aics liguria / oltre gli orizzonti 12 Football is on the table Quando l'erba era un panno: l’epopea del Subbuteo testo di Michele Cammarere foto di Simone Arveda GENOVA | 6 feb 2012 Una base tonda, il pallone oltre la linea di tiro, difesa schierata e omino a terra: ne è passato, di tempo, da quando un gioco come il Subbuteo invadeva e conquistava le case italiane subbuteo Storie di omini, palloni, colla, pennelli e campioni, storia di nostalgia e (tanta) passione 3 / febbraio 2012 13 aics liguria / oltre gli orizzonti 14 1 2 GENOVA | Il mondo del Subbuteo - 1 1 | Dal catalogo degli accessori: torretta con operatore tv per abbellire lo stadio di casa 2 | Porta da allenamento, per affinare il talento 3 4 3 / febbraio 2012 15 GENOVA | Il mondo del Subbuteo - 2 3 | Set di portieri 4 | Ci sono anche arbitro e guardalinee 5 | Pezzi da collezione e omini 6 | Numero 1 in volo 7 | Palloni, palloni, palloni 5 6 7 aics liguria / oltre gli orizzonti 16 GENOVA | Il mondo del Subbuteo - 3 8 | Una vecchia scatola a fare da sfondo ad un omino ritoccato a mano: Inghilterra, maglia grigia da trasferta con inserti rossi 8 3 / febbraio 2012 17 aics liguria / oltre gli orizzonti 18 GENOVA | 6 feb 2012 Squadra rossa e squadra blu, così cominciava l’avventura: il kit base bastava per entrare nel mito. Ma non ci si fermava lì, mai: poi colpi di pennello per gli sponsor, la fascia di capitano sul braccio del più bravo, lo stemma sui pantaloncini, scudetti coccarde tricolori bande diagonali e quant’altro: e l’omino del Subbuteo diventava calciatore, e le fantasie volavano libere Comincia tutto con un falco The Hobby, infatti, era il nome che Peter Adolph, di professione ornitologo, aveva scelto per il gioco da lui ideato negli anni ’50. Essendo anche il nome di una specie di falco, diffuso, tra l’altro, in Italia, il falco lodolaio, secondo l’Ufficio Brevetti inglese era non registrabile, quindi Adolph prese parte del suo nome latino, ossia Falco Subbuteo, e così lo chiamò. La simulazione di un gioco che appassionava praticamente tutti, come il calcio, era presente nelle menti di tutti i produttori di giocattoli già da tanti anni. Tanti furono i tentativi di riprodurre in maniera più o meno riuscita lo sport più famoso del mondo, ma fu solo il Subbuteo a riuscirci davvero, cancellando i primi giochi di calcio da tavolo (qualcuno anche piuttosto riuscito) dagli scaffali dei negozi. Il Subbuteo, all’epoca, veniva venduto solo per corrispondenza ma in breve tempo iniziò ad avere schiere di appassionati in ogni angolo della terra, soprattutto in Italia, grazie al fondamentale apporto della ditta Edilio Parodi di Manesseno (subito fuori Genova), primo e, per circa trent’anni, unico distributore in Italia. Non male per un gioco che, a guardarlo bene una volta aperta la scatola, era composto da piccoli pezzetti ed un panno: nulla di divertente all’apparenza. Un gioco, mille modi per viverlo Invece il Subbuteo è stato uno dei pochi giochi capaci ad andare “oltre”. Bastavano quei piccoli omini ed il tavolo della cucina per far diventare quello stesso tavolo uno degli stadi più famosi del mondo, facendoci credere che il calciatore lanciato dal nostro dito potesse vivere di vita propria compiendo gesta balistiche fuori dal comune, il tutto creato ad hoc dalla nostra fantasia. Subbuteo è stato, ed è tutt’ora, un gioco particolare, un gioco nel quale l’interpretazione delle cose era ad assoluta discrezione del giocatore. Mille modi di giocarlo, mille modi di intenderlo, dal gioco in sé al collezionismo, in totale sinergia. Omini rossi, omini blu Chi non ricorda il pacco base, quello con il panno verde, tre palloni bianchi, le due porte di plastica, il piccolo libretto delle istruzioni, la squadra rossa e la squadra blu? Non molto, ma tutto quanto bastava per iniziare a giocare. Il pacco base poteva essere impreziosito all’infinito, grazie al catalogo che anno dopo anno si arricchiva di decine di squadre nuove, accessori, spalti, tribune, tabelloni segnapunti, spettatori già colorati o da colorare, palloni, il mitico campo astropitch (era la variazione del classico panno verde di cotone: un tappetino con fondo di gomma che non aveva bisogno di nulla per essere fissato, bastava srotolarlo e diveniva in un lampo un manto di gioco perfetto), e decine e decine di altri accessori per poter, nel migliore dei casi, poter costruire a casa propria un vero stadio completo di tutti i minimi particolari. Alla fine lo stadio lo costruivano proprio in pochi, i prezzi non erano esattamente abbordabili per un bambino, e le cose da comprare erano talmente tante che anche ricevendo un pezzetto od ogni compleanno o Natale, per riuscire nell’impresa di costruire uno stadiolo ci sarebbero voluti anni. Ma tutti noi abbiamo sognato di costruire in casa la perfetta replica dello stadio della nostra squadra del cuore, addirittura c’era chi, non potendosi permettere i pezzi originali, costruiva le sue tribune con il Lego od il Meccano, facendo venire fuori così un ibrido non troppo lontano dalla realtà degli stadi di provincia o delle serie minori. Questo è uno dei segreti del successo di questo gioco: non serviva altro che il kit base per essere al livello di tutti gli altri, il resto era tutto colore e fantasia. Bastava avere un paio di squadre con i colori giusti ed il gioco era fatto. La maglia bianconera a strisce poteva essere la Juventus, ma per la scatola stessa che conteneva i “fantastici 11” poteva essere anche l’Ascoli, il Siena, l’Udinese, il Newcastle, il Notts County, lo Charleroi, e così via. Bastava avere una squadra rossoblu per poter avere Genoa, Cagliari, Bologna, Crotone, Gubbio e tante altre estere. Funzionava così per tutte le squadre. Il Subbuteo tra amici Le regole erano semplici, eppure venivano parzialmente ignorate o stravolte dai giocatori, illusi che la replica di un gioco sul calcio dovesse avere le stesse regole del gioco reale. Le differenze c’erano le regole del subbuteo Tocchi, falli, linea di tiro: ecco come si gioca Il Subbuteo, come spiega anche Arturo Parodi nell'intervista delle pagine seguenti, non è affatto un gioco immediato: apri la scatola e dentro ci sono due squadre, le porte, un pallone; sì, ma poi? Non basta metterle sul panno verde, perché una partita abbia un senso. Vediamo allora di dare una rapida occhiata alle regole per capirne un po' di più su quello che, con un minimo di applicazione, diventa vero e proprio calcio. Da tavolo, ovviamente. Undici contro undici, e questo non cambia, pallone parecchio più grosso di quel che ci si aspetterebbe, portiere da manovrare con un'asta che arriva fin dietro la porta; gli omini stanno in piedi su una base semisferica (nel corso degli anni è proprio lì che si sono concentrate le innovazioni e le principali migliorie tecniche) che consente loro di scivolare sul campo restando (quasi) sempre in piedi. Come muoverli? Risposta facile, per un subbuteista, ed è dal primo tocco che uno può farsi un'idea sull'essere portato o meno per la cosa: si gioca solo ed esclusivamente in punta di dito. Traduzione: si colpisce la base con l'unghia di indice o medio, senza mai (imperativo categorico) fare leva sul pollice ma solamente sulla superficie di gioco. Tanto quanto gancio e rullata sono mosse vietate intorno ad un calciobalilla, così la bicellata è bestemmia in materia di Subbuteo. Andiamo avanti, e facciamo rotolare il pallone. Si mantiene il possesso finché l'omino messo in movimento colpisce la palla (e questa o l'omino stesso non vadano a toccare un avversario). Nel