Dedico questo lavoro ai miei genitori e a mio figlio 1 Indice 5 22 23 30 42 46 48 59 63 77 84 87 102 104 114 116 121 125 126 128 Tutto ha un inizio Carla Lonzi Per una musica diversa la strage e il Commissario Calabresi Tra sesso e militanza La doppia morale Lotta Continua tra un matrimonio e l’altro Circoli Ottobre Assaltatore dei Lagunari Il vuoto la Milano di Fo e dei teatri Bonfietti Dario Fo e la Milano da bere Berlino Eduardo Paolo Buffo e Mauro Rostagno Post-considerazione Testi e contesti Indice dei nomi 2 Ricordare il passato può dare origine a intuizioni pericolose, e la società stabilita sembra temere i contenuti sovversivi della memoria Herbert Marcuse 3 Tutti i diritti riservati © Copyright 2009, Sergio Martin [email protected] Tutto ha un inizio 4 In piena guerra fredda, creatasi dopo la fine della seconda guerra mondiale, tra Ovest (Stati Uniti d’America e alleati della NATO) e Est (Unione Sovietica e Patto di Varsavia), che avrà realmente fine solo con la caduta del muro di Berlino, cioè verso la fine di questi appunti; In Italia l’Assemblea Costituente approva la Costituzione e aderisce al Patto Atlantico, con una scelta di campo a favore degli Stati Uniti. Superato nel 1948, anche l’attentato a Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano e ministro di Grazia e Giustizia dei governi della Liberazione e il conseguente rischio di guerra civile, si dice grazie anche alla vittoria di Bartali al giro ciclistico di Francia; Nel 1951, mentre l’Italia entra a far parte della CECA, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, prima base per l’attuale Comunità Europea, e ha termine il piano Marshall che ha dato all’Italia oltre 1.200 milioni di dollari per intraprendere la ricostruzione, dopo i disastri del fascismo e della seconda guerra mondiale, io, ultimo di cinque figli nasco a Oderzo in una calda giornata di fine agosto, sotto il segno della vergine. Il 26 agosto, data importante perché mio padre del personale viaggiante delle Ferrovie dello Stato e come tale dipendente pubblico, prendeva la paga un giorno dopo, il ventisette del mese e pertanto il ventisei di soldi non ce n’erano mai, di conseguenza niente regali al mio compleanno e anche pochi amici che se lo ricordassero, essendo tutti in vacanza, normalmente inviati da parenti e amici o in colonia; non vorrei che si pensasse subito che si poteva anche andare in vacanza, è solo un modo di dire quando non c’è lavoro o non si deve andare a scuola, si sta in vacanza. Diversa dalla vacanza di chi può andare al mare a nuotare o in montagna a sciare o anche viceversa. Anch’io d’altronde andavo sempre in vacanza a Ospitale di Cadore, finita la scuola venivo spedito, anzi caricato, sulla Littorina, quei treni corti che sbuffano, per Calalzo e il capotreno mi faceva scendere alla stazione di Ospitale di Cadore, dove vivevano i nonni materni e dove a volte mi trovavo con mio cugino Danilo che abitava a Belluno. Alle otto andavo a portare la colazione al nonno, che era sul bosco della chiesa a tagliare legna dalle quattro di mattina, faceva colazione col vino e diceva questo è il latte dei vecchi. Gli davo una mano a tagliare gli alberi, all’epoca non esistevano le motoseghe, ad accatastare i tronchi, farli scendere lungo un viottolo e caricarli sul carretto, sistemato su una rientranza della statale di Alemagna, quella che i signori usavano per andare a Cortina d’Ampezzo, e poi si spingeva il carretto fino a casa, oppure si tagliava l’erba la si lasciava diventare fieno e poi sia la nonna che il nonno si caricavano il blocco in testa e lo portavano su in casa fino al terzo piano, io sulla gerla riportavo gli attrezzi. Con Danilo ci eravamo inventati anche un codice di scrittura in modo 5 che se qualcuno avesse intercettato le lettere non avrebbe potuto leggerle, chissà quali segreti contenevano. Ho iniziato a fumare qui in montagna, si andava da Felice, il gestore dell’unico bar-tabacchi e si chiedeva per conto di qualche fantomatico ospite di passaggio un pacchetto da 10 di HB o di Marlboro prima di passare alle Mentolo e alle Turmac, sigarette ovali dal fascino slavo. Ti faceva sentire grande. D’inverno l’unico riscaldamento era la stufa economica in cucina, su cui la nonna preparava da mangiare, alla sera la nonna mi dava la borsa dell’acqua calda, loro avevano il ‘prete’, una struttura ad arco in legno con dentro le braci, e si andava a dormire stando tutti raggomitolati sotto al piumino, finché il tepore non si estendeva e potevi lasciarti andare, distenderti dentro al letto, il bagno era collocato sopra la stalla per cui leggermente più tiepido delle altre stanze, anche se a volte dovevi rompere lo strato di ghiaccio sul catino per poterti lavare. Il fatto che la struttura per scaldare il letto matrimoniale si chiamasse ‘prete’ la dice lunga su come e con chi passassero le notti molte donne sole o con i mariti in guerra, o all’estero per lavoro, ma a questo collegamento ci sono arrivato molto, molto dopo. In realtà di fratelli ne ho sempre avuti tre, due femmine e un maschio, perché uno era morto prima del mio arrivo, soffocato nella culla, cosa in quegli anni abbastanza normale e frequente, se ci fosse stato lui, molto probabilmente non sarei arrivato io. Oderzo città par scherso col Montegan de traverso un punto perso nell’universo Oderzo, noto come Opitergium i cui nativi detti opitergini si vantavano di aver fondato Venezia per scappare alle violente devastazioni di Attila, in realtà rientrava nell’area di influenza della Repubblica Romana al punto da far chiamare Opitergina la laguna di Venezia, in epoca più recente famosi gli scontri tra fascisti e partigiani, culminati nella strage del Brandolini. Certo è che i fascisti durante il regime non avevano scherzato e probabilmente neppure i romani avevano scherzato, malgrado abbiano lasciato acquedotti e strade, visto l’odio verso Roma ‘ladrona’ e il peso della Lega da queste parti. Come è certo che i partigiani della brigata Garibaldi non hanno rispettato i patti firmati dal mio omonimo, Sergio Martin, che aveva concesso salva la vita, in cambio della resa incondizionata a nome e per conto del Comitato di Liberazione Nazionale, invece quelli della brigata Garibaldi, istituirono un processo sommario e molti dei fascisti a cui era stata garantita salva la vita, in cambio della resa incondizionata, furono uccisi. A Oderzo in realtà ci ho vissuto fino ai tre anni, perché mio padre dovette trasferirsi a Mestre, allora importante snodo ferroviario, per cui io sono cresciuto alla Gazzera, quartiere dormitorio tra Mestre e Porto Marghera, che stava diventando in quegli anni un importante polo 6 industriale, con particolare attenzione alla chimica, nonché all’ombra di Venezia dove si poteva andare raramente e da cui più volte, inutilmente, la terraferma ha cercato di staccarsi. I ricordi si perdono, si scompongono e ricompongono, però mi è chiaro che ho vissuto i primi anni più a contatto con Lucia, anche perché i fratelli maggiori erano stati mandati in collegio, Franco ad Alba in Piemonte, dove lavorava in tipografia per stampare per le edizioni Paoline, «Famiglia cristiana», settimanale cattolico distribuito alla domenica nelle parrocchie, e Silvana, sempre in collegio, in un altro luogo che proprio non ricordo, dove ha imparato a cucire, a fare la maglia, disegnare e fare maschere, sì perché la concezione dell’epoca era che le donne dopo le elementari andassero a lavorare, imparando possibilmente qualcosa che poi risultasse utile per la casa, per la famiglia, tipo il lavoro a maglia o la cucina, appunto. Le ragazze non potevano uscire di casa accompagnare mia sorella Lucia e stare con alla fine della strada, dandoci appuntamento modo da rientrare a casa insieme, altrimenti da sole, per cui io dovevo lei, più spesso ci dividevamo allo stesso punto alla sera in erano botte. Il giorno della mia prima comunione o della cresima non ricordo e sovrappongo i due sacramenti, fu una grande festa, di positivo ricordo che noi cresimandi eravamo tutti vestiti uguale con una tunica bianca e due bande laterali rosse, ricevetti anche dei regali, l’orologio del rappresentante di tessuti me lo prese subito mio fratello che pur essendo sette anni più grande non ne aveva ancora uno, venne a offrirmi i sacramenti il Patriarca di Venezia, Angelo Roncalli, che subito dopo sarà nominato Papa con il nome di Giovanni XXIII e sarà un grande Papa, all’altezza dei tempi in grado di confrontarsi con Kennedy e Krusciov, rispettivamente responsabili all’epoca degli Stati Uniti d’America e dell’Unione Sovietica. Pensai che mio figlio avrebbe deciso lui se farsi battezzare e prendere gli altri sacramenti, quando avrebbe avuto l’età della ragione io non glieli avrei imposti e almeno in questo sono stato di parola. Ricordo perfettamente le discussioni in famiglia, quando Gianfranco è scappato dal collegio di Alba e se ne è tornato a casa senza licenza media e senza il baule con tutte le sue cose. Non ho mai capito cosa fosse successo, cosa sia stato a spingerlo a un gesto così clamoroso e contestatario, come la fuga, rinunciando anche alla licenza media cioè al certificato che sanciva i tre anni di collegio, che non devono essere stati facili. Mi sembra di rivedermi peregrinare per Mestre, mano nella mano con la mamma, alla ricerca prima di un istituto dove mio fratello potesse sostenere l’esame di terza media e poi di una scuola dove iscriverlo. Questa è stata una delle poche battaglie che la mamma ha intrapreso e vinto contro suo marito. Per papà, Franco doveva andare a lavorare, una opportunità gli era stata offerta, l’aveva rifiutata e ora gli spettava il lavoro, avrebbe dovuto guadagnarsi la vita e contribuire all’andamento economico della 7 famiglia, la mamma ha insistito a tal punto, si è battuta, ha cercato ed è riuscita a fare in modo che prendesse il diploma di perito meccanico all’Istituto tecnico statale Pacinotti, lo stesso che avevamo trovato mano nella mano peregrinando per la città. La stessa cosa non valeva per le figlie femmine che finite le elementari sono subito andate a ‘imparare’ un lavoro, oppure stavano in casa a lavorare sul telaio comprato a rate. Siamo in pieno sviluppo industriale ed economico, basato essenzialmente sui bassi salari, con una grande richiesta di manodopera per cui è molto facile trovare lavoro. Anche se Marialivia Sereni così descrive su «l’Espresso» il ‘Natale FIAT’ del 1961: [...] è il tono generale della città che è cambiato. Si pente chi ha sostituito la 600 con la 850. Si pente chi ha fatto studiare il figlio invece di mandarlo a lavorare. Si pente il meridionale che ha chiamato la famiglia a Torino, e il torinese che ha convinto la moglie a lasciare la fabbrica o il banco di verdura. [...] Gli orari ridotti deprimono perché lasciano intravedere il licenziamento [...]. E così, nello stesso anno, cantava Fausto Amodei su testi di Franco fortini: E se Berlino chiama, ditele che s’impicchi: crepare per i ricchi no, non ci garba più…. E se la Nato chiama, ditele che ripassi: lo sanno pure i sassi, non ci si crede più… E se la patria chiede di offrirgli la tua vita, rispondi che per ora la vita serve a te. Si iniziava a respirare un’aria diversa, si sentiva crescere una opposizione, c’era stata una grande ribellione nel paese contro la ‘legge truffa’ che voleva modificare i meccanismi di voto, ma iniziavano anche le tragedie naturali ed i terremoti, che impegnavano tutti alla solidarietà Ricordo con chiarezza la sera del 9 ottobre del 1963, quando l’unico canale della televisione di stato, in bianco e nero, annuncia la caduta, ‘il scivolamento’, del monte Toc nella diga del Vajont, causando la scomparsa di interi paesi a partire da Longarone e la morte di oltre duemila persone. Una strage annunciata, rammento la discussione e la preoccupazione di mia madre, originaria di Ospitale di Cadore venti chilometri più sopra, e mio fratello che preparò subito lo zaino per andare a portare soccorsi e a vedere che fine avessero fatto i parenti. La valle del Vajont era controllata da due paesini, Erto e Casso, opposti tra loro, uno friulano l’altro cadorino, avevano in comune solo le bestemmie e il duro lavoro per la sopravvivenza, per cui molti erano contenti quando arrivò la SADE società elettrica privata, dietro alla quale c’era Giuseppe Volpi conte di Misurata, già ministro fascista e imbonitore di partigiani, per salvarsi il malloppo che gli sarebbe servito a fare la diga più grande del mondo. 8 La diga voleva dire operai, ingegneri, manodopera varia, espropri, un po’ di soldi, di benessere e nessuno voleva dare retta a Tina Merlin, che come quando faceva la staffetta partigiana, continuava a girare le frazioni, a dire e a scrivere su «l’Unità» che il monte Toc sarebbe crollato e la diga sarebbe stata un pericolo, un grave pericolo e non la manna della provvidenza. Anche Edoardo, geologo e figlio dell’ingegner Carlo Semenza, progettista e costruttore della diga, ha cercato di convincere il padre che con il riempimento dell’invaso della diga quasi sicuramente il monte Toc sarebbe franato. Come poi è avvenuto e per assurdo il disastro fu così immane proprio perché la diga ha retto cioè era stata costruita molto bene. Andai a trovare i nonni materni, Amabile e Raimondo, poco dopo la tragedia, mi è ancora impressa nella mente una scala a chiocciola, in quello che era stato il centro di Longarone, la scala dava nell’ingresso della casa del dottore, il medico curante dei nonni, e ora si stagliava solitaria a guardare il campanile in mezzo a fango e rovine. Si camminava a piedi sopra gli antichi ponti e le vecchie strade di origine romana e si guardava sbigottiti i nuovi ponti, le nuove strade crollate sotto la furia dell’acqua, a volte sul vecchio ponte trovavi la scritta ‘pericolante’, poi la scritta scompariva senza che vi venisse fatto alcun lavoro. Mi raccontò il nonno, sotto una pioggia gentile e scansando piccoli torrentelli d’acqua, che se ne parlava da tempo che il monte Toc era pericolante e c’era il rischio che scivolasse, franasse, cadesse dentro la diga e così è stato, pensa mi diceva con un’aria di antica rassegnazione, l’acqua è tornata indietro fino a Davestra il paese prima di Ospitale, da noi si è sentito un grande lungo boato e poi l’acqua è scesa distruggendo e portandosi via tutto, paesi interi, comprese le case e gli uomini che ci dormivano dentro. C’era nel nonno una grande rassegnazione, una forte e arrabbiata impotenza, ricordava che contro il fascismo potevi combattere, nasconderti in montagna, ti ribellavi in tanti modi a partire dalle piccole cose, contro questa burocrazia, queste scelte imposte dall’alto spiegate con parole che non riesci a comprendere, non puoi, non riesci a ribellarti, non ne hai gli strumenti e neanche la forza. Sono tornato con mio figlio in quei posti, abbiamo passeggiato su in cima alla diga guardando il panorama e sul fondo si stagliavano le nuove costruzioni di Longarone, le case con il tetto piatto ideate dall’architetto Scarpa, famoso e pure preside della facoltà di Architettura a Venezia e in montagna fa le case col tetto piatto, come quelle che si trovano in Sardegna o nei posti di mare, in modo che la neve si fermi e si accumuli e la gente possa lamentarsi per l’umidità. Bisogna sempre offrire un pretesto alla gente perché possa lamentarsi, così magari perde di vista i problemi veri. Imponente quella diga, la seconda diga più grande al mondo, ed è rimasta pressoché intatta, e guardando quel panorama mi è sorta la domanda: come mai la maggior parte della gente di queste parti che 9 andava a cercare lavoro all’estero, persino in America e in Argentina, finiva per fare il gelataio, forse per fare qualcosa che per sciogliersi non aveva bisogna di una montagna che gli cadesse dentro. Il 1963 è anche l’anno della morte di Papa Giovanni XXIII, detto il ‘Papa buono’, che era riuscito prima di morire a emanare l’enciclica Pacem in terris indirizzata a tutti gli uomini di buona volontà, (non più solo ai cattolici), ma soprattutto è l’anno dell’assassinio a Dallas del presidente americano John Fitzgerald Kennedy, che tante speranze aveva suscitato nel mondo, irrompono sulla scena mondiale e sono in tournée in Italia i Beatles e Luigi Meneghello dall’Inghilterra dove è dovuto andare a insegnare dalla sua Vicenza, ci manda in Italia Libera nos a malo, romanzo rurale che avrà successo anni dopo. Alle elementari si andava a scuola a piedi, era normale, c’era solo la paura degli zingari e il divieto categorico di accettare caramelle da estranei, il maestro molto umano sempre disponibile, ci faceva fare i calcoli con le diecimila lire del tempo, erano rosse e molto grandi, che nessuno di noi avrebbe avuto la possibilità di vedere in casa, ero abbastanza bravo, sono sempre andato bene e mi appassionavo alla storia e alla matematica e mi divertivo pure a litigare con i compagni. A volte si dovevano portare dei pezzi di legna per riscaldare l’aula. L’impatto con le scuole medie è stato terribile. Dovevo fare dei lunghi tratti di strada a piedi, prendere due autobus e alzarmi prestissimo. Ero stato iscritto alle professionali, le scuole dei figli degli operai, ma mi hanno bocciato ugualmente, ricordo le lezioni di applicazioni tecniche, ore a lavorare su un pezzo di ferro o di legno, una volta non so perché ho fatto arrabbiare l’insegnante, un signore tracagnotto e zoppicante, che mi lanciò un pezzo di ferro, chissà cosa sarebbe successo se avesse colpito qualcuno, o forse era una sua tecnica e sapeva benissimo come lanciare. Poi mi hanno iscritto alla media unificata, ma non ho legato con la professoressa di italiano che voleva studiassi tutto a memoria e neppure con alcuni compagni che venivano accompagnati a scuola in Jaguar. Una ragazza in particolare, Patrizia, amava far vedere le mutandine o fingeva di non voler farsele vedere mettendo subito prima un fazzolettino che a volte chiedeva a me, anche certe ‘prof’ e certe supplenti amavano vedere i ragazzini che cercavano in tutte le maniere di sbirciare le loro gambe e a momenti si concedevano facendoci vedere dei pezzi di coscia o accavallavano le gambe lasciandoti intravedere… e tutti a sgomitarsi credendo di aver visto chissà cosa... Forse anche per questo mi sono sempre piaciuti i tedeschi, malgrado il clima più freddo, loro sono spesso nudi senza problemi e i bambini crescono assieme in modo promiscuo evitando tutti i problemi dovuti al non sapere al non conoscere, al dover supplire con la fantasia. Metterei davanti alle scuole delle riproduzioni delle sculture del Canova o farei fare delle sculture con un uomo e una donna nudi che fanno 10 all’amore e i gay con la fantasia sostituiscano il partner. Avevo fatto gruppo con alcuni ragazzi poco più grandi di me ma molto più ‘sgamati’, si dava ‘buca’ a scuola, si andava nei bar a giocare a flippers o a biliardo, soprattutto a boccette, oppure a carte e a bere vino. Essere poveri significa vedere la difficoltà che fanno i tuoi genitori ad arrivare a fine mese, mia madre faceva la spesa a credito, segnando l’importo in un libretto e poi ai primi del mese passava a saldare, le scarpe normalmente sono sempre o troppo grandi o troppo piccole, ed i vestiti riciclati da quelli dei fratelli o amici, con il rischio che quando litigavi ti rinfacciassero che quello era il loro maglione o la loro giacca. Significa anche che in casa non ci sono libri, non c’è neppure l’abitudine a leggere, perché è una cosa da signori che i poveri non possono quasi non devono permettersi. Ci furono le prime ribellioni, la fuga da casa in treno fino a Belluno, poi il ritorno sconfitto per non sapere cosa fare e dove andare, l’essermi nascosto in un campo di grano, i giochi con gli amichetti e le prime attrazioni sessuali ma senza la comprensione di cosa fossero e del perché. C’era un clima di cambiamento, si respirava un’aria di ribellione le cose così come erano non andavano più bene, si cambiava dall’interno rifiutando di tagliarsi i capelli o scorciandosi le gonne, ricordo che le ragazze se le arrotolavano in vita, facendole così salire. La politica e il sesso in casa erano assolutamente vietate, non se ne parlava, non esistevano. Come i libri. Papà e mamma con l’aiuto degli amici, come si usava al tempo, aiuto che poi andava ricambiato, si erano costruiti una casetta a due piani con un terrazzo e annesso magazzino e laboratorio di falegnameria. Io ho contribuito scavando il fossato per il raccordo con la fognatura. E quando potevo e il tempo lo permetteva andavo in terrazzo a leggere o a fingere di studiare o semplicemente a prendere il sole, una volta mia madre mi trovò con dentro al libro un giornalino pornografico, di quelli da leggere con una mano sola, e con l’altra mi titillavo il pisello, non sapevo ancora assolutamente nulla del e sul sesso, il gesto probabilmente mi veniva spontaneo, come risposta a una esigenza fisica, assolutamente naturale. Venni assalito da mia madre in maniera, per me, incomprensibile: «[...] andrai all’inferno [...] diventerai cieco [...] ti si seccherà tutto, maiale, porco, depravato, brucerai all’inferno» e poi come al suo solito si toglieva la ciabatta e cercava di picchiarmi con quella... ma io ero veloce, correvo verso una finestra l’aprivo e mi mettevo a urlare e lei mi chiedeva per favore di smettere... cosa penseranno i vicini... Il suo problema furono i vicini anche anni dopo quando me ne andai di casa per andare a vivere con altri compagni in un nuovo quartiere operaio, la Cita a Porto Marghera, «[...] cosa penseranno i vicini [...]» furono le sue ultime parole in quella triste giornata di saluti e addii temporanei. Ora ne sono dispiaciuto, ma allora qualsiasi cosa mi dicesse mio padre, io dovevo fare l’opposto, mio padre era un bravo falegname, ma sapeva 11 fare di tutto perché per farsi la casa ha dovuto imparare per forza, anche se l’acqua calda e fredda escono invertite, io non ho imparato nulla, facevo quello che mi diceva, ma senza un minimo di passione, eseguivo senza alcuna applicazione, papà, si vedeva poco in casa essendo spesso in treno, all’epoca il personale accompagnava il treno fino alla destinazione finale, tipo Venezia-Reggio Calabria e ritorno, stando fuori casa tre o quattro giorni, poi doveva restituire i piaceri agli amici... e andare a fare le loro case. Avrò avuto otto, nove anni quando mio padre mi portò a Spalato in Croazia, da un collega ferroviere, partimmo da Venezia su una nave sospesa sull’acqua, erano sotto un regime comunista, tutti dovevano andare a scuola e prima di entrare si toglievano le scarpe, facevano molta ginnastica e anche teatro, dicevano spesso «mnogo dobro», grazie molte. Appresi allora che Spalato, Split in croato, nel passato aveva fatto parte dei domini della Repubblica di Venezia e sotto il fascismo fu annessa al Regno d’Italia, per essere durante la guerra conquistata dai partigiani di Tito ed essere annessa alla Repubblica socialista di Croazia e agli italiani furono sequestrati i beni e rinviati in patria. Era una bella cittadina con una grande storia, pulita, tutti potevano lavorare e studiare, tutti avevano una casa ma non potevano commentare le scelte del potere se non positivamente. Quasi come qui da noi, oggi, con Berlusconi. L’unico altro viaggio con mio padre fu, anni dopo, al Salone dell’automobile di Torino, dove io continuai a portarci mio figlio, fino a quando le giunte di sinistra non lo sacrificarono al Motor Show di Bologna. In realtà andammo assieme anche a Oderzo, dove eravamo nati, mi portò a trovare i nonni, i suoi genitori che io non avevo mai conosciuto, al cimitero, mi fece vedere quella che era stata la sua casa di famiglia, ci bevemmo un bicchier d’acqua al bar, dove salutò degli amici e tornammo definitivamente a casa. Visto che anche alle medie non mi applicavo, ho iniziato a lavorare in una falegnameria dove facevo le pedane, ora le chiamano pallets, per la Monteponi Montevecchio di Porto Marghera e mi alternavo a seconda dei turni della scuola, lavoro al mattino e scuola al pomeriggio o viceversa; Quando finalmente mi sono diplomato, cosa dico, ho preso la licenza media, più per anzianità che per merito, mio padre mi ha portato al garage Jarach e Cecconi, sulla sua Lambretta 125, dicendomi: «questo sarà il tuo lavoro, comportati bene, non farmi fare brutta figura». Il garage era sempre aperto, ma io dovevo arrivare alle otto del mattino mettermi tuta e stivaloni e iniziare a ‘ingrassare’ le macchine, dopo averle messe sul ponte, era il 1966 e le autovetture dell’epoca avevano ventotto o trentaquattro punti, a seconda del tipo di macchina, che dovevano essere riempiti di grasso e poi si passava al lavaggio vero e proprio, che comprendeva anche il lavaggio del gruppo motore. Alle nove ero già tutto bagnato e si proseguiva con piccole pause fino alle diciassette o oltre, tanto agli apprendisti gli straordinari non venivano pagati. 12 Ho capito subito che non faceva per me, anche se i rapporti con i colleghi e con i padroni erano buoni e mio fratello aveva lavorato a Porto Marghera d’estate a pulire i silos con temperature che arrivavano a settanta/ottanta gradi e condizioni di lavoro impossibili, venivano chiamati, non a caso, ‘i negri’ di Porto Marghera, per cui non potevo dire niente. Mi sono fatto il patentino e coi primi salari mi sono comperato una Lambretta 50, che mi consentiva una grande autonomia e una grande libertà di movimento. Rientravo a casa a ore impossibili, una notte trovai mio padre ad attendermi che mi chiese se mi sembrava l’ora di rientrare io risposi di sì e lui se ne tornò a dormire sconsolato. Non c’era dialogo tra noi e neppure confidenza lui era abituato a comandare ed io dovevo ubbidire, con la crescita ed una limitata autonomia il meccanismo di potere era entrato in crisi ma non era stato sostituito da nulla, c’era come un vuoto che col tempo diventerà un abisso coperto solo dalla mamma e dalle sue costanti attenzioni e preoccupazioni. Nel paese è in corso una grande ripresa economica ma gli industriali tendono a non riconoscere alcun diritto ai lavoratori e tanto meno cercano di distribuire parte dei cospicui guadagni, per cui qualsiasi piccola conquista è frutto di una grande battaglia, e aumentano gli apparati repressivi all’interno delle industrie che operano in stretto collegamento con gli apparati repressivi dello stato. Al punto da far dire a Luigi Macario della FIM-CISL: «Taluni imprenditori stanno scavando con le loro mani un nuovo e più profondo abisso di rancore [...] il terrorismo FIAT ricorda quello dei negrieri dell’Alabama [...]». E un delegato ACLI di Torino afferma: Nelle fabbriche il sindacato è ancora fondamentalmente una organizzazione clandestina. Chi fa l’organizzatore sindacale rischia il licenziamento [...] viene maltrattato, trasferito, ricattato. Troppi sono convinti che lo Stato sia pacifico solo se i lavoratori rinunciano ai loro diritti [...] l’efficienza aziendale, la produttività, asserviscono l’uomo [...]. E una studentessa che ha assistito alle cariche delle forze dell’ordine contro le operaie della Face Standard di Milano così racconta: [...] in un attimo mi si è rivelato ciò che nessuna testimonianza letteraria o umana avrebbe potuto farmi capire: il sopruso, la violenza legalizzata, il disprezzo delle opinioni e dei sentimenti. Ho visto, carabinieri e poliziotti tempestare di colpi giovani scioperanti, ho sentito volgari intimidazioni e poi i candelotti fumogeni e il lugubre suono della carica. E il torinese Fausto Amodei, girava per le piazze d’Italia cantando: In una vecchia casa piena di cianfrusaglie, di storici cimeli, pezzi autentici ed anticaglie, c’era una volta un tarlo di discendenza nobile 13 che cominciò a mangiare un vecchio mobile….. Il proverbio che il lavoro ti nobilita nel farlo Non riguarda solo l’uomo, ma pure il tarlo… In breve tempo, grazie alla sua ambizione, riuscì ad accelerare il proprio ritmo di produzione.. Per legge di mercato assunse poi per via Un certo personale con contratto di mezzadria… Lavorare per mangiare qualche piccolo boccone Che dia forza di scavare per il padrone; l’altra parte del raccolto, ch’è mangiata dal signore, prende il nome di maltolto o plusvalore ….. Il 1966 è stato anche l’anno dell’alluvione di Firenze e dell’esondazione dell’Arno, che ha preoccupato e interessato tutto il mondo, ma quello che ha colpito sono state le migliaia di giovani con la barba e i capelli lunghi o le ragazze con le prime minigonne che si alternavano a Firenze per salvare i libri e le opere d’arte dal fango, scriveva Giovanni Grazzini sul «Corriere della Sera»: Questa stessa gioventù che fino a ieri ha attirato la vostra ironia oggi ha dato a Firenze un esempio meraviglioso, spinta dalla gioia di mostrarsi utile, di prestare la propria forza e il proprio entusiasmo per la salvezza di un bene comune. E De Gregori alla sera, dopo una giornata tra il fango e i libri, cantava, traducendo Bob Dylan: Venite madri e padri / Da tutto il paese / E non criticate / Ciò che non potete capire / I vostri figli e le vostre figlie/ Non li potete comandare / La vostra vecchia strada / Sta rapidamente invecchiando / Andatevene vi prego dalla nuova / Se non potete anche voi dare una mano / Perché i tempi stanno cambiando Il 1966 è pure l’anno della morte dello studente socialista Paolo Rossi a causa di assalti di giovani di destra alla facoltà di Architettura a Roma, che determinò le prime occupazioni di facoltà, l’anno che Gianni Agnelli decide di sostituire Valletta alla presidenza della FIAT, è l’anno de «La zanzara», giornalino di alcuni studenti milanesi che si permettono di parlare dei loro problemi e della loro sessualità, creando scandalo, e sarà l’anno del maggior coinvolgimento americano in Vietnam e dell’uscita della Francia di De Gaulle dalla NATO, per non condividerne le scelte. Luigi Tenco canta, tradotta da Bob Dylan, astro nascente della musica di protesta mondiale, la risposta è caduta nel vento: …quando dal mare un’onda verrà e i monti lavare potrà quante volte un uomo dovrà litigar, sapendo che è inutile odiar? E poi quante persone dovranno morir, 14 perché siano troppe a morir? …. Ho lasciato i boy scout, dove ero caposquadriglia e mi divertivo un sacco, era una continua scoperta di quante cose si possono fare con poco, basta avere dietro un coltellino e un pezzo di spago, puoi andare a caccia o a pesca e farti una capanna, me ne sono andato per protesta, perché monsignor Vecchi aveva mandato via don Renato, il prete operaio del mio quartiere, tenendo l’anziano parroco ‘di ruolo’ che le voci popolari dicevano se la facesse con la perpetua e assolveva e giustificava sempre i piccoli padroncini che fabbricavano scarpe, usando e sfruttando manodopera minorile in scantinati puzzolenti con collanti dimostratisi in seguito cancerogeni. Oppure quelli che facevano fare le maglie a ragazzine di otto dieci dodici anni in spazi angusti col rumore assordante dei telai per dieci ore al giorno e poche lire di ricompensa e la scusa per i genitori che avrebbero imparato un mestiere. Con i boy scout avevo imparato oltre a fare i nodi e accendere un fuoco a non avere paura a dormire solo anche all’aperto, a chiedere se serviva qualcosa e ad aiutare il prossimo con spontaneità e non solo a far attraversare la strada alle vecchine, li consiglio a chiunque, purché non si protraggano troppo a lungo, essendo deleteri sotto l’aspetto sessuale. Ricordai le parole di don Mazzolari: Una mansuetudine che non sia fame e sete di giustizia, ma paravento alla propria ignavia e al proprio benessere non è la mansuetudine cristiana. Il punto di partenza della ‘rivoluzione cristiana’ non dev’essere la supina accettazione dell’ordine costituito, ma l’amore; vogliamo impedire che il piccolo star bene di uno determini lo star male di molti. Queste situazioni di sfruttamento creavano in me un senso di ribellione spontanea, ho iniziato a collaborare con le ACLI e a fare volontariato per dei ragazzi handicappati, sono entrato in contatto con il centro di documentazione di Pistoia, mi sono abbonato al loro bollettino e ho conosciuto altre realtà legate alla chiesa di base, i ragazzi di Barbiana, l’Isolotto, Danilo Dolci in Sicilia, ho iniziato a leggere Lettera ad una professoressa, il libro in cui gli allievi di don Milani, il priore della scuola di Barbiana denunciano l’ingiustizia della scuola di classe che perpetua e aggrava le differenze sociali, e distruggere la scuola di Ivan Illich. Andai a Firenze all’Isolotto la città satellite progettata dal sindaco La Pira, dove don Mazzi, parroco di base si definiva, in contrasto con la curia fiorentina riuscì a coinvolgere tutto il quartiere con assemblee sul sagrato della chiesa, per un po’ ho abitato da una simpatica nonnina molto solidale con la battaglia in corso, aveva il balcone della cucina che dava proprio sulla chiesa, poteva assistere alla messa all’aperto da casa. Mi trovai coinvolto marginalmente alla costituzione locale dell’ MPL, Movimento Politico dei Lavoratori, costituito da Livio Labor delle ACLI, (che avevano rotto il collateralismo con la Democrazia Cristiana), con 15 Gennaro Acquaviva, Luigi Covatta, Giangiacomo Migone, Russo Spena e altri, per ricostituire la sinistra italiana si diceva già allora, parteciparono alle elezioni ma senza ottenere alcun seggio, non da ora la sinistra ama disperdere voti. Lezione che non è servita a nulla se gli stessi personaggi continuano a dividersi e a moltiplicare le sigle ancora oggi. Le contestazioni alla Chiesa ufficiale, la chiesa dei poveri ispirata da San Francesco, il diritto allo studio, il diritto alla casa, il diritto di essere ragazzini e non andare a lavorare a otto, dieci, dodici anni, il rispetto di tutti gli uomini, il diritto delle donne a essere rispettate prima di tutto dai loro mariti, padri e fratelli, la pace, lo sfruttamento dell’uomo, questi erano i temi su cui dibattevamo. Ho iniziato a organizzare dei concerti nel cinema di quartiere usando la domenica mattina che il cinema era chiuso e costava meno, iniziai con i gruppi locali come Gualtiero Bertelli, D’Amico e il nuovo canzoniere veneto e poi Giovanna Marini e Ivan Della Mea che venne con Paolo e Alberto Ciarchi, facevano tutti capo ai Dischi del sole di Gianni Bosio. Mi sono licenziato dal garage Jarach e Cecconi, non solo perché ero bagnato dalla mattina alla sera, non ci vedevo nessun sbocco professionale, malgrado avessi fatto un corso di meccanico serale con l’ENAIP, ho iniziato allora i lavori più diversi legati alla semplice sopravvivenza, tra cui la vendita rateale delle enciclopedie Einaudi e il commesso in un negozio di scarpe in viale Piave a Mestre, dove sono successi tutta una serie di piccoli episodi che racconterò in seguito, poi sono passato a fare il commesso in un negozio di mobili ironia della sorte si chiamava Mobilificio F.lli Scarpa. Ero bravo a vendere e riuscivo a ‘rifilare’ l’enciclopedia quasi a tutti, ma la cosa non mi piaceva, alla sera avevo l’amaro in bocca. Suonavo il campanello e venivo fatto accomodare nel salotto buono, dove spesso per raggiungere il tavolo dovevo usare le pezzuole di lana, per non sporcare il pavimento, si respirava l’odore di cera e di pulito, sentivi la fatica della casalinga, e tutto era in ordine con i centrini lavorati all’uncinetto e il vaso di vetro di Murano. Se c’era un figlio maschio in età scolare la vendita dell’enciclopedia era cosa certa, non altrettanto se la figlia era femmina, tutti avrebbero fatto qualsiasi sacrificio pur di garantire un futuro diverso ai figli, per le femmine ci avrebbero pensato più avanti, bisognava solo trovargli un buon marito. Nel negozio di mobili sono entrato come aiuto-commesso e aiutante di Toni che faceva le consegne. Uno dei miei primi giorni di lavoro ho dovuto consegnare all’undicesimo piano, un salotto con un divano tre posti di Cassina, cioè un divano importante, da trattare con cura, io ero di sotto per cui avevo tutto il peso e dovevo spingere, Toni stava sopra e tirava, ma soprattutto guidava lungo le rampe di scale facendo bene attenzione a non toccare mai i muri o i soffitti, arrivati in cima consegnato il divano e sistemati gli altri mobili, neppure un bicchiere d’acqua ci è stato offerto. Regolarmente dove esisteva un ascensore c’era un cartello che ne vietava l’uso per carico e scarico mobili e un portinaio che controllava che 16 il cartello venisse rispettato. C’erano delle situazioni che non solo ci offrivano da bere ma ci davano la mancia ci invitavano a pranzo o cena se era l’ora, ci ringraziavano contenti di avere in casa dei mobili belli, e altre situazioni quelle nelle case dei ‘ricchi’ dove tutto era dovuto. Il negozio dove lavoravo era molto grande, diviso in tre settori, una parte, quella dove lavoravo io dove si vendevano le cucine in legno massello o le prime cucine firmate da architetti e design, una con in esposizione i soggiorni e una con le camere da letto e i divani, rappresentavamo le migliori ditte italiane di mobili. In mezzo a dividere il negozio di cucine dove lavoravo io dagli altri c’era un bar, dove facevo colazione e mi prendevo il grappino alle 11 quando mi alzavo all’alba per andare a fare i picchetti a Porto Marghera, la figlia del gestore quando eravamo soli si faceva un cono gelato ci costruiva una riga nel mezzo e si metteva a leccare sorridendomi, con suggestioni che mi sono arrivate solo molti anni dopo. I fratelli Scarpa avevano anche un negozio laboratorio a Venezia alle Zattere, ci sono andato spesso per costruire un tavolo rotondo che una volta allungato restasse rotondo e ci sono riuscito. Avevo fatto un tavolo, anzi due prototipi diversi, entrambi che si allungavano e restavano rotondi e ho capito perché non lo avevano ancora inventato. Una volta allungati i tavoli rotondi diventano ovali e si ambientano perfettamente con le stanze che normalmente sono rettangolari, i miei tavoli rimanendo rotondi facevano sì che poi non si riuscisse più a passare, sarebbero andati bene solo per gli arabi o per quelli che possedevano un castello, o più semplicemente negli ambienti molto grandi. Molti clienti avrebbero voluto le nostre cucine, ma non se le potevano permettere, allora consigliavo l’acquisto dei mobili senza elettrodomestici incorporati, per i quali li mandavo nel negozio di un amico il quale anziché darmi la percentuale, faceva lo sconto al cliente, questo fece sì che vendessi moltissimo e di conseguenza avessi molta autonomia in negozio, anche perché a Toni era stato dato un nuovo aiutante per le consegne. Spesso usavo il negozio anche come sede di riunioni politiche o del circolo culturale o come punto di riferimento e di informazione per gli spettacoli. Mi sono iscritto a una scuola serale per geometri, e ho fatto la prima e seconda e poi la terza e quarta, continuando a lavorare e a fare intervento politico, ho fatto amicizia con un mio compagno di classe, Flavio, che a volte mi portava in giro con la macchina del cognato, targata CD, Corpo diplomatico, quella semplice sigla ti consentiva di violare il Codice della strada e non solo. Avevo conosciuto un rappresentante che vendeva quadri ma soprattutto stampe, in realtà lui non può più offendersi, ma se ci fosse si arrabbierebbe molto, perché sosteneva fosse l’arte portata al popolo cioè serigrafie, litografie, acqueforti e altri sistemi di riproduzione che 17 consentivano di fare più copie di un’opera d’arte, altrimenti a disposizione di pochi, garantendone però una certa unicità essendo numerate e firmate una per una dall’autore. Non si può dire che organizzassi mostre, ma mettevo delle opere alle pareti del negozio, sostituendole tutti i mesi, a me abbellivano i locali e lui ogni tanto riusciva a venderne qualcuna. Fu così che conobbi suo figlio Piero, diventammo amici e decidemmo di aprire un circolo culturale, che chiamammo La Comune di cui divenni il segretario e aumentò il mio impegno nel sociale. Scriveva Pericle nel 430 prima di Cristo: Occuparsi nella stessa misura della nostra casa e della nostra città è per noi un fatto connaturato [...] per noi, chi non partecipa in alcun modo alle ‘cose’ della città non è certo un cittadino tranquillo, bensì un cattivo cittadino [...]. All’epoca c’era un forte Partito Comunista assestato sotto il 30%, una Democrazia Cristiana quasi sul 40% un Partito Socialista che faticava a stare al 10% e i socialdemocratici al 5%, poi un Partito Repubblicano sul 3%, il Movimento Sociale Italiano che cercava di raggiungere il 10% e il Partito Liberale Italiano sul 3/4 %. Insomma, governava sempre la Democrazia Cristiana alleandosi a turno con qualcuno e avendo l’appoggio esterno di qualcun altro. La Democrazia Cristiana da sola copriva già tutto l’arco costituzionale avendo al suo interno le forze più diverse, ognuna con una propria corrente e un proprio esponente che a seconda delle situazioni prendeva il governo del partito e poi del paese, con lotte intestine enormi e governi che cambiavano una volta all’anno. L’MSI alla sua destra aveva Rauti, con Ordine Nuovo e a seconda dei momenti altri movimenti, il caos era alla sinistra del PCI dove col movimento contro la guerra in Vietnam dilatatosi in antiamericanismo e il sommovimento del Sessantotto le sigle della cosiddetta sinistra extraparlamentare si erano moltiplicate. Ero andato a una riunione della DC dove interveniva da Roma l’onorevole Bodrato, che ha iniziato con lo scusarsi perché sarebbe dovuto andare via dopo l’intervento per altri impegni, mi sono alzato e ho detto che allora potevamo andarcene via tutti, perché noi eravamo lì perché c’era lui, si è fermato fino alla fine, ma la cosa non mi è piaciuta. Per un po’ ho frequentato anche il gruppo che si era formato a Mestre attorno all’«Annuario Veneto», edito da Marsilio, con Cesare e Gianni De Michelis, Giorgio Sarto, Stefano Boato e altri, che affrontava soprattutto i problemi legati alla salvaguardia di Venezia. L’Italia del dopo ‘boom’ si ritrova a festeggiare il capodanno 1969 alla Bussola di Viareggio e i giovani che stavano prendendo coscienza si ritrovano di fuori per lanciare non solo uova e pomodori contro pellicce e smoking, la polizia interviene e spara, spara proiettili veri, uno dei quali colpirà alla schiena Soriano Ceccanti, che resterà paralizzato. Tra chi fugge verso il mare per sfuggire agli arresti, assieme a quelli che 18 saranno i fautori della futura lotta continua, c’è anche il giovane Massimo D’Alema. Avevo iniziato a frequentare una di queste sigle, i ragazzi appunto di Lotta Continua, che avevano aperto una sede vicino alla stazione di Mestre e iniziato a fare interventi nei quartieri e volantinaggi davanti alle fabbriche, facendo intervento a Cà Emiliani, uno dei quartieri più disagiati in cui spesso le fabbriche chimiche di Marghera scaricavano liquami tossici, feci amicizia con Gianfranco Bettin, che abitava in quel quartiere e condivise le nostre battaglie, ora noto scrittore e consigliere regionale dei verdi molto sbiaditi nel frattempo dopo la perdita di Alex Langer. In Lotta Continua c’era un’area libertaria spontaneista che mi piaceva molto, ma in realtà prima ero entrato in contatto con delle persone che avevano costituito il gruppo Democrazia diretta, non sapevo bene cosa significasse, mi trovavo bene con loro ci si incontrava si discuteva si andava in giro per il Veneto a scoprire paesi nuovi, incontrare gente diversa, partecipare alle sagre di paese, a cercare osterie, in una di queste abbiamo incontrato un tale Guccini che cantava: Ho visto / la gente della mia età andare via lungo le strade che non portano mai a niente cercare il sogno che conduce alla pazzia nella ricerca di qualcosa che non trovano nel mondo che hanno già, dentro le notti che dal vino sono bagnate [...]