S. ALFONSO M. DE’ LIGUORI
DEL GRAN MEZZO DELLA PREGHIERA
Per conseguire la salute eterna e tutte le grazie che desideriamo
Al Verbo Incarnato Gesù Cristo
diletto dall’eterno Padre benedetto del Signore, autore della vita, re della gloria, Salvatore
del mondo, aspettato dalle genti, desiderio dei colli eterni, Padre celeste, giudice
universale, mediatore tra Dio e gli uomini, maestro delle virtù, agnello senza macchia,
uomo dei dolori, sacerdote eterno e vittima d’amore, speranza dei peccatori, fonte delle
grazie, pastore buono, innamorato delle anime,
ALFONSO
peccatore quest’opera consacra
Dedica a Gesù ed a Maria
O Verbo Incarnato, voi avete dato il sangue e la vita per ottenere alle nostre preghiere
(come già avete promesso) tanto di valore, che impetrano quanto chiedono; e noi, oh
Dio! siamo così negligenti della nostra salute che neppure vogliamo domandare le grazie
che ci abbisognano per salvarci! Voi, con tal mezzo di pregare, ci avete data la chiave di
tutti i vostri divini tesori, e noi per non pregare vogliamo restare miseri quali siamo!
Deh, Signore, illuminateci e fateci conoscere quanto valgono appresso il vostro Eterno
Padre le suppliche fatte in nome di Voi e per i vostri meriti. Io vi consacro questo mio
libretto, beneditelo Voi, e fate che tutti quelli che l’avranno nelle mani s’invoglino a
sempre pregare, e si adoprino ad infiammare anche gli altri affinché si valgano di
questo gran mezzo della loro salute.
A Voi anche raccomando questa mia operetta, o gran madre di Dio Maria: Voi
proteggetela con ottenere a tutti coloro, che la leggeranno, lo spirito di pregare con
ricorrere sempre in tutti i loro bisogni al vostro Figlio, ed a Voi, che siete la dispensatrice
delle grazie, e siete la Madre della misericordia, che non sapete lasciare scontento alcuno
che a Voi si raccomanda, e siete all’incontro la Vergine potente, che ottenete da Dio ai
vostri servi, quanto chiedete.
INTRODUZIONE
Io ho dato alla luce diverse operette spirituali, ma stimo di non aver fatta opera più utile di
questo libretto, in cui parlo della preghiera, per essere ella un mezzo necessario e sicuro, al
fine di ottenere la salute, e tutte le grazie che per quella ci bisognano. Io non ho questa
possibilità, ma se potessi, vorrei di questo libretto stamparne molte copie, quanti sono tutti
i fedeli che vivono sulla terra, e dispensarle ad ognuno, affinché ognuno intendesse la
necessità, che abbiamo tutti di pregare per salvarci.
Dico ciò, perché vedo da una parte quest’assoluta necessità della preghiera, tanto per altro
inculcata da tutte le Sacre Scritture, e da tutti i Santi Padri; ed al contrario vedo, che i
cristiani poco attendono a praticare questo gran mezzo della loro salute. E quel che più mi
affligge, vedo che i predicatori e confessori poco attendono a parlarne ai loro uditori e
penitenti; e vedo che anche i libri spirituali, che oggidì corrono per le mani, neppure ne
parlano abbastanza. Mentre invece tutti i predicatori, confessori e tutti i libri, non
dovrebbero insinuare altra cosa con maggior premura e calore, che questa del pregare. Essi
infatti inculcano tanti buoni mezzi alle anime per conservarsi in grazia di Dio: la fuga delle
occasioni, la frequenza dei Sacramenti, la resistenza alle tentazioni, il sentir la divina
parola, il meditare le Massime eterne, ed altri mezzi (non lo nego) utilissimi: ma a che
servono, io dico, le prediche e meditazioni e tutti gli altri mezzi che danno i maestri
spirituali senza la preghiera, quando il Signore si è dichiarato che non vuol concedere le
grazie se non a chi prega? Chiedete ed otterrete (Gv 16,24). Senza la preghiera (parlando
secondo la Provvidenza ordinaria) resteranno inutili tutte le meditazioni fatte, tutti i nostri
propositi, e tutte le nostre promesse. Se non preghiamo saremo sempre infedeli a tutti i
lumi ricevuti da Dio, ed a tutte le promesse da noi fatte. La ragione sta qui: che a fare
attualmente il bene, a vincere le tentazioni, ad esercitare le virtù, insomma ad osservare i
divini precetti non bastano i lumi da noi ricevuti, e le considerazioni e i propositi da noi
fatti, ma vi è bisogno di una grazia attuale di Dio; e il Signore questo aiuto attuale (come
appresso vedremo) non lo concede, se non a chi prega. I lumi ricevuti, le considerazioni ed
i buoni propositi concepiti, servono a stimolarci a pregare nei pericoli e nelle tentazioni per
ottenere il divino soccorso, che ci preservi poi dal peccato. Ma se allora non preghiamo,
saremo perduti.
Ho voluto, lettore mio, premettere questo mio sentimento a tutto quello che appresso
scriverò, affinché ringraziate il Signore, che, per mezzo di questo mio libretto, vi dona la
grazia di riflettere maggiormente sull’importanza di questo gran mezzo della preghiera;
poiché tutti quelli che si salvano (parlando degli adulti), ordinariamente per questo unico
mezzo si salvano. E perciò dico, ringraziatene Dio; perché è una misericordia troppo
grande quella che Egli fa a coloro ai quali dà la luce e la grazia di pregare. Io spero che voi,
amato mio fratello, dopo aver letta questa breve operetta, non sarete più trascurato d’ora
innanzi a ricorrere sempre a Dio coll’orazione, quando sarete tentato ad offenderlo. Se mai
per il passato vi trovaste aggravata la coscienza di molti peccati, intendiate che questa n’è
stata la cagione: la trascuratezza di pregare e di cercare a Dio l’aiuto per resistere alle
tentazioni, che vi hanno assalito. Vi prego intanto di leggerlo e rileggerlo e con tutta
l’attenzione, non già perché è frutto del mio ingegno, ma perché egli è mezzo che il Signore
vi porge per bene della vostra eterna salute: dandovi con ciò ad intendere in modo
particolare, che vi vuol salvo. E dopo averlo letto; vi prego di farlo leggere ad altri (come
potrete) amici o paesani, con cui converserete. Or cominciamo in nome del Signore.
Scrisse l’Apostolo a Timoteo: Raccomando adunque prima di tutto, che si facciano
suppliche, orazioni, voti, ringraziamenti (1 Tm 2,1). Spiega l’Angelico san Tommaso (2,
2.ae, q. 83, art. 17), che l’orazione è propriamente il sollevare la mente a Dio. La
postulazione poi è propriamente la preghiera; la quale, quando la domanda contiene cose
determinate, come quando diciamo: Muoviti, o Dio, in mio soccorso... si chiama supplica.
La obsecrazione è una pia adiurazione, ossia contestazione, per impetrare la grazia, come
quando diciamo: Per la tua croce e passione, liberaci, o Signore. Finalmente l’azione di
grazie è il ringraziamento per i benefici ricevuti, col quale, dice san Tommaso, che noi
meritiamo di ricevere benefici maggiori: Rendendo grazie meritiamo beni maggiori.
L’orazione presa in particolare, dice il santo Dottore, significa il ricorso a Dio; ma presa in
generale, contiene tutte le altre parti di sopra nominate; e tale noi l’intenderemo
nominandola da qui in avanti col nome di orazione o di preghiera.
Per affezionarci poi a questo gran mezzo della nostra salute quale è la preghiera, bisogna
considerare, quanto sia ella a noi necessaria, e quanto valga ad ottenerci tutte le grazie che
da Dio desideriamo, se sappiamo domandarle come si deve. Quindi parleremo prima della
necessità e del valore della preghiera, e poi delle condizioni della medesima, affinché ella
riesca efficace appresso Dio.
CAPO I
DELLA NECESSITA’ DELLA PREGHIERA
I. - LA PREGHIERA E’ NECESSARIA ALLA SALUTE,
DI NECESSITA DI MEZZO.
Fu già errore dei pelagiani il dire, che l’orazione non è necessaria a conseguire la salute.
Diceva l’empio loro maestro Pelagio, che l’uomo in tanto solamente si perde, in quanto
trascura di riconoscere le verità necessarie a sapersi. Ma gran cosa! diceva Santo Agostino:
Pelagio d’ogni altra cosa voleva trattare, fuorché dell’orazione (De natura et orat. c. XVII),
ch’è l’unico mezzo, come teneva ed insegnava il santo, per acquistare la scienza dei santi,
secondo quel che scrisse già S. Giacomo: Se alcuno di voi è bisognoso di sapienza, la
chieda a Dio, che dà a tutti abbondantemente e non lo rimprovera, e gli sarà concesso
(Gc 1,5).
Sono troppo chiare le Scritture, che ci fan vedere la necessità che abbiamo di pregare, se
vogliamo salvarci. Bisogna sempre pregare, né mai stancarsi (Lc 18,1). Vegliate ed orate
per non cadere in tentazione (Mt 26,41). Chiedete ed otterrete (Mt 7,7). Le suddette parole
bisogna, chiedete, orate, come vogliono comunemente i teologi, significano ed importano
precetto e necessità. Vicleffo diceva, che questi testi s’intendevano non già dell’orazione,
ma solamente della necessità delle buone opere, sicché il pregare in suo senso non era altro
che il bene operare: ma questo fu suo errore e fu condannato espressamente dalla Chiesa.
Onde scrisse il dotto Leonardo Lessio, non potersi negare senza errare nella fede, che la
preghiera agli adulti è necessaria per salvarsi; constando evidentemente dalle Scritture,
essere l’orazione l’unico mezzo per conseguire gli aiuti necessari alla salute (De Iust. 1, 2,
c. 37, dub. 3, n. 9).
La ragione è chiara. Senza il soccorso della grazia, noi non possiamo fare alcun bene. Senza
di me non potete far nulla (Gv 15,5). Nota S. Agostino su queste parole, che Gesù Cristo
non disse: niente potete compire, ma niente potete fare. Per darci con ciò ad intendere il
nostro Salvatore, che noi senza la grazia, neppure possiamo cominciare a fare il bene. Anzi
scrisse l’Apostolo: Da per noi neppure possiamo avere desiderio di farlo (2 Cr 3,5). Se
dunque non possiamo neanche pensare al bene, tanto meno possiamo desiderarlo. Lo
stesso ci significano tante altre Scritture. Lo stesso Dio è quegli che fa in tutti tutte le cose
(1 Cr 12,6). Farò che camminiate nei miei precetti, ed osserviate le mie leggi, e le
pratichiate (Ez 36,27). In modo che, siccome scrisse san Leone I: Noi non facciamo alcun
bene, fuori di quello che Dio con la sua grazia ci fa operare. Onde il Concilio di Trento
nella Sess. 6, can. 3, disse: Se alcuno avrà detto, che senza una preventiva ispirazione, ed
aiuto dello Spirito Santo, l’uomo può credere, sperare, amare o pentirsi, come bisogna,
per ottenere la grazia della giustificazione, sia scomunicato (Sess. 6, can. 3).
L’autore dell’Opera imperfetta, parlando dei bruti ci dice che il Signore altri ha provveduto
di corso, altri di unghie, altri di penne, affinché possano così conservare il loro essere; ma
l’uomo poi l’ha formato in tal stato, che esso solo, Dio, fosse tutta la di lui virtù (Hom. 18).
Sicché l’uomo è affatto impotente a procurarsi la sua salute, poiché ha voluto Iddio, che
quanto ha, e può avere, tutto lo riceva dal solo aiuto della sua grazia.
Ma questo aiuto della grazia, il Signore per provvidenza ordinaria, non lo concede se non a
chi prega, secondo la celebre sentenza di Gennadio: Crediamo che niuno giunga a salute,
se Dio non lo invita; niuno invitato operi la salute, se non è da Dio aiutato; niuno meriti
aiuto, se non per mezzo della preghiera (De Eccl. dogm. cap. 26). Posto dunque da una
parte, che senza il soccorso della grazia niente noi possiamo; e posto dall’altra che tale
soccorso ordinariamente non si dona da Dio se non a chi prega, chi non vede dedursi per
conseguenza, che la preghiera ci è assolutamente necessaria alla salute? E’ vero che le
prime grazie, le quali vengono a noi senza alcuna nostra cooperazione, come sono la
vocazione alla fede, alla penitenza, dice S. Agostino, che Dio le concede anche a coloro che
non pregano; tuttavia il santo tiene poi per certo che le altre grazie (e specialmente il dono
della perseveranza) non si concedono se non a chi prega (De Dono pers. c. 16).
Ond’è che i teologi comunemente con san Basilio, san Giovanni Crisostomo, Clemente
Alessandrino, ed altri col medesimo S. Agostino, insegnano che la preghiera agli adulti è
necessaria non solo di necessità di precetto, come abbiamo veduto, ma anche di mezzo.
Vale a dire che di provvidenza ordinaria, un fedele senza raccomandarsi a Dio, con
cercargli le grazie necessarie alla salute, è impossibile che si salvi. Lo stesso insegna san
Tommaso dicendo: Dopo il battesimo poi è necessaria all’uomo una continua orazione,
affine di entrare in cielo; poiché quantunque per mezzo del battesimo si rimettano i
peccati, ciò nondimeno rimane il fomite del peccato che ci fa guerra internamente e il
mondo e i demoni, che ci guerreggiano esternamente (3 p. q. 39, art. 5). La ragione
dunque, che ci fa certi, secondo l’Angelico, della necessità che abbiamo della preghiera,
eccola in breve: Noi per salvarci dobbiamo combattere e vincere: Colui che combatte
nell’agone non è coronato, se non ha combattuto secondo le leggi (1 Tm 2,5). All’incontro
senza l’aiuto divino non possiamo resistere alle forze di tanti e tali nemici: or questo aiuto
divino solo per l’orazione si concede; dunque senza orazione non v’è salute.
Che poi l’orazione sia l’unico ordinario mezzo per ricevere i divini doni, lo conferma più
distintamente il medesimo santo dottore in altro luogo dicendo che il Signore tutte le
grazie che ab aeterno ha determinato di donare a noi, vuol donarcele non per altro mezzo
che per l’orazione (2, 2.ae, q. 83, 2). E lo stesso scrisse S. Gregorio: Gli uomini pregando
meritano di ricevere ciò che Dio avanti i secoli dispone loro di dare (Lib. i. Dial. cap. 8).
Non già, dice S. Tommaso, è necessario di pregare, affinché Iddio intenda i nostri bisogni,
ma affinché noi intendiamo la necessità, che abbiamo di ricorrere a Dio, per ricevere i
soccorsi opportuni per salvarci, e con ciò riconoscerlo per unico autore di tutti i nostri beni
(Ibid. ad 1 et 2). Siccome dunque ha stabilito il Signore che noi fossimo provveduti di pane
col seminare il grano, e del vino col piantare le viti; così ha voluto che riceviamo le grazie
necessarie i alla salute per mezzo della preghiera, dicendo: "Chiedete ed otterrete, cercate,
e troverete" (Matth. 7,7).
Noi insomma, altro non siamo che poveri mendicanti, i quali tanto abbiamo, quanto ci
dona Dio per elemosina. Io per me sono mendico e senza aiuto (Ps. 39,18). Il Signore, dice
S. Agostino, bene desidera e vuole dispensare le sue grazie, ma non vuol dispensarle se non
a chi le domanda (In Ps. 102). Egli si protesta con dire: Chiedete ed otterrete. Cercate, e vi
sarà dato; dunque dice santa Teresa, chi non cerca, non riceve. Siccome l’umore è
necessario alle piante per vivere e non seccare, così dice il Crisostomo, è necessaria a noi
l’orazione per salvarci. In altro luogo, dice il medesimo santo, che: siccome il corpo senza
dell’anima non può vivere, così l’anima senza l’orazione è morta, e manda cattivo odore
(De or. D. l. i.). Dice, manda cattivo odore, perché chi lascia di raccomandarsi a Dio, subito
comincia a puzzare di peccati. Si chiama anche l’orazione cibo dell’anima perché senza
cibo non può sostentarsi il corpo, e senza l’orazione, dice S. Agostino, non può
conservarsi in vita l’anima (De sal. doc. c. 28). Tutte queste similitudini che adducono
questi santi Padri, denotano l’assoluta necessità, ch’essi insegnano d’esservi in pregare per
conseguire la salute.
II. - SENZA LA PREGHIERA E’ IMPOSSIBILE RESISTERE ALLE TENTAZIONI
E PRATICARE I COMANDAMENTI.
L’orazione inoltre è l’arma più necessaria per difenderci dai nemici: chi di questa non
s’avvale, dice S. Tommaso, è perduto. Non dubita il Santo di ritenere che Adamo cadde
perché non si raccomandò a Dio allora che fu tentato (P. I. q. 94, a. 4). E lo stesso scrisse S.
Gelasio parlando degli angeli ribelli: Che cioè ricevendo invano la grazia di Dio, senza
pregare non seppero rimanere fedeli (Epist. adversus Pelag. haeret.). San Carlo
Borromeo in una lettera Pastorale (Litt. pastor. De or. in com.) avverte, che tra tutti i mezzi
che Gesù Cristo ci ha raccomandati nel Vangelo, ha dato il primo luogo alla preghiera: ed
in ciò ha voluto che si distinguesse la sua Chiesa e Religione dalle altre sette, volendo che
ella si chiamasse specialmente casa d’orazione. La casa mia sarà chiamata casa
d’orazione (Mt 21,13).
Conclude S. Carlo nella suddetta lettera, che la preghiera è il principio, il progresso e il
complemento di tutte le virtù. Sicché nelle tenebre, nelle miserie e nei pericoli, in cui ci
troviamo (diceva re Giosafat) non abbiamo in che altro fondare le nostre speranze, che in
sollevare gli occhi a Dio e dalla sua misericordia impetrare colle preghiere la nostra
salvezza (2 Cron 20,12). E così anche praticava Davide; non trovando altro mezzo per non
esser preda dei nemici, che pregare continuamente il Signore a liberarlo dalle loro insidie:
Gli occhi miei sono sempre rivolti al Signore perché Egli trarrà dal laccio i miei piedi (Sal
24,15). Sicché altro egli non faceva che pregare dicendo: A me volgi il tuo sguardo, e abbi
pietà di me, perché io son solo e son povero (Ibid. 24,16). Gridai a te: dammi salute
affinché osservi i tuoi precetti (Sal 118,146). Signore, volgete a me gli occhi, abbiate pietà
di me, e salvatemi: mentre io non posso niente, e fuori di Voi non ho chi possa aiutarmi.
Ed infatti come potremmo noi resistere alle forze dei nostri nemici, ed osservare i divini
precetti, specialmente dopo il peccato di Adamo, che ci ha resi così deboli ed infermi, se
non avessimo il mezzo dell’orazione, per cui possiamo già dal Signore impetrare la luce e la
forza bastante per osservarli? Fu già bestemmia quella che disse Lutero, cioè che dopo il
peccato di Adamo sia assolutamente impossibile agli uomini l’osservanza della divina
legge. Giansenio ancora disse che alcuni precetti ai giusti erano impossibili secondo le
presenti forze che hanno. E sin qui la sua proposizione avrebbe potuto spiegarsi in buon
senso; ma ella fu giustamente condannata dalla Chiesa per quello che poi vi aggiunse,
dicendo che mancava ancora la grazia divina a renderli possibili. E’ vero, dice S. Agostino,
che l’uomo per la sua debolezza non può già adempiere alcuni precetti con le presenti forze
e con la grazia ordinaria, ossia comune a tutti; ma ben può con la preghiera ottenere l’aiuto
maggiore, che vi bisogna per osservarli: Iddio non comanda cose impossibili, ma nel
comandare ti avvisa di fare quel che puoi, e chiedere quel che non puoi, ed aiuta affinché
tu lo possa (De nat. et grat. cap. XLIII). E’ celebre questo testo del Santo, che poi fu
adottato e fatto dogma di fede dal Concilio di Trento (Sess. VI, cap. II). Ed ivi
immediatamente soggiunse il santo Dottore: Vediamo in che modo... (cioè, come l’uomo
può fare quel che non può). Per mezzo della medicina potrà quello che non può per la sua
infermità (Ibid. cap. LXIX). E vuol dire che con la preghiera otteniamo il rimedio alla
nostra debolezza; poiché pregando noi, Iddio ci dona la forza a far quel che noi non
possiamo.
Non possiamo già credere, segue a parlare S. Agostino, che il Signore, abbia voluto imporci
l’osservanza della legge, e che poi ci abbia imposto una legge impossibile; e perciò dice il
Santo, che allorché Dio ci fa conoscere impotenti ad osservare tutti i suoi precetti, egli ci
ammonisce a far le cose difficili con l’aiuto maggiore che possiamo impetrare per mezzo
della preghiera (Sess. VI, cap. LXIX). Ma perché, dirà taluno, ci ha comandato Dio cose
impossibili alle nostre forze? Appunto per questo, dice il Santo, affinché noi attendiamo ad
ottenere con l’orazione l’aiuto per fare ciò che non possiamo (De gr. et lib. arb. c. 16). E in
altro luogo: La legge fu data affinché domandassimo la grazia; la grazia fu donata,
affinché fosse adempita la legge (De sp. et lit. c. 19). La legge non può osservarsi senza la
grazia; e Dio a questo fine ha dato la legge, affinché noi sempre lo supplicassimo a donarci
la grazia per osservarla. In altro luogo dice: La legge è buona per chi ne usa
legittimamente. Che vuol dire dunque servirsi legittimamente della legge? (Serm. 156).
E risponde: riconoscere per mezzo della legge la propria infermità e domandare il divino
aiuto onde conseguire la salute (Serm. 156). Dice dunque S. Agostino, che noi dobbiamo
servirci della legge, ma a che cosa? a conoscere per mezzo della legge (a noi impossibile) la
nostra impotenza ad osservarla, affinché poi impetriamo, col pregare, l’aiuto divino che
sana la nostra debolezza.
