerato il cantante dell’autonomia operaia ed è noto per la canzone
Ma non è una malattia, Gianco era uno spasso e una miniera di
informazioni su Adriano Celentano e il suo ‘clan’, di cui aveva fatto parte,
ci raccontava una storia dietro l’altra, si era preso una Jaguar bianca
decappottabile e ne aveva combinate peggio di Bertoldo.
Nanni Ricordi, meriterebbe un libro da solo, è che non si racconta
volentieri, lui fa, se hai bisogno lui ti aiuta, ma non ti dice, a lui si deve il
termine cantautori e il fatto che molti all’inizio abbiano avuto la
possibilità di fare il loro primo disco.
Grazie a Roberta, la mia fidanzata di allora giovane, bella, colta e
intraprendente, ho conosciuto Ferruccio De Bortoli, attuale direttore
del «Corriere della Sera», all’epoca responsabile delle pagine economiche
e pressoché da sempre nel gruppo Rizzoli, ci incontravamo spesso a
Camogli o sul lago di Como e una volta mi raccontò di essersi fatto un
codice di autoregolamentazione visto che in occasione delle feste
riceveva una marea di regali anche di estremo valore si era imposto di
restituire tutti quelli sopra al milione di lire, trovava anche sorprese
d’oro dentro alle uova di Pasqua, mi è tornato in mente questo particolare
pensando al nostro Presidente del Consiglio che gira con pacchi di collier
perché non si sa mai che non si debba fare un regalo...
Capitava spesso che mi si chiedessero consigli o collaborazioni, che
quando potevo fornivo gratuitamente, come nel caso di Stella Leonetti,
che cercava di mettere in scena il suo primo testo teatrale Repertorio,
cioè: l’orfana e il reggicalze , riuscimmo a ottenere la sala Azzurra della
civica scuola del Piccolo Teatro di Milano e andare in scena con grande
successo, che fu anche la rivelazione di una nuova e grande attrice: Lella
Costa.
Le musiche le avevo fatte fare a un musicista mio amico e allievo di
Giorgio Gaslini, Gaetano Liguori, che dopo essersi lamentato che tutti gli
chiedevano sempre piaceri e interventi gratuiti, molti anni dopo ebbe la
compiacenza di ringraziarmi per i diritti d’autore che il teatro gli
portava.
In quegli anni il Pier Lombardo era frequentato da molti politici, alcuni
comunisti amici e compagni di Franco Parenti ma molti erano i socialisti,
in particolare Claudio Martelli era di casa anche perché sua moglie
professoressa collaborava con noi e insegnava alle centocinquanta ore, ci
venivano quando possibile, Bettino Craxi, Pillitteri, Tognoli e tanti altri.
Si parlava molto del polo fieristico ‘La Chiarella’ che stava fallendo e
l’Ente Fiera Milano sarebbe dovuto intervenire affittandone 85.000
metri quadrati, malgrado il piano regolatore prevedesse l’estensione della
fiera dalla parte opposta, come si discuteva della necessità di far
decollare Milano2 per aiutare un costruttore che Craxi aveva deciso di
sostenere.
Io avevo cercato un piccolo prestito dalla Banca di Lodi, dove aveva il
conto la Shammah, per comprare un monolocale di fronte al teatro ma
senza riuscirci.
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Successivamente il medico curante di Dario Fo mi ricoverò nell’ospedale
di Desenzano del Garda, dove era primario di medicina, per dei controlli
medici, mi mise in una stanza con un altro paziente, il quale quasi subito
iniziò a inveire; all’inizio non ci feci caso, poi iniziai a prestare attenzione
al suo racconto.
Aveva costruito tutti gli infissi in una nuova grande realtà immobiliare
milanese, tutto materiale di buona scelta, in legno massiccio amava dire e
poi sconsolato aggiungeva mi vogliono pagare con la pubblicità, con la
pubblicità? ma che roba è, non si mangia mica la pubblicità.
E continuava dicendo disperato che non se ne veniva a capo, era una
società dentro l’altra, non si arrivava mai alla fine, non si riusciva a capire
chi fosse il responsabile, per andare a prenderlo a bastonate.
E continuava, mi vogliono pagare con la pubblicità e io che gli ho dato
porte e finestre in legno massiccio, legno vero, buono di qualità mica
quelle robe che iniziano a fare adesso a nido d’ape con la sabbia per
appesantirli, e mi vogliono dare il 50% in pubblicità, neanche il 25 % che
è il mio guadagno e il resto a rate.
Capisco la difficoltà a capire, erano anni che non si usava molto fare
pubblicità, si c’era l’esplosione delle televisioni private, ma il lavoro
tirava, il made in Italy funzionava molto anche all’estero, perché fare
pubblicità, forse solo per avere qualcosa in cambio di porte e finestre.
Non so se avete capito ma si riferiva ad un giovane rampante
costruttore che rispondeva al nome di Silvio Berlusconi.
BONFIETTI
In questo paese non serve mettere il segreto di Stato sulle stragi, basta
infilare un documento nel fascicolo sbagliato per depistare chi si mette
alla ricerca di qualcosa, o mettere il segreto solo su ciò che attiene i
servizi segreti e questo è sufficiente perché non si arrivi mai alla verità
o perché ciò avvenga solo dopo molti anni, quando ormai l’effetto sul
popolo sovrano sarà diluito.
Il paese dopo un po’ diventa indifferente, assorbe le stragi e i suoi
101
segreti, recenti inchieste su un campione di studenti, addebitano alle
Brigate Rosse sia la strage di piazza Fontana, malgrado sia comunemente
nota come ‘Strage di Stato’, che quella di Bologna, la gente pensa alla
prossima vacanza o con che macchina sostituire la vecchia e non si pone il
problema di salvaguardare la democrazia.
Alberto Bonfietti, trentasette anni, mio amico e compagno, andava a
Palermo per il compleanno della figlia e rimase intrappolato nell’aereo, il
DC 9 dell’Itavia in volo da Bologna a Palermo, partito con due ore di
ritardo.
Chi dice esploso in volo per un’avaria, chi i soliti terroristi di sinistra,
chi darebbe in questo caso la colpa anche alla destra eversiva o ai
palestinesi, io propendo per la tesi che addebita la colpa ai francesi che
su ordine statunitense hanno tentato di far fuori il leader libico
Gheddafi, che ha visto bene di farsi coprire dalla scia di un aereo più
grande.
Ovviamente i nostri servizi segreti che al caso diventano deviati e in
questo caso sono coinvolti anche i vertici dell’Aeronautica militare, hanno
organizzato il depistaggio, la sparizione dei nastri e via elencando.
Per dimenticare prima è stata anche messa in liquidazione la compagnia
aerea Itavia, non era neppure in passivo.
Così Rinaldo ricorda Alberto:
[...] Ho pensato alla solitudine di Alberto a questa dolce e terribile
figura che gli era stata vicina fin dall’inizio. La si poteva misurare
anche attraverso l’esigenza sua fortissima di mantenere gli antichi
rapporti: quelli che restano in piedi malgrado i terremoti [...].
Probabilmente stava districando la trama della sua storia per
rintracciare il nesso che legava il percorso dei suoi ultimi anni alla
sua identità originaria [...].
e Lia:
oggi è morto Bonfietti / oggi è morta una foglia verde / oggi è morto
un mio amico/ dopo tanti anni passati / dentro antri fumosi, davanti ai
cancelli / ora nel vento / negli a e r e i assassini [...].
E Mimma dice:
Certo Alberto ha sofferto del ridimensionamento che la storia ha
fatto delle prospettive di tutti noi, quelli della nostra generazione,
quelli che credevano di aver reinventato definitivamente il comunismo.
Ha sofferto e ha fatto soffrire per questo, come molti di noi.
Ma quell’Alberto alto, allampanato, eternamente trasandato, il suo
parlare stringato ed essenziale [...]. Ci mancherà.
Toni Capuozzo ricorda le domeniche d’estate nella Gemona del
terremoto... ricorda la presenza fisica di Alberto in cui per lui risiedeva
l’immagine dell’organizzazione lontana, forse per questo adesso, la cosa
più inquietante è la sensazione che non ci sia più...
102
Giannina, la moglie, ora cura i malati terminali con le acque, allevia loro
il dolore, li accompagna, non fa miracoli li lascia morire bene, non è poca
cosa.
Pensiamo sempre a complotti a strane trame e strategie, viviamo nel
sospetto, ma quando dopo il disastro aereo di Ustica definito strage nel
momento in cui è diventato di pertinenza della ‘Commissione stragi’
presieduta dal senatore Gualtieri, apprendiamo che ci sono state almeno
dodici morti sospette di militari, in qualche modo coinvolti, tra cui il
maggiore medico che si impicca, il generale che viene ucciso a Bruxelles e
un capitano che muore per infarto, ad altri esplode l’apparecchio su cui
stanno volando, più che a tutte casualità viene da pensare a una
compensazione dall’aldilà.
DARIO FO
Ho sempre pensato che Dario Fo fosse un genio.
Nel mio periodo romano ho incontrato numerosi artisti, chi leggeva
poesie in sette lingue, chi suonava il violino in modo mirabile, chi ti faceva
un ritratto o una caricatura in pochi minuti, chi riusciva a rapirti con un
semplice racconto o una poesia.
Tutti stralunati che ti intrattenevano nei ristoranti o negli angoli delle
strade e vivevano di piccole offerte come Otto e Barnelli che grazie a
Renzo Arbore hanno avuto il loro momento di celebrità, dopo essere
103
passati al Folk Studio; ecco, Dario è tutto questo e sarebbe un quasi
barbone se non avesse trovato Franca Rame che lo tutela protegge e
valorizza.
Mi sono detto, pochi sanno, che Dario è anche un grande pittore, mi
sono consultato con Emilio Tadini e ho iniziato a organizzare una mostra
dei suoi disegni, il manifesto della mostra è un particolare tratto da un
disegno di Dario, da Anna Lanterna, madre della mia compagna di allora,
Roberta.
Dopo diverse insistenze, Dario mi chiama e mi dice di andare da lui che
mi farà finalmente quei disegni che chiedo da tempo.
Arrivo, libera il salone, dispone i fogli bianchi e inizia a disegnare, poi li
copre con altri fogli e ne fa dei doppi quindi ci ri-interviene sopra per
renderli unici e mi chiede: «Ti bastano ? bene vai, che ho da lavorare».
Prendo i disegni e scappo.
‘Disegni a teatro’ è il titolo della mostra che sono riuscito a
organizzare e allestire allo Studio Marconi di Milano, fu un avvenimento
e un grande successo.
Ma quello che mi piacque di più fu quando portai Dario da Upiglio, il
migliore stampatore di Milano, gli fece fare delle litografie e serigrafie,
vedevi Dario proprio appassionato, lavorava come un ragazzino, credo di
avergli fatto riprendere l’amore per la pittura. Mi raccontava Emilio
Tadini che Dario voleva fare il pittore e lui lo scrittore al punto che nel
1951 a Parigi dove erano andati insieme, Fo dipinge alcuni quadri a
commento del libretto di poesie Ragazza che muore di Tadini.
Lasciai il Teatro Pier Lombardo solo perché non arrivavo a fine mese
con lo stipendio, per il resto mi trovavo benissimo, Franco Parenti mi
lasciava la massima autonomia solo che dovevo sempre chiedere qualche
integrazione finanziaria a mio fratello e passai a fare l’organizzatore
della compagnia di Franca Rame e Dario Fo.
Sistematizzai il lavoro con l’estero vista la diffusione e il numero di
rappresentazioni delle commedie di Fo e aprii una nuova collana di libri
per le edizioni F.R. La Comune e una collana di commedie scritte ma mai
rappresentate, stampate con classe e curate con passione dalla
tipografia di Roberta Cordani.
Partecipai alla tournee dello spettacolo Clacson Trombette e Pernacchi ,
e al classico di Franca Tutta casa letto e chiesa essendo Dario occupato
nelle prove e nella messa in scena de L’opera dello sghignazzo ispirata
all’Opera di tre soldi spettacolo complesso prodotto dal Teatro Stabile
di Torino.
Riprendiamo a Milano Fabulazzo osceno un testo in quattro parti di Fo,
una delle quali è la Parpaja topola con Franca Rame e Gerardo Amato il
fratello di Beniamino Placido, che dopo le repliche di Milano pensa bene
di abbandonarci per fare una nuova serie televisiva per Canale5.
A Trieste Franca convoca la compagnia e pone il problema della
sostituzione, la scelta cade su di me.
Fo sostiene che lo spettacolo è ispirato anzi tratto dai ‘fabliaux’ della
Francia del nord-est verso il millecento ed è una violenta accusa a un
potere che impone soggezione attraverso il senso del peccato.