. E continuava: È un Dio che è morto / ai bordi delle strade Dio è morto / nelle auto prese a rate Dio è morto / nei miti dell’estate / Dio è morto [...] Cantava quello che noi pensavamo, cantava i nostri pensieri, mi feci dare l’indirizzo, prima che diventasse il titolo di un suo ellepi, e anni dopo andai a trovarlo a Bologna. Il centro di democrazia diretta era a Casanova Staffora, che è una località nell’Oltrepò pavese, immersa nei boschi e attraversata da un torrente, dove l’Angela Volpini, una cortese signora che asseriva di parlare con la Madonna, aveva aperto il Centro di Nova Cana. Aveva molto seguito tra la gente del posto, ma c’erano anche tanti ospiti da fuori, all’epoca era controllata da emissari del Vaticano per verificare se la frequentazione con la Madonna fosse vera, non so come sia andata a finire ma la comunità esiste ancora, probabilmente la Madonna ha preso altre strade. Era un luogo dove si stava bene, divenne col tempo anche un movimento politico diretto dal dottor Ernesto Baroni, amico o medico della famiglia Agnelli, il quale elaborò una piattaforma operativa basata su cinque punti: morale, culturale, politico, economico, giuridico, disposti sia sul piano orizzontale che sul piano verticale dando vita a una piattaforma di venticinque punti base, in modo da svilupparne gli aspetti sia da un punto 19 di vista proprio, sia dal punto di vista degli altri quattro. Scriveva Baroni: … Ciascuna di queste operazioni si articola in modo autonomo dal centro alla periferia, coprendo gradualmente tutti gli interessi virtuali della comunità mondiale, delle singole comunità regionali, delle aree omogenee, dei comuni e dei quartieri, per incontrare la realtà umana in tutto lo spessore del suo contesto storico. Si formeranno così dei gruppi di lavoro per ciascuno di questi cinque livelli, che a loro volta si collegheranno con i gruppi di Ciascuna di lavoro corrispondenti alle altre operazioni. Non si considerano il livello nazionale e provinciale per non far coincidere le operazioni del gruppo con le strutture del vecchio tipo di stato nazionale burocratico, che rappresenta un nodo storico da superare [...]. Non tutto mi era chiaro, ma tornavo a Casanova Staffora appena possibile, perché c’era un clima positivo che ti faceva sentire bene. E ogni tanto qualcuno che conoscevo lì, lo portavo a casa dei miei genitori, una volta arrivai a casa con un nero, un bel ragazzo di colore, mia madre continuava a toccargli il braccio per vedere se il colore veniva via. Ci andai anche con Paolo Saccarola, un amico di infanzia che abitava vicino ai contadini dove mia madre mi mandava a prendere il latte, che iniziò con l’Angela Volpini a fare l’attore, scoprì la vocazione della sua vita interpretando Gesù Cristo in uno spettacolo teatrale e approdò in seguito su RAI 1, a impersonare un cattivo nella “Piovra”, prima di schiantarsi in una notte romana contro un platano. Era un attore nato e ottimo musicista, alto, bello, dalla faccia bonaria, si rovinò i polpastrelli delle dita a causa di uno sciopero della fame intrapreso perché non voleva fare il servizio militare, all’epoca obbligatorio, era omosessuale e la morale dell’epoca non lo consentiva. Ci tornai anche con Piero, prima passammo per Milano a cercare di capire cosa fosse o chi fossero quelli di «Re Nudo», era una rivista ma sembrava avesse la pretesa di essere un movimento, organizzava e proponeva concerti con gruppi indiani e strumenti strani, di cui si iniziava a leggere e se ne sentiva parlare, ricordo un salone disadorno oscurato da tendaggi e le ombre di qualche candela, con Paolo Ciarchi seduto su un tappeto a gambe incrociate, che ci accolse con grande cordialità e ci illustrò la loro attività. Arrivammo a Casanova Staffora la sera, con un piccolo manifesto realizzato da «Re Nudo», dove tutti i personaggi di Disney copulavano credo si dica così, insomma scopavano fra loro, ve li potete immaginare Minni con Topolino, Pluto con Pippo, Gambadilegno con Clarabella e Orazio, Peter Pan con Capitan Uncino... il tutto molto colorato, non ci avevamo visto nulla di male, creò invece una tremenda discussione sostenuta soprattutto dal segretario della Camera del lavoro di Mestre che determinò alla fine la nostra espulsione e per punizione ci fecero dormire nel fienile attiguo alla casa, e così ebbe conclusione anche 20 l’avventura con Democrazia diretta. Questi compagni del partito comunista sono tutti un po’ bigotti e un po’ attenti a non scontentare nessuno, scrive Giovanna Marini nel suo diario di viaggio: “… A Cesena c’è l’Adelchi che ci invita a casa sua, ormai tanto non ci perde più niente, dice la Marisa, lo chiamano cinès da quando lui ha difeso Dario Fo al dibattito . Franca Rame lo coccolava, in paese lo sfottono, dicono che se ne è innamorato, non può più parlare, ormai non perde più niente a invitarci pure tutti da lui, tanto è bollato. Quando c’era lo sciopero, il segretario della sezione che abita davanti ad Adelchi di giorno scioperava per salvare la faccia, ma di notte portava le regalie al padrone, i polli, il vino, l’Adelchi lo spiava , se ne è accorto e l’ha dichiarato a una riunione. Ormai non ha proprio più nulla da perdere, è uno onesto.….” Carla Lonzi «La donna senza un uomo è come un pesce senza bicicletta» riportava un manifesto di rivolta femminile. 21 La curiosità era molta la voglia di capire, di sapere quello che succedeva pure, un giorno andai a Milano per vedere, conoscere, incontrare, Carla Lonzi, fondatrice di «Rivolta femminile», non so se fosse un movimento o solo un giornale, abitava nel vecchio centro di Milano, in una casetta a due piani con un piccolo giardino davanti, prima del suo cancello c’era una falegnameria con dei mobili fatti a mano e delle sculture di legno, in una un uomo e una donna si abbracciavano e mi fermai a guardare, nell’attesa che qualcuno rispondesse alla mia scampanellata, finalmente uscì una signorina con la crestina in testa che mi chiese cosa desiderassi, cercai di spiegarle, ma mi sentii dire che la signora non parla con gli uomini... rimasi interdetto, poi cercai di spiegare che venivo da Venezia, uomo rimanevo. Scoprii dopo che Carla Lonzi era una stimata critica d’arte e aveva un figlio con Pietro Consagra un bravo scultore che aveva lo studio attiguo alla sua abitazione e il suo approdo al femminismo fu un percorso lento e combattuto, aveva scritto: Il femminismo mi si è presentato come lo sbocco tra le alternative simboliche della condizione femminile, la prostituzione e la clausura: riuscire a vivere senza vendere il proprio corpo e senza rinunciarvi. Senza perdersi e senza mettersi in salvo. Ritrovare una completezza, un’identità contro una civiltà maschile che l’aveva resa irraggiungibile. Sosteneva che: [...] della grande umiliazione che il mondo patriarcale ci ha imposto noi consideriamo responsabili i sistematici del pensiero: essi hanno mantenuto il principio della donna come essere aggiuntivo per la riproduzione dell’umanità, legame con la divinità o soglia del mondo animale; sfera privata e pietas. Hanno giustificato nella metafisica ciò che era ingiusto e atroce nella vita della donna [...]. Se la prendeva con Lenin perché così parlava a Clara Zetkin: [...] la lista dei vostri peccati, Clara, non è ancora terminata. Ho sentito che, nelle vostre riunioni serali dedicate alle letture e alle discussioni con le operaie, voi vi occupate soprattutto delle questioni del sesso e del matrimonio [...] questo è un particolare scandaloso [...]. Diceva di Reich: [...] l’orgasmo, contrariamente a quanto credeva Reich, non è un problema identico per l’uomo e per la donna nella cultura patriarcale: nel coito uno lo ottiene automaticamente, l’altra lo ottiene mediatamente [...]. Ma la donna, che proviene dall’oppressione storicamente protrattasi nei millenni, non ha alcun paradiso perduto alle spalle e osservando tutti i gradini dall’animalità all’umanità li vede dominati dal maschio, dunque dal coito [...]. Poche righe ma profonde credo riescano a rendere il senso della sua ricerca. Per una musica diversa 22 Mi sono detto meglio darsi alla musica e con Piero andammo a Roma per scoprire il Folk Studio, ancora nella sede storica di via Garibaldi, che era poi lo studio di un pittore americano e conoscemmo quello che poi diventerà un grande comune amico, Giancarlo Cesaroni. Andammo anche a Milano per prendere contatto con i Circoli La Comune, nati dopo l’uscita di Dario Fo e Franca Rame da Nuova Scena, partecipammo a una infiammata assemblea al Comitato Vietnam di via Cesare Correnti, ora Teatro Arsenale, sull’intervento culturale e le linee da seguire. Ironia della vita, in via Cesare Correnti 11 a Milano, di fronte alla palazzina del Comitato Vietnam, dove ora ha sede il teatro Arsenale, ci tornerò spesso, molto spesso in futuro, perché ci verrà ad abitare Rosalba, o forse ci abitava già, ma io non la conoscevo ancora, una bella ragazza romana, con la quale avrò una bella storia; la conoscerò a Roma dove verrà a trovarmi nella sede dei circoli e mi innamorerò delle sue lunghe gambe che apparivano sotto un lungo pastrano e lasciate libere da un corto gonnellino plissettato. I Circoli avevano prima di tutto una funzione organizzativa, perché la polizia iniziava a impedirti l’organizzazione di spettacoli in qualche modo impegnati o definiti contro il potere o la chiesa o senza il visto della censura, obbligatorio all’epoca, la creazione di questi Circoli presupponeva che lo spettatore risultasse iscritto, in questo modo la manifestazione diventava privata e impediva alla polizia di poterla interrompere o al questore di vietarla, cosa che altrimenti succedeva spesso. Per offesa alla morale cattolica la questura aveva vietato anche lo spettacolo di Eduardo de Filippo De Pretore Vincenzo, malgrado avesse ottenuto il visto della censura, ma dava fastidio alla chiesa cattolica. Il fatto di esserne parte o averne la direzione per le compagnie teatrali o i gruppi musicali significava poter lavorare o no, all’epoca noi a questo non ci pensavamo ma gli artisti che ci dovevano campare ovviamente sì, determinando lotte interne per l’egemonia. Proseguimmo per Roma per andare a trovare il duca Emanuele Canevaro, una conoscenza dei tempi di democrazia diretta e dell’Angela Volpini, che ci chiese di preparare la cena mentre lui si faceva il bagno, la cosa ci lasciò perplessi, si era creato un clima surreale, cenammo in compagnia di una principessa arrivata dalla Sicilia e un membro dei Cavalieri di Malta, con il pollo preparato da noi, non vi dico come, e del cibo portato da loro. In un’altra occasione ero a Firenze sempre con Piero, non sapevamo dove andare a dormire e decidemmo di chiamare il duca, Emanuele Canevaro ci invita ad andare a Certaldo che viene a prenderci alla stazione, dove troviamo non lui ma dei ragazzi che ci aspettano su una 132 FIAT, arrivati nella villa di Certaldo, troviamo tantissime persone soprattutto ragazze e scopriamo che il nostro amico era diventato il 23 messia italiano di una setta americana ‘I bambini di Dio’. Devi diventare bambino di Dio se vuoi andare in cielo... cantavano ragazzi inglesi e americani in giro per Firenze. Veniamo salutati singolarmente dal guru americano della setta, temporaneamente in visita che a me dice: « Tu hai Gesù nel cuore!». I capi, i responsabili andarono a dormire con le ragazze in villa, dopo una cena a mezzanotte a base di riso e verdure, noi siamo stati mandati con i ragazzi nelle stalle, in realtà ex stalle ora riattate a dormitorio. Questo non mi risparmiò il mattino successivo dal dover fare una serie di inutili incombenze tipo spostare dei grossi vasi di fiori in un posto per riporli poi nel posto originario, suppongo per non disturbare gli ospiti che venivano catechizzati. Venni avvicinato da una ragazza alta con la tunica fino ai piedi che mi prese per mano e mi portò a sedere sotto un grande albero, mi parlò in un bell’italiano dal chiaro accento straniero, disse che non dovevo aver paura, loro erano per l’amore, ero fortunato ad aver incontrato David, il loro maestro, facevano vita comunitaria si dividevano compiti e lavori, si tratta di dimostrare il proprio amore per il prossimo nell’opera di apostolato e proselitismo, vivevano in comunità aperte, di lasciti e offerte e se avessi voluto potevo fare l’amore con lei, si alzò ed entrò in casa, fu quasi come un’apparizione, ero tra lo sbigottito e l’incredulo... andai via assieme a due ragazzi e una ragazza che come me ritenevano il tutto molto assurdo, mi fermai due giorni a casa della ragazza nel centro di Firenze. Al mattino presto venivo svegliato dallo sferragliare delle ruote dei carretti sul selciato di pietra, stavano preparando i banchi del mercato, mi sembrava tutto molto più terreno. Seppi poi che erano stati ospiti delle stalle del duca, nella villa di Firenze anche Enzo Del Re e Antonio Infantino assieme ad altri artisti che facevano spettacoli in Toscana. Conoscemmo anche Giorgio Gaslini che nel tentativo di superare gli steccati dei generi musicali e nello sforzo di coinvolgere in un rapporto stretto, autore, esecutore e fruitore dell’opera musicale aveva steso il manifesto ‘musica totale’. Gaslini aveva scoperto e sottolineava la funzione sociale del musicista, personaggio non più isolato in un mondo elitario ma posto in contatto reale con le masse popolari, protagoniste sempre più coscienti della storia. Andai a trovare anche Giannozzo Pucci, amico dai tempi dell’Angela Volpini, nipote del sarto liberale Emilio Pucci con sede in via Puccio Pucci 4, che mi aveva concesso pure un appartamento vicino al duomo di Firenze per un lungo periodo, dove imparai a conoscere la città e assistetti a una partita di calcio in costume, andai anche a vedere una sfilata di moda nel palazzo dello zio. Mi colpiva sempre il suo portamento, la sua eleganza, la sua disponibilità, riusciva ad affrontare tanti problemi ma con leggerezza, era bello, ma non faceva nulla per apparirlo, aveva una eleganza naturale, spontanea, mi informarono che aveva avuto un terribile incidente in Francia, era rimasto schiacciato con la sua Citroën due cavalli in mezzo a due TIR, perdendo entrambe le gambe, aveva ragione ma c’erano 24 problemi con l’assicurazione, mi ricordo che pensai « per fortuna che la sua condizione economica gli permette di farsi fare delle protesi, che gli consentono, nella tragedia una certa autonomia». Tornai a trovarlo nella tenuta di Fiesole dove si era ritirato, al pian terreno c’era un giovane straniero alto e biondo, dall’italiano incerto ma simpatico, mi spiegò che era ospite del conte e faceva il liutaio e che avrei trovato Giannozzo Pucci al piano superiore, andai e lo trovai che cercava di alzarsi dal letto e mi pregò di passargli le protesi, lo feci cercando di nascondere il mio disagio, una partiva dal ginocchio, l’altra molto sopra per cui aveva tutto lo snodo del ginocchio, si era impratichito bene. Riuscì a fissarle senza il mio aiuto, si muoveva in modo un po’ meccanico ma sembrava con facilità, non sono più andato a trovarlo, ho tante scusanti il lavoro, i soldi, gli amori e non ultimo accompagnare i compagni nell’ultimo viaggio ma non bastano a eliminare del tutto i miei sensi di colpa. Intanto continuavo la mia vita da commesso a settanta, ottanta e poi novantamila lire al mese, come ho detto avevo lasciato casa e condividevo l’appartamento operaio con dei compagni, facevo il militante di Lotta Continua e continuavo con Piero il lavoro del circolo La Comune. Oltre a Franco e Vally, si erano aggiunti Silvano operaio della Sirma, Marilena impiegata delle Assicurazioni Generali, mia sorella Lucia che lavorava in un maglificio, Leda sorella di Vally, l’avvocato Zaffaroni che all’occorrenza ci difendeva gratis e altri, ai concerti e normali spettacoli, si erano aggiunti gli spettacoli di Dario Fo e Franca Rame, che organizzavamo in tutta la provincia. Ricordo lo spettacolo Fedayn, la rivoluzione palestinese attraverso la sua cultura e i suoi canti , realizzato con l’OLP l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, vedeva in scena Franca Rame e sette giovani palestinesi, i quali dormirono a casa dei miei genitori sconvolgendo mia madre, vista la loro giovane età e il numero impressionante di cicatrici e ferite su tutto il corpo. Partecipavo alle riunioni del Soccorso Rosso, promosso da Franca Rame per raccogliere fondi e garantire la difesa dei compagni arrestati e a volte andavo nella loro casa a Cernobbio, sul lago di Como, da Milano prendevo un treno con sole carrozze letto e il controllore mi buttava giù alla prima stazione che era appunto Cernobbio, dove avrei dovuto scendere, ma non c’erano altri treni che fermassero e altre possibilità per me di arrivarci. Conobbi il figlio Jacopo che mi propose di fare il giro d’Europa in treno, non potevo permettermelo sia per il tempo sia per i soldi, so che lo fece con Gad Lerner, che aveva iniziato a collaborare con loro al capannone di via Colletta e frequentava il Gruppo Gramsci. Così racconterà Gad Lerner la sua militanza ad Aldo Cazzullo: I primi militanti di Lotta Continua che incontrai, quando avevo sedici anni, furono due torinesi trapiantati a Milano, Paolo Hutter e Nino Vento. Ci univa la sensibilità comune ai temi delle fabbriche 25 e anche la visione della scuola [...]. Facevo una vita rigida, con persone più grandi di me, sperimentavo la severità di un gruppo che si era forgiato anni prima. Mi intimoriva in particolare Guido Viale, mio superiore perché responsabile della scuola. Nel 1974 fuggii da Roma verso Milano e la mia fidanzata reprimendo grandi sensi di colpa. In un bollettino interno venni indicato alla pubblica riprovazione come indisciplinato e disertore [...]. Ripresi a fare intervento davanti alle fabbriche, con un compito ingrato: dopo l’addio di Baglioni e dei centocinquanta di Sesto andai alla Magneti Marelli a ricostruire il gruppo di Lotta Continua. Gridavamo nel deserto. Era plumbeo il clima di quelle fabbriche già tecnologicamente superate: la Breda siderurgica, la Breda termomeccanica, l’area di Sesto e Crescenzago, gli stabilimenti della Falk. Erano state le fabbriche del PCI, della grande CGIL, il cui funzionario di zona si chiamava Antonio Pizzinato, ce l’aveva a morte con gli estremisti ed era adorato dagli operai; ma la crisi precoce aveva aperto uno spazio a una scelta estremista e disperata, come quella di Prima Linea. Sia noi sia la CGIL eravamo perdenti [...]. Con il ‘maggio francese’ era esploso il Sessantotto, partito in sordina con piccole occupazioni o contestando ruoli e poteri si è diffuso a macchia d’olio in tutta Europa anzi in tutto il mondo, unendosi alle battaglie contro la guerra e contro l’espansionismo americano, contro lo sfruttamento, investendo tutta la Francia e gran parte delle università italiane. Grandi manifestazioni, spettacoli con il Living Theatre e il Brad and Puppet, concerti di Bob Dylan e Johan Baez , contro la guerra in Vietnam, stavano attraversando l’Europa, sempre più frequenti gli scontri tra estremisti neri e rossi, io ovviamente, rientravo nella seconda categoria. In Italia Leoncarlo Settimelli così cantava in ‘Grecia 67’ il colpo di stato dei colonnelli : … E’ quasi l’alba, la notte va / ed uno sbirro sveglia mi dà Mi hanno messo le manette / e non erano ancora le sette .. E Gualtiero Bertelli in ‘primo agosto’ cantava gli scioperi degli operai della Montedison: …e mentre vi aspettiamo, servi di chi ci sfrutta, vi siete finalmente ritirati, in preda anche voi, per una volta, alla paura d’essere picchiati. Se questa è violenza , o padrone, abbiamo scordato la tua legalità; solo la tua violenza è legalizzata; a questa noi opponiamo l’unità. Ma la canzone più emblematica e più cantata nei cortei è senz’altro ‘La violenza’ di Alfredo Bandelli, che attraverso la voce di Pino Masi diventerà l’inno di Lotta Continua: 26 … Ma oggi ho visto nel corteo tante facce sorridenti, le compagne quindicenni, gli operai con gli studenti: il potere agli operai! No al sistema del padrone! Sempre uniti vinceremo, viva la rivoluzione! La violenza la violenza La violenza la rivolta Chi ha esitato questa volta, lotterà con noi domani … Resteranno famosi gli scontri di Valle Giulia a Roma dove il preside di Architettura chiamò la polizia per fare sgomberare la facoltà, tra i manifestanti che si distinsero maggiormente troviamo Giuliano Ferrara, Aldo Brandirali e Paolo Liguori ora in modi diversi al servizio di Silvio Berlusconi, in realtà c’era anche Paolo Pietrangeli che dopo aver infiammato le platee di mezza Italia con Contessa ora fa il regista per Maurizio Costanzo. Paolo Liguori in realtà sostiene: [...] A Valle Giulia c’eravamo anche noi, ma non partecipammo agli scontri con i poliziotti, del tutto impreparati all’idea che gli studenti non scappassero ma reagissero [...]. Scrive Guido Crainz in Il Paese Mancato: [...] Le occupazioni si estendono alle facoltà e alle città che fino allora erano state meno coinvolte [...] le agitazioni si intensificano dopo che il ministro Sullo ha presentato una proposta di riforma [...] largamente inadeguata [...] toccava solo in parte lo strapotere dei baroni e la vecchia struttura delle facoltà e non diceva nulla sul diritto allo studio [...]. A rendere incandescente il clima sono anche le aggressioni compiute da gruppi neofascisti con assalti a scuole occupate, come a Palermo, o ad atenei come a Milano e a Napoli [...] con la bomba collocata a Genova dove avrebbe dovuto parlare Melina Mercuri o con l’aggressione a studenti pavesi, infine con le bombe a sedi del PCI o a librerie di sinistra a Roma a Padova e a Milano [...]. La situazione è davvero pesantissima e l’Ufficio politico del PCI incarica Giorgio Napolitano di porre al vicepresidente del consiglio il problema della repressione poliziesca nell’Università [...]. Il Sessantotto si estese anche nei paesi del Patto di Varsavia con manifestazioni e occupazioni che normalmente l’Unione Sovietica bloccava sul nascere, famosa la ‘Primavera di Praga’ dove per protestare contro l’occupazione sovietica della Cecoslovacchia lo studente Jan Palach , si recò in piazza San Venceslao e si diede fuoco, imitando i bonzi vietnamiti, era il 19 gennaio 1969. Gesto che Pino Pinelli, il ferroviere uscito dalla finestra del quarto piano della questura di Milano, il 15 dicembre dello stesso anno, così commenta: «Non lo capisco. Chi si uccide fugge. Chi rimane continua a lottare per la sua idea». Andavo spesso a trovare Marco Fasolato, un ex partigiano, nel suo laboratorio per la realizzazione di vetri speciali e artistici, lui oltre a 27 raccontarci che agenti della CIA a Roma gli avevano rubato il brevetto di un vetro speciale che è stato, a suo dire, in seguito usato dalla NASA; Ci raccontava le azioni della e nella Resistenza e garantiva che all’occorrenza sapeva dove andare a prendere le armi che avevano seppellito. Raccontava del fascismo, dell’omicidio Matteotti, delle leggi speciali che consentivano che suoi amici fossero caricati nei treni merci e portati nei campi di concentramento in Germania, di come a volte si riusciva a salvarne qualcuno. Ci raccontava di come avevano fatto le cassapanche col doppio fondo o le false pareti dove si occultavano ripostigli per tenere nascosti ebrei e partigiani. Aveva una casetta-laboratorio a Campalto, subito fuori Mestre, volendo ci arrivavi a piedi, era diventato un punto di riferimento per menti inquiete ed insoddisfatte e lui a seconda dell’estro centellinava o regalava i suoi racconti. Francesco Guccini cantava: Son morto con altri cento, son morto ch’ero bambino Passato per il camino e adesso sono nel vento e adesso sono nel vento Ad Auschwitz c’era la neve, il fumo saliva lento Nel freddo giorno d’inverno e adesso sono nel vento ... In Italia il 1968 era diventato un 1969 con grandi scioperi e grandi manifestazioni operaie. I fascisti erano usciti allo scoperto, protetti, se non alimentati, da diversi apparati dello stato, sempre più spesso assistevamo ad assalti squadristici, era sufficiente che ti trovassi nella zona sbagliata con addosso un eskimo o un giornale considerato di sinistra per trovarti accerchiato e uscirne massacrato. Si distrugge l’enorme e fertile piana di Gioia Tauro, nell’omonimo stupendo golfo con ulivi millenari, per far posto al più grande centro siderurgico d’Europa, che a oggi non è ancora riuscito a entrare in funzione. A Torino corso Traiano diventerà un campo di battaglia durante una manifestazione sindacale per la casa, dove si inseriscono operai FIAT in lotta, cittadini esasperati, elementi di Potere Operaio ed estremisti di destra e la polizia non ancora preparata a questo livello di scontri, manganella e spara candelotti su tutti. Così ce lo descrive Nanni Balestrini: [...] Diecimila persone si riuniscono tra corso Agnelli e corso Unione Sovietica [...] riusciamo a ricomporre il corteo che c’avevano disperso all’inizio e svolta per corso Traiano [...] poi improvvisamente dai poliziotti schierati davanti a noi partono le scariche di lacrimogeni. Ma un numero pazzesco incredibile che andavano a finire dappertutto [...] intanto la gente di corso Traiano si era rotta le scatole per tutti questi lacrimogeni [...] stavano cominciando a tornare a casa gli edili e gli altri operai che 28 abitavano nella zona [...] si unirono subito ai compagni e cominciarono a buttare materiale edile in mezzo alla strada e costruire barricate [...] sulle barricate c’erano delle bandiere rosse e su una c’era un cartello con su scritto Che cosa vogliamo? Tutto. Continuava ad arrivare gente da tutte le parti [...] ma adesso la cosa che li faceva muovere più che la rabbia era la gioia [...] la gioia di essere finalmente forti. Di scoprire che ste esigenze che avevano sta lotta che facevano erano esigenze di tutti era la lotta di tutti [...]. Almirante diventa segretario del Movimento Sociale Italiano e Rauti con una parte di Ordine Nuovo rientra nel partito e l’altra parte fonda a Mestre, nella mia città adottiva, Ordine Nuovo Rivoluzionario, dove troviamo Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Martino Siciliano, che nei prossimi anni diventeranno tristemente famosi. Emerge con forza il problema delle morti sul lavoro, che così vengono cantati da Gualtiero Bertelli: … Il padrone e il gazzettino li chiamano incidenti, incidenti sul lavoro: è per fatalità! Ma bisogna aprire gli occhi tutti quanti Per dire insieme la verità Si muore soltanto per lo sfruttamento Che diventa ogni giorno sempre più pesante: se con impianti vecchi hai ritmi più duri non sono incidenti, sono delitti ::: E’ fatalità, è l’ironico titolo della canzone di Paolo Ciarchi e Dario Fo: Io son metalmeccanico e secondo le statistiche -E’ fatalità, è fatalità campo cinque sei anni in meno della media normalità. -E’ fatalità, è fatalità Devo prendere o lasciare, muoio prima per campare … Fa sorridere pensare che il principale impegno dell’attuale Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sia contro gli incidenti sul lavoro. 29 La strage e il commissario Calabresi Si va verso l’unità sindacale, iniziando dai metalmeccanici e dai chimici, esplodono le prime bombe, i primi attentati alla Fiera di Milano, sui treni, per fermare, bloccare le lotte operaie, che si stavano unendo con le proteste degli studenti o semplicemente per sputtanare, diffamare questo tentativo di unire, di creare un unico fronte, fra operai e studenti, fino alla bomba del 12 dicembre 1969 alla Banca dell’Agricoltura di Milano, con attentati anche a Roma e in giro per il bel paese. Sarà una orrenda strage che passerà alla storia come ‘Strage di Stato’, ha colpito a morte diciassette agricoltori, ferendone altri ottantaquattro, persone inermi che stavano effettuando le loro contrattazioni nell’atrio della Banca Nazionale dell’Agricoltura, nel centro di Milano. Prima, di una lunga serie, la strage di chiara marca fascista, che hanno cercato in tutti i modi di attribuire agli anarchici e alla sinistra, bloccò di colpo le lotte operaie e il processo di unificazione sindacale. Fu firmato immediatamente il contratto dei metalmeccanici, fermo da tempo. Mi impegnai molto nella controinformazione e nel diffondere le vignette di Roberto Zamarin, l’autore di Gasparazzo, sulla defenestrazione del ferroviere anarchico Pino Pinelli, dal quarto piano della questura di Milano, avvenuta il 15 dicembre 1969. In una vignetta si vede un signore col paracadute che bussa alla porta del dottor Calabresi e chiede «È permesso…?». In un’altra vignetta lo stesso dottor Calabresi davanti alla finestra aperta che chiede a Pinelli: «O mangi questa minestra o...». L’altra vignetta è quella del famoso riconoscimento di Valpreda da parte del tassista Rolandi, veramente incredibile: erano stati messi quattro poliziotti in giacca e cravatta d’ordinanza e l’anarchico trasandato capelli lunghi ci mancava solo il cartello appeso al collo con su scritto, appunto, ‘Sono io’. Mi chiedevo e chiedevo come è possibile entrare in Questura col motorino e uscirne dal quarto piano, per finirne schiacciati sul marciapiede. Licia Pinelli pensa che: [...] Pino è stato il granellino di sabbia che ha inceppato il meccanismo. Dopo la bomba di piazza Fontana avevano cominciato la caccia agli anarchici, che erano la parte più debole [...] la morte di Pino è stata un infortunio sul lavoro, per loro sarebbe stato più comodo metterlo in galera .con 30 gravi imputazioni e tenerlo dentro per anni [...] quello che ho pensato io è che loro l’hanno picchiato, si è sentito male, creduto morto, buttato giù dalla finestra. Si sono trovati con uno così, svenuto, e forse per questo l’ambulanza è stata chiamata prima, checchè ne abbiano detto. Hanno cercato di liberarsene buttandolo giù. Così l’ho immaginata allora. Nessuna sentenza mi ha dato ragione. Ma nessuna sentenza è riuscita a convincermi del contrario [...]. E dal libro di Sofri su Pinelli riprendo le parole del giudice D’Ambrosio: [...] all’attento e critico esame degli atti processuali, emerge che, subito dopo la precipitazione, ci furono da parte dei presenti reazioni di sgomento dovute non tanto a sentimenti di pietà verso il Pinelli quanto a considerazioni più o meno conscie delle conseguenze negative personali che da quell’episodio potevano loro derivare. Ne sono prova evidente la circostanza che il dottor Allegra e lo stesso dottor Calabresi non si preoccuparono di precipitarsi nel cortile e di accertare le condizioni di salute del Pinelli [...] ma di avvertire il questore. Credo che una grossa preoccupazione fosse quella di fornire una versione il più possibile simile tra tutti i presenti nell’ufficio del dottor Calabresi al momento del tragico evento, e malgrado questo non ci riuscirono, viste le versioni contrastanti fornite in diverse occasioni. La stranezza che le indagini siano state subito rivolte a sinistra soprattutto contro gli anarchici, con l’arresto di Pietro Valpreda e compagni, risulta più evidente se si va a vedere, che dal 3 gennaio 1969 ci sono stati nel nostro paese, centoquarantacinque attentati, uno ogni tre giorni, novantasei sono di riconosciuta marca fascista o perché gli autori sono stati identificati o per l’obiettivo (soprattutto sedi del PCI e dello PSIUP), gli altri sono incerti, anche se per gran parte la mano sembra sempre la stessa, quella fascista appunto, esclusi gli attentati alla Fiera di Milano probabilmente di origine anarchica. Ma le indicazioni erano sempre di cercare a sinistra, quando molti attentati venivano organizzati con la collusione degli stessi apparati che avrebbero dovuto prevenire, l’ordine era di tenere alta la tensione; lo scrive lo stesso Paolo Emilio Taviani nelle sue memorie edite dal Mulino: [...] La responsabilità della strage è interamente dell’estrema destra e in particolare di Ordine Nuovo, uomini tecnicamente seri e collegati con settori dei servizi segreti [...] E dopo la strage un ufficiale del SID da Padova raggiunse Milano per sostenere il depistaggio sulla sinistra [...]. Parola del ministro dell’Interno democristiano. Scrive invece il magistrato Luigi Fiasconaro: [...] di mano in mano che l’istruttoria procedeva, all’incredulità si sostituì la sorpresa. La sorpresa si trasformò in indignazione quando andammo a Padova per interrogare la commessa che aveva venduto le borse usate per collocare le bombe del 12 31 dicembre. Da quell’interrogatorio infatti, ci rendemmo conto [lui e il giudice Emilio Alessandrini ndr.] che non tutte le prove di ciò che era accaduto erano state trasmesse dalla polizia ai magistrati [...] raccogliemmo la prova che, subito dopo la strage, i vertici dello stato avevano indirizzato le indagini soltanto verso gli anarchici [...]. Contemporaneamente si diffondevano sempre più spesso e con maggiore consistenza anche voci di tentativi di colpo di stato come in Grecia, c’era probabilmente in noi, anche molta paranoia, visto che più volte sono venuti i compagni a dormire a casa, mia madre non ha mai chiesto nulla, offriva ospitalità garantiva un letto comodo e un pasto caldo, si è sempre resa disponibile, mi veniva chiesto se potevo ospitare e io rispondevo di sì, e se non potevo dai ‘miei’ avevo altri amici che potevano farlo e lo facevano. Il giudice Salvini in seguito scriverà: [...] ricordiamoci che non fu affatto un golpe da operetta [...] così come abbiamo appreso da testimoni di giustizia che strutture della massoneria facevano parte del piano di quella notte tra il 7 e 8 dicembre del 1970 del principe Junio Valerio Borghese [...]. Nel libro Il giorno della bomba il comandante partigiano, medaglia d’oro, Giovanni Pesce così ricorda i giorni della strage: [...] quel 12 dicembre, ricordo mi trovavo in via Vittor Pisani. All’improvviso, un tuono lontano, breve però: non uno sparo un colpo secco. Una esplosione arrivata fin dove mi trovavo attraverso chilometri di strade, di case, di cielo [...] qualcuno accennò a una caldaia [...] Sul tram della linea 1 che mi portava verso il centro, però, il discorso della caldaia andò via via spegnendosi man mano che alle fermate saliva gente nuova [...] poi vidi un commissario di polizia che conoscevo che mi disse ‘purtroppo è un attentato’ [...] nella mia non breve vita sono stato in guerra più di una volta e ho partecipato a parecchie tremende battaglie, ma mai avevo osservato uno spettacolo tanto terribile: corpi insanguinati, brandelli di carne disarticolati, mobili sventrati, tavoli rovesciati. E attorno, tra i morti, documenti e carte, borse e altri oggetti [...] i funerali delle vittime si svolsero il 15 dicembre. Tutte quelle bare, con attorno tutta quella gente! [...] Gente venuta lì a confermare la volontà di tutto il popolo che voleva e vuole continuare a credere, a sperare nella democrazia e nella Repubblica. Quello che accadde dopo è [...] una storia che si dipana attraverso mille contraddizioni, mille ipotesi tra persecuzioni di anarchici, suicidi oscuri, indagini bloccate, rivelazioni clamorose, smentite, morti sospette e ancora indagini, processi interminabili e poi l’assoluzione di tutti gli imputati [...]. In quegli anni, probabilmente, era stata decisa una strategia diversa per l’Italia, no al colpo di stato come in Grecia, troppo rischioso vista la forte consistenza del Partito Comunista e della sinistra, anche se 32 tentativi di golpe ce ne sono stati, forse un po’ raffazzonati come quelli di Egardo Sogno e della ‘Rosa dei venti’, sicuramente nelle stanze del potere si è detto meglio avviare la strategia della tensione, in questo modo si spiegherebbe il perenne coinvolgimento di apparati dello stato e dei servizi segreti, ad attentati, stragi e depistamenti e quando è il caso nel sostegno diretto ai latitanti. Strategia che ha modificato la vita di molti e cambiato il naturale evolversi della storia nel nostro bel paese. Se noi andiamo a rileggere la sentenza del 21 marzo 1972 del giudice di Treviso Stiz, vi si trovano tutti i collegamenti tra Rauti, Freda e Ventura, il deposito di armi, il possesso del timer, il loro coinvolgimento con prove documentate negli attentati precedenti alla strage, come si trova la testimone di cui era scomparsa la testimonianza sulle borse che contenevano gli esplosivi e che lei sostiene e sosteneva di aver venduto a Franco Freda. Senza i politici collusi, la stampa connivente, i servizi segreti poi deviati, i depistaggi, il trasferimento dei processi da una sede a un’altra, suicidi improbabili e morti certe, sparizioni improvvise di testimoni prima e di incartamenti poi, ora potremo più facilmente scrivere d’amore, sesso e libertà e probabilmente non dovremo neanche fare i conti con uno come il nostro presidente del consiglio, Silvio Berlusconi. Invece il Canzoniere veneto cantava sull’aria di ‘Povero Matteotti’: … Te l’han fatta brutta e la tua vita te l’han tutta distrutta! Anonimo e innocente, amavi l’anarchia: per questo t’hanno preso E t’han portato via. In una cella oscura ti hanno interrogato E poi dal quarto piano ti hanno suicidato E mentre succedeva tutto questo e Umberto Bindi cercava di cantare ‘Per un piccolo eroe’: T’hanno dato una medaglia / perché hai vinto una battaglia, t’hanno detto che sei grande / quando hai perso braccia e gambe e per questa tua vittoria / t’hanno scritto nella storia. …. Ho detto cercava di cantare, perché avendo dichiarato di essere omosessuale faceva molta fatica a trovare lavoro e tantomeno spazi nell’unica televisione esistente, controllata attraverso la DC dal vaticano. Nella società montava la protesta, anche contro il servizio militare, e vediamo giovani come Filippo Nappi che parte da Marghera con il figlioletto Davide di diciotto mesi, per recarsi a Caserta, non in gita ma per presentarsi in caserma, al servizio di leva, solo che le caserme non sono attrezzate per ospitare i bambini e neanche i militari di carriera sono preparati a queste evenienze e il colonnello riesce solo a fornirgli una licenza di cinque giorni, per riportare a casa il figlio e viene all’ordine del giorno il problema del servizio militare e della leva obbligatoria, che sarà su tutti i giornali il 13 febbraio del 1972. Perché la mattina del giorno prima, per incapacità dei comandanti, muoiono a Malga Villalta, nell’alta Val Venosta sette alpini travolti da una slavina e si pone il problema del ruolo dell’esercito in una società 33 attraversata da dure lotte sociali. Responsabile di sede era diventato Alberto Bonfietti, bella persona che arrivava da Mantova, grande compagno, ora annoverato tra gli ottantuno morti dell’aereo, anzi della ‘Strage di Ustica’, e con lui era aumentato l’impegno nelle fabbriche e nei quartieri, scaturito con un blocco di tre giorni di Porto Marghera e della stazione di Mestre. Colonne di fumo nero si alzavano dalle barricate e dai copertoni incendiati sui binari della stazione, arrivarono Trentin e Carniti da Roma, si mobilitarono tutti i dirigenti sindacali per raccomandare calma e buon senso. Così ricorda quei giorni Michele Boato: [...] esplodono le fabbriche la Chàtillon è occupata. Si ribellano i 15.000 operai delle imprese che costruiscono i nuovi impianti del petrolchimico [...] la trattativa fallisce, si alzano barricate con i camion e i tubi delle fognature, l’accesso alla Montedison è bloccato, la polizia non interviene subito perché impegnata a Cavarzere dallo sciopero dei pendolari, gestito sempre da LC [Lotta Continua, ndr.], quando accorrono le camionette della celere non riescono a fendere un ingorgo di chilometri. Per tre giorni è battaglia: cariche, pestaggi, la polizia spara e ferisce un operaio, gli operai rovesciano e incendiano una jeep [...]. Anche Lotta Continua aveva iniziato a predisporre un suo servizio d’ordine, ricordo Cesare che faceva lezioni di aikido, a cui non ho mai partecipato, ma era esilarante assistervi, ricorderò sempre Beppe, operaio alla SIRMA, che non riusciva mai a fare una mossa giusta. Come non dimenticherò mai la faccia di un celerino che mi rincorre con il manganello teso, pronto a colpirmi, quando gli cade il cappello e dopo un attimo di indecisione si ferma a raccoglierlo e io riesco a dileguarmi. Non esistevano i telefonini e qualche compagno saliva sui tetti per indicare le vie di fuga libere e dai balconi la gente ci proteggeva, lanciando qualsiasi cosa contro i questurini del secondo reparto celere, oppure stracci bagnati e limoni per difenderci dai gas lacrimogeni. Ci sono in quel periodo, tante lotte, tante battaglie su più fronti, nelle università con il Movimento studentesco, il primo a predisporre un forte servizio d’ordine interno, i famosi Katanga, le scuole sono un laboratorio per tutti i gruppi giovanili, nelle fabbriche dove c’era soprattutto Lotta Continua, Potere Operaio e Avanguardia Operaia a seconda delle zone, oltre alla presenza del sindacato e della sinistra storica, l’esercito con i PID (‘Proletari in divisa’). Gli innumerevoli arresti di gente politicizzata, portano le lotte anche dentro alle carceri, insegnando ai detenuti politici i trucchi della malavita ed offrendo a molti malavitosi un respiro politico e culturale alla loro ribellione. A Reggio Calabria, nella rivolta di una intera città, vincono i fascisti con ‘Boia chi molla’. Le lotte iniziano a entrare nelle città a fare i conti con le condizioni abitative, con il costo dei prodotti e l’aumento del costo della vita ma ci 34 sono anche piccole conquiste sia come condizioni salariali e di lavoro sia come condizioni di vita, migliorano i trasporti pubblici, viene approvata la legge sul divorzio, si organizzano gruppi di donne che vanno a Londra ad abortire e alcune cliniche iniziano a praticare l’aborto anche in Italia, nasce l’AIED e si distribuisce la pillola anticoncezionale, si creano comitati che occupano case e asili, si riducono le ore di lavoro e si dà vita alle ‘centocinquanta ore’ per consentire agli operai di migliorare la loro istruzione e prendersi la licenza media; all’epoca requisito minimo per partecipare a concorsi o ad avanzamenti di carriera. C’è un grande interesse su quel che avviene nel resto del mondo, le lotte in Germania dei nostri connazionali che vogliono uscire dalle baracche, in Portogallo, per l’indipendenza del Mozambico e dell’Angola, contro il franchismo in Spagna e contro la garrotta che Franco, l’unico dittatore sopravvissuto alla seconda guerra mondiale, riservava agli oppositori. Manifestazioni di solidarietà col popolo greco contro la dittatura dei colonnelli si alternano a quelle con le lotte del popolo palestinese e contro la guerra in Vietnam. Nascevano nuovi giornali e riviste, noi avevamo fatto «Lotta Continua» quotidiano, dopo essere stato quindicinale e settimanale e aver fatto un giornale per il processo Valpreda e un tentativo di giornale al sud, Potere Operaio aveva il suo giornale e Avanguardia Operaia cercava di fare il «Quotidiano dei lavoratori». Si volantinava ovunque, oltre ad andare a fare i picchetti in caso di scioperi e manifestazioni, spesso trovavi ai margini dei cortei o delle situazioni di lotta chi cercava di venderti «Lotta comunista» o «Servire il popolo», uno con la testata nera e l’altro rossa. E Pino Masi cantava: tutto il mondo sta esplodendo, nel Vietnam si fa la storia, l’America Latina sta combattendo e Cuba le ha mostrato la via della vittoria; In tutto il mondo i popoli acquistano coscienza E nelle piazze scendono con la giusta violenza, quindi .. Cosa vuoi di più, compagno, per capire che è suonata l’ora del fucile …. Mentre Ernesto Bassignano in ‘ compagno dove vai ‘ ci ricorda: Un giorno in più del nostro padrone Continueremo questa occupazione. E’ una lotta dura, ma non è un’avventura Per questo non abbiamo più paura… Avanti tutti insieme, avanti alla riscossa, l’Italia Verde la vogliamo rossa E pensare che adesso lo stesso Bassignano vorrebbe un’Italia un po’ più attenta al territorio con una più convinta attenzione al rispetto per la terra-madre. 