Lo stesso scrisse S. Bernardo, dicendo: Chi siamo noi, e qual è la nostra forza che
possiamo resistere a tante tentazioni? Questo certamente ricercava Iddio che, vedendo
noi la nostra debolezza, e che non abbiamo in pronto altro aiuto, ricorressimo con tutta
umiltà alla sua misericordia (Serm. v. De Quadrag.). Conosce il Signore, quanto utile sia
a noi la necessità di pregare, per conservarci umili e per esercitarci alla confidenza: e
perciò permette che ci assaltino nemici insuperabili dalle nostre forze, affinché noi con la
preghiera otteniamo dalla sua misericordia l’aiuto a resistere.
Specialmente, si avverta che niuno può resistere alle tentazioni impure della carne, se non
si raccomanda a Dio quando è tentato. Questa nemica è sì terribile, che quando ci
combatte, quasi ci toglie ogni luce: ci fa scordare di tutte le meditazioni e buoni propositi
fatti e ci fa vilipendere ancora le verità della fede, quasi perdere anche il timore dei castighi
divini: poiché ella si congiura con l’inclinazione naturale, che con somma violenza ne
spinge ai piaceri sensuali. Chi allora non ricorre a Dio, è perduto. L’unica difesa contro
questa tentazione è la preghiera; dice S. Gregorio Nisseno: L’orazione è il presidio della
pudicizia (De or. Dom. I.). E lo disse prima Salomone: ‘Tosto ch’io seppi come non poteva
essere continente se Dio non mel concedeva, io mi presentai al Signore, e lo pregai" (Sap
8,21). La castità è una virtù che non abbiamo forza di osservare se Dio non ce la concede, e
Dio non concede questa forza, se non a chi la domanda. Ma chi la domanda certamente
l’otterrà.
Pertanto dice S. Tommaso contro Giansenio, che non dobbiamo dire essere a noi
impossibile il precetto, poiché quantunque non possiamo noi osservarlo con le nostre
forze, lo possiamo nondimeno con l’aiuto divino (1, 2, q. 109, a. 4, ad 2). Né dicasi, che
sembra un’ingiustizia il comandare ad uno zoppo che cammini diritto; no, dice S.
Agostino, non è ingiustizia, sempre che gli sia dato il modo di trovare rimedio al suo
difetto; onde se egli poi segue a zoppicare, la colpa è sua (De perfect. iust. c. III).
Insomma, dice lo stesso santo Dottore, che non saprà mai vivere bene chi non saprà ben
pregare (S. 55. in app.). Ed all’incontro, dice S. Francesco d’Assisi, che senza orazione non
può sperarsi mai alcun buon frutto in un’anima. A torto dunque si scusano quei peccatori
che dicono di non aver forza di resistere alla tentazione. Ma se voi, li rimprovera S.
Giacomo, non avete questa forza, perché non la domandate? Voi non l’avete, perché non la
cercate (Gc 4,2). Non vi è dubbio, che noi siamo troppo deboli per resistere agli assalti dei
nostri nemici, ma è certo ancora, che Dio è fedele, come dice l’Apostolo, e non permette
che noi siamo tentati oltre le nostre forze: "Ma fedele è Dio, il quale non permetterà che
voi siate tentati oltre il vostro potere, ma darà con la tentazione il profitto, affinché
possiate sostenere" (1 Cr 10,13). Commenta Primasio: Con l’aiuto della grazia farà
provenire questo, che possiate sopportare la tentazione. Noi siamo deboli, ma Iddio è
forte: quando noi gli domandiamo l’aiuto, allora egli ci comunica la sua fortezza, e potremo
tutto, come giustamente vi prometteva lo stesso Apostolo dicendo: "Tutte le cose mi sono
possibili in Colui che è mio conforto" (Fil 4,13). Non ha scusa dunque, dice S. Giovanni
Crisostomo, chi cade perché trascura di pregare, poiché se avesse pregato, non sarebbe
restato vinto dai nemici (Serm. De Moyse).
III. - DELLA INVOCAZIONE DEI SANTI.
E’ utile ricorrere alla intercessione dei Santi?
Qui cade poi il dubbio, se sia necessario il ricorrere ancora all’intercessione dei Santi, per
ottenere le divine grazie. In quanto al dire che sia cosa lecita ed utile l’invocare i Santi,
come intercessori ad impetrarci per i meriti di Gesù Cristo, quel che noi per nostri demeriti
non siamo degni di ottenere; questa è dottrina già della Chiesa, come ha dichiarato il
Concilio di Trento (In Decr. de invoc. Ss.).
Tale invocazione era condannata dall’empio Calvino, ma troppo ingiustamente. Se è lecito
e profittevole l’invocare in nostro soccorso i santi viventi, e pregarli che ci assistano con le
loro azioni, come faceva il profeta Baruch che diceva: E per noi pure pregate il Dio
nostro... (Bar 1,13). E S. Paolo: ‘"Fratelli, pregate per noi" (1 Ts 1,25). E Dio medesimo
volle, che gli amici di Giobbe si raccomandassero alle di lui orazioni, acciocché per i meriti
di Giobbe egli li favorisse: Andate a trovare Giobbe mio servo... e Giobbe mio servo farà
orazioni per voi, e in grazia di lui non sarà imputata in voi la vostra stoltezza (Gb 42,8).
Se è lecito dunque raccomandarsi ai vivi, perché non ha da esser lecito l’invocare i Santi,
che in cielo più da vicino godono Dio? Ciò non è derogare all’onore che a Dio si deve, ma
duplicarlo, com’è l’onorare il re non solo nella sua persona, ma ancora nei suoi servi. Che
perciò dice S. Tommaso, essere bene che si ricorra a molti Santi, perché con le orazioni di
molti alle volte si ottiene ciò che non si consegue per l’orazione di un solo. Che se poi
dicesse taluno: ma che serve ricorrere ai Santi affinché preghino per noi, quando essi già
pregano per tutti coloro che ne sono degni? Risponde lo stesso santo Dottore, che alcuno
non sarebbe già degno che i Santi preghino per lui, ma ne è appunto fatto degno, perché
ricorre con devozione al Santo medesimo (In 4 Sent. d. 45, q. 3 a. S.).
E’ conveniente ricorrere alle anime del Purgatorio?
Si controverte poi, se giovi il raccomandarsi alle anime del Purgatorio. Alcuni dicono che le
anime purganti non possono pregare per noi, indotti dell’autorità di S. Tommaso, il quale
dice che quelle anime stando a purgarsi tra le pene, sono a noi inferiori, e perciò, non sono
in stato di pregare, ma bensì che si preghi per esse (2, 2.ae, q. 83, a. 2). Ma molti altri
Dottori, come il Bellarmino, Silvio, il Cardinale Gotti ecc., molto probabilmente
l’affermano, dovendosi piamente credere, che Dio manifesta loro le nostre orazioni,
affinché quelle sante anime preghino per noi, e così tra noi e loro si conservi questo bel
commercio di carità, cioè che noi preghiamo per esse, ed esse per noi. Né osta, come
dicono Silvio e Gotti, quel che ha detto l’Angelico, di non essere le anime purganti in stato
di pregare: perché altro è il non essere in stato di pregare, altro il non poter pregare. E’
vero, che quelle anime sante non sono in stato di pregare, perché, come dice S. Tommaso,
stando a patire sono inferiori a noi, e più presto bisognose delle nostre orazioni;
nulladimeno in tale stato ben possono pregare, perché sono anime amiche di Dio. Se mai
un padre ama teneramente un figlio, ma lo tiene carcerato, affine di punirlo di qualche
difetto commesso, il figlio allora non è in stato di pregare per sé, ma perché egli non può
pregare per gli altri? E non sperare di ottenere ciò che chiede, sapendo l’affetto che gli
porta il padre? Così essendo le anime del Purgatorio molto amate da Dio, e confermate in
grazia, non v’è impedimento che possa loro vietare di pregarlo per noi. La Chiesa per altro
non suole invocarle, ed implorare la loro intercessione, perché ordinariamente esse non
conoscono le nostre orazioni. Ma piamente si crede, come si è detto, che il Signore faccia
loro note le nostre preghiere, ed allora esse che sono piene di carità, non lasciano
certamente di pregare per noi. Santa Caterina di Bologna, quando desiderava qualche
grazia, ricorreva alle anime del Purgatorio, e ben presto si vedeva esaudita. Anzi attestava,
che molte grazie che non aveva ottenute per intercessione dei Santi, le aveva poi conseguite
per mezzo delle anime del Purgatorio.
Dell’obbligo di pregare per le anime del Purgatorio
Ma qui mi si permetta di fare una digressione a beneficio di quelle sante anime! Se
vogliamo noi il soccorso delle loro orazioni, è bene che ancora noi attendiamo a soccorrerle
con le nostre orazioni ed opere. Dissi, è bene, ma anche deve dirsi essere questo uno dei
doveri cristiani, poiché richiede la carità, che noi sovveniamo il prossimo quando il
prossimo sta in necessità del nostro aiuto, e noi possiamo aiutarlo senza grave incomodo.
Or è certo che i nostri prossimi sono ancora le anime del Purgatorio, le quali benché non
siano più in questa vita, nulladimeno non lasciano d’essere nella comunione dei Santi, dice
S. Agostino. E più distintamente lo dichiara S. Tommaso a nostro proposito, dicendo che la
carità dovuta verso i defunti, i quali sono passati all’altra vita in grazia, è un’estensione di
quella stessa carità, che dobbiamo verso i nostri prossimi viventi (In Ps. 37). Ond’è che noi
dobbiamo soccorrere secondo possiamo quelle sante anime come nostri prossimi. Ed
essendo le loro necessità maggiori di quelle degli altri prossimi, maggiore ancora per
questo riguardo par che sia il nostro dovere di sovvenirle.
Ora in quali necessità si ritrovano quelle sante prigioniere? E’ certo, che le loro pene sono
immense. Il fuoco che le cruccia, dice S. Agostino, è più tormentoso di qualunque pena,
che possa affliggere l’uomo in questa vita (In 4 Sent. d. 45, q. 2, s. 2). E lo stesso stima S.
Tommaso, aggiungendo essere quello il medesimo fuoco dell’inferno. E ciò è in quanto alla
pena del senso, ma assai più grande è poi la pena del danno, cioè la privazione di Dio, che
affligge quelle sue sante spose; mentre quelle anime, non solo dal naturale, ma anche dal
soprannaturale amore, di cui ardono verso Dio, sono tirate con tal impeto ad unirsi col loro
Bene, che vedendosi poi impedite dalle loro colpe, provano una pena sì acerba che se esse
fossero capaci di morte, morirebbero in ogni momento. Sicché, secondo dice il Crisostomo,
questa pena della privazione di Dio tormenta immensamente più che la pena del senso.
Ond’è che quelle sante spose vorrebbero patire tutte le altre pene, anziché esser private
d’un sol momento di quella sospirata unione con Dio. Dice pertanto il maestro Angelico,
che la pena del Purgatorio eccede ogni dolore che può patirsi in questa vita. E riferisce
Dionisio Cartusiano, che un certo defunto, poi risorto per intercessione di S. Girolamo,
disse a S. Cirillo Gerosolimitano, che tutti i tormenti di questa terra sono sollievi e delizie a
rispetto della minor pena, che v’è nel Purgatorio. E soggiunse, che se un uomo avesse
provato quelle pene, vorrebbe più presto soffrire tutti i dolori di questa vita che hanno
patito gli uomini fino al giorno del giudizio, che patire per un giorno solo la minor pena del
Purgatorio. Onde scrisse il nominato S. Cirillo, che quelle pene, in quanto all’asprezza,
sono le stesse che quelle dell’Inferno; in questo solo differiscono, che non sono eterne.
Le pene dunque di quelle anime sono troppo grandi; dall’altra parte non possono aiutarsi
da sé; esse, secondo quel che dice Giobbe, sono in catena ed annodate dai lacci di povertà
(Gb 36,8). Sono già destinate al regno quelle sante regine, ma sono trattenute sin tanto che
non giunge il termine della loro purga; sicché non possono aiutarsi (almeno a sufficienza,
se vogliamo credere a quei Dottori, i quali vogliono che quelle anime ben possano anche
con le loro orazioni impetrare qualche sollievo) per sciogliersi da quelle catene, finché non
soddisfano interamente la divina giustizia. Così appunto disse dal Purgatorio un monaco
Cistercense al sacrestano del suo monastero: Aiutatemi, vi prego, con le vostre orazioni,
perché io da per me niente posso ottenere. E ciò è secondo quel che dice S. Bonaventura,
cioè che quelle anime sono sì povere, che non hanno come soddisfare.
All’incontro essendo certo, anzi di fede, che noi possiamo coi nostri suffragi, e
principalmente con le orazioni approvate od anche praticate dalla Chiesa, sollevare quelle
sante anime; io non so come possa essere scusato da colpa, chi trascura di porgere loro
qualche aiuto, almeno con le sue orazioni. Ci muova almeno a soccorrerle, se non ci muove
il dovere, il gusto che si dà a Gesù Cristo, in vedere che noi ci applichiamo a sprigionare
quelle sue dilette spose, acciocché le abbia seco in Paradiso. Ci muova almeno finalmente
l’acquisto dei gran meriti che possiamo fare, con usare questo grande atto di carità verso di
quelle sante anime, le quali all’incontro sono gratissime, e ben conoscono il gran beneficio
che noi loro facciamo, sollevandole da quelle pene, e ottenendo con le nostre orazioni
l’anticipo della loro entrata alla gloria; onde non lasceranno, allorché elle saranno ivi
giunte, di pregare per noi. E se il Signore promette la sua misericordia a chi usa
misericordia al suo prossimo: beati i misericordiosi, perché questi troveranno
misericordia (Mt 5,7), con molta ragione può sperare la sua salute chi attende a sovvenire
quelle sante anime così afflitte, e così care a Dio. Gionata, dopo aver procurata la salute
degli Ebrei con la vittoria che ottenne dei nemici, fu condannato a morte da Saul suo padre
per essersi cibato del miele, contro l’ordine da lui dato. Ma il popolo si presentò al re, e
disse: E dovrà adunque morire Gionata, il quale ha salvato Israele (1 Re 14,45). Or così
appunto dobbiamo sperare che se mai alcuno di noi ottiene con le sue orazioni, che
un’anima esca dal Purgatorio e vada in Paradiso, quell’anima dirà a Dio: Signore, non
permettere che si perda colui che mi ha liberato dalle pene. E se Saul concesse la vita a
Gionata per le suppliche del popolo, non negherà Iddio la salute eterna a quel fedele per le
preghiere di un’anima che gli è sposa. Inoltre, dice S. Agostino, che coloro che in questa
vita avranno più soccorso quelle sante anime, nell’altra, stando nel Purgatorio, farà Dio che
siano più soccorsi degli altri.
Si avverta che il più gran suffragio per le anime purganti è il sentir la Messa per esse, ed in
quella raccomandarle a Dio per i meriti della Passione di Gesù Cristo, dicendo così: Eterno
Padre, io vi offro questo sacrificio del Corpo e Sangue di Gesù Cristo, con tutti i dolori
ch’egli patì nella sua vita e morte; e per i meriti della sua Passione vi raccomando le anime
del Purgatorio e specialmente... ecc. Ed è atto di molta carità raccomandare nello stesso
tempo anche le anime di tutti gli agonizzanti.
L’invocazione dei Santi è necessaria
Quanto si è detto delle anime purganti circa il punto, se esse possono o no pregare per noi,
e se pertanto a noi giovi o no il raccomandarci alle loro orazioni, non corre certamente a
rispetto dei Santi. Poiché in quanto ai Santi non può dubitarsi essere utilissimo il ricorrere
alla loro intercessione, parlando dei Santi già canonizzati dalla Chiesa, che già godono la
vista di Dio. Nel che il credere fallibile la Chiesa, non può scusarsi da colpa o da eresia,
come vogliono S. Bonaventura, il Bellarmino, ed altri, o almeno prossima all’eresia, come
tengono il Suarez, l’Azorio, il Gotti ecc., poiché il sommo Pontefice nel canonizzare i Santi,
principalmente come insegna l’Angelico (Quodlib. 9, art. 16, ad. l), è guidato dall’istinto
infallibile dello Spirito Santo.
Ma ritorniamo al dubbio di sopra proposto, se vi sia anche obbligo di ricorrere
all’intercessione dei Santi. lo non voglio entrare a decidere questo punto, ma non posso
lasciare di esporre una dottrina dell’Angelico. Egli primieramente in più luoghi rapportati
di sopra, e specialmente nel libro delle Sentenze, suppone per certo esser tenuto ciascuno a
pregare; poiché in altro modo non possono, come asserisce, ottenersi da Dio le grazie
necessarie alla salute, se non si domandano (in 4 sent. d. 15, q. 4, a. l). In altro luogo poi
dello stesso libro, il Santo propone appunto il dubbio: Se dobbiamo pregare i Santi,
affinché interpellino per noi (in 4 sent. dist. q. 3, a. 2). E risponde così (per far bene capire
il sentimento del santo bisogna riferire l’intero suo testo): E’ l’ordine divinamente istituito
nelle cose (secondo Dionisio), che per via dei mezzi ultimi si riconducano a Dio.
E però i Santi che sono nella Patria, essendo vicinissimi a Dio, l’ordine della divina legge
richiede questo, che noi, i quali rimanendo nel corpo pellegriniamo lungi dal Signore,
veniamo ricondotti a Lui per la mediazione dei Santi. Il che appunto avviene, quando per
mezzo di essi la divina bontà diffonde gli effetti suoi. E perché il nostro ritorno a Dio deve
corrispondere al procedimento della bontà di lui verso di noi; (Siccome i benefici di Dio
ci provengono mediante i suffragi dei Santi), così fa d’uopo che noi siamo ricondotti a Dio,
affinché di nuovo riceviamo i benefici di Lui per la mediazione dei Santi. E quindi è che
noi li stabiliamo nostri intercessori appresso Dio e quasi mediatori quando loro
domandiamo che preghino per noi.
Si notino quelle parole: l’ordine della divina legge richiede questo; e specialmente poi si
notino le ultime: siccome per intercessione dei Santi provengono in noi i benefici del
Signore; così fa d’uopo che noi ci riconduciamo a Dio affinché dì nuovo riceviamo benefici
per la mediazione dei Santi.
Sicché secondo S. Tommaso, l’ordine della divina legge richiede, che noi mortali per mezzo
dei Santi ci salviamo, col ricevere per mezzo loro gli aiuti necessari alla salute. Ed
all’opposizione che si fa l’Angelico, cioè: che par superfluo ricorrere ai Santi, mentre Iddio
è infinitamente più di loro misericordioso e propenso ad esaudirci, risponde, che ciò ha
disposto il Signore, non già per difetto della sua clemenza, ma per conservare l’ordine
retto, ed universalmente stabilito di operare per mezzo delle cause seconde.
E secondo quest’autorità di S. Tommaso, scrive il continuatore di Tournely con Silvio, che
sebbene solo Dio deve pregarsi come autore delle grazie, nulladimeno noi siamo tenuti di
ricorrere anche all’intercessione dei Santi, per osservare l’ordine che circa la nostra salute
il Signore ha stabilito, cioè che gl’inferiori si salvino implorando aiuto dai superiori.
Della intercessione della Madonna
E se così corre parlando dei Santi, similmente deve dirsi dell’intercessione della divina
Madre, le cui preghiere appresso Dio valgono certamente più che quelle di tutto il
Paradiso. Dice infatti S. Tommaso, che i Santi a proporzione del merito con cui si
guadagnarono le grazie, possono salvare molti altri; ma Gesù Cristo e Maria SS. si sono
meritati tanta grazia, che possono salvare tutti gli uomini (Expos. in salut. Ang.). E S.
Bernardo parlando di Maria SS. scrisse: Per te abbiamo accesso al Figlio, o inventrice di
grazia, madre di salute, affinché per tuo mezzo ci riceva Colui, che per tuo mezzo fu dato
a noi (In adv. Dom. 1, 2). Col che volle dire: siccome noi non abbiamo l’accesso al Padre se
non per mezzo del Figlio che è mediatore di giustizia; così non abbiamo l’accesso al Figlio
se non per mezzo della Madre, ch’è mediatrice di grazia, e che ci ottiene con la sua
intercessione i beni che Gesù Cristo ci ha meritati.
E in conseguenza di ciò il medesimo S. Bernardo in altro luogo dice, che Maria ha ricevuto
da Dio due pienezze di grazia. La prima è stata l’Incarnazione nel suo seno del Verbo
eterno fatto Uomo. La seconda è stata la pienezza delle grazie, che per mezzo delle
preghiere d’essa divina Madre noi riceviamo da Dio. Quindi soggiunse il Santo: Iddio pose
in Maria la pienezza di ogni bene in guisa che se in noi è qualche speranza, qualche
grazia’ qualche salute, riconosciamo ridondare da Lei, che ascende dal deserto ricolma
di delizie. Orto di delizie, affinché d’ogni parte si spargano e si dilatino gli aromi di Lei, i
carismi, cioè, delle grazie (Serm. De Aquaed.).
Sicché quanto noi abbiamo di bene dal Signore, tutto lo riceviamo per mezzo
dell’intercessione di Maria. E perché mai ciò? perché (risponde lo stesso S. Bernardo) così
vuole Dio. Ma la ragione più specifica si ricava da ciò che dice S. Agostino. Egli scrisse, che
Maria giustamente si dice nostra madre, perché ella ha cooperato con la sua carità,
affinché nascessimo alla vita della grazia nei fedeli, come membri del nostro capo Gesù
Cristo (De S. Virginit. e. 6). Ond’è che siccome Maria ha cooperato con la sua carità alla
nascita spirituale dei fedeli, così vuole Dio, ch’ella cooperi anche alla sua intercessione a
far loro conseguire la vita della grazia in questo mondo, e la vita della gloria nell’altro. E
perciò la Santa Chiesa ce la fa chiamare e salutare con termini assoluti: la vita, la dolcezza,
e la speranza nostra.
