© Associazione Culturale Porta Marengo - Milano www.portamarengo.com Progetto Fiera di Enrico Jessoula “E questo cos’è?” Apostrofo perplesso l’architetto di famiglia, che sarebbe poi mia figlia, mentre mi illustra il progetto che sostituirà i vecchi padiglioni della Fiera di Milano. Cari vecchi padiglioni nati negli anni ’30, attorno a cui sono cresciute le speranze di tutto un popolo, gli stupori di milioni di visitatori di fronte a macchinari mai visti, a moto auto biciclette da sogno. Soprattutto, cara vecchia Fiera Campionaria. Non sai che cos’era? Una fiera in cui veniva esposto di tutto. Ma proprio di tutto, niente a che vedere con quelle di settore che sono arrivate dopo, come lo SMAU, il Salone del mobile, del ciclo e motociclo, che hanno esteso il periodo delle fiere a tutto l’anno, e così la relativa confusione. No. La Fiera Campionaria veniva una volta l’anno, in aprile, e durava una quindicina di giorni in cui pioveva sempre. I visitatori erano gente qualunque, eroi curiosi delle novità; compravano il biglietto giornaliero e per non ripagare non dovevano uscire più. L’eroe si faceva piuttosto passare i panini attraverso le sbarre dei cancelli; sembrava una scena da carcere, ma così la visita poteva proseguire per tutto il pomeriggio. A fine giornata suonava la sirena come in fabbrica e gli eroi si affrettavano verso l’uscita, con i piedi gonfi e la fame arretrata, ma felici. “Ma questo cos’è?” L’architetto di famiglia percorre i punti qualificanti del nuovo progetto, innanzi tutto i tre grattacieli definiti “sbiroli”, dedicati alle forze care agli ingegneri: compressione quello “normale”, flessione quello che sembra un cobra eretto e pronto a colpire, torsione quello avvitato su se stesso. Ma non basta, ci sono palazzi a torre di 80 metri, edifici residenziali da 15 o 18 piani. “Ma Milano non ha un piano regolatore?” domando ingenuamente. Non è una città dove i palazzi non superano gli otto piani? E la zona Fiera non è un quartiere con case ancora più basse, per non parlare delle villette? Non è più così: il Piano Integrato di Intervento ha sostituito il Piano Regolatore, superando così le regole generali. “Ma con edifici di quell’altezza gli abitanti di alcune zone adiacenti alla Fiera non vedranno più il sole!” insisto. Certo, risponde lei, e neanche il verde, perché ce n’è pochissimo e non è chiaro se sarà di uso pubblico o strettamente condominiale. Pensa che c’è talmente poco verde che quello viola davvero le regole generali; ma c’è il trucco: si può “restituire” in altre zone. Guardo il progetto smarrito mentre mia figlia me lo fa ruotare davanti agli occhi sul computer, vedo lunghe ombre che si proiettano sulla casa dove avevo abitato da piccolo, sottili strisce di alberi che non si sa come faranno a crescere in mezzo alla foresta di cemento che li sovrasta. Tranquilli, il verde ce lo restituiscono in altre zone, forse in campagna dove c’è già. Ma rimane il dubbio iniziale: “questo cos’è?”. L’oggetto misterioso è un edificio basso e tozzo, sovrastato da una cupola più o meno ellittica di non so quale materiale (vetro, metallo, plastica?). Sembra un grosso scarafaggio, oppure un tartarugone, in entrambi i casi destinato inevitabilmente a finire schiacciato, polverizzato dai giganti che lo affiancano. “Che cos’è questa cosa buffa?” insisto. “Ma…è quello che esiste già, come si chiama …il Palazzetto dello sport?” Macché Palazzetto! Quello allora è il vecchio, glorioso Palazzo dello Sport di piazza 6 Febbraio! Vuoi dire che resiste anche alla furia distruttrice di questi architetti? Non ci posso credere! Tu non sai che cos’è stato il vecchio Palasport per noi ragazzi della zona, per me che abitavo proprio di fronte. In quell’impianto si svolgevano le gare sportive più diverse, che esercitavano un fascino irresistibile su di noi; l’unico vero problema era come entrare. A volte riuscivamo ad infiltrarci senza pagare, verso la fine delle partite, altre ottenevamo dai genitori qualche soldo per il biglietto, di solito per gli avvenimenti pomeridiani che costavano di meno. Una volta dentro, guardavamo estasiati il Palasport trasformato in pista ciclistica, in parquet da sogno per il basket, in campo da tennis o di pattinaggio. La pista ciclistica veniva installata per la Sei giorni. Pensa, una gara in cui teoricamente i corridori gareggiavano per sei giorni e sei notti, dandosi solo il turno tra compagni di coppia. La pista non era regolamentare come quella del Vigorelli perché era troppo corta, ma a me piaceva per il legno chiaro e le curve rialzate ripidissime, da cui i ciclisti prendevano lo slancio per le volate. D’altra parte non si poteva usare il Vigorelli perché era all’aperto e la “Sei giorni di Milano” si svolgeva in inverno, come tutte le altre Sei giorni. Ma se la pista era la ghiottoneria da una volta l’anno, il basket era il pane quotidiano: ci giocava la grande Olimpia Borletti, la società con le mitiche scarpette rosse, la stessa che poi vinse tutto o quasi col nome Simmenthal. Ora si chiama Armani: potenza degli sponsor, i nomi cambiano ma per fortuna le società rimangono, l’Olimpia Milano, la Virtus Bologna e così via. Ho detto “pane quotidiano” e tu dirai “ma non giocavano una volta alla settimana?”