35 Avevo lasciato il lavoro per poter sostenere l’esame di Stato da geometra come privatista e superatolo aprii lo ‘Studio centro’ come dire se vuoi fare centro devi venire da me... dire presuntuoso forse è poco... ma iniziai a lavorare in proprio, oltre a continuare a manifestare per un mondo più giusto. Volevo fare architettura più consono al mio essere geometra ma Piero e Franco optarono per sociologia a Trento e io mi unii a loro arrivando in una università da dove erano appena usciti Curcio, Mauro Rostagno e Marco Boato. E mentre Rostagno e Boato si impegneranno in Lotta Continua, Renato Curcio si trasferirà a Milano con Mara Cagol per dare vita al Collettivo Politico Metropolitano, da cui nasceranno le Brigate Rosse. Così ricordava quegli anni Mauro Rostagno: [...] partii per Milano [...] lasciai la casa aperta [...] fu tutto ridistribuito fra la comunità trentina rimasta. In quei giorni nasceva Lotta Continua: un’attività travolgente. Cominciai a reclutare gente che andasse davanti alle fabbriche. Ogni giorno mi alzavo alle quattro del mattino per andare davanti alla Pirelli. Poi tornavo a casa, dormivo un paio d’ore, ritornavo in fabbrica verso le undici ci stavo fino alle tre del pomeriggio. Un panino e tornavo alle porte alle cinque per l’uscita del ‘giornaliero’. Dopo la riunione, fra le sette e le otto, andavo a mangiare. Dalle dieci alle undici di sera di nuovo davanti alla fabbrica per l’entrata e l’uscita dei turni [...] tutte le ore non passate davanti alla fabbrica le passavo alle sedi universitarie dove si raccoglievano migliaia i persone per le assemblee studenti-operai [...]. Racconta Pietrostefani: [...] che dopo le occupazioni delle case di via Mac Mahon, le occupazioni di viale Tibaldi, organizzate da Nini Briglia, furono la svolta per Lotta Continua a Milano. Nel ‘72 la sinistra extraparlamentare milanese gravitava attorno alla nostra sede di via San Prospero, quasi ogni settimana [...] venivo convocato dal questore Allitto Bonanno, che mi trattava con grande cortesia, forse perché mio padre era Prefetto in carica [...] il commissario Allegra preparava il caffè e Allitto chiedeva [...] fino a quando arrivammo alla contrapposizione totale [...]. Il 14 marzo 1972 sotto un traliccio dell’alta tensione a Segrate si conclude tragicamente il sogno rivoluzionario di Giangiacomo Feltrinelli, che avevo incontrato pochi mesi prima nei pressi della sua libreria a Mestre, dove mi aveva espresso la sua convinzione che anche in Italia avremmo avuto un colpo di stato e dovevamo da subito predisporci alla latitanza e alla resistenza armata. Pochi all’inizio credono ad un suo errore durante il tentativo di effettuare un attentato, i più pensano ad una manovra dei servizi segreti per far fuori un oppositore particolarmente pericoloso in quanto colto e ricco. 36 Scrive Corrado Stajano nel libro Il sovversivo: [...] La sera del 5 maggio 1972 né la presenza antica di bellezza e di arte, né i segni della storia e della cultura servirono a salvare dalla furia della polizia, tra la bottega del vinaio e quella del tappezziere, un giovane non alto, ricciuto, gli occhiali da miope, il viso serio e sofferto, vestito con una giacca marrone, un paio di pantaloni di lana nera, una camicia con le maniche lunghe dai disegni di fantasia color giallo arancione. Franco Serantini di ventanni, sardo, anarchico, figlio di nessuno nella vita come nella morte [...]. Questo era il clima, quando ricevo una telefonata concitata a casa, per avvertirmi che è stato ucciso a Milano il commissario Luigi Calabresi, lo stato d’animo è contraddittorio, da una parte la sensazione che giustizia è fatta, con l’anarchico Pinelli, uscito dalla stanza del commissario al quarto piano della questura di Milano, dall’altra come qualcosa che non torna, noi volevamo chiarezza e giustizia su Pinelli non la morte di Calabresi, che significa che non ci sarà più chiarezza su quei fatti. Decido che non c’è nulla da festeggiare ma una nuova giustizia da ricercare. Si moltiplica l’impegno nell’evidenziare le contraddizioni della questura di Milano e delle inchieste in corso. La questura dopo il defenestramento di Pinelli, ha parlato a più voci sostenendo tesi diverse e contraddittorie. Addebitando la strage agli anarchici e dicendo che Pinelli aveva confessato che c’erano le prove della sua colpevolezza e che il suo alibi non aveva retto, mentre fu dimostrato che l’alibi era vero, ad esempio Pansa, il giornalista dell’Espresso, nel suo brutto libro L’utopia armata scrive: [...] Una morte oscura, ancora oggi mai chiarita. Seguita da un’incauta conferenza stampa del questore Marcello Guida, dove Pinelli venne definito suicida e complice nella strage. A fianco del questore con altri funzionari Calabresi pronunciò appena una frase ‘lo credevamo incapace di violenza, invece.. è risultato legato a persone sospette’. Avessero veramente voluto cercare i colpevoli non avrebbe dovuto essere difficile, visto che un mio amico, fidanzato con la sorella di Martino Siciliano, mi riferì senza problemi che i colpevoli andavano ricercati tra i neofascisti e in particolare tra gli amici di Delfo Zorzi, che comprendevano Freda, Ventura e lo stesso Martino Siciliano. La sintesi ‘Calabresi assassino’, può sembrare con le orecchie di oggi eccessiva, ma essendo che dalla stanza del commissario, lo stesso che lo aveva invitato in questura e lo continuava a trattenere illegalmente, esce un cittadino anche se anarchico, dalla finestra e le versioni sul fatto sono molteplici e contraddittorie, ‘la sintesi’ era l’unica possibile per cercare la verità, mobilitando la pubblica opinione. Sono convinto che il cattolico Calabresi, lo avessero lasciato arrivare al processo, lo avessero lasciato vivere, e crescere i suoi figli, si sarebbe pentito e avrebbe raccontato la verità su quei tragici giorni, essendo lui 37 alla fine un servitore dello Stato che cercava di applicare ordini ricevuti e in realtà era solo una piccola pedina. Come scrive Giorgio Bocca su «Epoca»: [...] forse sarebbe opportuno ricordare che Calabresi per quanto funzionario capace e intelligente, era pur sempre un quadro intermedio della polizia che sopra di lui c’erano capi della politica come Allegra, questori, prefetti, procuratori e più su capi dei servizi segreti come Henke e ministri come Rumor e Andreotti e che parte di queste alte autorità parteciparono al depistamento e all’insabbiamento delle indagini sulla strage di stato di cui Pino Pinelli fu vittima [...]. E Guido Crainz in Il Paese mancato: [...] Anche una segnalazione che giunge al vertice del PCI nel giugno 1972 dall’interno delle forze armate [...] ipotizza che Calabresi abbia confusamente intuito dei legami fra gli apparati dello stato, la pista nera e la CIA; vistosi isolato e in un certo senso scoperto [...] avrebbe minacciato di rivelarli. mentre nei cortei si cantava: quella sera a Milano era caldo / ma che caldo, che caldo faceva, brigadiere, apri un po’ la finestra, / una spinta e Pinelli va giù La risposta arriva, se la si vuole leggere, con la strage di Peteano, piccolo paese nei pressi di Gorizia, il 31 maggio 1972, cioè tredici giorni dopo l’assassinio del commissario Calabresi, vengono uccisi tre carabinieri ma potevano essere di più. Le indagini condotte da Dino Mingarelli braccio destro del generale golpista Giovanni De Lorenzo, vanno subito verso la sinistra e Lotta Continua in particolare, partendo dal presupposto, sbagliato ma comodo per loro, che avendo Lotta Continua organizzato la campagna stampa contro Calabresi ne ha anche organizzato l’assassinio e pertanto anche i carabinieri di Peteano, sono stati uccisi da elementi della stessa organizzazione. Non fa una piega e tutti gridano “Lotta Continua assassina”. Marco Boato esperto di controinformazione e responsabile giustizia per Lotta Continua, così ricorda quei fatti: [...] A Peteano [...] saltarono in aria tre carabinieri. Mi procurai il rapporto del colonnello Mingarelli, che come prima ipotesi di indagine attribuiva la strage a Lotta Continua di Trento. Costruii una rete di avvocati in tutta Italia che venivano a Trento a difendere i nostri militanti gratis o quasi [...] il primo fu Sandro Canestrini, ex partigiano, ex comunista che aveva fatto assolvere Paolo Sorbi [...]. Personalmente sono convinto che i responsabili, per entrambi i delitti, vadano ricercati nell’organizzazione clandestina Gladio, ammessa dal 38 presidente Giulio Andreotti solo nell’ottobre del 1990 e nei nostri servizi segreti che all’occorrenza vengono definiti deviati, con l’uso o l’apporto di qualche gruppo o singolo elemento, a seconda dei casi, di estrema destra, visto, come si dimostrerà, che la strage di Peteano è stata organizzata da loro, anche i fatti precedenti sono molto più probabilmente, frutto della stessa strategia. Come si sa il diavolo fa le pentole e non i coperchi... Vincenzo Vinciguerra neo-fascista membro di Ordine Nuovo, anni dopo, confesserà che la strage di Peteano è opera sua e del suo gruppo, rifiuta di fare i nomi dei complici e si prende l’ergastolo. Nel frattempo il tribunale di Trento assolve i compagni di Lotta Continua, per la strage di Peteano, accusa e condanna il colonnello Mingarelli per falso materiale e ideologico e per soppressione di prove, condanna confermata in Cassazione nel 1992. Come il colonnello Dino Mingarelli era il braccio destro del generale Giovanni De Lorenzo (autore del tentativo di colpo di stato del luglio 1964), così il generale Giovanbattista Palumbo, comandante della divisione Pastrengo di Milano aveva appoggiato Mingarelli nel depistaggio della strage di Peteano per attribuire l’attentato ai gruppi di sinistra e guarda caso lo ritroviamo nelle accuse ad Adriano Sofri e negli interrogatori del pentito Marino per accusare Lotta Continua della morte di Calabresi. La strage di Peteano va nel dimenticatoio e anche le indagini sull’assassinio di Calabresi prendono la strada dell’estremismo di destra e del traffico internazionale di armi, per fermarsi in qualche cassetto. Si respira un clima pesante, tra arresti, scioperi, manifestazioni, notizie contraddittorie, nel costante tentativo di instaurare un regime che consenta al padrone di guadagnare, che sembra l’unico imperativo di quella società. Clima ben rappresentato ne ‘ il treno che viene dal Sud ’ di Sergio Endrigo: Il treno che viene dal sud / non porta soltanto Marie Con le labbra di corallo / e gli occhi grandi così … Dal treno che viene dal Sud / discendono uomini cupi Che hanno in tasca la speranza / ma in cuore sentono che Questa nuova, questa grande società, / questa nuova bella società Non si farà 39 Nel frattempo mio fratello era riuscito a diplomarsi e dopo un periodo di lavoro a Marghera, decise di andare a lavorare in Sardegna, alla cartiera del Timavo ad Arbatax, sono sempre stato convinto fosse un modo elegante per andare via di casa. Andai a trovarlo facendo tappa a Roma, in via delle Vacche 8, dietro a piazza Navona, una delle più belle piazze d’Italia, ospite di Alessandro Ojetti e Renato Ferraro, che avevo conosciuto a Venezia in occasione della presentazione del loro film Marzo 43 luglio 48. Li aiutai a stendere la moquette in un appartamentino vicino al loro, scoprendo di essere l’unico a capirci qualcosa, feci anche un massaggio alla caviglia della padrona di casa, venuta a vedere se i lavori procedevano e apprezzai le belle mutandine rosse. Conobbi e frequentai anche degli strani e simpatici hippy, che vivevano in una specie di comune in un grande appartamento in piazza Navona, ed erano spesso accompagnati da dei giovanottoni robusti, che non riuscirono ad impedire che Paul Getty Jr, nipote dell’uomo più ricco al mondo, venisse rapito, cosa che riuscì ad evitare la figlia dell’avvocato Gianni Agnelli, che faceva parte dello stesso gruppo e frequentava lo stesso appartamento. Erano gli anni dei capelloni, degli alternativi, della musica ribelle, dei primi spinelli e non solo, della scoperta del proprio corpo e del sesso, gli anni delle ‘comuni’, il tentativo di una vita comunitaria che riuscisse a superare le barriere delle convenzioni e delle famiglie. Sostenevano che bisognava darsi da fare per lavorare al proprio cambiamento, in modo che il mondo possa essere cambiato, è possibile realizzare un sistema migliore, solo se si uniscono lo sforzo interiore di autoliberazione e l’attività esteriore. Inutile cercare di realizzare qualcosa di nuovo senza saper creare nel contempo uomini nuovi, contestavano duramente l’assunto del socialismo istituzionalizzato, che pretende di poter fare la rivoluzione con uomini vecchi. La prima ‘comune’ italiana nacque a Ovada, un paesino posto sulle colline del Monferrato, uomini, donne e bambini vivevano assieme e coltivavano la terra, e pure gli animali vivevano in modo promiscuo, c’erano le galline con i maiali e le caprette con i conigli, non davano fastidio a nessuno ma rompevano le convenzioni e la polizia intervenne in forze. In Sardegna, ospite di Franco e Maria nel loro appartamento nel quartiere della cartiera di Arbatax, nei miei giri alla scoperta dell’isola fui scandalizzato dal tentativo generale di appropriarsi delle spiagge, in molti tratti di costa c’erano cartelli e filo spinato che ti impedivano l’accesso al mare, riuscii a entrare in alcuni villaggi solo minacciando di chiamare i carabinieri – che però non mi stavano particolarmente simpatici – avendo io diritto di poter raggiungere la spiaggia, anche se non sapevo nuotare. Tornai spesso a usufruire della sacra ospitalità dei sardi e della famiglia Piroddi, che come tutti d’estate si trasferivano armi e bagagli nelle tende al mare, era come se il paese di Jerzù si trasferisse per due 40 mesi al mare creando una tendopoli con nonne e nipoti e i capifamiglia che si occupavano dei fuochi e di cucinare la carne alla brace, dopo essere andati a caccia. INSERIRE FOTO SARDEGNA 41 Tra sesso e militanza Nel 1969 abbiamo assistito anche allo sbarco del primo uomo sulla Luna, aveva talmente dell’incredibile che c’era chi sosteneva fosse tutta una montatura della CIA, malgrado la voce di Tito Stagno che dallo schermo di RAI1 gridava ha toccato! ha toccato! Un minuto prima che la navicella toccasse veramente la Luna, e ci fu Woodstok. Doveva essere una tre giorni di pace e di musica da tenersi in una piccola località, nella contea di Ulster nello stato di New York, Woodstok fu l’incontro di 500/600.000 giovani che avevano voglia di cambiare, che non volevano sentirsi soli, che pensavano di avere qualcosa da dire e cercavano il modo di farlo, che pensavano di non fare peccato stando nudi a toccarsi nei prati. Con i primi anni settanta, mentre lo scontro in atto nella società tra masse giovanili in rivolta e sistema in piena reazione è al culmine, inizia a diffondersi il ‘rock duro’ dei Led Zeppelin e dei Deep Purple, con l’apparizione di David Bowie che mette in scena la sua ambiguità transessuale. Ma è John Lennon a colpire, sia con le sue canzoni impegnate e con gli inni alla Pace, sia con gli ‘happenings’ assieme a yoko Ono (nudismo di coppia, slogan pacifisti e sit-in antimilitaristi ..), diventando l’alfiere del libero amore. Nel mio piccolo appartamento a Potomarghera ascolto Manuela, la ragazza con cui divido l’appartamento, esprimere il desiderio di fare un figlio e lo voleva da me, pur essendo fidanzata con un simpatico ragazzo che alla politica preferiva il parapendio, poi diceva non te ne devi preoccupare farò tutto io, te ne dovrai dimenticare, la cosa mi lasciava perplesso e un po’ inorridito e mi rifiutai. Su questa decisione probabilmente pesò anche il fatto che ero vergine e di sesso non ne sapevo molto, non che non avessi avuto delle storie e intuivo pure il funzionamento, il meccanismo dell’amore profano, ma al momento opportuno il mio pisello si rifiutava di funzionare forse più o meno consciamente memore della strigliata della mamma in terrazzo... Era comunque anche la dimostrazione che le donne desideravano appropriarsi del proprio corpo, iniziare a decidere in proprio su tutto quello che le riguardava a partire dalla maternità, probabilmente anche con degli eccessi. Scrive Elena Giannini Belotti: [...] Gli uomini erano assolti dal peccato della masturbazione in considerazione dei loro prepotenti istinti sessuali [...] malgrado si dicesse che mandasse in acqua il cervello, danneggiasse il midollo spinale, rendesse idioti e impotenti [...] ma quella femminile era talmente oscena da risultare inimmaginabile e dunque non esisteva [...] la verginità femminile era obbligatoria, nessun maschio avrebbe accettato una femmina già usata da lui stesso, perché se 42 l’aveva fatto con lui l’avrebbe fatto con altri [...]. C’era qualcosa di strano, perché vivevamo gli impulsi sessuali, ci si toccava con facilità, si iniziava anche a parlare di sesso, di fare all’amore e c’era anche chi lo faceva, ma guai a parlarne in sezione, guai ad affrontare il problema su uno qualsiasi dei tanti giornali della sinistra, era come dato per scontato, qualcuno aveva la passerina qualcuno il pisellino se riuscivano a metterli d’accordo meglio per loro, ma guai a dirlo. In questa Italia dalla ricostruzione al benessere pochi sanno l’inglese, anche per colpa del doppiaggio che ci presenta tutti i films in italiano anziché nella lingua madre come avviene negli altri paesi, e arrivano in ritardo anche le canzoni di Jimi Hendrix, chitarrista che in scena arrivò a scopare la sua chitarra ed a masturbarla tenendola tra le gambe come si trattasse della prosecuzione del suo membro. Oltre a non sapere l’inglese, va detto che tra il lavoro, l’impegno nel sociale, l’intervento politico e culturale, qualche apparizione a casa, le presenze all’università di Trento, che con il presalario di cinquecentomila lire annue (che giravo all’organizzazione), mi aveva dato anche il posto letto, di tempo, non me ne rimaneva nemmeno per pensare. Una sera in sede un compagno mi chiama e dice c’è Sofri per te al telefono, tutti mi guardano... chissà cosa pensano, io non avevo mai incontrato il capo assoluto di Lotta Continua, mi vuole a Roma per gestire il coordinamento nazionale dei Circoli Ottobre. Avevo già dovuto aprire il Circolo Ottobre a Mestre, con conseguente rottura con Piero e i compagni del circolo La Comune, che nel frattempo si era imposto in città per il suo intervento culturale, mi stavo impegnando nella distribuzione del film: 12 dicembre per la regia di Pier Paolo Pasolini, potevo anche andare a Roma, era come si aprisse una finestra su un nuovo mondo. Roberto Zamarin, l’autore di Gasparazzo e delle vignette su Calabresi in quanto titolare della stanza da cui uscì Pino Pinelli dalla finestra, muore in un incidente d’auto mentre porta il quotidiano «Lotta Continua» al nord, si diceva la sua vignetta più bella fosse quella con la didascalia: «La rivoluzione lavora con metodo» (Marx) dove degli uomini uguali con tenacia e intelligenza distruggono la gigantesca insegna della FIAT che io e probabilmente anche lui ora, sostituiremmo col muro di Berlino, questa era la militanza, richiedeva un impegno totale e a volte stupidamente rischioso. Così racconta ad esempio la sua militanza Franca Fossati: [...] A ventun anni stavo nel movimento studentesco di Capanna, in un gruppetto operaista dissidente guidato da Andrea Banfi, poi mi sono fidanzata con Mauro Rostagno, vivevo in una comune con altre sei persone senza acqua calda e senza una lira, mi arrangiavo facendo pulizie e posando per un pittore. Finita la storia con Mauro, pensai di partire per il sud, ma Pietrostefani mi dirottò sulla Germania. Andai a Francoforte, con Checco Zotti e due ragazzi svizzeri. Facevamo un 43 supplemento di «Lotta Continua» per gli immigrati, [...] Durante le vacanze del 1973 conobbi quello che sarebbe diventato mio marito, Andrea Marcenaro, e mi fermai qualche giorno in più da lui a Genova. Mi incontrò Paolo Brogi e mi rimproverò: gli operai stavano occupando la Ford e io mi perdevo in vicende d’amore. Tornai subito in Germania [...]. E Franco Travaglini, che ora fa il giornalista in Sardegna, scrive: [...] A Bologna la divisione fra le due anime del sessantotto è esemplificata dalla separazione del movimento studentesco in due gruppi, i Cupi e i Ludici. Per predisposizione caratteriale, io ero nei Cupi: seriosi, un po’ maoisti, di letture marxiane, mentre gli altri erano dissacratori sul modello degli Uccelli romani. Si discuteva su come intervenire nelle lotte in fabbrica, e già si distinguevano i gruppi: Potere Operaio, dove c’era Francesco Berardi detto Bifo, Lotta Continua e quelli de «il manifesto»... scelsi Lotta Continua i cui soci fondatori erano Michele Calafato, Paolo Cesari, Gianni Sofri, Carlo Degli Esposti [...]. Prima di arrivare a Roma vi voglio raccontare ancora un paio di episodi. Devo aver avuto un certo fascino, perché pur non curandomi, piacevo alle donne; me ne ero accorto senza realizzarlo bene quando ho lavorato nel negozio di scarpe in viale Piave; alcune signore tornavano e chiedevano di me o aspettavano che fossi libero e si facevano provare più paia di scarpe, alcune volte anche stivali, amavano farsele mettere e togliere e nel farlo le toccavo e loro aprivano le gambe, prima solo un poco, poi facevano balenare le mutandine e poi con un sorriso se ne andavano. Non so se riuscite a figurarvi la situazione, immaginatevi la signora seduta su una sedia comoda, io in ginocchio davanti a lei alle prese con le diverse calzature, selezionate in precedenza, prova una prendi un’altra, aiutala ad alzarsi, fai le prove davanti allo specchio, accompagnala alla sedia e prova un’altra scarpa... uno stivaletto o un gambale... La signora in questione sorride, allarga le gambe, ti tocca con la punta del piede, ti chiede tanto per chiacchierare cosa fai nella vita, dove vai questa sera e allarga le gambe... a volte non le portavano proprio... le mutandine. In seguito mi sono masturbato moltissimo, ma allora non capivo, anche se sentivo uno strano prurito al basso ventre, come ho capito tardi il tranello tesomi dalle ‘sorelle petroli’. Erano tre signore, ora si direbbe avvenenti signore, chiamate così perché padrone di una grossa ditta che commerciava in combustibili, alle quali avevo arredato un appartamento e avevano più volte inutilmente sollecitato la mia presenza, poi una mattina passa una delle tre , quella che avrebbe usato l’appartamento e si sarebbe dovuta sposare a giorni, per chiedermi di passare da lei per sistemare un tavolo a suo dire traballante... feci che andare, chiusi il negozio e le diedi un passaggio sulla mia moto e lei ne approfittò per stringersi per paura di cadere, in ascensore ebbe un atteggiamento che sarebbe stato inequivocabile per chiunque, non avesse avuto a che fare con un imbranato di prima categoria, arrivato in cucina mi stendo a terra per bloccare il tavolo, un 44 bel tavolo rotondo di mogano a base centrale e da sotto vedevo lei con delle mutande nere, grandi ed elastiche, di moda all’epoca e poi la trovai che mi attendeva distesa sul divano, un bel pezzo della C&B Italia, lei pure era un pezzo niente male ma il mio pisello non ne volle sapere, la salutai lasciandola di sasso. Nel 1972 partecipai all’organizzazione delle giornate del cinema democratico, la prima e unica contro-biennale cinema autogestita e organizzata in campo Santa Margherita a Venezia, usando i due cinema all’epoca presenti il Moderno e il Santamargherita. Ricordo le discussioni con Citto Maselli e Ugo Pirro, la paciosa amicizia di Marco Ferreri e l’energica collaborazione di Gian Maria Volontè, la vitalità di Paola Pitagora e la simpatia di Lou Castel (militante di Servire il popolo) attore del film Nel nome del padre il cui regista arrivò in Rolls Royce, creando non poche polemiche. Tra i films presentati c’era Il giardino dei Finzi Contini e La notte dei fiori di Gian Vittorio Baldi. Vennero a presentarlo diversi attori e alla fine della proiezione portai un’attrice molto bella di cui conservo le foto, a dormire a casa mia immaginatevi il tragitto di notte da Venezia alla Gazzera, periferia di Mestre, oltre quindici chilometri in due su di una motoretta ‘cinquanta’, arrivato a casa gli offrii il mio letto misi un cartello sulla porta ‘Non disturbare’ e io dormii per terra. Ero diventato amico di molti artisti e pittori, ricordo Armando Pizzinato, grande uomo, pittore poco valutato all’epoca, gli aveva giocato contro il fatto che lui comunista avesse venduto una sua opera alla Peggy Guggenheim, risultando l’unico italiano contemporaneo presente nella sua collezione. Frequentavo casa sua dove spesso trovavo il fratello del primo sindaco di Venezia dopo la Liberazione, anche lui pittore, anche lui ex partigiano ed era bello ascoltare i loro racconti, rivivere le loro battaglie. Si discuteva molto anche della salvaguardia di Venezia, del canale di Malamocco, delle difese contro l’alta marea, della progressiva eliminazione degli inquinamenti dell’acqua e dell’aria, fino alla necessità di ridislocazione e allontanamento dalla laguna delle industrie che risultino incompatibili con la salvaguardia dell’equilibrio ecologico. Ricordo che queste discussioni sfociarono in una interpellanza parlamentare da parte di Gianquinto Giobatta. Incontravo spesso Emilio Vedova, Luigi Nono, (che erano entrati anche nel Circolo La Comune), Giuseppe Santomaso, Carmelo Zotti, Gianquinto, Ulisse e tanti altri artisti che lavoravano all’Accademia di belle Arti di Venezia e da tutti ,quasi sempre, riuscivo ad avere delle opere che giravo a Michele Guidugli, responsabile del settore quadri e grafiche per il finanziamento dell’organizzazione, che da lì a poco sarei andato a condividere. 45 La doppia morale Mi ha sempre colpito all’interno della Chiesa cattolica in particolare, ma nella società in generale, la doppia morale cioè la capacità di giudicare in modo diverso lo stesso fatto. Una famiglia normale, in crisi, chiede il divorzio o la separazione e non riesce ad averlo, un ricco o potente va alla Sacra Rota cioè l’organo preposto dalla Chiesa cattolica per gli annullamenti dei matrimoni e il matrimonio viene annullato, cioè non è mai esistito, senza problemi, basta pagare. Una ragazza o una signora vuole interrompere – per i motivi più diversi – la gravidanza, non può, per i preti ci sono percorsi appositi, a Torino esistono anche degli orfanotrofi per i figli degli ecclesiastici. Ma queste stesse persone che usufruiscono di queste possibilità, per poter divorziare o abortire, sono contrarie che diventino un diritto per tutti. La cosa più evidente sono i politici tipo Almirante, Berlusconi o Casini contrari all’aborto, contrari al divorzio per tutti gli altri, loro invece possono tutto, la Sacra Rota annulla e comunque si risposano, fanno figli, aiutano ad abortire, vanno a donne, Viva l’Italia! Le stesse persone che poi attaccavano Palmiro Togliatti per aver scelto di stare con la compagna Nilde Jotti, lasciando la moglie o come Fausto Coppi a cui non si è mai perdonato la convivenza con Giulia Occhini, che i giornalisti avevano ribattezzato ‘la dama bianca’. Il marchese Camillo Casati Stampa era uno di questi signori potenti, contrario all’aborto e al divorzio, e ostile a qualsiasi conquista civile che riguardasse gli altri, membro dell’alta società romana a cui il Vaticano aveva annullato ben due matrimoni per consentirgli di sposare Anna Fallarono, di cui ama scrivere: «Oggi Anna mi ha fatto impazzire di piacere. Ha fatto l’amore con un soldatino in modo così efficace che da lontano anche io ho partecipato alla sua gioia». Oppure: «Oggi al mare ho fatto rotolare Anna sulla sabbia poi ho chiamato due avieri per fargli togliere i granelli con la lingua». Ma quando scopre la moglie tra le braccia del giovane missino Massimo Minorenti, di cui lei dice di essersi innamorata e ospita in casa, quando il marito è assente, non esita a uccidere moglie, amante e se stesso. Erede risulterà essere la minorenne Annamaria Casati Stampa, avuta dal marchese con la prima moglie Letizia Izzo il cui tutore legale, dopo esserne stato controparte, diventerà l’avvocato Cesare Previti. 46 Cesare, figlio dell’avvocato ‘grande fascista’ Umberto Previti, militerà nelle file dell’MSI, prima di aderire al PLI, e una volta riuscito a essere nominato unico tutore dell’erede di un patrimonio enorme, non esiterà a fargli vendere la villa di Arcore e annesso parco al giovane rampante costruttore Silvio Berlusconi, il tutto a rate e per poco ovviamente e neppure in contanti ma in cambio di azioni. I casi della vita. Pier Paolo Pasolini diceva: «La morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi». Donatella Colasanti, nell’anno dell’assassinio del poeta, riuscì a sopravvivere e a farsi comprendere, diversamente da Rosaria Lopez che non superò le trentasei ore di torture morali, fisiche e sessuali inflittegli da Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira. Le due ragazze saranno chiuse nel bagagliaio della macchina di Guido, lasciata sotto casa, convinti fossero morte, una guardia sentirà i lamenti di Donatella che riuscirà a salvarsi e raccontare quello che passerà alla storia come il ‘massacro del Circeo’. Tre giovani della buona borghesia romana legati alla destra, uno dei quali riuscirà a fuggire e a far perdere le sue tracce per sempre, gli altri riusciranno a evadere godendo di strane e altolocate protezioni, continuando a violentare e uccidere. Doppia morale che emerge con evidente chiarezza ad esempio nella guerra all’Iraq e al dittatore Saddam Hussein, per l’egemonia del golfo Persico e dei pozzi petroliferi, come fosse stato l’unico dittatore al mondo. Oltre tutto la democrazia americana ha perso per strada i motivi per cui è intervenuta in forze in un paese straniero, causando una ripresa del terrorismo internazionale. Non si sono mai trovate le tanto decantate armi chimiche ma capannoni pieni di sagome di missili e carri armati in carton-gesso e o cartapesta realizzati da una ditta piemontese. FOTO CASATI STAMPA 47 Lotta Continua La sede di Lotta Continua nazionale era a Roma dietro al ministero della Pubblica istruzione, sulla salita iniziale di via Dandolo al numero 10, il coordinamento nazionale dei Circoli Ottobre era al 51 di via Mameli, a metà via sulla sinistra partiva un vicolo dove trovavi la storica insegna del Folk Studio di Giancarlo Cesaroni, risalendo via Mameli lambivi il Gianicolo e il Parco della Rimembranza, percorrevi via Garibaldi in discesa e sotto l’arco di porta Settimiana iniziava via della Lungara. In un vicolo a fianco delle carceri mi era stata data una stanzetta composta da un tavolino sghembo, un letto con la rete rotta e un materasso di lana con i grumi, una sedia spagliata ossia con la paglia rotta, il tutto era nel quartiere di Trastevere e ci si sentiva tanto rivoluzionari. Ero ospite di un compagno dell’amministrazione, il Brunaccioli, punta di diamante di un gruppo di compagni viareggini, tra cui spiccavano il Franceschini e il Simoncini. Alla sera si sentivano le donne gridare dall’alto del Gianicolo, comunicavano con i loro cari in galera e il rito si riproponeva uguale tutte le sere, tranne la domenica che era di pomeriggio, a mia volta mi sentivo un po’ prigioniero, non avevo soldi, Lotta Continua passava settantamila lire al mese quando le passava ma dovevi vestirti e mangiare e avevo mal di denti. Un amico radicale mi mandò da Giancarlo Arnao, un dentista con uno studio molto grande e luminoso all’Aventino, uno dei sette colli di Roma, con per assistenti due ragazze svedesi bionde e carine, che per devitalizzare un dente mi chiese sessantamila lire, sessantamila lire difatti corrispondenti a un mio mese di lavoro. Fu solo allora che scoprii che i denti si potevano curare, ero abituato con mio padre che mi portava dal dentista della mutua e via il dente via il dolore, non riuscirò mai a dimenticare un grasso e grosso dentista della mutua di Mestre che mi tolse un dente sano rompendolo in sette pezzi perché non voleva venire via... Arnao, con molta pazienza mi spiegò che i denti si dovevano salvare e ricostruire e io gli spiegai che prendendo dall’organizzazione in cui militavo settantamila lire e neppure tutti i mesi, non potevo pagarne sessantamila solo per devitalizzare un dente e fu così che il dottor Arnao iniziò a dedicare un giorno alla settimana, il giovedì, alla cura dei denti dei compagni, ovviamente gratis. Alla sede di Lotta Continua si entrava attraverso una porticina ricavata da un enorme portone in ferro, per consentire l’entrata anche dei camion per la consegna della carta alla tipografia annessa, dove si stampava 48 appunto il quotidiano «Lotta Continua», se per caso non c’era nessuno cioè se Diano si era assentato dal gabbiotto della portineria, venivi assalito da due mastini napoletani, Cuba e Assassino, io ero uno dei pochi che i cani rispettavano e non si sono mai permessi di mordere, assieme alla loro amica Laura De Rossi che li accudiva con fare materno e probabilmente passava ai cani la sua rabbia, rendendoli inavvicinabili. Avevo trovato ospitalità a casa del figlio dell’urologo Bracci, medico curante del Papa Paolo VI e del Presidente della Repubblica Giovanni Leone, marito di Donna Vittoria, al quale dissi che alla BNL si erano rifiutati di aprirmi un conto corrente, mi disse di tornare il giorno dopo. Tornai con i miei bollettini da mille o duemila lire per un totale di ben 122.200 lire, fui ricevuto subito dal direttore e mentre si scusava mi faceva preparare gli incartamenti, ero trattato molto meglio di Gian Maria Volontè, che aveva il conto nella stessa filiale e dopo il teatro di strada, aveva avuto successo con il cinema di impegno e quando poteva ci aiutava. Conobbi Nancy una compagna americana che parlava benissimo l’italiano la quale ebbe la pazienza di tenermi con sé tre giorni e mi insegnò a fare all’amore. Fu molto dolce e paziente, mi fece vedere, toccare e leccare il suo organo, mi spiegò che si poteva raggiungere il piacere in tanti modi e non serviva obbligatoriamente la penetrazione e anche se il mio pisello non voleva saperne non importava nulla, era sufficiente che lo volessi io. Mi insegnò a farla venire leccandola, fumammo io e la sua figa un sigaro cubano, di quelli belli lunghi e abbastanza grossi, prima le leccavo un po’ la passera in modo che si inumidisse poi iniziavo con inumidire la punta del sigaro in vagina e fumavo io, poi la vagina riusciva a tirare meglio di me e non tossiva neppure, quindi il mio pisello senza che nessuno facesse nulla iniziò a chiedere spazio, a pretendere attenzione, all’inizio veniva quasi subito, ma anche a questo rimediò da solo, riuscendo a garantire delle prestazioni ritenute sufficienti a soddisfare la bella fighetta di Nancy. E anche lei nel suo insieme espresse il suo gradimento, invitandomi a trasferirmi a casa sua per approfondire la conoscenza della sua meravigliosa passera, a volte con la panna montata, a volte con i frutti di bosco o semplicemente per gustare un buon prosecco. Francesco De Gregori, che avevo difeso dall’attacco dei compagni della Magliana che pretendevano continuasse a esibirsi gratuitamente, e da quello più grave dei giornalisti di lotta continua, mi aveva portato al Cenacolo, un locale subito fuori Roma, dove la RCA dava appuntamento a tutti i suoi artisti una volta alla settimana, si beveva, si mangiava e ci si raccontavano le novità scambiandosi pareri e informazioni, magari qualcuno presentava qualche nuova canzone. La ritenevo un’iniziativa positiva anche se molti a partire da Lucio Battisti la snobbavano, io ebbi l’opportunità di conoscere oltre a Morandi e Laura Efrikan, Rino Gaetano che era nella stessa etichetta discografica di De Gregori e Venditti, La IT di Vincenzo Micocci, ma non ci eravamo mai incontrati, diventammo quasi amici, anche se non collaborammo mai, questa la canzone che fece al Folk Studio: 49 Quel giorno Renzo uscì, andò lungo quella strada E una Ferrari contro lui si schiantò Il suo assassino lo aiutò e Renzo allora partì Verso un ospedale che lo curasse per guarir Quando Renzo morì ero al bar La strada era buia si andò al San Camillo E lì non l’accettarono forse per l’orario Si pregò tutti i santi ma si andò al San Giovanni E lì non lo vollero per lo sciopero Quando Renzo morì ero al bar Era ormai l’alba andarono al Policlinico Ma lo si mandò via perché mancava il vicecapo C’era in alto il sole si disse che Renzo era morto Ma neanche al Verano c’era posto Quando Renzo morì io ero al bar Al bar con gli amici bevevo un caffè Rino Gaetano morì a Roma il 2 giugno 1981, si schiantò alle tre di notte con la sua Volvo contro un camion, alcuni giorni prima ebbe un incidente simile, ne era uscito illeso e aveva comperato una macchina uguale. Venne prontamente soccorso e portato al Policlinico che rifiutò di curarlo, l’ambulanza fece tappa in altri quattro ospedali che lo rifiutarono, solo al Gemelli ricoverato vi morì. Sembra la sua canzone, come se avesse cantato la sua morte. Da Milano dove oramai vivevo andai a salutarlo per l’ultima volta in una chiesa sul lungo Tevere, piena di gente sbigottita e incredula e pochi colleghi. Ricordo Dalla e De Gregori e il mio amico Micocci, molto provati non solo per la morte di un amico, ma per la scomparsa di un sicuro talento. Andai a vivere in via Garibaldi 22 a casa di Nancy, sopra un ristorante frequentato da Sandro Pertini e altri esponenti della sinistra tradizionale e di fronte alla prima sede del Folk Studio e iniziammo un rapporto intenso, lei aveva tre lauree insegnava ed era un’ottima cuoca e una grande amante a cui piacevano giochi strani e una volta al mese si scopava uno dell’amministrazione. Casa nostra era molto frequentata perché finalmente si mangiava, conobbi così molti compagni ma soprattutto tante compagne, molte dall’estero, Svezia, Norvegia, Germania e iniziai a sentire parlare di femminismo e ad avere quelle risposte che Carla Lonzi, non mi aveva dato anni prima a Milano. All’inizio di via Garibaldi abitava Alan Sorrenti, di fronte Paola Pitagora aveva una bottega laboratorio di vestiti usati, dove spesso incontravi Renato Mambor membro con Pino Pascali e Jannis Kounellis del gruppo di ‘artisti maledetti’, in vicolo del Cinque poco sopra piazza della Scala abitava Gian Maria Volontè con la sua stupenda compagna, in piazza Santa Maria all’ultimo piano ci stava Bud Spencer, col quale però non riuscimmo mai a instaurare un rapporto, malgrado la moglie del 50 produttore dei suoi films fosse una nostra simpatizzante. Nella piazza c’erano due ristoranti da Galeazzi, dove andavo a mangiare con Antonello Venditti mentre nell’altro ci andavo con Francesco De Gregori, che abitava in via del Mattonato a duecento metri da casa mia e a quattrocento dalla sede dei Circoli Ottobre. Giaime Pintor abitava con la sorella Roberta e la madre, sopra quello che noi chiamavamo il ‘bar dei carabinieri’, perché sempre pieno di ‘caramba’, ai piedi di via Dandolo dove abitavano anche Roberto Ciccuto con Monique e il regista di documentari Antonello Branca che lavorò a lungo con i Circoli. In piazza San Cosimato Maurizio Panici e altri compagni avevano aperto Il Cielo, ora Teatro Argot, e Ambra un negozietto di vestiti usati. In uno dei vicoli dietro piazza Santa Maria, c’era Spaziozero un locale dove si sperimentava teatro e in vicolo del Moro Aichè Nanà, la spogliarellista che aveva fatto scandalo a metà anni Sessanta per aver esposto il seno a un gruppo di intellettuali, aveva aperto un suo spazio di ricerca teatrale e subito sopra Cesaroni aveva spostato il Folk Studio dopo che Harold Bradley se ne era tornato in America. Quando venne a Roma sollecitata da me, Lidia Ravera andò ad abitare in vicolo della Scala, dove tentò il suicidio il giorno che Giaime Pintor sposò la mia compagna. Trastevere il mondo in un quartiere. Riuscii a coinvolgere nel lavoro dei Circoli Ottobre, Giaime Pintor e Marco Lombardo Radice, l’uno magro e alto con un naso enorme e dei capelli molto lunghi e sottili, l’altro massiccio con una testa riccioluta e un’espressione dolce, due persone magnifiche di una intelligenza e una sensibilità rare, collaboravamo a «Ombre Rosse» di Goffredo Fofi, alle riunioni partecipavano anche Marino Sinibaldi e Gianfranco Bettin, facevamo in proprio un bollettino di coordinamento e un giornaletto «Cominciamo a far le prove», usavamo le vignette di Renato Calligaro friulano gentile vissuto a lungo in America Latina, in questo nostro giornaletto fu pubblicata la prima embrionale storia di Rocco e Antonia che poi divenne Porci con le ali. Non siamo mai riusciti a fare una nostra radio, collaboravamo con radio città futura e editavamo e diffondavamo tanti dischi a partire da quelli di Lotta Continua con i testi del Canzoniere del Proletariato, in realtà quasi tutte le canzoni erano scritte da Alfredo Bandelli, quelli di Enzo Del Re, rigorosamente 33 giri e mono ( cioè non stereo perché secondo lui i proletari non avevano gli apparecchi!), e quelli di Pino Masi e inoltre avevamo diversi Canzonieri sparsi per l’Italia, Pisa, Viareggio, Napoli, Cosenza, Genova, il Victor Jara di Firenze animato da Davide Riondino e Daniele Trambusti, il Circolo Ottobre di Mantova dalle innumerevoli attività di cui ricordo la fiaba: L’asino con il corno serigrafata a colori sia in italiano che in dialetto. Con un compagno di stampa alternativa duplicavamo le cassette e non solo quelle dei nostri autori. Andai a Milano nella soffitta di Nino Vento, dove abitava Lidia Ravera per chiederle se veniva a Roma a fare «Il Pane e le rose», una sua rivistina che si occupava di cose strane come la sessualità, il fare 51 all’amore, il problema dello stare assieme, delle donne e lei venne. Erano anni strani che vivevamo con serenità e frenesia, facendo cose eccezionali, convinti assolutamente convinti che avremo fatto la rivoluzione, trovando tanta umanità e disponibilità, le stesse cose ora sarebbe improponibile il solo pensarle. Avevamo il Teatro Operaio specie di canzoniere militante guidato da Piero Nissim del Canzoniere Pisano, una sezione cinema coordinata da Sandrino, ora un grande fonico, con cui lavoravano Alessandro Ojetti, Renato Ferraro, Antonello Branca e tanti altri, tra cui Nino Bizzarri che vinse anche un premio al Festival di Berlino, con una nostra produzione. Non posso non citare il furgone realizzato con Roberto Faenza, di cui ricordo un unico viaggio Napoli–Torino–Trento, la genialità consisteva nel fatto che erano state modificate le sospensioni, svuotato l’interno e inseritaci una moviola con annessi e connessi in modo che mentre il furgone si spostava da una località all’altra, l’operatore riusciva a sviluppare e montare il materiale girato. Questo permetteva una volta arrivati a destinazione, nel nostro caso a Torino, di far vedere agli operai della FIAT le manifestazioni degli operai di Pomigliano, e così di seguito nelle tappe successive, in teoria questo furgone avrebbe dovuto essere sempre in movimento, non avevano ancora inventato Internet e neppure Berlusconi. Si lavorava con il Collettivo Nuova Scena cioè con quelli rimasti dopo la scissione dei Circoli La Comune di Dario Fo e Franca Rame, che si erano legati ad Avanguardia Operaia, il Collettivo di Silvano Piccardi presentava uno spettacolo sulle Barricate di Parma anzi il titolo era: Parma 1922: barricate! Come un popolo sconfisse i fascisti . Di cui riporto La canzone delle idee giuste: Le idee giuste Non crescono sui rami Le idee giuste Non sono come fiori Che raccogli passando per strada Ma sono frutto del mondo in cui stai Non si nasce né santi né eroi Non si nasce col timbro del genio Si diventa pian piano col tempo Quel che impone la necessità [...] Con Lisi Natoli, che aveva aperto con Silvana e altri compagni romani, nel quartiere di Testaccio un tendone, creando una spazio teatralmusicale denominato Spaziouno o spaziozero, organizzammo un giro del Brad and Puppet, gruppo americano che lavorava con dei pupazzi enormi e faceva animazione contro la guerra in Vietnam. Memorabile il viaggio a Napoli su di un furgone scassatissimo, fummo accolti da una selva di bambini, ragazzini e di donne entusiasti, realizzando lo spettacolo nei vicoli del centro e alla mensa dei bambini proletari, che garantiva non solo un pasto ma anche un’istruzione di base ai ragazzi di strada, aperta da Goffredo Fofi con Cesare Moreno e altri compagni e sostenuta da alcuni ricchi simpatizzanti milanesi. 