«Date un senso di colpa alla gente, al popolo che dovete governare e
104
riuscirete a condurli come al pascolo, con tranquillità e serenità»
scriveva Machiavelli.
Per la prima volta nella storia del teatro, troviamo il sesso femminile
quale personaggio principale e conduttore di una storia, infatti i
provenzali chiamano ‘parpaja’ il sesso femminile e ci aggiungono a volte
‘topola’, Fo, per i ritardati ci ha aggiunto anche ‘passera’ così anche loro
capiscono e possono godere come tutti gli altri.
In realtà erano state rovesciate le parti, qui troviamo la donna che
circuisce un uomo, lo usa, anche sessualmente e lo abbandona.
In scena io avevo degli slip tinta carne e Franca pure, ma potevamo
apparire nudi per i giochi di luce e la scopata sotto al lenzuolo poteva
sembrare realistica al punto che alla fine dello spettacolo un poliziotto
mi ha fatto i complimenti per la mia prestazione, mi sono meravigliato
che non fosse un carabiniere.
Ho portato a termine tutta la tournée, risparmiato due lire, potevo
tornare alle mie follie.
Sauro Pari con Anselmino avevano preso a Milano il Teatro Cristallo, un
teatro grande leggermente periferico ed era difficile far tornare i
conti. Andai da Giorgio Gaber e con molto entusiasmo gli proposi di
creare una associazione ‘Artisti Associati’ che vedesse lui Ombretta
Colli, Franca Rame e Dario Fo tra i protagonisti.
Gaber mi lasciò illustrare il progetto e poi mi disse semplicemente:
«Sì... perché alle donne (intendendo ovviamente Ombretta e Franca) ci
pensi tu vero?». Lo abbracciai e me ne andai.
Dovevamo fare i conti con la complessità, le frustrazioni e i desideri e a
volte le gelosie di ogni singolo individuo.
Partecipai all’apertura di un nuovo teatro, La Piccola Commenda sempre
in zona Porta Romana.
Mi ritrovai con Stella Leonetti e Flavio Ambrosini, avrebbero dovuto
esserci anche Lella Costa e l’avvocato Bianchi, ma all’ultimo si ritirarono,
così mi fu detto perché non ci fu mai un incontro tutti assieme, coinvolsi
in questa avventura molti amici tra cui Luciano Morini che prima di
partire per l’Africa ci costruì le scene dello spettacolo Amate sponde di
Arbasino, messo in scena da una formazione di giovani attori molto
interessante.
Avevo chiesto aiuto a Fo, che ci aveva regalato un disegno per
l’inaugurazione del teatro, e scritto un nuovo testo: Patapumfete ,
studiato su Alfredo e Ronald Colombaioni, provenienti da una storica
famiglia di clowns e artisti circensi.
Mi impegnai a cercare sponsor e pubblico, venni accusato di lavorare
più per le compagnie ospiti che per la nostra, non riuscii a spiegare, a far
capire il mio punto di vista, se lavoravamo con nomi interessanti e
importanti ne avrebbe guadagnato anche il nostro teatrino e sarebbe
aumentato il pubblico anche sulle nostre produzioni.
Niente da fare.
Ci fu la rottura e dovetti presentare lo spettacolo al Teatro Cristallo e
trovarmi un altro lavoro.
Avevo proposto a Oreste Del Buono, direttore di «Linus», di realizzare
105
delle strisce a tema ‘La canzone d’autore a fumetti’ e lui mi aveva detto
di lavorarci sopra di arrivare con gli abbinamenti, perchè l’idea gli
piaceva.
Lavoro sugli abbinamenti e trovo più problemi del previsto, sia sulla
scelta delle canzoni, ma soprattutto sull’autore del fumetto da abbinarci,
fatta la cernita chiamo Del Buono che mi informa che lui si dimette
perché ha scoperto che il gruppo Rizzoli, da cui dipende «Linus», è in
mano a Licio Gelli e alla P2 e lui non può starci un giorno di più.
Ci avevo lavorato sopra sei mesi ero riuscito a costruire dei binomi
interessanti: Gino Paoli con Crepax, Altan con Jannacci, De Gregori con...
e niente, ma condividevo la scelta di Del Buono.
La loggia massonica ‘Propaganda due’, nota come P2, appartenente al
Grande Oriente d’Italia, era una loggia coperta cioè segreta di cui a Licio
Gelli era stata delegata la gestione fin dagli anni Settanta, e riuscì negli
anni a coinvolgere i maggiori rappresentanti delle forze armate, delle
forze politiche ed economiche.
È stato dimostrato il coinvolgimento della P2 al ‘golpe Borghese’ del
1970 descritto in un dossier del SID, reso pubblico solo nel 1991, alla
strage dell’Italicus e ai depistaggi legati alla strage di Bologna.
Partecipò attivamente alla strategia della tensione per spostare il
paese a destra e in seguito elaborò il ‘piano di rinascita democratica’ che
prevedeva la presa del potere semplicemente con l’inserimento di uomini
di fiducia nei posti chiave dell’apparato dello Stato nei suoi vari livelli.
Per la riuscita del piano era fondamentale mettere le mani sui mass
media, partendo dal «Corriere della Sera», e il gruppo Rizzoli, allora il
gruppo editoriale più forte, e in questo Licio Gelli fu coadiuvato dal
banchiere Roberto Calvi, dall’imprenditore Eugenio Cefis e dalle casse
dello Ior, l’Istituto per le Opere di Religione,del Vaticano.
Bisogna ammettere che Papa Luciani, pur essendo stato solo 33 giorni al
posto di Pietro, ci aveva visto giusto cercando di mettere le mani e
chiudere la banca Vaticana.
Tra gli iscritti alla P2 troviamo Franco Di Bella che ha sostituito Piero
Ottone alla direzione del «Corriere della Sera», tutti i capi dei servizi
segreti e i funzionari più importanti mentre la vedova di Roberto Calvi
indicava in Giulio Andreotti il vero capo della loggia, il quale, fino
all’apparizione di una foto che lo ritrae con Gelli in Argentina ha sempre
negato di conoscerlo.
La Loggia P2 venne chiusa su suggerimento della commissione
presieduta da Tina Anselmi.
Tra gli iscritti si trova anche Silvio Berlusconi ma a differenza di altri
come Maurizio Costanzo che devono quantomeno scusarsi, lui nega e
dichiara che: «stando alle sentenze dei tribunali della Repubblica essere
piduista non è titolo di demerito» e riuscirà di fatto a mettere in atto
gran parte del piano predisposto da Licio Gelli, impossessandosi
dell’informazione prima e poi di parte degli apparati dello stato e
destabilizzando quelli che non riesce a controllare.
Bruno Borghi mi propose di andare a Verona per gestire il Teatro Ristori
106
per conto del consorzio Teatro Sistema, e io accettai.
Il teatro realizzato nel 1844 come teatro circense, da questo la sua
forma a ferro di cavallo, ospitò spettacoli di circo, saltimbanchi,
ballerine, mimi e clown. Nel 1851 iniziava una programmazione di prosa e
musica con opere leggere e melodramma.
Vi debuttò Adelaide Ristori nella Maria Stuarda di Schiller, fu un tale
trionfo che il teatro prese il nome della grande attrice e cantante
friulana, ma quando arrivammo noi, usciva da deprimenti stagioni e da
pessime gestioni.
Conobbi la signora Ederle, erede di un’importante famiglia, che mi offrì
gratuitamente un suo appartamento nel centro di Verona, ma nel
frattempo qualcuno aveva detto che io ero delle Brigate Rosse, per cui la
mia nomina venne ritardata, mi arrabbiai molto con Bruno Borghi,
responsabile organizzativo del Collettivo di Parma ed esponente del PCI,
neanche avessi dovuto prendere chissà quale incarico e comunque la
notizia era completamente falsa.
Essendo che l’unica sigla simile in cui avevo militato fin da ragazzino,
anche se era una semplice collaborazione, era il Soccorso Rosso, andai da
Franca Rame, gli spiegai la situazione e lei fece telefonare da Dario a
Ugo Pecchioli, definito il ministro dell’Interno del Partito Comunista
Italiano e la questione si risolse nel giro di pochi e incasinati giorni.
Fu una avventura impossibile. Il consorzio non era stato ancora
formato, avrebbe dovuto comprendere le maggiori cooperative teatrali
italiane ma metterle tutte d’accordo era un’impresa, impresa ancora
maggiore farle tirare fuori le quote di adesione.
Per cui eravamo perennemente e letteralmente senza una lira.
Gianni Franceschini, giovane pittore e attore veronese, coinvolto
all’ultimo momento, organizzò una stagione del ‘Teatro ragazzi’ e io invitai
gli amici e organizzai i loro spettacoli, a partire da Franca Rame e Dario
Fo, le compagnie del consorzio tra cui: Nuova Scena, la Coop. Teatro di
Sardegna, il Gruppo della Rocca, il Teatro dell’Elfo, il Collettivo di Parma,
la giovane veronese Susanna Beltrami, il noto avvocato di Asti Paolo
Conte, che iniziava a essere conosciuto anche come cantautore.
Di bello ci fu il rapporto con la città, con l’unica interessante radio e i
suoi giornalisti, con «l’Arena» l’unico quotidiano presente e con molti
giovani ed entusiasti spettatori, e con i membri della compagnia la
Piccionaia di Vicenza che mi sostenne e aiutò in modo incredibile.
Grazie a Leo Wachter (quello che ha portato i Beatles in Italia)
organizzai a prezzo di costo alcune repliche del musical americano Ain’t
Misbehavin’ un collage di generi musicali con una grande vitalità e allegria
e successivamente un balletto ciuvascio cioè russo, molto colorato con
molti ballerini ma non fu capito e mi accusarono di essere comunista.
Non mi posi il problema, allora, del perché non mi avessero accusato di
filo-americanismo quando proposi il gruppo americano.
A Torino, per negligenza del gestore del cinema Statuto, che non aveva
tolto i lucchetti dalle uscite di sicurezza, morirono sessantaquattro
persone, vennero pertanto modificate in modo restrittivo le norme di
sicurezza e in Italia vennero chiusi innumerevoli teatri, tra cui a Verona
il Teatro Ristori.
Avevamo in programma Uppercut sonata, uno spettacolo sul mondo
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della boxe del Granserraglio di Torino, ma rimasero chiusi fuori, ne
nacque un rapporto di simpatia con Richi Ferrero, Gianna Franco, Gigi
Gallea e gli altri strani personaggi della compagnia.
In prima pagina il direttore de «L’Arena», quotidiano locale, così
commenta la notizia della chiusura del Teatro Ristori: «Una presenza da
far rivivere. Qualcuno può essere contento, che il Teatro Ristori abbia
definitivamente chiuso i battenti, dopo tante traversie [...]. Negli
ultimissimi tempi il Ristori aveva tentato con la gestione Martin di
ritrovare o di creare un suo pubblico [...]».
Non mi hanno più offerto l’opportunità per dimostrare che un teatro
diverso è possibile.
Chiusa anche la casa di Verona, salutati velocemente gli amici,
ringraziata la signora Ederle per la disponibilità e cortesia, tornai a
Milano nella stanza di via Ausonio, dove ero ospite di Mila e Carlo
Bertacca e trovai lavoro al Teatro dell’Elfo.
All’Elfo c’era una grande frenesia.
Gabriele Salvatores seguiva una sua idea di teatro, più leggera, alla
ricerca del divertimento, un divertimento intelligente, in qualche modo
più rispondente alle richieste del pubblico, con molta voglia di fare
cinema di sperimentare altri linguaggi.
Elio De Capitani era più serioso, più ribelle, non si doveva cedere per
accontentare il pubblico era il pubblico che doveva seguire i tuoi
messaggi e in quella stagione riuscì a mettere in scena Nemico di classe
di Nigel Williams, spettacolo duro, violento, di una forza coinvolgente con
una grande interpretazione di Claudio Bisio, Paolo Rossi, Antonio Catania
e dello stesso De Capitani.
Ferdinando Bruni, terzo storico fondatore del Teatro dell’Elfo aveva
messo in scena The fantasticks di Tom Jones e Harvey Schmidt.
Era una grande squadra con Renato Manzoni all’organizzazione e la
bella e capace Anna Guri all’ufficio stampa.
Avevo conosciuto Tomas Arana, ora grande attore internazionale,
all’epoca amico estimatore e collaboratore di Falso Movimento, una
compagnia napoletana guidata da Mario Martone, dovetti andare un paio
di volte a Roma per incontrarlo, ma riuscii a organizzare lo spettacolo
Otello e i concerti dell’autore delle loro musiche Peter Gordon, e in alcuni
locali sui Navigli l’esposizione dei lavori di Fiorito, lo scenografo della
compagnia, fu un successo e la rivelazione di quella che sarà una delle più
interessanti compagnie italiane di teatro, che prenderà il nome di Teatri
Uniti.