mentre, l'altro giocatore ha a disposizione uno spostamento (sempre a patto di non scontrare omini e sfera) ad ogni tocco altrui. Massimo tre tocchi di palla con lo stesso omino, poi deve toccare ad un compagno. Per modificare la disposizione in campo della propria formazione sono inoltre a disposizione tre ulteriori mosse prima di un calcio d'angolo o di una rimessa dal fondo, con la squadra in attacco a effettuarle per prima e quella in difesa a prendere - di conseguenza - le opportune contromisure. Ok, l'azione ormai è impostata. Bisogna concluderla, però. Già, il tiro. Ed arriviamo a quella strana linea sulla trequarti che spesso ha confuso i neofiti del Subbuteo. Quella, piazzata ad una trentina di centimetri dalla porta, è la linea di tiro: si può provare la conclusione (con qualunque omino si desideri: date un'occhiata su youtube e troverete difensori capaci di andare in gol arrivando direttamente dalla propria area...) solo se il pallone è interamente al di là. Per parare, mano sull'asticella che regge il portiere e riflessi ben allenati. Più o meno, è tutto. A questo punto sì, la palla passa a voi. 19 3 / febbraio 2012 C hi ha avuto la fortuna di essere stato bambino nei primi anni ’70 lo conosce bene, chi è bambino adesso ne ha sentito parlare, entrambi si possono ritrovare faccia a faccia sul terreno di gioco, per cimentarsi in una sfida alla pari. Stiamo parlando di lui, del Subbuteo, il famoso gioco di calcio in punta di dito che solo definire gioco è riduttivo per un sacco di buoni motivi. L’hobby per eccellenza, non di fatto, ma di nome. aics liguria / oltre gli orizzonti 20 LONDRA | 1978 I tempi d’oro del Subbuteo: Andrea Piccaluga (sulla destra, con la coppa in mano) dopo il Mondiale Juniores conquistato a Wembley I dalle navi al mondo e ritorno primi tentativi, le idee di Adolph, i Mondiali: poi gli americani, il crollo... e Zeugo [ federico pastore ] E’ lungo lo strascico storico che conduce alla nascita del Subbuteo. In gran parte dei casi, versione questa ormai accettata dagli appassionati e dunque fissata nell’immaginario collettivo, l’invenzione del gioco è attribuita all’inglese Peter Adolph, che effettivamente - questo è un dato certo - ha fornito il nome al gioco. Subbuteo proviene dal nome latino del falco lodolaio (appunto Falco Subbuteo, sui testi specializzati). Essendo Adolph ornitologo ed essendo il falco lodolaio particolarmente veloce e preciso nel catturare la preda, colui che oggi è indicato come il grande padre del Subbuteo pensò di battezzare in questo modo una creatura in realtà già esistente nella cultura inglese. Trova collocazione a fine Ottocento la notizia che sulle navi battenti bandiera britannica, alcuni marinai si fossero industriati a realizzare figurine di piombo, rappresentati calciatori. Non potendo essi giocare il football sul ponte, pensarono di adattarlo in uno spazio ridotto. Una sorta di simulazione. Certo non perfezionata, ma una specie di preistorico antenato del punta di dito amatissimo in Italia e all’estero. Intuizione, quella dei marinai, ripresa negli anni ’20 (o ’30, qui ci sono versioni discordanti) da W. L. Keelings, anche lui inglese. Keelings chiamò il gioco New Footy, realizzando i calciatori con cartone laccato, su una base semisferica. Il problema di questa sorta di versione beta del Subbuteo era uno in particolare. Gli omini non facevano tanta strada sul pitch e soprattutto non potevano essere spostati dalla loro posizione iniziale. Per esempio, se uno faceva l’ala destra, restava sempre ala destra e il suo raggio d’azione era limitato alla zona di competenza. Il New Footy era una buona idea, ma era statico. Questo lo capì bene Peter Adolph, quando decise di rivoluzionare tutto, dopo la guerra. Siamo negli anni ‘50 circa. Il materiale a disposizione di Adolph - la plastica - è più performante e si adatta meglio alle esigenze di quello che sarà per milioni di ragazzini britannici e non il gioco dell’infanzia e dell’adolescenza. Adolph bilancia la base con inserti metallici, rendendola più aerodinamica e nello stesso tempo più pesante. Porta il gioco dove può sviluppare la fantasia, senza dunque limitare la posizione degli omini, come nella versione di Keelings, ma introducendo semplici regole. La palla è di chi riesce a toccarla consecutivamente, non importa con quale uomo. Se non la prendi, tocca all’avversario. Che si può muovere mentre tu giochi, a patto di non toccare né te, né la palla. Si crea dunque una tattica anche in fase di non possesso, si crea il campo di battaglia per milioni e milioni di sfide appassionanti e completamente coinvolgenti. Negli anni ’60 il Subbuteo esplode letteralmente nella società inglese, tanto che - da un’indagine svolta nel 2002 - il 90% degli over 30, in Gran Bretagna, ha nell’armadietto un set Subbuteo. Ma non è solo nell’isola di Albione che vola il falco. Gli emigranti portano il gioco dappertutto, tanto che gli anni ’70 sono quelli della prima Coppa del Mondo, evento sentitissimo e con una partecipazione fuori dal comune. Tutti i ragazzi dagli 11 ai 16 anni giocano a Subbu- teo, in Inghilterra, come in Svizzera, in Austria, in Italia, in Germania, in Olanda, in Belgio, perfino in India e in altre ex colonie inglesi e non. Il 1970 è l’anno del primo mondiale, si gioca naturalmente a Londra, in concomitanza con le date della Coppa del Mondo di calcio, disputata in Messico. Il primo campione del mondo è un tedesco, Peter Czarkowski, che scrive il suo nome nella storia battendo in finale il belga Pierre Tignani per 2-0. Il primo successo italiano arriva nel 1978, sempre a Londra, sempre in Coppa del Mondo, questa volta categoria Juniores, forse la più frequentata e certamente la più seguita quell’anno. Vince Andrea Piccaluga, una sorta di monumento per gli appassionati. Tanto che, negli anni ’80, il suo dito magico viene assicurato per 400 milioni di lire. Ormai il Subbuteo è una realtà di tutti i ragazzi e gli anni Ottanta rappresentano il boom più florido per il gioco e per la casa che lo produce. La Weddingtons Games, che nel 1968 aveva acquistato il brevetto direttamente da Peter Adolph. E’ in questo periodo che molti adolescenti si sfidano nelle cantine o nei box, o nelle case, a suon di colpi di dita. Con le nuove attrezzature e gli accessori, sempre più curati. Inizialmente, è curioso ricordarlo, il Subbuteo veniva venduto così. Squadre, pallone, regolamento e un gessetto per tracciare le righe del campo su un panno. Il panno era da trovare, a proprio piacimento. E’ ben successiva la produzione del pitch, quello da stirare prima di giocare, più successiva ancora la diffusione di astropitch, il panno sempre teso e sempre pronto. Precursore involontario di tempi assai più grigi per il gioco di Peter Adolph. Con l’avvento dei videogames e dei primi personal computer, il mondo degli adolescenti cambia radicalmente. L’americana Hasbro non lo capisce e sbaglia i tempi. Compra Subbuteo nel 1996 da Weddingtons e a fine 1999 annuncia che interromperà la produzione delle squadre e di tutto il materiale, non sussistendo più la convenienza domanda-offerta. Il 2001 è un anno tragico per gli appassionati. Hasbro inizialmente sembra tornare sui suoi passi, ricominciando a produrre qualche pezzo, ma a maggio arriva la parola fine sull’esperienza gestita dagli americani. La grande diffusione di Subbuteo finisce qui, anche se a guardar bene, era già finita nel 1996, quando Hasbro acquistò un gioco che non poteva reggere il confronto con la emergente, dirompente ed inarrestabile