52 Tra i tanti documentari prodotti, ricordo quello per la mobilitazione sul divorzio, realizzato assieme a un signore romano che si era inventato una macchina che animava le figure, le faceva muovere, usammo molti originali della propaganda elettorale della Democrazia Cristiana nel dopoguerra, ero riuscito a farmeli dare da Vladimiro Dorigo, responsabile dell’archivio storico della Biennale di Venezia. Alla vittoria del referendum promosso dalla Democrazia Cristiana di Fanfani, per eliminare la possibilità di divorziare, Carlo Cagni, bella persona e grande disegnatore, figlio del segretario democristiano Zaccagnini, festeggiò mettendo fuori dalla sua mansarda la bandiera rossa, gli fu tolta dopo cinque minuti dai servizi segreti: abitava di fronte al Senato della Repubblica e non era concepibile che nei pressi ci fosse una bandiera rossa. Durante la campagna per il referendum per il divorzio devo aver fatto qualcosa ritenuta grave perché venni spedito, per punizione, dal responsabile organizzativo, Paolo Brogi, a fare intervento politico in Sardegna. Ero ospite nella casa estiva del padre di qualche compagno, mi trovavo benissimo, finalmente una dimensione di normalità ma venni richiamato dopo poco e dovetti rientrare a Roma. C’era Enzo Del Re musicista da Mola di Bari, che suonava le sedie o gli scatoloni e componeva canzoni genialmente assurde e girava a diecimila lire a spettacolo più tremila lire per le medicine e il rimborso del viaggio di sola andata perché per lui comunque era sempre e solo un andare, con una valigia di dischi e una di vestiti e giornali. Dice di lui Corrado Sannucci: Nonostante la povertà dei mezzi tecnici l’effetto finale era ammaliante, si portava dietro come eredità l’effetto ipnotico delle percussioni, [...] su questa base si poggiava il canto di una voce morbida, profonda, con una sillabazione netta, scandita [...] Le canzoni erano ironiche, prive di qualsiasi pesantezza ideologica fare “l’amore alla catena di montaggio è un modo nuovo di fare la revoluciòn” cantava [...]. Solo che si rifiutava di salire in automobile o anche su di una moto, viaggiava a piedi o solo sui mezzi pubblici, che però si rifiutava di pagare perché avrebbero dovuto essere gratis, come a Bologna diceva, e non c’era spiegazione possibile neppure che stavamo lottando proprio per questo; finché a Roma lo fermarono i controllori e lo denunciarono anche per offese a pubblico ufficiale, si prese otto mesi per non voler pagare le cinquanta lire del biglietto... Lo ospitai per un periodo a casa mia, è un modo di dire, a casa di Nancy, solo che mangiava esclusivamente riso e non c’erano mediazioni possibili, oltre a usare poco la saponetta, era di una rigidità estrema senza mediazioni e a qualsiasi appunto ti rispondeva con citazioni del presidente Mao o di Fidel Castro. Pino Masi battitore libero, sempre diviso tra Pisa e la Sicilia, cantautore ufficiale di Lotta Continua usava in realtà le canzoni del Bandelli che non usciva dalla sua Pisa, organizzava con la nostra 53 supervisione, megaconcerti in cui di volta in volta riusciva a coinvolgere nomi noti da Lucio Dalla a Gaber a Bennato, aveva lavorato anche con Dario Fo nel Ci ragiono e canto n° 3 e collaborato all’organizzazione del primo concerto di Fabrizio De André. Avevamo organizzato una mini tournée con la Comuna Baires, gruppo teatrale che arrivava dall’Argentina e si stabilirà a Milano, che suscitò innumerevoli discussioni essendo quello della Comuna un teatro molto forte e duro, dove se il copione prevede ci si debba picchiare ci si picchia veramente, ricordo ancora il loro spettacolo a Venezia all’università di Cà Foscari con il pubblico diviso in due fazioni che per poco non arrivavano alle mani. Ero riuscito ad organizzare anche alcuni concerti con Toni Esposito. Una mattina mi trovai in ufficio James Senese un ragazzotto riccioluto e nero che parlava napoletano e con questa sua bella parlata mi spiegava che aveva fondato o stava fondando i ‘Napoli Centrale’ e che erano disponibili a lavorare con noi e io scoprii, grazie a lui, i figli della guerra cioè i figli dei soldati americani di colore e delle ragazze napoletane concepiti nelle giornate della liberazione di Napoli dal fascismo. Ci fu l’11 settembre del 1973, il colpo di stato in Cile, dove il generale Augusto Pinochet, con l’aiuto e il sostegno del governo americano, assalterà la sede del governo uccidendo il Presidente socialista, democraticamente eletto Salvador Allende. Il nostro compagno Paolo Hutter resterà prigioniero nel campo sportivo, trasformato in lager, per più di un mese e per noi sarà una mobilitazione continua. La Comunità dell’Isolotto di Firenze organizzò una veglia e tutta la comunità riunita in piazza cantò Se questa terra lo chiede, il canto di Unidad Popular: Se questa terra lo chiede / dobbiamo essere noi Quei che sollevano il Cile. Avanti, diamo una mano! Vogliam spezzar le catene / riprender quello che è nostro, resisteremo insieme / uniti ad ogni costo. Stavolta non si tratta / cambiare un presidente, nel popolo si crea / un Cile differente. Venite tutti a unirvi: / la nostra porta è aperta E l’unità popolare / sarà la nostra forza Lo yankei cacceremo / con le sue torbide trame Con l’unità popolare / riprenderemo il potere [...] Hutter lo ritroverò poi, negli anni Novanta, a fare l’assessore ‘verde’ al Comune di Torino, mentre io con fatica cerco di far passare una nuova idea di teatro che non sia solo un momento di consumo ma un momento di vita, di condivisione. Mi capitava di andare in giro per l’Italia a fare incontri e riunioni, andavo spesso a Viareggio, dove c’era un forte Circolo Ottobre che portava il nome di uno dei più bravi carristi e animatori del carnevale che faceva ricca la città nel periodo invernale, e andavo a dormire all’Uliveto ospite dell’Umberto Franceschini, detto ‘il macellaio’, perché era il suo 54 mestiere da generazioni e lo svolgeva con passione, facendo diventare la sua bottega punto di incontro e di riferimento. E dove si incontrava spesso Sandro Luporini, Giorgio Gaber e molti giovani artisti d’arte contemporanea ora famosi. Ricordo con piacere i viaggi a Palermo... partivo con l’aereo economico della notte e attendevo l’alba in piazza Marina, ammirando alberi secolari dove i rami si confondevano con le radici, respirando l’aria che arrivava dal mare, pensavo che vivevamo in un paese unico, meraviglioso e lo stavano distruggendo con raffinerie di petrolio e impianti petrolchimici. Aspettando l’alba mi sembrava chiaro che l’Italia dovesse essere la patria dell’eolico, delle energie alternative grazie al sole, all’acqua e al vento di cui era ricca ed essendo circondata dal mare mi vedevo porti come stazioni, dove ferry boats caricavano camion e macchine per lasciarle nella stazione successiva. Una volta che mi fermai a dormire venni svegliato da una donna bellissima tutta nuda, castana naturale, che mi chiedeva se mi serviva qualcosa, ricordo che risposi grazie vengo a prendere il caffè in cucina, la ritrovai vestita, forse era il frutto dei miei sogni. Il Circolo Ottobre di Milano era rappresentato da Gigi Noia e Schianchi, attraverso i quali conobbi Gianni Sassi, il quale era un genio della comunicazione e stava costituendo una nuova casa discografica, La Cramps, il primo gruppo furono gli Area, di una potenza travolgente con un cantante Demetrio Stratos che era una forza della natura, iniziammo a collaborare organizzando come Circoli Ottobre i concerti degli Area, cercando di distribuirli ovunque, ed essendo la loro musica una mediazione tra il rock duro e l’impegno politico, normalmente funzionavano molto bene. A Milano, Romano Frassa e altri compagni daranno vita anche al Collettivo Cinema Militante, grazie al quale saranno documentate molte manifestazioni dell’epoca, anche se non ci sarà mai un intervento a favore della televisione, come ci sarà per le radio libere. La prima radio fu, credo, ‘senza chiedere permesso’ di Roberto Faenza e altri compagni realizzata su una roulotte posizionata su una collina bolognese, poi si diffusero a macchia d’olio obbligando la corte Costituzionale a regolarizzare la liberalizzazione dell’etere nel 1976. Nel marzo 1973 tutto il Piemonte è colpito da scioperi, Torino è invasa da cortei improvvisati fino al blocco e alla occupazione totale di tutta la FIAT, emergono le avanguardie operaie legate a Lotta Continua. Il 12 aprile 1973 l’agente di polizia emigrato dal sud Antonio Marino resterà ucciso a Milano durante l’assalto di elementi dell’MSI e dell’estrema destra contro il blocco dei poliziotti, si scoprirà il responsabile nella persona di Vittorio Loi, figlio del famoso pugile Duilio, si cercherà di dare il minor risalto possibile alla notizia cercando di confondere le cose, non si può lasciare che si dica in modo chiaro che i fascisti uccidono i poliziotti. Il ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani, scioglierà Ordine Nuovo, 55 con l’accusa di ricostituzione del partito fascista, questo non impedirà a suoi elementi di organizzare la strage di piazza della Loggia il 28 maggio 1974 a Brescia dove moriranno otto persone e novantaquattro saranno i feriti tra i partecipanti alla manifestazione promossa dai sindacati. Scrive il «Corriere della Sera»: Lo Stato esita a punire i servitori infedeli, i capi intriganti, gli organismi malati [...] sono note le colpe, le debolezze e gli atti concreti che hanno favorito le organizzazioni del terrorismo nero [...] stiamo vivendo in questi giorni il dramma di una democrazia che si logora perché scarsa è la fiducia nella Costituzione e nel paese, diffusa la tentazione di acquistare forza personalizzando le istituzioni. Pier Paolo Pasolini così interpreterà la situazione: Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano [...] Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna [...] Io so i nomi di coloro che tra una messa e l’altra hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione a vecchi generali, a giovani neofascisti [...] Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste. Io so. Molti sanno, ma molti altri e molto più potenti, occultano, nascondono, costruiscono falsi indizi e false piste per imbrigliare il paese nel dubbio e nella paura. Era già attiva, molto attiva, la Loggia P2 con gangli in tutti gli apparati dello Stato, ma questo lo scopriremo molto più avanti. A Roma centinaia di baraccati occupano le case nel quartiere di San Basilio così ce la racconta Antonio Savasta militante di Autonomia Operaia, che entrerà poi nelle Brigate Rosse: [...] finché non fu ucciso quel ragazzo del Collettivo dei Castelli e lo uccidono proprio di fronte a me [...] c’è questa sparatoria da parte della polizia e muore questo ragazzo [...] e poi la notte c’è stata una sparatoria feroce perché quelli della sezione sono tornati armati e hanno fatto l‘ira di Dio cioè scontri a fuoco con la polizia [...] mi sembrava assurdo anziché risolvere il problema in termini politici si usava la forza delle armi [...]. Il problema della casa a Roma è un problema che si trascina da tempo, scriveva nel 1970 Giovanni Mazzetti dell’Unione baraccati e animatore della Scuola 725: Roma una città di tre milioni di abitanti, un inferno urbanistico ed economico nel quale le condizioni di vita peggiorano di giorno in giorno [...] la quasi totalità della popolazione vive ammassata negli edifici intensivi costruiti nel dispregio più assoluto delle più elementari norme urbanistiche [...] i lavoratori vengono ricacciati 56 in baracche o in borgate dai prezzi fissati dai grandi proprietari immobiliari [...] L’iniziativa pubblica con la sua criminale assenza [...] favorisce lo sfruttamento dei lavoratori. Se si esclude il problema della casa, tutti gli altri problemi: quello dello sfruttamento sul lavoro, quello dell’evasione e del ritardo scolare, quello della salute pubblica, sono comuni a tutti i lavoratori romani [...]. Nel frattempo si scoprono i primi scandali, vengono a galla i fondi neri della Montedison, per finanziare i partiti di governo e della destra, solo al PCI non li abbiamo dati dichiarerà con orgoglio un dirigente e Massimo Riva così commenterà l’arrresto di Sindona: [...] se Sindona ha potuto spingere la sua attività fin sul confine del Codice penale ciò è avvenuto perché non gli sono mancate solidarietà importanti [...] perché il salvataggio delle sue banche in liquidazione viene operato dai tre maggiori istituti pubblici che, in pratica, è come dire con i soldi di tutti gli italiani [...]. Il 17 giugno 1974 a Padova nel corso di una incursione in una sede missina resteranno uccise due persone, sarà la prima azione mortale delle Brigate Rosse, nello stesso anno grazie a un infiltrato, ‘frate mitra’, i carabinieri del generale Dalla Chiesa arresteranno Franceschini e Renato Curcio della direzione delle Brigate Rosse, le quali continueranno imperterrite a uccidere. In questo clima noi cercavamo di fare cultura, Dino Audino della Savelli aveva aperto la collana ‘Il pane e le rose’ editando molti libri scritti dai nostri compagni e simpatizzanti sul problema della musica del teatro e della cultura in generale, si discuteva sul ruolo dei cantautori che a Giaime Pintor non piacevano, non amava De Gregori, che definiva ermetico e intimista, pur concordando che fosse il migliore e più disponibile, ci trovammo spesso in conflitto, anche se con Giaime non si poteva litigare, talmente era dolce, solo una volta lo vidi arrabbiato, eravamo andati a pranzo dall’abruzzese, trattoria usata spesso dai compagni del giornale, e parlando avevamo criticato alcune compagne, qualcuna aveva origliato e pubblicato tutto il giorno dopo su «Lotta Continua». Non esistevano le intercettazioni, ma gli spioni sono sempre esistiti. Giaime Pintor con altri aveva fondato «Muzak», settimanale di nuova musica, seguendo una sua intuizione musicale e scritto un libro: Libro bianco sul pop in Italia firmato come anonimo e nella dedica che mi fece scrisse: «A colui a cui devo fama, gloria, povertà e coscienza politica. Con riconoscente amore». Ovunque tu sia caro Giaime, abbiti cura, scusa e grazie di tutto. Si era aperta la contraddizione tra i costi di produzione della musica, gli organizzatori dei concerti e chi voleva entrare gratis sostenendo che la musica è di tutti, per cui organizzavano l’assalto alle sedi dei concerti; Si potrebbe sintetizzare che la teoria era di stampa alternativa e la manovalanza dell’autonomia. Io mi sentivo nel mezzo, perché vivevo la contraddizione di molti 57 artisti, sinceramente di sinistra, ma che non sapevano come arrivare a fine mese, gli Area lavoravano solo d’estate e dovevano fare i salti mortali per sopravvivere d’inverno, credo sia stata la vera spinta che ha fatto nascere i cantautori, lo stesso fenomeno che anni dopo ha dato vita agli attori monologanti: La necessità di campare tutto l’anno. Mauro Pagani, della PFM così ha sintetizzato la situazione: “il musicista rock è uno che cerca di comunicare le sue cose alla gente… e la musica è sua …nel momento stesso in cui si pone su un palco o in un disco diventa ‘nostra’ .. da qui in poi la musica rock nasce per essere per forza contaminata, usata e maneggiata … i concerti hanno bisogno di teatri, impianti voce, spese di spostamento e organizzazione, pubblicità; i dischi di sale di registrazione, organizzazione discografica, distribuzione, apparecchi per ascoltarli …” Insomma la musica aveva un costo, qualsiasi prodotto culturale per farlo necessitava anche di danaro, e non si poteva distribuirlo gratis. Amerika 58 Con Nancy andai negli Stati Uniti, a trovare i suoi fratelli, genitori e amici, non ci furono problemi per il visto, i comunisti non potevano entrare negli USA, io non ero mai stato iscritto a nessuna organizzazione comunista, eravamo extraparlamentari, ma non catalogati dalla CIA. L’aereo partiva da Parigi e Nancy pensò di farmi conoscere la città, solo che Elsa Morante mi aveva dato una copia de La Storia un suo romanzo di seicento pagine che mi appassionò talmente che uscivo di casa solo per comperare la classica ‘baghette’ con un po’ di formaggio e poi riprendevo la lettura... perdendo così la conoscenza di Parigi e delle sue follie, povera grande Nancy. All’areoporto di New York ad attenderci c’era una macchina che dire lunga è dire poco, il padre aveva anche una Opel 1900, cioè una macchina che loro consideravano piccola, da usare per gli spostamenti veloci, la benzina costava cento lire a gallone cioè cinque centesimi di euro per quattro litri di benzina! Restammo quindici giorni nel Bronx, e in quel periodo ci furono sei morti solo alla nostra fermata del metro, anche se a noi non successe mai nulla, andammo a visitare Manhattan dove mi impressionarono molto le decine di barboni stesi su cartoni sopra i soffioni di aria calda, emessi dagli impianti dei grattacieli, andammo a incontrare le Pantere Nere nel centro di Harlem, riuscii ad acquistare i diritti per distribuire in Italia un film su Alcatraz, l’isola prigione di massima sicurezza, realizzato dalla Firestone, andammo a trovare uno zio al sessantottesimo piano del Rockfeller Center, arrivavi che non sapevi dove fosse lo stomaco talmente era veloce l’ascensore, nell’ufficio grande come l’atrio di una stazione lo zio stava giocando a golf. Andammo anche a Boston dove la sorella di Nancy studiava all’università, rimasi impressionato dai campus universitari e dai cimiteri a cielo aperto e andammo a Martha’s Vineyard l’isola dei Kennedy; mi colpì molto che tutte le case fossero fornite di apparecchi per rompere i barattoli, il vetro e altro e farne dei cubi da depositare negli appositi contenitori all’ingresso, gli ecologisti italiani avrebbero dovuto fare un corso nella vituperata America. Litigammo e io mi misi a fare l’autostop, non sapevo cosa fossero le carte di credito e non conoscevo una parola di inglese, chissà dove pensavo di andare, mi ritrovarono e mi fecero fare un giro sul Pacifico, inteso come oceano, io non sapevo nuotare ma mi buttarono in acqua con una tavoletta e regolarmente arrivavo a riva, una sensazione magnifica. Possiedo ancora un cartellino che mi è stato regalato con su scritto ‘Bike route’ e il disegnino di una bicicletta, io lo leggevo come è scritto e lo facevo spesso perché l’isola era piena di quei cartelli, probabilmente 59 facevo tenerezza oppure pensavano come sono stupidi questi italiani; Si perché si usa generalizzare e per colpa di uno… diverso è per i meriti quelli sono individuali. Facemmo pace scopando un pomeriggio in piscina all’aperto. Non ero riuscito a imparare una parola di inglese, forse avrei dovuto preoccuparmi, ma stavo bene, avevo visto posti magnifici, incontrato gente meravigliosa, scoperto mondi diversi, facevo bene all’amore, non avevo di che preoccuparmi, dovevamo decidere solo quando fare la rivoluzione; e nel frattempo sentivo di condividere le parole del musicista statunitense John Cage : A tutti coloro che ci odiano, che gli USA possano diventare soltanto un’altra parte del mondo; non più, non meno. Con Nancy la storia finì probabilmente perché grazie a lei avevo scoperto il sesso, mi aveva chiesto di sposarla, poi forse per timidezza aveva aggiunto: altrimenti devo tornare a casa in America, non mi rinnovano più il permesso di soggiorno... Risposi: «Non ti preoccupare io faccio l’organizzatore...». Convinsi Goffredo Fofi, ‘l’enfant prodige’ del cinema italiano, lo chiamavano i francesi, a sposarla. Lui lo fece una mattina di buon’ora, mi proibì di partecipare al matrimonio e poi mi tolse il saluto, io avrò senz’altro sbagliato ma lui era maggiorenne e liberissimo di rifiutare. Si ripetè la domanda di matrimonio con Karin e pure la motivazione altrimenti non mi rinnovano il permesso di soggiorno... e devo tornare in Germania, anche la mia risposta fu uguale: «Non ti preoccupare, di mestiere faccio l’organizzatore...». Essendo Karin più disinvolta il problema divenne probabilmente di dominio pubblico perché una mattina trovai nella sede dei Circoli Ottobre Alex Langer che mi stava aspettando. Con Alex ci vedevamo spesso era venuto anche a mangiare da me quando stavo dalla Nancy, ci eravamo incontrati anche a Trento all’università, mi piaceva come persona e poi andava in moto e collaborava con Dario Fo, traducendo dall’italiano al tedesco le sue opere, ma non avevamo un grande rapporto, probabilmente lui era troppo colto e viaggiava a volte su un pianeta diverso, per cui mi sorprese la sua visita. Come mi sorprese molto di più anni dopo, la sua morte, la morte di un parlamentare e leader europeo che si scopre solo senza risposte. Quella mattina era molto preoccupato perché Sofri gli aveva detto che avrebbe dovuto sposare Karin e lui non se la sentiva di sposarsi, ma non sapeva come dire di no ad Adriano. Anzi disse che non poteva dire di no ad Adriano. Gli dissi di non preoccuparsi, d’altronde facevo l’organizzatore, e chiesi a Giaime Pintor di sposare Karin. In questo caso vennero fatte le cose in grande. Ci fu una festa in un ristorante di Trastevere, intervennero tantissimi compagni, lo stesso Luigi Pintor, fondatore de «il manifesto» e molto 60 altro, Francesco De Gregori e Giovanna Marini con Paolo Pietrangeli, Fulvio Grimaldi, di ritorno dall’Irlanda dove Lotta Continua era molto conosciuta, dopo il pranzo andai con Guido Continenza e i compagni della diffusione del giornale in un parco a chiacchierare e seppi solo in serata che meravigliati dall’assenza di Lidia Ravera andarono a cercarla e scoprirono il tentativo di suicidio. La diffusione del giornale era quasi un corpo separato, «Lotta Continua» andava in stampa sempre all’ultimo momento e spesso in ritardo e loro facevano l’impossibile per recuperare i ritardi e consegnare in tempo le copie per la distribuzione; una volta per cercare di capire accompagnai Sandro, che doveva portare i pacchi del giornale all’aeroporto, facemmo in undici minuti un percorso che normalmente ne richiedeva quaranta, pazzesco e a volte succedeva che si perdevano gli aerei e allora chi c’era doveva partire, come nel caso di Zamarin, e cercare di distribuire almeno in parte il giornale, altrimenti tutto il lavoro sia politico che economico per farlo, sarebbe stato inutile. Avrei dovuto pormi il problema del perché non mi volevo sposare... ma nessuno mi sollecitò e continuavo a vivere alla giornata a dare e prendere senza aver chiaro cosa volessi fare e soprattutto dove volessi andare. Ci pensai a lungo quando Lionello Massobrio, capo dell’amministrazione riferendomi di una riunione con quelli de «il manifesto» per la raccolta fondi ‘Armi al MIR’ a favore della resistenza cilena disse testualmente: «non ti preoccupare tanto quelli dopo la rivoluzione li facciamo fuori», ‘quelli’ erano i compagni de «il manifesto». Qualcosa non funzionava. Il 6 maggio 1976 ero con Karin a Mestre per trovare i miei genitori, e organizzare uno spettacolo per Alessandro Panagulis l’eroe greco morto il primo maggio in un incidente sospetto, quando ci arrivò la notizia e le immagini del terremoto del Friuli, breve giro di telefonate e si organizza una squadra e in nove compagni di Venezia e Mestre si parte come volontari a portare solidarietà e soccorsi ai terremotati del Friuli. Quello che ci colpì di più fu il fatto che i soldati, in una zona piena di caserme e di installazioni militari, per tre giorni restarono chiusi in caserma, noi arrivammo per primi in paesi sperduti, subimmo le scosse di assestamento, scavammo con le mani, raccogliemmo salme e distribuimmo coperte, acqua e solidarietà e poi dopo tre giorni e tre notti intensissimi su un mezzo dei Vigili del Fuoco partimmo per Mestre. Io dovevo tornare a Roma e Karin ne approfittava per passare da casa lavarsi e prendersi qualche vestito. Eravamo su un furgone FIAT dei Vigili del Fuoco, in tre davanti, Karin in mezzo, a un certo punto mi strattona la spalla perché mi ero addormentato con la testa fuori dal finestrino, deve essere stata quella pillola che ci hanno dato contro le infezioni a intontirmi, oltre alla fatica di quei giorni, mi riprendo e vedo il furgone che va tutto a sinistra contro il guard rail, urlo e il vigile sterza tutto a destra e ci ritroviamo in un fossato, pochi metri e saremmo andati a sbattere contro un muro, probabilmente si stava appisolando anche il vigile del fuoco, anche a lui devono aver dato la pillola. 61 Arrivano i soccorsi e ci portano all’ospedale di Palmanova, ricoverano il vigile con rottura della mandibola e non so cos’altro e Karin, che si scoprirà avere il bacino rotto, una ferita alla testa su cui verranno messi ventitre punti di sutura e altre contusioni. Io mi sento quantomeno sano ed esco dall’ospedale, una volta assicuratomi che tutto fosse a posto, appena fuori crollo, avevo una storta alla caviglia destra e non riuscivo ad alzarmi in piedi. Mi trovavo davanti all’ospedale di Palmanova, strapieno di feriti e terremotati, senza una lira, non conoscendo nessuno e non sapendo cosa fare, non avevano ancora inventato i telefonini e neppure le carte di credito e se lo avevano fatto io non le avevo, mi si avvicina un signore dall’aria preoccupata, deve aver visto o intuito, gli spiego la mia situazione e si offre di ospitarmi a casa sua. Due anziani genitori mi accolgono come il figliol prodigo, mi procurano le stampelle e mi offrono un minestrone buonissimo, abuso di questa ospitalità per una decina di giorni, rischiando pure di incendiargli la camera perché preso dalla stanchezza mi sono addormentato con la sigaretta accesa la quale ha incendiato un po’ di coperta e lenzuola, non ho mai ringraziato abbastanza questa famiglia, se leggono queste righe sanno che mi ricordo con affetto di loro, nell’emergenza si vede la sostanza profonda degli italiani che sono fondamentalmente buoni e genuinamente disponibili. Karin fu poi ospite di mia madre e mia sorella per tre mesi finché non si rimarginò la ferita al bacino. I Circoli Ottobre 62 Non era facile fare cultura, Lotta Continua per prima considerava i Circoli Ottobre una struttura di finanziamento, eravamo sopportati ma non supportati, cercavo di mediare, collaboravo con l’amministrazione centrale e con Michele Guidagli e Ettore Camuffo che si occupavano di quadri e grafiche e cercavo di farle acquistare dai miei artisti o di organizzare mostre: famosa quella per le ‘Armi al MIR’ a favore della resistenza cilena. Abbiamo prestato il nome e offerto le garanzie per organizzare i viaggi in Portogallo, per incontrare i protagonisti della ‘Rivoluzione dei garofani’ e dove Lotta Continua aveva aperto una specie di ambasciata, hanno continuato a cercarmi per anni, volevano da me una marea di soldi, non ho mai potuto mettere piede in Portogallo. La ‘Rivoluzione dei garofani’ fu il colpo di stato attuato dai militari dell’ala progressista delle forze armate portoghesi che pose fine al lungo regime autoritario di Antonio Salazar e che portò al ripristino della democrazia. Abbiamo organizzato una tournée al sud d’Italia con Francesco De Gregori, dove gli incassi andavano metà a Lotta Continua e metà ai Circoli Ottobre, in più Francesco, oltre a non percepire una lira, si era fatto mettere a disposizione dalla RCA, la sua casa discografica, una macchina con autista, si era imposto un biglietto d’ingresso a mille lire. Per non avere problemi avevo noleggiato dalla Davoli, una delle più importanti ditte di diffusori sonori, un furgone con tutta l’attrezzatura e un tecnico, che poi risultò essere lo stesso giovane Davoli. Dovevano essere nove date alla fine credo riuscimmo a farne sette, in macchina c’era l’autista, io, Francesco e Corrado Sannucci, cantautore romano amico di Marco Lombardo e della moglie Marina e figlio del Folk Studio Giovani, nonché collaboratore dei Circoli, che spesso apparentemente nei concerti riscuoteva più consensi di Francesco. La prima data vicino a Civitavecchia andò bene, grande pubblico con un entusiasmo da stadio, ma nessun particolare problema, a Pescara in un palazzetto da duemila posti ci saranno state almeno tremila persone stipate all’inverosimile. De Gregori sentiva la tensione ed era arrabbiato per il troppo pubblico e un po’ preoccupato per l’entusiasmo che sentiva eccessivo, quasi come lui fosse una star vera e non un compagno che cantava canzonette, ma scese sul palco accolto bene fino a quando non intonò: Giovanna era la migliore... lo faceva per poche lire... fummo assaliti dalle femministe, il problema era che molte erano del servizio d’ordine e per fermarle dovettero intervenire in forze i maschi non solo del servizio d’ordine e Sannucci con le canzoni militanti... riuscimmo a terminare il concerto e scappare in direzione di Roma. Per risparmiare o si tornava a casa, visto che avevamo la macchina 63 pagata o si dormiva in una camera da tre letti io e Francesco in quello matrimoniale e Corrado nel singolo con l’obbligo di addormentarsi dopo di noi. Ora è, purtroppo era, un affermato giornalista sportivo di «la Repubblica», all’epoca un militante politico, cantautore impegnato, studente di medicina dalla corporatura enorme lo si potrebbe definire l’orco buono e russava come un orco ubriaco, quasi come me ora. A Bari andammo a dormire al Jolly hotel. Arrivati a Bari, Davoli, che arrivava prima su piazza per montare l’impianto, ci segnala che sono previsti due concerti, uno anche alla sera, era domenica e avremmo dovuto rientrare in serata, De Gregori va su tutte le furie, sia per la doppia recita sia per il prezzo del biglietto fissato a milleduecento o addirittura a millecinquecento lire entrambe le cose non concordate ed estranee allo spirito dell’iniziativa. Alla fine facemmo le due repliche, non avevamo alternative il pubblico premeva... e iniziava a rumoreggiare... fu un successo entusiasta, pubblico in visibilio al di là di qualsiasi aspettativa... Fu la consacrazione per Francesco De Gregori, la sua fama era al massimo e sarà confermata dal successo di Rimmel, l’ellepi uscito quell’anno. Molti lo consideravano antipatico, saccente o indisponibile, in realtà, De Gregori, era proprio una bella persona, autenticamente di sinistra, attento a non farsi strumentalizzare e non facile a offrirti confidenza. Era stato tra quelli che saranno definiti ‘gli angeli del fango’, quei giovani barbuti andati a Firenze per salvare i libri. Aveva partecipato alle manifestazioni contro la guerra in Vietnam e aderiva con sincerità a una quotidiana battaglia per cambiare la società, solo che amava scrivere e cantare canzoni, e questo chissà perché gli portava l’accusa di opportunismo, avrebbe dovuto fare come molti suoi colleghi, che dopo il primo successo, evitavano le piazze. Malgrado alcune contestazioni perché la musica doveva essere gratis e molti giovani non siano potuti entrare, essendo tutto esaurito, noi arrabbiati con i compagni della sede di Lotta Continua e del Circolo Ottobre, ci prendemmo il lusso di dormire in un hotel serio, ma dovetti disdire le tappe successive e litigare per avere dai compagni di Bari la quota spettante a Lotta Continua nazionale. Fu un comportamento inqualificabile che avrebbe dovuto aiutarmi a capire che i tempi stavano cambiando e la gente stava peggiorando, stava avanzando l’individualismo e anche alcuni compagni se potevano ti fregavano. Scrive Francesco De Gregori su Re Nudo : “… i compagni di Stampa Alternativa evidentemente ignorano che i problemi e le contraddizioni della musica italiana sono gli stessi che a un livello ben più grave, generano tutti i ‘fattacci’ del capitalismo, dalla cassa integrazione, al licenziamento dei lavoratori della Volkswagen, dalla condanna del compagno Marini, alle bombe fasciste. … se qualcosa si può fare per la musica di oggi credo che sia cercare di elidere al massimo la frattura creatore-consumatore. … dobbiamo in parole povere conquistarci un pubblico … ai compagni di stampa alternativa vorrei dire che spero che in futuro limitino il più possibile la loro dose di ‘adamantina incazzatura’ e si muovano su un terreno forse meno esteticamente rivoluzionario ma più realista. ..” 64 Scrive invece Ligi Manconi in arte Simone Dessì: “… I nostri critici,quindi, l’illustre Pintor, il lepido Castaldo, l’aggrondato Renzi – ansiosi come sono di passare dall’arma della critica alla critica delle armi contro Francesco De Gregori- rischiano poi di farsi ‘scavalcare a sinistra’ perfino dai più consunti vociani…” e nella polemica con i colleghi di Muzak disse: “ … Quello che, a questo punto, verrebbe da proporre sarebbe una ‘grande conciliazione’ tra i ‘leggeri’ e i militanti’ ; ai primi ne potrebbe derivare, di buono, una maggiore capacità di agganciare il proprio ‘poetare e musicare’ ai problemi reali delle masse, … ai secondi una maggiore capacità e duttilità nella comunicazione, nell’individuazione di un nuovo linguaggio, nella scoperta dei contenuti che richiede quel pubblico di massa che affolla i concerti.. . Contraddizioni senza fine, probabilmente non si riusciva a perdonare a De Gregori che non si accontentasse di essere bello e colto, pretendeva pure di avere successo, senza capire che il successo lui non lo aveva cercato, gli era arrivato perché i giovani si riconoscevano in quello che cantava. Il 1975 è anche l’anno della morte di Giovanni Zibecchi a Milano e Tonino Miccichè a Torino, ucciso da una guardia giurata nel quartiere operaio della Falchera, Tonino oltre che un compagno di Lotta Continua era anche un amico, vado nella sede di Lotta Continua di Torino in corso San Maurizio e incontro il responsabile, Giorgio Pietrostefani, che mi apostrofa così: «Che cazzo ci fai tu qui!». Probabilmente il ruolo imponeva anche un atteggiamento, in realtà Pietrostefani era molto meglio di come appariva. A Torino capitava di andarci spesso, per le riunioni, per le manifestazioni, per le attività del Circolo Ottobre, ma cercavo di stare alla larga dalla sede e da ‘Pietro’ normalmente andavo da Andrea Gobetti che si occupava delle attività dei Circoli e aveva una bella casa dove ospitarmi. È’ anche l’anno della fine della guerra in Vietnam, dopo venti anni di crescendo militare, di uso di armi batteriologiche, di napalm, dopo essere arrivati a impiegare fino a 535.000 soldati, gli americani si ritirano. Fanno il giro del mondo le immagini dell’ultimo elicottero che cerca di volare via con un grappolo di uomini appesi che cercano di fuggire da Saigon. Poi uccidono anche Alceste Campanile, compagno dei Circoli Ottobre di Reggio Emilia, riusciamo a organizzare un concerto con Francesco De Gregori e tanti altri, arriva uno in carrozzina che mi chiede se può partecipare, accompagno sul palco lui e la carrozzella è Pierangelo Bertoli. Era bello Alceste, a volte ci giocava sopra e faceva il figo con i ray ban, gli occhiali americani di moda all’epoca, suonava la chitarra e faceva il Dams a Bologna, discipline artistiche, aveva ventidue anni e tanti ideali, il mondo davanti e la convinzione di poterlo cambiare, amava la musica e le 65 canzoni di De Gregori. Viene ucciso con due colpi di pistola il primo lo riceve alla nuca e esce dalla fronte... il secondo al cuore è inutile... almeno per uccidere.... Ci sono coinvolti elementi di AN intesa come Avanguardia Nazionale sempre di destra ma da non confondere con Alleanza Nazionale di Fini, colpi partiti dalla pistola del Bellini, il cui padre ha rapporti con settori dello stato noti come ‘apparati deviati’, forse per questo, per arrivare a questa verità si è passati per il sequestro Saronio, si sono ascoltate le parole del padre contro di noi, si sono dette e lette cose ignobili. Mi arriverà da Mestre una cartolina con la mia foto mentre intervenivo al concerto, una delle poche fotografie con un microfono in mano e sul retro una citazione da Mao, non il gatto di casa ma il presidente cinese idolatrato all’epoca dalla metà del mondo, che diceva: «Un rivoluzionario senza cultura è solo un ribelle». Aveva ragione il mio amico Mauro, ero solo un ribelle, anche se oggi mi è venuta in mano la carta del ‘ribelle’ dai tarocchi di Osho e tra l’altro dice: «La figura potente e autorevole di questa carta è evidentemente padrona del proprio destino [...] che sia ricco o povero il Ribelle è un vero imperatore poiché ha spezzato le catene [...] la gente ha paura una paura terribile di coloro che conoscono sé stessi [...]». Pietrostefani lo ritroverò a Venezia, anni dopo, per l’ultimo saluto a Checco Zotti, stupendo compagno e amico, stroncato dal cancro, era arrivato con ammiraglia blu e autista, il ‘Pietro’, perché Checco amava muoversi in treno anche se per l’occasione aveva dovuto accettare il carro funebre. Il miglior funerale della mia vita, sarà il mio, ma questo è stato grande. Agnese con tutti gli Zotti ed Ettore Camuffo furono magnifici. Ci trovammo in chiesa, perché uno degli undici fratelli era prete e non si poteva fargli un dispetto, poi al cimitero monumentale di Venezia all’isola di san Michele, viene messo sotto terra, in mezzo a una miriade di altre lapidi e a tante compagne e compagni, c’è anche mio padre in quel cimitero, lui è nella sezione di quelli che si fanno cremare, occupa meno posto è più discreto, ne approfitto e gli porto un fiore. A fianco ci sono Ezra Pound, Igor’ Stravinskij e ora anche Emilio Vedova. Poi si va tutti in un isola a mangiare e bere, forse più a bere. Ci sono tanti compagni da ogni parte, molti tedeschi, io mi lascio andare, bevo e racconto, rido anche, perché se uno ha conosciuto Checco non può non ridere ripensandolo, ma qualcuno si arrabbia non si ride ai funerali. Siamo figli di questa società e facciamo finta che la morte non faccia parte della vita e ogni volta ci facciamo prendere alla sprovvista, come per il sesso, come fosse solo una necessità per procreare e non una componente fondamentale per vivere e così si vive male e si finge di scandalizzarsi spesso. Quando arrivavo a casa di qualche compagno o perché ospite o per qualche riunione trovavo le finestre aperte, anche in pieno inverno o con temperature basse o tempo brutto, le finestre erano aperte, cercai di capire parlandone con Marco Lombardo il quale mi disse col suo sorriso 66 bonario, un po’ sghembo, che voleva dire che i compagni si facevano le ‘canne’ ed essendo io un dirigente non volevano lo sapessi e allora aprivano le finestre, per fare uscire, più che il fumo, l’odore. Ci misi un po’ a capire cosa fossero le ‘canne’ e Marco me ne fece subito una, il fatto che dovessero nascondersi mi sembrò pazzesco, da lì nacque l’idea di un Festival del proletariato giovanile dove affrontare questi problemi, che si materializzerà nel Festival di Licola. In una riunione preparatoria con i compagni de «il manifesto» e di Avanguardia Operaia dove io cercavo di spiegare il programma nei due palchi previsti – il palco 1 e il palco A – e avendo inserito Martin Joseph – che nessuno conosceva – sul palco più importante, Luigi Manconi disse che era mio nipote da Udine, questo determinò nei miei confronti l’accusa di nepotismo. Solo quando sentirono parlare Martin Joseph che intervenne per presentare il suo intervento al pianoforte, raccontando che era a Roma da molti anni come funzionario della FAO, ma amava la musica e il jazz e aveva già inciso molti ellepi ma non aveva ancora imparato bene l’italiano, ebbero ben chiaro che era inglese e non poteva essere mio nipote e neppure io il suo, per scusarsi cambiarono l’accentuazione del mio cognome e da allora diventai Màrtin all’inglese e non più Martìn alla veneta. Con Luigi Manconi, allora compagno di Lucia Annunziata che militava ne «il manifesto», fui protagonista di un altro episodio: eravamo con la macchina del padre di De Gregori, guidata da Francesco, io, due miei amici tedeschi, Hubi e Karin, Luigi e non so chi altro, ricordo che c’era una persona in più della capienza, ci fermarono i carabinieri all’altezza di Campo dei Fiori, mitra spianati, tutti fuori, mani alzate gambe divaricate, era il periodo del terrorismo e della RAF in Germania e con noi c’erano due tedeschi, in più Manconi aveva un’accusa di omicidio, per un vecchio fatto successo in Sardegna, ci tennero bloccati per un tempo immemorabile, finché un giovane carabiniere chiese a Francesco ma lei è quello del terzo reparto celere riferendosi alla canzone, De Gregori fece cenno di sì, senza il coraggio di rispondere e ci lasciarono andare. La settimana successiva i carabinieri si presentarono con i mitra spianati a casa della fidanzata di De Gregori nel quartiere San Lorenzo, per una perquisizione, questo era il clima. L’ultima volta che incontrai Luigi Manconi fu a Pieve di Cadore per l’ultimo saluto a Marco Lombardo Radice, tenuto da zio Pietro, il compagno Ingrao. Era l’anno che crollò il muro di Berlino, l’anno che nacque mio figlio e nacque anche suo nipote, il figlio del fratello Giovanni, che nessuno avrebbe mai pensato potesse diventare padre, quell’anno Marco Lombardo decise di andare, di lasciarci, il suo cuore si fermò a Pieve di Cadore e lì rimase, ai piedi di un’imponente montagna, la stessa che ammiravo da ragazzino, in un cimitero rude sotto una terra di sassi, per anni senza lapide e senza nome. 67 Mi dispiace molto che nel suo ruolo di sottosegretario alla Giustizia, Manconi, non abbia cercato di sperimentare un nuovo tipo di carcere. Continuiamo a riproporre lo stesso modello di galera rinascimentale, io farei dei villaggi, dei campus, obbligatoriamente chiusi, con campi di lavoro e scuole di lingua e corsi pratici per lavori utili, tipo falegname, idraulico o meccanico e una scuola delle religioni e un corso di educazione civica che insegni la convivenza civile. Mi piacevano le donne, pur avendo scoperto che esistevano anche gli omosessuali e di piacere anche a loro, Karin era giovane, molto bella con due grandi occhi ed era disinibita, molto disinibita, per un veneto imbranato come me, mi trasferii a vivere al quartiere Prati a casa sua, vicino a dove Giancarlo Cesaroni aveva lo studio-laboratorio di chimico, vederlo all’opera sembrava più un mago e pure ostico tra i suoi alambicchi polverosi. Su Cesaroni si raccontavano una serie di storie diventate leggende, che fosse stato molto ricco e avesse perso tutto giocando ai cavalli, che possedesse una scuderia per conto di ricchi arabi; avendo continuato a collaborare con lui fino a poco prima della sua morte, avvenuta a Roma nel 1998, posso dire che era una bella persona, probabilmente con tanti problemi e amava più la musica di qualsiasi altra cosa, non era ricco e non aveva arabi alle spalle e spesso neppure quei cantanti che aveva aiutato a crescere, non era un tipo semplice, ma si lasciava voler bene e ti ripagava dandoti retta. Ho anche cercato di ripulire il Folk Studio, Giancarlo mi ha lasciato mettere a posto il soppalco e cambiare la iuta che avrà raccolto la polvere di tutti gli spettatori passati in vent’anni, ma si è sempre rifiutato di aggiungere una telecamera con dei monitor e dei tavolini sul soppalco della sede in via Sacchi 3, ho partecipato però a delle serate memorabili con artisti ora famosi, ma allora assolutamente sconosciuti o quasi, come: Benigni, che faceva il Cioni Mario e ti lasciava interdetto quasi instupidito, Francesco De Gregori, che amava duellare sempre con qualcuno e a differenza che nei concerti si lasciava andare anche a qualche battuta, il fratello Luigi Grechi, indicato sempre come il fratello di... e non come un bravo folksinger, come in realtà è. Mario Schiano, che arrivava zoppicando e se ne andava barcollando per