Non amavo fare la programmazione classica del teatro, dove era
possibile cercavo di costruire delle operazioni, costruire degli eventi ora
di moda ma all’epoca nessuno usava questo termine, in quel caso tutto
funzionò alla perfezione, essendo anche riuscito a fornire al pubblico
oltre al lavoro teatrale la ricerca scenografica e lo spessore del
musicista che aveva composto le musiche.
Tomas Arana, nato in California era amico di un giovane graffitista
americano e ne approfittammo per organizzare una mostra alla galleria
Ala, individuata per caso perché vicina al teatro, delle opere di Keith
Haring che diventerà dopo poco famosissimo in tutto il mondo.
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Per la terza volta portai a Milano Heiner Goebbels, questa volta con il
quartetto Cassiber, avevo già organizzato il concerto del duo Goebbels e
Hart e al Teatro Pier Lombardo il concerto della Sogenanntes
Linksradikales Blasorchester, composta da sedici fiati, che sfilarono dal
Duomo al teatro seguiti da un codazzo di gente, sempre guidata da
Heiner Goebbels, ora uno degli autori di musica contemporanea più
rappresentati al mondo.
Non è semplice decidere di fare un concerto o programmare uno
spettacolo, a volte rinunci a fare spettacoli anche molto belli ma che non
sai come promuovere, mi avevano portato a casa di Cathy Berberian,
facendomi scoprire un’artista eccezionale, quelle cose che dici che devi
condividere, il mondo deve sapere e decisi di programmarla all’Elfo.
Per difenderla decidemmo di fare lo spettacolo il giovedì sera con molti
giornalisti e inviti, fare riposo il venerdì e puntare sul sabato, fu un
grande successo dovuto al passa parola e agli articoli usciti, ma non
sempre funziona.
La paura del vuoto, della sala deserta ti blocca e ti impedisce di dare
spazio, di programmare artisti geniali come Alda Merini o i gruppi facenti
capo alla cooperativa l’orchestra, presieduta da Moni Ovadia, che solo
molti anni dopo riceveranno il meritato riconoscimento.
Organizzai, con la Gdg Video dei miei amici Mario Galli e Paolo
Giacobone, e curai con Ottavia Bassetti, la rassegna ‘ Video Scienza 84’
un ciclo di incontri che vedevano presenti esperti e premi Nobel,
accompagnati da proiezioni di filmati su tematiche specifiche tipo: “La
comunicazione negli animali”, incontro con l’etologo Martin Lindauer
dell’università di Würzburg, o “I tumori come prevenirli” o ad esempio
serate tipo: “Operazione W. Cronaca filmata della nuova frontiera della
fisica moderna” con Giorgio Salvini del CERN di Ginevra, incontri e
serate che riscuotevano enorme successo, con la coda di pubblico fuori
dal teatro.
Insomma quello che sarà poi in qualche modo il “Quark” di Piero Angela
in TV, dimostrando che il pubblico c’è, se proponi iniziative interessanti
anche se impegnative.
A Padova durante un comizio mentre pronunciava le parole: «Compagni
lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda»
veniva colpito da un ictus e moriva Enrico Berlinguer, segretario del
Partito Comunista Italiano.
Il presidente della Repubblica, Sandro Pertini andò a trovarlo e disse:
«Lo porto via con me, come un amico fraterno, come un figlio, come un
compagno di lotta».
Era il 7 giugno 1984.
Diciassette giorni dopo, il 24 giugno, morirà Antonio Bisaglia, potente
capo della Democrazia Cristiana, cadendo dal panfilo Rosalù di proprietà
della moglie, ancorato dalle parti di Portofino sotto la villa di Vacca
Augusta. Impossibile non fare un confronto fra le due morti, anche se su
quella di Bisaglia, chiusa frettolosamente senza autopsia, sono sempre
emersi dubbi; in questo caso fu Cossiga allora ministro dell’Interno, che
si precipitò a ritirare la bara per portarla a Roma.
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Curioso il fatto che il fratello prete morì annegato nel lago di Centro di
Cadore e il suo segretario particolare seguì la stessa sorte l’anno
successivo nel fiume Adige.
Bisaglia amava dire: «Non farò mai il segretario della Democrazia
Cristiana ma sarò uno dei pochi che lo decidono».
Era riuscito a consolidare il suo feudo nel nord-est, con Piccoli e Rumor,
venivano chiamati PI-RU-BI, sarà coinvolto nello ‘scandalo petroli’; verrà
accusato, con prove certe, di aver dato soldi a Pecorelli dell’agenzia OP,
prima che qualcuno lo uccidesse e sarà poi coinvolto nello scandalo del
fallimento della banca di Sindona, finché la direzione DC non ha deciso di
emarginarlo.
I lavoratori dello spettacolo lavorano a stagione, normalmente da
ottobre a maggio, soprattutto quelli come me che scelgono di operare in
un teatro cioè una struttura fissa, i miei colleghi poi cercano un festival
estivo o altra occupazione come organizzatori o amministratori di quelle
compagnie che scelgono di girare le piazze estive con i loro spettacoli, io
no, e un anno decisi di iscrivermi a un corso e andai a Londra per studiare
l’inglese, ero consapevole che non potevo fare il mio mestiere senza
sapere almeno l’inglese.
Il corso era di tre settimane, ma mi fermai cinque settimane, non per
approfondire la lingua, che non riuscivo proprio a capire, ma essendo nato
un rapporto con la professoressa, la ‘teacher’, ho approfondito i rapporti
con lei.
Helen alta bionda, molto bella, amava fare all’amore all’aperto nei campi
inglesi e devo dire che come sono tenuti i campi inglesi non li tengono da
nessuna altra parte.
Tempo dopo ricevetti una sua lettera dal Giappone, firmata Helen xxx,
dove mi raccontava di come fosse bello e interessante il Giappone e
continuava:
Sì sono in Giappone lavoro, ma non amo: sono dieci mesi che non
amo. Ogni tanto mi viene la voglia di cadere di amare o di fare
l’amore, ma cerco di stare da sola per un po’ forse per molto,
perché la vita di amore ha sempre guidato la mia vita. Ora voglio
conoscermi meglio e scoprire i miei interessi (oltre di uomini), [...]
sarebbe più facile dire ‘ti amo’ voglio stare con te e fare l’amore in
un letto sempre più grande! [...].
E continuava dicendo che lei mi amava molto e che sarebbe potuta anche
venire in Italia ma mi chiedeva: «E tu Sergio cosa vuoi dalla vita?».
Non sono ancora riuscito a rispondere a quella domanda, mi viene in
mente la risposta che diede il geniale artista Pino Pascali in una
situazione simile:
Io sono un punto alla sinistra del foglio,
traccio la
I
continuo in O
110
salto alla
passo alla
percorro la
termino in
S
O
N
O
Ebbi una storia intensa con una grande attrice.
Una storia da fumetti o racconto erotico che inizia in modo strano con
dei furtivi toccamenti, via via sempre più intensi fino a giungere nelle
zone degli organi sessuali, mentre l’autista ci porta a destinazione.
Il bello è che lei è sul sedile anteriore e io dietro... Una storia di sesso
che durò a lungo con intervalli, con momenti intensi e altri conflittuali,
momenti rubati nei camerini, in casa o toccamenti intensi e continuativi
durante i trasferimenti, con fughe notturne e ricongiungimenti nelle
camere degli hotels, con interventi manuali o di lingua mentre uno era alla
guida dell’auto e cercava di raggiungere il teatro o l’aeroporto.
In una sua lettera scrive: «[...] sono stata con te come sono sempre
stata nella vita. Onesta. Ti ho amato [...]. Ora mi guardo in giro non ti
preoccupare non mi ci vuole tanto te l’ho detto a mio marito non porto via
nulla [...] se non sei tu sarà un altro o più altri. Non è bieco cinismo non
posso più stare sola [...]».
Finì perché non poteva proseguire e lei tentò il suicidio, salvata in
extremis rimase a lungo in ospedale.
Imparai molto sull’amore e il fare l’amore e sul sesso e fare sesso ma
anche sulla solitudine e la tristezza dell’animo umano, sulla difficoltà a
comunicare e la difficoltà a capire, non basta dire, parlare che sarebbe
già qualcosa, bisogna impegnarsi ad ascoltare, entrare nei sentimenti
entrare nelle persone, capire le loro dinamiche. Fermarsi ad ascoltare.
A volte mi fermo a pensare, cerco di elaborare i dati, dal 1969 al 1984
ci sono state undici stragi per un totale di centocinquanta persone morte
e seicentocinquantadue feriti, per carità molto meno del disastro del
Vajont, troviamo coinvolti personaggi politici, apparati dei servizi
segreti, altri organi dello Stato e non riusciamo mai ad avere certezze, o
almeno verità certe, soprattutto sugli uomini politici coinvolti. Perché?
Dopo diversi tentativi andati a vuoto riesco a convincere Franco
Quadri, del premio Ater-Riccione, a produrre la mostra su Dario Fo e
Franca Rame ‘Il Teatro dell’Occhio’, titolo preso dalla rivista «Il dito
nell’occhio» di Parenti-Fo-Durano, messa in scena nel 1953 con le
composizioni mimiche di Jacques Lecoq.
‘Disegni a teatro’ voleva evidenziare la bravura di Fo come pittore e la
cosa ha funzionato visto che alcuni critici lo hanno paragonato a Chagall,
Bacon, addirittura a Picasso e altri grandi della pittura, con il ‘Il Teatro
dell’Occhio’ volevo evidenziare la complessità e la ricchezza del lavoro di
Dario Fo e il fondamentale apporto di Franca Rame.
Per cui la mostra era suddivisa in sezioni ed evidenziava il suo passaggio
da buffone borghese a giullare del popolo.
È’ sufficiente leggere i titoli dei suoi primi lavori: Gli arcangeli non
giocano a flipper, Chi ruba un piede è fortunato in amore , Legami pure
tanto io spacco tutto lo stesso, A non si paga non si paga o Fanfani rapito
e Morte accidentale di un anarchico per capirne il percorso fino
all’ipotesi della tragedia Moro mai realizzata perché, a suo dire, la realtà
111
superava la fantasia.
La mostra comprendeva anche le maschere in pelle di Donato Sartori,
gli elementi scenici dei suoi spettacoli e una sezione video con l’unico
film, divertentissimo, Lo svitato di Lizzani, oltre a spezzoni militanti e
tanti caroselli che per chi non lo sapesse erano dei siparietti pubblicitari
che dividevano il pomeriggio dalla sera e indicavano ai ragazzini l’ora di
andare a dormire.
Una sezione era dedicata alle locandine e manifesti delle
rappresentazioni all’estero e una al teatro della famiglia Rame che
seguendo la tradizione della commedia dell’arte avevano creato un
carretto trainato da cavalli, che arrivati sulle piazze si trasformava in
palcoscenico e in teatro, successivamente il carretto fu sostituito da una
macchina che durante la guerra fu sequestrata per farne
un’autoambulanza.
La segretaria del premio nazionale Ater/Riccione per il teatro, che ha
prodotto la mostra, era una piccola signora dalla grande umanità ed
energia, Maroly Lettoli, che mi scrive: «[...] Sono contenta di averti
incontrato; è quasi impossibile oggi nell’ambiente teatrale avere la
fortuna di conoscere persone come te. Io sono stata fortunata sei vero e
senza maschere [...]».
Grazie Maroly anch’io sono stato molto fortunato.
L’installazione o mostra che dir si voglia, ebbe un grande successo e fu
richiesta da innumerevoli realtà, soprattutto all’estero.
Per la produzione al Palazzo del turismo di Riccione mi ero appoggiato
alla GDG Produzioni televisive, società di alcuni amici e alla Consulta
società di altri amici, ma non potevo continuare a gravare su di loro e
diedi vita con altri amici a Emmecinque che stava per ‘Martin 5’ il numero
dei soci che comprendeva anche Paolo Buffo.
Paolo portò la mostra a Madrid su un vecchio e scassatissimo furgone
che giunto all’ingresso dell’autostrada rifiutò di fermarsi, rompendo la
barriera e interrompendo la corsa solo dopo centinaia di metri, per
fortuna senza ulteriori danni.
Con lo stesso furgone io portai la mostra prima a Copenaghen, dove
ebbe riconoscimenti entusiastici e successivamente a Stoccolma, dove fu
accolta da un raro e unanime consenso. Credo, senza presunzione, che sia
stata una grande opportunità per fare conoscere l’articolato lavoro di
Dario Fo e Franca Rame.
In quell’occasione, grazie anche all’impegno di Barsotti, l’agente pisano
dei Fo a Stoccolma, che ha integrato la mostra con materiali in lingua, sia
la famiglia reale che i membri dell’Accademia delle Scienze hanno potuto
verificare la complessità del lavoro di Dario e il suo costante interagire
con la realtà che lo circonda.