introduzione dei videogames. Il mondo cambia, Hasbro ci perde un sacco di soldi e allora il Subbuteo torna da dove è partito. Dalle navi, cioè da Genova, e dalla passione di chi ama costruire con le proprie mani i suoi divertimenti. I figli dello storico distributore italiano Edilio Parodi azienda genovesissima, con sede attualmente a Manesseno -, per anni e anni leader in Italia, lanciano il marchio Zeugo a metà anni 2000. Zeugo, che in dialetto genovese significa gioco, riprende le figure degli anni ’70, le più amate e le meglio performanti. I giocatori, quelli umani, però, sono sempre meno, tutti con qualche capello grigio. E tra i giovanissimi, c’è ben poco ricambio. Il Subbuteo morirà con la generazione che aveva 14 anni nel 1994? Difficile dirlo qui. I tornei ufficiali Tutto questo riguarda il formato casalingo dei neofiti, ovviamente, perché fin dalla sua comparsa il Subbuteo ha visto nascere una miriade di club e gruppi di appassionati che utilizzavano il regolamento ufficiale con un’applicazione maniacale, che consentiva loro di sfruttare il gioco in tutta la sua potenzialità, ed organizzare i primi tornei e campionati a sfondo agonisico. Le prime competizioni a livello nazionale, europeo e mondiale risalgono al 1970 e proseguono tutt’ora in tantissimi paesi del mondo. Il primo campione italiano di Subbuteo fu il genovese Stefano Beverini che, grazie a quella vittoria, si guadagnò il diritto di partecipare ai campionati del Mondo, disputati nel 1974 a Monaco di Baviera in concomitanza con il mondiale di Cruijiff e Beckenbauer. Il fascino di un’epoca I club e le associazioni sono tutt’ora innumerevoli, con differenze sostanziali tra di loro, che riguardano l’utilizzo dei materiali o regole particolari. Citiamo l’esempio Old Subbuteo, un’associazione che è nata nel 2006 che si prefigge l’obiettivo di riunire collezionisti, giocatori occasionali, ed organizzare scambi e tornei per gli appassionati di questo gioco con regole e materiali esclusivamente anni ’70/’80, con l’evidente obiettivo di ricreare in maniera fedele atmosfere e tornei con il fascino dell’epoca, un fascino forse intaccato dalla modernizzazione dei materiali, delle regole dei tornei e soprattutto nello spirito old, dove - come affermano sul loro sito - serietà e rispetto per le regole del gioco si sposano a momenti di amicizia, aggregazione e divertimento. Quando si entra nel mito Le cose sono cambiate per il Subbuteo negli anni, il gioco ha vissuto tanti inizi e tanti momenti difficili, quello che non è cambiato è l’affetto ed il personalissimo bagaglio di ricordi che ciascuno riscopre ogni qual volta vede un omino, oppure ogni volta che la parola magica Subbuteo viene tirata fuori. Il mito del Subbuteo è stato fatto della passione della gente, di quelli che quando entravano in un negozio di giocattoli andavano a cercare il reparto “verde”, quelli che in ginocchio sul pavimento di casa ad un certo punto sentivano un dolore lancinante e non capivano se il dolore provenisse dal ginocchio nel quale si era conficcato il pezzo di omino schiacciato o dal cuore per aver rovinato la miniatura, di quelli che riattaccavano l’omino con l’attack che gli faceva le caviglie più grosse di quelle di Rumenigge, quelli che li riattaccavano con l’accendino, ed inevitabilmente facevano diventare l’omino più basso, che poi diventava il numero 10, giocatore più bravo perché diverso, di quelli che aprivano la base e ci mettevano un piombino in più per essere più precisi e battere l’amico di turno. Quelli del Subbuteo. GENOVA | 6 feb 2012 Luci sul Subbuteo, oggi come negli anni Settanta, agli albori del mito: ma la passione che muoveva i ragazzi di vent’anni fa non si può più trovare. E così il calcio da tavola resiste, rimane, seppur ammantato di nostalgia 21 3 / febbraio 2012 eccome, ma alla fine non importava. Bastava giocare, segnare e far esultare l’omino. Tutto questo in teoria, perché le polemiche a non finire sulle regole cominciavano sul pavimento di casa con il compagno di scuola proseguendo nei primi tornei tra amici, dove ognuno aveva un regolamento tutto suo, tant’è vero che prima di iniziare a giocare bisognava mettersi d’accordo su quali regole usare per non finire a litigare sull’effettiva validità di una mossa o meno. aics liguria / oltre gli orizzonti 22 Il distributore > I ricordi di Arturo Parodi Undici tappi e una pallina: tutto cominciò così di Michele Cammarere E ntrando nell’ufficio di Arturo Parodi, figlio di Edilio, il fondatore della Edilio Parodi snc, storica ditta di produzione e distribuzione di giochi genovese, si capiscono molte cose. Nella libreria, esposti con orgoglio, giochi, foto, trofei. C’è una predominanza assoluta nel tipo di articoli disposti senza un ordine preciso: domina il verde. Quel tipo di verde che tutti quelli che hanno avuto a che fare con articoli del genere conoscono: il verde Subbuteo. Si vedono scatole storiche, teche con miniature di calciatori, la Coppa del Mondo di Subbuteo (quella vera, non una miniatura: il John Waddington Trophy), svariati accessori d’epoca, e molti articoli dell’erede del Subbuteo, Zeugo, il gioco di calcio da tavolo che adesso la Edilio Parodi produce con orgoglio, lo stesso orgoglio con cui Arturo Parodi inizia a darci qualche cenno sulla storia che accomuna la sua ditta di famiglia ed il celebre Subbuteo. «Il Subbuteo è un gioco inglese nato nel dopoguerra per intuizione di Peter Adolph racconta Parodi -, un ornitologo che diede a questo passatempo da lui inventato il nome Subbuteo, nome latino del Falco Lodolaio, che in inglese si chiama hobby. Per lui era un bell’hobby, e anche per gli altri appassionati dell’epoca, che potevano reperire il gioco soltanto per corrispondenza». Signor Parodi, una volta entrati qui, guardando quello che c’è sugli scaffali (foto d’epoca, omini, accessori e la Coppa del Mondo di Subbuteo) si vede che il Subbuteo è stato parte integrante della Edilio Parodi. Com’è nata quest’avventura? «La storia è questa... Mio padre, Edilio, ha sempre avuto a che fare con i giocattoli, e ovviamente a me e a mio fratello i giochi non mancavano in casa. Nonostante ciò io e lui passavamo tantissimo tempo a giocare con un gioco da noi inventato, fatto con i tappi delle bottiglie, una pallina di cotone e due porte costruite con il Meccano. Vi ricorda qualcosa? I tappi dovevano essere rigorosamente diversi uno dall’altro, così come diversi uno dall’altro nella realtà sono i giocatori. In questo modo scattava anche una sorta di collezionismo di tappi, un gioco nel gioco. Un giorno mi fece andare nel suo ufficio, avrò avuto 12 anni, per mostrare il mio gioco ad alcuni rappresentanti di una ditta genovese che produceva giochi in scatola. Non riuscirono a tirare fuori nulla, forse non erano appassionati di sport, forse non ci credevano». Bella responsabilità per un ragazzino di quell’età, suo padre si doveva fidare molto di lei. «Quando vedi due ragazzini giocare pomeriggi interi ad un gioco qualsiasi è naturale cercare di scoprire cos’è che li interessa così tanto. Io sono sempre stato un ragazzino creativo, ero alla ricerca della modifica del gioco comprato nel negozio, il gioco così com’era non mi divertiva più di tanto». Così l’idea del gioco di calcio finì in soffitta? «Per qualche tempo si, visto che la ditta genovese non tirò fuori nulla. Poi, un giorno, mio padre lesse un annuncio su una rivista inglese che vendeva questo gioco, Subbuteo, era un annuncio piccolino, lo ricordo ancora. Vedendo che si trattava di un gioco di calcio gli