Quindi S. Bernardo ci esorta di ricorrere sempre a questa divina Madre, perché le sue
preghiere sono certamente esaudite dal Figlio: Fa’ ricorso a Maria; lo dico francamente,
certo il Figlio esaudirà la Madre. E poi soggiunse: Questa, o figlioli, è la scala dei
peccatori, questa la mia massima fiducia, questa tutta la ragione di mia speranza (Serm.
De Aquaed.). La chiama scala il Santo, perché siccome nella scala non si ascende al terzo
gradino, se prima non si mette il piede al secondo; e non si giunge al secondo, se non si
mette piede al primo, così non si giunge a Dio che per mezzo di Gesù Cristo, e non si
giunge a Gesù Cristo che per mezzo di Maria. La chiama poi la massima sua fiducia, e tutta
la ragione di sua speranza, perché Iddio, come suppone, tutte le grazie che a noi dispensa,
vuol che passino per mano di Maria. E conclude finalmente dicendo, che tutte le grazie che
desideriamo, dobbiamo domandarle per mezzo di Maria, perché ella ottiene quando cerca,
e le sue preghiere non possono essere respinte.
E con sentimento conforme a san Bernardo parlano anche sant’Efrem: Noi non abbiamo
altra fiducia se non quella che è da te, o Vergine sincerissima (De Laud. B. M. V.). San
Ildefonso: Tutti i beni che la divina Maestà decretò di loro compartire, stabilì di
consegnarli nelle tue mani. Perciocché a te sono affidati i tesori e gli ornamenti delle
grazie (De Cor. Virg. c. 15). S. Germano: Se tu ci abbandoni, che sarà di noi, o vita dei
Cristiani? (De Zon. B. V.). S. Pier Damiani: Nelle tue mani sono tutti i tesori delle divine
commiserazioni (De Nat. S. I.). S. Antonio: Chi domanda senza di essa tenta di volare
senza ali (P. 4 tit. 15. c. 22). San Bernardino da Siena in un luogo dice: Tu sei la
dispensatrice di tutte le grazie; la nostra salute è in tua mano. In altro luogo non solo
dice, che per mezzo di Maria si trasmettono a noi tutte le grazie, ma anche asserisce, che la
Beata Vergine, da che fu fatta madre di Dio, acquistò una certa giurisdizione sopra tutte le
grazie, che a noi si dispensano (Serm. De Nativ. B. M. V. c. 8). E poi conchiude: Perciò si è
che tutti i doni, le virtù, le grazie si dispensano per le mani della medesima a chi vuole, e
come vuole. Lo stesso scrisse S. Bonaventura: Tutta la divina natura essendo stata
nell’utero della Vergine, ardisco dire, che questa Vergine dal cui seno come da un oceano
della divinità derivano i fiumi di tutte le grazie, acquistò una tal quale giurisdizione
sopra tutte le effusioni delle grazie.
Onde poi molti teologi fondati sulle autorità di questi santi piamente e giustamente hanno
difesa la sentenza, che non vi è grazia che a noi si dispensa, se non per mezzo
dell’intercessione di Maria; così il Vega, il Mendozza, il Paciucchelli, il Segneri, il Poirè, il
Crasset, e molti altri autori col dotto Padre Natale di Alessandro, il quale scrisse: Dio vuole
che tutti i beni aspettiamo da Lui, mediante la potentissima intercessione della Vergine
Madre, quando la invochiamo come conviene (Epist. 76 in calce, t. 4, Moral.). E ne
adduce in conferma il riferito passo di S. Bernardo: Questo è il volere di Colui che il tutto
volle darci per Maria (Serm. De Aquaed.). E lo stesso dice il P. Contensone, il quale sulle
parole di Gesù in croce dette a S. Giovanni: Ecco la tua madre, così soggiunse: Quasi
dicesse, niuno sarà partecipe del mio sangue se non per intercessione di mia madre. Le
piaghe sono fonti di grazie, ma a nessuno deriveranno i rigagnoli, se non per il canale di
Maria. O Giovanni discepolo, tanto sarai da me amato, quanto avrai amato Lei (Theol.
ment. et cord. t. 2, 1. 10. d. 4. C. l.). Del resto è certo, che se Dio gradisce, che noi ricorriamo
ai Santi, tanto più gli piacerà che ci avvaliamo dell’intercessione di Maria, acciocché ella
supplisca col suo merito la nostra indegnità, secondo parla S. Anselmo. Parlando poi S.
Tommaso della dignità di Maria, la chiama quasi infinita (1 part. q. 25. a. 6. ad 4.). Onde a
ragione dicesi, che le preghiere di Maria sono più potenti appresso a Dio, che le preghiere
di tutto il Paradiso insieme.
Conclusione
Terminiamo questo primo punto, concludendo insomma da tutto quel che si è detto, che
chi prega, certamente si salva; chi non prega certamente si danna. Tutti i beati, eccettuati i
bambini, si sono salvati col pregare. Tutti i dannati si sono perduti per non pregare; se
pregavano non si sarebbero perduti. E questa è, e sarà la loro maggiore disperazione
nell’inferno, l’aversi potuto salvare con tanta facilità, quant’era il domandare a Dio le di lui
grazie, ed ora non essere i miseri più a tempo di domandarle.
CAPO II
DEL VALORE DELLA PREGHIERA
I. - DELL’ECCELLENZA DELLA PREGHIERA E DEL SUO POTERE PRESSO
DIO
Sono sì care a Dio le nostre preghiere, che Egli ha destinati gli Angeli a presentargli subito
quelle che da noi gli vengono fatte: "Gli Angeli, dice S. Ilario, soprintendono alle orazioni
dei fedeli, e ogni giorno le offrono a Dio" (Cap. 18, in Matth.). Questo appunto è quel sacro
fumo d’incenso, cioè le orazioni dei Santi, che S. Giovanni vide ascendere al Signore,
offertogli per mano degli Angeli (Ap c. 8). Ed altrove (Ibid. c. 5), scrive il medesimo santo
Apostolo, che le preghiere dei Santi sono come certi vasetti d’oro pieni di odori soavi, e
molto graditi a Dio.
Ma per meglio intendere quanto valgano presso Dio le orazioni, basta leggere nelle divine
scritture le innumerabili promesse che fa Dio a chi prega, così nell’antico come nel nuovo
Testamento: Alza a me le tue grida, ed io ti esaudirò (Ger 33,3). Invocami, ed io ti libererò
(Sal 49,15). Chiedete; ed otterrete: cercate, e troverete: picchiate, e vi sarà aperto (Mt
7,7). Concederà il bene a coloro che glielo domandano (Mt 7,11). Imperciocché chi chiede
riceve, e chi cerca trova (Lc 11,10). Qualsiasi cosa domanderanno, sarà loro concessa dal
Padre mio (Mt 18,19). Qualunque cosa domandiate nell’orazione, abbiate fede di
conseguirla, e la otterrete (Mr 11,24). Se alcuna cosa domanderete nel nome mio, io la
darò (Gv 14,14). Qualunque cosa vorrete, la chiederete, e vi sarà conceduta (Gv 15,7). In
verità, in verità vi dico, che qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve la
concederà (Gv 16,23). E vi sono mille altri testi consimili, che per brevità si tralasciano.
Iddio ci vuol salvi, ma per nostro maggior bene ci vuol salvi da vincitori. Stando adunque
in questa vita, abbiamo da vivere in una continua guerra, e per salvarci abbiamo da
combattere e vincere. "Nessuno, dice S. Giovanni Crisostomo, potrà essere coronato
senza vittoria" (Serm. I De Martyr.). Noi siamo molto deboli, ed i nemici sono molti, ed
assai potenti: come potremmo loro far fronte, e superarli? Animiamoci, e dica ciascuno,
come diceva l’Apostolo: Tutte le cose mi sono possibili, in Colui che è mio conforto (Fil
4,13). Tutto potremo con l’orazione, per mezzo della quale il Signore ci darà quella forza
che noi non abbiamo. Scrisse Teodoreto, che l’orazione è onnipotente; ella è una, ma può
ottenere tutte le cose. E S. Bonaventura asserì che per la preghiera si ottiene l’acquisto di
ogni bene, e lo scampo da ogni male (In Luc. 2). Diceva san Lorenzo Giustiniani, che noi
per mezzo della preghiera ci fabbrichiamo una torre fortissima dove saremo difesi e sicuri
da tutte le insidie e violenze dei nemici (De cast. connub. c. XXII). Sono forti le potenze
dell’inferno, ma la preghiera è più forte di tutti i demoni, dice san Bernardo (Serm. 49, De
modo bene viv. 5). Sì, perché con l’orazione l’anima acquista l’aiuto divino, che supera ogni
potenza creata. Così si animava Davide nei suoi timori: Io, diceva, chiamerò il mio Signore
in aiuto, e sarò liberato da tutti i nemici (Sal 17,4). Insomma, dice S. Giovanni Crisostomo,
l’orazione è un’arma valevole a vincere ogni assalto dei demoni, è una difesa, che ci
conserva in qualunque pericolo; è un porto, che ci salva da ogni tempesta; ed è un tesoro
insieme, che ci provvede d’ogni bene (In Ps. 145).
II. - DELLA FORZA DELLA PREGHIERA CONTRO LE TENTAZIONI.
Dio, conoscendo il gran bene che apporta a noi la necessità di pregare, a questo fine, (come
si dice nel capo I) permette, che siamo assaliti dai nemici, affinché gli domandiamo l’aiuto
che egli ci offre, e ci promette. Ma quanto si compiace allorché noi ricorriamo a Lui nei
pericoli, altrettanto gli dispiace vederci trascurati nel pregare. Come il re, dice S.
Bonaventura, stimerebbe infedele quel capitano, che trovandosi assediato nella piazza, non
gli chiede soccorso; così Dio si stima come tradito da colui, che vedendosi insidiato dalle
tentazioni, non ricorre a Lui per aiuto: mentre Egli desidera, e sta aspettando, che gli si
domandi, per soccorrere abbondantemente. Ben lo dichiarò Isaia, allorché da parte di Dio
disse al re Achaz, che gli avesse domandato qualche segno affine di accertarsi del soccorso,
che il Signore voleva dargli: Domanda a tua posta un segno al Signore tuo Dio (Is 7).
L’empio re rispose: Io non voglio cercarlo, perché non voglio tentare Dio (Ibid. 12). E ciò
disse perché confidava nelle sue forze di vincere i nemici senza l’aiuto divino. Ma il profeta
indi lo rimproverò con dire: Udite dunque, casa di Davide: E’ egli adunque poco per voi il
far torto agli uomini, che fate torto anche al mio Dio? (Ibid. 13). Significandoci con ciò,
che si rende molesto ed ingiurioso a Dio, chi lascia di domandargli le grazie che il Signore
gli offre.
Poveri figli miei, dice il Salvatore, che vi trovate combattuti dai nemici, e oppressi dal peso
dei vostri peccati, non vi perdete d’animo, ricorrete a me con l’orazione, ed io vi darò la
forza di resistere, e darò riparo a tutte le vostre disgrazie (Mt 11,28). In altro luogo dice per
bocca d’Isaia: "Uomini, ricorrete a me, e benché abbiate le coscienze assai macchiate, non
lasciate di venire: e vi do licenza anche di riprendermi, per così dire, se mai dopo che
sarete a me ricorsi, io non farò con la mia grazia, che diventiate candidi come la neve"
(Is 1,18).
Che cos’è la preghiera? "La preghiera, dice il Crisostomo, è un’ancora sicura a chi sta in
pericolo di naufragare; è un tesoro immenso di ricchezze a chi è povero; è una medicina
efficacissima a chi è infermo; ed è una custodia certa a chi vuol conservarsi in santità"
(Hom. De Consubst. cont. Anon.). Che fa la preghiera? La preghiera, dice S. Lorenzo
Giustiniani, placa lo sdegno di Dio, che perdona a chi con umiltà lo prega; ottiene la grazia
di tutto ciò che si domanda; supera tutte le forze dei nemici: insomma muta gli uomini da
ciechi in illuminati, da deboli in forti, da peccatori in santi (De Perfect., c. 12). Chi ha
bisogno di luce, la domandi a Dio, e gli sarà data: subito ch’io sono ricorso a Dio, disse
Salomone, egli mi ha concesso la sapienza (Sap 7,7). Chi ha bisogno di fortezza, la chieda
a Dio, e gli sarà donata: subito ch’io ho aperta bocca a pregare, disse Davide, ho ricevuto
da Dio l’aiuto (Sal 118,131). E come mai i santi Martiri acquistarono tanta fortezza da
resistere ai tiranni, se non con l’orazione, che ottenne loro il vigore da superare i tormenti,
e la morte?
Chi si serve insomma di questa grande arma dell’orazione, dice san Pier Crisologo, non
cade in peccato; perde affetto alla terra, entra a dimorare nel Cielo, e comincia sin da
questa vita a godere la conversazione di Dio (Serm. 45). Che serve dunque angustiarsi col
dire: Chi sa se io sono scritto o no nel libro della vita? Chi sa se Dio mi darà la grazia
efficace e la perseveranza? Non vi affannate per niente, dice l’Apostolo, ma in ogni cosa
siano manifestate a Dio le vostre richieste per mezzo dell’orazione e delle suppliche unite
al rendimento di grazie (Fil 4,6). Che serve, dice l’Apostolo, confondervi in queste
angustie e timori? Via, discacciate da voi tutte queste sollecitudini, che ad altro non
valgono che a scemarvi la confidenza, e a rendervi più tiepidi e pigri a camminare per la via
della salute. Pregate, e cercate sempre, e fate sentire le vostre preghiere a Dio, e
ringraziatelo sempre delle promesse che v’ha fatte, di concedervi i doni che bramate,
sempre che glieli cerchiate: la grazia efficace, la perseveranza, la salute e tutto quello che
desiderate.
Il Signore ci ha posti nella battaglia a combattere con nemici potenti, ma Egli è fedele nelle
sue promesse, né sopporta che noi siamo combattuti più di quel che valiamo a resistere (1
Cr 10,13). E’ fedele perché subito soccorre chi l’invoca. Scrive il dotto eminentissimo
cardinale Gotti, che il Signore non è già tenuto per altro a darci sempre una grazia che sia
uguale alla tentazione, ma è obbligato, quando siamo tentati, e a Lui ricorriamo, di
somministrarci per mezzo della grazia che a tutti tiene apparecchiata, ed offre la forza
bastante con cui possiamo attualmente resistere alla tentazione (De div. grat. q. 2 d. 5,
par. 3). Tutto possiamo col divino aiuto, che si dona a ciascuno che umilmente lo chiede,
onde non abbiamo scusa, allorché noi ci lasciamo vincere dalla tentazione. Restiamo vinti
solo per nostra colpa, perché non preghiamo. Con l’orazione, scrive S. Agostino, ben si
superano tutte le insidie e forze dei nemici (De sal. doc. c, 28).
III. - DIO E’ SEMPRE PRONTO AD ESAUDIRCI.
Dice S. Bernardino da Siena, che la preghiera è un’ambasciatrice fedele, ben nota al Re del
Cielo, e solita d’entrare fin dentro al suo cuore, e di piegare con la sua importunità l’animo
pietoso del Re a concedere ogni soccorso a noi miserabili, che gemiamo fra tanti
combattimenti e miserie in questa valle di lacrime (I. 4 in Dom. 5 p. Pasc.). Ci assicura ben
anche Isaia, che quando il Signore sente le nostre preghiere, subito si muove a
compassione di noi e non ci lascia molto piangere, ma nello stesso punto ci risponde e
concede quanto domandiamo (Is 30,19). Ed in altro luogo parla il Signore per bocca di
Geremia, e di noi lagnandosi, dice: Perché voi dite che non volete più ricorrere a me, forse
la mia misericordia è terra sterile per voi, che non sappia darvi alcun frutto di grazie? o
terra tardiva che renda il frutto molto tardi? (Ger 2,31). Con ciò il nostro amoroso Signore
volle darci ad intendere ch’egli non lascia mai d’esaudire, e subito, le nostre preghiere; e
con ciò vuol anche rimproverare coloro che lasciano di pregarlo per diffidenza di non
essere esauditi.
Se Dio ci ammettesse ad esporgli le nostre suppliche una volta al mese, sarebbe pur un
gran favore. I re della terra danno udienza poche volte all’anno, ma Dio dà sempre udienza.
Scrive il Crisostomo, che sta continuamente apparecchiato a sentire le nostre orazioni né si
dà mai caso, che egli essendo pregato come si deve, non esaudisca chi lo prega (Hom. 52 in
Matth.). E altrove dice, che quando noi preghiamo Dio, prima che terminiamo di esporgli
le nostre suppliche, egli già n’esaudisce. Anzi di ciò ne abbiamo la promessa da Dio
medesimo. Prima che abbiano finito di dire, li avrò uditi (Is 65,24). Il Signore, dice
Davide, sta dappresso a tutti coloro che lo invocano con cuor verace. Egli farà la volontà
di coloro che lo temono, ed esaudirà la loro preghiera, e li salverà (Sal 144,18). Ciò era
quello di cui si gloriava Mosé dicendo: Non v’ha certo altra nazione, per grande che ella
sia, la quale abbia tanto vicini a sé i suoi dei, come il Dio nostro è presente a tutte le
nostre preghiere (Dt 4,7). Gli dei dei Gentili erano sordi a chi li invocava, perché erano
misere creature che niente potevano; ma il nostro Dio, che può tutto non è già sordo alle
nostre preghiere, ma sta sempre vicino a chi lo prega, e pronto a concedere tutte le grazie
che gli si domandano. Signore (diceva il Salmista), ho conosciuto che Voi siete il mio Dio
tutto bontà e misericordia, perché ogni volta che a Voi ricorro, subito mi soccorrete (Sal
55,10).
IV. - DOMANDIAMO A DIO COSE GRANDI
E’ meglio pregare che meditare
Noi siamo poveri di tutto, ma se domandiamo non siamo più poveri. Se noi siamo poveri,
Dio è ricco, e Dio è tutto liberale, dice l’Apostolo, con chi lo chiama in aiuto (Rm 12).
Giacché dunque, ci esorta S. Agostino, abbiamo a che fare con un Signore d’infinita
potenza, e d’infinita ricchezza; non gli cerchiamo cose piccole e vili, ma domandiamogli
qualche cosa di grande (In Ps. 62). Se uno cercasse al re una vile moneta, un quattrino, mi
pare che costui farebbe al re un disonore. All’incontro noi onoriamo Dio, onoriamo la sua
misericordia e la sua liberalità, allorché vedendoci miseri come siamo, ed indegni di ogni
beneficio, gli cerchiamo nondimeno grazie grandi, affidati alla bontà di Dio, ed alla sua
fedeltà per la promessa fatta di concedere a chi lo prega qualunque grazia che gli domanda:
qualunque cosa vorrete, la chiederete e vi sarà concessa (Gv 15,7). Diceva S. Maria
Maddalena de’ Pazzi, che il Signore si sente così onorato, e tanto si consola quando gli
cerchiamo le grazie, che in certo modo egli ci ringrazia, poiché così allora par che noi gli
apriamo la via a beneficarci ed a contentare il suo genio, ch’è di fare bene a tutti. E
persuadiamoci, che quando noi cerchiamo le grazie a Dio, egli ci dà sempre più dì quello
che domandiamo: Che se alcuno di voi è bisognoso di sapienza, la chieda a Dio, che dà a
tutti abbondantemente e non lo rimprovera (Gc 1,5). Così dice S. Giacomo, per
dimostrarci che Dio non è come gli uomini, avaro dei suoi beni. Gli uomini ancorché
ricchi, ancorché pii e liberali, quando dispensano elemosine, sono sempre stretti di mano,
e per lo più donano meno di ciò che loro si domanda, perché la loro ricchezza, per quanto
sia grande, è sempre ricchezza finita, onde quanto più danno, tanto più loro viene a
mancare. Ma Dio dona i suoi beni, quando è pregato, abbondantemente, cioè, con la mano
larga, dando sempre più di quello che gli si cerca, perché la sua ricchezza è infinita; quanto
più dà, più gli resta da dare. Perché soave sei tu, o Signore, e benigno e di molta
misericordia per quei che t’invocano (Sal 85,4). Voi, mio Dio, diceva Davide, siete troppo
liberale e cortese con chi v’invoca. Le misericordie che voi gli usate sono tanto abbondanti,
che superano le sue domande.
In questo adunque, dice il Crisostomo, ha da consistere tutta la nostra attenzione, in
pregare con confidenza, sicuri che pregando si apriranno a nostro favore tutti i tesori del
Cielo. L’orazione è un tesoro: chi più prega, più ne riceve. Dice S. Bonaventura, che ogni
volta che l’uomo ricorre devotamente a Dio con la preghiera, guadagna beni che valgono
più che tutto il mondo (De perf. vitae, c. S). Alcune anime devote impiegano gran tempo
nel leggere e in meditare, ma poco attendono a pregare. Non v’ha dubbio, che la lettura
spirituale, e la meditazione delle verità eterne siano cose molto utili, ma assai più utile,
dice S. Agostino, è il pregare. Nel leggere e meditare noi intendiamo i nostri obblighi, ma
con l’orazione otteniamo la grazia di adempirli (In Ps. 75). Che serve conoscere ciò che
siamo obbligati a fare, e poi non farlo, se non renderci più rei innanzi a Dio? Leggiamo e
meditiamo quanto vogliamo, non soddisferemo mai le nostre obbligazioni, se non
chiediamo a Dio l’aiuto per adempirle.
E perciò, riflette S. Isidoro, che in nessun altro tempo il demonio più s’affatica a
distoglierci col pensiero delle cure temporali, che quando si accorge, che noi stiamo
pregando, e cercando le grazie a Dio (Lib. 3, Sent. e. 7). E perché? perché vede il nemico
che in nessun altro tempo noi guadagniamo più tesori di beni celesti che quando
preghiamo. Il frutto più grande dell’orazione mentale è questo: il domandare a Dio le
grazie che ci abbisognano per la perseveranza, e per la salute eterna. Per questo
principalmente l’orazione mentale è moralmente necessaria all’anima per conservarsi in
grazia di Dio, se la persona non si raccoglie in tempo della meditazione a domandare gli
aiuti che gli sono necessari per la perseveranza, non lo farà in altro tempo. Infatti senza
meditare, non penserà al bisogno che ha di chiederli. All’incontro chi ogni giorno fa la sua
meditazione ben vedrà i bisogni dell’anima, i pericoli in cui si trova, la necessità che ha di
pregare; e così pregherà ed otterrà le grazie che lo faranno poi perseverare e salvarsi.