Franca Rame in seguito ha realizzato, usando i miei materiali, sia
artistici che tecnici, una sua versione della mostra senza neppure citarmi
nell’enorme e ricco catalogo, così va il mondo.
Molti furono i progetti di Emmecinque: dalla mostra ‘Disegno e regia’ di
e su Akira Kurosawa, a ‘Quasi un musical’, una mostra spettacolo su Paolo
Conte, al progetto per l’organizzazione di un festival della canzone
italiana d’autore ‘Cantauntema’.
112
L’idea, già allora, era quella di aggiornare San Remo e di portarci quei
cantautori che lo snobbavano e poi hanno iniziato ad andare al Club
Tenco.
‘Inscena’, o meglio ‘Lo spettacolo è Inscena’ salone delle tecnologie e
dei servizi per lo spettacolo,sarebbe stata la prima fiera dello spettacolo
da realizzarsi all’ente manifestazioni ‘Il Girasole’ per la quale il mio amico
e geniale grafico Ferruccio Dragoni ha preparato inutilmente tutti i
disegni.
Nessuna di queste idee, come altre d’altronde, andò in porto, ma fu un
grande lavoro di studio, di ricerca, di preparazione.
Riuscii invece a mettere le basi per realizzare una mostra su Eduardo, il
grande de Filippo, nato nel novecento e morto nell’ottobre del 1984,
l’anno in cui misi in scena la mostra di Fo ed ebbi l’occasione di chiedergli
di fare una mostra con, su di lui, ed Eduardo all’epoca mi rispose:
«Le mostre si fanno ai morti e io non lo sono ancora».
Berlino
Accettai l’invito della dottoressa Renate Albrecht del Goethe Institute
di Milano di fare un corso di tedesco e andai a Berlino ospite di Andreas
Rossman un giornalista delle pagine culturali. innamorato di una ragazza
dall’altra parte del muro.
Andreas non poteva più andare nell’altra Berlino, era considerato un
nemico del comunismo, e lei non la lasciavano espatriare e pertanto
potevano incontrarsi solo a Praga e in maniera rocambolesca.
In seguito, dopo innumerevoli battaglie, riuscirono ad avere il permesso
di sposarsi e lei si trasferì da lui nella Berlino occidentale, si separarono
poco dopo.
113
Piero aveva ancora l’Osteria n.1 nel quartiere turco di Kreuzberg, quella
dove un tempo con una copia del giornale «Lotta Continua» che costava
cinquanta lire, ti davano un bicchiere di vino rosso da due marchi.
Clemente Manenti con la sua stupenda compagna veneta, teneva corsi di
italiano per tedeschi e un giorno mi portò in una bellissima sauna al
quattordicesimo piano di un palazzo sempre illuminato per fare dispetto
a quelli dell’altra Berlino, che avendo poca energia stavano quasi sempre
al buio, in quell’occasione scoprii massaggi, benessere ed il significato di
spa cioè salus per aquam e non società per azioni come pensavo.
Berlino nel 1984 era una città frequentata dai giovani di tutto i mondo,
i giovani tedeschi residenti a Berlino erano pure esonerati dal servizio
militare altrimenti obbligatorio, questo faceva si che molti giovani
scegliessero di vivere un periodo della loro vita, in questa città un po’
falsa, un po’ vetrina, sostenuta artificialmente per dimostrare a quelli al
di là del muro che di qua si stava meglio.
Malgrado il tedesco sia una lingua che mi piace molto ascoltare, e fossi
arrivato con le migliori intenzioni e avessi avuto anche un lungo rapporto
con una ragazza tedesca, non riuscii a tenere il ritmo delle lezioni, ero
l’unico a partire da zero e senza sapere altre lingue, neppure il latino e
pertanto dopo un po’ lasciai perdere lo studio della lingua e accettai
l’invito di Mario ad andare a Stuttgart, dove lui stava aprendo un nuovo
locale, aveva lasciato la Locanda e apriva l’Aleph.
Trovai un locale bellissimo, molto grande, una ex birreria, che aveva
conservato alcune strutture in rame, tutto ciò gli dava un che di postindustriale e ci trovai Hubi, quello che mi aveva ospitato a Bologna che
dopo essersi laureato aveva iniziato a fare il medico proprio lì a
Stuttgart, ma soprattutto ci trovai Checco Zotti che ironizzò alla sua
maniera sulla mia presenza ma mi intrattenne per due giorni, fingendo di
essere di passaggio per andare dal dentista, in realtà era l’anima
dell’Aleph, dove per l’inaugurazione arrivò anche Loris Lombardini da
Trento e molti altri compagni dall’Italia.
Alla festa di inaugurazione conobbi Gabriele, donna bellissima e
simpaticissima di professione psicologa, con due figli e un cane o due cani
e un figlio, facemmo amicizia e pur non sapendo lei l’italiano,
comunicammo al punto che per i giorni successivi fui ospite del suo letto.
Fatto che ha creato una rara invidia in Checco che non si capacitava di
come fosse possibile che lui non ci fosse mai riuscito ad avere un
rapporto con Gabriele e fu il tema,’ la chiacchera’, di quei giorni che io
non comprendevo perché fatta in tedesco e pertanto mi lasciava del
tutto indifferente.
Dopo sei mesi Gabriele venne a trovarmi in Italia e la portai nella
tenuta di Jacopo Fo a Santa Cristina di Gubbio, parlava tranquillamente e
regolarmente l’italiano, cosa che fossi stato più serio mi sarei dovuto
suicidare, vista la mia incapacità a imparare le lingue, io non avevo
imparato una parola di tedesco e mi ero portato Hubert, qualora fosse
servito un interprete, ma non fu necessario.
Fu in quella occasione che scoprii che le colline attorno a Stuttgard
erano costituite dalle macerie della seconda guerra mondiale, che aveva
114
letteralmente raso al suolo la città, e pensavo che si poteva adottare lo
stesso sistema per liberare l’Aquila dalle macerie causate dal terremoto.
A Berlino mi raggiunse anche la notizia della morte di Eduardo de
Filippo.
Eduardo
Quasi per caso mi trovai coinvolto in prima persona nell’organizzazione
della mostra ‘Eduardo de Filippo vita e opere’.
Su segnalazione di Franca Rame, avevo incontrato Isabella Quarantotti
de Filippo, terza e ultima moglie di Eduardo, nonché madre di Angelica
Ippolito, in quanto il suo primo marito era Felice Ippolito geologo
napoletano, co-fondatore del Partito Radicale, geniale interprete della
ripresa italiana e convinto assertore dell’indipendenza italiana dal punto
di vista energetico, che fu ingiustamente processato e incarcerato l’anno
dopo che uno strano incidente aereo aveva ucciso Enrico Mattei, altro
artefice e sostenitore dell’indipendenza energetica italiana.
115
Angelica Ippolito bella e brava attrice che avevo conosciuto al teatro
Pier Lombardo, mi piace ricordarla anche per aver accompagnato gli
ultimi anni di vita di Gian Maria Volontè, nella casa che fu di Eduardo a
Velletri.
Sembra vero che a volte le cose ce le chiamiamo, le cerchiamo, Volontè
convinto di avere un tumore se ne stette in giro in barca per lunghi
periodi, in realtà il tumore gli venne, ma molto, molto dopo.
Il figlio di Eduardo, Luca, offriva totale disponibilità, ma lasciava la
responsabilità alla terza moglie del padre, Maurizio Scaparro direttore
artistico del Teatro di Roma, col quale avevo già collaborato avendomi
programmato la mostra di Dario Fo a Palazzo Braschi a Roma, garantiva
disponibilità e appoggi.
L’impresa era complicata perché Eduardo nato nel 1900 aveva
debuttato vestito da cinese nel 1904 nella Gheisa, spettacolo
teatralmusicale del padre naturale commendator Scarpetta, e da allora
in modi diversi è stato interprete e protagonista del secolo, come autore
e attore di teatro, di cinema, di prosa e di opere liriche.
Insomma bisognava cercare di raccontare un grande personaggio e
tutto il secolo che lo ha visto protagonista passando attraverso la
monarchia, il fascismo e l’avvento della Repubblica.
Coinvolsi Bruno Garofalo e Raimonda Gaetani, scenografi storici delle
ultime compagnie di Eduardo, riuscii a convincere anche Mimma Gallina a
venire a lavorare a ‘Emmecinque’ in modo da mandare avanti la
quotidianità.
Grazie a Graziella Lonardi Buontempo ed alla sponsorizzazione tecnica
dell’Informatica Campana, riuscimmo a catalogare il materiale raccolto
ed a realizzare il primo video disco con la selezione delle immagini tratte
dalle diverse commedie di Eduardo.
Andai a Roma nella casa di Eduardo, ospite di Isabella Quarantotti, e
mi immersi in una vita combattuta, la scoperta di essere figlio di
nessuno, di NN, come veniva scritto sul documento d’identità, perché il
padre naturale Eduardo Scarpetta non lo aveva mai riconosciuto
ufficialmente, malgrado lo facesse lavorare in compagnia, assieme ai suoi
fratelli e agli altri figli naturali.
Trovai le prime commedie scritte con uno pseudonimo e poi un altro
ancora, le serate d’onore, finché ha firmato col suo nome.
Una vita piena di incontri, di battaglie, grandi sconfitte, profonde
lacerazioni e discussioni, l’amore, la famiglia, i matrimoni, la morte della
figlia Luisella, il lavoro, il bisogno di soldi, l’affermazione, il ‘Teatro’.
Andai a Napoli e rovistai tra tutti i documenti depositati nel Teatro
San Ferdinando, la compagnia “I de Filippo”, la rottura con i fratelli, il
cinema, le tournée all’estero, l’Inghilterra, l’Unione Sovietica, l’acquisto
del teatro San Ferdinando e la formazione con la sua nuova compagna e
seconda moglie nonché madre dei suoi due figli, la soubrette di Alba
Thea Prandi, della compagnia “La Scarpettiana”.
Con l’assessore alla Cultura di Napoli, avvocato Rusciano, dopo aver
scartato tanti spazi espositivi anche prestigiosi tra cui Castel dell’Ovo,
individuammo il Teatro Mercadante, come sede ideale per l’esposizione.
116
Mi fecero presente che il Mercadante era chiuso per inagibilità dal
1964, vero che il suo ultimo direttore era stato proprio Eduardo, ma i
lavori di ristrutturazione in corso da anni non erano ancora ultimati,
mancavano le poltroncine il cui costo era già stato stanziato dal Banco di
Napoli e c’era l’impalcatura nella facciata principale che dà su piazza
Plebiscito.
Facemmo presente che a noi le poltroncine non servivano, avremmo
usato la platea del teatro come spazio espositivo e avremmo potuto
ricoprire l’impalcatura con pannelli con la firma e la figura di Eduardo, il
problema era farlo capire all’impresa che da anni incassava denaro grazie
al fatto che il teatro fosse chiuso e necessitasse di guardiania.
Andammo avanti imperterriti e riuscimmo a ottenere la concessione del
teatro, con gli amici milanesi che mi dicevano: “attento rischi la pelle”.
La mostra sarebbe venuta a costare molto, c’era la ricerca del
materiale e la sua acquisizione, i manichini per vestire gli abiti concessi
da Tirelli, il catalogo con la Mondadori, la realizzazione del primo videodisco in Italia che dovemmo far fare in Olanda con la catalogazione di
tutte le immagini di Eduardo, Peppino e Titina de Filippo, oltre alle
rappresentazioni della compagnia di Scarpetta e a spezzoni, tratti dai
film e dalle commedie televisive, grazie al lavoro dell’informatica
Campana e dei suoi magnifici giovani ingegneri che lavorarono con
passione e impegno.
Catalogammo e mettemmo a disposizione del pubblico tutto il lavoro
del maestro nel corso dei suoi ottanta anni di attività.
Graziella Lonardi Buontempo co-curatrice della mostra chiese ed
ottenne, attraverso la segreteria di Craxi, all’epoca presidente del
Consiglio, la sponsorizzazione dell’AGIP.
Alla fine eravamo riusciti a mettere assieme l’Alto Patronato del
Presidente della Repubblica, (iniziato con Sandro Pertini e confermato da
Cossiga, per fortuna segretario Generale era sempre il dottor
Maccanico), il patrocinio della Regione Campania e del Comune di Napoli,
il Teatro di Roma che avrebbe presentato l’esposizione al Teatro
Argentina e la sponsorizzazione del Banco di Napoli e dell’AGIP Petroli.
Insommacelapotevamofare.