scrisse. Ricordo benissimo il momento in cui mio padre arrivò tutto trafelato nella nostra casa di Gavi, era estate, con il pacco appena arrivato». Vi ci buttaste a capofitto, immagino. «A dire il vero no, eravamo impegnati a giocare con il pallone vero, ma dopo cena aprimmo la scatola, e vedemmo il Subbutèo (come lo chiamava mio padre) per la prima volta. Sistemammo il gioco, mio padre assieme a mio fratello si impegnarono nel tradurre le istruzioni, che erano in inglese e con mio cugino disputammo la prima partita, sotto l’occhio perplesso di mio nonno, che osservava con le mani in tasca. Ci furono subito le prime discussioni, io giocavo in punta di dito, mio cugino con la classica e vietatissima bicellata. Passammo la notte a guardare gioco e catalogo, erano davvero affascinanti». Suo padre ne rimase affascinato come voi? «Mio padre dopo ferragosto prese un aereo, ed andò a prendere accordi con gli inglesi. A fine agosto 1971 arrivò un inglese con tutto il campionario. Era il classico gentleman inglese, baffetti e cappello. Speravamo con il suo arrivo di scoprire le regole del gioco che fino ad allora non avevamo capito o che ignoravamo. Ma lui era un commerciale, ne sapeva meno di noi...». GENOVA | 1984 Bobby Charlton, icona del calcio inglese, in compagnia di Edilio Parodi durante una visita di cortesia a Genova, guarda il manifesto del torneo di Subbuteo alla fiera Primavera 3 / febbraio 2012 23 GENOVA | 20 gen 2012 Arturo Parodi nel suo ufficio di Manesseno con una foto storica: Bobby Moore e Gordon Banks, campioni del mondo nel 1966 con la maglia dell'Inghilterra, impegnati in una sfida di Subbuteo E la storia partì, a quel punto. «Si, la storia partì subito. L’inizio non fu dei più semplici, dovemmo superare la diffidenza iniziale dei commercianti, il Subbuteo è un prodotto particolare. Quando apri la scatola trovi piccoli pezzetti di plastica, non è immediato come impatto. Ma superati gli ostacoli iniziali il successo fu immediato. In Italia più di ogni altro paese, un pochino in Inghilterra, ma gli appassionati, grazie alla vendita per corrispondenza, erano già disseminati ovunque». In Italia come sono nate le prime associazioni, i primi club di appassionati? «In Italia siamo stati quelli che ci hanno creduto di più. Mio padre per gli appassionati ha fatto un lavoro incredibile. Aveva creato una rete di rapporti con i club, tutti scrivevano a noi e lui li metteva in contatto. Senza distinzioni: nord, sud, cercava di far giocare tutti. E ci riusciva». «Arrivò un inglese, speravamo ci spiegasse le regole: eravamo già più esperti di lui...» «Zeugo è il gioco perfetto. Performante, curato. Ma oggi è difficile vendere un prodotto così» Anche la distribuzione era piuttosto diffusa. Già nei primi anni '80 le scatolette verdi del Subbuteo si trovavano ovunque. «Si, c’era una buona distribuzione. Erano altri tempi, funzionavano le piccole realtà familiari, non i grandi centri commerciali ed i grandi gruppi. È a causa del loro arrivo che siamo arrivati a questa crisi. L’unico modo per uscirne sarebbe mettere in condizione il piccolo commerciante di poter competere con i grossi marchi. È difficile ma è un passo che dovrebbe essere assolutamente fatto». Come la Hasbro, attuale proprietaria del marchio Subbuteo. Una grossa multinazionale che, a detta di molti giocatori di Subbuteo, ha compromesso la buona salute del marchio. «La Hasbro è una grossa azienda, grandi capitali, grosse possibilità economiche. Escono con dei giocattoli senza assolutamente considerare di vendere un bel gioco o meno. Loro devono soltanto vendere. Imporre un gioco al commerciante che funziona solo grazie aics liguria / oltre gli orizzonti 24 LONDRA | 1977 Foto dall'album dei ricordi della famiglia Parodi: Giovanni Battista (a destra) a Wembley con Kevin Keegan (secondo da sinistra) GENOVA | 1984 Nella foto grande, Arturo Parodi impegnato in una sfida al tavolo da Subbuteo contro Bobby Charlton È piuttosto incredibile che una grossa azienda come la Hasbro non sia riuscita a valorizzare il marchio Subbuteo, non crede? «Ribadisco il concetto di prima. Il Subbuteo non è un articolo facile, non è un articolo da grossi numeri. È un articolo che vende se trattato in un certo modo. Non puoi aspettarti grandi numeri, ti devi accontentare di tanti piccoli numeri, che sommati insieme fanno un successo. Ci vuole cura, per il cliente e per il rivenditore». Per parlare di date, quando è arrivata Hasbro? «Abbiamo continuato dal 1971 al 1995, quando è arrivata la lettera di Hasbro, nuova proprietaria del marchio, che ci licenziava. E ci imponeva di interrompere il lavoro e distruggere lo stock. Avevamo un contratto decennale, ma la legge inglese considerava inaccettabili contratti così lunghi. Così Hasbro ha potuto fare quello che ha fatto. Anche forse grazie al suo potere economico, forse. Così è iniziata la battaglia legale, purtroppo senza successo». Le faccio una domanda particolare: quando avete ricevuto la lettera di licenziamento, avete deciso di lottare più per un discorso economico o di cuore? «Tutte e due, praticamente Subbuteo era il 70% del fatturato, ma non solo: era la parte “determinante” del fatturato. Con Subbuteo andavo nei punti vendita ed avevo una carta commercialmente forte. Senza il Subbuteo non ti rispetta più nessuno, per molti motivi. E poi era l’articolo su cui avevamo investito 25 anni di lavoro, ormai era un affare di famiglia. E poi, cosa non trascurabile, mio padre ha contribuito in modo determinante per migliorare il gioco stesso. Era lui a chiedere nuovi accessori e modifiche. Subbuteo ha avuto l’assortimento che aveva anche e soprattutto grazie a mio padre». A proposito di accessori, io ho sempre immaginato da piccolo che i figli di Edilio Parodi avessero chissà che accessori e chissà quante squadre... È così? «No, abbiamo sempre avuto un campo normalissimo, niente stadi, niente super collezione di squadre. Certo, potevo cercare con più facilità quelle che piacevano a me, ossia quelle con basi più larghe». Com’era il rapporto con i club e le associazioni? «Io ho iniziato a lavorare qui per seguire proprio i rapporti con gli appassionati. C’era chi chiedeva regole, chi chiedeva come organizzare un torneo e chi chiedeva di organizzare un campionato. Adesso il rapporto è un po’ cambiato, prima c’erano i campionati di Subbuteo, adesso si sono trasformati in campionati di calcio da tavolo, con materiali diversi, non solo targati Subbuteo, quindi progressivamente sono un po’ calati, non essendo noi totale punto di riferimento». Per ciò che riguarda i materiali com’è cambiato Subbuteo negli anni? «Subbuteo non ci ha mai seguito quando gli chiedevamo di produrre un gioco più performante. Volevamo un gioco che “giocasse” meglio. Il Subbuteo con l’omino degli anni '70 giocava meglio. Una questione di materiali. A metà degli anni '70 la ditta faceva fatica a soddisfare le nostre richieste in fatto di ordini, perché la produzione passava obbligatoriamente dalla colorazione che allora era affidata alle famiglie della zona, che coloravano a mano ogni singola miniatura, così iniziarono a produrre in maniera automatizzata in un nuovo stabilimento, a Leeds. L’omino che veniva prodotto nei nuovi stabilimenti era il famoso omino zombie che, oltre ad essere brutto esteticamente, era brutto per giocare. Abbiamo lottato moltissimo per far cambiare quel tipo di miniature, ci siamo riusciti con mille difficoltà, anche se non è mai stato come il primo prodotto». Com’è finita la storia con il Subbuteo? «Dopo tantissimi