il troppo bere, Antonello Venditti, sempre a posto tutto a modino con gli occhiali scuri e qualche critica già pronta, Giorgio Lo Cascio, troppo legato a Francesco e Antonello non si è fatto una sua strada come avrebbe meritato, Stefano Rosso, col suo Letto 26 e il suo spinello sempre acceso. Mimmo Locasciulli, ‘il dottore’ sempre troppo preso dal suo Borsalino, Giovanna Marini, con quella voce e quel Treni per Reggio che ti faceva venire la pelle d’oca, Paolo Pietrangeli, che se una volta non faceva Contessa non lo lasciavano uscire, Ivan Della Mea e la sua cara moglie. Una Domenica pomeriggio arrivò Francesco Guccini, annunciato solo come Francesco, ci fu un passa parola e ci trovammo fuori tremila persone. Corrado Sannucci, molto amato con quelle sue canzoni che anticipavano lo slogan ‘Il personale è politico’, Fabrizio De André e tantissimi altri, molti dei quali ritrovai nella sera dell’ultimo saluto nel 68 seminterrato che Giancarlo aveva trovato dietro a via Cavour alle spalle del Colosseo. Ci eravamo lasciati da poco, quindici giorni prima era venuto a Torino in quello che credevo il mio teatro, per il concerto di Almeta Speaks, aveva iniziato ad annacquare il whisky, ma troppo tardi. Ciao Giancarlo abbiti cura! Molti anni prima ero andato a Genova da Fabrizio, accompagnato dalla figlia del grafico Sambonet e dal suo fidanzato, un compagno di Lotta Continua che mi ospitò nel suo soppalco in via Solferino a Milano e poi partimmo per Genova. De André abitava nel vecchio centro storico un appartamentino normale due stanze, bagno, camera e cucina, conosceva già i miei amici, ci accolse affabile, parlammo di lotte e di rivoluzione, lui ci intonò una canzone d’amore, di passione e speranza, gli chiesi di fare un concerto per noi e lui disse di sì, semplicemente sì. Ci risentimmo e concordammo la sua presenza a una manifestazione.spettacolo a Pontedera per gli operai della Piaggio in lotta, poi ritornò in altre occasioni credo anche in quello per Alceste Campanile. Alla fine di quel concerto mi disse quasi mi chiese: «Ora posso andare alla Bussola». Di quel concerto ho l’immagine quasi visiva di Edoardo Bennato che arriva a piedi con lo zaino sul davanti, la chitarra a tracolla e il tamburo dietro, aveva lasciato la Mercedes a tre chilometri per paura di contestazioni, mi ero preso lo sfizio di controllare perché non poteva essere arrivato da Napoli a piedi, con tutta quella roba sulle spalle. Feci un viaggio in Mercedes anche con Lucio Dalla, mi colpì il fatto che raggiungemmo la Mercedes con una ‘due cavalli’ e poi andammo da Roma a Bologna nella sua casa in via delle Fragole, a un certo punto mi chiese se volevo una birra, all’epoca non esistevano gli autogrill o ce ne erano pochi e non capivo, ma dissi di sì, lui si fermò e dal bagagliaio prese due birre, ci aveva inserito un frigo bar nel bagagliaio della sua macchina, d’altronde con tutto il tempo che passi in auto devi farti furbo; mi tornarono in mente le parole di Antonello Branca che raccontava di un Lucio Dalla ragazzino che suonava agli angoli delle strade o fuori dai ristoranti per ragranellare qualche soldo. Con Antonello Venditti andammo invece un venticinque aprile a fare un incontro in provincia di Roma sulla Resistenza, ovviamente fece anche alcune canzoni al pianoforte, al ritorno finimmo in un fossato con la sua Renault 5 Alpine, per fortuna il sindaco ci venne in soccorso. Fabrizio De André tornai a trovarlo in moto con Claudio, un caro amico con casa a Velletri dove si produceva la velletrana, l’erba un po’ strana. Andammo con la sua moto, una Guzzi 850, a Tempio Pausania in Sardegna dove c’era anche Dori Ghezzi, che era una meraviglia, sempre attenta, disponibile, lo amava di un amore vero, intenso, forte. Lo seguiva lo proteggeva, lui ci fece visitare la tenuta, ci portò a vedere le mucche e ci illustrò con orgoglio il meccanismo a discesa per dargli da mangiare, ci 69 parlò dell’isola e dei sardi con grande amore, malgrado tutto, mangiammo all’aperto in un clima di totale serenità e allegria. Andai a un suo concerto a Viareggio, usava un camper come camerino e per poter affrontare il pubblico si bevette quasi una bottiglia di whisky poi finiti i bis, rientrato in camerino, si mise due dita in gola per cercare di liberarsi di un po’ di alcool. Lo rividi al concerto con la PFM, la Premiata Forneria Marconi, dove c’era anche Davide Riondino, ma lo salutai un pomeriggio a Milano a casa sua in zona Fiera, dopo il padre gli era morto anche il fratello, stava riprendendo a bere e facemmo strane considerazioni sulla vita. Dice De Andrè a Claudio Bernieri: “… Io come sono andato alla Bussola, sono andato a cantare a Lotta Continua, mi sembrava abbastanza doveroso farlo io riuscivo a tirar fuori i soldi da una parte e li andavo a far fare a gente che non ce li aveva, che mi sembrava combattessero cause giuste … se io non avessi avuto il problema dei denari … probabilmente sarei andato gratis dappertutto . Mi sento più tranquillo, più a posto, probabilmente perché non sono molto sicuro di me”. E aggiunge :” Io faccio delle canzoni per mestiere, e non è stato il denaro a farmi allevare vacche, te lo giuro; se poi allevare vacche mi darà la possibilità di levarmi dai problemi economici, meglio, però lo faccio per passione.” Ciao Fabrizio e grazie. Con la sede romana di Lotta Continua non avevamo molti rapporti e spesso erano tesi, i responsabili erano Giorgio Lovisolo e Erri De Luca, che così ricorda quegli anni: [...] A Roma avevamo più punti di ritrovo e più militanti che in qualsiasi città d’Italia. Con un torinese, Giorgio Lovisolo, ero incaricato della gestione della sede. Mi occupavo del servizo d’ordine, che contava centinaia di ragazze e ragazzi. L’urgenza era l’antifascismo e noi lo facevamo sul campo. La gioventù dispersa trovò in Lotta Continua fiducia e coordinamento, le adesioni crescevano. [...] Noi i fascisti a Roma li abbiamo sconfitti. [...] Dopo il delitto del Circeo facemmo una manifestazione, molto ben inquadrata, nei Parioli neri: non fummo attaccati perché eravamo inattaccabili [...] difendevamo le occupazioni. Dovevamo essere numerosi come gli agenti. Per cacciarci da Casalbruciato e dalla Magliana dovevano mobilitare truppe dal resto d’Italia, compreso il secondo celere di Padova, con cui sentivamo di avere un conto in sospeso a nome di quelli che ci avevano preceduto: ci siamo battuti bene anche pensando ai morti di Reggo Emilia del luglio Sessanta e a piazza Statuto. Loro concepivano la cultura solo come un mezzo per fare soldi e gli intellettuali dovevano mettersi al servizio della politica. Paolo Liguori ora responsabile di “Studio aperto”, faceva parte del ‘Gruppo degli Uccelli’ e si vantava di aver cagato nel salotto di Moravia, non mi sembrava una bella cosa, ma mi guardavo bene dal dirla. 70 Come mi sono guardato bene dall’intervenire quando Carlo Panella ritornò dall’Iran facendo un racconto entusiasta di Khomeyni e della sua rivoluzione, riuscendo a far schierare a suo favore l’esecutivo di Lotta Continua, a me i fanatismi non sono mai piaciuti e ha iniziato a confermarsi in me l’idea che qualcosa non funzionava. Come non andava bene che Paolo Buffo, il vice di Massobrio all’amministrazione, una sera a passeggio per Trastevere mi consigliasse di lasciare perdere la Karin che è una leggera, la dà a tutti. Che poi Karin amasse scopare ed essere scopata era un problema suo e al massimo mio e lo fu quando accettò il corteggiamento del fratello di un mio amico. Con Paolo diventammo poi dei grandi amici, al punto da condividere l’appartamento lasciato libero da Mauro Rostagno in via Laura Mantegazza e poi un pezzo di vita. Un racconto di questo tipo non può essere lineare e neppure puntuale, anche se vero, accennavo prima al Festival del proletariato giovanile detto poi semplicemente di Licola, zona sul mare vicino a Napoli. L’organizzazione era a carico di Lotta Continua, «il manifesto» e Avanguardia Operaia, lo spazio fu individuato e ottenuto da Paolo Scabello, col quale feci due sopralluoghi, Paolo era un bravo, anzi geniale compagno di Lotta Continua di Roma e per ironia della sorte morì a Milano al Parco Lambro, a una festa di «Re Nudo» durante il servizio militare. A Licola, c’era il mare, una sabbia fine molto fine che sembrava polvere che spesso diventava polverone, una squadra medica coordinata da Marco Lombardo Radice, uno spazio musica con una radio, diretto da Giaime Pintor, uno spazio di e per le donne, due palchi: uno principale programmato con gruppi e cantautori conosciuti, e uno secondario lasciato a disposizione di chi voleva suonare, o intervenire, ma per non offendere nessuno chiamati palco uno e palco A. Massimo, giovanissimo compagno romano, che diventerà un bravissimo datore luci a teatro, prima di morire per una rara malattia, accompagnò suo padre Umberto Terracini, grande e storico esponente del Partito Comunista Italiano, accolto con piacere anche da chi non era d’accordo. Riporto alcuni frammenti di cronaca di quei giorni: Giovedì 18 settembre sulla spiaggia pineta di Licola-Napoli incomincia la prima Festa pop organizzata dal Movimento degli studenti la apre Janis Joplin con due ore di ritardo incomincia la musica dal palco centrale diecimila persone affondate nella sabbia tollerano Guido Dazzon Trio [...] applaudono Paolo Pietrangeli dimostrando tradizionalismo spettacolare ed entusiasmo politico in parti uguali [...] al mattino si piglia il sole sulla spiaggia, nudi, sia i ragazzi che le ragazze poche ma decise a sfatare il mito di ‘Concettina-che-sta-velata-anche-dietro-la-finestra’. Suona il Canzoniere del Lazio e in trentamila si scatenano in una sfrenata tarantella [...] nella radura, uno spiazzo di terra polverosa nella pineta, che porta il nome di ‘Spazio dibattiti’ continua la discussione sulla musica [...] per il dibattito sulla sessualità la radura trabocca. Omosessuali, femministe, ragazzi, ragazze 71 nessuna curiosità morbosa nessuna pruderia si parla di tutto, il personale è politico [...] Ore due del mattino seimila persone tutte sveglie a vedere un audiovisivo sull’aborto a cura del Circolo La Comune [...] alle dieci del mattino ricominciano radio, dibattiti, cortei slogan [...] Dal palco centrale Toni Esposito risveglia gli entusiasmi sopiti da Pierino Nissim del Teatro Operaio [...] Giorgio Gaslini improvvisa un autoelogio della sua democrazia e poi esegue alcuni canti rivoluzionari [...]. Ovviamente grande successo per il Gruppo operaio di Pomigliano d’Arco, erano di casa, De Gregori venne ma dopo tre canzoni lasciò il palco al compagno Giorgio Lo Cascio, Alan Sorrenti interpretando alla lettera lo spirito del Festival, per venticinque minuti effettuò dei gorgheggi sonori e fu sonoramente contestato a iniziare dai suoi amici di ‘Stampa alternativa’, dovemmo far schierare il servizio d’ordine e fummo sommersi da scarpe e lattine piene di sabbia, Venditti preferì non presentarsi malgrado gli impegni presi. Alan Sorrenti in seguito dirà: “ … forse a qualcuno dava fastidio che avessi fatto Dicitenecello Vuje, e il grande successo ottenuto. Proprio perché si valutava il successo secondo un’ottica politica. L’Italia è il paese del non senso assoluto, e continua ad essere così in maniera più eclatante. A Licola non ho cantato assolutamente quel pezzo. Ho iniziato a fare vocalizzi. A proporre un set sperimentale … era il periodo in cui si stava abbattendo la forma canzone per trovare nuove forme espressive… E’ stata una brutta esperienza.” Non posso che esprimere ad Alan tutta la mia amicizia e solidarietà; Complessivamente ricordo un bel clima e finalmente la sinistra affrontò il problema delle droghe e del sesso, Vincenzo Vita dirigente di Avanguardia Operaia, successivamente diventato sottosegretario e responsabile media dei Democratici di Sinistra, dovette presentarsi all’università di Roma e fare autocritica per essersi fatto uno spinello. De Gregori in seguito scriverà: [...] il concerto di Licola è stato in assoluto il concerto da cui ho imparato più cose anche se ho suonato si e no venti minuti. Però non sono tutte rose e fiori per un concerto bello come Licola avrò fatto almeno dieci concerti in cui mi sentivo unicamente strumentalizzato [...]. Anche in Lotta Continua ci fu una certa turbolenza, ma l’iniziativa fu strenuamente difesa da Mauro Rostagno che fece un intervento entusiastico. Fu scritto: [...] Licola è stata la prima occasione per un incontro di massa che portasse alla luce della politica quelle tematiche fino a poco tempo fa relegate nel ghetto del ‘personale’ e che il femminismo ha imposto a tutto il movimento [...] per quattro giorni migliaia di 72 persone hanno fatto festa, hanno fatto musica, e soprattutto hanno fatto politica cercando di vivere in maniera collettiva [...]. Dopo di allora comunque nessuno ha più aperto le finestre al mio arrivo. Recentemente ho avuto il piacere di ritrovare un compagno di Avanguardia Operaia, Alberto Pugnetti, che mi scrive: [...] Bei tempi fantastici, quelli [...] davvero [...] ogni tanto ripenso a Licola e come inconsciamente diedi, credo a te, il mio ‘Maggiolino’ per portare da lì a Bologna il portoghese Josè Alfonso ( Grândola Villa Morena [...]) senza sapere nulla della persona alla quale affidai l’auto [...] roba che se adesso uno solo si avvicina alla mia macchina, chiudo le serrature [...] roba da matti [...] altri tempi. Per chi non li ha vissuti sono veramente difficili da spiegare quegli anni, ovunque trovavi grandi disponibilità e solidarietà, sapevi che un piatto di minestra e un letto non te lo negava nessuno e se facevi l’autostop sapevi che saresti arrivato tranquillo ovunque, uomo o donna che fossi e se ti rubavano in casa ed eri conosciuto nel quartiere potevi richiedere indietro la refurtiva e se ti rubavano il portafoglio in treno non potevi fare la denuncia perché non avevi più i soldi per la carta bollata, obbligatoria in quegli anni per qualsiasi cosa. Ricordo bene la sensazione di essere al centro di tutto, di vivere in un tempo dove tutto poteva cambiare. Con Dario Fo, Franca Rame e il loro collettivo i rapporti erano contradditori e a volte conflittuali, In un lungo documento sull’attività dei Circoli La Comune e sull’intervento culturale si dice: [...] riguardo al problema del ‘chi’ debba e ‘con chi’ si debba oggi svolgere il lavoro s’impone anzitutto di riprendere il discorso sui Circoli Ottobre di Lotta Continua. [...] che sono nati come un mezzo per l’autofinanziamento: subordinando a questo scopo il senso e il valore del lavoro politico sul fronte culturale. Questa visione miope e strumentale [...] s’è dimostrata fallimentare da ogni punto di vista. Sembra ora che questa impostazione sia stata posta sotto revisione critica [...]. Vogliamo insistere: eventuali contraddizioni in merito al lavoro culturale, tra le forze rivoluzionarie o tra gruppi diversi di produttori culturali, non possono a nostro avviso giustificare la rottura del fronte culturale, la separazione burocratica in diverse formule organizzative.[...] noi speriamo che i compagni di Lotta Continua, che ci hanno rivolto tra l’altro utili suggerimenti e critiche per il nostro lavoro, rivedano la loro posizione e decidano di rientrare nei Circoli La Comune, che con la loro presenza assumerebbero un aspetto più compiuto e una presenza maggiormente articolata in tutta Italia [...]. Lotta Continua non è stata in grado o non ha voluto recepire questo invito, a volte anche pressante, d’unione sull’intervento culturale e all’interno dei Circoli La Comune, egemonizzati da Avanguardia Operaia, si è riproposto il problema dell’egemonia politica sul lavoro del Circolo e 73 sul ruolo e il peso decisionale di Fo e Rame, e in un’infiammata assemblea trovatisi in minoranza, Dario e Franca decidono di proseguire da soli non concependo di essere estromessi dalle scelte politiche del Collettivo, ma stava proprio cambiando stagione In un documento molto lungo e sofferto Giaime Pintor scrive: [...] credo che la storia dei Circoli Ottobre vada ripercorsa per capire cosa intendo con ‘inutilità’. Quando i Circoli Ottobre ottennero la loro cosiddetta autonomia da Lotta Continua, cominciò un periodo proficuo di lavoro fra le masse giovanili, mentre rimase tradizionale sia la produzione specifica (della Commissione Cinema o del Teatro Operaio) sia il discorso di fondo sulla cultura [...] così l’autonomia da Lotta Continua stà diventando una diversità da Lotta Continua e rischia di trasformarsi in una divergenza da Lotta Continua [...] credo che da questo punto di vista Licola cominci a dare i suoi migliori frutti, a far circolare le idee, a globalizzare la visione del partito e dei militanti [...] la crescita del «Pane e le Rose» passa, necessariamente, per la crescita dei Circoli, per il rifiuto, che dobbiamo avere il coraggio di esprimere, di essere i gestori di una cultura che è il fantasma di se stessa, cioè, in ultima analisi, del giovanilismo [...] Il compito di «Muzak» [...] sia propriamente quello che ho negato essere del «Pane e le Rose». Un giornale di opinione e di massa, unitario e aperto, che tenti di analizzare l’insofferenza senza peraltro far scaturire la coscienza. Ecco sì credo che, «Muzak» sia solo uno strumento di crescita democratica, antifascista e tendenzialmente anticapitalista delle masse giovanili dei più sperduti luoghi d’Italia. La sua concorrenza con il «Pane e le Rose» avviene solo quando quest’ultimo perde i suoi collegamenti politici [...] A Radio Licola e al dibattito sulla musica non ho risposto all’attacco portatomi da Andrea Valcarenghi, (Re Nudo) specificando che ero lì come rappresentante dei Circoli Ottobre e non come direttore di «Muzak». [...] Rimane di fatto che, unitamente alla stanchezza generale e al bisogno che sento di organizzare diversamente la mia vita e la mia attività, troppe sono le divergenze di fondo e di concezione della battaglia politica che mi dividono dai Circoli Ottobre così come sono. E in particolare dal coordinamento nazionale in cui vedo pericolose prese di posizione volte a mantenere in vita una struttura, a mio avviso profondamente da cambiare, comunque sia e a qualsiasi costo [...]. Ho riportato stralci del sofferto intervento di Giaime per cercare di rendere la complessità del dibattito che portò alla chiusura del centro di coordinamento dei Circoli Ottobre il 4 agosto 1976, perché ritenevamo oramai conclusa la loro funzione, vista anche l’impossibilità di un diverso rapporto con l’organizzazione, non lasciando alcun sospeso economico, regalando tutte le copie dei nostri films e documentari al Circolo La Comune di Renzo Rossellini. Mesi prima un nostro simpatizzante e collaboratore mi aveva chiesto se poteva andare a lavorare in un nuovo quotidiano appena aperto ricordo 74 che gli dissi non ti preoccupare vai pure è tutta vita, era «la Repubblica» di Eugenio Scalfari, caro Sergio pensa se ti avessi risposto che la rivoluzione aveva bisogno del tuo aiuto... In realtà non riuscii a saldare, chiudere i conti con la Sviluppo e Stampa, la società che da sempre ci sviluppava la pellicola e ci faceva le copie dei films perdendo così anche migliaia di metri di pellicola girata da Pier Paolo Pasolini durante la preparazione del film 12 dicembre e non utilizzata dai compagni che parteciparono al montaggio. Pasolini fu anche direttore responsabile del quotidiano «Lotta Continua» e realizzò il film 12 dicembre ufficialmente per i Circoli Ottobre, in realtà fu una produzione tutta di Lotta Continua per rafforzare l’intervento sulla ‘Strage di Stato’ e il defenestramento dell’anarchico Pinelli alla questura di Milano. Un paio di volte fui ospite della sua casa-torre vicino a Viterbo, ricordo il salone delle riunioni con un tavolo lunghissimo, tante sedie e un grande camino sulla parete stretta, lui invece viveva nella torre alta, gli consentiva di pensare. Dopo la sua morte sua cugina mi invitò a casa sua nei pressi dell’EUR e mi chiese di occuparmi della fondazione che aveva intenzione di aprire e dedicare a Pier Paolo, rifiutai spiegandogli che ero un operaio della cultura, non avevo la preparazione e i mezzi, la cultura appunto, per occuparmi di una cosa così importante. Peccato perché probabilmente avrei utilizzato meglio la sua casa e le torri che ora sono abbandonate e sommerse dalla natura. Partecipai all’organizzazione del congresso di Lotta Continua di Rimini nell’ottobre del 1976, in cui esplose tutto il malcontento delle compagne e vennero a galla molte contraddizioni e si decise, Adriano Sofri decise, di sciogliersi nel movimento, io lo avevo già fatto con i Circoli Ottobre e non accettai di lavorare al quotidiano «Lotta Continua» e poi «Reporter» finanziato dal potere che fino a ieri contestavo. Andai a trovare Karin a Francoforte, nella sua Germania e partecipai alla battaglia contro l’apertura della terza pista dell’aeroporto per realizzare la quale sarebbe stata distrutta parte della Foresta nera, erano state costruite delle palafitte sugli alberi, ma non servirono a bloccare i lavori e neppure le ruspe che avanzarono imperterrite. Continuavo a vivere a Roma, il mio coinquilino e amico Paolo Buffo, lasciata l’amministrazione di Lotta Continua, aveva iniziato a fare il direttore di produzione per il cinema, io non riuscivo a trovare lavoro, una sera alla settimana veniva Marco Lombardo a cena con altri compagni e senza farsene accorgere lasciava il frigo pieno. La sinistra extraparlamentare si stava ammorbidendo e molti gruppi avevano deciso di partecipare alle elezioni mentre sempre più spesso si facevano sentire le Brigate Rosse malgrado avessero arrestato per la seconda volta Renato Curcio. E Giorgio Gaber cantava sui testi di Luporini: «avere una linea e unirsi attorno a un’idea / per confrontarsi / e decidere insieme la lotta / in assemblea [...] / tutto che saltava in aria e c’era un senso di vittoria / [...] tutto sembrava pronto per la 75 rivoluzione / ma era una tua immagine o soltanto un’invenzione / [...] / e allora ti torna voglia di fare un’azione / ma ti sfugge di mano e si invischia ogni gesto che fai / ci siamo sentiti insicuri e stravolti / come reduci laceri e stanchi, come inutili eroi / [...]. Il 1976 è anche l’anno della morte del presidente Mao e dell’arresto della moglie con la ‘Banda dei quattro’, l’Unione Sovietica era già in crisi da tempo dopo l’invasione di Praga, ad alcuni rimaneva Cuba e Lisa Foa a nome nostro si chiedeva cosa fosse andato storto nel nostro internazionalismo, ma molti non si fermavano più ad attendere la risposta. Per occupare il tempo e racimolare due lire mi sono messo a fare interviste ai cantanti, ne avevo fatta una a De Gregori e una a Claudio Lolli e tra l’altro sono andato alla CGD a Milano, l’etichetta discografica di Caterina Caselli e del marito Piero Sugar, per incontrare Loredana Bertè, che arriva nello splendore dei suoi primi ventisei anni con una minigonna che sarebbe potuta servire come bandana a Berlusconi, lasciandomi scoprire durante l’intervista che non usava mutandine [...] forse stava diventando un’ossessione. Così commentava Marco Lombardo Radice una mia intervista: caromartinholettol’intervistamisembra(laprimasensazionebada)infe riore(bruttaparola)quellasudiperdegregorimipiaceval’ideanonconosc olollieappenalesuecanzonipocopersapereilperchèmamisembraqualun quetuallevolteseimartinmaqualunquenonloseiquindisepensicomecred ocheneancheclaudioèqualunquec’èqualcosachenonvacirimettereitest aemaniprobabilmentenonlofaraieandràbenelostesso(nonc’eratempo vogliamanitesta) [...]. Così, senza spazi, per tutta la pagina... Sarei dovuto partire militare. Assaltatore dei Lagunari 76 Poco tempo fa mi ha cercato una giornalista di RAI2 per intervistarmi sul libro, Licenza breve, scritto con Stefano Micocci sul servizio militare, grazie allo stimolo di Marco Lombardo Radice, ed ebbi modo di dirle che personalmente ero contrario all’eliminazione della leva di massa, il servizio militare era un modo per unire questo paese, e ora sarebbe un modo per far integrare le diverse etnie che vengono a comporre l’Italia, il problema è dare un senso al servizio militare farlo diventare a tutti gli effetti servizio di difesa civile e in caso di necessità una vera protezione civile. Nel mio caso avrebbe dovuto avere un senso punitivo, essendo io schedato come di sinistra, mi hanno messo nel corpo scelto dei Lagunari, dove esiste un servizio di intelligence già a livello di battaglione, in modo da essere informati in tempo reale su tutto ciò che avviene e avere il controllo di ogni singolo militare. Mi sono studiato il regolamento e cercavo di applicarlo. Anche perché non potevo più fare molto affidamento sui ‘Proletari in divisa’, essendosi probabilmente sciolti come il resto dell’organizzazione. Avevo già ventisei anni compiuti il che significava che ero più grande anche dei sottotenenti che mi comandavano e avevo più esperienza della vita di loro. Grazie all’amicizia con un importante psichiatra di Verona sono riuscito ad aiutare alcuni commilitoni che proprio non riuscivano a sopportare la vita militare, qualsiasi cosa facessero, anche girare per il cortile trainando un piccolo carrettino in legno, non venivano creduti e venivano regolarmente puniti. Anche se dichiaravi di essere omosessuale che era all’epoca una delle poche condizioni per cui potevi essere esonerato, non venivi creduto ed eri poi sbeffeggiato in caserma e nelle camerate. Io venni punito per una sciocchezza e ritenendo la punizione ingiusta, convocai alcuni compagni al bar fuori della caserma di Malcontenta e concordammo che facessero delle scritte sui muri della caserma. Il caso volle che ci fosse l’ispezione di un generale, il quale vide le scritte e andò su tutte le furie, tutti pensavano che la responsabilità fosse mia, ma ero punito e in teoria chiuso in caserma, allora si sono inventati che quelli che erano stati puniti in settimana non avrebbero potuto usufruire dei permessi per il sabato e la domenica. Non potendo sopportare un arbitrio di quel genere il venerdì, usufruendo della libera uscita, andai a trovare il dottor Carlassara all’ospedale di Mirano, gli illustrai la situazione e mi feci dare cinque giorni di malattia, il massimo per un medico civile, e andai a casa dei miei genitori. Ero a casa di un’amica quando ricevetti la telefonata di mia sorella che mi avvertiva che ero ricercato dalla guardia militare, gli dissi di mandarli da me, cioè dalla ragazza che mi ospitava. Stavamo facendo una riunione per preparare il volantino da distribuire il lunedì mattina davanti alla caserma, per cui quando arrivarono i militari trovarono una stanza con parecchie persone e piena di fumo, perché 77 allora si fumava tutti, probabilmente anche chi non fumava faceva finta di farlo, per non essere da meno. Il sottotenente medico venne in camera dove mi ero messo a letto e gli passai il certificato medico, spiegandogli che era di un primario di medicina e membro del senato della Repubblica, lui mi fece il saluto militare, battè i tacchi e se ne andò, con la sua scorta armata. Rientrai in caserma il giovedì subendo lo sfogo del mio comandante di compagnia, ma con la soddisfazione di essere riuscito a reagire a un evidente sopruso. A volte capitava di dover fare delle esercitazioni in acqua, degli assalti con la baionetta in canna contro le sponde nemiche, regolarmente uscivo dalla riga dell’adunata, mi mettevo sull’attenti e quando il comandante mi dava la parola, spiegavo che non sapendo nuotare non potevo garantire di poter portare a termine l’operazione e normalmente venivo esonerato. Voi non ci crederete come non ci credette nessuno allora, ma io non sapevo e non so nuotare. Venni esonerato anche dal partecipare al picchetto che doveva rendere gli onori militari al senatore Amintore Fanfani, in piazza San Marco a Venezia, in quel caso spiegai che il picchetto andava effettuato col fucile con un colpo in canna, e avendo io sulle dita delle verruche poteva verificarsi che inavvertitamente partisse un colpo e colpisse, sempre per sbaglio, proprio il senatore Fanfani, in quel caso la responsabilità non sarebbe stata mia ma delle verruche... venni immediatamente esonerato dal servizio. Sono cose che ora fanno sorridere ma compiute in un mondo dove nessuno sapeva ridere e ogni volta rischiavi di essere mandato al carcere militare. Per il resto il servizio militare era noioso e inutile. Più volte a tutti coloro con cui riuscivo a parlare, a partire dal cappellano militare, cercavo di dire che bisognerebbe fare dei corsi di nuoto, di meccanica, di italiano o semplicemente di guida, tutto inutile eravamo bloccati a fare delle cose inutili e a guardare i marescialli che si imboscavano il cibo, prosciutti interi e forme di formaggio che finivano nelle macchine private e noi si mangiava da schifo, occultavano barche, moto e quant’altro e a noi saliva una rabbia impotente. I mezzi tipo i motori delle barche, le barche stesse o le moto venivano tenuti fermi in magazzino, fatti girare con cura una volta ogni tanto e poi messi all’asta dopo cinque anni, tranne gli interessati nessuno sapeva che non erano mai stati usati, venivano presi per due lire. Questo era il servizio militare e l’insegnamento che ne derivava. Mi piace ricordare che quando il mio sottotenente di leva dichiaratamente fascista si congedò mi disse: «Martin, se hai bisogno non farti problemi, nella mia piccola azienda un posto di lavoro per te ci sarà sempre!». Ho sempre creduto nella battaglia delle idee nel rispetto delle persone. L’ultimo episodio degno di nota fu la mia licenza durante il movimento 78 del Settantasette. Mi ero raccomandato col furiere di avere quel fine settimana libero, era venerdì e in attesa della libera uscita mi stavo fumando una sigaretta con altri commilitoni, dietro allo spaccio, quando arriva il comandante di compagnia e mi ordina di seguirlo dal comandante di battaglione: Attorno a noi si sentiva un’aria strana come di sospensione, da fermo immagine, strada facendo mi chiede cosa avessi combinato visto che erano stati ritirati tutti i permessi e sospesa pure la libera uscita a tutto il battaglione. Non seppi rispondere. La mia testa ribolliva e pensavo: qua si mette male; Facendo buon viso a cattivo gioco, andai nell’ufficio del comandante, dove attesi, attesi, venni fatto entrare, salutai la bandiera, salutai a lungo il comandante che avendo un piede ingessato tardava a rispondere al saluto e mi sentii chiedere dove sarei andato in licenza. Capito che era inutile tergiversare risposi a Bologna, sede appunto del Convegno del movimento del Settantasette, divenne paonazzo, inveì dicendo che avevano rotto già trentamila macchinette della Coca Cola (testuale), mi propose una licenza più lunga, la settimana successiva, mi mise in guardia contro il pericolo sovversivo, non sapevo cosa rispondere, credo di essere riuscito a dire che come io mi assumevo le mie responsabilità lui doveva assumersi le sue, mi era stato concesso un permesso lui poteva confermarmelo o togliermelo, avevo paura di trovarmi con un foglio di via per il carcere militare di Gaeta, mi trovai con in mano una licenza per Bologna. All’uscita della caserma c’era una mia amica in macchina ad attendermi, fummo fermati all’altezza di Padova da un posto di blocco che visto il mio tesserino e la licenza ci fecero il saluto militare e ci lasciarono andare senza perquisire la macchina. L’11 marzo del 1977 in via Mascarella a Bologna, nel corso di una manifestazione un militare spara, Francesco Lo Russo militante di una Lotta Continua che non c’è più, viene freddato da un proiettile vagante che non si troverà mai come la mano che lo ha sparato. La sua idea di uguaglianza, libertà e amore sopravviverà a ogni crimine, c’è scritto sulla sua lapide fredda e bianca. FOTO LO RUSSO Il movimento del Settantasette fu la ribellione delle periferie intese in senso globale non solo geografico, degli emarginati, dei dispersi delle ex organizzazioni rivoluzionarie, delle radio libere che in assenza di una organizzazione si erano fatte promotrici di eventi, di quelli in fuga dal 79 femminismo e di quelli che con le femministe ci convivevano, un gran casino a cui si aggiunse l’area dell’autonomia che lo portò successivamente alla disgregazione. Ebbe dei momenti di grande creatività e Bologna fu uno di questi. Arrivammo a Bologna che era sera inoltrata e ci imbattemmo nel concerto di Claudio Lolli, cantautore triste, noto per l’ellepi Aspettando Godot e la canzone Esistono anche degli zingari felici , c’era una miriade di gente dipinta, truccata, vestita da indiani e non solo. Andammo a dormire da Hubi, il mio amico tedesco che dimostrò in seguito di essere un tedesco di merda e non «di Germania», come lui amava dire, studiava medicina a Bologna. La dimostrazione di come si cambia nella vita, di come molti siano, crescendo, portati a rincorrere i piccoli interessi, le apparenze, il danaro e a perdere via via i valori e negare, rifiutare quello che sono stati i princìpi per cui hanno vissuto e lottato. Quei due giorni a Bologna furono intensissimi incontrai moltissimi vecchi compagni, tra cui Andrea Jemolo che si era messo a fare il fotografo e pubblicò una mia foto su «Ombre Rosse», Stefano Benni, i compagni dei Circoli Ottobre di Bologna e di Forlì. Ammetto che rientrare il lunedì è stata dura più volte ho pensato di non presentarmi, sarei stato un disertore, in quel caso probabilmente ha avuto il sopravvento il mio essere della vergine. Ambra la mia amica di Roma che aveva un negozio di vestiti usati in piazza San Cosimato, a Trastevere, di fronte al Teatro Argot, era sposata con un pezzo grosso dell’Esercito italiano e viveva in via della Lungara, tre vicoli dopo la mia celletta, che era stata la mia prima stanza a Roma, in una specie di villaggio militare, dove abitava anche Spadolini e il suo amante, quando era a Roma per il suo incarico di primo Ministro, mi risolsi di chiederle aiuto e grazie all’intercessione di suo marito ebbi una licenza di trenta giorni che passai a Roma, dove trovai un clima molto cambiato. Il giornale si era trasferito in via dei Mercati generali, al quartiere del Testaccio, molti compagni si erano dispersi o andati all’estero o tornati nelle loro case dai genitori con la coda tra le gambe cioè ammettendo la loro sconfitta, alcuni si erano uniti ai gruppi terroristici in particolare Prima Linea e altri si erano fatti prendere dalla droga e velleggiavano in giro per la città, facendosi dare cento lire dai passanti. Marco Lombardo Radice era andato chissà dove a fare il medico, probabilmente per fuggire il successo del libro Porci con le ali scritto a quattro mani con Lidia Ravera, «Muzak» era stata chiusa e Giaime si aggirava incerto sul che fare, tra una droga e un acido che io rifiutai di condividere; mi prese una grande malinconia ma non la piena consapevolezza della situazione. Ero a Roma anche il 12 maggio 1977, andai alla manifestazione promossa dai radicali per festeggiare il terzo anniversario del referendum sul divorzio, senza sapere che il ministro dell’Interno Cossiga aveva vietato qualsiasi tipo di manifestazione, c’era tantissima gente, bella gente, ma si 80 respirava un clima di tensione, si sparò, da più parti, si sparò, rimase sul selciato vicino a ponte Garibaldi, Giorgiana Masi una ragazza di 19 anni che non aveva sparato a nessuno. Poi si dimostrò, con foto e tanto di identificazioni che c’erano agenti in borghese che spararono, anche se i responsabili dell’assassinio non furono mai individuati... «[...] e poi primavera e qualcosa cambiò, qualcuno moriva, e su un ponte lasciò, lasciò i suoi ventanni, e qualcosa di più [...]» cantò Stefano Rosso. Versi che non addolciscono l’amaro intenso per la morte di una studentessa di neanche vent’anni e la mancanza di giustizia, l’impossibilità di sapere chi e perché ha sparato e un ministro che prima nega e poi è costretto ad ammettere e giunge a dire testuale: «[...] che in certi momenti ci sono cose che è meglio che non si sappiano» testuali parole di Franceso Cossiga. Guido Viale così ricorda quegli anni: [...] Adriano pensava di tornare a Torino, io allora per non stare con lui andai a Milano. L’organizzazione non c’era più. E poi io non avevo né soldi né lavoro, vivevo in una casa occupata, mi mantenevo con qualche traduzione. Il Settantasette fu una rivolta contro quanto era rimasto del Sessantotto: la politica, l’operaismo, l’ideologia, i gruppi. E furono proprio i residui del Sessantotto, gli autonomi, a stroncare la nuova rivolta. I ragazzi di Roma e Bologna percepivano le manifestazioni come spettacolo, la politica come teatro di strada; i cortei diventavano violenti perché arrivavano quelli della vecchia guardia, stavolta armati, a provocare scontri con la polizia, a cui gli indiani metropolitani certo non pensavano. Fu un movimento sterile; produsse solo una leva di brigatisti [...]. Qualcuno era andato in India, da Osho Rajneesh, nato e mai morto, come dicono i suoi discepoli, qualcun altro era tornato ‘arancione’ o era diventato monaco buddista, come un compagno di Modena che girava pelato con una tunica bianca ed emetteva una tale serenità che mi dissi: se tanto mi da tanto ha ragione lui, solo che non era nella mia natura. C’era anche chi come Ines Arciuolo era andata in Venezuela per fare la rivoluzione e scrive: [...] mi divertiva l’idea di lavorare per la rivoluzione usufruendo della retribuzione e delle tute della Fiat [...]. L’intenzione del Partito Sandinista era di dimostrare alle donne che era possibile anche per loro svolgere lavori specializzati. Gli operai ci chiamavano “cochonas” (lesbiche). Andai all’ospedale militare del Celio con la garanzia di altri quaranta giorni di convalescenza e uscii con l’ordine di recarmi immediatamente al mio battaglione. Piansi. Salutai Karin che doveva partire per il Perù con Giaime, abbracciai Paolo Buffo e presi il treno della notte per Venezia e il mattino successivo mi presentai a Malcontenta, lungo la Riviera del Brenta dove aveva sede il mio battaglione, mi avevano rubato anche la Lambretta 50. 81 È’ evidente che gli esponenti della nostra sinistra non, dico non, hanno fatto il servizio militare. Mi torna alla mente l’episodio di quel militare americano che ha ucciso l’agente dei servizi segreti italiani che stava portando la signora Sgrena, giornalista de «il manifesto» appena liberata, all’aeroporto di Bagdad per rimpatriarla in Italia. L’errore non è che lui, il giovane militare americano, abbia sparato. L’errore consisteva nel fatto che avessero lasciato lì quel posto di blocco e qualsiasi persona di buon senso avrebbe dovuto incolpare chi aveva dato ordini e disposizioni e non avesse informato quelli del posto di blocco del passaggio dell’ostaggio liberato: casualità. Il militare ha fatto quello che avremmo fatto tutti noi. Ha sparato prima sull’obiettivo e poi in aria, sfortuna vuole che ha colpito l’obiettivo. Tutti noi siamo stati addestrati per dire in caso di pericolo tre volte ‘Alto là’ chi va là’. Senza una risposta esauriente sparare in aria e quindi sparare sull’obiettivo. È evidente che in una situazione di pericolo tu saresti già morto prima ancora di aver ultimato di dire per la terza volta ‘Alto là’ chi va là’, è prassi che prima si spara e poi si chiede, è un elemento animale di sopravvivenza. Sto scrivendo queste righe che mi giunge la notizia che un militare italiano in ‘Servizio di Pace’ ha sparato contro una macchina che non si è fermata al posto di blocco uccidendo una bambina di dodici anni, l’aggravante in questo caso è che il militare italiano ha colpito la macchina da dietro cioè quando il pericolo in teoria era già passato... E nessuno però in questo caso ha nulla da dire... siamo in ‘Servizio di Pace’... Nel periodo in cui io ho svolto il servizio militare un sottotenente è stato ucciso per aver voluto verificare se il corpo di guardia faceva il suo lavoro alla polveriera, e chi ha sparato si è preso pure l’encomio! Il sottotenente non era più in grado di esprimere la sua versione dei fatti... Le guardie alla polveriera ma anche in altri posti definiti strategici duravano sette giorni nei quali facevi quattro ore di riposo e due di guardia, quattro ore di riposo e due di guardia, finivi che eri completamente rincitrullito. Nel mio periodo di servizio militare feci ben due guardie alla polveriera, non uccisi nessuno... ma nessuno venne mai a controllare se facevo bene la guardia... C’era una norma chiamata LISA, con disposizione di non applicarla, che prevedeva che se cadi anche con un solo giorno di malattia nell’ultimo mese del servizio militare, salti tutto il mese. Allora io mi presentai all’ospedale militare di Padova, mi feci togliere un neo dalla schiena – rischiando la colonna vertebrale – mi diedero dieci giorni di convalescenza, solo che all’atto del ricovero avevo sbagliato il mese di congedo e pertanto mi ritrovai con due giorni sull’ultimo mese di servizio e così lo passai tutto a casa. Al congedo ero l’unico in borghese avendomi, per regolamento, fatto consegnare tutta la mia dotazione quando sono entrato in malattia, con il 82 comandante che si rifiutava di congedarmi in borghese, ho rischiato di restare bloccato in caserma, poi hanno capito che non gli conveniva e mi hanno lasciato andare. Per leggere Marino Sinibaldi che così commentava quell’anno per quelli restati fuori: [...] l’azzeramento delle promesse di trasformazione [...] questo era il clima: quando c’è la catastrofe si diffonde una specie di allegria sconsiderata e festaiola [...] si giocava e si scherzava, si stava assieme tutto il giorno, si consumavano droghe leggere in modo del tutto allegro [...] Tra noi c’era una parte che stava solo sdraiata fra le margherite e c’era una parte che solamente sparava, però c’era una parte tra tutte e due le cose. Il vuoto De Gasperi insegnava che l’onore di un uomo politico non è un affare privato. Appunto per questo motivo, la DC avrebbe dimostrato saggezza allontanando da posizioni di potere tanti 83 uomini il cui onore era leso da colpe accertate, o da sospetti non infondati, o da manifesta inettitudine. In un paese che non riesce a processare gli attentatori di piazza Fontana e dove l’inquirente dispensa immunità, non si può aspettare la sentenza definitiva della magistratura per togliere dal governo, ad esempio, un boss indiziato di complicità con la mafia [...]. Sono le ultime parole scritte il 16 novembre 1977 su «La Stampa» da Carlo Casalegno padre di Andrea militante di Lotta Continua, che così commenterà: Quel che è successo a me personalmente è solo la conferma di cose su cui già da tempo riflettevo. Se mi chiedete il mio parere sul perché i compagni del Sessantotto possano finire a fare i brigatisti in quella assoluta disumanizzazione, io non ho una risposta pronta. Certo non è un problema di oggi, perché hanno colpito mio padre; già da tempo ci sono in giro degli atteggiamenti che portano su questa china [...]. Carlo Casalegno non potrà scrivere altri articoli e riflessioni, perché il giorno dopo, quattro colpi partiti dalla pistola Nagant, la stessa che aveva ucciso sempre a Torino l’avvocato Croce, impugnata dal brigatista Raffaele Fiore lo lascerà a terra agonizzante. Le BR avevano deciso di attaccare i giornalisti per cercare di farli tacere, a Genova Vittorio Bruno de «Il Secolo XIX», a Milano Indro Montanelli del «Giornale Nuovo» e a Roma Emilio Rossi direttore del TG1, le motivazioni le si possono leggere su «L’espresso» che pubblica stralci di un documento trovato in un covo delle BR: [...] è chiaro che la stampa di regime è uno strumento di guerra e gli squallidi intellettuali che la fanno funzionare non sono altro che dei luridi mercenari al servizio dello stato e delle multinazionali. Chi tra i giornalisti non si vuole schierare dalla parte di chi combatte lo stato imperialista non ha che da cambiare mestiere [...]