Facemmo una scelta pubblica, cioè a differenza del lavoro che stò
cercando di fare ora, dove il personale è politico, in quel caso esclusi
tutte le polemiche private con le mogli e con la sorella Titina e il fratello
Peppino e non approfondimmo neppure la vicenda tra il commediografo
Scarpetta e la sua sarta Luisa de Filippo, non so se facemmo bene,
Eduardo in una lettera del 1939 alla sorella Titina scrive:
[...] la nostra infanzia si è svolta, dibattendosi, fra l’ignoranza e
l’onestà ‘rivoltata’ dei nostri famigliari! Le nostre anime ebbero a
svilupparsi nel mutismo e nella pena del vedere! [...] In fondo, so
benissimo, te ne vai in gioia; non sei mai stata felice in compagnia.
Non lo sei stata perché non hai saputo aderire alla posizione
morale cui ti dava diritto il posto d’onore che io, sempre io, ti
avevo scelto e donato [...].
Eduardo risultava sposato con Dorothy, una bellissima americana quando
117
ebbe i due figli da quella che sarebbe diventata la sua seconda moglie
solo nel 1955 a Torino, per potersi separare dalla prima moglie dovette
portare la sua residenza a San Marino e dichiarare una impotenza
perpetua.
Penso a questo grazie alla scelta di Peppino Englaro che invece presumo
con molta fatica, ha deciso di fare una battaglia pubblica per ottenere
quello che riteneva prima un diritto della figlia e poi suo, cercando di
renderlo un diritto collettivo.
Durante il lavoro a Napoli scoprii l’isola di Capri ci andai per vedere i
faraglioni e trovare Quinto un amico di Bruno Garofalo, che voleva fare
una sala di registrazione nella sua pensione, e feci la coda all’imbarcadero
e il viaggio con l’attuale Presidente della Repubblica e ci tornai con
un’amica, Paola, arrivata a trovarmi da Milano, che Luciano De Crescenzo
cercò inutilmente di carpirmi e scoprimmo che a Capri non ti puoi
fermare se non hai un posto dove dormire.
Fummo fermati in malo modo e portati in questura identificati e
minacciati d’arresto, per fortuna arrivò prima il mio amico Quinto che
asserì che eravamo ospiti nella sua pensione e lasciammo liberi il
commissariato a notte inoltrata.
La mostra era complessa avendo sul palco un ‘girevole’ con due
scenografie originali delle commedie di Eduardo, che cambiavano ogni
quindici minuti, gli apparati video e i computer dell’informatica Campania
che essendo una novità a volte si inceppavano e per la gestione e la
sorveglianza pratica incaricammo i ragazzi della cooperativa San
Ferdinando, dal nome del teatro che Eduardo aveva acquistato negli anni
Cinquanta con i proventi dei film.
Essendo ovviamente un costo elevato decidemmo di porre un biglietto
d’ingresso, quattromila gli interi duemila i ridotti, con l’indicazione “Forte
e chiara” che se qualcuno aveva dei problemi di dargli tranquillamente il
biglietto omaggio.
Fu un grande successo, Bettino Craxi intervenne all’inaugurazione
riprendendo il povero e bravo assessore Rusciano, esponente del Partito
Liberale, dicendogli di tacere che sapeva che avevo fatto tutto io (cosa
ovviamente non vera), tutti i giornali e i telegiornali ne parlarono cito
solo Luigi Compagnone a cui il «Corriere della Sera» diede tutta la terza
pagina in cui tra l’altro dice:
È stato riaperto con una mostra, dopo 22 anni di chiusura, il
Teatro Mercadante [...] ‘Magia a Napoli, rinasce Eduardo’ [...]. I
palchi sono pieni di manichini-spettatori, le ‘persone’ delle
commedie, ognuno fermo nel suo gesto più significante. Sul
palcoscenico, in ogni sala, un laboratorio della memoria tra vestiti,
trucchi e scene. È come una ultima invenzione del grande attoreautore che si fa beffa della morte e della vita [...].
Era proprio quello che volevamo... ridare vita a Eduardo.
Ne uscii vivo, anche se con molti problemi economici, ma il quotidiano
«Il Mattino» di Napoli iniziò ad attaccarci sui costi della mostra e sul
118
costo del biglietto d’ingresso, io, a cercare di dire, a spiegare, saltando
tra Milano, Roma e Napoli, ma tutto inutile, tutti erano concordi nel dire
che l’ingresso dovesse essere gratuito.
Il Teatro di Roma e Maurizio Scaparro a rincarare la dose dicendo: noi
non faremo pagare il biglietto d’ingresso, quando l’esposizione sarà
presentata al Teatro Argentina.
Facile a dirsi quando a pagare è ‘Pantalone’.
Uscivano articoli che si chiedevano perché la mostra l’aveva organizzata
uno del nord, dimenticandosi che anche Eduardo era dovuto andare via da
Napoli.
Stavamo fallendo, avevano bloccato tutti i contributi a ‘Emmecinque’ ,
andai a parlare con il direttore Generale dell’AGIP Petroli, minacciando
di informare il Presidente Craxi che non stavano mantenendo gli impegni
presi.
Portai a un comitato di tre persone tutti i giustificativi economici e
dopo un’approfondita verifica, mi ringraziarono, si scusarono e
sbloccarono i contributi.
A visitare la mostra una sera arrivò il ministro dell’Interno dell’epoca
Oscar Luigi Scalfaro, che si soffermò a lungo e mi fece cercare per
complimentarsi personalmente.
Piccole soddisfazioni.
Anche se le maggiori soddisfazioni le ottenni dalle migliaia di persone
entusiaste che hanno affollato la mostra, al punto di dover chiedere una
proroga che non ci è stata concessa.
Partecipai all’allestimento della mostra al Teatro Argentina e in una
riunione col presidente del teatro di Roma , l’amministratore delegato il
socialdemocratico Gullo, mi disse che della mostra erano interessati a
‘Taormina Arte’, ma che avrei dovuto dare a loro trenta milioni di lire, mi
girai verso il presidente e gli chiesi:
«Ma hai sentito cosa dice?» e lui «No, cosa hai capito?, non è così, hai
capito male, non intendeva dire questo [...]».
Risultato, non solo non facemmo mai ‘Taormina Arte’, ma a tutt’oggi il
Teatro di Roma non mi ha mai saldato le mie spettanze avanzo ancora
venticinque milioni di lire più l’Iva che ho dovuto versare allo stato.
In compenso Franco Quadri mi ha tolto il saluto, perché avevo fatto la
mostra con Scaparro e non con lui.
Bel Paese l’Italia!
Ritornato a tempo pieno a Milano collaborai con Valter Valeri che nel
frattempo se ne era andato a Londra, a mettere in piedi una nuova rivista
……………..
di cui uscirono solo due numeri e cercai di portare in porto
alcuni dei progetti di emmecinque, continuando a gestire la mostra su
Dario Fo.
Mimma Gallina, dopo aver seguito l’allestimento della mostra su Eduardo
a Modena ultima sede prima dello smantellamento, riuscì con Edoardo
Fadini del Cabaret Voltaire di Torino e Gian Renzo Morteo dell’università
degli studi, a organizzare il Festival di teatro di Chieri, nella provincia
torinese, questo fece sì che riprendessi i rapporti con il Granserraglio e
Gianna Franco che con Richi Ferrero ne era la responsabile.
Del Festival di teatro di Chieri organizzammo due edizioni che furono
119
esaltanti, riuscimmo a instaurare un ottimo rapporto con i funzionari
della cittadina piemontese, tra cui Natalino Contini, col quale diventammo
grandi amici, creando un giovane staff tecnico e organizzativo che lavorò
in armonia tra mille difficoltà e realizzando una rassegna di compagnie
emergenti con spettacoli che sono rimasti nella mente dei molti amanti
del teatro e creando nel cuore degli spettatori la consapevolezza che si
può fare festa anche con gente che non si conosce.
Anche in quel caso si dimostrò che in questo paese non è il lavoro fatto
bene che paga ma i rapporti di potere e non ci fu rinnovato l’appalto per
la terza edizione
Paolo Buffo
Deve essere stato verso la metà di Marzo 1988 che Gianna e Richi del
Granserraglio, mi invitarono al Cabaret Voltaire di Torino alla prima
dello spettacolo Le lacrime amare di Petra von Kant di Rainer Werner
Fassbinder, dopo lo spettacolo di cui ho un ricordo vivido dei tagli di luce
sulle cinque attrici, si va in pizzeria dove passa uno strillone che vende
«La Stampa», quotidiano torinese, del giorno successivo, la prendo ma
non la leggo subito.
Vado a casa di Gianna e prima di dormire sfoglio il giornale e credo in
cronaca, leggo un articolo che più o meno dice: “arrestati Sofri,
Pietrostefani e Bompressi, militanti di Lotta Continua responsabili
secondo il pentito Marino dell’assassinio del commissario Calabresi ecc
ecc... si ricercano i latitanti Paolo Buffo...”.
Sono le due di notte ma provo a chiamare Paolo Buffo nella sua casa
romana, mi risponde al terzo squillo e gli leggo l’articolo, lui dopo un lungo
silenzio, mi ringrazia.
La cosa ha del curioso perché io vivevo ancora a Milano e solo
120
casualmente quella sera ho acquistato e letto «La Stampa» un giornale
che non era mia abitudine leggere e comunque non avrei mai potuto avere
il giornale del giorno dopo, non fossi stato a Torino, mi sono imbattuto in
quell’articolo che ha consentito al Buffo di organizzarsi e farsi trovare
pronto dai carabinieri.
Credo abbia usato il resto della notte per spiegare un po’ di cose a
Marcella, la sua nuova compagna e madre della seconda bella figlia
Eugenia, ovviamente non al corrente di tutta la vita di Paolo e tantomeno
dei particolari della sua militanza in Lotta Continua; poi un po’ prima del
solito va sul set del film Valentina che stava producendo per conto della
Fininvest.
Come previsto prima dell’alba i carabinieri vanno a casa sua, vicino
all’orto Botanico di Roma, dietro via della Lungara per arrestarlo, non lo
trovano, ma la moglie gli fornisce le indicazioni di dove sta lavorando e i
carabinieri vanno sul set del film e come dentro a un altro film lo
ammanettano e lo arrestano, lo caricano sul furgone e tenendolo
ammanettato lo portano dal magistrato a Milano, verrà rilasciato il giorno
dopo.
Paolo Buffo è originario di Corio Canavese, dove il padre faceva il
fornaio, lui si era aperto un ingrosso di cancelleria nei pressi della
stazione Porta Nuova a Torino, dove abitava con Laura Paravia, con la
quale ebbe la figlia Francesca, anche se nel frattempo la militanza aveva
portato il Buffo all’amministrazione centrale di Lotta Continua a Roma.
Laura Buffo Paravia era amica di Antonia Bistolfi, maga veggente
collaboratrice domestica nonché moglie di Marino, all’epoca ex operaio e
militante di Lotta Continua, che ospitava spesso a casa sua o nella casa di
campagna a Corio Canavese.
Ecco spiegato il coinvolgimento di Paolo Buffo nell’omicidio Calabresi.
Marino sapeva tutto di Paolo, quantomeno sapeva della casa in
campagna, della pistola regolarmente denunciata, dell’appartamento di
Torino, di Laura Paravia che lui riteneva molto ricca, non sapendo essere
figlia del ramo povero dei Paravia.
Per riaprire il caso Calabresi da addebitare a Sofri, dopo tanti anni,
serviva la ‘banda armata’, altrimenti sarebbe andato in prescrizione, il
Marino in questo modo ha fornito anche gli addentellati, la casa di
campagna isolata dove fare le esercitazioni armate, l’arma, la sede di
Torino dove c’era Pietrostefani quale responsabile oltre a essere stato il
responsabile nazionale del servizio d’ordine di Lotta Continua.
Il Buffo tornerà a Roma porterà a termine il lavoro su Valentina di
Crepax e verrà a Torino, ospite a casa mia, per cercare di fare una
contro inchiesta per contestare le affermazioni del Marino.
Ricordo le passeggiate per Torino, gli incontri con Pippo suo vecchio
amico e fratello della prima moglie, la visita alla sua vecchia casa al
centro, che nel periodo indicato dal Marino era diventata un bordello, ma
la figlia della tenutaria si rifiutava di testimoniare per non dare della
puttana alla madre.
Uscirà da questa vicenda pulito, la sua casa di Corio Canavese, dove io
ero stato a giocare a pallone e a contare le stelle, uscirà dagli
incartamenti del tribunale, sarà sostituita da una casa in Lombardia, ma
non ci interessa in questa sede, dovrà raccontare a tutta la famiglia della
moglie la storia della sua militanza in Lotta Continua, dell’ingrosso di
121
cartolibreria venduto per dare i soldi all’organizzazione, spiegare a zio
Oscar. medico di quartiere a Trastevere, le vicende del commissario
Calabresi, ricordargli dell’anarchico Pinelli, uscito dalla finestra durante
gli interrogatori illegali in quanto fatti oltre il termine massimo fissato
dalla legge in vigore, e a nonna Ambra dire che stia tranquilla per sua
figlia e sua nipote che è la giustizia in Italia che non funziona e lui non
aveva nulla di cui vergognarsi.