problemi legali con Hasbro, che aveva iniziato una produzione massiccia del Subbuteo, ribadisco, senza nessuna cura per il gioco, noi iniziammo a produrre Zeugo, che era, per noi il gioco di calcio da tavolo perfetto: fatto bene, performante, un gioco fatto per divertirsi. Subbuteo veniva prodotto in serie, stampato, dipinto dalle macchine, senza nessuna cura per la giocabilità. L’amarezza sta nel fatto che i commercianti, compresi quelli genovesi, sceglievano di vendere Subbuteo, per il nome e per il prezzo più competitivo del nostro, nonostante fosse il nostro il gioco migliore. Non c’è più cura per il prodotto per quello che riguarda queste grosse ditte. Si torna al problema di fondo, i piccoli non sono in condizione di competere con i grandi, loro hanno soldi, pubblicità, potere economico e persuasivo. I negozi chiudono, rimane solo la grande distribuzione, che vende il prodotto del grosso produttore». Un po’ di amarezza per come è finita la storia con Subbuteo è palpabile. D’altronde Edilio Parodi e tutti i suoi collaboratori sono stati davvero fondamentali per la diffusione, il miglioramento, e l’ingresso di Subbuteo nel mito. Un gioco importante, che grazie a questa ditta di gente seria ma soprattutto appassionata è potuto diventare quello che è stato, è e sarà per sempre nell’immaginario di tutti: un gioco mitico, che ha fatto innamorare milioni di persone in tutto il mondo. 25 3 / febbraio 2012 alla pubblicità e alla forza commerciale. Nonostante il prodotto magari possa non essere valido. A me non piacciono i giocattoli di oggi, poca creatività. Gli unici negozi di giocattoli che mi piacciono sono quelli che trattano il gioco educativo, quelli che non trattano giocattoli iperpubblicizzati, quelli che stanno attenti alla qualità del gioco, dei materiali, che aiutano il bambino a crescere. Le grosse aziende non fanno attenzione a questi piccoli particolari». aics liguria / oltre gli orizzonti 26 Il circolo > Enzo De Bastiani e la rincorsa del Cts Genova alla promozione Quelli che non smettono di giocare E nzo De Bastiani e il Cts Genova, nel segno del Subbuteo. Un gioco, spesso appellato sport da chi lo pratica, in declino ormai da anni, praticato quasi solo da chi lo praticava già negli anni Settanta, Ottanta e Novanta. Come un’automobile degli anni Trenta. Difficile trovare i ricambi. Ma difficile anche da dimenticare, se ha significato qualcosa. E per i ragazzi degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, il Subbuteo ha significato molto. Per alcuni - tanti -, semplicemente era tutto. La scomparsa del settore giovanile Cose che forse gli adolescenti di oggi non possono capire, come quando gli stessi ragazzi degli anni Ottanta o Novanta sentivano i nonni raccontare dei giochi spartani della loro infanzia, o anche peggio, di quando a 20 anni erano già in guerra. Invece di giocare con gli amici. Stesso effetto nei giovani di oggi, probabilmente. Abituati a divertimenti molto più plug and play, molto più diretti, veloci nell’avvicinamento, nel consumo. E nella dimenticanza. Forse meno legati ad ingegno e senso pratico. Senza dubbio, meno romantici. Si parla, naturalmente, dei videogiochi. Nominarli ad un subbuteista come Enzo De Bastiani è come bestemmiare in chiesa. De Bastiani sa cosa il movimento videoludico ha fatto al Subbuteo e che cosa ancora gli sta facendo. «Ne ha ucciso il settore giovanile - dice il presidente del Cts Genova -, l’ho visto con i miei occhi seguendo il club, che ho fondato qui a Genova nel 2007. Non c’è niente da fare, qualcuno eravamo riusciti ad introdurlo, intendo juniores sotto i 14 anni, ma poi di f. past. si sono persi tutti. Vedo purtroppo che anche negli altri club si fa una fatica matta per tenere in piedi un settore giovanile ormai pressocchè inesistente». All'inseguimento di Sanremo e La Spezia Numeri, i coristi di De Bastiani. In Italia, attualmente, sono circa 1000 i tesserati presso la Fisct, Federazione Italiana Sport Calcio Tavolo. Un po’ pochini, paragonati alle centinaia di migliaia di giocatori di solo dieci o venti anni fa. Tra questi, giovani non ce n’è. O ce n’è pochi. De Bastiani però non si scoraggia e tiene duro. «Dal 2007, sono passati di qua circa 52-53 soci, ora sono appena 8 quelli ufficialmente iscritti. Capisci che abbiamo dovuto regolamentare meglio la situazione. Attualmente, accettiamo solo persone che hanno voglia di competizione e di impegnarsi in questo gioco. Non avendo nemmeno una sede, non possiamo più prendere tutti e disputare dei tornei interni, insegnando a giocare. Prima, eravamo a San Bernardino (le alture sopra Manin, ndr), ci avevano messo a disposizione un locale e si giocava lì. Avevamo anche la possibilità di organizzare degli open, come abbiamo fatto due anni fa. Ma poi abbiamo perso pure la sede e così giochiamo nel bunker di un nostro amico, in attesa di reperire un locale». Nonostante questo, il Cts sta per salire in Serie C. L’obiettivo è andare a prendere i rivali di Sanremo, attualmente in B. «Siamo partiti dalla D, che è l’ultima categoria, quindi la prima quando sei nuovo. Il mio obiettivo iniziale era riprendere la gloriosa tradizione del Subbuteo genovese, che tanti campioni e tanti titoli ha regalato nel corso degli anni. Purtroppo, verso il 2000 circa, si è chiuso quel fantastico ciclo e con fatica, adesso, stiamo cercando di recuperare la storia. Abbiamo in squadra una vecchia gloria come Valentino Spagnolo, certamente il più forte giocatore ligure, vincitore dello Scudetto, di vari titoli regionali e di un Campionato Italiano. Poi, ci sono parecchi talenti diciamo pure emergenti, ragazzi di 30 o 40 anni che hanno voglia di fare bene e provare a vincere qualcosa. Per questo ho ragionato sulla chiusura del club, diciamo su un numero basso di persone che potesse essere il più competitivo possibile. In Liguria siamo i più giovani, i club di La Spezia e Sanremo iniziano a patire la situazione, perché stiamo andando a prenderli, nonostante siamo attivi da pochi anni». Oggi si gioca a Calcio Tavolo Attivi ed entusiasti. Il Cts ha una maglia personalizzata, come le vere squadre di calcio, con la croce rossa di Genova sul petto, rigorosamente in campo bianco, i nomi e i numeri sulla maglia. Insomma, i ragazzi di De Bastiani fanno sul serio. «Ma anche il Subbuteo è cambiato - racconta il presidente -, oggi si definisce infatti Calcio Tavolo. È un’altra cosa. Si gioca con materiali più professionali, molto più costosi di prima e disponibili quasi solo online, tramite i produttori, direttamente. Senza più passare per i negozi, come succedeva un tempo. Gli omini sono costruiti con materiale infrangibile, con basi equilibrate, tutti uguali e non si rompono praticamente mai. Prima invece era ben diverso. Diciamo che il Calcio Tavolo, attualmente, può essere avvicinato di più al concetto di biliardo. Credo che sia meno ruspante di prima, ma più spettacolare, magari una cosa più da adulti, ma direi più spettacolare». Tra sponsor e nuovi materiali I materiali, dunque, hanno cambiato non poco la conformazione del movimento, un movimento già minato dall’avvento dei videogiochi, poi trasformato in maniera netta dall’evoluzione dei materiali. Che ha generato giocatori più livellati, grazie alla maggiore facilità di ottenere risultati accettabili. Un po’ come nello sport in generale, dove invece del talento, si notano assai di più il ritmo, la forma e la prestanza fisica, la tattica. Il vecchio Subbuteo, probabilmente esiste solo negli armadietti degli appassionati. Oggi, si parla di