Diceva parlando di sé Padre Segneri, che a principio della meditazione egli più si
tratteneva in fare affetti, che in preghiere; ma conoscendo poi la necessità, e l’immenso
utile della preghiera, d’indi in poi per lo più, nella molta orazione mentale ch’egli faceva, si
applicava a pregare.
Io strideva come un tenero rondinino, diceva il devoto re Ezechia (Is 38,14). I pulcini delle
rondini non fanno altro che gridare, cercando con ciò l’aiuto e l’alimento alle loro madri.
Così dobbiamo sempre gridare, chiedendo a Dio soccorso per evitare la morte del peccato,
e per avanzarci nel suo santo amore. Riferisce il padre Rodriguez, che i padri antichi, i
quali furono i nostri primi maestri di spirito, fecero consiglio fra di loro, per vedere qual
fosse l’esercizio più utile e più necessario per la salute eterna, e risolsero esser il replicare
spesso la breve orazione di Davide: Muoviti, o Dio, in mio soccorso (Sal 69,1). Lo stesso
(scrive Cassiano) deve fare chi vuol salvarsi, dicendo sempre: Dio mio, aiutatemi, Dio mio,
aiutatemi. Questo dobbiamo fare dal principio che ci svegliamo la mattina, poi seguitarlo a
fare in tutti i nostri bisogni e in tutte le applicazioni in cui ci troviamo, così spirituali, come
temporali; e più specialmente poi quando ci vediamo molestati da qualche tentazione o
passione. Dice S. Bonaventura, che alle volte più presto si ottiene la grazia con una breve
preghiera, che con molte altre opere buone (De prof. rel. 1. 2. c. 65).
Soggiunge S. Ambrogio, che chi prega, già ottiene, poiché lo stesso pregare è ricevere.
Quindi scrisse S. Crisostomo che non vi è uomo più potente di un uomo che prega; perché
costui si rende partecipe della potenza di Dio. Per salire alla perfezione, diceva S. Bernardo,
vi bisogna la meditazione e la preghiera; con la meditazione vediamo quel che ci manca,
con la preghiera riceviamo quel che ci bisogna (De S. Andr. Serm. I).
Conclusione
Il salvarsi insomma senza pregare è difficilissimo, anzi impossibile, come abbiamo veduto,
secondo la divina Provvidenza ordinaria, ma pregando, il salvarsi è cosa sicura e
facilissima. Non è necessario per salvarsi andare tra gli infedeli e dar la vita; non è
necessario ritirarsi nei deserti a cibarsi di erbe. Che ci vuole a dire: Dio mio, aiutami,
assistimi, abbi pietà di me? Vi è cosa più facile di questa? e questo poco basterà a salvarci,
se saremo attenti a farlo. Specialmente esorta S. Lorenzo Giustiniani, a sforzarci di fare
orazione almeno in principio di qualunque azione (Lig. vit. de or. e. 16). Attesta Cassiano,
che i Padri esortavano sommamente a ricorrere a Dio con brevi ma frequenti preghiere.
"Niuno faccia, diceva S. Bernardo, poco conto della sua orazione, giacché ne fa conto
Iddio il quale, o ci dona allora ciò che cerchiamo, o ciò che è più utile per noi" (Serm. v,
De Quadrag.). Ed intendiamo, che se non preghiamo, per noi non v’è scusa, perché la
grazia di pregare è data a ognuno: in mano nostra sta l’orare, sempre che vogliamo, come
di sé parlando, diceva Davide: Meco avrò l’orazione a Dio, che è mia vita; dirò a Dio: tu
sei mio aiuto (Sal 41,9-10). Dio dona a tutti la grazia di pregare, acciocché pregando
possiamo poi ottenere tutti gli aiuti, anche abbondanti, per osservare la divina Legge, e
perseverare sino alla morte; se non ci salveremo, tutta la colpa sarà nostra, perché non
avremo pregato.
CAPO III
DELLE CONDIZIONI DELLA PREGHIERA
I. - PREGARE PER SE STESSO
In verità, in verità vi dico, che qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve la
concederà (Gv 16,23). E’ promessa adunque di Gesù Cristo, che, quando, in nome suo,
domanderemo al Padre, tutto il Padre ci concederà; ma sempre si intende quando
domanderemo con le dovute condizioni. Molti, dice S. Giacomo, cercano e non ottengono,
perché malamente cercano (Gc 4,3). Onde S. Basilio, seguendo il detto dell’Apostolo, dice:
"Appunto talvolta chiedi, e non ottieni, perché malamente hai domandato, o
infedelmente, o con leggerezza, o chiedesti cose non convenienti, o hai desistito" (Const.
mon. e. i, vers. fin.). Infedelmente, cioè con poca fede, ossia poca confidenza: con
leggerezza; con poco desiderio di avere la grazia: cose non convenienti, cercando beni non
giovevoli alla salute: hai desistito, senza perseveranza. Pertanto S. Tommaso riduce a
quattro le condizioni richieste nella preghiera, acciocché si ottenga il suo effetto; cioè che
l’uomo domandi: per se stesso, le cose necessarie alla salute, devotamente e con
perseveranza (Qu. 83, a. 7, ad 2).
Ha Dio promesso di esaudire la preghiera fatta per gli altri?
La prima condizione dunque della preghiera è che si faccia per sé; poiché l’Angelico tiene
che un uomo non può impetrare agli altri ex condigno (a titolo di giustizia) la vita eterna, e
per conseguenza neppure quelle grazie che appartengono alla loro salute; mentre la
promessa, come dice, sta fatta non per gli altri ma solamente a coloro che pregano: Ve la
concederà (Gv 16,23). Ma ciò nonostante, vi sono molti dottori (CORN. A LAPID., Sylvest.,
Tolet., Habert et alii) che tengono l’opposto, appoggiati all’autorità di san Basilio, il quale
insegna che l’orazione in virtù della divina promessa, ha infallibilmente il suo effetto,
anche per gli altri per cui si prega, purché gli altri non vi mettano positivo impedimento. E
si fondano sulle Scritture: Orate l’un per l’altro per essere salvati; imperciocché molto
può l’assidua preghiera del giusto (Gc 5,16). Orate per coloro che vi perseguitano e vi
calunniano (Mt 5,44). E meglio sul testo di S. Giovanni: Chi sa che il proprio fratello
pecca di peccato, che non mena a morte, chieda, e sarà data la vita a quello che pecca
non a morte (Gv 5,16). Spiegano quel che pecca non a morte, S. Agostino, Beda,
sant’Ambrogio ed altri, purché quel peccatore non sia tale che intenda di vivere ostinato
sino alla morte; poiché per costui si richiederebbe una grazia molto straordinaria. Del resto
per gli altri peccatori non rei di tanta malizia, l’apostolo promette a chi per essi prega, la
loro conversione: chieda, sarà data la vita a quello che pecca (Mt 5,44).
Dobbiamo pregare per i peccatori
Per altro non si mette in dubbio, che le orazioni degli altri molto giovano ai peccatori, e
sono molto gradite a Dio; e Dio si lamenta dei servi suoi che non gli raccomandano i
peccatori, come se ne lamentò con S. Maria Maddalena de’ Pazzi; onde le disse un giorno:
"Vedi, figlia mia, come i cristiani stanno nelle mani del demonio; se i miei diletti con le
loro orazioni non li liberassero, resterebbero divorati". Ma specialmente ciò lo desidera il
Signore dai sacerdoti e dai religiosi. Diceva la suddetta Santa alle sue monache: "Sorelle,
Iddio non ci ha separate dal mondo perché facciamo bene solo per noi, ma ancora perché
noi lo plachiamo a favore dei peccatori". E il Signore stesso un giorno disse alla
medesima: "Io ho dato a voi, elette spose, la città di rifugio, cioè la Passione di Gesù
Cristo, acciocché abbiate dove ricorrere per aiutare le mie creature: perciò ricorrete ad
essa, ed ivi porgete aiuto alle mie creature, che periscono, e mettete la vita per esse".
Quindi la Santa infiammata di santo zelo, cinquanta volte al giorno offriva a Dio il Sangue
del Redentore per i peccatori, e si consumava per desiderio della loro conversione,
dicendo: "Oh che pena è, o Signore, il vedere di poter giovare alle tue creature, con
mettere la vita per esse, e non poterlo fare!". Del resto ella in ogni esercizio raccomandava
i peccatori a Dio, e si scrive nella sua vita, che quasi non passava ora del giorno, che la
Santa non pregasse per essi; frequentemente anche si levava di notte, e andava al SS.
Sacramento a pregare per i peccatori: e con tutto ciò una volta fu ritrovata a piangere
dirottamente, ed interrogata perché, rispose: "Perché mi pare di non far niente per la
salute dei peccatori". Giungeva ad offrirsi per la loro conversione patire anche le pene
dell’inferno, purché ivi non avesse a odiare Dio; e più volte fu compiaciuta da Dio d’esser
afflitta con gravi dolori ed infermità per la salute dei peccatori. Specialmente pregava per i
sacerdoti, vedendo che la loro buona vita era cagione della salute degli altri, e la mala vita
cagione della rovina di molti; e perciò pregava il Signore, che punisse le colpe sopra di lei,
dicendo: "Signore, fammi tante volte morire, e tornare a vivere, sino ch’io soddisfaccia
per essi alla tua giustizia". E narrasi nella sua Vita, che la Santa con le sue orazioni liberò
molte anime dalle mani di Lucifero.
Ho voluto dire qualche cosa più particolare dello zelo di questa santa. Del resto tutte le
anime, che sono veramente innamorate di Dio, non cessano di pregare per i poveri
peccatori. E com’è possìbile, che una persona che ama Dio, vedendo l’amore che porta alle
anime, e quel che ha fatto e patito Gesù Cristo per la loro salute, e il desiderio che ha
questo Salvatore, che noi preghiamo per i peccatori; com’è possibile, dico, che possa poi
vedere con indifferenza tante povere anime, che, vivono senza Dio, schiave dell’inferno, e
non muoversi ed affaticarsi a pregare frequentemente il Signore a dar luce e forza a quelle
infelici per uscire dallo stato miserabile in cui dormono, e vivono perdute? E’ vero, che Dio
non ha promesso di esaudirci, quando coloro, per cui preghiamo, mettono positivo
impedimento alla loro conversione; ma molte volte il Signore per sua bontà, a riguardo
delle orazioni dei suoi servi, con grazie straordinarie si è compiaciuto di ridurre a stato di
salute i peccatori più accecati e ostinati. Pertanto non lasciamo mai, nel dire o sentir la
Messa, nel far la Comunione, la Meditazione, o la visita del Santissimo Sacramento, di
raccomandare sempre a Dio i poveri peccatori. E dice un dotto autore, che chi prega per gli
altri, tanto più presto vedrà esaudite le preghiere che per se stesso. Sia detto ciò di
passaggio, ma ritorniamo a vedere le altre condizioni che richiede S. Tommaso, affinché la
preghiera abbia effetto.
II. - CHIEDERE COSE NECESSARIE ALLA SALUTE ETERNA.
L’altra condizione che il Santo assegna è che si domandino quelle grazie, che bisognano
alla salute: cose necessarie alla salute; poiché la promessa alla preghiera non è fatta per le
grazie temporali, che non sono necessarie alla salute dell’anima. Dice S. Agostino
spiegando le parole del Vangelo, nel nome mio, riferite di sopra, che "non si chiede nel
nome del Salvatore, tutto ciò che si chiede contro l’affare della salute" (Tract., 102 in
Joan.). Alle volte noi cerchiamo alcune grazie temporali, e Dio non ci esaudisce; ma non ci
esaudisce, dice lo stesso S. Dottore, perché ci ama, e vuole usarci misericordia (Ap. S.
Prosp. Sent. 212). Il medico che ama l’infermo, non gli concede quelle cose, le quali vede
che gli farebbero nocumento. Oh quanti se fossero infermi o poveri, non cadrebbero nei
peccati, in cui cadono essendo sani o ricchi! E perciò il Signore taluni che gli cercano la
sanità del corpo, o i beni di fortuna, glieli nega, perché li ama, vedendo che quelli
sarebbero loro occasione di perdere la sua grazia, o almeno d’intiepidirsi nella vita
spirituale. Del resto con ciò non intendo dire, essere difetto il chiedere a Dio le cose
necessarie alla vita presente, per quanto convengono alla salute eterna, come lo chiedeva il
Savio, dicendo: Concedimi quel che è necessario al mio vivere (Pro 30,8). Né è -difetto,
dice S. Tommaso (2.a, 2.ae, q. 83. a. XVI) l’avere per tali beni una sollecitudine ordinata. Il
difetto sta nel desiderare e cercare questi beni temporali, e l’aver per essi una sollecitudine
disordinata; come in essi consistesse tutto il nostro bene. Perciò quando noi domandiamo
a Dio queste grazie temporali, dobbiamo domandarle sempre con rassegnazione, e colla
condizione se sono per giovarci all’anima. E quando vediamo che il Signore non ce le
concede, teniamo per certo ch’egli ce le nega per l’amore che ci porta, e perché vede che ci
sarebbero dannose alla salute spirituale.
Molte volte noi chiediamo a Dio che ci liberi da qualche tentazione pericolosa, e Dio
neppure ci esaudisce, e permette che la tentazione seguiti a molestarci. Intendiamo che
allora Dio ciò permette anche per nostro maggior bene. Non sono le tentazioni ed i mali
pensieri, che ci allontanano da Dio, ma i mali consensi. Quando l’anima nella tentazione si
raccomanda a Dio, e col suo aiuto resiste, oh, come avanza allora nella perfezione, e viene a
stringersi di più con Dio! e perciò il Signore non l’esaudisce. Pregava san Paolo
istantemente per essere liberato dalle tentazioni d’impurità: Mi è stato dato lo stimolo
della carne, un angelo di Satana che mi schiaffeggia. Sopra di che tre volte pregai il
Signore, che me ne fosse tolto (2Cr 12,7-8). Ma il Signore gli rispose: Basta a te la mia
grazia. Sicché anche nelle tentazioni dobbiamo pregare Dio con rassegnazione, dicendo:
Signore, liberatemi da questa molestia, se è espediente il liberarmene: e se no, almeno
datemi l’aiuto per resistere. E qui fa quel che dice S. Bernardo, che quando noi cerchiamo a
Dio qualche grazia, Egli o ci dona quella, o qualche cosa più utile di quella. Dio molte volte
ci lascia a patire nella tempesta, al fine di provare la nostra fedeltà, e per nostro maggior
profitto. Sembra, che allora Egli sia sordo alle nostre preghiere; ma no, stiamo sicuri, che
Dio allora ben ci sente e ci aiuta di nascosto, fortificandoci con la sua grazia a resistere ad
ogni insulto dei nemici. Ecco come Egli stesso ce ne assicura per bocca del Salmista:
M’invocasti nella tribolazione, ed io ti liberai: ti esaudii nella cupa tempesta: feci prova
di te alle acque di contraddizione (Sal 80,7).
Le altre condizioni finalmente, che assegna S. Tommaso alla preghiera, sono che si preghi
devotamente, e con perseveranza. Devotamente, s’intende con umiltà e confidenza; con
perseveranza, senza lasciar di pregare sino al la morte. Or di queste condizioni, cioè
dell’umiltà, confidenza e perseveranza, che sono le più necessarie alla preghiera, bisogna
qui di ciascuna distintamente parlare.
III. - PREGARE CON UMILTÀ.
Quanto l’umiltà sia necessaria alla preghiera.
Il Signore ben guarda le preghiere dei suoi servi, ma dei servi umili (Sal 101,18). Altrimenti
non le riguarda, ma le ributta. Dio resiste ai superbi, e agli umili dà la grazia (Gc 6,6). Dio
non sente le orazioni dei superbi, che confidano nelle loro forze, e perciò li lascia nella loro
propria miseria; ed in tale stato essi, privi del divino soccorso senza dubbio si perderanno.
Ciò piangeva Davide: Io, diceva, ho peccato, perché non sono stato umile (Sal 118,67). E lo
stesso avvenne a S. Pietro, il quale quantunque fosse stato avvisato da Gesù Cristo, che in
quella notte tutti essi discepoli dovevano abbandonarlo: Tutti voi patirete scandalo per
me in questa notte (Mt 26,31), egli nondimeno invece di conoscere la sua debolezza, e di
domandare aiuto al Signore per non essergli infedele, troppo fidando nelle sue forze, disse,
che se tutti l’avessero abbandonato, egli non l’avrebbe mai lasciato: Quando anche tutti
fossero per patire scandalo per te, non sarà mai che io sia scandalizzato (Mt 26,33). E
ancorché il Redentore nuovamente gli predicesse, che in quella notte prima di cantare il
gallo l’avrebbe negato tre volte, pure fidando nel suo animo si vantò dicendo:
Quand’anche dovessi morire teco, non ti negherò (Ibid. 35). Ma che avvenne? Appena il
miserabile entrò nella casa del Pontefice e fu rimproverato per discepolo di Gesù Cristo,
egli tre volte infatti lo negò con giuramento, dicendo di non averlo mai conosciuto (Ibid.
72). Se Pietro si fosse umiliato, e avesse domandata al Signore la grazia della costanza, non
lo avrebbe negato.
Dobbiamo tutti persuaderci, che noi stiamo come sulla cima di un monte sospesi
sull’abisso di tutti i peccati, e sostenuti dal solo filo della grazia; se questo filo ci lascia, noi
certamente cadiamo in tale abisso, e commetteremo le scelleratezze più orrende: Se Dio
non mi avesse soccorso, sarei caduto in mille peccati, ed ora starei nell’inferno (Sal
93,17); così diceva il Salmista, e così deve dire ognuno di noi. Questo intendeva ancora san
Francesco di Assisi, quando diceva, ch’esso era il peggiore peccatore del mondo. Ma, padre
mio, gli disse il compagno, questo che dite, non è vero; vi sono molti nel mondo che
certamente sono peggiori di voi. Sì che è troppo vero quel che dico, rispose il Santo,
perché se Dio non mi tenesse le mani sopra, io commetterei tutti i peccati.
E’ di fede che senza l’aiuto della grazia non possiamo noi fare alcuna opera buona, e
neppure avere un buon pensiero. Gli uomini, dice S. Agostino, senza la grazia, nulla
possono fare di bene o col pensare, o con l’operare (De correct. et grat. c. II). Come
l’occhio non può vedere senza la luce, così diceva il Santo, l’uomo non può fare alcun bene
senza la grazia. E prima già lo disse l’Apostolo: Non perché noi siamo idonei a pensare
alcuna cosa da noi come da noi, ma la nostra idoneità è da Dio (2 Cr 3,5). E prima
dell’Apostolo lo disse già Davide: Se il Signore non edifica egli la casa, invano si
affaticano quelli che la edificano (Sal 126,1). Indarno si affatica l’uomo a farsi santo, se Dio
non vi mette la sua mano: Se il Signore non sarà egli il custode della città, indarno vigila
colui che la custodisce (Ibid.). Se Dio non custodisce l’anima dai peccati, invano attenderà
ella a custodirsi con le sue forze. E perciò si protestava poi il santo Profeta: Dunque non
voglio sperare nelle mie armi ma solo in Dio che può salvarmi (Sal 42,7).
Onde chi ritrovasi fatta qualche cosa di bene, o non si trova caduto in maggiori peccati di
quelli che ha commessi, dica con san Paolo: Per la grazia del Signore, sono quel che sono
(1 Cr 15,10). E per la stessa ragione non deve lasciar di tremare e temere di cadere in ogni
occasione: Per la qual cosa chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere (1 Cr 10,12). E
con ciò il santo Apostolo vuole avvertirci, che sta in gran pericolo di caduta, chi si tiene
sicuro di non cadere. E ne assegna la ragione in altro luogo dove dice: Imperocché se
alcuno si tiene di esser qualche cosa, mentre non è nulla, questi seduce se stesso (Gal 6,3).
Onde scrisse saggiamente sant’Ambrogio che in molti la presunzione di esser fermi è di
ostacolo alla loro fermezza; nessuno certamente sarà fermo, se non chi si crede infermo
(Serm. 76, n. 6. E. Bn.). Se taluno dice di non aver timore, è segno che costui fida in se
stesso, e nei suoi propositi fatti; ma questi con tal confidenza perniciosa da sé medesimo
viene sedotto, perché fidando nelle proprie forze, lascia di temere, e non temendo, lascia di
raccomandarsi a Dio ed allora certamente cadrà. E così parimenti bisogna che ciascuno si
guardi di ammirarsi con qualche vanagloria dei peccati degli altri; deve allora più presto
tenersi in quanto a sé, per peggiore degli altri e dire: Signore, se voi non mi aveste aiutato
avrei fatto peggio. Altrimenti permetterà il Signore, in castigo della sua superbia, che cada
in colpe maggiori e più orrende. Pertanto ci avvisa l’Apostolo a procurarci l’eterna salute;
ma come? sempre temendo e tremando (Fil 2,12). Sì, perché quegli che molto teme di
cadere, diffida delle sue forze, perciò riponendo la sua confidenza in Dio, a Lui ricorrerà
nei pericoli; Dio lo soccorrerà, e così vincerà le tentazioni, e si salverà.
S. Filippo Neri, camminando un giorno per Roma, andava dicendo: Sono disperato. Un
certo religioso lo corresse: ma il Santo allora disse: Padre mio, sono disperato di me, ma
confido in Dio. Così bisogna che facciamo noi, se vogliamo salvarci; bisogna che viviamo
sempre disperati delle nostre forze; poiché così facendo, imiteremo S. Filippo, il quale, dal
primo momento in cui si svegliava la mattina, diceva a Dio: Signore, tenete oggi le mani
sopra Filippo, perché se no, Filippo vi tradisce.