Come direbbe mia madre, poco dopo un brutto male ce lo ha portato via
e molti compagni dai posti più disparati si sono dati appuntamento a
Casalnoceto nell’alessandrino per l’ultimo saluto.
Ciao Paolo ti ho voluto bene.
Un articolo di Giuseppe D’Avanzo su «la Repubblica» termina più o meno
così:
In un sol punto le esistenze di Calabresi, Pinelli e Sofri possono
concordare: nel fallimento della Giustizia. Luigi Calabresi chiedeva
in tribunale la difesa della sua onorabilità. Non la ebbe. Il giudice
che doveva pronunciarsi anticipò le sue convinzioni in privato e il
processo si spense nella legittima suspicione. Licia Pinelli chiedeva
a un tribunale come il marito fosse morto. Ne ha ricavato soltanto
una sentenza che spiega il ‘malore attivo’ dell’anarchico Pinelli.
Soluzione degna di una commedia buffa non di una sentenza
tantomeno della verità. Adriano Sofri resterà in carcere fino al
2019. È alla fine di questi tragici quaranta anni il solo destino che
invocando per se stesso ancora giustizia chiede anche una verità
per Pinelli e Calabresi.
Mi segue, mi accompagna in tutti i miei spostamenti e traslochi e anche
nelle case provvisorie al seguito di lavori provvisori, una locandina con la
faccia sorridente di Mauro Rostagno che mi guarda con quei suoi occhi
scuri e il sorriso aperto e mi dice:
[...] Anche oggi lo stupore di aver dormito, sognato e di essermi
svegliato, di aver preso a mangiare e bere; lo stupore di respirare
e camminare e vedere, udire, provar sensazioni e pensare di
incontrare gente qui attorno.
Anche oggi lo stupore di fare quel che c’è da fare e non tanto per
farlo, ma perché questa è la mia vita. La mia vita.
122
Con Mauro ci eravamo incrociati a Trento, di passaggio, lui se ne andava
io ci arrivavo per non fermarmi, a Roma per le riunioni o per scambiarci
casa, a Licola per condividere una battaglia, in Sicilia e poi a Milano al
Macondo.
A Milano andai a trovarlo a casa sua, c’era anche Chicca la sua compagna
e madre della figlia Maddalena, erano appena rientrati da Poona in India,
parlammo a lungo, irradiava una tale serenità, mi raccontò cose che non
capivo e alcune che non condividevo, ma con una tale convinzione che non
era possibile non dargli ragione.
Andai anche a Trapani, alla comunità Saman, c’era un bel clima anche se
ferreo, tutti vestiti di bianco, il sole, i laboratori, l’orto, ci ritrovai alcuni
vecchi compagni di Lotta Continua, che cercavano di uscire dall’alcoolismo
e dalle droghe, facili vie di fuga dopo il fallimento dell’impegno politico.
Ci tornai per portare fuori da una cattedrale piena all’inverosimile il suo
corpo in una cassa di legno.
Con Mauro ci uniscono i numeri: il ventisei io ci sono nato e a lui lo hanno
ucciso, suo nipote Piero è nato il ventisei agosto come me e mi fa
pensare, immaginare che nonno meraviglioso sarebbe stato Mauro quante
storie avrebbe inventato e mai nessuno avrebbe potuto capire il confine
tra verità e fantasia.
Piango, ripensando a Mauro, ma sono felice perché proprio in questi
giorni si è iniziato a fare chiarezza sulla sua morte, sui responsabili di un
assassinio infame, pulendo via anche l’ipotesi che Mauro e
l’organizzazione a cui aveva dedicato alcuni anni della sua vita, o una delle
sue tante vite, potesse essere coinvolto nell’assassinio di Calabresi, come
qualcuno ha tentato di insinuare.
Dietro piazza San Babila, negli anni roventi sede e momento di incontro
di fascisti ed estremisti di destra, viene fissata una riunione per
discutere degli arresti di Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani e Ovidio
Bompressi.
Il compito di fare il punto se lo assume Marco Boato, memoria storica
ed esperto di contro inchieste per Lotta Continua, seguito da Guido Viale
che continua a non spiegarsi perché lui non sia in galera con i suoi amici, e
dal buon Albonetti e Luca Sofri.
Non è un raduno, non so cosa sia, il clima è mesto, ma non triste, ci sono
tante facce note, a molte non riesco a dare un nome, gli amici Clemente
Manenti e Mario Brunetti da Berlino, alcuni professori e alcuni storici e
docenti universitari, Bolis che quando mi incontra si ricorda di dovermi
restituire un libro, alcuni vestiti di arancione altri tutti di bianco, alcuni
con un arancione che dà sull’amaranto, tante strette di mano, meno
abbracci del previsto, c’è più ritegno, molti sono contenuti dal loro nuovo
ruolo di manager, dall’essere diventati importanti anchorman televisivi, o
ricchi editori o gestori di note trattorie o gallerie d’arte, molti sono
abbronzati, arrivati di corsa da un qualche luogo esotico di vacanza,
alcuni come me sono spaesati.
Arriva anche Checco Zotti, pelato per gli effetti della chemio, arriva
123
da Parigi dove è in cura grazie al contributo di Kounellis, simpatizzante e
amico dagli anni roventi, ci dice Checco:
«Non avrei perso questo incontro per niente al mondo e dò volentieri
alcuni mesi della mia vita per essere ancora una volta con voi in questo
ultimo raduno di Lotta Continua».
Il 1989 è anche l’anno della nascita di mio figlio, della morte di Marco
Lombardo Radice, del mio trasferimento definitivo da Milano a Torino,
dell’apertura del Teatro Juvarra e del crollo del muro.
Il muro è quello di Berlino che divideva Berlino ovest da Berlino est, ma
in realtà divideva tutto il mondo in due: comunisti e anti-comunisti,
dittatura e democrazia, era il simbolo della divisione del mondo in blocchi
e con lo sgretolarsi del muro si sono sgretolati anche i blocchi
evidenziando in realtà i limiti del capitalismo oltre al fallimento del
comunismo.
Post-considerazione
“Comunista coglione” inizialmente era il titolo, in omaggio a una delle
uscite geniali di Silvio Berlusconi quando dice al pubblico, al suo pubblico
televisivo, che non può credere che possano esistere ancora tanti
coglioni che votano comunista, cambiato in corso d’opera su suggerimento
di Piero.
Sono appunti, riflessioni, e anche meditazioni sugli anni Settanta
Ottanta e Novanta con una riflessione particolare sulla ‘Strage di Stato’
e le sue nefaste conseguenze, il parziale racconto di una vita e dei suoi
incroci, di cui sentivo il bisogno fisico di raccontare, di prendere e dare
atto.
Si è cercato di criminalizzare quegli anni. Ho cercato di spiegare che i
criminali erano altri, che è stato sbagliato uccidere Calabresi ma più
sbagliato che da una finestra dello Stato sia uscito Pinelli.
Ho iniziato a scrivere perché ho tempo libero, ma scrivere non è
semplice, per molto tempo ci ho girato attorno, ho preso e perso tempo,
era l’unica cosa che avevo ed ho in abbondanza.
Dopo una vita di lavori diversi, sovrapposti, diretti e indiretti da
dipendente o da responsabile o possiamo dirlo anche da padrone, sono
alla ricerca di altra occupazione.
Mi hanno fatto fuori dal ‘mio’ teatro e non so ancora capire come sia
stato possibile, ci avevo dedicato quasi venti anni di vita, oltre a tante
124
idee, ci erano nati tantissimi artisti torinesi e non solo, ho imparato che
non viviamo in una società che premia il lavoro e i risultati, vincono le
parole, l’aria ‘fritta’ presentata bene, ha vinto la banale arroganza del
nulla, ma questo è un altro libro.
Quello che avete letto è più un lavoro sulla militanza sull’impegno
politico, è una introspezione su chi voleva fare la rivoluzione e quelli che
gli stavano attorno vista da sotto da chi deve anche sbarcare il lunario,
vuole anche essere un ricordo di chi si è perso e di chi non c’è più.
Dovete considerare che c’è un continuo slittamento, i ricordi vanno e
vengono, si intensificano e si attenuano, perdono e riconquistano
significato. Ma non potrò mai dimenticare che quel periodo è stato
determinante per la mia vita. Ero così ingenuo da credere che con la
solidarietà avremmo ottenuto un mondo migliore.
Ringrazio molti, in particolare Donatella la mia compagna per l’aiuto e la
pazienza.
Erri De Luca e Paola Maritan, per aver letto gli appunti e avermi
stimolato ad andare avanti, offrendomi i loro suggerimenti, Robi, che
letto il mio lavoro, lo ha rovesciato come un calzino dandogli una veste da
sembrare quasi un libro vero.
Grazie per essere arrivati a leggerlo disponibile a togliere o a integrare
se qualcosa infastidisce la vostra sensibilità.
[email protected]
per critiche e commenti
Testi e contesti
Riporto i titoli dei libri di cui mi sono avvalso a volte rubando a piene
mani a volte solo per documentazione e informazione.
Aldo Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione. 1968-1978.
Storia critica di Lotta continua, Milano, Mondadori, 1998
Adriano Sofri, La notte che Pinelli, Sellerio Editore, Palermo, 2009
Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni
ottanta, Donzelli Editore, Roma, 2003
Francesco De Gregori, Francesco De Gregori Un mito, Lato side, Roma,
1980
Anonimo, Libro bianco sul pop in Italia. Cronaca di una colonizzazione
musicale in un paese mediterraneo, Arcana Editrice, Roma, 1976
Vincenzo Nardella, Noi accusiamo: contro requisitoria per la strage di
stato, Jaca Book, Milano, 1971
AA.VV., La strage di Stato, La nuova sinistra , Samonà e Savelli, Roma,
1970
A cura della Redazione di «Rinascita», Rapporto sulla violenza fascista,
125
Napoleone Editore, Roma, 1972
Giorgio Boatti, Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno
dell’innocenza perduta, Feltrinelli, Milano, 1993
Marco Sassano, La politica della strage, Marsilio Editore, Padova, 1972
Luca Pollini, I Settanta. Gli anni che cambiarono l’Italia , Bevivino
Editore, Milano, 2005
Giovanna Marini, Italia quanto sei lunga, Gabriele Mazzotta editore
Milano 1977
Francesco Mirenzi, Rock progressivo italano, Castelvecchi, Roma 1997
Giuseppe De Grassi, Milla papaveri rossi, fuori THEMA, Bologna 1991
Claudio Bernieri, Non sparate sul cantautore, Mazzotta, Milano 1978
AA.VV., La piuma e la montagna. Storie degli anni 70 , Manifesto Libri,
Roma, 2008
Giampaolo Pansa, L’utopia armata. Come è nato il terrorismo in Italia.