Calcio Tavolo. «Il Subbuteo infatti non è più accettato nelle competizioni ufficiali - dice De Bastiani -, si gioca con i materiali moderni. Tutti hanno le squadre di nuova generazione, perché funzionano molto meglio. Tutti hanno anche degli sponsor, ma di nuovo sono nella situazione di paragonare. Penso ad esempio al clan di Pes - Pro Evolution Soccer, il famosissimo videogame sul calcio -, che riceve una cifra parecchio importante da Hitachi, circa 12.000 euro, ed ha molti ragazzini al suo interno. Noi dobbiamo ringraziare il nostro sponsor Carige, che ce ne da 300... Le dimensioni sono molto diverse. Qui a Genova non c’è più grande passione, ci sono solo alcuni giocatori che non mollano, ma per essere competitivo devi prendere degli extra-regione. Come nel nostro caso. Ne abbiamo quattro su otto. Non è che vengono a vivere qui come nel calcio vero, ci vediamo ai tornei, però non fanno parte della nostra scuola». Sempre in campo Mentre cerca di fondare la sua nuova scuola, Enzo De Bastiani pensa già alla prossima tappa. Modena, tra due settimane. Un open cui il Cts parteciperà. «Ci saremo, con la solita voglia di far bene. Poi, ad aprile, si svolgeranno gli Italiani e la Coppa Italia a Montecatini, dove la federazione ha a disposizione dei locali per far disputare le partite. Speriamo di fare bene e di centrare l’obiettivo principale di quest’anno, che ripeto: andare in C». PER SAPERNE DI PIÙ Da segnalare infine il sito del Cts, curatissimo e ricco di curiosità, risultati, commenti ed immagini: www.ctsubbuteogenovaclub.blogspot.com 27 3 / febbraio 2012 CTS GENOVA Tre foto di gruppo per i ragazzi del Cts: nelle due sotto, sempre al centro, la vecchia gloria Valentino Spagnolo insieme al presidente Enzo De Bastiani (foto Luca Rajna) aics liguria / oltre gli orizzonti 28 Il giocatore > Francesco Conti, per anni ai vertici, racconta il suo Subbuteo Ricordi, vittorie e rimpianti di un talento «Occhio a sbagliare col portierino...» di f. past. L ’aspetto romantico del Subbuteo lo incarna un giocatore in particolare. Il genovese Francesco Conti, che oggi ha 30 anni, e da dieci si è ritirato dai tavoli, dopo aver vinto due campionati italiani espoire (1998 e 2000), uno juniores (1995) e due masters. Ed essere stato per cinque anni, tra il 1992 ed il 1997 il numero uno nel ranking juniores del nostro paese. Ci sono anche due finali perse nella carriera di Conti, a testimonianza di un curriculum da uomo sempre in fondo alle competizioni importanti. Fino al declino delle motivazioni e dunque anche dei risultati, giunto ad inizio secolo, quando arriva il ritiro definitivo. Di cui diremo. Non è però sul palmares che bisogna concentrarsi, per raccontare questa storia. È sugli aneddoti. Il palmares parla sì di un vincente, ma anche e soprattutto di un ragazzino che amava questo gioco e che lo ha saputo interpretare in una forma davvero singolare. Il rimpianto del portierino Incontriamo Conti in un contesto particolare, alla mostra Arte Genova 2012, alla Fiera di Piazzale Kennedy. La chiacchierata si svolge tra un dipinto di J. Peter Witkin, uno di Serrapiglio, Cristini, Claudio Monnini e il divertente e dissacratorio Glory Hole di Adolfo Maffezzoni. Questo inizialmente. Ma l’intervista vera, quella dove il ragazzo di Oregina tira fuori le cose migliori, arriva lontano dal trambusto del via vai e degli occhi che rincorrono le immagini. Saliamo al piano superiore del padiglione C. L’obiettivo è fumare una sigaretta. Dentro è naturalmente vietato. Ci sono due sedie da bar, di plastica bianca, in fondo, tra frigoriferi della Coca Cola GENOVA | 6 feb 2012 Una delle scatolette da gioco di Francesco Conti vantaggio acquisito e dunque la possibilità di vincere gli US Open, iniziati da perfetto sconosciuto con un rusticissimo sponsor sulla polo. Ma, alla fine, manda la palla di là, come voleva. Scatenando il delirio del pubblico. Situazione simile per Conti, che dalla sconfitta contro Intra, tira fuori una carriera da dieci e lode. «È iniziato tutto lì - prosegue -, prima avevo giocato solo un torneo regionale con mio cugino, con il quale in quel periodo trascorrevo molto tempo. Pure lì persi in finale, 5-0 contro il Milan di un tal Bussetti. Era stato un buon risultato, come prima apparizione. Iniziai ad allenarmi e a credere di poter fare bene. E, soprattutto, conobbi i miei compagni del Genoa Club, importantissimi per me. Paolo Musso, Davide Massino, Fabio Malvaso, Andrea Lampugnani, tutti più grandi di me, tra i trenta e i quarant’anni. È stato con loro che ho diviso le giornate più belle e i ricordi migliori, legati soprattutto ai tornei a casa di qualcuno, quando si facevano triangolari e quadrangolari e in palio c’era l’onore. Ricordo un altro aneddoto divertente. Si giocava a casa di mio cugino, che chiamava un amico ai piani superiori del palazzo, facendogli uno squillo sul telefono fisso - c’era solo quello - in caso di sfida singola e due in caso di torneo a più squadre. Dopo un po’, lui scendeva e si giocava. Una volta, in uno di questi tornei, Gianluca Ferraris, l’amico del piano di sopra, giocatore mai arrivato in ranking, subì gol e l’omino andò fuori dal campo dopo il tiro dell’avversario. Con un grandissimo calcio al volo, Ferraris colpì l’omino che sbattè su un lampadario, rimbalzò sul muro e cadde distrutto a terra. Era uno dei pibe. I pibe erano i fenomeni, i giocatori fatti meglio delle scatole, quelli che ti esaltavano di più. La rottura di un pibe significava la fine di un’era. Doveva generarsi un altro pibe, un altro leader in campo e non era una cosa che potesse accadere così facilmente. Fu una scena incredibile, che non dimenticherò mai». Imparare a vincere Altro aneddoto che fa capire come Conti intendesse il Subbuteo. «Il viaggio per i nazionali espoire di Cosenza, nel 1998. Tutto in macchina da Genova. Io, D’Ercole, Malvaso e un altro ragazzo. Ci fermammo nella notte a Pisticci, provincia di Matera, nel luogo di origine della famiglia di Malvaso, ospitati da suo zio. La mattina dopo, ripartimmo per Cosenza, dove giocammo e io vinsi il mio primo titolo espoire. Ma è il viaggio la cosa che ricordo con più gioia, fu davvero emozionante. Con questi ragazzi e soprattutto con Malvaso, la persona con cui adoravo di più fare le trasferte, mi faceva morire dal ridere». Conti parla poi di un altro personaggio importante nella sua carriera: Paolo Musso. «È stato Musso, che al tempo aveva trent’anni più o meno, ad insegnarmi a vincere. Vincere è una cosa che si impara, non vinci sempre perché sei più forte. Vinci perché sai vincere. È una abilità mentale, la capacità di gestire la pressione e di esercitare tattiche utili in quel determinato momento. Ricordo che Musso girava attorno al tavolo e mi dava un sacco di consigli quando ero agli inizi. Una volta addirittura si fece espellere perché era troppo nervoso. Non so cosa vide in me, però aveva smesso quando mi conobbe e dopo ha ricominciato a giocare. Forse gli ho dato una seconda giovinezza, non lo so. Sicuramente lo devo ringraziare, perché senza di lui non so se sarei riuscito ad ottenere tutti i successi che ho ottenuto». Olanda e Argentina abbandonati ed un tavolaccio, di plastica pure quello. Vicino a noi il grande portone dell’uscita di sicurezza. Un angolo che ricorda un film di Fellini. Ci sediamo e si comincia. Questo il primo aneddoto che fa capire la mentalità del giocatore. «Avevo 11 anni - inizia Conti -, stavo giocando la finale del mio primo torneo nazionale, il Guerin Subbuteo, sentitissimo. Contro un avversario davvero