. Certo, ma gli impianti sportivi non erano molti a Milano e l’Olimpia usava il Palasport anche per gli allenamenti. Perciò noi ragazzini andavamo a sbirciare gli assi del momento, Stefanini, Romanutti, Pieri e sopra tutti Riminucci, un biondino che veniva da Pesaro e aveva battuto il record assoluto con 77 punti segnati in una sola partita. Vedevamo anche ragazzi poco più grandi di noi che giocavano nelle squadre giovanili; anche loro là, sul parquet bellissimo del Palasport, con i tabelloni di cristallo e le retine perfette che facevano fluff tutte le volte che il pallone andava a segno. Sognavamo così di entrare un giorno nelle giovanili e fare fluff anche noi, o appoggiare il pallone al tabellone di cristallo che emetteva una vibrazione quasi musicale, invece del misero squek del legno cui eravamo abituati. Oltre al basket gravitavano sul Palazzo molti altri sport: il tennis, anche lui sul parquet –come si giocherà a tennis sul legno? Scivolerà via la palla, si bloccheranno le scarpette?- ma anche sport più strani e meno noti, ad esempio hai mai assistito ad una gara di ciclo-palla? Immagina una partita di polo a cavallo di biciclette, in cui i giocatori, come giocolieri, tirano la palla con la ruota anteriore. Poi ci fu il Mondiale di hockey a rotelle; l’Italia era fortissima e contendeva il titolo a Spagna e Portogallo, per cui non potevamo mancare né di pomeriggio né di sera, fino alla finale. Tanto costava poco. Insomma, per noi era una scatola magica contenente avvenimenti meravigliosi, e non appena le luci si accendevano su un nuovo evento cominciavamo a studiare come e quando entrare. Poi, quando le luci erano spente e l’impianto a riposo, la stradina antistante il Palasport diventava il nostro campo giochi: corse in bici (così mi ruppi il polso sinistro), olimpiadi di atletica, ma sopra tutto il tennis. “Il tennis? Il tennis nella stradina?” Ma non era come ora, non passava nessuno! E all’estremità sinistra del Palazzo c’era un muro contro cui si giocava a tennis. Credo ce ne sia uno uguale all’estremità destra, ma quello di sinistra era più vicino a casa! Contro il muro si scatenavano battaglie furi- bonde tra i due contendenti, ma sopra tutto si facevano i record, che consistevano nel ribattere la palla più volte possibile senza fare errori. “Ma quali errori, se non c’era la rete, il campo, niente?” La rete c’era…voglio dire che il muro aveva una serie di scanalature, smussi e spigoli che servivano magnificamente allo scopo, anche perché la prima fessura in basso era più o meno all’altezza della rete del tennis. Quelle più in alto, e questo era il bello, costituivano l’imprevisto, simulando la risposta anomala dell’avversario: la palla s’impennava oppure si schiacciava subito a terra, e tu dovevi precipi- tarti a riprenderla al primo rimbalzo, a rispondere, a far proseguire il gioco fino al nuovo record. Quanto ci siamo divertiti, con le nostre racchette di legno dalle corde un po’ sfondate, contro il muro del vecchio Palazzo dello Sport! Poi un giorno arrivò la notizia che erano stati ultimati i lavori di un nuovo Palazzo dello Sport: bellissimo, una specie di transatlantico ormeggiato vicino allo stadio di San Siro; così quello vecchio cadde in disuso. Si rinchiuse in un dignitoso silenzio assumendo l’aria corrucciata della tartaruga millenaria de “La storia infinita”. Ma nell’ombra tramava, oh come tramava, e produceva sortilegi. Tanto che dopo pochi anni i sortilegi ebbero effetto e il nuovo Palasport si piegò sotto il peso di una fantastica nevicata, la più intensa a memoria d’uomo. Il danno fu giudicato irrimediabile, e il nuovo Palazzo dovette essere raso al suolo con alcune cariche di tritolo: chi passò in quei momenti da piazza 6 febbraio giura di aver visto il tartarugone sobbalzare e abbozzare un sorriso ad ogni esplosione. Aveva vinto lui, ancora una volta; e ora sopravvive anche a questo nuovo progetto fiera! Complimenti, vecchio mio. Questo libretto è stato stampato nel mese di aprile 2010 in venti copie presso la Tipografia Compositori di Bologna Copia N. Copertina originale di .....................................................