Dal delitto Calabresi all’omicidio Tobagi , Sperling & Kupfer Editori,
Milano, 2006
Giorgio Bocca, Gli anni del terrorismo. Storia della violenza politica in
Italia dal ‘70 ad oggi, Armando Curcio Editore, Milano, 1988
Teatro Juvarra, Sergio Martin (a cura di), Quei meravigliosi, terribili
anni ‘70, Lighea, Torino, 1997
Corrado Sannucci, Lotta Continua, Gli uomini dopo, Limina, Arezzo, 1998
Lotta Continua (Redazione torinese), I giorni della Fiat, fatti e
immagini di una lotta operaia, Lotta Continua, Torino, 1973
AA.VV., Il movimento degli studenti medi in Italia , Samonà e Savelli,
Roma, 1977
«Diario del mese», La meglio gioventù. Accadde in Italia 1965-1975 ,
Milano, 2003
AA.VV., ...ma l’amor mio non muore. Origini documenti strategie della
‘cultura alternativa’ e dell’’underground’ in Italia , Arcana Editrice, Roma,
1971
Andrea Casalegno, Ex militante di Lotta Continua racconta l’attentato a
suo padre, vicedirettore della Stampa, ucciso dalle BR , Chiarelettere,
Milano, 2008
Gasparazzo, Felicità è una coperta robusta, Quaderni di Ottobre,
Savelli, Roma, 1972
Dario Fo, esibizione a cura di Sergio Martin, Il teatro dell’occhio, La
Casa Usher, Firenze, 1984
Sergio Secci, Il teatro dei sogni materializzati. Storia e mito del
Bread and puppet theatre, La Casa Usher, Firenze, 1984
De Filippo Isabella, Sergio Martin (a cura di), Eduardo de Filippo. Vita
e opere 1900-1984, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1986
Vincenzo Mollica, Un mocambo per Paolo Conte , Il Candelaio, Firenze,
1981
Toni Capuozzo, Adiós. Il mio viaggio attraverso i sogni perduti di una
generazione, Mondadori, 2007
Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale ,
Centro Donna, Livorno, 1970
Paola Staccioli (a cura di), Piazza bella piazza, Associazione Walter
Rossi, Roma, 2005
Ines Arciuolo, A casa non ci torno. Autobiografia di una comunista
eretica, Stampa Alternativa Nuovi Equilibri, Viterbo, 2007
126
Licia Pinelli, Piero Scaramucci, Una storia quasi soltanto mia, Feltrinelli,
Milano, 2009
Marina Cappa, Roberto Nepoti, Dario Fo, Gremese Editore, Roma, 1982
Indice dei nomi
Acquaviva, Gennaro, 24
Agnelli, Gianni, 23, 164 d
Albonetti, Giorgio, 159
Albrecht, Renate, 148
Alessandrini, Emilio, 44, 114-15
Alfonso, José, 95
Allegra, Antonino, 43, 51, 53
Allende, Salvador, 72
Allitto Bonanno, Ferruccio, 51
Almirante, Giorgio, 41, 62
Altan, Francesco Tullio, 136
Alvini, Laura, 126
Amato, Gerardo, 135
Ambrosini, Flavio, 136
Andreotti, Giulio, 53-54, 137, 163 d
Angela, Piero, 142
Annunziata, Lucia, 84
Anselmi, Tina, 137
Anselmino, Roberto, 135
Arana, Tomas, 141
Arbasino, Alberto, 136
127
Arbore, Renzo, 134
Arciuolo, Ines, 106
Arnao, Giancarlo, 64-65
Audino, Dino, 76
Augusta, Vacca, Francesca, 143
Bach, Johann, Sebastian, 126
Bachelet, Vittorio, 124
Bacon, Francis, 145
Baez, Johan, 38
Baglioni, Enrico, 38
Baldi, Gian Vittorio, 60
Balestrini, Nanni, 40
Bandelli, Alfredo, 68, 71
Bandettini, Anna, 126
Banfi, Andrea, 58
Barba, Eugenio, 117
Barnelli, (Witthuser, Bernd), 134
Baroni, Ernesto, 30
Barsotti, Anna, 147
Bartali, Gino, 11
Bassetti, Ottavia, 142
Battisti, Lucio, 66
Beatrice, 110
Beck, Julian, 112
Bellini, Paolo, 82
Belotti, Giannini, Elena, 57
Beltrami, Susanna, 140
Benigni, Roberto, 85
Bennato, Edoardo, 71, 86
Benni, Stefano, 104
Berardi, Francesco, (Bifo), 59
Berberian, Cathy, 142
Berg, David, 35
Berlinguer, Enrico, 143, 164 d
Berlusconi, Silvio, 20, 38, 62-63, 69, 99, 137, 161
Bermani, Cesare, 117
Bernardone, Francesco, (San), 25
128
Bertacca, Carlo, 140
Bertacca, Mila, 140
Bertè, Loredana, 99
Bertelli, Gualtiero, 25, 112
Bertoli, Pierangelo, 82
Bettin, Gianfranco, 29, 68, 110
Bianchi, Augusto, 136
Bisaglia, Antonio, 143
Bisicchia, Andrea, 127
Bisio, Claudio, 141
Bistolfi, Antonia, 157
Bizzarri, Nino, 69
Boato, Marco, 50, 53, 110-11, 159
Boato, Michele, 47, 110-11
Boato, Stefano, 29
Bocca, Giorgio, 52
Bodrato, Guido, 28
Bolis, Lanfranco, 160
Bompressi, Ovidio, 156, 159
Bonafede, Mimma, 110, 133
Bonfietti, Alberto, 47, 110, 132-33
Bonfietti, Giannina, 133
Bongiorno, Mauro, 82
Borghese, Junio Valerio, 45, 137
Borghi, Bruno,139
Bosio, Gianni, 25
Bracci, Ulrico, 65
Bradley, Harold, 68
Branca, Antonello, 68-69, 87
Brandirali, Aldo, 38, 110
Brandolini, Sigismondo, 13
Braun, Hubert, (Hubi), 84, 104, 149
Briglia, Nini, 51
Brogi, Paolo, 59, 70, 115
Brunaccioli, 64
Brunelli, Mario, 148, 159
Bruni, Ferdinando, 141
Bruno, Vittorio, 109
129
Bud, Spencer, 67
Buffo, Eugenia, 156
Buffo, Francesca, 157
Buffo, Paolo, 93, 98, 106, 112, 146, 156-158, 160 d
Buffo, Paravia, Laura, 157
Buontempo, Lonardi, Graziella, 152
Busacca, Chicca, 121
Busacca, Ciccio, 112, 121
Buttafarro, Roberto, 79
Buzzi, Ermanno, 124
Cagni, Carlo, 70, 111
Cagol, Mara, 50
Calabresi, Luigi, 42-43, 51-54, 113, 119, 156-59, 161
Calafato, Michele, 59
Calassara, Giovanni Battista,
Callas, Maria, 127
Calligaro, Renato, 68
Calogero, Pietro, 113
Calvi, Roberto, 137
Calzavara, Silvano, 37, 110
Campanile, Alceste, 82, 86
Camuffo, Ettore, 79, 82
Canestrini, Sandro, 54
Canevaro, Emanuele, 35
Canova, Antonio, 19
Capanna, Mario, 58
Capuozzo, Toni, 133
Carlassara, Giovanbattista, 101
Carniti, Pierre, 47
Casalegno, Andrea, 109
Casalegno, Carlo, 109
Casati Stampa, Annamaria, 63
Casati Stampa, Camillo, 62
Caselli, Caterina, 99, 128
Casini, Pier Ferdinando, 62
Castel, Lou, 60
Catania, Antonio, 141
130
Catherine, 163
Cavaliere, Alik, 126
Cazzullo, Aldo, 37
Ceccanti, Soriano, 29
Cecchetti, Giorgio, 110
Cederna, Camilla, 111, 113
Cederna, Giuseppe, 112-13
Cefis, Eugenio, 137
Celentano, Adriano, 129
Cesari, Paolo, 59
Cesaroni, Giancarlo, 34, 64, 68, 85-86
Chagall, Marc, 145
Chiais, Gigi, 110
Chiappori, Alfredo, 165 d
Ciarchi, Alberto, 25
Ciarchi, Paolo, 25, 31, 119
Ciccuto, Roberto, 68
Coggiola, Franco, 117
Colasanti, Donatella, 63
Colli, Ombretta, 136
Colombaioni, Alfredo, 118, 136
Colombaioni, Ronald, 118, 136
Compagnone, Luigi, 153
Concutelli, Pierluigi, 124
Consagra, Pietro, 32
Conte, Egle, 127
Conte, Paolo, 127-28, 140, 147
Continenza, Guido, 89
Continenza, Sandro, 89
Contini, Natalino, 155
Coppi, Fausto, 62
Cossiga, Francesco, 115-16, 143, 152
Cossu, Leda, 110
Cossu, Maria, 110
Costa, Lella, 130, 136
Costanzo, Maurizio, 38, 137
Covatta, Luigi, 24
Crainz, Guido, 39, 53
131
Craxi, Bettino, 115, 124, 128, 130, 152-54
Crepax, Guido, 136, 157
Crespi, Paolo, 126
Croce, Fulvio, 109
D’Alema, Massimo, 29
Dalla Chiesa, Carlo Alberto, 76, 115
Dalla, Lucio, 67, 71, 87
D’Ambrosio, Gerardo, 43
D’Amico, Antonio, 25
D’Aprile, Rosalba, 34
D’Avanzo, Giuseppe, 158
David, Giovanni, 129
David, Willi, 129
Davoli, 79-80
De André, Fabrizio, 71, 85-87
De Balzac, Honoré, 122
De Bortoli, Ferruccio, 130
De Capitani, Elio, 141
De Crescenzo, Luciano, 153, 155 d
De Filippo Eduardo, 34, 129, 147, 147 d, 150-55, 155 d
De Filippo, Luca, 150
De Filippo, Luisa, (Luisella), 151-52
De Filippo, Pennington, Dorothy, 152
De Filippo, Peppino, 152
De Filippo, Quarantotti, Isabella, 150-51, 163 d
De Filippo, Titina, 152
De Gasperi, Alcide, 108
De Gaulle, Charles, 23
De Gregori, Francesco, 23, 66-68, 76, 76 d, 79-82, 84-86, 89, 94-95,
99-100, 114, 125, 127-128, 136
De Lorenzo, Giovanni, 53-54
De Luca, Erri, 92, 123, 162
De Martino, Francesco, 124
De Michelis, Cesare, 29
De Michelis, Gianni, 29
De Rossi, Laura, 65
De Vittis, Piero, 148
132
Deaglio, Enrico, 115
Degli Esposti, Carlo, 59
Del Buono, Oreste, 136
Del Re, Enzo, 36, 68, 70
Della Mea, Ivan, 25, 86, 112
Di Bella, Franco, 137
Di Calogero, Vincenzo, (Enzino), 111
Dini, Memo, 112-13
Disney, Walt, 31
Dolci, Danilo, 24
Donat Cattin, Marco, 114
Dorigo, Vladimiro, 70
Dragoni, Ferruccio, 147
Duck, Katie, 112
Durano, Giustino, 125, 145
Dylan, Bob, 23, 38
Edwards, Jango, 113
Efrikan, Laura, 66
Einaudi, Giulio, 25
Englaro, Peppino, 153
Esposito, Toni, 71, 94
Fadini, Edoardo, 155
Faenza, Roberto, 69
Fallarino, Anna, 62
Fanfani, Amintore, 70, 101-02, 120, 145
Fantini, Renzo, 128
Fasolato, Marco, 39
Fassbinder, Rainer Werner, 156
Feltrinelli, Giangiacomo, 51, 166 d
Fercioni, Gianmaurizio, 122
Ferrara, Giuliano, 38
Ferrari, Vincenzo, 126
Ferraro, Renato, 58, 69
Ferreri, Marco, 60
Ferrero, Richi, 140, 145
Fiasconaro, Luigi, 44
Finardi, Eugenio, 110
133
Fini, Gianfranco, 82
Fiore, Raffaele, 109
Fiorito, Lino, 141
Fo, Dario, 13, 15 d, 34, 37, 69, 71, 88, 112, 116-22, 125-26, 131, 134-36,
138 d, 139-40, 142 d, 145-47, 150, 165 d
Fo, Jacopo, (Giovanni Karen), 37, 111, 149
Foa, Lisa, 99
Fofi, Goffredo, 68, 70, 88
Fossati, Franca, 58
Franceschi, Vittorio, 118-19
Franceschini, Alberto, 76
Franceschini, Gianni, 139
Franceschini, Umberto, (Il macellaio), 64-72
Franco, Gianna, 140, 155-56
Frassa, Romano, 73
Freda, Franco, 46, 52
Gaber, Giorgio, 71, 73, 98, 135-36
Gabriele, 149, 149 d
Gaetani, Raimonda, 151
Gaetano, Rino, 66-67
Gallea, Gigi, 140
Galli, Mario, 142
Gallina, Mimma, 151, 155
Gallo, Vincenzo, vedi Vincino
Garibaldi, Giuseppe, 13
Garofalo, Bruno, 151, 153
Gaslini, Giorgio, 94, 130
Gaspari, Mimma, 128