Questa dunque per concludere, è tutta la grande scienza di un cristiano, dice
sant’Agostino, il conoscere che niente egli è, niente può (In Ps. 70). Perciò così non cesserà
di procurarsi da Dio con le preghiere quella forza che non ha, e che gli bisogna per resistere
alle tentazioni e per fare il bene, ed allora farà tutto col soccorso di quel Signore, che non sa
negare niente a chi lo prega con umiltà. La preghiera di un’anima umile penetra i cieli, e
presentandosi al trono divino, di là non parte senza che Dio la guardi e l’esaudisca (Ecli
35). E siasi quest’anima resa rea di quanti peccati si voglia, Dio non sa disprezzare il cuore
che si umilia (Sal 50,19). Quando il Signore è severo con i superbi e resiste alle loro
domande, altrettanto è benigno e liberale con gli umili (Gc 4,6). Questo appunto disse un
giorno Gesù a S. Caterina da Siena: Sappi o figlia, che chi umilmente persevera a
chiedermi le grazie, farà acquisto di tutte le virtù" (Ap. Blos in concl. c. 3).
Dobbiamo preferire la via comune alla via straordinaria
Giova qui addurre un bell’avvertimento, che fa alle anime spirituali che desiderano di farsi
sante, il dotto e piissimo mons. Palafox vescovo d’Osma, nell’annotazione che fa sulla
lettera XVIII di S. Teresa. Ivi la Santa scrive al suo confessore, e gli dà conto di tutti i gradi
d’orazione soprannaturale, con cui il Signore l’aveva favorita. All’incontro il citato prelato
scrive che queste grazie soprannaturali, che Dio si degnò di fare a S. Teresa, ed ha fatte ad
altri santi, non sono necessarie per giungere alla santità, poiché molte anime senza di esse
vi sono giunte: e per contrario molte vi sono giunte, e poi si sono dannate. Pertanto dice di
esser cosa superflua anzi presuntuosa, il desiderare e cercare tali doni soprannaturali,
mentre la vera ed unica strada per diventare un’anima santa è l’esercitarsi nelle virtù,
nell’amare Dio; al che si arriva per mezzo dell’orazione, e col corrispondere ai lumi ed aiuti
di Dio, il quale altro non vuole che vederci santi (1 Ts 4,3).
Quindi il suddetto pio scrittore, parlando dei gradi dell’orazione soprannaturale, di cui
scriveva la Santa, cioè dell’orazione di quiete, del sonno e sospensione delle potenze,
dell’estasi, del ratto, del volo ed impeto di spirito e della ferita spirituale; saggiamente
scrive e dice, che in quanto all’orazione di quiete, ciò che noi dobbiamo desiderare e
domandare a Dio è, che ci liberi dall’attacco e dal desiderio dei beni mondani, che non
danno pace, ma apportano inquietudine ed afflizione allo spirito: vanità delle vanità, ben
li chiamò Salomone, afflizione di spirito (Ecli 1,2.14). Il cuore dell’uomo non troverà mai
vera pace, se non si vuota di tutto ciò che non è Dio, per lasciare luogo al di Lui santo
amore, affinché egli solo tutto lo possieda. Ma ciò l’anima da sé non può farlo; bisogna che
l’ottenga dal Signore con replicate preghiere.
In quanto al sonno e sospensione delle potenze, dobbiamo chiedere a Dio la grazia di
tenerle sopite per tutto il temporale, e solamente svegliate per considerare la divina bontà e
per ambire l’amor divino, ed i beni eterni.
In quanto all’unione delle potenze, preghiamo che ci doni la grazia di non pensare, di non
cercare, e di non volere se non quello che vuole Iddio; poiché tutta la santità e la perfezione
dell’amore consiste nell’unire la nostra volontà con la volontà del Signore.
In quanto all’estasi e ratto, preghiamo Dio, che ci tragga fuori dall’amor disordinato di noi
stessi e delle creature per tirarci tutti a sé.
In quanto al volo di spirito, preghiamolo a darci la grazia di vivere tutti staccati da questo
mondo, e far come fanno le rondini che anche per alimentarsi non si fermano sulla terra,
ma volando prendono il loro alimento: viene a dire che ci serviamo di questi beni
temporali per quanto bisogna a sostenere la vita, ma sempre volando, senza fermarci sulla
terra a cercare i gusti mondani.
In quanto all’impeto di spirito, preghiamo Dio, che ci doni il coraggio e la fortezza di farci
violenza quanto bisogna per resistere agli assalti dei nemici, per superare le passioni, per
abbracciare il patire anche in mezzo alle desolazioni e tedii spirituali.
In quanto finalmente alla ferita d’amore, siccome la ferita con il suo dolore rinnova
sempre la memoria del suo male, così dobbiamo pregare Iddio di ferirci talmente il cuore
col suo santo amore, che abbiamo sempre a ricordarci della sua bontà, e dell’affetto che ci
ha portato; e con ciò viviamo continuamente amandolo e compiacendolo con le nostre
opere ed affetti.
Ma tutte queste grazie non si ottengono senza l’orazione; e con l’orazione, purché ella sia
umile, confidente e perseverante, tutto si ottiene.
IV. - PREGARE CON FIDUCIA.
Eccellenza e necessità della fiducia
L’avvertimento principale che ci fa l’Apostolo S. Giacomo, se vogliamo con la preghiera
ottenere da Dio le grazie, è che preghiamo con confidenza sicura di essere esauditi se
preghiamo, come si deve, senza esitare: Ma chieda con fede senza niente esitare (Gc 1,6).
Insegna S. Tommaso, che l’orazione, siccome prende la forza di meritare dalla carità, così
all’incontro ha efficacia di impetrare dalla fede e dalla confidenza (2, 2.ae, q. 83, a. 15). Lo
stesso insegna S. Bernardo, dicendo che la sola nostra confidenza è quella che ci ottiene le
divine misericordie (Serm. III, De annunt.).
Troppo si compiace il Signore della nostra confidenza nella sua misericordia perché allora
noi veniamo ad onorarlo ed esaltare quella sua infinita bontà, che egli col crearci ha inteso
di manifestare al mondo. Si rallegrino pure, o mio Dio, dice il profeta regale, tutti quelli
che sperano in voi, poiché essi saranno eternamente beati, e voi sempre abiterete in essi
(Sal 5,11). Iddio protegge e salva tutti coloro che in Lui confidano (Sal 17,31; Sal 16,7). Oh,
le gran promesse che sono fatte nelle divine Scritture a coloro che sperano in Dio! Chi
spera in Dio non cadrà in peccato (Sal 33,22). Sì, perché dice David: il Signore tiene gli
occhi rivolti a tutti coloro che lo temono e confidano nella sua bontà per liberarli col suo
aiuto dalla morte del peccato (Sal 32,18-19). Ed in altro luogo dice il medesimo Dio:
Perché egli ha sperato in me, lo libererò, lo proteggerò... lo trarrò (dalla tribolazione), e
lo glorificherò (Sal 90,14-15). Si noti la parola perché egli ha confidato in me, io lo
proteggerò, lo libererò dai suoi nemici, e dal pericolo di cadere; e finalmente gli darò la
gloria eterna. Parlando Isaia di coloro che ripongono la loro speranza in Dio dice: Questi
lasceranno di esser deboli come sono, ed acquisteranno in Dio una gran fortezza; non
mancheranno, anzi neppure proveranno fatica nel camminare la via della salute, ma
correranno e voleranno come aquile (Is 40,31). Tutta insomma la nostra fortezza, ci avvisa
lo stesso Profeta, consiste nel mettere tutta la nostra confidenza in Dio, e nel tacere, cioè
nel riposare nelle braccia della sua misericordia, senza fidare alle nostre industrie, ed ai
mezzi umani (Is 30,15).
E dove mai s’è dato il caso che alcuno abbia confidato in Dio, e si sia perduto? (Ecli 2,11).
Questa confidenza era quella che teneva sicuro Davide di non aversi mai a perdere: In te ho
posta la mia speranza, non resti io confuso giammai (Sal 30,1). E che forse, dice
sant’Agostino, Iddio può essere ingannatore, mentre egli si offre a sostenerci nei pericoli,
se a lui ci appoggiamo, e poi vorrà da noi sottrarsi, quando ad esso ricorriamo? David
chiama beato chi confida nel Signore (Sal 33,13). E perché? Perché, dice lo stesso profeta,
chi confida in Dio, si troverà sempre circondato dalla divina misericordia (Sal 31,10).
Sicché costui sarà talmente d’ogni intorno cinto e guardato da Dio, che resterà sicuro dai
nemici e dal pericolo di perdersi.
Perciò l’Apostolo tanto raccomanda di conservare in noi la confidenza in Dio, la quale (ci
avvisa) certamente riporta da Lui una gran mercede (Eb 10,35). Quale sarà la nostra
fiducia, tali saranno le grazie che riceveremo da Dio; se sarà grande la fiducia, grandi
saranno ancora le grazie. Scrive S. Bernardo, che la divina misericordia è una fonte
immensa; chi vi porta il vaso più grande di confidenza, quegli ne riporta maggior
abbondanza di beni (Serm. 3, De annunt.). E già prima lo espresse il Profeta dicendo: Sia
sopra di noi, o Signore, la tua misericordia conforme noi in te abbiamo sperato (Sal
32,22). Ciò ben si avverò nel Centurione, a cui disse il Redentore, lodando la sua
confidenza: Va’, e ti sia fatto conforme hai creduto (Mt 8,13). E rivelò il Signore a S.
Geltrude che chi lo prega con confidenza, gli fa in certo modo tanta violenza, che egli non
può non esaudirlo in tutto ciò che gli cerca. La preghiera, dice S. Giovanni Climaco, fa
violenza a Dio, ma violenza che gli è cara e gradita (Scal. gr. 28).
Accostiamoci adunque, ci avvisa san Paolo, con fiducia al trono di grazia, a fine di
ottenere misericordia, e trovare grazia per opportuno sovvenimento (Eb 4,16). Il trono
della grazia è Gesù Cristo, che al presente siede alla destra del Padre, non in trono di
giustizia, ma di grazia, per ottenerci il perdono, se ci ritroviamo in peccato, e l’aiuto a
perseverare, se godiamo la sua amicizia. A questo trono bisogna che ricorriamo sempre con
fiducia, cioè con quella confidenza che ci dà la fede nella bontà e fedeltà di Dio, il quale ha
promesso di esaudire chi lo prega con confidenza, ma con confidenza stabile e sicura. Chi
all’incontro lo prega con esitazione, dice S. Giacomo, che costui non pensi di ricevere
niente: Imperocché chi esita è simile al flutto del mare mosso e agitato dal vento. Non si
pensi dunque un tal uomo di ottenere cosa alcuna dal Signore (Gc 1,6-7). Niente riceverà
perché la sua ingiusta diffidenza, da cui viene agitato, impedirà alla divina misericordia di
esaudire le sue domande. Non hai ricevuto la grazia, dice S. Basilio, perché l’hai
domandata senza confidenza (Const. Monac. c. 2). Disse Davide, che la nostra confidenza
in Dio dev’essere ferma come un monte, che non si muove a qualunque urto di vento:
Coloro che confidano nel Signore, sono come il monte Sion; non sarà vacillante in eterno
chi abita in Gerusalemme (Sal 124,1). E ciò è quello di cui ci ammonì il Redentore, se
vogliamo ottenere la grazia che cerchiamo. Qualsivoglia grazia che domandiate, state
sicuri di averla e così l’otterrete (Mr 11,24).
Fondamento della nostra fiducia
Ma dove, dirà taluno, io miserabile debbo fondare questa confidenza certa di ottenere quel
che domando? dove? sulla promessa fatta da Gesù Cristo Cercate ed avrete (Gv 16,24).
Come possiamo dubitare, dice sant’Agostino, di non essere esauditi, quando Iddio che è la
stessa verità promette di concederci ciò che pregando gli domandiamo? Certamente il
Signore non ci esorterebbe a chiedergli le grazie, se non ce le volesse concedere (Serm.
105). Ma questo è quello a cui Egli tanto ci esorta, e tante volte ce lo replica nelle sacre
Scritture: pregate, domandate, cercate ecc., ed otterrete quanto desiderate. E perché noi
lo preghiamo con la confidenza dovuta, il Salvatore ci ha insegnato nell’orazione del Pater
noster, che noi ricorrendo a Dio per ricevere le grazie necessarie alla nostra salute (che già
nel Pater noster tutte si contengono), lo chiamiamo non Signore, ma Padre, Pater noster.
Mentre vuole, che noi chiediamo a Dio le grazie con quella confidenza, con la quale il figlio
povero o infermo cerca il sostentamento o la medicina al suo proprio padre. Se un figlio sta
per morire di fame, basta che lo palesi al padre, e questi subito lo provvederà di cibo. E se
ha ricevuto qualche morso di serpe velenoso, basterà che presenti al padre la ferita
ricevuta, perché il padre applichi il rimedio che già tiene.
Fidati dunque alle divine promesse, domandiamo sempre con confidenza, non vacillanti,
ma stabili e fermi, come dice l’Apostolo (Eb 10,23). Come è certo intanto, che Dio è fedele
nelle sue promesse, così deve essere certa ancora la nostra confidenza, che egli ci esaudisca
quando lo preghiamo. E se qualche volta, ritrovandoci forse noi in stato di aridità, o
disturbati da qualche difetto commesso, non proviamo nel pregare quella confidenza
sensibile che vorremmo sentire, sforziamoci ugualmente a pregare, perché Dio non lascerà
di esaudirci. Anzi allora meglio ci esaudirà, poiché allora pregheremo più diffidati da noi, e
solo confidati nella bontà e fedeltà di Dio, il quale ha promesso di esaudire chi lo prega.
Oh, come piace al Signore in tempo di tribolazioni, di timori e di tentazioni il nostro
sperare, anche contro la speranza, cioè contro quel sentimento di diffidenza che proviamo
allora per causa della nostra desolazione. Di ciò l’Apostolo loda il patriarca Abramo: il
quale contro alla speranza credette (Rm 4,18).
Dice S. Giovanni, che chi ripone una ferma confidenza in Dio, certamente si santifica
come egli pure è santo (1 Gv 3,3). Perché Dio fa abbondare le grazie in tutti coloro che in
lui confidano. Con questa confidenza tanti martiri, tante verginelle, tanti fanciulli,
nonostante lo spavento dei tormenti che loro preparavano i tiranni, hanno superato i
tormenti e le sofferenze.
Talvolta, dico, noi preghiamo, ma ci sembra che Dio non voglia ascoltarci; deh, non
lasciamo allora di perseverare a pregare ed a sperare! Diciamo allora con Giobbe:
Quand’anche mi desse la morte, in lui spererò (Gb 13,15). Quasi dicesse: Dio mio,
ancorché mi discacciaste dalla vostra faccia, io non lascerò di pregarvi, e di sperare nella
vostra misericordia. Facciamo così, e ne avremo quel che vorremo dal Signore. Così fece la
donna Cananea, ed essa ottenne tutto ciò che volle da Gesù Cristo. Questa donna, avendo
la sua figlia invasata dal demonio, pregò il Redentore che ne la liberasse: Abbi pietà di me,
Signore, figlio di Davide: mia figlia è malamente tormentata dal demonio (Mt 15,22). Il
Signore le rispose ch’egli non era stato mandato per i Gentili, come ella era, ma per i
Giudei. Ma quella non si perdette d’animo, e ritornò a pregare con confidenza: Signore, voi
potete consolarmi, mi avete da consolare. Replicò Gesù Cristo: Ma il pane dei figli non è
bene darlo ai cani. Ma, Signor mio, ella soggiunse, anche ai cagnolini si dispensano le
briciole di pane che cadono dalla mensa. Allora il Salvatore, vedendo la grande confidenza
di questa donna, la lodò, e le fece la grazia, dicendo: O donna, grande è la tua fede: ti sia
fatto, come desideri. E chi mai, dice l’Ecclesiastico, ha chiamato Dio in suo aiuto, e Dio
l’ha disprezzato e non l’ha soccorso? (Ecli 2,12).
Dice S. Agostino, che la preghiera è una chiave, la quale apre il cielo a nostro bene: nello
stesso punto in cui la nostra preghiera sale a Dio, discende a noi la grazia che domandiamo
(Serm. 47). Scrisse il profeta regale, che vanno unite insieme le nostre suppliche con la
misericordia di Dio: Benedetto Dio, il quale non ha allontanato da me né la mia orazione,
né la sua misericordia (Sal 65,19). E dice il medesimo S. Agostino, che quando noi ci
troviamo pregando il Signore, dobbiamo star sicuri, che egli già ci esaudisce (In Ps. 45).
Ed io, dico la verità, non mai mi sento più consolato nello spirito, e con maggior
confidenza di salvarmi, che quando mi trovo pregando Dio, ed a lui mi raccomando. E lo
stesso penso, che avvenga a tutti gli altri fedeli, poiché gli altri segni della nostra salvezza
sono tutti incerti e fallibili; ma che Dio esaudisca chi lo prega con confidenza, è verità certa
ed infallibile, com’è infallibile, che Dio non può mancare alle sue promesse.
Quando ci vediamo deboli ed impotenti a superare qualche passione o qualche difficoltà,
per eseguire ciò che il Signore da noi domanda, diciamo animosi con l’Apostolo: Tutte le
cose mi sono possibili in Colui che è mio conforto (Fil 4,13). Non diciamo, come dicono
alcuni: Non posso, non mi fido. Con le forze nostre non possiamo certamente niente, ma
col divino aiuto possiamo tutto. Se Dio dicesse ad uno: prendi questo monte sulle tue
spalle, e portalo, perché io ti aiuto; non sarebbe colui uno sciocco, un infedele, se
rispondesse: io non lo voglio prendere, perché non ho forza di portarlo? E così, quando noi
ci conosciamo miseri ed infermi quali siamo, e ci troviamo più combattuti dalle tentazioni,
non ci perdiamo d’animo, alziamo gli occhi a Dio, e diciamo con David: Con l’aiuto del mio
Signore io vincerò, e disprezzerò tutti gli assalti dei miei nemici (Sal 117,7). E quando ci
troviamo in qualche pericolo di offendere Dio, o in altro affare di conseguenza, e confusi
non sappiamo che dobbiamo fare, raccomandiamoci a Dio dicendo: Il Signore è la mia
luce e mia salute: che ho io da temere? (Sal 26,1). E siamo sicuri, che Iddio allora ben ci
illuminerà, e ci salverà da ogni danno.
Anche i peccatori debbono aver fiducia
Ma io sono peccatore, dice taluno, e nella Scrittura si legge: Iddio non esaudisce i
peccatori (Gv 9,31). Risponde S. Tommaso con Sant’Agostino che ciò fu detto dal cieco, il
quale parlava allorché non era stato illuminato ancora perfettamente, e perciò non fa
autorità (2, 2.ae, q. 83, art. 16. ad 1). Per altro, soggiunge l’Angelico, che ciò sta ben detto,
parlando della domanda che fa il peccatore, in quanto è peccatore, cioè quando egli
domanda per desiderio di seguitare a peccare: per esempio, si chiedesse aiuto per
vendicarsi del suo nemico, o per seguire altra sua prava intenzione. E lo stesso dicesi di
quel peccatore che prega Dio a salvarlo, senza avere alcun desiderio di uscire dallo stato di
peccato... Vi sono alcuni infelici che amano le catene, con le quali il demonio li tiene legati
da schiavi. Le preghiere di costoro non sono esaudite da Dio, perché sono preghiere
temerarie e abominevoli. E qual maggior temerità di colui che domanda grazia ad un
principe, che non solo ha più volte offeso, ma che pensa di seguitare ad offendere? E così
s’intende quel che dice lo Spirito Santo, esser detestabile e odiosa a Dio, la preghiera di
colui che volta le orecchie per non ascoltare ciò che Dio comanda (Pro 28,9). A questi tali
dice il Signore: Non occorre che voi mi preghiate, perché io volterò gli occhi da voi, e non vi
esaudirò (Is 1,15). Tale era appunto l’orazione dell’empio re Antioco, che pregava Dio, e
prometteva grandi cose, ma fintamente, e col cuore ostinato nella colpa, pregando solo per
sfuggire il castigo che lo sovrastava: perciò il Signore non diede orecchio alle sue preghiere,
ma lo fece morire roso dai vermi (2 Mc 9,13).
Altri poi che peccano per fragilità, o per impeto di qualche gran passione, o gemono sotto il
giogo del nemico e desiderano di rompere quelle catene di morte ed uscire da quella
misera schiavitù, e perciò domandano aiuto a Dio; l’orazione di costoro, se ella è costante,
ben sarà esaudita dal Signore il quale dice, che ognuno che domanda, riceve, e chi cerca la
grazia, la ritrova (Mt 7,8). Ognuno, spiega l’autore dell’opera imperfetta, o giusto sia o
peccatore (Homil. XVIII). Ed in san Luca, parlando Gesù Cristo di colui che chiede tutti i
pani che aveva all’amico, non tanto per l’amicizia, quanto per la di lui importunità disse: Vi
dico che quando anche non si levasse a darglieli per la ragione che quegli è un suo amico,
si leverà almeno a motivo della sua importunità, e gliene darà quanti gliene bisogna (Lc
11,8). Sicché la preghiera perseverante ottiene da Dio la misericordia anche a coloro che
non sono suoi amici. Quel che non si ottiene per l’amicizia, dice il Crisostomo, si ottiene
per la preghiera. Anzi dice lo stesso Santo che vale più appresso a Dio l’orazione, che
l’amicizia; e che l’orazione compie ciò che l’amicizia non aveva compiuta (Hom. Non esse
desp.). E S. Basilio non dubita, che anche i peccatori ottengono quel che chiedono, se sono
perseveranti in pregare (Const. Monast. c. i.). Lo stesso dice S. Gregorio: Alzi le grida
anche il peccatore, e la sua orazione giungerà a Dio (In Ps. 6, Paenitent.). Lo stesso scrive
san Girolamo, dicendo che anche il peccatore può chiamare Iddio suo Padre, se lo prega ad
accettarlo di nuovo per figlio, con l’esempio del figlio prodigo, che lo chiamava padre.