forte, Efrem Intra, che poi è diventato un campione e ha vinto anche il Mondiale (in Germania, nel 2006, ndr). Perdevo 2-0, sono riuscito a recuperare e a pareggiare la partita, portandola ai supplementari. Lì, mi è capitato di dover recuperare un pallone col portierino, un colpo non difficile, ma neanche facile. Sbaglio. Quando sbagli col portierino, il portiere non ce l’hai più e tocca all’altro, che ti fa gol a porta vuota. Sbaglia anche Intra. Ho la possibilità di giocare quel pallone decisivo in un modo diverso, più sicuro. Ma ci riprovo col portierino, perché non accetto di non esserci riuscito. Sbaglio ancora. Intra stavolta no e mi fa gol. Perdo la finale ed il titolo. Non sono mai riuscito a vincere il Guerin Subbuteo nella mia carriera. È il più grande rimpianto, che mi porto dentro ancora oggi». Quel giorno, a vedere il torneo, che si disputava a Genova, c’erano molti appassionati e giocatori di Subbuteo da tutta Italia. Qualcuno disse a Conti: «Bravo, non te la sei fatta addosso - ricorda lui -. O qualcosa del genere. Lì si è capito che potevo dire la mia». Esordi, applausi e pibe Qualcuno forse ricorda il film Tin Cup, con Kevin Costner. Quando all’ultima buca il golfista impersonato da Costner tenta un colpo impossibile, finendo in acqua. E ci riprova fino a perdere tutto il Torniamo un attimo indietro, al 1995, anno in cui Conti vince il suo primo titolo nazionale, l’unico nella categoria juniores. «Vinsi con l’Olanda a base arancione, contro il torinese Cammarata. Un match teso, perché lo sentivamo tutti e due, fu anche una gara bruttina. La semifinale invece mi lasciò un sapore particolare. Affrontai Zizola, sardo, accreditato da tutti come l’uomo da battere. Ce le demmo di santa ragione, fu una partita bellissima. Vinsi io a piazzati. Non avevo un gran tiro, ma qualcuna sono riuscito a vincerla, come quella partita lì, che segnò sicuramente il prosieguo della mia carriera di subbuteista. Mi portò in finale e riuscii ad ottenere il primo titolo. Da lì, presi fiducia e non mi fermai più. Vincevo quasi tutti i tornei cui partecipavo e rimasi in cima al ranking juniores per cinque anni». Conti era diventato l’uomo da battere. Poi, il salto nella categoria espoire, tra juniores e senior. Che regala al genovese altri due titoli nazionali. Vinti con l’Argentina, non più con l’Olanda. «Abbandonai l’Olanda, in un primo momento per un Parma con cui giocavo benissimo ma non vincevo niente. Poi presi ad usare l’Argentina con base gialla, l’Argentina All Stars. Con cui ho vinto due italiani e due master. C’erano Batistuta, Maradona, Kempes e Caniggia sulla destra, con fascia e capelli disegnati, malissimo, da me. Cercavo sempre di mettere un po’ di romanticismo nelle mie squadre». Mondiali? No, grazie Il 2000 è l’ultimo anno di successi per Conti, che vince il suo secondo espoire, dopo la partecipazione del 1999 agli europei di Rotterdam. Non particolarmente fortunata. «Giocammo sia a squadre che in singolo - ricorda -, ho ancora la maglia della nazionale a casa, naturalmente. Perdemmo contro il Belgio e io persi anche in singolo. Ricordo una fortissima giocatrice belga, l’unica donna contro cui «Il Guerin Subbuteo era sentitissimo. Ho perso in finale, è il mio rimpianto più grande» «Girai una vhs con Antonio Cabrini, che sbagliava tutte le battute. Finì nelle scatole del Subbuteo» abbia mai giocato. La fecero entrare dopo, finimmo 0-0 e perdemmo ai punti, visti i risultati delle altre partite. Ma veramente questa ragazza era fortissima». Nel 2000, si disputa il Mondiale seniores a Vienna. Conti ha 19 anni, è convocato, ma rifiuta di partecipare. È il primo segnale di una rottura che ben presto diventa irrecuperabile. «Rifiutai di partecipare, in fondo forse sapevo di non poterlo vincere e non mi piace scendere in campo senza poter lottare per il primo posto. Questo è un motivo. Un altro è che avevo perso gli stimoli. Non mi allenavo più. Mi sono sempre allenato pochissimo, ma lì proprio non facevo più niente. Poi avrei dovuto pagarmi l’aereo e non volli. Così rifiutai e restai a casa». Niente Mondiale, che Conti non giocherà mai in carriera. Il distacco Successivamente, un italiano seniores a Bologna, dove il ragazzo di Oregina non brilla più come in passato ed esce presto. A questo punto, l’addio. Improvviso e netto. «Smisi, per molti motivi. Il gioco era cambiato, la mia federazione anche. Ne esisteva una nuova che non mi piaceva più. Le strumentazioni evolute poi, avevano stravolto la maniera di giocare. Con le squadre con la stecca e i campi con cui ho iniziato a giocare io, dovevi avere talento per emergere. Quando sono arrivati l’astropitch e le profi-base, il livello si è stabilizzato verso il medio. Molti giocatori, che prima non riuscivano ad esprimersi, tramite le tecnologie più avanzate, hanno cominciato a vincere partite che prima non avrebbero mai vinto. È successo un po’ ciò che succede nel tennis moderno. Anche perché il Subbuteo è molto simile al tennis, come mentalità. E come modo di redarre le classifiche, anche. Ora non c’è più un Edberg che va a rete e vince i tornei, ora ci sono giocatori solidi, fisicamente fortissimi e con un cuore ed una corsa eccezionali. Ma talento poco. Secondo me, nel Subbuteo è successa la stessa cosa». Quella volta, io e Cabrini Così Conti esce da vincente, senza essersi però mai realmente misurato in un mondo seniores che non lo vedeva più stella. Il ragazzo di Oregina non ne aveva più voglia. Così almeno dice lui. Gli restano gli amici, i ricordi, le coppe ed una vhs molto speciale. «L’evento Subbuteo girato a San Marino con Antonio Cabrini - ride -, sì, fu una giornata molto divertente. Credo fosse all’interno di un Milan Camp o una cosa del genere. Restammo lì una settimana. Io andai giù con Alberto Villa, che era presidente fondatore dell’Aicat e mi aveva portato là perché ero il campione juniores. Villa è quello che ha creduto di più nella promozione del Subbuteo, in assoluto. Avevo 14 o 15 anni, non ricordo bene. Non eravamo preparati alle telecamere, alle luci, alla regia. Inventavamo i testi e Cabrini sbagliava sempre le battute. Io me la cavai discretamente, feci i colpi che dovevo fare e la cassetta finì nelle scatole del gioco, del Subbuteo». E nell’armadio di Conti, insieme a tutta l’attrezzatura, che ormai non esce di lì da un pezzo. Chissà se un giorno l’ex campione italiano ci ripenserà. «Non so se ora sarei più all’altezza, dovrei giocare e vedere. Di sicuro, se ricominciassi, non potrei più usare la mia Argentina All Stars. Quella squadra ha vinto tutto, posso giocarci solo a casa di qualche giocatore, in amichevole. Serate di livello e di ricordi. Se rientrassi, dovrei farlo con una squadra nuova. Quel tempo è finito». 