. Non avevo mai conosciuto Andrea Casalegno o magari ci eravamo incontrati senza conoscerci, ma mi sentivo molto solidale con lui e mi rattristava sapere che molti compagni di Lotta Continua dopo la chiusura dell’organizzazione erano entrati in gruppi terroristici condividendo in qualche modo l’assassinio del padre. Finito il servizio militare, per un po’ sono stato a Mestre, il Bonfietti faceva il portiere di notte, Beppe Mantovan stanco di curare il cuore di ricchi e grassi signori era andato in Africa a fare il medico, Silvano stava diventando il direttore del personale della fabbrica dove era operaio, Marilena cercava di aprire una palestra per le donne, Mimma era diventata capo stazione e si stava trasferendo in Toscana, Beatrice si era sposata con un bel rito civile e le tette al vento e aveva trovato lavoro a Urbanistica, i Boato erano tutti sistemati, Michele si era sposato con Leda o con Maria e Leda faceva l’infermiera o viceversa, con Giorgio, ora giornalista alla «Nuova», ho organizzato i concerti degli 84 emergenti Gianna Nannini e Eugenio Finardi, riuscendo pure a perderci una parte dei pochi soldi che mi restavano. Avevo incontrato un mio ex compagno di scuola diventato militante di Servire il Popolo, gruppo marxista leninista diretto da Aldo Brandirali, che ora dirige Forza Italia in Lombardia, che mi aveva proposto di andare a fare alcune rapine, ma decisi di declinare l’invito. Agnese Zotti e Gigi Chiais dopo la militanza a Torino, avevano messo su famiglia a Venezia, Gianfranco Jannuzzi aspettava il reintegro a scuola, da dove era stato sospeso per aver fumato uno spinello, altri compagni si erano dispersi nel territorio, anzi nel mondo, visto che alcuni erano andati a Barcellona e altri ad aprire un ristorante sulla costa basca, io di finire l’università a Trento non potevo permettermelo, oltretutto avevo sempre rifiutato gli esami rubati o il voto politico. Decisi di tornare a Roma dove avevo sempre casa. Qui mi viene a trovare Gianfranco Bettin, al quale su sua pressante richiesta farò conoscere Francesco De Gregori, così lui racconterà la sua militanza: [...] sono nato e cresciuto nel quartiere operaio di Porto Marghera e là ho incontrato i ragazzi di Lotta Continua. L’imprinting fu la rivolta operaia del ‘70: scontri, barricate, il quartiere in mano ai rivoltosi. Anche i ragazzini come me furono coinvolti [...] l’immagine del pugno chiuso sulle bandiere e gli striscioni [...] entrai in Lotta Continua attraverso i collettivi studenteschi [...] nella scuola occupata invitammo Marco Boato a spiegare la ‘legge Reale’, Guido Viale, Mauro Rostagno, che però si addormentò in treno, non scese a Mestre e finì a San Donà [...]. Denunciavamo il degrado delle case e l’inquinamento, lavoravamo sul territorio fra le baracche di Cà Emiliani [...]. Si fondavano circoli di proletariato giovanile nei quartieri, si organizzava l’autoriduzione al cinema... dopo il ritorno da Bari di Michele Boato, cominciammo a parlare di movimento di consumatori, facemmo un giornale ecologista «Smog e dintorni» [...]. Anche a Roma gli amici si erano dispersi e i compagni pensavano ai cazzi loro, di Nancy nessuna traccia, Turid era tornata in Norvegia ma senza Marco, Enzino Di Calogero se ne era andato a Berlino, alcuni stavano lavorando a un nuovo giornale, una nuova avventura, un giornale di satira politica, ci sarà Vincino il nostro vignettista, Carlo Cagni, Jacopo Fo in arte Giovanni Karen e altri; si chiamerà «Il Male» e avrà un grande successo i miei amici riusciranno a sputtanarsi una barca di soldi, ma era partito come una scommessa e senza una lira. Era il 1978 l’anno del rapimento, del sequestro e dell’assassinio dell’onorevole Aldo Moro. L’anno delle dimissioni di Giovanni Leone da Presidente della Repubblica Italiana. In quegli anni se ne sono dette di tutte su Leone e la sua famiglia a partire dalla moglie, troppo bella perché non lo tradisse con qualche guardia, meglio se corazziere, a lui medesimo e il figlio maggiore coinvolti nello scandalo Lockheed, gli aerei di addestramento statunitensi venduti all’Italia grazie al pagamento di qualche bustarella, anche se la causa prima fu il libro della Camilla Cederna e le corna fatte all’università di 85 Pisa verso alcuni studenti che gridavano ‘Leone Morto!’ Ne uscirà pulito su tutti i fronti e si dirà che dietro le accuse e la campagna stampa c’erano elementi dei servizi segreti, Mino Pecorelli di «Osservatorio Politico» e la P2. È anche l’anno dell’uccisione a Milano di due giovani vicini all’autonomia operaia: Fausto e Iaio. Delitto senza soluzione, che si aggiunge ai tanti misteri italiani. E il 26 agosto del 1978 con il nome di Giovanni Paolo I sarà nominato papa, Albino Luciani, che volendo portare la chiesa cattolica allo spirito delle origini, iniziò con il voler vedere chiaro nei conti dello Jor, la banca vaticana governata dall’arcivescovo americano , massone e amico della P2, Marcinkus. Il suo papato durerà in tutto 33 giorni. Nessuna ricerca delle carte e del suo testamento che teneva sul comodino come nessuna ricerca delle cause della morte. I casi della vita e della religione. Una sera incontro Dario Fo, che aveva aperto una sede al Quarticciolo, che dopo essersi informato mi chiese perché non andavo a lavorare alla Palazzina Liberty a Milano, dissi di sì ovviamente e così salutai la mia casa romana, disperdendo le mie poche cose, anche il Buffo aveva deciso di andarsene per vivere fino in fondo una nuova storia. La MILANO di Fo e dei Teatri Arrivato a Milano venni ospitato da Marco Mazzi, l’ex responsabile della 86 Tipografia 15 giugno, erede della tipografia di Lotta Continua, una società per azioni che non riuscì a sopravvivere, e dalla sua dolce compagna Celeste, che abitavano in corso XXII Marzo proprio vicini alla Palazzina Liberty. Gli uffici del circolo La Comune anzi del ‘collettivo teatrale la comune’ diretto da Dario Fo, erano in uno scantinato di corso Umbria 18. Per cinquemila lire al giorno mi occupavo della programmazione della Palazzina Liberty, inventai lo slogan ‘Per ridere, riflettere, capire’ rubato a quello usato da Adriano Sofri al congresso di Lotta Continua di Rimini. Chiamai Gualtiero Bertelli, Giorgio Lo Cascio, Francis Kuipers, Ivan Della Mea, gli Anfeclowns, Katie Duck, Il gruppo di Tricarico, i Tarantolati di Antonio Infantino, il collettivo Victor Jara di Firenze, Davide Riondino, Il Living Theatre, il Gruppo Teatro Angrogna, il Mago Povero, la compagnia del Bagatto, i Macloma da Parigi oltre agli spettacoli di Dario Fo e Franca Rame, Piero Sciotto e Ciccio Busacca e di Enzo Jannacci sempre disponibili. Piero Sciotto oltre a cantare e recitare era anche il mio referente rispetto alla compagnia. Julian Beck del LivingTheatre ci lascerà una copia del suo libro La vita del teatro con questa dedica: «Un grande ringraziamento per l’onore e il piacere di recitare alla Palazzina Liberty con la speranza di vedere assieme la bella rivoluzione anarchica e non violenta [...]». Il programma come si può vedere era una sommatoria tra i ragazzi del Folk Studio, i gruppi sopravvissuti ai Circoli Ottobre, gli amici di Fo e i membri del Collettivo La Comune. Gli Anfeclowns erano Giuseppe Cederna e Memo Dini, una forza della natura, Giuseppe era una copia in piccolo del mitico clown Jango Edwards, Memo Dini era scultoreo, quello che le ragazze chiamano ‘un figo della madonna’. La prima sera dello spettacolo arrivò alla Palazzina tutto il clan della Camilla Cederna, la giornalista che da subito ebbe il coraggio civile di contestare la tesi della questura sulla bomba alla Banca dell’Agricoltura e sul successivo defenestramento dal quarto piano, dell’anarchico Pino Pinelli, e che assistette alla telefonata della moglie Licia a Calabresi per avere notizie sulla salute del marito e alla risposta di Calabresi che non l’aveva avvertita perché in questura avevano molto da fare. Nel frattempo avevo cambiato casa, lasciato il tinello con letto apribile di Marco Mazzi, ero andato nell’appartamento lasciato libero da Toni Negri, il ‘cattivo maestro’ di Potere Operaio rifugiatosi in Francia, per sfuggire al giudice Calogero e al ‘Teorema 7 aprile’, e lì avevo ospitato Memo Dini, che quando se ne andò si portò appresso anche la mia fidanzata, con la quale fece pure un figlio. La storia tra loro mi dissero durò poco, ma creò ilarità e sagaci commenti tra i miei amici romani, memori del mio commento sulla storia di Marina con un amico di Marco, avevo detto succede e Marco Lombardo Radice mi chiamò per sapere come andava e il suo commento al mio racconto fu appunto “succede”. 87 Nel monolocale molto bello di via Vetere venne a trovarmi anche Piero con alcuni compagni di Mestre che si accamparono nel salone, era da tanto tempo che non ci si incontrava, lui si era laureato e da bravo ragazzo di sinistra lavorava alle COOP. Ci venne pure Claudio Lolli che sparì all’improvviso lasciandomi questa canzone: come un dio americano che sa solo l’inglese a caccia di zanzare in un altro paese come un’erba cattiva, come due occhi buoni come un sogno di lupo come una cosa allegra, come un valzer viennese sotto un muso un po’ cupo come una vendetta non chiesta da nessuno fatto di carne e di sangue, di fretta e di digiuno come ferito a morte, come anima in pena come vita venduta, come un angelo in lacrime per la rabbia e il ricordo di una brutta caduta cammina di notte cammina da solo giannizzeri e gendarmi fanno festa la sera per il dio della birra si sacrifichi un uomo nella bassa balera lui, la testa confusa tra la morte e l’amore sta sprofondando in silenzio ma li ha fatti tacere, si li ha fatti tacere, era un uomo d’onore strangolato d’assenzio ma nel coro di voci un’anima con la visiera riesce a far sventolare una strana bandiera “facciamolo vivere questo ragazzo” gli dicono “ci ha dato tanto, facciamolo vivere” gli gridano in faccia “dentro di lui forse ci abita un santo facciamolo vivere, magari non tanto...” Come un giustiziere come un dio americano, come un’Orsa Maggiore con le stelle bagnate e un coltello in mano come un urlo del vento, come un alito sporco come una birra scura come una giacca larga fatta per ospitare le spalle di un’avventura come un inseguitore senza preda né meta come un dio americano, figlio di chissà che poeta come un lancio di dadi, come un poker servito scherzo della natura come un ercole assorto in un vicolo cieco tra un caffè e la paura lo trovarono vivo, o più vivo che morto Non so se Claudio l’ha mai incisa. Forse è anche stata pubblicata, a me è piaciuta molto, mi ricordava il De Gregori ermetico, l’America, la voglia, il desiderio e bisogno di giustizia. Il 29 gennaio 1979 un commando di Prima Linea uccide a Milano il 88 Sostituto Procuratore Emilio Alessandrini, l’attentato avviene all’incrocio tra viale Umbria e via Muratori a meno di duecento metri dal seminterrato dove lavoravo, le edicole sono piene di un identikit, si scoprirà poi essere quello di Marco Donat Cattin, solo che mi assomigliava incredibilmente, fui tentato di tagliarmi i baffi. E comunque non capirò mai il perché. Alessandrini aveva indagato sui servizi segreti deviati, ma soprattutto sulla madre di tutte le stragi, l’attentato alla sede della Banca dell’Agricoltura di Milano, imboccando finalmente la pista della destra eversiva e veniva ucciso mentre portava il figlio a scuola da un fantomatico gruppo che si definiva comunista, qualcosa continuava a non funzionare. Come ero rimasto allibito dalla fine dell’onorevole Aldo Moro l’anno precedente, che senso aveva uccidere Moro, una cortesia al potere democristiano, comunque sarebbe stato un uomo finito, in quella occasione mi ritrovai nello slogan di Bettino Craxi: ‘Né con lo Stato. Né con le BR’. Trasformato da Enrico Deaglio direttore di «Lotta Continua» in ‘Contro lo Stato e contro le BR’. Paolo Brogi, il responsabile organizzativo di Lotta Continua, il duro, quello che riusciva a tenere in riga i militanti dell’organizzazione, dirà pubblicamente durante una assemblea: «Dal preciso momento in cui Moro è stato fatto prigioniero, prigioniero in condizioni ingiuste e inumane, è divenuto l’uomo al quale io mi sento più vicino al mondo e di cui non mi importa nulla che sia un democristiano». Il mio amico Francis Kuipers abitava a Gradoli sul lago, venne svegliato una mattina da mezzo esercito italiano in tenuta da combattimento con sommozzatori per perlustrare le acque del lago e ruspe per scandagliare il terreno, mentre lui era portato via in un furgone e non c’era nessuno che potesse andare in via Gradoli a Roma dove i servizi segreti avevano pure una sede, per vedere se per caso ci fosse Aldo Moro che aveva bisogno di qualcosa, magari solo di un po’ d’acqua. Anche qui vediamo coinvolti elementi dei servizi segreti, italiani e americani, informazioni chiare lette al contrario, depistaggi, covi che appaiono e scompaiono, come appaiono e scompaiono le carte trovate dal generale Dalla Chiesa, come purtroppo è scomparso lo stesso generale e la sua giovane e bella moglie, anche qui troviamo il Presidente emerito Cossiga. L’anno successivo persi un altro amico, Sergio Secci, rimase ucciso il 2 agosto 1980, nella strage fascista della stazione di Bologna, quella dove l’orologio era rimasto fermo sulle 10,25, ma dava fastidio a qualcuno e l’hanno fatto togliere, L’orologio era pericoloso, magari faceva pensare alla strage, si sa i cattivi sono i comunisti e a volte gli orologi che ti ricordano la storia. Anche in questo caso sono coinvolti agenti dei servizi segreti italiani, anche in questo caso assistiamo a versioni contrastanti dell’onorevole Cossiga, anche in questo caso assistiamo a ripensamenti e a depistaggi, anche in questo caso aspettiamo giustizia. Sergio Secci era venuto a trovarmi per parlare di teatro e del Bread 89 and Puppet e del lavoro di Peter Schumann e io gli parlai del ‘Pupazzone’ di Fo realizzato anni prima nel capannone di via Colletta. In realtà il titolo esatto dello spettacolo di Fo è Grande pantomima con bandiere e pupazzi piccoli e medi per semplicità detto ‘Pupazzone’, che vede impegnata una grande compagnia e segna l’esordio di Dario Fo nel mondo delle clownerie. Mi venne a trovare anche un vecchio compagno che lavorava alla Regione Lombardia, mi invitò a pranzo e mi propose di entrare in clandestinità nella lotta armata. Lo stesso che mi avesse detto ti andrebbe di fare una gita al lago. Gli spiegai che dal mio punto di vista la fase era superata. la sconfitta certa, il lavoro da fare era culturale con e tra la gente per costruire un futuro migliore, mi ha lasciato col conto da pagare. Demetrio Stratos, l’anima e la voce degli Area, sta male, il passa parola che arriva è servono soldi per poterlo curare e pagare la clinica in america, si fanno collette e poi si organizza un concerto per raccogliere fondi, all’Arena di Milano per il 14 giugno. Demetrio morirà il giorno prima il 13 giugno, a causa di un brutto male, come avrebbe detto mia madre, quando si dice sono sempre i migliori a lasciarci per primi, a volte è vero. Non era greco come pensavo era nato ad Alessandria d’Egitto da famiglia di origine greca, era ortodosso, era multietnico era mediterraneo, chissà come avrebbe cantato questi nostri tempi, lui che prima di approdare a Milano per studiare architettura e cantare con i ribelli aveva studiato a Cipro e a Nicosia, cosa dico di questi tempi non solo non avrebbe potuto cantare, non sarebbe neppure potuto approdare a Milano. Nel frattempo era approdata in Cassazione la causa tra Rame-Fo e il Comune di Milano sull’occupazione della Palazzina Liberty, perdemmo la causa e io dovetti cercarmi un altro lavoro. È veramente uno strano paese quello che sfratta Dario Fo e il suo collettivo da uno spazio abbandonato che loro hanno salvato e restituito a un uso comune e non si pone il problema di offrirgli una sede alternativa. Aveva ragione l’amico Eugenio Barba a dire venite in Danimarca, vi daranno una sede e vi faranno pure un monumento. Non riesco a vivere Dario Fo come un mito, come il genio del teatro italiano a cui è stato assegnato il premio Nobel per la letteratura, che lui asserisce essere stato conferito in realtà a Franca Rame e che da quel momento si è resa insopportabile, per quanto si sia montata la testa. Dopo aver aperto il circolo La Comune a Mestre sono andato più volte a Milano per cercare d’incontrare Dario e Franca, non è facile incontrarli perché cambiano spesso abitazione e sede, ma riesco a trovarli nella loro casa provvisoria di piazzale Baracca e da allora entrano quasi nella mia quotidianità. Apprendo lentamente la loro storia, scopro che Dario da tempo invaghito della soubrette Franca Rame a differenza di lui, figlia d’arte, non ha il coraggio di dichiararsi, finché lei non lo ‘incantona’ in un angolo del palcoscenico e lo bacia; 90 Da allora vivono, giocano e lottano sempre assieme. Prima a Milano partecipando all’avventura del Piccolo Teatro di GrassiStrehler, poi formando proprie compagnie con spettacoli che potremmo definire popolari, cioè sempre con una particolare attenzione alla gente al popolo. Per un periodo vivono a Roma dove si cimentano con il cinema, la pubblicità e la televisione. Fanno un film per la regia di Carlo Lizzani, Lo Svitato, che probabilmente funzionerebbe ora, all’epoca pochi lo hanno capito, troppo surreale troppo geniale. Rientrano a Milano dove mettono in scena Ladri, manichini e donne nude, in qualche modo la sintesi tra l’eredità dei comici dell’arte portata da Franca e la passione di Fo per il teatro popolare. Proseguono con spettacoli che faranno la storia del teatro fino all’approdo a “Canzonissima”, la trasmissione della RAI popolare per eccellenza e dopo mesi di faticosi compromessi rompono perché rifiutano la censura della direzione che voleva eliminare dal testo il riferimento alle ‘morti bianche’ cioè a quegli operai dell’edilizia che cadono dalle impalcature o muoiono sul lavoro. Non si può parlare di operai, morti oltretutto, in prima serata RAI. Tornano al teatro e Dario mette in scena, lavorando su materiali preparati da due studiosi di musica popolare come Cesare Bermani e Franco Coggiola, lo spettacolo Ci ragiono e canto con l’assistenza musicale di Giovanna Marini e la partecipazione di tutte le nuove voci del Canto Popolare. Il titolo è la sintesi dell’esistenza, della vita dell’uomo: nasco – piango – grido – ammazzo – mi faccio ammazzare – faccio all’amore – mi affatico – rido – prego – credo – non credo – crepo – ci ragiono e canto. Avvalendosi dei suoi studi ad architettura e di pittura all’accademia di Brera, Fo si è sempre fatto le scenografie e ‘disegnato’ i propri spettacoli, riuscendo così anche a farli ‘vedere’ ai propri collaboratori e attori e grazie al lavoro di sceneggiatore per il cinema e prima come autore radiofonico con Franco Parenti si è anche sempre scritto i propri testi, per cui la messa in scena nel 1967 de La passeggiata della domenica di Georges Michel è un po’ un’eccezione, ma è anche un approdo a un teatro più politico con l’introduzione di polizia e manifestanti. È’ di questo periodo anche il lavoro con Enzo Jannacci e con la famiglia Colombaioni capostipite italiana di una tradizione di clowns e spettacoli circensi. ‘La signora è da buttare’ è l’ultima produzione della compagnia Fo-Rame ed è anche la prima commedia dove emerge un forte impegno politico, dove si tenta di coinvolgere la platea, dove si richiede una presenza attiva del pubblico e con la quale Fo, rischia censura e arresto per offese a capo di stato estero. Il 1968 vede Dario e Franca impegnati su un nuovo fronte, hanno dato vita a Nuova Scena dove i testi e le scene sono sempre di Fo ma i nomi degli attori sono in ordine alfabetico e le decisioni vengono prese dal collettivo, il primo spettacolo è Grande pantomima con bandiere e pupazzi piccoli e medi che debutterà non più in un teatro ma alla Camera del lavoro di Milano, a cui seguirà Ci ragiono e canto n° 2. È il periodo del capannone di via Colletta, della collaborazione con Nanni 91 Ricordi e il Gruppo Gramsci, della partecipazioni alle assemblee in fabbrica e nelle università è il 1969, l’anno in cui prende vita Mistero buffo, che Dario per la tipologia dello spettacolo, per il linguaggio ‘il grammelot’ comprensibile ovunque e la mancanza di scenografie, riesce a rappresentare in qualsiasi situazione di lotta: sono sufficienti due fari e un microfono. E mentre Dario gira col suo ‘ Mistero buffo’, Nuova Scena rappresenta con Franca, L’operaio conosce trecento parole, il padrone mille: per questo lui è il padrone e Vittorio Franceschi mette in scena Mtm: Come rendere musicale ciò che a prima vista sembra solo fatica e lavor o, che si avvalgono del circuito dell’ARCI. Lo spettacolo con Franca Rame, che sarà elogiata per l’interpretazione, sarà l’inizio di un duro conflitto con il Partito Comunista Italiano. Lo spettacolo successivo sarà Legami pure tanto spacco tutto lo stesso di Fo e Franco Loi, con Franca ma sempre senza Dario in scena. Le contraddizioni interne, unite alla frizione con il Partito Comunista e di conseguenza con l’ARCI, dopo giornate e giornate di discussioni e assemblee, portano alla rottura, Vittorio Franceschi e il grosso del Collettivo rimangono in Nuova Scena, avendone la maggioranza, trattenendo pertanto anche tutti i mezzi e attrezzature e Dario, Franca con Paolo Ciarchi e Nanni Ricordi daranno vita al Collettivo teatrale La Comune e cercheranno di realizzare anche un circuito alternativo. Il primo spettacolo sarà Vorrei morire anche stasera se dovessi pensare che non è servito a niente . Sulla Resistenza un accostamento fra la lotta del popolo palestinese contro Israele e la lotta italiana contro il nazi-fascismo, insomma il tentativo di un teatro cronaca. Un collettivo come quello di Franca Rame e Dario Fo non può non occuparsi della ‘Strage di Stato’ e del conseguente defenestramento dell’anarchico Pinelli dall’ufficio al quarto piano del commissario Calabresi e nasce a un anno di distanza dai fatti lo spettacolo Morte accidentale di un anarchico. Dario ne fa una farsa e per evitare denunce imposta il lavoro sulla storia dell’anarchico Salsedo, nell’America degli anni Venti, ma aggiunge, per rendere il lavoro più verosimile si supporrà che sia avvenuto in una qualsiasi città italiana... facciamo conto Milano. Si giocherà molto sulla deposizione di un poliziotto che sosteneva di aver cercato di trattenere Pinelli al punto da essergli rimasta una scarpa in mano (peccato che il corpo di Pinelli le avesse tutte e due ai piedi), e sulla caduta raso muro non congeniale con uno che si tuffa per suicidarsi. Lavorare si fa difficile, non avendo più il circuito ARCI, è quasi impossibile organizzare un giro omogeneo, si lavora nelle università e nelle fabbriche occupate, spesso nelle piazze, nei cortili, non si riescono più ad avere i teatri per l’intervento delle questure e della polizia che li vietano anche all’ultimo momento, ed essendosi ridotte le possibilità di rappresentare gli spettacoli il Collettivo La Comune aumenta le proposte. E in pochi anni mette in scena : Tutti uniti! Tutti insieme!, Ma scusa, quello non è il padrone?, Morte e resurrezione di un pupazzo , Ordine per Dio.ooo.ooo.ooo!, Pum, Pum! Chi è? La polizia!, Ci ragiono e canto n°3, Guerra di popolo in Cile, Non si paga non si paga, Il Fanfani rapito, La 92 giullarata e La marijuana della mamma è la più bella del 1976 seguita da Parliamo di donne e da Tutta casa, letto e chiesa dove la protagonista assoluta sarà Franca Rame. Impossibile raccontare quegli anni, le fatiche, le discussioni, le denunce, il lavoro con Soccorso Rosso per la difesa dei compagni incarcerati, gli assalti dei fascisti fino all’estrema violenza subita da Franca. Per un periodo il Collettivo riesce a lavorare al cinema Rossini di Milano, finché i proprietari su pressione della questura non rinnovano più l’affitto e Dario individua lo spazio in totale abbandono della Palazzina Liberty ed entra per un sopralluogo accompagnato dall’assessore che gli lascia le chiavi, che restituirà solo nel 1979 dopo aver perso la causa intentatagli dal Comune di Milano. In una infiammata assemblea del Collettivo La Comune, Fo la Rame e pochi altri compagni, verranno messi in minoranza e se ne andranno accettando di lasciare alla maggioranza tutto il materiale accumulato negli anni, dai camion alle attrezzature tecniche al palco smontabile e ripartono mettendo in scena con una formazione ridotta che comprende Ciccio e Chicca Busacca, Carpo Lanzi e Piero Sciotto, lo spettacolo Guerra di popolo in Cile. Spettacolo dove alcuni attori si fingono poliziotti e interrompono la rappresentazione con la scusa e il pretesto di voler arrestare alcuni noti rivoluzionari presenti in sala, raccomandano la calma e invitano il pubblico a non uscire perché il teatro è circondato dalle forze dell’ordine, e leggono i nominativi – concordati in precedenza – delle persone che devono essere arrestate. Malgrado la formazione ridotta della compagnia per cui i pochi attori debbano fare tutti i ruoli, la cosa risulta talmente realistica da indurre alcuni, tra il pubblico, a distruggere agendine o a cercare di occultare documenti. Dario Fo sarà realmente arrestato a Sassari ma la reazione internazionale fu talmente forte che intervenne il governo per farlo scarcerare. Credo si possa dire che Fo riesca a staccarsi dall’impegno politico diretto con Storia della tigre e altre storie , scritto dopo un viaggio in Cina, ritorna a essere lui, quello di Mistero Buffo, a usare il linguaggio del corpo e la forza delle modulazioni vocali, impone questa sua forte presenza istrionica facendo arrivare al pubblico tutti i personaggi che via via rappresenta. Una vera forza della natura. S’impossesserà nuovamente della scena con La storia di un soldato dall’opera di Igor’ Stravinskij messa in scena per il teatro alla Scala di Milano, di cui ho potuto vedere le prove alla Palazzina Libery. Fu un’operazione eccezionale dal risultato entusiasmante dove Dario Fo ha concentrato tutto il suo sapere accumulato negli anni, dando sfogo alla sua genialità e dirigendo con maestria trentadue attori e otto musicisti, dove le critiche si concentrarono sui costi dell’operazione, peraltro inferiori ai normali costi di un’opera lirica. In quell’occasione anche la critica italiana e il potere politico dovettero prendere atto che Fo era rappresentato con successo in tutto il mondo e 93 finalmente gli era stato concesso anche il visto per gli Stati Uniti d’America in precedenza sempre rifiutato. Dopo lo sfratto dalla Palazzina Liberty, trovai lavoro al Salone Pier Lombardo, aperto da Franco Parenti, Andrée Ruth Shammah e Gianmaurizio Fercioni. Per capire come meglio orientarmi nella programmazione teatrale, feci un questionario a cui, tra gli altri, rispose Marco Lombardo Radice, risposta che vi riporto integralmente sottolineando la data: 29 agosto 1979, cioè esattamente trenta anni fa. Caro Sergio, ho ricevuto il tuo questionario: rispondo, ma – consentimi – in modo informale e amichevole (non mi costringerai a fare l’intellettuale serio...). Dunque, come forse tu sai io detesto il teatro, e dunque non sono molto indicato rispondere. Ho visto, negli ultimi quindici anni, quasi esclusivamente cose (pochissime) di amici o parenti. C’è di peggio: teorizzo, generalizzando il mio ‘privato’, che il teatro è una forma di spettacolo morta, più o meno come l’opera o il palio del Saracino. Intendo una forma artistica che continuerà, probabilmente indefinitamente, a richiamare un pubblico estremamente ristretto di ‘specialisti’ dunque sopravviverà fittiziamente (sovvenzioni, ecc.): un po’ come la letteratura greca (il suo studio) o, appunto, l’opera. Si può invertire la tendenza? Lo potete voi, che lo volete? Forse sì, ma – secondo me – a condizione di capire a fondo alcune cose a cavallo fra la sociologia, la psicologia e l’arte. La prima, e la fondamentale, è questa: che alcune ‘forme artistiche’ sono fatto prevalentemente (se non esclusivamente) sociale, e altre individuale, e altre miste. Ora il teatro è forma sociale, storicamente. Se si leggono un po’ i grandi romanzi dell’Ottocento, che cosa fosse il teatro al momento del suo massimo splendore appare chiaro: un momento, un centro di un tessuto sociale ben preciso, di una classe (se mi passi il termine sono anche chissà perché così demodé). In Balzac ci sono scene bellissime nei teatri; come anche in Tolstoi: altro paese, altra cultura. In comune appunto la collocazione del teatro in un tessuto, un suo posto. All’interno di questo, di questo ruolo sociale del teatro si è sviluppato anche un discorso artistico, si è evoluto il gusto, ecc.. Ma all’interno: voglio dire che i nobili tolstoiani andavano all’opera innanzitutto per ammirare le tette della bella Helene e spettegolezzare su i suoi amanti, poi – in secondo luogo – per apprezzare le novità dell’opera italiana o invece rifiutarne la novità. Ora si dà il caso che quel tessuto sia scomparso: la follia è sperare che il teatro possa continuare a esistere (come cosa viva!) senza una socialità, come rapporto individuale con un prodotto artistico. Follia perché la nostra società ha sviluppato prodotti culturali ‘per uso individuale’ estremamente più funzionanti: libri (poco), cinema, TV. Se io come singolo individuo ‘atomizzato’ voglio un prodotto culturale beh, per dio, mi sbatto in un cinema o accendo la TV o mi 94 leggo un libro, cose infinitamente più comode semplici e allettanti che andare in un posto tale all’ora tale magari decidendo prima il giorno e spendendo abbastanza per vedere qualcosa che posso per lo più trovare in TV o in un cinema (dove vado quando voglio, all’ora che voglio, ecc.). Banalità? Sarà. Però il punto è questo. Allora il problema è ricreare un tessuto per il teatro. (Fra parentesi il discorso è abbastanza simile a quello che facemmo un tempo sui concerti: esistendo dischi, cassette, radio ecc, il concerto è, va al di là del fatto puramente musicale – cioè appunto diviene fatto sociale – o non è). Quale, come? Qui veramente non ho idee. Certo è che solo quando ha un qualche tessuto il teatro continua a vivere. Ma quale socialità trovare in queste città disgregate? Fa un po’ tu. Una riflessione di estrema attualità che andrebbe ripresa e che rientra nelle discussioni in corso ora sul ruolo della cultura e il contributo e il ruolo dello Stato che molti elementi dell’attuale governo chiedono sia azzerato. Nel frattempo avevo dovuto lasciare la casa di via Vetere in zona Ticinese, dove più volte avevo incontrato Erri De Luca che si era messo a fare il muratore e viveva in zona con altri compagni di Lotta Continua, che facevano i lavori più disparati e disperati, trovai casa da Marco Manna il mio fonico alla Palazzina, solo che per arrivarci dovevo attraversare la città, decisi allora che era giunto il momento di fare la patente. Mi iscrissi a un’autoscuola vicino al teatro in zona Porta Romana. Ci andavo nel tempo libero e a volte saltavo le lezioni di guida, dopo alcuni mesi l’istruttore mi dice che io non potrò mai prendere la patente, sono troppo imbranato e mi chiede trecentomila lire, la richiesta mi lasciò interdetto ma poi gli diedi i soldi e ottenni la patente di guida. Era un’autoscuola dell’ACI e io avevo poco tempo da perdere, ma non basta a giustificare. Emerge l’astro di Bettino Craxi, le elezioni anticipate del 1976 avevano confermato ma ridotto il predominio democristiano con oltre il 38% dei voti, un’avanzata del Partito Comunista Italiano portandolo al 35%, una sonora sconfitta della sinistra extraparlamentare che aveva fallito il suo confronto con il voto e una discesa sotto la soglia del 10% del Partito Socialista con un arretramento del Movimento Sociale Italiano al 6% e Craxi in una combattuta assemblea all’hotel Midas di Roma sostituirà De Martino alla guida del Partito Socialista dandogli una impronta molto più efficientistica. Nel paese il clima sta cambiando, la legge sui pentiti sta dando i suoi frutti e molti sono gli arresti, i terroristi si stanno avvitando su sé stessi, la gente ha voglia di bello, di futilità, di divertimento, non ne può più di morti ammazzati, attentati, stragi, targhe o domeniche alternate o 95 chiusure anticipate, scioperi, disagi, blocchi stradali e manifestazioni. Nel frattempo vengono uccisi l’operaio comunista Guido Rossa, il giornalista Walter Tobagi e il giudice Vittorio Bachelet, ma assistiamo anche all’uccisione di due detenuti nelle loro celle a Nuoro e di un altro a Torino a opera dei Brigatisti e il neofascista Concutelli strangolerà sempre in carcere prima Ermanno Buzzi condannato per la strage di Brescia e poi un altro neofascista coinvolto nella strage di Bologna. Anche Prima Linea non è da meno e ucciderà un militante di Autonomia Operaia per impedirgli di deporre, cioè testimoniare a un processo, fino all’uccisione di Roberto Peci per punire il fratello Patrizio che aveva tradito, fornendo nomi e cognomi oltre agli indirizzi degli alloggi dei brigatisti. Siamo arrivati alla resa dei conti interna senza più alcun rapporto con la realtà vera, si uccide chi si pensa abbia fatto o possa fare uno sgarbo. Era diventato presidente della Repubblica Sandro Pertini, che, senza remore, pratica e predica l’onestà, apre il palazzo non solo alle scolaresche e infonde al paese un maggior clima di fiducia e speranza. A Torino assistiamo, molti sbigottiti, alla ‘marcia dei quarantamila’, sono quadri e impiegati, dirigenti che manifestano contro gli operai e i sindacati per poter andare al lavoro, da mesi è in corso una dura vertenza contro i licenziamenti e la cassa integrazione proposta dalla FIAT per arginare la crisi, i picchettaggi davanti alla fabbrica si fanno durissimi e nessuno può entrare a lavorare, la reazione degli impiegati è la manifestazione del 14 ottobre 1980, che obbligherà i sindacati a chiudere l’accordo con l’azienda accettando licenziamenti e cassa integrazione e la sinistra a interrogarsi se fino a quel momento ha fatto bene a difendere il lavoro e non i lavoratori. Francesco De Gregori canta: Viva l’Italia, l’Italia liberata / l’Italia del valzer, l’Italia del caffè L’Italia derubata e colpita al cuore / viva l’Italia che non muore Viva l’Italia, presa a tradimento l’Italia assassinata dai giornali e dal cemento [...] l’Italia con gli occhi aperti nella notte triste viva l’Italia, l’Italia che resiste Al teatro Pier Lombardo si stava bene, c’era un ambiente molto positivo, gente simpatica, grandi attori a partire da Franco Parenti che mi spiegò aveva scoperto molti anni prima Dario Fo in un bar di Brera e l’aveva portato in radio a fare il “Poer Nano” e poi fecero la compagnia teatrale Parenti-Fo-Durano, finché non si intromise Franca Rame e la compagnia si sciolse. Franco non era tenero con Franca, probabilmente gli addebitava la fine di quella avventura teatrale. Collaborai alle riprese televisive della trilogia di Giovanni Testori, dovevamo riprendere gli spettacoli in teatro e la Andrée mi manda da Testori per chiedergli se era possibile sostituire l’attore. Vado nel suo studio in zona Brera, a fianco dell’Accademia di Belle Arti, con sul retro dello studio, un bel parco, commentiamo alcuni suoi quadri, parliamo dello spettacolo e quando gli dico che l’attore non è adeguato al ruolo, vengo sommerso d’improperi, riuscendo a evitare per poco un 96 catalogo in testa. Scoprirò poi che l’attore in questione era l’amante di Testori, la Andree lo sapeva benissimo e mi ha usato, e ogni volta che il maestro sarà presente in teatro dovrò nascondermi per evitare di irritarlo. I cattolici e le loro contraddizioni che amano addebitare agli altri... tanto poi loro si vanno a confessare. Chiesi a Franco Parenti perché continuassimo a organizzare i concerti di musica antica o meglio di musica barocca di Laura Alvini, che non avevano pubblico e lui mi rispose perché oltre a essere molto brava era una sua amica. Allora con Vincenzo Ferrari inventammo ‘Scene per un concerto’ quattro concerti di Laura Alvini su musiche di Johann Sebastian Bach, con i fondali di quattro diversi artisti milanesi Alik Cavaliere con Vincenzo Ferrari, Emilio Tadini e Gianfranco Pardi. Fu un lavoro lungo trovai un piccolo ma fondamentale contributo da Novella Sansoni, assessore alla Cultura della Provincia di Milano, e riuscii a far realizzare da un laboratorio amico i fondali dai bozzetti dei quattro artisti, ma fu un lavoro ripagato dal risultato. Fu un trionfo sala completamente esaurita e commenti entusiastici. E finalmente il giusto riconoscimento alla ricerca musicale di Laura Alvini. Arrivato a Milano alla Palazzina Liberty, forse perché c’era Dario Fo, forse perché ci passavano artisti interessanti, ho avuto la fortuna di conoscere un gruppo di giovani giornalisti desiderosi di vedere e di fare; Marina Stroder, bella ed esuberante direttrice di un nuovo giornale locale, il freelance tutto fare Paolo Crespi che cercava di non perderla di vista ma Marina regolarmente lo seminava. Il critico serio e attento Ugo Volli che per strada ha capito che non è tanto la critica che paga, Anna Bandettini seria e caparbia corrispondente di «la Repubblica» che con Aldo La Stella non ha mai tradito il primo amore, Marco Mangiarotti a «Il Giorno» e la più distaccata Giuseppina Manin al «Corriere della Sera», oltre al più distaccato ed importante Franco Quadri, all’ermetico Renato Palazzi e al signore dei critici Roberto de Monticelli, questo mi ha aiutato nel mio lavoro perché avevano capito che cercavo di proporre spettacoli interessanti e perciò mi davano fiducia. Al Pier Lombardo riuscii a sperimentare molte cose, non sempre con successo. Provai a fare il cinema di mezzanotte, proiezioni di film il sabato sera con annesso ristorantino a cura di Pratobello, con cibi biologici e o macrobiotici, le domeniche mattina incontri con l’astrologia, incontri di approfondimento sugli spettacoli teatrali in cartellone a cura del prof. Bisicchia e del prof. Guglielmino. Progettai con un amico gay ed esperto musicale, una settimana dedicata a Maria Callas, fu un lungo lavoro che poi per problemi di diritti si ridusse a una ‘Ventiquattro ore no-stop’, con filmati inediti, cantanti, interventi, pannelli con foto rare e con un pubblico molto attento e partecipe da tutta l’Italia del nord, per tutte le ventiquattro ore. 97 Quello che sicuramente funzionò fu il concerto di Paolo Conte. Paolo Conte, me lo aveva segnalato Francesco De Gregori, quando avevo lasciato Roma. Avevo cercato di contattarlo senza riuscirci per portarlo alla Palazzina Liberty, lo trovai telefonicamente il giorno di ferragosto e riuscii a fissare un appuntamento a casa dell’avvocato ad Asti, dove lo convinsi a tenere tre concerti incastrati nella programmazione teatrale, il primo il sabato pomeriggio, gli altri domenica e lunedì sera, per i quali concordammo il compenso di un milione di lire. Al rientro in teatro spiegai la cosa ad Andrée Shammah, la quale mi disse che andava tutto bene ma garantivo il compenso sul mio stipendio, guadagnavo all’epoca cinquecentomila al mese e faticavo ad arrivare a fine mese, sarebbe stata dura che io potessi integrare il compenso per Conte, mi dissi in qualche modo faremo. Fissai un incontro a casa di Nanni Ricordi, che avevo conosciuto quando aveva messo in piedi i Circoli La Comune con Franca Rame, e definimmo tutti gli accordi con Paolo Conte, che scoprii essere persona attenta, disponibile, un po’ timida, timidezza che alcuni scambiano per arroganza. Incontrai Enzo Jannacci in osteria e gli chiesi di intervenire al concerto, mi supplicò di non insistere, anzi me lo scrisse anche come dedica nell’ellepi che stava pubblicando in quei giorni, cercai Bruno Lauzi, Francesco De Gregori mi promise che sarebbe arrivato la sera di lunedì. Per il sabato pomeriggio avevo invitato tutti i giornalisti e molti amici, Egle, la moglie di Paolo, mi chiese se poteva cambiarsi e lo fece nel mio ufficio, si mise un vestito con uno spacco che sarebbe diventato di moda solo molti anni dopo con l’imporsi del tango argentino, Sandra la compagna di Nanni Ricordi, aveva un decolté eccezionale, asserivano di dover tenere le pubbliche relazioni... Conte si presentò in smoking col suo sorriso sghembo e dopo un inchino alla sala gremita si sedette al pianoforte e rapì subito il pubblico, in particolare quello femminile, con questa sua cantata strana, quasi stonata, questa voce che ti porta lontano, che ti fa entrare nelle atmosfere delle sue canzoni. Enzo Jannacci che da nove anni non si esibiva in pubblico avendo scelto di fare il medico, si sedette al pianoforte a fianco di Paolo Conte e suonarono e cantarono assieme Gelato al limon e non so cos’altro. Fu un’apoteosi. Non si contano le chiamate per i bis. Conte si presentava in palcoscenico, si inchinava al pubblico che guardava sbigottito, quasi sorpreso, come a dire cosa succede ho fatto solo il mio concerto. Le due repliche successive furono un tutto esaurito grazie all’entusiasmo del pubblico, al passa parola e all’articolo di Mario Luzzatto Fegiz su tutta la pagina spettacoli del «Corriere della Sera». Lunedì arrivò pure Renzo Fantini, compagno di antiche battaglie, l’agente di Conte e Mimma Gaspari della RCA, che si impegnò ad aiutarmi per lo spettacolo di Davide Riondino, anche lui nella stessa scuderia. Bruno Lauzi, non serviva più che intervenisse ma venne domenica senza cantare e in seguito dovetti portargli Paolo Conte in studio a suonare lo xilofono per il suo nuovo disco, come da impegni, De Gregori sostiene di essere venuto lunedì ma di essere arrivato troppo tardi. 