Padre, ho peccato, ancorché non fosse stato ancora perdonato (Epist. ad Damas. De filio
prod.). Se Dio non esaudisse i peccatori, disse sant’Agostino, invano il Pubblicano
avrebbe domandato il perdono (In Io. tract.). Ma ci attesta il Vangelo, che il Pubblicano
col pregare, ben ottenne il perdono (Lc 18,15).
Ma sopra tutti esamina più a minuto questo punto il Dottore Angelico (2, 2.ae, q. 83, c. 16),
e non dubita di asserire, che anche il peccatore è esaudito, se prega; dicendo, che sebbene
la sua orazione non è meritoria, ha nondimeno la forza d’impetrare; poiché l’impetrazione
non si appoggia alla giustizia, ma alla divina bontà. Così appunto pregava Daniele: Porgi,
Dìo mio, il tuo orecchio e ascolta... poiché sulla fidanza non della nostra giustizia, ma delle
molte tue misericordie, queste preci umiliamo davanti alla tua faccia (Dn 9,18). Allorché
dunque preghiamo, dice S. Tommaso, non è necessario l’essere amici di Dio, per
impetrarne le grazie che cerchiamo; la stessa preghiera ci rende suoi amici (Comp. Theol.
p. 2, c. 2). Inoltre aggiunge S. Bernardo una bella ragione, dicendo che tal preghiera del
peccatore di uscire dal peccato, nasce dal desiderio di tornare in grazia di Dio; or questo
desiderio è un dono che, certamente non gli viene dato da altri, che da Dio medesimo. A
che dunque, dice poi il Santo, darebbe Iddio al peccatore un tal desiderio, se non volesse
esaudirlo? E ben di ciò ve ne sono tanti esempi nelle stesse divine Scritture, di peccatori
che pregando sono stati liberati dal peccato. Così fu liberato il re Acab (1 Re 21). Così il re
Manasse (1 Sam 33). Così il re Nabucco (Dn 6). Così il buon ladrone. Gran cosa e gran
valore della preghiera! Due peccatori muoiono sul Calvario accanto a Gesù Cristo, uno
perché prega (ricordati di me) (Lc 23,42), si salva; l’altro perché non prega, si danna!
Insomma dice il Crisostomo (Hom. De Moyse): Nessun peccatore pentito ha pregato il
Signore e non ha ottenuto quanto ha desiderato. Ma che servono più autorità e ragioni a
ciò dimostrare, mentre Gesù medesimo dice: Venite a me tutti voi che siete affaticati e
aggravati, e io vi ristorerò’? (Mt 11,28). Per aggravati, s’intendono comunemente, secondo
S. Gìrolamo, S. Agostino ed altri, i peccatori che gemono sotto il peso delle loro colpe, i
quali ricorrendo a Dio ben saranno da lui, giusta tal promessa, ristorati e salvati colla sua
grazia. Ah! che non tanto noi, dice S. Giovanni Crisostomo, desideriamo d’esser perdonati,
quanto anela Dio di perdonarci! (In act., Hom. 36). Non vi è grazia, soggiunge il Santo, che
non si ottenga colla preghiera, ancorché questa si faccia da un peccatore il più perduto che
sia, se ella è perseverante (Hom. 33 in Matth.). E notiamo quel che dice San Giacomo: Se
alcuno è bisognoso di sapienza, la chieda a Dio, che dà a tutti abbondantemente, e nol
rimprovera (Gc 1,5). Tutti coloro adunque che ricorrono coll’orazione a Dio, egli non lascia
d’esaudirli e di colmarli di grazie: dà a tutti abbondantemente. Ma si faccia special
riflessione alla parola che segue: e nol rimprovera. Ciò significa che non fa Iddio come
fanno gli uomini, che quando viene a domandare loro qualche favore, taluno, che prima in
qualche occasione li ha offesi, subito gli rimproverano l’oltraggio da lui ricevuto. Non fa
così il Signore con chi lo prega, fosse anche il maggior peccatore del mondo, quando gli
domanda qualche grazia utile alla sua eterna salute, non gli rimprovera già i disgusti che
ha dati, ma come se non l’avesse mai offeso, subito l’accoglie, lo consola, l’esaudisce, e
abbondantemente l’arricchisce dei suoi doni. Sopra tutto per animarci a pregare, il
Redentore dice: In verità, in verità vi dico, che qualunque cosa voi domandiate al Padre
nel nome mio, ve la concederà (Gv 16,23). Come dicesse: Orsù peccatori, non vi
disanimate, non fate che i vostri peccati vi trattengano di ricorrere al mio Padre, e di
sperare da esso la vostra salute, se la desiderate. Voi non avete già i meriti di ottenere le
grazie che chiedete, ma solo avete demeriti per ricevere castighi; fate così, andate al Padre
in nome mio, per i meriti miei chiedete le grazie che volete, ed io vi prometto e vi giuro, in
verità, in verità vi dico (dice sant’Agostino esser questa una specie di giuramento), che
quanto domanderete, il mio Padre vi concederà. O Dio! e qual maggior consolazione può
avere un peccatore dopo le sue rovine, che sapere con certezza che quanto chiederà a Dio
in nome di Gesù Cristo, tutto riceverà?
Dico, tutto, circa la salute eterna, perché intorno ai beni temporali già abbiamo detto di
sopra che il Signore, anche pregato, alle volte non ce li concede, vedendo che tali beni ci
nuocerebbero all’anima. Ma in quanto ai beni spirituali la sua promessa di esaudirci non è
condizionata, ma assoluta; e perciò esorta S. Agostino che quelle cose che Dio
assolutamente promette, noi dobbiamo domandarle con sicurezza di riceverle (Serm. 354,
E. B.). E come mai, scrive il Santo, può negarci qualcosa il Signore, allorché noi lo
preghiamo con confidenza, quando desidera più esso di dispensarci le sue grazie, che noi
di averle? (Serm. 105).
Dice il Crisostomo che il Signore si adira con noi solo quando noi trascuriamo di cercargli i
suoi doni (In Matth., Hom. 23). E come mai può succedere che Iddio non voglia esaudire
un’anima, che gli cerca cose tutte di suo gusto? Quando l’anima gli dice: Signore, io non vi
cerco beni di questa terra, ricchezze, piaceri, onori; ma solo vi domando la grazia vostra,
liberatemi dal peccato, datemi una buona morte, datemi il Paradiso, datemi il Santo amor
vostro (ch’è quella grazia, come dice san Francesco di Sales, che deve chiedersi a Dio sopra
tutte le altre), datemi rassegnazione nella vostra volontà; com’è possibile che Dio non
voglia esaudirla? E quali domande mai, dice sant’Agostino, esaudirete voi, mio Dio, se non
esaudirete queste che sono tutte secondo il vostro cuore? (De Civ. Dei, LXXII. c. 8). Ma
sopra tutto deve ravvivarsi la nostra confidenza, allorché chiediamo a Dio le grazie
spirituali, ciò che disse Gesù Cristo. Se voi, dice il Redentore (Lc 11,13), che siete così
cattivi, così attaccati ai vostri interessi, perché pieni d’amor proprio, non sapete negare
ai vostri figli ciò che vi domandano; quanto più il vostro Padre celeste, che vi ama più
d’ogni padre terreno, vi concederà i beni spirituali, allorché voi lo pregherete?
V. - PREGARE CON PERSEVERANZA
Necessità della perseveranza
E’ necessario dunque che le nostre preghiere siano umili e confidenti; ma ciò non basta per
conseguire la perseveranza finale e con quella la salute eterna. Le preghiere particolari
otterranno bensì le particolari grazie che a Dio si chiederanno, ma se non sono
perseveranti, non otterranno la perseveranza finale, la quale, perché contiene il cumulo di
molte grazie insieme, richiede moltiplicate preghiere, e continuate sino alla morte. La
grazia della salute non è una sola grazia, ma una catena di grazie, le quali tutte poi si
uniscono con la grazia della perseveranza finale. Ora a questa catena di grazie deve
corrispondere un’altra catena, per così dire, delle nostre preghiere. Se noi trascurando di
pregare spezziamo la catena delle nostre preghiere, si spezzerà ancora la catena delle grazie
che ci devono ottenere la salute e non ci salveremo.
E’ vero che la perseveranza finale non si può da noi meritare, come insegna il Concilio di
Trento, dicendo: Non può ottenersi da nessun altro, se non da Colui che ha la potenza di
rendere stabile quello che sta, acciocché perseverantemente stia (Sess. VI. c. 13).
Nulladimeno, dice S. Agostino, che questo gran dono della perseveranza in qualche modo
ben può meritarsi con le preghiere, cioè pregando impetrarsi (De dono persev. e. 6). E
soggiunge il P. Suarez, che chi prega infallibilmente l’ottiene. Ma per ottenerlo e salvarsi,
dice san Tommaso, è necessaria una perseverante e continua preghiera (P. 3. q. 39, a. 5). E
prima lo disse più volte il nostro medesimo Salvatore: Bisogna sempre orare, né mai
stancarsi (Lc 18,1). Vegliate adunque in ogni tempo, pregando di essere fatti degni di
schivare tutte queste cose che debbono avvenire; e di star con fiducia dinanzi al Figliolo
dell’Uomo (Lc 21,36). Lo stesso sta detto prima nel Vecchio Testamento: Nessuna cosa ti
ritenga dal sempre orare (Ecli 18,22). Benedici Dio in ogni tempo e pregalo, che regga i
tuoi andamenti (Tb 4,20). Quindi l’Apostolo inculcava ai suoi discepoli, che non
lasciassero mai di pregare: Orate senza interruzione (1 Ts 5,17). Siate perseveranti
nell’orazione, vegliando in essa (Col 4,2). Bramo adunque che gli uomini preghino in
ogni luogo (1 Tm 2,8). Il Signore certamente vuole dare la perseveranza, e la vita eterna.
Ma dice S. Nilo, non vuol concederla se non a chi perseverantemente gliela domanda (De
orat., c. XXXII). Molti peccatori con l’aiuto della grazia giungono a convertirsi a Dio, ed a
ricevere il perdono; ma poi perché lasciano di cercare la perseveranza, tornano a cadere e
perdono tutto.
Occorre chiedere di continuo la perseveranza finale
Né basta, dice il Bellarmino, chieder la grazia della perseveranza una volta o poche volte;
dobbiamo cercarla sempre, in ogni giorno sino alla morte, se vogliamo ottenerla. Chi la
cerca in un giorno, per quel giorno l’otterrà; ma se non la cerca nel domani, domani cadrà.
E ciò è quel che vuole darci ad intendere il Signore nella parabola di quell’amico, che non
volle dare i pani a colui che glieli domandava, se non dopo molte ed importune richieste,
dicendo: Quando anche non si levasse a darglieli per la ragione, che quegli è suo amico,
si leverà almeno a motivo della sua importunità, e gliene darà quanti gliene bisogna (Lc
11,8). Ora se un tale amico, dice S. Agostino, solo per liberarsi dell’importunità di lui, gli
darebbe anche contro sua voglia i pani che chiede; quanto più Dio, ch’essendo bontà
infinita ha tanto desiderio di comunicarci i suoi beni, ci donerà le sue grazie, quando
gliene cerchiamo? (Serm. 61). Tanto più che Egli stesso ci esorta a chiederle, e gli dispiace
se non le domandiamo. Ben vuole dunque il Signore concederci la salute e tutte le grazie
per quella, ma vuole che noi non lasciamo di continuamente domandargliele sino
all’importunità. Dice Cornelio a Lapide sul citato Evangelo: Dio vuole che perseveriamo
nell’orazione sino a renderci importuni. Gli uomini della terra non possono sopportare gli
importuni, ma Dio non solo ci sopporta, ma ci desidera importuni in cercargli le grazie, e
specialmente la santa perseveranza. Dice S. Gregorio, che Dio vuole che gli si faccia
violenza con le preghiere, poiché una tal violenza non già lo sdegna, ma lo placa (In Ps. 6,
Poenit.).
Sicché per ottenere la perseveranza, bisogna che ci raccomandiamo sempre a Dio, la
mattina, la sera, nella Meditazione, nella Messa e nella Comunione. E specialmente in
tempo di tentazione, con dire, e replicare: Signore, aiutami, tienimi le mani sopra, non mi
abbandonare, abbi pietà di me. Vi è cosa più facile di questa, che dire: Signore, aiutami,
assistimi? Sulle parole del Salmista: Meco avrò l’orazione a Dio, che è mia vita (Sal 41,8),
dice la Glossa: Taluno dirà: non posso digiunare. fare elemosina. Ove gli si dica, prega; non
può similmente rispondere; perché non v’è cosa più facile che il pregare. Ma bisogna che
non lasciamo mai di pregare, bisogna che continuamente facciamo, per così dire, forza a
Dio, affinché ci soccorra, ma forza che gli è cara e gradita. Questa violenza è grata a Dio
(Apol. c. 29), scrisse Tertulliano. E S. Girolamo disse, che le nostre preghiere, quanto sono
più perseveranti ed importune tanto più sono accette a Dio (Hom. in Matth.).
Beato quell’uomo, dice Dio, che mi ascolta, e vigila continuamente alle porte della mia
misericordia (Pro 7,34). Ed Isaia dice: Beati coloro che sino alla fine aspettano pregando,
la loro salute dal Signore (Is 30, 18). Perciò nel Vangelo ci esorta Gesù Cristo a pregare, ma
in qual modo? Chiedete, e vi sarà dato: cercate, e troverete: picchiate, e vi sarà aperto
(Lc 11,9). Bastava aver detto chiedete: che serviva aggiungere quel cercate, e picchiate? Ma
no, che non fu superfluo l’aggiungerli; con ciò ha voluto il Redentore insinuarci, che noi
dobbiamo fare, come fanno i poveri che vanno mendicando: questi se non ricevono
l’elemosina che chiedono e sono licenziati, non lasciano di domandarla, e di tornarla a
chiedere, e se più non comparisse il padrone della casa, si mettono a bussare le porte, sino
a rendersi molto importuni e molesti. Ciò vuole Dio che facciamo ancor noi: che
preghiamo, e torniamo a pregare, e non lasciamo mai di pregare che ci assista, che ci
soccorra, che ci dia luce, ci dia forza, e non permetta che mai abbiamo a perdere la sua
grazia.
Dice il dotto Lessio che non può esser scusato da colpa grave chi non prega stando in
peccato, o in pericolo di morte; o pure chi per notabile tempo trascura di pregare, cioè
(come dice) per uno o due mesi. Ma ciò s’intende fuori del tempo di tentazioni; poiché chi
si ritrova combattuto da qualche grave tentazione egli senza dubbio pecca, gravemente, se
non ricorre per resistere a quella, vedendo che altrimenti si mette a prossimo, anzi certo
pericolo di cadere.
Motivi per cui Dio differisce di concederci la perseveranza finale
Ma dirà taluno: giacché il Signore può e vuole darmi la santa perseveranza, perché non me
la concede tutta in una volta, quando gliela domando? Sono molte le ragioni che ne
assegnano i santi Padri. Iddio non la concede in una volta, e la differisce: primieramente
per meglio provare la nostra confidenza; inoltre, dice S. Agostino, acciocché maggiormente
noi la sospiriamo. Scrive il Santo che i doni grandi richiedono gran desiderio giacché i beni
presto ricevuti non si tengono poi in quel pregio, che si tengono quelli che per lungo tempo
sono stati desiderati (Serm. 61). Inoltre lo fa, acciocché noi non ci scordiamo di Lui: se noi
stessimo sicuri già della perseveranza e della nostra salute, e non avessimo continuo
bisogno dell’aiuto di Dio, per conservarci nella sua grazia e salvarci, facilmente ci
scorderemmo di Dio. Il bisogno fa che i poveri frequentino le case dei ricchi. Onde il
Signore per tirarci a sé, come dice S. Giovanni Crisostomo, per vederci spesso ai piedi suoi,
affinché possa così maggiormente beneficarci, a questo fine si trattiene di darci la grazia
compita della salute sino al tempo della nostra morte (Hom. XXX in Gen.). Inoltre lo fa,
secondo lo stesso Crisostomo, affinché noi col proseguire nella preghiera ci stringiamo
maggiormente a Lui con dolci legami d’amore (In Ps. 4). Quel continuo nostro ricorrere a
Dio con le preghiere, e quell’aspettare con confidenza da Lui le grazie che desideriamo, oh,
che grande incentivo e vincolo d’amore egli è, per infiammarci e legarci più strettamente
con Dio!
Ma sino a quando si ha da pregare? Sempre, risponde il medesimo Santo, sino che
riceviamo la sentenza favorevole della salute eterna, vale a dire sino alla morte: Non
cessare (di pregare), finché non ottieni (Hom. XXIV in Matth.). E soggiunge che colui il
quale dice: Io non lascerò di pregare fintanto che non mi salvo, quegli certamente si
salverà. Se dirai: se non otterrò, non cesserò (dal pregare), certamente otterrai. Scrive
l’Apostolo, che molti corrono al pallio, ma quell’uomo solamente lo riceve, che giunge a
prenderlo: Non sapete voi che quelli che corrono nello stadio, corrono veramente tutti,
ma uno solo riporta la palma? Correte in guisa da far vostro il premio (1 Cr 9,24). Non
basta dunque il pregare per salvarci, bisogna che preghiamo sempre, finché arriviamo a
ricevere la corona che Dio promette, ma promette solamente a coloro che sono costanti a
pregarlo sino alla fine.
Conclusione: che non dobbiamo mai cessare di pregare
Sicché se vogliamo salvarci, dobbiamo fare come faceva Davide, che teneva sempre gli
occhi rivolti al Signore, per implorare il suo soccorso, e non restare vinto dai suoi nemici:
Gli occhi miei sono sempre rivolti al Signore: perché egli trarrà dai lacci i miei piedi (Sal
24,15). Siccome il demonio, non lascia di tenderci continue insidie per divorarci, secondo
quel che scrive san Pietro (1 Pt 5,8), così dobbiamo noi continuamente star con le armi alla
mano, per difenderci da un tal nemico, e dire col Profeta regale: Io non lascerò mai di
combattere, sino a tanto che non vedrò sconfitti i miei avversari (Sal 17,37). Ma come
potremo noi ottenere questa vittoria, così per noi importante e così difficile? Solo con le
preghiere, ci risponde sant’Agostino, ma preghiere perseverantissime. E sino a quando?
Sino che durerà il combattimento. Siccome di continuo dobbiamo combattere, così, dice S.
Bonaventura, di continuo dobbiamo chiedere a Dio l’aiuto per non essere vinti (De uno
conf. Serm. 5). Guai, dice il Savio, a chi in questa battaglia lascia di pregare! (Ecli 2,16). Noi
ci salveremo, ci avvisa l’Apostolo, ma con questa condizione: se saremo costanti a pregare
sempre con confidenza sino alla morte (Eb 3,6).
Diciamo dunque con lo stesso Apostolo, animati dalla misericordia di Dio, e dalle sue
promesse: chi avrà da dividerci dall’amore di Gesù Cristo? Forse la tribolazione, il pericolo
di perdere i beni di questa terra? le persecuzioni dei demoni o degli uomini? i tormenti dei
tiranni? (Rm 8,35). No, egli diceva, niuna tribolazione, niuna angustia, pericolo,
persecuzione o tormento potrà mai separarci dall’amore di Cristo: perché vinceremo tutto
col divino aiuto, e combattendo per amore di quel Signore che ha data la vita per noi (Rm
8,37).
Il P. Ippolito Denazzo in quel giorno in cui risolse di lasciar la prelatura di Roma, e di darsi
tutto a Dio, con l’entrare nella Compagnia di Gesù, temendo della sua infedeltà per causa
della debolezza, diceva a Dio: Signore, or che mi sono dato tutto a voi, per pietà non mi
abbandonate. Ma sentì dirsi da Dio nel suo cuore: Tu non mi abbandonare. Più presto, gli
diceva Iddio, io dico a te che non mi lasci. E così finalmente il servo di Dio, confidato nella
divina bontà e nel suo aiuto, concluse dicendo: Dunque, mio Dio, voi non lascerete me, ed
io non lascerò voi.
Se vogliamo in conclusione che Dio non ci lasci, non dobbiamo lasciar noi di pregarlo
sempre a non abbandonarci. Facendo così certamente egli sempre ci assisterà, e non
permetterà mai che lo perdiamo, e ci separiamo dal suo amore. Ed a questo fine non
solamente procuriamo di chiedere sempre la perseveranza finale, e le grazie necessarie per
ottenerla, ma cerchiamo nello stesso tempo la grazia di seguire a pregare. Questo fu
appunto quel gran dono che egli promise ai suoi eletti per bocca del Profeta: E spanderò
sopra la casa di Davide, sopra Gerusalemme lo spirito di grazia e di orazione (Zc 12,10).
Oh che grazia grande è lo spirito delle preci, cioè la grazia che Dio concede ad un’anima di
sempre pregare! Non lasciamo adunque di chiedere sempre a Dio questa grazia, e questo
spirito di preghiera, perché se pregheremo sempre, otterremo certamente dal Signore la
perseveranza, ed ogni altro dono che desideriamo, poiché non può mancare la sua
promessa di esaudire chi lo prega. Con questa speranza di sempre pregare, possiamo
tenerci per salvi (Rm 8,24). Questa speranza, diceva il Venerabile Beda, ci darà l’entrata
sicura nella Città del Paradiso (In Solemn. omn. Ss. Hom. 2).
ESERCIZI DEVOTI DA PRATICARSI
Dal
Regolamento di vita d’un cristiano
e
La vera sposa dì Cristo
di sant’Alfonso
Sarà molto bene che i genitori, maestri e maestre facciano imparare a memoria questi Atti
ai figlioli e alle figliole, acciocché li facciano poi in tutta la vita.
Atti da farsi ogni mattino
In alzarsi la mattina faccia il segno della croce, e poi dica:
Mio Dio, vi adoro e v’amo con tutto il mio cuore.
Vi ringrazio di tutti i benefici, e specialmente di avermi conservato in questa notte.