29 3 / febbraio 2012 GENOVA | 6 feb 2012 Francesco Conti, 30 anni, genovese di origini greche: per anni, in gioventù, uno dei talenti più puri dell'intero panorama subbuteistico nazionale. Ha anche partecipato ad un corso in videocassetta insieme ad Antonio Cabrini aics liguria / oltre gli orizzonti 30 GENOVA | 6 feb 2012 Quattro squadre della collezione di Francesco Conti: Liverpool, Inghilterra, Camerun e una dettagliatissima Lazio 1 3/ /novembre febbraio 2012 2011 31 aics liguria / oltre gli orizzonti 32 SUBBUTEOPIA | Primavera 2012 Sotto, il logo di Subbuteopia, in arrivo a primavera. A destra, l’inglese Stephen Moreton e il suo Stadium of Fingers: il campo da Subbuteo più grande del mondo [foto: subbuteopia.com] Cinema > Un regista e un musicista portano il subbuteo sul grande schermo Il sogno di Davide e la sfida a Golia Subbuteopia, il documentario di Federico Pastore C ’è un luogo segreto, dove respira un sogno, un sogno che non è da nessuna parte, eppure è. Eutopia - buon luogo. Outopia - nessun luogo. Subbuteopia. Un progetto che rende corpo il respiro e dal luogo segreto, lo conduce dove le persone lo possano vedere. Al cinema e sui supporti dvd. L’idea e i fondi Subbuteopia nasce dall’idea del regista Pierr Nosari e del musicista Enrico Fontanelli, supportata dalle case di produzione Pop Cult e La Società Sintetica, entrambe indipendenti e specializzate in documentari creativi. Un altro grande aiuto, il non luogo del Subbuteo lo riceve dal portale Verkami. Che cos’è Verkami? Molto interessante andarlo a scoprire. Verkami è un crowdfunding. Come i bambini, a domanda risponde un’altra domanda. Che cos’è un crowdfunding? Isolando le due parole inglesi che compongono il nome, si capisce che una è crowd, gente, l’altra funding, fondi. I fondi dalla gente, intesa come comunità. Una comunità libera, che dona ad un progetto se il progetto la interessa, senza né costrizioni, né vincoli. Funziona così. Un artista indipendente ha un’idea, intende realizzarla, ma gli mancano i fondi. Cruccio di molti giovani e meno giovani sognatori. Scopre Verkami, pubblica il suo progetto in una pagina dedicata del sito ed ha 40 giorni di tempo per raccogliere adesioni e dunque sovvenzioni. L’offerta è libera, si va dai 10 euro ai 500, ai 1000, ma anche oltre. Un singolo privato può donare ciò che desidera. Chiaro che, più alta è la somma, più alta è la ricompensa. Nel caso di Subbuteopia, documentario fortemente voluto da Nosari e Fontanelli, il tetto da raggiungere era 15.000 euro. Per concludere le riprese e realizzare la post produzione. Obiettivo raggiunto Il team che ha messo su quest’idea proponeva in cambio gadgets, quali magliette, squadre, box esclusivi con il dvd del film, biglietti per le anteprime in programma nel 2012/13 in tutta Italia e il proprio nome o il logo della propria associazione nei titoli di coda del girato. Beh, i ragazzi di Subbuteopia, attraverso Verkami ed una lunga lista di appassionati sostenitori, ce l’hanno fatta! 15.750 euro raccolti, anche oltre il limite di 15.000 fissato in apertura dai creatori del documentario. 360 mecenati, sono chiamati così - a ragione - i liberi donatori sul circuito Verkami, hanno appoggiato concretamente la causa di Nosari e Fontanelli, rendendo possibile dunque la conclusione effettiva del film. Film il cui trailer - in verità in ben quattro versioni - è già disponibile sul sito di La Società Sintetica, casa co-produttrice insieme a Pop Cult del progetto. Le origini e le leggende Si parla naturalmente dell’ornitologo Peter Adolph, il grande papà di Subbuteo, con interviste ad amici e conoscenti e riprese realizzate a Longton Road, il paesino inglese da cui tutto è partito alla fine degli anni Sessanta. Poi, le curiosità sul movimento sia passato che moderno, con interviste a personaggi di spicco del Subbuteo di casa nostra, come i fratelli Giovanni Battista ed Arturo Parodi, figli del primo e più grande importatore italiano di Subbuteo, Edilio Parodi, famosissimo tra gli amanti di questo gioco. Oppure al campione del mondo Juniores del 1978, il pisano (d’adozione, i natali sono genovesi) Andrea Piccaluga, che a Londra proprio nel ’78 battè 3-0 il tedesco Dirk Barwald, diventando il primo italiano a fregiarsi della corona iridata (e di un’assicurazione milionaria per il proprio dito). Impresa riuscita poi nel 1982 anche a Renzo Frignani, sempre contro un tedesco, Horst Becker, ma questa volta nella categoria Seniores. Davide contro Golia Subbuteopia non è però solo cronaca di una vita vissuta o un amarcord. I creatori del progetto tentano di dare un risvolto sociale al documentario, portando alla luce un movimento che nel contesto attuale pare davvero di nicchia. Quasi scomparso. E’ utile ricordare che la produzione di Subbuteo è stata interrotta nel 2000, quando Hasbro non ritenne più di investire sul marchio che aveva comprato poco prima, nel 1996, dalla storica proprietaria inglese, la Waddingtons Games, facendone l’ingranaggio di un’industria che, limitandoci ai dati del 2010, si stima abbia ricavato circa 4 miliardi di dollari. Un ingranaggio in cui gli omini del Subbuteo non si sono mai incastrati, troppo abituati alle cure degli artigiani che manualmente dipingevano le loro gambe, visi e divise. E dunque mal disposti alle dozzinali cure di una catena di montaggio automatica. Così come chi poi gli omini li anima, cioè i giocatori. Che Hasbro non l’hanno mai amata, perché realizzava un prodotto senz’anima, non trasmetteva la passione di mano in mano. Erano omini freddi, dicono i giocatori, e rispondevano anche male sul prato. C’è infatti chi spenderebbe un sacco di soldi per una squadra prodotta negli anni ’70. E chi ce l’ha, non se ne priva. Insomma, a volerla vedere un po’ più in grande, Subbuteopia è Davide contro Golia, come gli stessi ideatori dichiarano nella presentazione del progetto. Un progetto certamente romantico ed appassionato, che ha già convinto 360 mecenati e che aspettiamo di vedere presto nelle sale italiane. PIERR NOSARI Regista e autore ENRICO FONTANELLI Autore «Con questo documentario spero di portare fortuna all’Atalanta» Le ANDREA DALPIAN Direttore della fotografia «Giocavo a Subbuteo da solo. Il campo era disegnato sopra una tenda» «Mai giocato. Ma questa potrebbe essere la volta che comincio» GIUSI SANTORO Produttore Pop Cult «Perdevo, e non mi divertivo. Ora però sì, che mi diverto» omini, palloni e dita... in 5 libri pubblicazioni che meglio hanno saputo rendere il sapore di una sfida a 2008 2007 2010 2010 Subbuteo 2006 “Vite in punta di dito” “Storia illustrata della nostalgia” “Subbuteo... o son desto?” “Wembley in una stanza” “Flick about” (libro fotografico) Bungaloo Publishing Undici storie diverse nei contenuti ma identiche nella passione verso il Subbuteo. Il calcio in punta di dito visto nel suo aspetto più feticistico, per quelli per i quali il Subbuteo non è mai stato e non potrà mai essere solamente un gioco, ma molto di più. Daniel Tatarsky - Tatarsky ripercorre dalle origini a oggi la storia di un’impresa e di un’utopia: dall’ipotesi che fosse possibile “subbuteizzare” qualsiasi evento del mondo reale, fino al momento in cui, incalzato dalla concorrenza dei videogame, il gioco è stato ritirato dal mercato. Nicola De Leonardis - Panni verdi, omini, colla e lunghi pomeriggi con gli amici: il Subbuteo è un gioco creativo e interattivo con cui portare alla vittoria realtà locali che mai avrebbero avuto tale possibilità, ma anche un grande strumento di socializzazione, di incontro e di nascita di amicizie. Fabrizio Ghilardi - Il gioco che ha appassionato migliaia di bambini accompagna in questo nuovo libro i due protagonisti, chini sul tappeto verde, a cavallo tra ’70 e ’80. C’è anche il mondo degli adulti, incarnato dai genitori, dagli insegnanti e dal nonno, che regala ai due fratelli l’agognato Subbuteo. Charlotta Smeds - La Smeds e’ una fotografa (tanto brava quanto bella) svedese che vive e lavora a Roma, in Flick About è riuscita nell’impresa di rendere una perfetta unione tra fotografia e Subbuteo, esaltando il gioco del cuore come mai nessuno era riuscito finora. 33 3 / febbraio 2012 SUBBUTEOPIA | Primavera 2012 Due immagini da una sfida di Subbuteo, ripresa per il documentario sul calcio in punta di dito ideato da Pierr Nosari ed Enrico Fontanelli [foto: subbuteopia.com]