98 Oramai il fenomeno Conte era avviato. In seguito accompagnai Paolo Conte a un concerto a Firenze, noi eravamo in un cinema-teatro vicino alla stazione, l’ingresso costava cinquemila lire, in contemporanea cantava Ornella Vanoni al Teatro Verdi l’ingresso veniva venticinquemila lire e Paolo disse: «Ecco io devo andare a suonare in quei teatri». Direi che li ha abbondantemente superati. Non posso non menzionare la cena che facemmo anni dopo con Paolo Conte, Caterina Caselli, il marito Piero Sugar e il suo compagno di scuola nonchè presidente del Consiglio, Bettino Craxi, che ci intrattenne tutta la sera sulla politica del Partito Comunista e sul fatto che avrebbe dovuto cambiare nome, va detto che la storia, almeno in questo, gli ha dato ragione. Come non posso non ricordare che Conte , già famoso e richiesto in tutto il mondo, intervene gratuitamente nel 1989 all’inaugurazione del teatro che avevo aperto a Torino con la cooperativa Granserraglio, ritardando la cena con Giovanni Goria, suo compaesano e presidente del consiglio in carica. Lo spettacolo di Davide Riondino, con Paolo Hendel e Daniele Trambusti fu molto interessante, forse troppo, anticipava i tempi e non fu capito. Non ebbe molto pubblico e nemmeno l’attenzione della critica che meritava, per fortuna che le spese ce le rimborsò la RCA e non mi vennero trattenute dallo stipendio, altrimenti avrei dovuto lavorare gratis per almeno quattro mesi. Su indicazione di Andrée organizzai un recital di poesie con Eduardo de Filippo, in occasione dei suoi ottanta anni, preparai lo spettacolo mentre lui stava lavorando al Teatro Manzoni, presentava tre suoi atti unici, e per un mese continuai ad andare nel camerino di Eduardo con gli ingrandimenti delle poesie, sempre più grandi, non ci vedeva quasi più. Preparavamo lo spettacolo lui in poltrona io a mettere assieme le poesie e gli scritti, i commenti, desiderava fosse tutto previsto, calcolava anche le eventuali interruzioni e gli applausi. Eduardo de Filippo non sembra che reciti, non si nota la fatica, è tutto naturale vero, ma tutto calcolato provato fino all’ultima poesia prevista come bis, che sembra soffiata, ma arriva chiara alle ultime file. Il recital fu una cosa straordinaria al punto che Eduardo decise di tenerlo in repertorio, il ricavato venne dato alla Casa di riposo per artisti. Durante le prove Eduardo mi spiegò che era più ottimista perché ora i giovani capiscono più facilmente e le generazioni non si susseguono più ogni venti anni ma con maggiore rapidità e parafrasando Elsa Morante sosteneva che il futuro sarà salvato dai ragazzini e dalle donne. Andai anche a trovare Gino Paoli, nella sede della sua etichetta Senza Fine, ci conoscevamo già perché negli anni roventi lui era nella scuderia dell’amico bolognese Willi David, abitava con la famiglia vicino al teatro, feci anche amicizia col figlio Giovanni, ma non riuscii mai a fare qualcosa con lui. Mentre era un grande divertimento andare all’Ultima spiaggia 99 l’etichetta di Nanni Ricordi, dove spesso trovavi Gianfranco Manfredi e Richy Gianco. Gianfranco Manfredi, ora noto sceneggiatore di film e fumetti, era considerato il cantante dell’autonomia operaia ed è noto per la canzone Ma non è una malattia, Gianco era uno spasso e una miniera di informazioni su Adriano Celentano e il suo ‘clan’, di cui aveva fatto parte, ci raccontava una storia dietro l’altra, si era preso una Jaguar bianca decappottabile e ne aveva combinate peggio di Bertoldo. Nanni Ricordi, meriterebbe un libro da solo, è che non si racconta volentieri, lui fa, se hai bisogno lui ti aiuta, ma non ti dice, a lui si deve il termine cantautori e il fatto che molti all’inizio abbiano avuto la possibilità di fare il loro primo disco. Grazie a Roberta, la mia fidanzata di allora giovane, bella, colta e intraprendente, ho conosciuto Ferruccio De Bortoli, attuale direttore del «Corriere della Sera», all’epoca responsabile delle pagine economiche e pressoché da sempre nel gruppo Rizzoli, ci incontravamo spesso a Camogli o sul lago di Como e una volta mi raccontò di essersi fatto un codice di autoregolamentazione visto che in occasione delle feste riceveva una marea di regali anche di estremo valore si era imposto di restituire tutti quelli sopra al milione di lire, trovava anche sorprese d’oro dentro alle uova di Pasqua, mi è tornato in mente questo particolare pensando al nostro Presidente del Consiglio che gira con pacchi di collier perché non si sa mai che non si debba fare un regalo... Capitava spesso che mi si chiedessero consigli o collaborazioni, che quando potevo fornivo gratuitamente, come nel caso di Stella Leonetti, che cercava di mettere in scena il suo primo testo teatrale Repertorio, cioè: l’orfana e il reggicalze , riuscimmo a ottenere la sala Azzurra della civica scuola del Piccolo Teatro di Milano e andare in scena con grande successo, che fu anche la rivelazione di una nuova e grande attrice: Lella Costa. Le musiche le avevo fatte fare a un musicista mio amico e allievo di Giorgio Gaslini, Gaetano Liguori, che dopo essersi lamentato che tutti gli chiedevano sempre piaceri e interventi gratuiti, molti anni dopo ebbe la compiacenza di ringraziarmi per i diritti d’autore che il teatro gli portava. In quegli anni il Pier Lombardo era frequentato da molti politici, alcuni comunisti amici e compagni di Franco Parenti ma molti erano i socialisti, in particolare Claudio Martelli era di casa anche perché sua moglie professoressa collaborava con noi e insegnava alle centocinquanta ore, ci venivano quando possibile, Bettino Craxi, Pillitteri, Tognoli e tanti altri. Si parlava molto del polo fieristico ‘La Chiarella’ che stava fallendo e l’Ente Fiera Milano sarebbe dovuto intervenire affittandone 85.000 metri quadrati, malgrado il piano regolatore prevedesse l’estensione della fiera dalla parte opposta, come si discuteva della necessità di far decollare Milano2 per aiutare un costruttore che Craxi aveva deciso di sostenere. Io avevo cercato un piccolo prestito dalla Banca di Lodi, dove aveva il conto la Shammah, per comprare un monolocale di fronte al teatro ma senza riuscirci. 100 Successivamente il medico curante di Dario Fo mi ricoverò nell’ospedale di Desenzano del Garda, dove era primario di medicina, per dei controlli medici, mi mise in una stanza con un altro paziente, il quale quasi subito iniziò a inveire; all’inizio non ci feci caso, poi iniziai a prestare attenzione al suo racconto. Aveva costruito tutti gli infissi in una nuova grande realtà immobiliare milanese, tutto materiale di buona scelta, in legno massiccio amava dire e poi sconsolato aggiungeva mi vogliono pagare con la pubblicità, con la pubblicità? ma che roba è, non si mangia mica la pubblicità. E continuava dicendo disperato che non se ne veniva a capo, era una società dentro l’altra, non si arrivava mai alla fine, non si riusciva a capire chi fosse il responsabile, per andare a prenderlo a bastonate. E continuava, mi vogliono pagare con la pubblicità e io che gli ho dato porte e finestre in legno massiccio, legno vero, buono di qualità mica quelle robe che iniziano a fare adesso a nido d’ape con la sabbia per appesantirli, e mi vogliono dare il 50% in pubblicità, neanche il 25 % che è il mio guadagno e il resto a rate. Capisco la difficoltà a capire, erano anni che non si usava molto fare pubblicità, si c’era l’esplosione delle televisioni private, ma il lavoro tirava, il made in Italy funzionava molto anche all’estero, perché fare pubblicità, forse solo per avere qualcosa in cambio di porte e finestre. Non so se avete capito ma si riferiva ad un giovane rampante costruttore che rispondeva al nome di Silvio Berlusconi. BONFIETTI In questo paese non serve mettere il segreto di Stato sulle stragi, basta infilare un documento nel fascicolo sbagliato per depistare chi si mette alla ricerca di qualcosa, o mettere il segreto solo su ciò che attiene i servizi segreti e questo è sufficiente perché non si arrivi mai alla verità o perché ciò avvenga solo dopo molti anni, quando ormai l’effetto sul popolo sovrano sarà diluito. Il paese dopo un po’ diventa indifferente, assorbe le stragi e i suoi 101 segreti, recenti inchieste su un campione di studenti, addebitano alle Brigate Rosse sia la strage di piazza Fontana, malgrado sia comunemente nota come ‘Strage di Stato’, che quella di Bologna, la gente pensa alla prossima vacanza o con che macchina sostituire la vecchia e non si pone il problema di salvaguardare la democrazia. Alberto Bonfietti, trentasette anni, mio amico e compagno, andava a Palermo per il compleanno della figlia e rimase intrappolato nell’aereo, il DC 9 dell’Itavia in volo da Bologna a Palermo, partito con due ore di ritardo. Chi dice esploso in volo per un’avaria, chi i soliti terroristi di sinistra, chi darebbe in questo caso la colpa anche alla destra eversiva o ai palestinesi, io propendo per la tesi che addebita la colpa ai francesi che su ordine statunitense hanno tentato di far fuori il leader libico Gheddafi, che ha visto bene di farsi coprire dalla scia di un aereo più grande. Ovviamente i nostri servizi segreti che al caso diventano deviati e in questo caso sono coinvolti anche i vertici dell’Aeronautica militare, hanno organizzato il depistaggio, la sparizione dei nastri e via elencando. Per dimenticare prima è stata anche messa in liquidazione la compagnia aerea Itavia, non era neppure in passivo. Così Rinaldo ricorda Alberto: [...] Ho pensato alla solitudine di Alberto a questa dolce e terribile figura che gli era stata vicina fin dall’inizio. La si poteva misurare anche attraverso l’esigenza sua fortissima di mantenere gli antichi rapporti: quelli che restano in piedi malgrado i terremoti [...]. Probabilmente stava districando la trama della sua storia per rintracciare il nesso che legava il percorso dei suoi ultimi anni alla sua identità originaria [...]. e Lia: oggi è morto Bonfietti / oggi è morta una foglia verde / oggi è morto un mio amico/ dopo tanti anni passati / dentro antri fumosi, davanti ai cancelli / ora nel vento / negli a e r e i assassini [...]. E Mimma dice: Certo Alberto ha sofferto del ridimensionamento che la storia ha fatto delle prospettive di tutti noi, quelli della nostra generazione, quelli che credevano di aver reinventato definitivamente il comunismo. Ha sofferto e ha fatto soffrire per questo, come molti di noi. Ma quell’Alberto alto, allampanato, eternamente trasandato, il suo parlare stringato ed essenziale [...]. Ci mancherà. Toni Capuozzo ricorda le domeniche d’estate nella Gemona del terremoto... ricorda la presenza fisica di Alberto in cui per lui risiedeva l’immagine dell’organizzazione lontana, forse per questo adesso, la cosa più inquietante è la sensazione che non ci sia più... 102 Giannina, la moglie, ora cura i malati terminali con le acque, allevia loro il dolore, li accompagna, non fa miracoli li lascia morire bene, non è poca cosa. Pensiamo sempre a complotti a strane trame e strategie, viviamo nel sospetto, ma quando dopo il disastro aereo di Ustica definito strage nel momento in cui è diventato di pertinenza della ‘Commissione stragi’ presieduta dal senatore Gualtieri, apprendiamo che ci sono state almeno dodici morti sospette di militari, in qualche modo coinvolti, tra cui il maggiore medico che si impicca, il generale che viene ucciso a Bruxelles e un capitano che muore per infarto, ad altri esplode l’apparecchio su cui stanno volando, più che a tutte casualità viene da pensare a una compensazione dall’aldilà. DARIO FO Ho sempre pensato che Dario Fo fosse un genio. Nel mio periodo romano ho incontrato numerosi artisti, chi leggeva poesie in sette lingue, chi suonava il violino in modo mirabile, chi ti faceva un ritratto o una caricatura in pochi minuti, chi riusciva a rapirti con un semplice racconto o una poesia. Tutti stralunati che ti intrattenevano nei ristoranti o negli angoli delle strade e vivevano di piccole offerte come Otto e Barnelli che grazie a Renzo Arbore hanno avuto il loro momento di celebrità, dopo essere 103 passati al Folk Studio; ecco, Dario è tutto questo e sarebbe un quasi barbone se non avesse trovato Franca Rame che lo tutela protegge e valorizza. Mi sono detto, pochi sanno, che Dario è anche un grande pittore, mi sono consultato con Emilio Tadini e ho iniziato a organizzare una mostra dei suoi disegni, il manifesto della mostra è un particolare tratto da un disegno di Dario, da Anna Lanterna, madre della mia compagna di allora, Roberta. Dopo diverse insistenze, Dario mi chiama e mi dice di andare da lui che mi farà finalmente quei disegni che chiedo da tempo. Arrivo, libera il salone, dispone i fogli bianchi e inizia a disegnare, poi li copre con altri fogli e ne fa dei doppi quindi ci ri-interviene sopra per renderli unici e mi chiede: «Ti bastano ? bene vai, che ho da lavorare». Prendo i disegni e scappo. ‘Disegni a teatro’ è il titolo della mostra che sono riuscito a organizzare e allestire allo Studio Marconi di Milano, fu un avvenimento e un grande successo. Ma quello che mi piacque di più fu quando portai Dario da Upiglio, il migliore stampatore di Milano, gli fece fare delle litografie e serigrafie, vedevi Dario proprio appassionato, lavorava come un ragazzino, credo di avergli fatto riprendere l’amore per la pittura. Mi raccontava Emilio Tadini che Dario voleva fare il pittore e lui lo scrittore al punto che nel 1951 a Parigi dove erano andati insieme, Fo dipinge alcuni quadri a commento del libretto di poesie Ragazza che muore di Tadini. Lasciai il Teatro Pier Lombardo solo perché non arrivavo a fine mese con lo stipendio, per il resto mi trovavo benissimo, Franco Parenti mi lasciava la massima autonomia solo che dovevo sempre chiedere qualche integrazione finanziaria a mio fratello e passai a fare l’organizzatore della compagnia di Franca Rame e Dario Fo. Sistematizzai il lavoro con l’estero vista la diffusione e il numero di rappresentazioni delle commedie di Fo e aprii una nuova collana di libri per le edizioni F.R. La Comune e una collana di commedie scritte ma mai rappresentate, stampate con classe e curate con passione dalla tipografia di Roberta Cordani. Partecipai alla tournee dello spettacolo Clacson Trombette e Pernacchi , e al classico di Franca Tutta casa letto e chiesa essendo Dario occupato nelle prove e nella messa in scena de L’opera dello sghignazzo ispirata all’Opera di tre soldi spettacolo complesso prodotto dal Teatro Stabile di Torino. Riprendiamo a Milano Fabulazzo osceno un testo in quattro parti di Fo, una delle quali è la Parpaja topola con Franca Rame e Gerardo Amato il fratello di Beniamino Placido, che dopo le repliche di Milano pensa bene di abbandonarci per fare una nuova serie televisiva per Canale5. A Trieste Franca convoca la compagnia e pone il problema della sostituzione, la scelta cade su di me. Fo sostiene che lo spettacolo è ispirato anzi tratto dai ‘fabliaux’ della Francia del nord-est verso il millecento ed è una violenta accusa a un potere che impone soggezione attraverso il senso del peccato. «Date un senso di colpa alla gente, al popolo che dovete governare e 104 riuscirete a condurli come al pascolo, con tranquillità e serenità» scriveva Machiavelli. Per la prima volta nella storia del teatro, troviamo il sesso femminile quale personaggio principale e conduttore di una storia, infatti i provenzali chiamano ‘parpaja’ il sesso femminile e ci aggiungono a volte ‘topola’, Fo, per i ritardati ci ha aggiunto anche ‘passera’ così anche loro capiscono e possono godere come tutti gli altri. In realtà erano state rovesciate le parti, qui troviamo la donna che circuisce un uomo, lo usa, anche sessualmente e lo abbandona. In scena io avevo degli slip tinta carne e Franca pure, ma potevamo apparire nudi per i giochi di luce e la scopata sotto al lenzuolo poteva sembrare realistica al punto che alla fine dello spettacolo un poliziotto mi ha fatto i complimenti per la mia prestazione, mi sono meravigliato che non fosse un carabiniere. Ho portato a termine tutta la tournée, risparmiato due lire, potevo tornare alle mie follie. Sauro Pari con Anselmino avevano preso a Milano il Teatro Cristallo, un teatro grande leggermente periferico ed era difficile far tornare i conti. Andai da Giorgio Gaber e con molto entusiasmo gli proposi di creare una associazione ‘Artisti Associati’ che vedesse lui Ombretta Colli, Franca Rame e Dario Fo tra i protagonisti. Gaber mi lasciò illustrare il progetto e poi mi disse semplicemente: «Sì... perché alle donne (intendendo ovviamente Ombretta e Franca) ci pensi tu vero?». Lo abbracciai e me ne andai. Dovevamo fare i conti con la complessità, le frustrazioni e i desideri e a volte le gelosie di ogni singolo individuo. Partecipai all’apertura di un nuovo teatro, La Piccola Commenda sempre in zona Porta Romana. Mi ritrovai con Stella Leonetti e Flavio Ambrosini, avrebbero dovuto esserci anche Lella Costa e l’avvocato Bianchi, ma all’ultimo si ritirarono, così mi fu detto perché non ci fu mai un incontro tutti assieme, coinvolsi in questa avventura molti amici tra cui Luciano Morini che prima di partire per l’Africa ci costruì le scene dello spettacolo Amate sponde di Arbasino, messo in scena da una formazione di giovani attori molto interessante. Avevo chiesto aiuto a Fo, che ci aveva regalato un disegno per l’inaugurazione del teatro, e scritto un nuovo testo: Patapumfete , studiato su Alfredo e Ronald Colombaioni, provenienti da una storica famiglia di clowns e artisti circensi. Mi impegnai a cercare sponsor e pubblico, venni accusato di lavorare più per le compagnie ospiti che per la nostra, non riuscii a spiegare, a far capire il mio punto di vista, se lavoravamo con nomi interessanti e importanti ne avrebbe guadagnato anche il nostro teatrino e sarebbe aumentato il pubblico anche sulle nostre produzioni. Niente da fare. Ci fu la rottura e dovetti presentare lo spettacolo al Teatro Cristallo e trovarmi un altro lavoro. Avevo proposto a Oreste Del Buono, direttore di «Linus», di realizzare 105 delle strisce a tema ‘La canzone d’autore a fumetti’ e lui mi aveva detto di lavorarci sopra di arrivare con gli abbinamenti, perchè l’idea gli piaceva. Lavoro sugli abbinamenti e trovo più problemi del previsto, sia sulla scelta delle canzoni, ma soprattutto sull’autore del fumetto da abbinarci, fatta la cernita chiamo Del Buono che mi informa che lui si dimette perché ha scoperto che il gruppo Rizzoli, da cui dipende «Linus», è in mano a Licio Gelli e alla P2 e lui non può starci un giorno di più. Ci avevo lavorato sopra sei mesi ero riuscito a costruire dei binomi interessanti: Gino Paoli con Crepax, Altan con Jannacci, De Gregori con... e niente, ma condividevo la scelta di Del Buono. La loggia massonica ‘Propaganda due’, nota come P2, appartenente al Grande Oriente d’Italia, era una loggia coperta cioè segreta di cui a Licio Gelli era stata delegata la gestione fin dagli anni Settanta, e riuscì negli anni a coinvolgere i maggiori rappresentanti delle forze armate, delle forze politiche ed economiche. È stato dimostrato il coinvolgimento della P2 al ‘golpe Borghese’ del 1970 descritto in un dossier del SID, reso pubblico solo nel 1991, alla strage dell’Italicus e ai depistaggi legati alla strage di Bologna. Partecipò attivamente alla strategia della tensione per spostare il paese a destra e in seguito elaborò il ‘piano di rinascita democratica’ che prevedeva la presa del potere semplicemente con l’inserimento di uomini di fiducia nei posti chiave dell’apparato dello Stato nei suoi vari livelli. Per la riuscita del piano era fondamentale mettere le mani sui mass media, partendo dal «Corriere della Sera», e il gruppo Rizzoli, allora il gruppo editoriale più forte, e in questo Licio Gelli fu coadiuvato dal banchiere Roberto Calvi, dall’imprenditore Eugenio Cefis e dalle casse dello Ior, l’Istituto per le Opere di Religione,del Vaticano. Bisogna ammettere che Papa Luciani, pur essendo stato solo 33 giorni al posto di Pietro, ci aveva visto giusto cercando di mettere le mani e chiudere la banca Vaticana. Tra gli iscritti alla P2 troviamo Franco Di Bella che ha sostituito Piero Ottone alla direzione del «Corriere della Sera», tutti i capi dei servizi segreti e i funzionari più importanti mentre la vedova di Roberto Calvi indicava in Giulio Andreotti il vero capo della loggia, il quale, fino all’apparizione di una foto che lo ritrae con Gelli in Argentina ha sempre negato di conoscerlo. La Loggia P2 venne chiusa su suggerimento della commissione presieduta da Tina Anselmi. Tra gli iscritti si trova anche Silvio Berlusconi ma a differenza di altri come Maurizio Costanzo che devono quantomeno scusarsi, lui nega e dichiara che: «stando alle sentenze dei tribunali della Repubblica essere piduista non è titolo di demerito» e riuscirà di fatto a mettere in atto gran parte del piano predisposto da Licio Gelli, impossessandosi dell’informazione prima e poi di parte degli apparati dello stato e destabilizzando quelli che non riesce a controllare. Bruno Borghi mi propose di andare a Verona per gestire il Teatro Ristori 106 per conto del consorzio Teatro Sistema, e io accettai. Il teatro realizzato nel 1844 come teatro circense, da questo la sua forma a ferro di cavallo, ospitò spettacoli di circo, saltimbanchi, ballerine, mimi e clown. Nel 1851 iniziava una programmazione di prosa e musica con opere leggere e melodramma. Vi debuttò Adelaide Ristori nella Maria Stuarda di Schiller, fu un tale trionfo che il teatro prese il nome della grande attrice e cantante friulana, ma quando arrivammo noi, usciva da deprimenti stagioni e da pessime gestioni. Conobbi la signora Ederle, erede di un’importante famiglia, che mi offrì gratuitamente un suo appartamento nel centro di Verona, ma nel frattempo qualcuno aveva detto che io ero delle Brigate Rosse, per cui la mia nomina venne ritardata, mi arrabbiai molto con Bruno Borghi, responsabile organizzativo del Collettivo di Parma ed esponente del PCI, neanche avessi dovuto prendere chissà quale incarico e comunque la notizia era completamente falsa. Essendo che l’unica sigla simile in cui avevo militato fin da ragazzino, anche se era una semplice collaborazione, era il Soccorso Rosso, andai da Franca Rame, gli spiegai la situazione e lei fece telefonare da Dario a Ugo Pecchioli, definito il ministro dell’Interno del Partito Comunista Italiano e la questione si risolse nel giro di pochi e incasinati giorni. Fu una avventura impossibile. Il consorzio non era stato ancora formato, avrebbe dovuto comprendere le maggiori cooperative teatrali italiane ma metterle tutte d’accordo era un’impresa, impresa ancora maggiore farle tirare fuori le quote di adesione. Per cui eravamo perennemente e letteralmente senza una lira. Gianni Franceschini, giovane pittore e attore veronese, coinvolto all’ultimo momento, organizzò una stagione del ‘Teatro ragazzi’ e io invitai gli amici e organizzai i loro spettacoli, a partire da Franca Rame e Dario Fo, le compagnie del consorzio tra cui: Nuova Scena, la Coop. Teatro di Sardegna, il Gruppo della Rocca, il Teatro dell’Elfo, il Collettivo di Parma, la giovane veronese Susanna Beltrami, il noto avvocato di Asti Paolo Conte, che iniziava a essere conosciuto anche come cantautore. Di bello ci fu il rapporto con la città, con l’unica interessante radio e i suoi giornalisti, con «l’Arena» l’unico quotidiano presente e con molti giovani ed entusiasti spettatori, e con i membri della compagnia la Piccionaia di Vicenza che mi sostenne e aiutò in modo incredibile. Grazie a Leo Wachter (quello che ha portato i Beatles in Italia) organizzai a prezzo di costo alcune repliche del musical americano Ain’t Misbehavin’ un collage di generi musicali con una grande vitalità e allegria e successivamente un balletto ciuvascio cioè russo, molto colorato con molti ballerini ma non fu capito e mi accusarono di essere comunista. Non mi posi il problema, allora, del perché non mi avessero accusato di filo-americanismo quando proposi il gruppo americano. A Torino, per negligenza del gestore del cinema Statuto, che non aveva tolto i lucchetti dalle uscite di sicurezza, morirono sessantaquattro persone, vennero pertanto modificate in modo restrittivo le norme di sicurezza e in Italia vennero chiusi innumerevoli teatri, tra cui a Verona il Teatro Ristori. Avevamo in programma Uppercut sonata, uno spettacolo sul mondo 107 della boxe del Granserraglio di Torino, ma rimasero chiusi fuori, ne nacque un rapporto di simpatia con Richi Ferrero, Gianna Franco, Gigi Gallea e gli altri strani personaggi della compagnia. In prima pagina il direttore de «L’Arena», quotidiano locale, così commenta la notizia della chiusura del Teatro Ristori: «Una presenza da far rivivere. Qualcuno può essere contento, che il Teatro Ristori abbia definitivamente chiuso i battenti, dopo tante traversie [...]. Negli ultimissimi tempi il Ristori aveva tentato con la gestione Martin di ritrovare o di creare un suo pubblico [...]». Non mi hanno più offerto l’opportunità per dimostrare che un teatro diverso è possibile. Chiusa anche la casa di Verona, salutati velocemente gli amici, ringraziata la signora Ederle per la disponibilità e cortesia, tornai a Milano nella stanza di via Ausonio, dove ero ospite di Mila e Carlo Bertacca e trovai lavoro al Teatro dell’Elfo. All’Elfo c’era una grande frenesia. Gabriele Salvatores seguiva una sua idea di teatro, più leggera, alla ricerca del divertimento, un divertimento intelligente, in qualche modo più rispondente alle richieste del pubblico, con molta voglia di fare cinema di sperimentare altri linguaggi. Elio De Capitani era più serioso, più ribelle, non si doveva cedere per accontentare il pubblico era il pubblico che doveva seguire i tuoi messaggi e in quella stagione riuscì a mettere in scena Nemico di classe di Nigel Williams, spettacolo duro, violento, di una forza coinvolgente con una grande interpretazione di Claudio Bisio, Paolo Rossi, Antonio Catania e dello stesso De Capitani. Ferdinando Bruni, terzo storico fondatore del Teatro dell’Elfo aveva messo in scena The fantasticks di Tom Jones e Harvey Schmidt. Era una grande squadra con Renato Manzoni all’organizzazione e la bella e capace Anna Guri all’ufficio stampa. Avevo conosciuto Tomas Arana, ora grande attore internazionale, all’epoca amico estimatore e collaboratore di Falso Movimento, una compagnia napoletana guidata da Mario Martone, dovetti andare un paio di volte a Roma per incontrarlo, ma riuscii a organizzare lo spettacolo Otello e i concerti dell’autore delle loro musiche Peter Gordon, e in alcuni locali sui Navigli l’esposizione dei lavori di Fiorito, lo scenografo della compagnia, fu un successo e la rivelazione di quella che sarà una delle più interessanti compagnie italiane di teatro, che prenderà il nome di Teatri Uniti. Non amavo fare la programmazione classica del teatro, dove era possibile cercavo di costruire delle operazioni, costruire degli eventi ora di moda ma all’epoca nessuno usava questo termine, in quel caso tutto funzionò alla perfezione, essendo anche riuscito a fornire al pubblico oltre al lavoro teatrale la ricerca scenografica e lo spessore del musicista che aveva composto le musiche. Tomas Arana, nato in California era amico di un giovane graffitista americano e ne approfittammo per organizzare una mostra alla galleria Ala, individuata per caso perché vicina al teatro, delle opere di Keith Haring che diventerà dopo poco famosissimo in tutto il mondo. 108 Per la terza volta portai a Milano Heiner Goebbels, questa volta con il quartetto Cassiber, avevo già organizzato il concerto del duo Goebbels e Hart e al Teatro Pier Lombardo il concerto della Sogenanntes Linksradikales Blasorchester, composta da sedici fiati, che sfilarono dal Duomo al teatro seguiti da un codazzo di gente, sempre guidata da Heiner Goebbels, ora uno degli autori di musica contemporanea più rappresentati al mondo. Non è semplice decidere di fare un concerto o programmare uno spettacolo, a volte rinunci a fare spettacoli anche molto belli ma che non sai come promuovere, mi avevano portato a casa di Cathy Berberian, facendomi scoprire un’artista eccezionale, quelle cose che dici che devi condividere, il mondo deve sapere e decisi di programmarla all’Elfo. Per difenderla decidemmo di fare lo spettacolo il giovedì sera con molti giornalisti e inviti, fare riposo il venerdì e puntare sul sabato, fu un grande successo dovuto al passa parola e agli articoli usciti, ma non sempre funziona. La paura del vuoto, della sala deserta ti blocca e ti impedisce di dare spazio, di programmare artisti geniali come Alda Merini o i gruppi facenti capo alla cooperativa l’orchestra, presieduta da Moni Ovadia, che solo molti anni dopo riceveranno il meritato riconoscimento. Organizzai, con la Gdg Video dei miei amici Mario Galli e Paolo Giacobone, e curai con Ottavia Bassetti, la rassegna ‘ Video Scienza 84’ un ciclo di incontri che vedevano presenti esperti e premi Nobel, accompagnati da proiezioni di filmati su tematiche specifiche tipo: “La comunicazione negli animali”, incontro con l’etologo Martin Lindauer dell’università di Würzburg, o “I tumori come prevenirli” o ad esempio serate tipo: “Operazione W. Cronaca filmata della nuova frontiera della fisica moderna” con Giorgio Salvini del CERN di Ginevra, incontri e serate che riscuotevano enorme successo, con la coda di pubblico fuori dal teatro. Insomma quello che sarà poi in qualche modo il “Quark” di Piero Angela in TV, dimostrando che il pubblico c’è, se proponi iniziative interessanti anche se impegnative. A Padova durante un comizio mentre pronunciava le parole: «Compagni lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda» veniva colpito da un ictus e moriva Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano. Il presidente della Repubblica, Sandro Pertini andò a trovarlo e disse: «Lo porto via con me, come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta». Era il 7 giugno 1984. Diciassette giorni dopo, il 24 giugno, morirà Antonio Bisaglia, potente capo della Democrazia Cristiana, cadendo dal panfilo Rosalù di proprietà della moglie, ancorato dalle parti di Portofino sotto la villa di Vacca Augusta. Impossibile non fare un confronto fra le due morti, anche se su quella di Bisaglia, chiusa frettolosamente senza autopsia, sono sempre emersi dubbi; in questo caso fu Cossiga allora ministro dell’Interno, che si precipitò a ritirare la bara per portarla a Roma. 109 Curioso il fatto che il fratello prete morì annegato nel lago di Centro di Cadore e il suo segretario particolare seguì la stessa sorte l’anno successivo nel fiume Adige. Bisaglia amava dire: «Non farò mai il segretario della Democrazia Cristiana ma sarò uno dei pochi che lo decidono». Era riuscito a consolidare il suo feudo nel nord-est, con Piccoli e Rumor, venivano chiamati PI-RU-BI, sarà coinvolto nello ‘scandalo petroli’; verrà accusato, con prove certe, di aver dato soldi a Pecorelli dell’agenzia OP, prima che qualcuno lo uccidesse e sarà poi coinvolto nello scandalo del fallimento della banca di Sindona, finché la direzione DC non ha deciso di emarginarlo. I lavoratori dello spettacolo lavorano a stagione, normalmente da ottobre a maggio, soprattutto quelli come me che scelgono di operare in un teatro cioè una struttura fissa, i miei colleghi poi cercano un festival estivo o altra occupazione come organizzatori o amministratori di quelle compagnie che scelgono di girare le piazze estive con i loro spettacoli, io no, e un anno decisi di iscrivermi a un corso e andai a Londra per studiare l’inglese, ero consapevole che non potevo fare il mio mestiere senza sapere almeno l’inglese. Il corso era di tre settimane, ma mi fermai cinque settimane, non per approfondire la lingua, che non riuscivo proprio a capire, ma essendo nato un rapporto con la professoressa, la ‘teacher’, ho approfondito i rapporti con lei. Helen alta bionda, molto bella, amava fare all’amore all’aperto nei campi inglesi e devo dire che come sono tenuti i campi inglesi non li tengono da nessuna altra parte. Tempo dopo ricevetti una sua lettera dal Giappone, firmata Helen xxx, dove mi raccontava di come fosse bello e interessante il Giappone e continuava: Sì sono in Giappone lavoro, ma non amo: sono dieci mesi che non amo. Ogni tanto mi viene la voglia di cadere di amare o di fare l’amore, ma cerco di stare da sola per un po’ forse per molto, perché la vita di amore ha sempre guidato la mia vita. Ora voglio conoscermi meglio e scoprire i miei interessi (oltre di uomini), [...] sarebbe più facile dire ‘ti amo’ voglio stare con te e fare l’amore in un letto sempre più grande! [...]. E continuava dicendo che lei mi amava molto e che sarebbe potuta anche venire in Italia ma mi chiedeva: «E tu Sergio cosa vuoi dalla vita?». Non sono ancora riuscito a rispondere a quella domanda, mi viene in mente la risposta che diede il geniale artista Pino Pascali in una situazione simile: Io sono un punto alla sinistra del foglio, traccio la I continuo in O 110 salto alla passo alla percorro la termino in S O N O Ebbi una storia intensa con una grande attrice. Una storia da fumetti o racconto erotico che inizia in modo strano con dei furtivi toccamenti, via via sempre più intensi fino a giungere nelle zone degli organi sessuali, mentre l’autista ci porta a destinazione. Il bello è che lei è sul sedile anteriore e io dietro... Una storia di sesso che durò a lungo con intervalli, con momenti intensi e altri conflittuali, momenti rubati nei camerini, in casa o toccamenti intensi e continuativi durante i trasferimenti, con fughe notturne e ricongiungimenti nelle camere degli hotels, con interventi manuali o di lingua mentre uno era alla guida dell’auto e cercava di raggiungere il teatro o l’aeroporto. In una sua lettera scrive: «[...] sono stata con te come sono sempre stata nella vita. Onesta. Ti ho amato [...]. Ora mi guardo in giro non ti preoccupare non mi ci vuole tanto te l’ho detto a mio marito non porto via nulla [...] se non sei tu sarà un altro o più altri. Non è bieco cinismo non posso più stare sola [...]». Finì perché non poteva proseguire e lei tentò il suicidio, salvata in extremis rimase a lungo in ospedale. Imparai molto sull’amore e il fare l’amore e sul sesso e fare sesso ma anche sulla solitudine e la tristezza dell’animo umano, sulla difficoltà a comunicare e la difficoltà a capire, non basta dire, parlare che sarebbe già qualcosa, bisogna impegnarsi ad ascoltare, entrare nei sentimenti entrare nelle persone, capire le loro dinamiche. Fermarsi ad ascoltare. A volte mi fermo a pensare, cerco di elaborare i dati, dal 1969 al 1984 ci sono state undici stragi per un totale di centocinquanta persone morte e seicentocinquantadue feriti, per carità molto meno del disastro del Vajont, troviamo coinvolti personaggi politici, apparati dei servizi segreti, altri organi dello Stato e non riusciamo mai ad avere certezze, o almeno verità certe, soprattutto sugli uomini politici coinvolti. Perché? Dopo diversi tentativi andati a vuoto riesco a convincere Franco Quadri, del premio Ater-Riccione, a produrre la mostra su Dario Fo e Franca Rame ‘Il Teatro dell’Occhio’, titolo preso dalla rivista «Il dito nell’occhio» di Parenti-Fo-Durano, messa in scena nel 1953 con le composizioni mimiche di Jacques Lecoq. ‘Disegni a teatro’ voleva evidenziare la bravura di Fo come pittore e la cosa ha funzionato visto che alcuni critici lo hanno paragonato a Chagall, Bacon, addirittura a Picasso e altri grandi della pittura, con il ‘Il Teatro dell’Occhio’ volevo evidenziare la complessità e la ricchezza del lavoro di Dario Fo e il fondamentale apporto di Franca Rame. Per cui la mostra era suddivisa in sezioni ed evidenziava il suo passaggio da buffone borghese a giullare del popolo. È’ sufficiente leggere i titoli dei suoi primi lavori: Gli arcangeli non giocano a flipper, Chi ruba un piede è fortunato in amore , Legami pure tanto io spacco tutto lo stesso, A non si paga non si paga o Fanfani rapito e Morte accidentale di un anarchico per capirne il percorso fino all’ipotesi della tragedia Moro mai realizzata perché, a suo dire, la realtà 111 superava la fantasia. La mostra comprendeva anche le maschere in pelle di Donato Sartori, gli elementi scenici dei suoi spettacoli e una sezione video con l’unico film, divertentissimo, Lo svitato di Lizzani, oltre a spezzoni militanti e tanti caroselli che per chi non lo sapesse erano dei siparietti pubblicitari che dividevano il pomeriggio dalla sera e indicavano ai ragazzini l’ora di andare a dormire. Una sezione era dedicata alle locandine e manifesti delle rappresentazioni all’estero e una al teatro della famiglia Rame che seguendo la tradizione della commedia dell’arte avevano creato un carretto trainato da cavalli, che arrivati sulle piazze si trasformava in palcoscenico e in teatro, successivamente il carretto fu sostituito da una macchina che durante la guerra fu sequestrata per farne un’autoambulanza. La segretaria del premio nazionale Ater/Riccione per il teatro, che ha prodotto la mostra, era una piccola signora dalla grande umanità ed energia, Maroly Lettoli, che mi scrive: «[...] Sono contenta di averti incontrato; è quasi impossibile oggi nell’ambiente teatrale avere la fortuna di conoscere persone come te. Io sono stata fortunata sei vero e senza maschere [...]». Grazie Maroly anch’io sono stato molto fortunato. L’installazione o mostra che dir si voglia, ebbe un grande successo e fu richiesta da innumerevoli realtà, soprattutto all’estero. Per la produzione al Palazzo del turismo di Riccione mi ero appoggiato alla GDG Produzioni televisive, società di alcuni amici e alla Consulta società di altri amici, ma non potevo continuare a gravare su di loro e diedi vita con altri amici a Emmecinque che stava per ‘Martin 5’ il numero dei soci che comprendeva anche Paolo Buffo. Paolo portò la mostra a Madrid su un vecchio e scassatissimo furgone che giunto all’ingresso dell’autostrada rifiutò di fermarsi, rompendo la barriera e interrompendo la corsa solo dopo centinaia di metri, per fortuna senza ulteriori danni. Con lo stesso furgone io portai la mostra prima a Copenaghen, dove ebbe riconoscimenti entusiastici e successivamente a Stoccolma, dove fu accolta da un raro e unanime consenso. Credo, senza presunzione, che sia stata una grande opportunità per fare conoscere l’articolato lavoro di Dario Fo e Franca Rame. In quell’occasione, grazie anche all’impegno di Barsotti, l’agente pisano dei Fo a Stoccolma, che ha integrato la mostra con materiali in lingua, sia la famiglia reale che i membri dell’Accademia delle Scienze hanno potuto verificare la complessità del lavoro di Dario e il suo costante interagire con la realtà che lo circonda. Franca Rame in seguito ha realizzato, usando i miei materiali, sia artistici che tecnici, una sua versione della mostra senza neppure citarmi nell’enorme e ricco catalogo, così va il mondo. Molti furono i progetti di Emmecinque: dalla mostra ‘Disegno e regia’ di e su Akira Kurosawa, a ‘Quasi un musical’, una mostra spettacolo su Paolo Conte, al progetto per l’organizzazione di un festival della canzone italiana d’autore ‘Cantauntema’. 112 L’idea, già allora, era quella di aggiornare San Remo e di portarci quei cantautori che lo snobbavano e poi hanno iniziato ad andare al Club Tenco. ‘Inscena’, o meglio ‘Lo spettacolo è Inscena’ salone delle tecnologie e dei servizi per lo spettacolo,sarebbe stata la prima fiera dello spettacolo da realizzarsi all’ente manifestazioni ‘Il Girasole’ per la quale il mio amico e geniale grafico Ferruccio Dragoni ha preparato inutilmente tutti i disegni. Nessuna di queste idee, come altre d’altronde, andò in porto, ma fu un grande lavoro di studio, di ricerca, di preparazione. Riuscii invece a mettere le basi per realizzare una mostra su Eduardo, il grande de Filippo, nato nel novecento e morto nell’ottobre del 1984, l’anno in cui misi in scena la mostra di Fo ed ebbi l’occasione di chiedergli di fare una mostra con, su di lui, ed Eduardo all’epoca mi rispose: «Le mostre si fanno ai morti e io non lo sono ancora». Berlino Accettai l’invito della dottoressa Renate Albrecht del Goethe Institute di Milano di fare un corso di tedesco e andai a Berlino ospite di Andreas Rossman un giornalista delle pagine culturali. innamorato di una ragazza dall’altra parte del muro. Andreas non poteva più andare nell’altra Berlino, era considerato un nemico del comunismo, e lei non la lasciavano espatriare e pertanto potevano incontrarsi solo a Praga e in maniera rocambolesca. In seguito, dopo innumerevoli battaglie, riuscirono ad avere il permesso di sposarsi e lei si trasferì da lui nella Berlino occidentale, si separarono poco dopo. 113 Piero aveva ancora l’Osteria n.1 nel quartiere turco di Kreuzberg, quella dove un tempo con una copia del giornale «Lotta Continua» che costava cinquanta lire, ti davano un bicchiere di vino rosso da due marchi. Clemente Manenti con la sua stupenda compagna veneta, teneva corsi di italiano per tedeschi e un giorno mi portò in una bellissima sauna al quattordicesimo piano di un palazzo sempre illuminato per fare dispetto a quelli dell’altra Berlino, che avendo poca energia stavano quasi sempre al buio, in quell’occasione scoprii massaggi, benessere ed il significato di spa cioè salus per aquam e non società per azioni come pensavo. Berlino nel 1984 era una città frequentata dai giovani di tutto i mondo, i giovani tedeschi residenti a Berlino erano pure esonerati dal servizio militare altrimenti obbligatorio, questo faceva si che molti giovani scegliessero di vivere un periodo della loro vita, in questa città un po’ falsa, un po’ vetrina, sostenuta artificialmente per dimostrare a quelli al di là del muro che di qua si stava meglio. Malgrado il tedesco sia una lingua che mi piace molto ascoltare, e fossi arrivato con le migliori intenzioni e avessi avuto anche un lungo rapporto con una ragazza tedesca, non riuscii a tenere il ritmo delle lezioni, ero l’unico a partire da zero e senza sapere altre lingue, neppure il latino e pertanto dopo un po’ lasciai perdere lo studio della lingua e accettai l’invito di Mario ad andare a Stuttgart, dove lui stava aprendo un nuovo locale, aveva lasciato la Locanda e apriva l’Aleph. Trovai un locale bellissimo, molto grande, una ex birreria, che aveva conservato alcune strutture in rame, tutto ciò gli dava un che di postindustriale e ci trovai Hubi, quello che mi aveva ospitato a Bologna che dopo essersi laureato aveva iniziato a fare il medico proprio lì a Stuttgart, ma soprattutto ci trovai Checco Zotti che ironizzò alla sua maniera sulla mia presenza ma mi intrattenne per due giorni, fingendo di essere di passaggio per andare dal dentista, in realtà era l’anima dell’Aleph, dove per l’inaugurazione arrivò anche Loris Lombardini da Trento e molti altri compagni dall’Italia. Alla festa di inaugurazione conobbi Gabriele, donna bellissima e simpaticissima di professione psicologa, con due figli e un cane o due cani e un figlio, facemmo amicizia e pur non sapendo lei l’italiano, comunicammo al punto che per i giorni successivi fui ospite del suo letto. Fatto che ha creato una rara invidia in Checco che non si capacitava di come fosse possibile che lui non ci fosse mai riuscito ad avere un rapporto con Gabriele e fu il tema,’ la chiacchera’, di quei giorni che io non comprendevo perché fatta in tedesco e pertanto mi lasciava del tutto indifferente. Dopo sei mesi Gabriele venne a trovarmi in Italia e la portai nella tenuta di Jacopo Fo a Santa Cristina di Gubbio, parlava tranquillamente e regolarmente l’italiano, cosa che fossi stato più serio mi sarei dovuto suicidare, vista la mia incapacità a imparare le lingue, io non avevo imparato una parola di tedesco e mi ero portato Hubert, qualora fosse servito un interprete, ma non fu necessario. Fu in quella occasione che scoprii che le colline attorno a Stuttgard erano costituite dalle macerie della seconda guerra mondiale, che aveva 114 letteralmente raso al suolo la città, e pensavo che si poteva adottare lo stesso sistema per liberare l’Aquila dalle macerie causate dal terremoto. A Berlino mi raggiunse anche la notizia della morte di Eduardo de Filippo. Eduardo Quasi per caso mi trovai coinvolto in prima persona nell’organizzazione della mostra ‘Eduardo de Filippo vita e opere’. Su segnalazione di Franca Rame, avevo incontrato Isabella Quarantotti de Filippo, terza e ultima moglie di Eduardo, nonché madre di Angelica Ippolito, in quanto il suo primo marito era Felice Ippolito geologo napoletano, co-fondatore del Partito Radicale, geniale interprete della ripresa italiana e convinto assertore dell’indipendenza italiana dal punto di vista energetico, che fu ingiustamente processato e incarcerato l’anno dopo che uno strano incidente aereo aveva ucciso Enrico Mattei, altro artefice e sostenitore dell’indipendenza energetica italiana. 