Vi offro quanto farò e patirò in questo giorno, in unione delle azioni e patimenti di Gesù e
di Maria, con intenzioni di acquistare tutte le indulgenze che posso.
Propongo di fuggire ogni peccato, e specialmente il tale... (è bene si faccia il proposito
particolare su quel difetto, dove si suole più spesso cadere), e vi prego per l’amore di Gesù
a darmi la perseveranza. Propongo, particolarmente nelle cose contrarie di uniformarmi
alla vostra santa volontà, con dir sempre: Signore, sia fatto quel che volete voi.
Gesù, mio tenetemi la vostra santa mano sul capo. Maria SS., custoditemi voi sotto il
vostro manto. E voi, Eterno Padre, aiutatemi per amore di Gesù e di Maria. Angelo mio
Custode, Santi miei avvocati, assistetemi.
Un Pater, Ave e Credo, con tre Ave alla purità di Maria.
Cominciando a lavorare o studiare, dica: Signore, vi offerisco questa fatica.
Andando a mensa: Dio mio, benedite questo cibo e me, acciocché io non vi commetta
difetto, e tutto sia a gloria vostra.
Dopo il pranzo: Vi ringrazio, Signore, di aver fatto bene a chi vi è stato nemico.
Quando suona l’ora: Gesù mio, vi amo; non permettete che io vi offenda, né ch’io mai
m’abbia a separare da voi.
Nelle cose avverse: Signore, così avete voluto voi; così voglio.
In tempo di tentazioni replichi spesso: Gesù e Maria.
Quando conosce o dubita di qualche difetto o peccato commesso dica subito:
Dio mio, me ne pento, per aver offeso voi, bontà infinita; non voglio farlo più. E se è stato
peccato grave subito se ne confessi.
Atti da farsi ogni sera
Prima di porvi a riposare, fate l’esame della coscienza in questo modo:
1. ringraziare primieramente Dio di tutti i benefici ricevuti;
2, indi dare un’occhiata a tutte le azioni fatte e alle parole dette nella giornata, pentendovi
di tutti i difetti commessi;
3 poi fate gli atti cristiani: di fede, di speranza, di carità, dì dolore. E terminate il tutto con
il dire il Rosario e le Litanie della SS. Vergine.
Modo di sentire la Messa
Per sentire con devozione la Messa bisogna intendere che il Sacrificio dell’altare è lo stesso
che si fece un giorno sul Calvario, con questa differenza che ivi si sparse realmente il
Sangue di Gesù Cristo, e qui si sparge solo misticamente. Se voi vi foste trovato allora sul
Calvario, con qual devozione e tenerezza avreste assistito a quel grande Sacrificio!
Ravvivate dunque la fede e pensate che la stessa azione di allora si fa sull’altare, e che tal
sacrificio non solo si offre dal sacerdote, ma da tutti gli assistenti: sicché in certo modo
tutti fanno l’ufficio di sacerdoti nel dirsi la Messa, nella quale si applicano a noi in
particolare i meriti della Passione del Salvatore.
Inoltre bisogna sapere che per quattro fini è stato istituito il Sacrificio della Messa:
1. per onorare Dio;
2. per soddisfare ai nostri peccati;
3. per ringraziarlo dei benefici;
4. per ottenere le grazie.
E’ bene dunque dividere la Messa in quattro parti.
l. Dal principio sino alla fine del Vangelo.
Offrite quel Sacrificio a Dio per onorarlo, dicendo così:
Mio Dio, adoro la vostra maestà infinita; vorrei onorarvi come voi meritate; ma quale
onore posso darvi io, misero peccatore? vi offro l’onore che vi rende Gesù su questo altare.
2. Dal Vangelo sino all’Elevazione.
Offrite il Sacrificio in soddisfazione dei vostri peccati, dicendo: Signore, io detesto e mi
pento sopra ogni male di tutti i disgusti che vi ho dati. In soddisfazione di essi offro il
vostro Figlio che di nuovo si sacrifica per noi su quest’altare; e per i meriti suoi vi prego a
perdonarmi e a darmi la santa perseveranza.
3. Dall’Elevazione sino alla Comunione.
Offrite Gesù all’Eterno Padre in ringraziamento di tutte le grazie che v’ha fatte, dicendo:
Signore, io non ho come ringraziarvi; vi offro il Sangue di Gesù Cristo in questa Messa e in
tutte le Messe che attualmente si celebrano sulla terra.
4. Dalla Comunione sino alla fine.
Domanderete con confidenza le grazie che vi bisognano, e specialmente il dolore dei
peccati, la perseveranza e l’amor divino; e raccomanderete a Dio specialmente i vostri
parenti, i peccatori e le anime del purgatorio.
Io già non riprovo che nella Messa diciate anche le vostre orazioni vocali; ma nello stesso
tempo vorrei che non lasciate di rendere a Dio i mentovati quattro debiti, di onore, di
soddisfazione, di ringraziamento e di preghiera. E vi prego di sentir quante Messe potete.
Ogni Messa, intesa nel modo che vi ho presentato, vi frutterà un tesoro di meriti.
Apparecchio alla Confessione
Prima di confessarsi il penitente domandi lume a Dio, acciocché gli faccia
conoscere i peccati commessi, e gli dia grazia di averne un vero dolore e
proposito di emendarsi. E in modo particolare si raccomandi a Maria
Addolorata, affinché gli impetri tal dolore. Indi farà i seguenti atti:
Atto prima della Confessione
O Dio d’infinita maestà, ecco ai piedi vostri il traditore che vi ha tornato ad offendere, ma
ora umiliato vi cerca il perdono. Signore, non mi discacciate. Voi non disprezzerete un
cuore che s’umilia. Vi ringrazio che mi avete aspettato sino a questo punto e non mi avete
fatto morire in peccato, mandandomi all’inferno come io meritavo. Spero, Dio mio, mentre
mi avete aspettato, che per i meriti di Gesù Cristo mi perdoniate in questa confessione
tutte le offese che vi ho fatte, delle quali, perché mi ho meritato l’inferno e perduto il
Paradiso, me ne pento e mi addoloro. Ma sopra tutto, non tanto per l’inferno meritato,
quanto perché ho offeso voi, bontà infinita, me ne dispiace con tutta l’anima mia. Io vi
amo, o Sommo bene; e perché vi amo, mi dolgo di tutte le ingiurie che vi ho fatte. Io vi ho
voltate le spalle, vi ho perduto il rispetto, disprezzata la vostra grazia, la vostra amicizia;
insomma, Signore, volontariamente, vi ho perduto. Perdonatemi, per amor di Gesù Cristo,
tutti i peccati miei mentre io me ne pento con tutto il cuore, li odio, li detesto e li abbomino
sopra ogni male. E mi pento non solo dei peccati mortali, ma anche de’ veniali, perché
ancora questi sono stati di vostro disgusto. Propongo per l’avvenire con la grazia vostra, di
non offendervi più volontariamente. Sì, mio Dio, prima morire, che mai più peccare!
Se si è confessato di qualche peccato in cui è recidivo è bene che faccia
proposito particolare di non cadervi più, con promettere di fuggire
l’occasione e di pigliare i mezzi dati dal confessore, o che egli da se stesso
giudica più efficaci per emendarsi.
Atto dopo la Confessione
Caro mio Gesù, quanto sono obbligato! Per i meriti del vostro sangue spero oggi di essere
già perdonato: Ve ne ringrazio sommamente. Spero di venire in cielo a lodare per sempre
le vostre misericordie. Dio mio, se finora tante volte vi ho perduto, io non vi voglio perdere
più. Dio, oggi avanti voglio cambiare vita veramente. Voi meritate tutto il mio amore; io vi
voglio amare davvero; non voglio vedermi più separato da voi. Io già vi ho promesso, ora vi
torno a promettere di voler prima morire che offendervi. Vi prometto ancora di fuggirne
l’occasione e di prendere il tal mezzo (determinate quale) per non più cadere. Ma, Gesù
mio, voi sapete la mia debolezza; datemi la grazia d’esservi fedele sino alla morte e di
ricorrere a voi quando sarò tentato.
Maria SS., aiutatemi; voi siete la Madre della perseveranza, in voi stanno le speranze mie.
Apparecchio alla santa Comunione
Non vi è mezzo più efficace per liberarsi dai peccati, per avanzarsi nel divino
amore che la S. Comunione. Ma perché dunque alcune anime con tante
Comunioni si trovano sempre con la stessa tiepidezza, con gli stessi difetti?
Ciò avviene per la poca disposizione e poco apparecchio che vi portano. Due
cose per questo apparecchio sono necessarie. La prima è togliere dal cuore
quegli affetti che sono di impedimento all’amor divino. La seconda è avere un
gran desiderio di amare Iddio. E questa, dice S. Francesco di Sales, ha da
essere la principale intenzione nel comunicarsi, di crescere cioè nel divino
amore. Solo per amore, dice il Santo, deve riceversi un Dio che per solo
amore a noi si dona. Perciò si facciano i seguenti atti.
Atti prima della Comunione
Amato mio Gesù, vero figlio di Dio, che per me un giorno moriste in croce in un mare di
dolori e di disprezzi, io fermamente credo che state nel SS. Sacramento e per questa fede
sono pronto a dar la vita.
Caro mio Redentore, io spero nella vostra bontà e nei meriti del vostro sangue, che
venendo a me questa mattina mi accendiate tutto del vostro santo amore e mi doniate tutte
quelle grazie che mi bisognano per essere ubbidiente e fedele sino alla morte.
Ah! mio Dio, vero e unico amante dell’anima mia; che più potevate voi fare per obbligarmi
ad amarvi? Non vi è bastato, amor mio, di morire per me; avete voluto di più istituire il SS.
Sacramento e farvi cibo mio per donarvi tutto a me, e così stringervi ed unirvi tutto con
una creatura così ingrata come sono io. E voi stesso mi invitate a ricevervi e tanto
desiderate che io vi riceva.
O amore immenso! - un Dio darsi tutto a me! - O Dio mio, o amabile infinito, degno
d’amore infinito, io vi amo sopra ogni cosa, vi amo con tutto il cuore, vi amo più di me
stesso, più della vita mia; vi amo perché ve lo meritate, e vi amo ancora per compiacervi,
giacché tanto desiderate l’amor mio. Uscite dall’anima mia, affetti terreni; solo a voi, Gesù
mio, mio tesoro, mio tutto, vi voglio dare tutto il mio amore. Voi in questa mattina vi date
tutto a me; io mi do a voi. Accettatemi ad amarvi, mentre io non voglio altro che voi. Vi
amo, o mio Redentore, ed unisco il mio misero amore all’amore che vi portano gli Angeli
ed i Santi e che vi porta Maria vostra Madre e il vostro Eterno Padre. O potessi io farvi
amare quanto voi meritate! Ecco, o Gesù mio, che già mi accosto a cibarmi delle vostre
sacrosante carni. Ah Dio mio, e chi sono io? e chi siete voi? Voi siete un Signore d’infinita
bontà ed io sono un verme schifoso, lordo di tanti peccati, che tante volte vi ho discacciato
dall’anima mia. Signore, io non sono degno neppure di stare alla vostra presenza. Ma voi
per vostra bontà mi chiamate a ricevervi; ecco già vengo, umiliato e confuso per tanti
disgusti che vi ho dati, ma tutto confidato nella vostra pietà e nell’amore che mi portate.
Quanto mi dispiace, o amabile mio Redentore, d’avervi tanto oltraggiato per il passato! Voi
siete giunto a dar la vita per me, ed io tante volte ho disprezzato la vostra grazia e il vostro
amore e vi ho cambiato per niente. Mi pento e mi dispiace con tutto il cuore più d’ogni
male, ogni offesa che vi ho fatto, grave o leggera, perché è stata offesa di voi, bontà infinita.
Io spero che mi avete già perdonato; ma se non mi avete perdonato ancora, perdonatemi,
Gesù mio, prima che vi riceva. Deh, ricevetemi presto nella vostra grazia, giacché volete
venire tra breve ad alloggiare dentro di me.
Venite dunque, Gesù mio, venite nell’anima mia che vi desidera, unico ed infinito mio
bene, mia vita, mio amore, mio tutto; io vorrei ricevervi questa mattina con quell’amore
con cui vi hanno ricevuto le anime più innamorate di voi, e con quel fervore con cui vi
riceveva la vostra SS. Madre.
O Vergine beata e madre mia Maria, datemi voi il vostro Figlio, dalle vostre mani intendo
di riceverlo. Ditegli che io sono il vostro servo, che così egli con più amore mi stringerà al
suo cuore ora che viene a me.
Atti dopo la santa Comunione
Il tempo dopo la Comunione è tempo prezioso da guadagnare tesori di grazie,
poiché gli atti e le preghiere allora, stando l’anima unita con Gesù Cristo,
hanno altro merito e valore che fatti in altro tempo. Scrive S. Teresa che il
Signore sta allora nell’anima come in trono di misericordia e le dice: Figlia,
cercami quel che vuoi: a questo fine io sono venuto in te per farti bene. Oh,
quali favori speciali ricevono quelli che si trattengono a parlare con Gesù
Cristo, dopo la Comunione! Il P. Giovanni d’Avila dopo la Comunione non
lasciava mai di trattenersi due ore in orazione. E S. Luigi Gonzaga se ne stava
tre giorni a ringraziare Gesù Cristo. Faccia dunque la persona i seguenti atti e
procuri in tutto il resto del giorno di seguire con affetti e preghiere di
mantenersi unita con Gesù che la mattina ha ricevuto.
Ecco, Gesù mio, già siete venuto! Ora state dentro di me e già siete fatto tutto mio. Siate il
benvenuto, amato mio Redentore! lo vi adoro e mi butto ai piedi vostri, ed ancora vi
abbraccio, vi stringo al mio cuore e vi ringrazio d’esservi degnato di entrare nel petto mio.
O Maria, o Santi avvocati, o Angelo mio custode ringraziatelo voi per me. Giacché dunque,
o divino mio Re, siete venuto a visitarmi con tanto amore, io vi dono la mia volontà, la mia
libertà e tutto me stesso. Voi tutto a me vi siete donato; io tutto a voi mi dono. Io non
voglio più esser mio; da oggi innanzi voglio esser vostro e tutto vostro. Tutta vostra voglio
che sia l’anima mia, il corpo mio, le mie potenze, i sensi miei, acciocché tutti s’impieghino
in servirvi e darvi gusto. A voi consacro tutti i miei pensieri, i miei desideri, gli affetti miei,
tutta la mia vita. Basta Gesù mio, quanto vi ho offeso; la vita che mi resta, io voglio
spenderla tutta in amare voi che mi avete tanto amato.
Accettate, o Dio dell’anima, il sacrificio che vi fa questo misero peccatore che altro non
desidera che amarvi e compiacervi. Fate voi in me e disponete di me e di tutte le cose mie
come vi piace. Distrugga in me il vostro amore tutti gli affetti che a voi non piacciono,
acciocché io sia tutto vostro, e viva solo per darvi gusto.
Io non vi cerco beni di terra, non piaceri, non onori; datemi, vi prego, per i meriti della
vostra Passione, o Gesù mio, un continuo dolore dei miei peccati; datemi la vostra luce,
che mi faccia conoscere la vanità de’ beni mondani e il merito che voi avete d’essere amato.
Distaccatemi dagli attacchi alla terra e legatemi tutto al vostro santo amore, affinché la mia
volontà altro non voglia se non quello che volete voi. Datemi pazienza e rassegnazione nelle
infermità, nella povertà e in tutte le cose contrarie al mio amor proprio. Datemi
mansuetudine verso chi mi disprezza. Datemi una santa morte. Datemi il vostro santo
amore. E sopra tutto vi prego di donarmi la perseveranza nella grazia vostra fino alla
morte. O Eterno Padre, Gesù vostro figlio mi ha promesso che voi mi darete tutto ciò che vi
domando in suo nome. In nome dunque e per i meriti di questo Figlio vi domando il vostro
amore e la santa perseveranza, acciocchè un giorno venga ad amarvi con tutte le vostre
misericordie, sicuro di non avere più a separarmi da voi.
O Maria Santissima, Madre e speranza mia, impetratemi voi quelle grazie che desidero; ed
ottenetemi voi stessa che io vi ami assai, Regina mia, e sempre mi raccomandi a voi in tutti
i miei bisogni.
Viva Gesù nostro Amore e Maria nostra Speranza.
S. Alfonso Maria de Liguori
Ristretto del modo di fare orazione mentale
Introduzione.
692. Negli Esercizi Spirituali, S. Ignazio propone parecchi metodi di meditazione, secondo gli argomenti su
cui si medita e i risultati che si vogliono ottenere. Il metodo che è generalmente più conveniente
agl'incipienti è il metodo delle tre potenze, che si chiama così perchè vi si esercitano le tre principali facoltà:
la memoria, l'intelletto e la volontà. Si trova esposto nella prima settimana a proposito della meditazione sul
peccato.
693. 1° Principio della meditazione. Comincia con una preghiera preparatoria, con cui si chiede a Dio
che tutte le nostre intenzioni ed opere siano unicamente rivolte al servizio e alla lode della Divina Maestà:
ottima direzione d'intenzione.
Vengono subito appresso due preludi: a) il primo, che è la composizione del luogo, ha per fine di fissar
l'immaginazione e la mente sul soggetto della meditazione, onde tener più facilmente lontane le distrazioni:
1) se è oggetto sensibile, per es. un mistero di Nostro Signore, uno se lo rappresenta il più vivamente
possibile, non come fatto avvenuto da molto tempo ma come ne [sic] fosse egli stesso spettatore e vi
prendesse parte; ciò che serve certamente a far più impressione; 2) se è oggetto invisibile, per esempio il
peccato, "la composizione del luogo sarà di vedere con gli occhi dell'immaginazione e considerare l'anima
mia imprigionata in questo corpo mortale; e tutto l'uomo, cioè il corpo e l'anima, esiliato in questa valle di
lacrime, tra gli animali privi di ragione"; ossia si considera il peccato in alcuno dei suoi effetti, per subito
concepirne orrore.
b) Il secondo preludio "sarà di chiedere a Dio ciò che voglio e desidero, per esempio la vergogna e la
confusione di me stesso" alla vista dei miei peccati. Il fine pratico, la risoluzione, apparisce chiaramente fin
da principio: in omnibus respice finem.
694. 2° Il corpo della meditazione consiste nell'applicazione delle tre potenze dell'anima (la memoria,
l'intelletto e la volontà) a ogni punto della meditazione. Si applica per ordine ognuna delle potenze a
ognuno dei punti, tranne che un punto solo porga materia sufficiente per tutta la meditazione. Non è però
necessario fare in ogni meditazione tutti gli atti indicati: è bene fermarsi agli affetti e ai sentimenti suggeriti
dal soggetto.
a) L'esercizio della memoria si fa richiamando, non in particolare ma nel complesso, il primo punto da
meditare; così, dice S. Ignazio, "l'esercizio della memoria intorno al peccato degli Angeli consiste nel pensare
come furono creati nello stato di innocenza; come non vollero servirsi della libertà per porgere al loro
Creatore e Signore l'ossequio e l'obbedienza a lui dovuti; come, essendosi l'orgoglio impadronito della loro
mente, passarono dallo stato di grazia allo stato di malizia, e furono dal cielo precipitati nell'inferno".
b) L'esercizio dell'intelletto consiste nel riflettere più in particolare sullo stesso argomento. S. Ignazio non
dà altre spiegazioni, ma vi supplisce il P. Roothaan, osservando che il dovere dell'intelletto è di riflettere
sulle verità proposte dalla memoria, di applicarle all'anima e ai suoi bisogni, di trarne conseguenze pratiche,
di pesare i motivi delle nostre risoluzioni, di considerare in qual modo abbiamo finora conformato la
condotta alle verità che meditiamo e come dobbiamo farlo in appresso.
c) La volontà ha due doveri da adempiere: esercitarsi in pii affetti e far buone risoluzioni. 1) Gli affetti
devono certamente diffondersi per tutta la meditazione o essere almeno molto frequenti, perchè son essi che
fanno della meditazione una vera preghiera; ma bisogna moltiplicarli soprattutto verso la fine della
meditazione. Non occorre affannarsi di come esprimerli: i modi più semplici sono sempre i migliori. Quando
ci sentiamo compresi da un buon sentimento, è bene nutrirlo quanto più è possibile, fino a che la nostra
devozione sia soddisfatta. 2) Le risoluzioni saranno pratiche, atte a migliorare la vita, e quindi particolari,
appropriate allo stato presente, possibili a eseguirsi lo stesso giorno, fondate su ragioni sode, umili e quindi
accompagnate da preghiere per ottenere la grazia di metterle in pratica.
695. 3° Viene infine la conclusione, che comprende tre cose: la ricapitulazione delle diverse risoluzioni
già prese; pii colloqui con Dio Padre, con Nostro Signore, colla SS. Vergine o con qualche Santo; finalmente
la rivista della meditazione, ossia l'esame sul come si è meditato, per rilevarne le imperfezioni e rimediarvi.
A far meglio capire questo metodo, diamo il quadro sinottico dei preludi, del corpo dell'orazione e della
conclusione.
 I. Preludii.
 1° Rapido richiamo della verità da meditare.
 2° Composizione del luogo per mezzo dell'immaginazione.
 3° Dimanda di grazia speciale conforme al soggetto.
 II. Corpo della meditazione; si esercita:
 1° la memoria
 Richiamando sommariamente alla mente il soggetto con le principali circostanze.
 2° l'intelletto. Esamino:
 1° Quello che devo considerare in questo soggetto.
 2° Quali conclusioni pratiche ne devo trarre.
 3° Quali ne sono i motivi.
 4° Come ho osservato questo punto.
 5° Che devo fare per osservarlo meglio.
 6° Quali ostacoli devo allontanare.
 7° Quali mezzi usare.
 3° la volontà
 1° Con affetti fatti in tutto il corso della meditazione, principalmente alla fine.
 2° Con risoluzioni prese alla fine d'ogni punto: pratiche, personali, sode, umili,
fiduciose.