Gelli, Licio, 136-38
Getty, Paul Jr., 55
Gheddafi, Muammar, 132
Ghezzi, Dori, 87
Ghira, Andrea, 63
Giacobone, Paolo, 142
Gianco, Richy, 129
Gianquinto, Giobatta, 61
Giovanni XXIII, 14, 18
134
Gobetti, Andrea, 81
Goebbels, Heiner, 141-42
Gordon, Peter, 141
Gramsci, Antonio, 37, 118
Grappelli, Claudio,
Grassi, Paolo, 117
Grazzini, Giovanni, 22
Grechi, Luigi, 85
Grimaldi, Fulvio, 89
Gualtieri, Libero, 133
Guccini, Francesco, 29, 40, 86
Guggenheim, Peggy, 61
Guglielmino, Salvatore, 127
Guida, Marcello, 52
Guido, Gianni, 63
Guidugli, Michele, 61, 79
Gullo, Diego, 154
Guri, Anna, 141
Haring, Keith, 141
Hart, Alfred, 141
Helen, 143-44
Hendel, Paolo, 128
Henke, Eugenio, 53
Hussein, Saddam, 63
Hutter, Paolo, 37, 72
Iaio, 112
Iannucci, Lorenzo, vedi Iaio
Illich, Ivan, 24
Infantino, Antonio, 36, 112
Ingrao, Pietro, 84
Ippolito, Angelica, 150
Ippolito, Felice, 150, 163 d
Ippolito, Piero, 72, 31, 34-36, 50, 58, 113, 161, 163
Izzo, Angelo, 63
Izzo, Letizia, 63
Jannacci, Enzo, 112, 118, 127-28, 136
135
Jannuzzi, Gianfranco, 110
Jara, Victor, 112
Jemolo, Andrea, 104
Jones, Tom, 141
Joplin, Janis, 94
Jotti, Nilde, 62
Karin, 85, 88-91, 91 d, 93, 98, 106
Kennedy, Fitzgerald, John, 14, 18
Khomeyni, Ruhollah, 92
Kounellis, Jannis, 67, 160
Krusciov, Nikita, 14
Kuipers, Francis, 112, 115
Kurosawa, Akira, 147
La Pira, Giorgio, 24
La Stella, Aldo, 126
Labor, Livio, 24
Langer, Alex, 29, 88
Lanterna, Anna, 134
Lanzi, Carpo, 121
Lauzi, Bruno, 127-28
Lecoq, Jacques, 145
Lenin, Vladimir, 33
Lennon, John, 78 d
Leone, Giovanni, 65, 111
Leone, Michitto, Vittoria, (Donna), 65
Leonetti, Stella, 130, 136
Lerner, Gad, 37
Lettoli, Maroly, 146
Lia, 133
Liguori, Gaetano, 130
Liguori, Paolo, 38, 92
Lindauer, Martin, 142
Lizzani, Carlo, 117, 146
Lo Cascio, Giorgio, 86, 94, 112
Lo Russo, Francesco, 103, 103 d
Locasciulli, Mimmo, 86
Loi, Duilio,74
136
Loi, Franco, 119
Loi, Vittorio, 74
Lolli, Claudio, 99, 104, 113-14
Lombardini, Loris, 149
Lombardo Radice, Giovanni, 84
Lombardo Radice, Marco, 68, 79, 83-84, 93, 98-100, 105, 113, 122, 160
Lombardo Radice, Marina, 79
Lonzi, Carla, 32, 67
Lopez, Rosaria, 63
Lovisolo, Giorgio, 92
Luperini, Romano, 98
Luporini, Sandro, 73
Luzzatto Fegiz, Mario, 128
Macario, Luigi, 22
Maccanico, Antonio, 152
Machiavelli, Niccolò, 135
Maggi, Carlo Maria, 41
Mambor, Renato, 67
Manconi, Luigi, 83-84
Manenti, Clemente, 148, 159
Manfredi, Gianfranco, 129
Mangiarotti, Marco, 126
Manin, Giuseppina, 126
Manna, Marco, 123
Mantovan, Giuseppe, (Beppe), 110
Manuela, 57Marco, 111
Manzoni, Renato, 141
Mao, Tse-Tung, 82, 98
Marcenaro, Andrea, 59
Marchioro, Donatella, 162
Marcuse, Herbert, 5
Marina, 113
Marini, Giovanna, 25, 86, 89, 118
Marino, Antonio, 73
Marino, Leonardo, 54, 156-57
Marisa, 127
Maritan, Paola, 142
137
Marshall, George, 11
Martelli, Claudio, 130
Martin, Gianfranco (Franco), 13-14, 56
Martin, Giovanni, 84
Martin, Joseph, 83
Martin, Lucia, 13, 37
Martin, Sergio, (Partigiano), 13
Martin, Sergio, 13, 45, 84, 102, 140, 144
Martin, Silvana, 13
Martone, Mario, 141
Marx, Karl, 58
Maselli, Citto, 60
Masi, Giorgiana, 105
Masi, Pino, 68, 71
Massobrio, Lionello, 89, 93
Mattei, Enrico, 150
Matteotti, Giacomo, 39
Mazzetti, Giovanni, 75
Mazzi, Celeste, 112
Mazzi, Marco, 112-13
Mazzolari, Primo, 24
Mazzon, Guido, (Trio), 94
Meneghello, Luigi, 18
Mercuri, Melina, 39
Merlin, Tina, 16
Miccicchè, Tonino, 81
Michel, Georges, 118
Micocci, Stefano, 100
Micocci, Vincenzo, 66-67
Migone, Giangiacomo, 24
Milani, Lorenzo, 24
Mingarelli, Dino, 53-54
Minorenti, Massimo, 63
Montanelli, Indro, 109
Montini, Giovanni Battista, vedi Paolo VI
Morandi, Gianni, 66
Morante, Elsa, 77, 129
Moreno, Cesare, 70
138
Morini, Luciano, 136
Moro, Aldo, 111, 115, 146, 166 d
Morteo, Gianrenzo, 155
Nanà, Aichè, 68
Nancy, 65-66, 71, 77, 88, 111
Nannini, Gianna, 110
Napolitano, Giorgio, 39
Nappi, Davide, 47
Nappi, Filippo, 47
Natoli Ferlazzo, Luigi, (Lisi Natoli), 70
Natoli, Silvana, 70
Negri, Toni, 113
Nissim, Pierino, 94
Noia, Gigi, 73
Nono, Luigi, 61
Occhini, Giulia, 62
Ojetti, Alessandro, 55, 69
Olivotto, Danilo, 12
Olivotto, Raimondo, 16
Otto, (Richter, Hans), 134
Ottone, Piero, 137
Pacinotti, Antonio, 15
Palach, Jan, 39
Palumbo, Giovanbattista, 54
Panagulis, Alessandro, 90
Panella, Carlo, 92
Panici, Maurizio, 68
Pansa, Giampaolo, 52
Paola, 153
Paoli, Gino, 129, 136
Paolo VI, 65
Pardi, Gianfranco, 126
Parenti, Franco, 118, 122, 125-26, 130, 134, 145
Pari, Sauro, 135
Pascali, Pino, 67, 144
Pasolini, Pier Paolo, 58, 63, 74, 97-98
139
Patrizia, 18
Patrucco, Roberto, (Robi), 162
Pecchioli, Ugo, 139
Peci, Patrizio, 124
Peci, Roberto, 124
Pecorelli, Mino, 112, 143
Pedersoli, Carlo, vedi Bud Spencer
Pellitteri, Paolo, 130
Pellizzaro, Leda, 37
Pellizzaro, Vally, 37
Pericle, 28
Pertini, Sandro, 67, 125, 143, 152
Pesce, Giovanni, 45
Picasso, Pablo, 31, 145
Piccardi, Silvano, 69
Piccoli, Flaminio, 143
Pietrangeli, Paolo, 38, 86, 89, 94
Pietrostefani, Giorgio, (Pietro), 51, 58, 81-82, 156-57, 159
Pilone, Mauro, 164 d
Pinelli, Giuseppe, (Pino), 39, 42-43, 51-53, 58, 97, 113, 119, 158, 161, 165
d
Pinelli, Licia, 43, 113, 158
Pinochet, Augusto, 72
Pintor, Giaime, 68, 76, 89, 91 d, 93, 96-97, 105-06
Pintor, Luigi, 89
Pintor, Roberta, 68
Piroddi, Maria, 56
Pirro, Ugo, 60
Pitagora, Paola, 60, 67
Pizzinato, Antonio, 38
Pizzinato, Armando, 61
Placido, Beniamino, 135
Pound, Ezra, 83
Prandi, Thea, 151
Previti, Cesare, 63
Previti, Umberto, 63
Primera, Alf, 167 d
Pucci, Emilio, 36
140
Pucci, Giannozzo, 36
Pugnetti, Alberto, 95
Puig, Manuel, 155 d
Quadri, Franco, 142, 145, 155
Quinto, 153
Rajneesh, Osho, 82, 106
Rame, Franca, 15 d, 34, 37, 69, 112, 116-21, 125, 127, 134-36, 139-40,
145, 147
Rauti, Pino, 28, 41, 46
Ravera, Lidia, 68-69, 89, 105
Reich, Wilhelm, 33
Renato, 23
Rinaldo, 132
Ricordi, Giovanni Carlo Emanuele, (Nanni), 118-19, 127, 129
Riondino, Davide, 68, 87, 112, 128
Ristori, Adelaide, 139
Riva, Massimo, 75
Roberta, 130, 134
Roncalli, Angelo, vedi Giovanni XXIII
Rolandi, Cornelio, 42
Rossa, Guido, 124
Rossellini, Renzo, 97
Rossi, Emilio, 109
Rossman, Andreas, 148
Rosso, Stefano, 86, 105
Rostagno, Maddalena, 159
Rostagno, Mauro, 50, 58, 93, 95, 111, 158-59
Roveri, Rostagno, Elisabetta, (Chicca), 159
Rumor, Mariano, 53, 143
Rusciano, Rosario, 151, 153
Russo Spena, Giovanni, 24
Saccarola, Paolo, 31
Salazar, Antonio, 79
Salsedo, Andrea, 119
Salvatores, Gabriele, 141
Salvini, Adriano, 45
Salvini, Giorgio, 142
141
Sambonet, Roberto, 86
Sannucci, Corrado, 71, 79-80, 86
Sansoni, Novella, 126
Santomaso, Giuseppe, 61
Saronio, Carlo, 82
Sarto, Giorgio, 29
Sartori, Donato, 146
Sassi, Gianni, 73
Savasta, Antonio, 75
Scabello, Paolo, 93
Scalfari, Eugenio, 97
Scalfaro, Oscar Luigi, 154
Scaparro, Maurizio, 150, 154-55
Scarpa, Carlo, 17
Scarpa, Gaetano, 25-27
Scarpa, Mario, 25-27
Scarpetta, Eduardo, 150-52
Schianchi, 73
Schiano, Mario, 85
Schiller, Johann Christoph Friedrich, 139
Schmidt, Harvey, 141
Schuman, Peter, 116
Sciotto, Piero, 112, 121
Secci, Sergio, 115-16
Semenza, Carlo, 16
Semenza, Edoardo, 16
Senese, James, 72
Serantini, Franco, 51
Sereni, Marialivia, 15
Sgrena, Giuliana, 107
Shammah, Andrée, Ruth, 122, 125, 127, 129, 131
Siciliano, Martino, 41, 42
Simoncini, Gianfranco, 64
Sindona, Michele, 75, 143
Sinibaldi, Marino, 68, 108
Sofri, Adriano, 43, 54, 58, 88-89, 98, 106, 108 d, 112, 156-59
Sofri, Gianni, 59
Sofri, Luca, 159
142
Sogno, Edgardo, 46
Sorbi, Paolo, 54
Sorrenti, Alan, 67, 94
Spadolini, Giovanni, 105
Speaks, Almeta, 86
Stajano, Corrado, 51
Stiz, Giancarlo, 46
Stragà, Amabile, 16
Stratos, Demetrio, 73, 116, 131 d
Stravinskij, Igor’, 83, 121
Strehler, Giorgio, 117
Stroder, Marina, 126
Sugar, Piero, 99, 128
Sullo, Fiorentino, 39
Taboga, Marilena, 37, 110
Tadini, Emilio, 126, 134
Taviani, Paolo Emilio, 44, 74
Terracini, Massimo, 93
Terracini, Umberto, 94
Testori, Giovanni, 125-26
Tinelli, Fausto, 112
Tito, Josip Broz, 20
Tobagi, Walter, 124
Togliatti, Palmiro, 11, 62
Tognoli, Carlo, 130
Tognolo, Franco, 37, 50
Tolstoi, Nikolaevic Lev, 122
Toni, 26
Trambusti, Daniele, 68, 128
Travaglini, Franco, 59
Trentin, Bruno, 47
Turid, 111
Ulisse, 61
Upiglio, Giorgio, 134
Valcarenghi, Andrea, 97
Valletta, Vittorio, 23
143
Valpreda, Pietro, 42-43, 46 d, 49
Vanoni, Ornella, 128
Vecchi, 23
Vedova, Emilio, 61, 61 d, 83
Venditti, Antonello, 66, 68, 85-87, 94
Vento, Nino, 37, 69
Ventura, Giovanni, 46, 52
Viale, Guido, 37, 106, 111, 159
Vinciguerra, Vincenzo, 54
Vincino, 111
Vita, Vincenzo, 95
Volli, Ugo, 126
Volontè, Gian Maria, 60, 65, 67, 150
Volpi, Giuseppe, conte di Misurata, 16
Volpini, Angela, 30-31, 36
Wachter, Leo, 140
Williams, Nigel, 141
Zaccagnini, Benigno, 70
Zamarin, Roberto, 42, 46 d, 58, 89, 165 d
Zanon, Sandro, (Sandrino), 69
Zetkin, Clara, 33
Zibecchi, Giovanni, 81
Zorzi, Delfo, 41, 52
Zotti, Agnese, 82, 110
Zotti, Carmelo, 61, 82
Zotti, Checco, 59, 82-83, 149, 160
d: didascalia
144
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Dedico questo lavoro ai miei genitori ea mio figlio 1