115 Angelica Ippolito bella e brava attrice che avevo conosciuto al teatro Pier Lombardo, mi piace ricordarla anche per aver accompagnato gli ultimi anni di vita di Gian Maria Volontè, nella casa che fu di Eduardo a Velletri. Sembra vero che a volte le cose ce le chiamiamo, le cerchiamo, Volontè convinto di avere un tumore se ne stette in giro in barca per lunghi periodi, in realtà il tumore gli venne, ma molto, molto dopo. Il figlio di Eduardo, Luca, offriva totale disponibilità, ma lasciava la responsabilità alla terza moglie del padre, Maurizio Scaparro direttore artistico del Teatro di Roma, col quale avevo già collaborato avendomi programmato la mostra di Dario Fo a Palazzo Braschi a Roma, garantiva disponibilità e appoggi. L’impresa era complicata perché Eduardo nato nel 1900 aveva debuttato vestito da cinese nel 1904 nella Gheisa, spettacolo teatralmusicale del padre naturale commendator Scarpetta, e da allora in modi diversi è stato interprete e protagonista del secolo, come autore e attore di teatro, di cinema, di prosa e di opere liriche. Insomma bisognava cercare di raccontare un grande personaggio e tutto il secolo che lo ha visto protagonista passando attraverso la monarchia, il fascismo e l’avvento della Repubblica. Coinvolsi Bruno Garofalo e Raimonda Gaetani, scenografi storici delle ultime compagnie di Eduardo, riuscii a convincere anche Mimma Gallina a venire a lavorare a ‘Emmecinque’ in modo da mandare avanti la quotidianità. Grazie a Graziella Lonardi Buontempo ed alla sponsorizzazione tecnica dell’Informatica Campana, riuscimmo a catalogare il materiale raccolto ed a realizzare il primo video disco con la selezione delle immagini tratte dalle diverse commedie di Eduardo. Andai a Roma nella casa di Eduardo, ospite di Isabella Quarantotti, e mi immersi in una vita combattuta, la scoperta di essere figlio di nessuno, di NN, come veniva scritto sul documento d’identità, perché il padre naturale Eduardo Scarpetta non lo aveva mai riconosciuto ufficialmente, malgrado lo facesse lavorare in compagnia, assieme ai suoi fratelli e agli altri figli naturali. Trovai le prime commedie scritte con uno pseudonimo e poi un altro ancora, le serate d’onore, finché ha firmato col suo nome. Una vita piena di incontri, di battaglie, grandi sconfitte, profonde lacerazioni e discussioni, l’amore, la famiglia, i matrimoni, la morte della figlia Luisella, il lavoro, il bisogno di soldi, l’affermazione, il ‘Teatro’. Andai a Napoli e rovistai tra tutti i documenti depositati nel Teatro San Ferdinando, la compagnia “I de Filippo”, la rottura con i fratelli, il cinema, le tournée all’estero, l’Inghilterra, l’Unione Sovietica, l’acquisto del teatro San Ferdinando e la formazione con la sua nuova compagna e seconda moglie nonché madre dei suoi due figli, la soubrette di Alba Thea Prandi, della compagnia “La Scarpettiana”. Con l’assessore alla Cultura di Napoli, avvocato Rusciano, dopo aver scartato tanti spazi espositivi anche prestigiosi tra cui Castel dell’Ovo, individuammo il Teatro Mercadante, come sede ideale per l’esposizione. 116 Mi fecero presente che il Mercadante era chiuso per inagibilità dal 1964, vero che il suo ultimo direttore era stato proprio Eduardo, ma i lavori di ristrutturazione in corso da anni non erano ancora ultimati, mancavano le poltroncine il cui costo era già stato stanziato dal Banco di Napoli e c’era l’impalcatura nella facciata principale che dà su piazza Plebiscito. Facemmo presente che a noi le poltroncine non servivano, avremmo usato la platea del teatro come spazio espositivo e avremmo potuto ricoprire l’impalcatura con pannelli con la firma e la figura di Eduardo, il problema era farlo capire all’impresa che da anni incassava denaro grazie al fatto che il teatro fosse chiuso e necessitasse di guardiania. Andammo avanti imperterriti e riuscimmo a ottenere la concessione del teatro, con gli amici milanesi che mi dicevano: “attento rischi la pelle”. La mostra sarebbe venuta a costare molto, c’era la ricerca del materiale e la sua acquisizione, i manichini per vestire gli abiti concessi da Tirelli, il catalogo con la Mondadori, la realizzazione del primo videodisco in Italia che dovemmo far fare in Olanda con la catalogazione di tutte le immagini di Eduardo, Peppino e Titina de Filippo, oltre alle rappresentazioni della compagnia di Scarpetta e a spezzoni, tratti dai film e dalle commedie televisive, grazie al lavoro dell’informatica Campana e dei suoi magnifici giovani ingegneri che lavorarono con passione e impegno. Catalogammo e mettemmo a disposizione del pubblico tutto il lavoro del maestro nel corso dei suoi ottanta anni di attività. Graziella Lonardi Buontempo co-curatrice della mostra chiese ed ottenne, attraverso la segreteria di Craxi, all’epoca presidente del Consiglio, la sponsorizzazione dell’AGIP. Alla fine eravamo riusciti a mettere assieme l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, (iniziato con Sandro Pertini e confermato da Cossiga, per fortuna segretario Generale era sempre il dottor Maccanico), il patrocinio della Regione Campania e del Comune di Napoli, il Teatro di Roma che avrebbe presentato l’esposizione al Teatro Argentina e la sponsorizzazione del Banco di Napoli e dell’AGIP Petroli. Insommacelapotevamofare. Facemmo una scelta pubblica, cioè a differenza del lavoro che stò cercando di fare ora, dove il personale è politico, in quel caso esclusi tutte le polemiche private con le mogli e con la sorella Titina e il fratello Peppino e non approfondimmo neppure la vicenda tra il commediografo Scarpetta e la sua sarta Luisa de Filippo, non so se facemmo bene, Eduardo in una lettera del 1939 alla sorella Titina scrive: [...] la nostra infanzia si è svolta, dibattendosi, fra l’ignoranza e l’onestà ‘rivoltata’ dei nostri famigliari! Le nostre anime ebbero a svilupparsi nel mutismo e nella pena del vedere! [...] In fondo, so benissimo, te ne vai in gioia; non sei mai stata felice in compagnia. Non lo sei stata perché non hai saputo aderire alla posizione morale cui ti dava diritto il posto d’onore che io, sempre io, ti avevo scelto e donato [...]. Eduardo risultava sposato con Dorothy, una bellissima americana quando 117 ebbe i due figli da quella che sarebbe diventata la sua seconda moglie solo nel 1955 a Torino, per potersi separare dalla prima moglie dovette portare la sua residenza a San Marino e dichiarare una impotenza perpetua. Penso a questo grazie alla scelta di Peppino Englaro che invece presumo con molta fatica, ha deciso di fare una battaglia pubblica per ottenere quello che riteneva prima un diritto della figlia e poi suo, cercando di renderlo un diritto collettivo. Durante il lavoro a Napoli scoprii l’isola di Capri ci andai per vedere i faraglioni e trovare Quinto un amico di Bruno Garofalo, che voleva fare una sala di registrazione nella sua pensione, e feci la coda all’imbarcadero e il viaggio con l’attuale Presidente della Repubblica e ci tornai con un’amica, Paola, arrivata a trovarmi da Milano, che Luciano De Crescenzo cercò inutilmente di carpirmi e scoprimmo che a Capri non ti puoi fermare se non hai un posto dove dormire. Fummo fermati in malo modo e portati in questura identificati e minacciati d’arresto, per fortuna arrivò prima il mio amico Quinto che asserì che eravamo ospiti nella sua pensione e lasciammo liberi il commissariato a notte inoltrata. La mostra era complessa avendo sul palco un ‘girevole’ con due scenografie originali delle commedie di Eduardo, che cambiavano ogni quindici minuti, gli apparati video e i computer dell’informatica Campania che essendo una novità a volte si inceppavano e per la gestione e la sorveglianza pratica incaricammo i ragazzi della cooperativa San Ferdinando, dal nome del teatro che Eduardo aveva acquistato negli anni Cinquanta con i proventi dei film. Essendo ovviamente un costo elevato decidemmo di porre un biglietto d’ingresso, quattromila gli interi duemila i ridotti, con l’indicazione “Forte e chiara” che se qualcuno aveva dei problemi di dargli tranquillamente il biglietto omaggio. Fu un grande successo, Bettino Craxi intervenne all’inaugurazione riprendendo il povero e bravo assessore Rusciano, esponente del Partito Liberale, dicendogli di tacere che sapeva che avevo fatto tutto io (cosa ovviamente non vera), tutti i giornali e i telegiornali ne parlarono cito solo Luigi Compagnone a cui il «Corriere della Sera» diede tutta la terza pagina in cui tra l’altro dice: È stato riaperto con una mostra, dopo 22 anni di chiusura, il Teatro Mercadante [...] ‘Magia a Napoli, rinasce Eduardo’ [...]. I palchi sono pieni di manichini-spettatori, le ‘persone’ delle commedie, ognuno fermo nel suo gesto più significante. Sul palcoscenico, in ogni sala, un laboratorio della memoria tra vestiti, trucchi e scene. È come una ultima invenzione del grande attoreautore che si fa beffa della morte e della vita [...]. Era proprio quello che volevamo... ridare vita a Eduardo. Ne uscii vivo, anche se con molti problemi economici, ma il quotidiano «Il Mattino» di Napoli iniziò ad attaccarci sui costi della mostra e sul 118 costo del biglietto d’ingresso, io, a cercare di dire, a spiegare, saltando tra Milano, Roma e Napoli, ma tutto inutile, tutti erano concordi nel dire che l’ingresso dovesse essere gratuito. Il Teatro di Roma e Maurizio Scaparro a rincarare la dose dicendo: noi non faremo pagare il biglietto d’ingresso, quando l’esposizione sarà presentata al Teatro Argentina. Facile a dirsi quando a pagare è ‘Pantalone’. Uscivano articoli che si chiedevano perché la mostra l’aveva organizzata uno del nord, dimenticandosi che anche Eduardo era dovuto andare via da Napoli. Stavamo fallendo, avevano bloccato tutti i contributi a ‘Emmecinque’ , andai a parlare con il direttore Generale dell’AGIP Petroli, minacciando di informare il Presidente Craxi che non stavano mantenendo gli impegni presi. Portai a un comitato di tre persone tutti i giustificativi economici e dopo un’approfondita verifica, mi ringraziarono, si scusarono e sbloccarono i contributi. A visitare la mostra una sera arrivò il ministro dell’Interno dell’epoca Oscar Luigi Scalfaro, che si soffermò a lungo e mi fece cercare per complimentarsi personalmente. Piccole soddisfazioni. Anche se le maggiori soddisfazioni le ottenni dalle migliaia di persone entusiaste che hanno affollato la mostra, al punto di dover chiedere una proroga che non ci è stata concessa. Partecipai all’allestimento della mostra al Teatro Argentina e in una riunione col presidente del teatro di Roma , l’amministratore delegato il socialdemocratico Gullo, mi disse che della mostra erano interessati a ‘Taormina Arte’, ma che avrei dovuto dare a loro trenta milioni di lire, mi girai verso il presidente e gli chiesi: «Ma hai sentito cosa dice?» e lui «No, cosa hai capito?, non è così, hai capito male, non intendeva dire questo [...]». Risultato, non solo non facemmo mai ‘Taormina Arte’, ma a tutt’oggi il Teatro di Roma non mi ha mai saldato le mie spettanze avanzo ancora venticinque milioni di lire più l’Iva che ho dovuto versare allo stato. In compenso Franco Quadri mi ha tolto il saluto, perché avevo fatto la mostra con Scaparro e non con lui. Bel Paese l’Italia! Ritornato a tempo pieno a Milano collaborai con Valter Valeri che nel frattempo se ne era andato a Londra, a mettere in piedi una nuova rivista …………….. di cui uscirono solo due numeri e cercai di portare in porto alcuni dei progetti di emmecinque, continuando a gestire la mostra su Dario Fo. Mimma Gallina, dopo aver seguito l’allestimento della mostra su Eduardo a Modena ultima sede prima dello smantellamento, riuscì con Edoardo Fadini del Cabaret Voltaire di Torino e Gian Renzo Morteo dell’università degli studi, a organizzare il Festival di teatro di Chieri, nella provincia torinese, questo fece sì che riprendessi i rapporti con il Granserraglio e Gianna Franco che con Richi Ferrero ne era la responsabile. Del Festival di teatro di Chieri organizzammo due edizioni che furono 119 esaltanti, riuscimmo a instaurare un ottimo rapporto con i funzionari della cittadina piemontese, tra cui Natalino Contini, col quale diventammo grandi amici, creando un giovane staff tecnico e organizzativo che lavorò in armonia tra mille difficoltà e realizzando una rassegna di compagnie emergenti con spettacoli che sono rimasti nella mente dei molti amanti del teatro e creando nel cuore degli spettatori la consapevolezza che si può fare festa anche con gente che non si conosce. Anche in quel caso si dimostrò che in questo paese non è il lavoro fatto bene che paga ma i rapporti di potere e non ci fu rinnovato l’appalto per la terza edizione Paolo Buffo Deve essere stato verso la metà di Marzo 1988 che Gianna e Richi del Granserraglio, mi invitarono al Cabaret Voltaire di Torino alla prima dello spettacolo Le lacrime amare di Petra von Kant di Rainer Werner Fassbinder, dopo lo spettacolo di cui ho un ricordo vivido dei tagli di luce sulle cinque attrici, si va in pizzeria dove passa uno strillone che vende «La Stampa», quotidiano torinese, del giorno successivo, la prendo ma non la leggo subito. Vado a casa di Gianna e prima di dormire sfoglio il giornale e credo in cronaca, leggo un articolo che più o meno dice: “arrestati Sofri, Pietrostefani e Bompressi, militanti di Lotta Continua responsabili secondo il pentito Marino dell’assassinio del commissario Calabresi ecc ecc... si ricercano i latitanti Paolo Buffo...”. Sono le due di notte ma provo a chiamare Paolo Buffo nella sua casa romana, mi risponde al terzo squillo e gli leggo l’articolo, lui dopo un lungo silenzio, mi ringrazia. La cosa ha del curioso perché io vivevo ancora a Milano e solo 120 casualmente quella sera ho acquistato e letto «La Stampa» un giornale che non era mia abitudine leggere e comunque non avrei mai potuto avere il giornale del giorno dopo, non fossi stato a Torino, mi sono imbattuto in quell’articolo che ha consentito al Buffo di organizzarsi e farsi trovare pronto dai carabinieri. Credo abbia usato il resto della notte per spiegare un po’ di cose a Marcella, la sua nuova compagna e madre della seconda bella figlia Eugenia, ovviamente non al corrente di tutta la vita di Paolo e tantomeno dei particolari della sua militanza in Lotta Continua; poi un po’ prima del solito va sul set del film Valentina che stava producendo per conto della Fininvest. Come previsto prima dell’alba i carabinieri vanno a casa sua, vicino all’orto Botanico di Roma, dietro via della Lungara per arrestarlo, non lo trovano, ma la moglie gli fornisce le indicazioni di dove sta lavorando e i carabinieri vanno sul set del film e come dentro a un altro film lo ammanettano e lo arrestano, lo caricano sul furgone e tenendolo ammanettato lo portano dal magistrato a Milano, verrà rilasciato il giorno dopo. Paolo Buffo è originario di Corio Canavese, dove il padre faceva il fornaio, lui si era aperto un ingrosso di cancelleria nei pressi della stazione Porta Nuova a Torino, dove abitava con Laura Paravia, con la quale ebbe la figlia Francesca, anche se nel frattempo la militanza aveva portato il Buffo all’amministrazione centrale di Lotta Continua a Roma. Laura Buffo Paravia era amica di Antonia Bistolfi, maga veggente collaboratrice domestica nonché moglie di Marino, all’epoca ex operaio e militante di Lotta Continua, che ospitava spesso a casa sua o nella casa di campagna a Corio Canavese. Ecco spiegato il coinvolgimento di Paolo Buffo nell’omicidio Calabresi. Marino sapeva tutto di Paolo, quantomeno sapeva della casa in campagna, della pistola regolarmente denunciata, dell’appartamento di Torino, di Laura Paravia che lui riteneva molto ricca, non sapendo essere figlia del ramo povero dei Paravia. Per riaprire il caso Calabresi da addebitare a Sofri, dopo tanti anni, serviva la ‘banda armata’, altrimenti sarebbe andato in prescrizione, il Marino in questo modo ha fornito anche gli addentellati, la casa di campagna isolata dove fare le esercitazioni armate, l’arma, la sede di Torino dove c’era Pietrostefani quale responsabile oltre a essere stato il responsabile nazionale del servizio d’ordine di Lotta Continua. Il Buffo tornerà a Roma porterà a termine il lavoro su Valentina di Crepax e verrà a Torino, ospite a casa mia, per cercare di fare una contro inchiesta per contestare le affermazioni del Marino. Ricordo le passeggiate per Torino, gli incontri con Pippo suo vecchio amico e fratello della prima moglie, la visita alla sua vecchia casa al centro, che nel periodo indicato dal Marino era diventata un bordello, ma la figlia della tenutaria si rifiutava di testimoniare per non dare della puttana alla madre. Uscirà da questa vicenda pulito, la sua casa di Corio Canavese, dove io ero stato a giocare a pallone e a contare le stelle, uscirà dagli incartamenti del tribunale, sarà sostituita da una casa in Lombardia, ma non ci interessa in questa sede, dovrà raccontare a tutta la famiglia della moglie la storia della sua militanza in Lotta Continua, dell’ingrosso di 121 cartolibreria venduto per dare i soldi all’organizzazione, spiegare a zio Oscar. medico di quartiere a Trastevere, le vicende del commissario Calabresi, ricordargli dell’anarchico Pinelli, uscito dalla finestra durante gli interrogatori illegali in quanto fatti oltre il termine massimo fissato dalla legge in vigore, e a nonna Ambra dire che stia tranquilla per sua figlia e sua nipote che è la giustizia in Italia che non funziona e lui non aveva nulla di cui vergognarsi. Come direbbe mia madre, poco dopo un brutto male ce lo ha portato via e molti compagni dai posti più disparati si sono dati appuntamento a Casalnoceto nell’alessandrino per l’ultimo saluto. Ciao Paolo ti ho voluto bene. Un articolo di Giuseppe D’Avanzo su «la Repubblica» termina più o meno così: In un sol punto le esistenze di Calabresi, Pinelli e Sofri possono concordare: nel fallimento della Giustizia. Luigi Calabresi chiedeva in tribunale la difesa della sua onorabilità. Non la ebbe. Il giudice che doveva pronunciarsi anticipò le sue convinzioni in privato e il processo si spense nella legittima suspicione. Licia Pinelli chiedeva a un tribunale come il marito fosse morto. Ne ha ricavato soltanto una sentenza che spiega il ‘malore attivo’ dell’anarchico Pinelli. Soluzione degna di una commedia buffa non di una sentenza tantomeno della verità. Adriano Sofri resterà in carcere fino al 2019. È alla fine di questi tragici quaranta anni il solo destino che invocando per se stesso ancora giustizia chiede anche una verità per Pinelli e Calabresi. Mi segue, mi accompagna in tutti i miei spostamenti e traslochi e anche nelle case provvisorie al seguito di lavori provvisori, una locandina con la faccia sorridente di Mauro Rostagno che mi guarda con quei suoi occhi scuri e il sorriso aperto e mi dice: [...] Anche oggi lo stupore di aver dormito, sognato e di essermi svegliato, di aver preso a mangiare e bere; lo stupore di respirare e camminare e vedere, udire, provar sensazioni e pensare di incontrare gente qui attorno. Anche oggi lo stupore di fare quel che c’è da fare e non tanto per farlo, ma perché questa è la mia vita. La mia vita. 122 Con Mauro ci eravamo incrociati a Trento, di passaggio, lui se ne andava io ci arrivavo per non fermarmi, a Roma per le riunioni o per scambiarci casa, a Licola per condividere una battaglia, in Sicilia e poi a Milano al Macondo. A Milano andai a trovarlo a casa sua, c’era anche Chicca la sua compagna e madre della figlia Maddalena, erano appena rientrati da Poona in India, parlammo a lungo, irradiava una tale serenità, mi raccontò cose che non capivo e alcune che non condividevo, ma con una tale convinzione che non era possibile non dargli ragione. Andai anche a Trapani, alla comunità Saman, c’era un bel clima anche se ferreo, tutti vestiti di bianco, il sole, i laboratori, l’orto, ci ritrovai alcuni vecchi compagni di Lotta Continua, che cercavano di uscire dall’alcoolismo e dalle droghe, facili vie di fuga dopo il fallimento dell’impegno politico. Ci tornai per portare fuori da una cattedrale piena all’inverosimile il suo corpo in una cassa di legno. Con Mauro ci uniscono i numeri: il ventisei io ci sono nato e a lui lo hanno ucciso, suo nipote Piero è nato il ventisei agosto come me e mi fa pensare, immaginare che nonno meraviglioso sarebbe stato Mauro quante storie avrebbe inventato e mai nessuno avrebbe potuto capire il confine tra verità e fantasia. Piango, ripensando a Mauro, ma sono felice perché proprio in questi giorni si è iniziato a fare chiarezza sulla sua morte, sui responsabili di un assassinio infame, pulendo via anche l’ipotesi che Mauro e l’organizzazione a cui aveva dedicato alcuni anni della sua vita, o una delle sue tante vite, potesse essere coinvolto nell’assassinio di Calabresi, come qualcuno ha tentato di insinuare. Dietro piazza San Babila, negli anni roventi sede e momento di incontro di fascisti ed estremisti di destra, viene fissata una riunione per discutere degli arresti di Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi. Il compito di fare il punto se lo assume Marco Boato, memoria storica ed esperto di contro inchieste per Lotta Continua, seguito da Guido Viale che continua a non spiegarsi perché lui non sia in galera con i suoi amici, e dal buon Albonetti e Luca Sofri. Non è un raduno, non so cosa sia, il clima è mesto, ma non triste, ci sono tante facce note, a molte non riesco a dare un nome, gli amici Clemente Manenti e Mario Brunetti da Berlino, alcuni professori e alcuni storici e docenti universitari, Bolis che quando mi incontra si ricorda di dovermi restituire un libro, alcuni vestiti di arancione altri tutti di bianco, alcuni con un arancione che dà sull’amaranto, tante strette di mano, meno abbracci del previsto, c’è più ritegno, molti sono contenuti dal loro nuovo ruolo di manager, dall’essere diventati importanti anchorman televisivi, o ricchi editori o gestori di note trattorie o gallerie d’arte, molti sono abbronzati, arrivati di corsa da un qualche luogo esotico di vacanza, alcuni come me sono spaesati. Arriva anche Checco Zotti, pelato per gli effetti della chemio, arriva 123 da Parigi dove è in cura grazie al contributo di Kounellis, simpatizzante e amico dagli anni roventi, ci dice Checco: «Non avrei perso questo incontro per niente al mondo e dò volentieri alcuni mesi della mia vita per essere ancora una volta con voi in questo ultimo raduno di Lotta Continua». Il 1989 è anche l’anno della nascita di mio figlio, della morte di Marco Lombardo Radice, del mio trasferimento definitivo da Milano a Torino, dell’apertura del Teatro Juvarra e del crollo del muro. Il muro è quello di Berlino che divideva Berlino ovest da Berlino est, ma in realtà divideva tutto il mondo in due: comunisti e anti-comunisti, dittatura e democrazia, era il simbolo della divisione del mondo in blocchi e con lo sgretolarsi del muro si sono sgretolati anche i blocchi evidenziando in realtà i limiti del capitalismo oltre al fallimento del comunismo. Post-considerazione “Comunista coglione” inizialmente era il titolo, in omaggio a una delle uscite geniali di Silvio Berlusconi quando dice al pubblico, al suo pubblico televisivo, che non può credere che possano esistere ancora tanti coglioni che votano comunista, cambiato in corso d’opera su suggerimento di Piero. Sono appunti, riflessioni, e anche meditazioni sugli anni Settanta Ottanta e Novanta con una riflessione particolare sulla ‘Strage di Stato’ e le sue nefaste conseguenze, il parziale racconto di una vita e dei suoi incroci, di cui sentivo il bisogno fisico di raccontare, di prendere e dare atto. Si è cercato di criminalizzare quegli anni. Ho cercato di spiegare che i criminali erano altri, che è stato sbagliato uccidere Calabresi ma più sbagliato che da una finestra dello Stato sia uscito Pinelli. Ho iniziato a scrivere perché ho tempo libero, ma scrivere non è semplice, per molto tempo ci ho girato attorno, ho preso e perso tempo, era l’unica cosa che avevo ed ho in abbondanza. Dopo una vita di lavori diversi, sovrapposti, diretti e indiretti da dipendente o da responsabile o possiamo dirlo anche da padrone, sono alla ricerca di altra occupazione. Mi hanno fatto fuori dal ‘mio’ teatro e non so ancora capire come sia stato possibile, ci avevo dedicato quasi venti anni di vita, oltre a tante 124 idee, ci erano nati tantissimi artisti torinesi e non solo, ho imparato che non viviamo in una società che premia il lavoro e i risultati, vincono le parole, l’aria ‘fritta’ presentata bene, ha vinto la banale arroganza del nulla, ma questo è un altro libro. Quello che avete letto è più un lavoro sulla militanza sull’impegno politico, è una introspezione su chi voleva fare la rivoluzione e quelli che gli stavano attorno vista da sotto da chi deve anche sbarcare il lunario, vuole anche essere un ricordo di chi si è perso e di chi non c’è più. Dovete considerare che c’è un continuo slittamento, i ricordi vanno e vengono, si intensificano e si attenuano, perdono e riconquistano significato. Ma non potrò mai dimenticare che quel periodo è stato determinante per la mia vita. Ero così ingenuo da credere che con la solidarietà avremmo ottenuto un mondo migliore. Ringrazio molti, in particolare Donatella la mia compagna per l’aiuto e la pazienza. Erri De Luca e Paola Maritan, per aver letto gli appunti e avermi stimolato ad andare avanti, offrendomi i loro suggerimenti, Robi, che letto il mio lavoro, lo ha rovesciato come un calzino dandogli una veste da sembrare quasi un libro vero. Grazie per essere arrivati a leggerlo disponibile a togliere o a integrare se qualcosa infastidisce la vostra sensibilità. [email protected] per critiche e commenti Testi e contesti Riporto i titoli dei libri di cui mi sono avvalso a volte rubando a piene mani a volte solo per documentazione e informazione. Aldo Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione. 1968-1978. Storia critica di Lotta continua, Milano, Mondadori, 1998 Adriano Sofri, La notte che Pinelli, Sellerio Editore, Palermo, 2009 Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta, Donzelli Editore, Roma, 2003 Francesco De Gregori, Francesco De Gregori Un mito, Lato side, Roma, 1980 Anonimo, Libro bianco sul pop in Italia. Cronaca di una colonizzazione musicale in un paese mediterraneo, Arcana Editrice, Roma, 1976 Vincenzo Nardella, Noi accusiamo: contro requisitoria per la strage di stato, Jaca Book, Milano, 1971 AA.VV., La strage di Stato, La nuova sinistra , Samonà e Savelli, Roma, 1970 A cura della Redazione di «Rinascita», Rapporto sulla violenza fascista, 125 Napoleone Editore, Roma, 1972 Giorgio Boatti, Piazza Fontana. 12 dicembre 1969: il giorno dell’innocenza perduta, Feltrinelli, Milano, 1993 Marco Sassano, La politica della strage, Marsilio Editore, Padova, 1972 Luca Pollini, I Settanta. Gli anni che cambiarono l’Italia , Bevivino Editore, Milano, 2005 Giovanna Marini, Italia quanto sei lunga, Gabriele Mazzotta editore Milano 1977 Francesco Mirenzi, Rock progressivo italano, Castelvecchi, Roma 1997 Giuseppe De Grassi, Milla papaveri rossi, fuori THEMA, Bologna 1991 Claudio Bernieri, Non sparate sul cantautore, Mazzotta, Milano 1978 AA.VV., La piuma e la montagna. Storie degli anni 70 , Manifesto Libri, Roma, 2008 Giampaolo Pansa, L’utopia armata. Come è nato il terrorismo in Italia. Dal delitto Calabresi all’omicidio Tobagi , Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2006 Giorgio Bocca, Gli anni del terrorismo. Storia della violenza politica in Italia dal ‘70 ad oggi, Armando Curcio Editore, Milano, 1988 Teatro Juvarra, Sergio Martin (a cura di), Quei meravigliosi, terribili anni ‘70, Lighea, Torino, 1997 Corrado Sannucci, Lotta Continua, Gli uomini dopo, Limina, Arezzo, 1998 Lotta Continua (Redazione torinese), I giorni della Fiat, fatti e immagini di una lotta operaia, Lotta Continua, Torino, 1973 AA.VV., Il movimento degli studenti medi in Italia , Samonà e Savelli, Roma, 1977 «Diario del mese», La meglio gioventù. Accadde in Italia 1965-1975 , Milano, 2003 AA.VV., ...ma l’amor mio non muore. Origini documenti strategie della ‘cultura alternativa’ e dell’’underground’ in Italia , Arcana Editrice, Roma, 1971 Andrea Casalegno, Ex militante di Lotta Continua racconta l’attentato a suo padre, vicedirettore della Stampa, ucciso dalle BR , Chiarelettere, Milano, 2008 Gasparazzo, Felicità è una coperta robusta, Quaderni di Ottobre, Savelli, Roma, 1972 Dario Fo, esibizione a cura di Sergio Martin, Il teatro dell’occhio, La Casa Usher, Firenze, 1984 Sergio Secci, Il teatro dei sogni materializzati. Storia e mito del Bread and puppet theatre, La Casa Usher, Firenze, 1984 De Filippo Isabella, Sergio Martin (a cura di), Eduardo de Filippo. Vita e opere 1900-1984, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1986 Vincenzo Mollica, Un mocambo per Paolo Conte , Il Candelaio, Firenze, 1981 Toni Capuozzo, Adiós. Il mio viaggio attraverso i sogni perduti di una generazione, Mondadori, 2007 Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale , Centro Donna, Livorno, 1970 Paola Staccioli (a cura di), Piazza bella piazza, Associazione Walter Rossi, Roma, 2005 Ines Arciuolo, A casa non ci torno. Autobiografia di una comunista eretica, Stampa Alternativa Nuovi Equilibri, Viterbo, 2007 126 Licia Pinelli, Piero Scaramucci, Una storia quasi soltanto mia, Feltrinelli, Milano, 2009 Marina Cappa, Roberto Nepoti, Dario Fo, Gremese Editore, Roma, 1982 Indice dei nomi Acquaviva, Gennaro, 24 Agnelli, Gianni, 23, 164 d Albonetti, Giorgio, 159 Albrecht, Renate, 148 Alessandrini, Emilio, 44, 114-15 Alfonso, José, 95 Allegra, Antonino, 43, 51, 53 Allende, Salvador, 72 Allitto Bonanno, Ferruccio, 51 Almirante, Giorgio, 41, 62 Altan, Francesco Tullio, 136 Alvini, Laura, 126 Amato, Gerardo, 135 Ambrosini, Flavio, 136 Andreotti, Giulio, 53-54, 137, 163 d Angela, Piero, 142 Annunziata, Lucia, 84 Anselmi, Tina, 137 Anselmino, Roberto, 135 Arana, Tomas, 141 Arbasino, Alberto, 136 127 Arbore, Renzo, 134 Arciuolo, Ines, 106 Arnao, Giancarlo, 64-65 Audino, Dino, 76 Augusta, Vacca, Francesca, 143 Bach, Johann, Sebastian, 126 Bachelet, Vittorio, 124 Bacon, Francis, 145 Baez, Johan, 38 Baglioni, Enrico, 38 Baldi, Gian Vittorio, 60 Balestrini, Nanni, 40 Bandelli, Alfredo, 68, 71 Bandettini, Anna, 126 Banfi, Andrea, 58 Barba, Eugenio, 117 Barnelli, (Witthuser, Bernd), 134 Baroni, Ernesto, 30 Barsotti, Anna, 147 Bartali, Gino, 11 Bassetti, Ottavia, 142 Battisti, Lucio, 66 Beatrice, 110 Beck, Julian, 112 Bellini, Paolo, 82 Belotti, Giannini, Elena, 57 Beltrami, Susanna, 140 Benigni, Roberto, 85 Bennato, Edoardo, 71, 86 Benni, Stefano, 104 Berardi, Francesco, (Bifo), 59 Berberian, Cathy, 142 Berg, David, 35 Berlinguer, Enrico, 143, 164 d Berlusconi, Silvio, 20, 38, 62-63, 69, 99, 137, 161 Bermani, Cesare, 117 Bernardone, Francesco, (San), 25 128 Bertacca, Carlo, 140 Bertacca, Mila, 140 Bertè, Loredana, 99 Bertelli, Gualtiero, 25, 112 Bertoli, Pierangelo, 82 Bettin, Gianfranco, 29, 68, 110 Bianchi, Augusto, 136 Bisaglia, Antonio, 143 Bisicchia, Andrea, 127 Bisio, Claudio, 141 Bistolfi, Antonia, 157 Bizzarri, Nino, 69 Boato, Marco, 50, 53, 110-11, 159 Boato, Michele, 47, 110-11 Boato, Stefano, 29 Bocca, Giorgio, 52 Bodrato, Guido, 28 Bolis, Lanfranco, 160 Bompressi, Ovidio, 156, 159 Bonafede, Mimma, 110, 133 Bonfietti, Alberto, 47, 110, 132-33 Bonfietti, Giannina, 133 Bongiorno, Mauro, 82 Borghese, Junio Valerio, 45, 137 Borghi, Bruno,139 Bosio, Gianni, 25 Bracci, Ulrico, 65 Bradley, Harold, 68 Branca, Antonello, 68-69, 87 Brandirali, Aldo, 38, 110 Brandolini, Sigismondo, 13 Braun, Hubert, (Hubi), 84, 104, 149 Briglia, Nini, 51 Brogi, Paolo, 59, 70, 115 Brunaccioli, 64 Brunelli, Mario, 148, 159 Bruni, Ferdinando, 141 Bruno, Vittorio, 109 129 Bud, Spencer, 67 Buffo, Eugenia, 156 Buffo, Francesca, 157 Buffo, Paolo, 93, 98, 106, 112, 146, 156-158, 160 d Buffo, Paravia, Laura, 157 Buontempo, Lonardi, Graziella, 152 Busacca, Chicca, 121 Busacca, Ciccio, 112, 121 Buttafarro, Roberto, 79 Buzzi, Ermanno, 124 Cagni, Carlo, 70, 111 Cagol, Mara, 50 Calabresi, Luigi, 42-43, 51-54, 113, 119, 156-59, 161 Calafato, Michele, 59 Calassara, Giovanni Battista, Callas, Maria, 127 Calligaro, Renato, 68 Calogero, Pietro, 113 Calvi, Roberto, 137 Calzavara, Silvano, 37, 110 Campanile, Alceste, 82, 86 Camuffo, Ettore, 79, 82 Canestrini, Sandro, 54 Canevaro, Emanuele, 35 Canova, Antonio, 19 Capanna, Mario, 58 Capuozzo, Toni, 133 Carlassara, Giovanbattista, 101 Carniti, Pierre, 47 Casalegno, Andrea, 109 Casalegno, Carlo, 109 Casati Stampa, Annamaria, 63 Casati Stampa, Camillo, 62 Caselli, Caterina, 99, 128 Casini, Pier Ferdinando, 62 Castel, Lou, 60 Catania, Antonio, 141 130 Catherine, 163 Cavaliere, Alik, 126 Cazzullo, Aldo, 37 Ceccanti, Soriano, 29 Cecchetti, Giorgio, 110 Cederna, Camilla, 111, 113 Cederna, Giuseppe, 112-13 Cefis, Eugenio, 137 Celentano, Adriano, 129 Cesari, Paolo, 59 Cesaroni, Giancarlo, 34, 64, 68, 85-86 Chagall, Marc, 145 Chiais, Gigi, 110 Chiappori, Alfredo, 165 d Ciarchi, Alberto, 25 Ciarchi, Paolo, 25, 31, 119 Ciccuto, Roberto, 68 Coggiola, Franco, 117 Colasanti, Donatella, 63 Colli, Ombretta, 136 Colombaioni, Alfredo, 118, 136 Colombaioni, Ronald, 118, 136 Compagnone, Luigi, 153 Concutelli, Pierluigi, 124 Consagra, Pietro, 32 Conte, Egle, 127 Conte, Paolo, 127-28, 140, 147 Continenza, Guido, 89 Continenza, Sandro, 89 Contini, Natalino, 155 Coppi, Fausto, 62 Cossiga, Francesco, 115-16, 143, 152 Cossu, Leda, 110 Cossu, Maria, 110 Costa, Lella, 130, 136 Costanzo, Maurizio, 38, 137 Covatta, Luigi, 24 Crainz, Guido, 39, 53 131 Craxi, Bettino, 115, 124, 128, 130, 152-54 Crepax, Guido, 136, 157 Crespi, Paolo, 126 Croce, Fulvio, 109 D’Alema, Massimo, 29 Dalla Chiesa, Carlo Alberto, 76, 115 Dalla, Lucio, 67, 71, 87 D’Ambrosio, Gerardo, 43 D’Amico, Antonio, 25 D’Aprile, Rosalba, 34 D’Avanzo, Giuseppe, 158 David, Giovanni, 129 David, Willi, 129 Davoli, 79-80 De André, Fabrizio, 71, 85-87 De Balzac, Honoré, 122 De Bortoli, Ferruccio, 130 De Capitani, Elio, 141 De Crescenzo, Luciano, 153, 155 d De Filippo Eduardo, 34, 129, 147, 147 d, 150-55, 155 d De Filippo, Luca, 150 De Filippo, Luisa, (Luisella), 151-52 De Filippo, Pennington, Dorothy, 152 De Filippo, Peppino, 152 De Filippo, Quarantotti, Isabella, 150-51, 163 d De Filippo, Titina, 152 De Gasperi, Alcide, 108 De Gaulle, Charles, 23 De Gregori, Francesco, 23, 66-68, 76, 76 d, 79-82, 84-86, 89, 94-95, 99-100, 114, 125, 127-128, 136 De Lorenzo, Giovanni, 53-54 De Luca, Erri, 92, 123, 162 De Martino, Francesco, 124 De Michelis, Cesare, 29 De Michelis, Gianni, 29 De Rossi, Laura, 65 De Vittis, Piero, 148 132 Deaglio, Enrico, 115 Degli Esposti, Carlo, 59 Del Buono, Oreste, 136 Del Re, Enzo, 36, 68, 70 Della Mea, Ivan, 25, 86, 112 Di Bella, Franco, 137 Di Calogero, Vincenzo, (Enzino), 111 Dini, Memo, 112-13 Disney, Walt, 31 Dolci, Danilo, 24 Donat Cattin, Marco, 114 Dorigo, Vladimiro, 70 Dragoni, Ferruccio, 147 Duck, Katie, 112 Durano, Giustino, 125, 145 Dylan, Bob, 23, 38 Edwards, Jango, 113 Efrikan, Laura, 66 Einaudi, Giulio, 25 Englaro, Peppino, 153 Esposito, Toni, 71, 94 Fadini, Edoardo, 155 Faenza, Roberto, 69 Fallarino, Anna, 62 Fanfani, Amintore, 70, 101-02, 120, 145 Fantini, Renzo, 128 Fasolato, Marco, 39 Fassbinder, Rainer Werner, 156 Feltrinelli, Giangiacomo, 51, 166 d Fercioni, Gianmaurizio, 122 Ferrara, Giuliano, 38 Ferrari, Vincenzo, 126 Ferraro, Renato, 58, 69 Ferreri, Marco, 60 Ferrero, Richi, 140, 145 Fiasconaro, Luigi, 44 Finardi, Eugenio, 110 133 Fini, Gianfranco, 82 Fiore, Raffaele, 109 Fiorito, Lino, 141 Fo, Dario, 13, 15 d, 34, 37, 69, 71, 88, 112, 116-22, 125-26, 131, 134-36, 138 d, 139-40, 142 d, 145-47, 150, 165 d Fo, Jacopo, (Giovanni Karen), 37, 111, 149 Foa, Lisa, 99 Fofi, Goffredo, 68, 70, 88 Fossati, Franca, 58 Franceschi, Vittorio, 118-19 Franceschini, Alberto, 76 Franceschini, Gianni, 139 Franceschini, Umberto, (Il macellaio), 64-72 Franco, Gianna, 140, 155-56 Frassa, Romano, 73 Freda, Franco, 46, 52 Gaber, Giorgio, 71, 73, 98, 135-36 Gabriele, 149, 149 d Gaetani, Raimonda, 151 Gaetano, Rino, 66-67 Gallea, Gigi, 140 Galli, Mario, 142 Gallina, Mimma, 151, 155 Gallo, Vincenzo, vedi Vincino Garibaldi, Giuseppe, 13 Garofalo, Bruno, 151, 153 Gaslini, Giorgio, 94, 130 Gaspari, Mimma, 128 Gelli, Licio, 136-38 Getty, Paul Jr., 55 Gheddafi, Muammar, 132 Ghezzi, Dori, 87 Ghira, Andrea, 63 Giacobone, Paolo, 142 Gianco, Richy, 129 Gianquinto, Giobatta, 61 Giovanni XXIII, 14, 18 134 Gobetti, Andrea, 81 Goebbels, Heiner, 141-42 Gordon, Peter, 141 Gramsci, Antonio, 37, 118 Grappelli, Claudio, Grassi, Paolo, 117 Grazzini, Giovanni, 22 Grechi, Luigi, 85 Grimaldi, Fulvio, 89 Gualtieri, Libero, 133 Guccini, Francesco, 29, 40, 86 Guggenheim, Peggy, 61 Guglielmino, Salvatore, 127 Guida, Marcello, 52 Guido, Gianni, 63 Guidugli, Michele, 61, 79 Gullo, Diego, 154 Guri, Anna, 141 Haring, Keith, 141 Hart, Alfred, 141 Helen, 143-44 Hendel, Paolo, 128 Henke, Eugenio, 53 Hussein, Saddam, 63 Hutter, Paolo, 37, 72 Iaio, 112 Iannucci, Lorenzo, vedi Iaio Illich, Ivan, 24 Infantino, Antonio, 36, 112 Ingrao, Pietro, 84 Ippolito, Angelica, 150 Ippolito, Felice, 150, 163 d Ippolito, Piero, 72, 31, 34-36, 50, 58, 113, 161, 163 Izzo, Angelo, 63 Izzo, Letizia, 63 Jannacci, Enzo, 112, 118, 127-28, 136 135 Jannuzzi, Gianfranco, 110 Jara, Victor, 112 Jemolo, Andrea, 104 Jones, Tom, 141 Joplin, Janis, 94 Jotti, Nilde, 62 Karin, 85, 88-91, 91 d, 93, 98, 106 Kennedy, Fitzgerald, John, 14, 18 Khomeyni, Ruhollah, 92 Kounellis, Jannis, 67, 160 Krusciov, Nikita, 14 Kuipers, Francis, 112, 115 Kurosawa, Akira, 147 La Pira, Giorgio, 24 La Stella, Aldo, 126 Labor, Livio, 24 Langer, Alex, 29, 88 Lanterna, Anna, 134 Lanzi, Carpo, 121 Lauzi, Bruno, 127-28 Lecoq, Jacques, 145 Lenin, Vladimir, 33 Lennon, John, 78 d Leone, Giovanni, 65, 111 Leone, Michitto, Vittoria, (Donna), 65 Leonetti, Stella, 130, 136 Lerner, Gad, 37 Lettoli, Maroly, 146 Lia, 133 Liguori, Gaetano, 130 Liguori, Paolo, 38, 92 Lindauer, Martin, 142 Lizzani, Carlo, 117, 146 Lo Cascio, Giorgio, 86, 94, 112 Lo Russo, Francesco, 103, 103 d Locasciulli, Mimmo, 86 Loi, Duilio,74 136 Loi, Franco, 119 Loi, Vittorio, 74 Lolli, Claudio, 99, 104, 113-14 Lombardini, Loris, 149 Lombardo Radice, Giovanni, 84 Lombardo Radice, Marco, 68, 79, 83-84, 93, 98-100, 105, 113, 122, 160 Lombardo Radice, Marina, 79 Lonzi, Carla, 32, 67 Lopez, Rosaria, 63 Lovisolo, Giorgio, 92 Luperini, Romano, 98 Luporini, Sandro, 73 Luzzatto Fegiz, Mario, 128 Macario, Luigi, 22 Maccanico, Antonio, 152 Machiavelli, Niccolò, 135 Maggi, Carlo Maria, 41 Mambor, Renato, 67 Manconi, Luigi, 83-84 Manenti, Clemente, 148, 159 Manfredi, Gianfranco, 129 Mangiarotti, Marco, 126 Manin, Giuseppina, 126 Manna, Marco, 123 Mantovan, Giuseppe, (Beppe), 110 Manuela, 57Marco, 111 Manzoni, Renato, 141 Mao, Tse-Tung, 82, 98 Marcenaro, Andrea, 59 Marchioro, Donatella, 162 Marcuse, Herbert, 5 Marina, 113 Marini, Giovanna, 25, 86, 89, 118 Marino, Antonio, 73 Marino, Leonardo, 54, 156-57 Marisa, 127 Maritan, Paola, 142 137 Marshall, George, 11 Martelli, Claudio, 130 Martin, Gianfranco (Franco), 13-14, 56 Martin, Giovanni, 84 Martin, Joseph, 83 Martin, Lucia, 13, 37 Martin, Sergio, (Partigiano), 13 Martin, Sergio, 13, 45, 84, 102, 140, 144 Martin, Silvana, 13 Martone, Mario, 141 Marx, Karl, 58 Maselli, Citto, 60 Masi, Giorgiana, 105 Masi, Pino, 68, 71 Massobrio, Lionello, 89, 93 Mattei, Enrico, 150 Matteotti, Giacomo, 39 Mazzetti, Giovanni, 75 Mazzi, Celeste, 112 Mazzi, Marco, 112-13 Mazzolari, Primo, 24 Mazzon, Guido, (Trio), 94 Meneghello, Luigi, 18 Mercuri, Melina, 39 Merlin, Tina, 16 Miccicchè, Tonino, 81 Michel, Georges, 118 Micocci, Stefano, 100 Micocci, Vincenzo, 66-67 Migone, Giangiacomo, 24 Milani, Lorenzo, 24 Mingarelli, Dino, 53-54 Minorenti, Massimo, 63 Montanelli, Indro, 109 Montini, Giovanni Battista, vedi Paolo VI Morandi, Gianni, 66 Morante, Elsa, 77, 129 Moreno, Cesare, 70 138 Morini, Luciano, 136 Moro, Aldo, 111, 115, 146, 166 d Morteo, Gianrenzo, 155 Nanà, Aichè, 68 Nancy, 65-66, 71, 77, 88, 111 Nannini, Gianna, 110 Napolitano, Giorgio, 39 Nappi, Davide, 47 Nappi, Filippo, 47 Natoli Ferlazzo, Luigi, (Lisi Natoli), 70 Natoli, Silvana, 70 Negri, Toni, 113 Nissim, Pierino, 94 Noia, Gigi, 73 Nono, Luigi, 61 Occhini, Giulia, 62 Ojetti, Alessandro, 55, 69 Olivotto, Danilo, 12 Olivotto, Raimondo, 16 Otto, (Richter, Hans), 134 Ottone, Piero, 137 Pacinotti, Antonio, 15 Palach, Jan, 39 Palumbo, Giovanbattista, 54 Panagulis, Alessandro, 90 Panella, Carlo, 92 Panici, Maurizio, 68 Pansa, Giampaolo, 52 Paola, 153 Paoli, Gino, 129, 136 Paolo VI, 65 Pardi, Gianfranco, 126 Parenti, Franco, 118, 122, 125-26, 130, 134, 145 Pari, Sauro, 135 Pascali, Pino, 67, 144 Pasolini, Pier Paolo, 58, 63, 74, 97-98 139 Patrizia, 18 Patrucco, Roberto, (Robi), 162 Pecchioli, Ugo, 139 Peci, Patrizio, 124 Peci, Roberto, 124 Pecorelli, Mino, 112, 143 Pedersoli, Carlo, vedi Bud Spencer Pellitteri, Paolo, 130 Pellizzaro, Leda, 37 Pellizzaro, Vally, 37 Pericle, 28 Pertini, Sandro, 67, 125, 143, 152 Pesce, Giovanni, 45 Picasso, Pablo, 31, 145 Piccardi, Silvano, 69 Piccoli, Flaminio, 143 Pietrangeli, Paolo, 38, 86, 89, 94 Pietrostefani, Giorgio, (Pietro), 51, 58, 81-82, 156-57, 159 Pilone, Mauro, 164 d Pinelli, Giuseppe, (Pino), 39, 42-43, 51-53, 58, 97, 113, 119, 158, 161, 165 d Pinelli, Licia, 43, 113, 158 Pinochet, Augusto, 72 Pintor, Giaime, 68, 76, 89, 91 d, 93, 96-97, 105-06 Pintor, Luigi, 89 Pintor, Roberta, 68 Piroddi, Maria, 56 Pirro, Ugo, 60 Pitagora, Paola, 60, 67 Pizzinato, Antonio, 38 Pizzinato, Armando, 61 Placido, Beniamino, 135 Pound, Ezra, 83 Prandi, Thea, 151 Previti, Cesare, 63 Previti, Umberto, 63 Primera, Alf, 167 d Pucci, Emilio, 36 140 Pucci, Giannozzo, 36 Pugnetti, Alberto, 95 Puig, Manuel, 155 d Quadri, Franco, 142, 145, 155 Quinto, 153 Rajneesh, Osho, 82, 106 Rame, Franca, 15 d, 34, 37, 69, 112, 116-21, 125, 127, 134-36, 139-40, 145, 147 Rauti, Pino, 28, 41, 46 Ravera, Lidia, 68-69, 89, 105 Reich, Wilhelm, 33 Renato, 23 Rinaldo, 132 Ricordi, Giovanni Carlo Emanuele, (Nanni), 118-19, 127, 129 Riondino, Davide, 68, 87, 112, 128 Ristori, Adelaide, 139 Riva, Massimo, 75 Roberta, 130, 134 Roncalli, Angelo, vedi Giovanni XXIII Rolandi, Cornelio, 42 Rossa, Guido, 124 Rossellini, Renzo, 97 Rossi, Emilio, 109 Rossman, Andreas, 148 Rosso, Stefano, 86, 105 Rostagno, Maddalena, 159 Rostagno, Mauro, 50, 58, 93, 95, 111, 158-59 Roveri, Rostagno, Elisabetta, (Chicca), 159 Rumor, Mariano, 53, 143 Rusciano, Rosario, 151, 153 Russo Spena, Giovanni, 24 Saccarola, Paolo, 31 Salazar, Antonio, 79 Salsedo, Andrea, 119 Salvatores, Gabriele, 141 Salvini, Adriano, 45 Salvini, Giorgio, 142 141 Sambonet, Roberto, 86 Sannucci, Corrado, 71, 79-80, 86 Sansoni, Novella, 126 Santomaso, Giuseppe, 61 Saronio, Carlo, 82 Sarto, Giorgio, 29 Sartori, Donato, 146 Sassi, Gianni, 73 Savasta, Antonio, 75 Scabello, Paolo, 93 Scalfari, Eugenio, 97 Scalfaro, Oscar Luigi, 154 Scaparro, Maurizio, 150, 154-55 Scarpa, Carlo, 17 Scarpa, Gaetano, 25-27 Scarpa, Mario, 25-27 Scarpetta, Eduardo, 150-52 Schianchi, 73 Schiano, Mario, 85 Schiller, Johann Christoph Friedrich, 139 Schmidt, Harvey, 141 Schuman, Peter, 116 Sciotto, Piero, 112, 121 Secci, Sergio, 115-16 Semenza, Carlo, 16 Semenza, Edoardo, 16 Senese, James, 72 Serantini, Franco, 51 Sereni, Marialivia, 15 Sgrena, Giuliana, 107 Shammah, Andrée, Ruth, 122, 125, 127, 129, 131 Siciliano, Martino, 41, 42 Simoncini, Gianfranco, 64 Sindona, Michele, 75, 143 Sinibaldi, Marino, 68, 108 Sofri, Adriano, 43, 54, 58, 88-89, 98, 106, 108 d, 112, 156-59 Sofri, Gianni, 59 Sofri, Luca, 159 142 Sogno, Edgardo, 46 Sorbi, Paolo, 54 Sorrenti, Alan, 67, 94 Spadolini, Giovanni, 105 Speaks, Almeta, 86 Stajano, Corrado, 51 Stiz, Giancarlo, 46 Stragà, Amabile, 16 Stratos, Demetrio, 73, 116, 131 d Stravinskij, Igor’, 83, 121 Strehler, Giorgio, 117 Stroder, Marina, 126 Sugar, Piero, 99, 128 Sullo, Fiorentino, 39 Taboga, Marilena, 37, 110 Tadini, Emilio, 126, 134 Taviani, Paolo Emilio, 44, 74 Terracini, Massimo, 93 Terracini, Umberto, 94 Testori, Giovanni, 125-26 Tinelli, Fausto, 112 Tito, Josip Broz, 20 Tobagi, Walter, 124 Togliatti, Palmiro, 11, 62 Tognoli, Carlo, 130 Tognolo, Franco, 37, 50 Tolstoi, Nikolaevic Lev, 122 Toni, 26 Trambusti, Daniele, 68, 128 Travaglini, Franco, 59 Trentin, Bruno, 47 Turid, 111 Ulisse, 61 Upiglio, Giorgio, 134 Valcarenghi, Andrea, 97 Valletta, Vittorio, 23 143 Valpreda, Pietro, 42-43, 46 d, 49 Vanoni, Ornella, 128 Vecchi, 23 Vedova, Emilio, 61, 61 d, 83 Venditti, Antonello, 66, 68, 85-87, 94 Vento, Nino, 37, 69 Ventura, Giovanni, 46, 52 Viale, Guido, 37, 106, 111, 159 Vinciguerra, Vincenzo, 54 Vincino, 111 Vita, Vincenzo, 95 Volli, Ugo, 126 Volontè, Gian Maria, 60, 65, 67, 150 Volpi, Giuseppe, conte di Misurata, 16 Volpini, Angela, 30-31, 36 Wachter, Leo, 140 Williams, Nigel, 141 Zaccagnini, Benigno, 70 Zamarin, Roberto, 42, 46 d, 58, 89, 165 d Zanon, Sandro, (Sandrino), 69 Zetkin, Clara, 33 Zibecchi, Giovanni, 81 Zorzi, Delfo, 41, 52 Zotti, Agnese, 82, 110 Zotti, Carmelo, 61, 82 Zotti, Checco, 59, 82-83, 149, 160 d: didascalia 144