 III. Conclusione.
 1° Colloqui: con Dio, con Gesù Cristo, colla SS. Vergine, coi Santi.
 2° Rivista
 1° Come ho fatto la meditazione?
 2° In che e perchè l'ho fatta bene o male?
 3° Quali conclusioni pratiche ne ho ricavate, quali domande fatte, quali risoluzioni
prese, quali lumi ricevuti?
 4° Fissare un pensiero come mazzolino spirituale.
696. Utilità di questo metodo. Come si vede, questo metodo è pienamente psicologico e praticissimo. a)
Prende tutte le facoltà, compresa l'immaginazione, e le applica per ordine all'argomento della meditazione,
portandovi così una certa varietà, onde una stessa verità viene considerata sotto i suoi diversi aspetti, è
voltata e rivoltata nella mente per ben compenetrarsene, per acquistar convinzioni e soprattutto per trarne
conclusioni pratiche per quello stesso giorno.
b) Pur insistendo sulla importante parte della volontà, che si risolve con cognizione di causa dopo che
furono ben ponderati i vari motivi, non trascura la parte della grazia, perchè viene istantemente chiesta fin
da principio e vi si ritorna nei colloqui.
c) È particolarmente adatto agli incipienti; perchè fissa, fin nei minimi particolari, ciò che bisogna fare dalla
preparazione alla conclusione, e serve di filo conduttore perchè le facoltà non si sviino. Non suppone del
resto profonda conoscenza del domma ma quella soltanto che ce ne dà il catechismo, onde s'adatta ai
semplici fedeli.
[45] PRIMO ESERCIZIO: MEDITAZIONE DA FARE CON LE TRE FACOLTÀ
DELL'ANIMA SUL PRIMO, SECONDO E TERZO PECCATO.
DOPO UNA PREGHIERA PREPARATORIA E DUE PRELUDI, COMPRENDE TRE
PUNTI PRINCIPALI E UN COLLOQUIO.
[46] La preghiera preparatoria consiste nel chiedere a Dio nostro Signore la grazia
che tutte le mie intenzioni, le mie attività esterne e le mie operazioni interiori tendano
unicamente al servizio e alla lode della sua divina Maestà.
[47] Il primo preludio è la composizione vedendo il luogo. Qui è da notare che
nella contemplazione o meditazione di una realtà sensibile, come è contemplare Cristo
nostro Signore che è visibile, la composizione consisterà nel vedere con
l'immaginazione il luogo materiale dove si trova quello che voglio contemplare: per
luogo materiale si intende, ad esempio, il tempio o un monte dove si trova Gesù Cristo
o nostra Signora, secondo quello che voglio contemplare. Nella contemplazione o
meditazione di una realtà non sensibile, come in questo caso dei peccati, la
composizione consisterà nel vedere con l'immaginazione e nel considerare la mia
anima imprigionata in questo corpo mortale, e tutto l'uomo come esule in questa valle
fra animali bruti: tutto l'uomo, si intende cioè anima e corpo.
[48] Il secondo preludio consiste nel domandare a Dio nostro Signore quello
che voglio e desidero. La domanda deve essere conforme all'argomento trattato. Per
esempio, se contemplo la risurrezione, domanderò gioia con Cristo gioioso; se
contemplo la passione, domanderò dolore, lacrime e sofferenza con Cristo sofferente.
Qui sarà domandare vergogna e umiliazione per me stesso, vedendo quanti si sono
dannati per un solo peccato mortale, e quante volte io avrei meritato di essere
condannato in eterno per i miei tanti peccati.
[49] Nota. Prima di tutte le meditazioni o contemplazioni, si devono fare sempre la
preghiera preparatoria, senza cambiarla, e i due preludi già indicati, variandoli alcune
volte secondo l'argomento trattato.
[50] Primo punto. Il primo peccato è quello degli angeli: su questo devo
esercitare la memoria, poi l'intelletto ragionando, infine la volontà. Voglio
ricordare e capire tutto questo per vergognarmi e umiliarmi sempre più, confrontando
l'unico peccato degli angeli con i miei tanti peccati: essi sono andati all'inferno per un
solo peccato, e io l'ho meritato innumerevoli volte per i miei tanti peccati. Devo
dunque richiamare alla memoria il peccato degli angeli: essi furono creati in grazia,
ma non vollero usare la libertà per prestare rispetto e obbedienza al loro Creatore e
Signore; perciò, divenuti superbi, passarono dalla grazia alla perversione e furono
precipitati dal cielo nell'inferno. Devo poi ragionare più in particolare con l'intelletto e
suscitare gli affetti con la volontà.
[51] Secondo punto. Il secondo peccato è quello di Adamo ed Eva: anche su questo
devo esercitare le tre facoltà dell'anima. Richiamerò alla memoria che, in
seguito a questo peccato, essi fecero penitenza per tanto tempo, e fra gli uomini dilagò
tanta corruzione, per cui molti andarono all'inferno. Devo dunque richiamare alla
memoria il secondo peccato, quello dei nostri progenitori: dopo che Adamo fu creato
nella regione di Damasco e posto nel paradiso terrestre, e dopo che Eva fu formata da
una sua costola, fu loro proibito di mangiare il frutto dell'albero della scienza; ma essi
ne mangiarono e così peccarono; perciò, coperti di pelli e scacciati dal paradiso,
trascorsero tutta la vita fra molti travagli e molta penitenza, senza la giustizia originale
che avevano perduto. Devo poi ragionare più in particolare con l'intelletto ed
esercitare la volontà nel modo già indicato.
[52] Terzo punto. Devo fare ancora lo stesso sul terzo peccato particolare: è il caso di
una persona che per un solo peccato mortale è andata all'inferno, e di moltissime altre
persone che vi sono andate per meno peccati di quanti ne ho fatto io. Devo dunque
fare lo stesso sul terzo peccato particolare, richiamando alla memoria la gravità e la
malizia del peccato contro il mio Creatore e Signore. Devo poi ragionare con
l'intelletto, considerando che chi ha peccato e agito contro la bontà infinita,
giustamente è stato condannato in eterno, e concludere con la volontà nel modo già
indicato.
[53] Colloquio. Immaginando Cristo nostro Signore davanti a me e posto in croce,
farò un colloquio: egli da Creatore è venuto a farsi uomo, e dalla vita eterna è venuto
alla morte temporale, così da morire per i miei peccati. Farò altrettanto esaminando
me stesso: che cosa ho fatto per Cristo, che cosa faccio per Cristo, che cosa devo fare
per Cristo. Infine, vedendolo in quello stato e appeso alla croce, esprimerò quei
sentimenti
che mi si presenteranno.
[54] Il colloquio deve essere spontaneo, come quando un amico parla all'amico, o un
servitore parla al suo padrone, ora chiedendo un favore, ora accusandosi di una colpa,
ora manifestando un suo problema e chiedendo consiglio. Alla fine si dice un Padre
nostro.
S. Alfonso Maria de Liguori
Ristretto del modo di fare orazione mentale
Tre sono le parti dell'orazione: preparazione, meditazione e conclusione.
I. Circa la preparazione, questa contiene tre atti: di fede, con adorare Dio presente;
di umiltà, con umiliarsi dinanzi a Dio e cercargli perdono; e di domanda di lume,
con cercare luce a Dio, per amore di Gesù e di Maria, per fare bene quell'orazione.
E quindi premettere un'Ave Maria alla Vergine SSma, si passi alla meditazione.
II. Circa la meditazione poi si devono avvertire più cose. Primieramente, ch'è di
bene che la persona legga il punto su quella materia che le fa maggior
raccoglimento, e più inclinazione a pensarvi; ma quando poi l'anima già si sente
mossa da qualche sentimento divoto, allora deve lasciare di leggere, ed occuparsi in
raccogliere i frutti della meditazione, che sieguono qui appresso.
Di più si avverta che tre sono i frutti della meditazione: (1) gli affetti, (2) le
preghiere, (3) le risoluzioni.
E per 1., deve l'anima occuparsi con la volontà, ma con soavità e senza violenza, in
fare affetti verso Gesù e Maria ecc., o di confidenza o di umiltà, o di pentimento, o
d'amore, o di rassegnazione, o di offerta ecc.; poiché gli affetti che nell'orazione si
accendono, infiammano l'anime e l'uniscono a Dio: questi sono il maggior frutto
dell'orazione.
Per 2., deve l'anima cercare a Gesù ed a Maria ecc. le grazie che le abbisognano, non
solo in generale, ma anche in particolare, come la vittoria di qualche vizio, l'amore
di Dio, la santa perseveranza ecc. E tal modo di fare l'orazione è utilissimo, anzi
necessario, specialmente in tempo di aridità di affetti; poiché allora non ci è meglio
che umiliarsi, rassegnarsi e cercare misericordia da quella infinita Bontà; altrimenti
v'è pericolo o di lasciare l'orazione per lo tedio, o di farne pochissimo profitto.
Per 3., poi deve la persona, prima di terminare l'orazione, fare o confermare sempre
qualche risoluzione particolare, di superare qualche difetto più solito, o praticare
qualche virtù più utile.
III. Circa finalmente la conclusione, questa si fa con tre atti brevemente:
1. Con ringraziare Gesù e Maria dei lumi ricevuti.
2. Con offerire a Dio, per mano di Gesù e di Maria, gli atti e le risoluzioni fatte.
3. Con pregare il Signore, per amore dell'istesso Gesù e Maria, a dar la forza di
eseguire i propositi.
Circa il parlare poi appieno dell'orazione e del modo, si legga la Guida spirituale di
da Ponte (L. DE LA PUENTE (da Ponte), Guida spirituale, trad. di A. Sperelli,
Milano 1664. G. SARNELLI, Il mondo santificato, Napoli 1740.), o il Mondo
santificato di Sarnelli.
Viva Gesù e Maria!
Giesù Gius. e Maria Teresa
Se non ci facciamo Santi noi, difficilmente faremo santi gli altri. E perciò, se
vogliamo fare frutto assai nell'anime, vi è necessaria orazione, orazione assai,
altrimenti che avanzo mai vogliamo sperare per noi, e per gli altri: Desolatione
desolata est omnis terra, dice lo Spirito Santo; perché? quia nullus est, qui recogitet
corde ([6-7.] Jer., 12, 11). E se questa è la ruina di tutto il mondo, la mancanza
dell'orazione mentale, che di questa parla lo Spirito Santo, quanto più sarà la ruina
d'un Sacerdote?
Per vedere la necessità, che ave un Sacerdote dell'orazione mentale contentatevi
questa sera di riflettere meco questi due punti: Io dico, che un Sacerdote
senz'orazione mentale I. è difficile, che si salvi. II. impossibile, che giunga alla
perfezione. Preghiamo lo Spirito Santo che c'illumini.
PREPARAZIONE
1. Loquar ad Dominum cum sim pulvis, et cinis2. Ah quanto mi contenterei Dio mio,
e fossi solo polvere, e cenere, sono peggio, sono un ribelle, ch'ò avuto ardire
d'offendere te Sommo Bene.
2. Ma Voi per questo siete venuto nel mondo, acciocché i poveri peccatori Vitam
habeant, et abundantius habeant3.
3. Loquere Domine, quia audit servus tuus4. Illuminami dunque Signore, parlami,
ch'Io ti voglio sentire, dimmi, che ò da fare per darti gusto, per farmi santo.
Maria Speranza mia Voi avete il bell'officio, che tanto è conforme al vostro cuore
tutto pieno d'amore, e misericordia, l'officio d'esser la Paciera fra i peccatori, e Dio,
impegnatevi ancora per me Signora mia.
I. Desolatione desolata est omnis terra quia nullus est, qui recogitet corde. Recogitet
corde, e quello intendo per orazione mentale quel meditari in lege Domini,
all'eternità, agli oblighi proprii, alle cose di Dio.
Or vediamo quanto è difficile, che un Sacerdote senza orazione si salvi, e discorro
così.
1. È certo, che un Sacerdote per salvarsi à da sodisfare tutti gli oblighi, che tiene di
Sacerdote, i quali oblighi quanti siano grandi già n'abbiamo parlato.
2. Or per sodisfare a tutti questi oblighi à bisogno della Mano dell'Onnipotente, che
continuamente l'aiuti. È vero, che Dio è pronto ad aiutarci, ma che vuole Dio? Vuole,
che tutti gli aiuti, che ci bisognano, noi siamo attenti a cercarceli continuamente,
altrimenti non ce li dà.
3. E qui già sapete la sentenza comune de' Teologi, che l'orazione, ciò è la petizione
degli aiuti a chi è arrivato all'uso della ragione sia necessaria di necessità di mezzo,
altrimenti non si può salvare: Petite et accipietis5. Chi non cerca non ave.
1. Ora un Sacerdote, che non fa orazione mentale quando rifletterà agli oblighi, che
tiene di Sacerdote? Dove cercherà a Dio l'aiuti necessari? Soccederà, che,
caminando alla cieca senza pensare dove camina, e come camina, poco penserà a
cercare a Dio gli aiuti, poco penserà alla necessità, che ave di cercarli, anche senza
orazione non penserà né meno agli oblighi, che tiene di Sacerdote. E così come si
salverà?
2. Il Cardinale Bellarmino6 stima moralmente impossibile, che qualsivoglia cristiano
possa adempire gli oblighi di semplice Cristiano senza orazione mentale7, or quanto
lo deve stimare più impossibile in un Sacerdote, che ave tanti oblighi di più, che non
ave un semplice christiano?
Dice ancora la mia cara Avvocata, e Maestra S. Teresa8, che per ottenere da Dio le
grazie, l'unica porta è l'orazione, e parla espressamente dell'orazione mentale,
chiusa questa porta dice la Santa: Io non so come verranno le grazie all'anima. E se
non lo sà la Santa, mi dichiaro, che non lo sò né meno Io, come un Sacerdote senza
orazione riceverà tutte le grazie necessarie per salvarsi.
1. Di quanti lumi primieramente, andremo riflettendo, à bisogno un Sacerdote per
sé, e per gli altri, se s'à da salvare? Mantenersi puro in mezzo a un secolo di carne.
Sfuggire quelle occasioni, dove si può perdere Dio. Consigliare rettamente gli altri
giacch'egli è il Maestro de' popoli, specialmente poi se è confessore, che à da mettere
l'anime sulla via di Dio, à da decidere tanti dubi all'improvviso, à da dare tanti
consigli in ogni confessione, e di tutto poi n'à da rendere conto a Giesu-Christo.
1. Or dove riceverà questi lumi senza orazione?
2.9 Oratio est lucerna, dice S. Bonaventura10, la quale in questa terra di tenebre ci
dimostra la via per dove abbiamo da camminare.
3. E S. Bernardo11 a questo istesso proposito dice, che l'orazione è appunto, come lo
specchio, e quanto mi piace questa similitudine: I. Se alcuno tiene qualche macchia
nel volto, và avanti lo specchio, la vede, la toglie, altrimenti la macchia resta, e
resterà sempre, perché non la vede, e non la toglie. II. Or così appunto avviene
dell'orazione, se uno tiene qualche difetto, se sta in qualche occasione pericolosa, và
all'orazione ed ivi subito come in uno specchio vede nella sua coscienza quel suo
difetto, quel pericolo di perdere Dio, lo vede, lo toglie.
I. Ancorché per disgrazia si trovasse caduto in qualche precipizio, se và all'orazione
con perseveranza, certamente ci rimedia. 2. Onde diceva un Maestro di spirito12, che
co 'l peccato molte volte può starsi unito qualche atto in sé virtuoso, conforme uno
può stare in peccato e far limosine, ed essere modesto, ed essere paziente, ma
orazione e peccato non mai ponno stare uniti insieme, perché? Perché quando
quello volontariamente seguita a fare l'orazione (volontariamente, perché certi ci
vanno per forza, e così l'orazione non li serve a niente) ma quando ci và
volontariamente o lascerà l'orazione o lascerà certamente il peccato. 3. E dice S.
Teresa13, che siasi un'anima ruinata quanto si voglia, se seguita con perseveranza
l'orazione certamente il Signore la ridurrà in porto di salute. 4. Ma se quell'anima
non và all'orazione, perché non ci riflette, o poco ci riflette, seguiterà a tenersi quelli
difetti, seguirà a trattenersi in quell'occasioni, in quel pericolo, e anderà in
precipizio, perché? Perché camina all'oscuro, senza lume si troverà tutt'insieme
precipitata, senza sapere come.
Accedite ad Eum, et illuminamini14. E che lume vogliamo avere, se non ci
accostiamo a Dio per mezzo dell'orazione? Dove tutti i Santi?
Dove Io dimando tanti uomini semplici, tante donne senza studiare Teologia ànno
imparato a parlare così bene delle cose divine, se non già in questa bella scola de'
santi qual'è l'orazione?15 Una S. Hildegarde16, che scrisse più libri sopra la sacra
Scrittura, una S. M. Maddalena de Pazzi, che parlò così bene delle divine perfezioni,
una S. Teresa, che scrisse così bene delle cose d'orazioni, ch'è stata una meraviglia in
tutta la Chiesa; e la S. Chiesa ci fa pregare Dio, che ci approffitiamo della dottrina
celeste: Caelestis eius doctrinae pabulo nutriamur17.
Ed anco un S. Tommaso d'Aquino confessò18, che quanto sapea, l'avea imparato
nell'orazione; conforme ancora disse S. Bonaventura19, che 'l Maestro della sua
dottrina non gli era stato altri, che 'l Crocefisso. Accedite ad Eum, et illuminamini.
II. Inoltre di che fortezza à bisogno un Sacerdote per superare, tanti nemici, che
l'insidiano l'anima, da fuori, e da dentro? Mondo, persecuzioni, rispetti umani,
passioni, male inclinazioni, tentazioni del demonio.
E tentazioni poi, che ave un Sacerdote: Oh quanto più fatica il demonio per far
cadere un Sacerdote, che un secolare! E perché? È perché, se li riesce di far cadere
un Sacerdote fa una preda più bella; fa più dispetto a Dio. Di più, se fa cadere un
Sacerdote ne tira molti insieme con quello, perché un Sacerdote cattivo, se precipita,
non precipita solo, ne tira molti al precipizio, e perciò tanto fatica il demonio per far
cadere un Sacerdote.
Or và supera tutte queste tentazioni senz'orazione, và! E specialmente un Sacerdote
secolare poi, che deve stare in mezzo del Mondo, deve trattare con tanti oggetti, che
staranno nell'istessa casa, e s'è confessore, che deve confessare giovani, figlioli,
donne, sentire le loro miserie, le loro fragilità. Ma all'ora si sta in luogo di Dio. Ah
Signori miei, che co 'l carattere siamo fatti Sacerdoti, ma ancora siamo restati
uomini di terra, deboli, fragili, soggetti a cadere, quante volte bisogna sudare sangue
per dir così per vincere una soggestione del demonio!
E senza orazione come faremo? Come acquisteremo quella forza di resistere a tanti
nemici?
Dice S. Teresa20, vedete, che arriva a dire la Santa, che chi trascura l'orazione
mentale non à bisogno di demonii, che lo portino all'inferno, dice, ch'esso medesimo
ci si mette colle mani sue.
All'incontro a chi attende a questo santo esercizio oh che forza riceve continuamente
nell'orazione per combattere, quando è tempo, contro tutto l'inferno: Quid videbis
in Sulamitide, dice lo Spirito Santo, nisi choros castrorum21. Per Solamitide
s'intende appunto l'anima d'orazione, che diventa poi per questo bello mezzo contra
tutti i nemici: Terribilis, ut castrorum acies ordinata22. Per vincere tutte le passioni,
le male inclinazioni nostre, le quali male inclinazioni solamente per la nostra natura
corrotta oh quanto sono difficilissime a superarsi senza grande orazione, e
coll'orazione all'incontro sono facili a superarsi. L'anima posta alla orazione, è come
il ferro posto al fuoco; il ferro freddo è difficile a lavorarsi, ma quando è posto al
fuoco s'intenerisce, e così facilmente si lavora, e così l'anima.
Che perciò un Maestro di Spirito23 chiamava l'orazione Fornace, perché conforme
nel fuoco s'intenerisce il ferro, e si rende facile a lavorarsi, così l'anima si rende
facile nell'orazione ad esser domata nelle passioni. Riceverà per esempio alcuno
qualche dispreggio, qualche ingiuria contra la stima, prima dell'orazione oh come è
difficile a superare quella passione di risentirsi, di difendersi, e alle volte la passione
ce lo fà apparire anche necessario sotto qualche apparente pretesto.
Il ferro ancora è freddo, ma mettetelo al fuoco, vadi quell'anima all'orazione, ecco
come viene la bella fiamma dello Spirito Santo, e li dice: Ma non è meglio
sopportarlo, e non risentirsi? Lasciane la difesa a Dio, come fece il tuo Maestro
Giesù quando fu calunniato, ed era più innocente di te. Ed ecco che fatto tenero il
ferro l'anima si ritratta, e si quieta. Se non fusse andata all'orazione certamente non
l'avrebbe fatto.
Da tuttocciò24 S. Giovanni Grisostomo dice, che l'orazione in una anima è come un
fonte in un giardino: Oh che bel giardino è quello, che à la sorte di avere una fonte,
che continuamente l'inaffia, come si vedono verdi l'erbe, belli li fiori, copiosi li
frutti; togliete la fonte, ed ecco, che si seccano, o languiscono l'erbe, li fiori, e con li
frutti le piante.
Oh come si conosce subito un Sacerdote, che fà orazione! Che Messa, che dice! che
predicare, che fa! che parlare, che umiltà, che portamento, che modestia nel vestire,
nel trattare! È un giardino riservato di Dio: Hortus conclusus25. Chiuso ai vizii, alle
passioni, e pieno di fiori, e di frutti di virtù. Anzi è un Paradiso: Emissiones tuae
Paradisus cum pomorum fructibus. E perché? Ecco il perché: Fons hortorum puteus
aquarum viventium26. Vi è la fonte dell'orazione, che continuamente l'irriga.
Ma togliete l'orazione, togliete la fonte, ed ecco, che s'abbrevia la Messa, si precipita
l'Officio, si predica d'un'altra maniera; và trova più distacco, và trova più quella
bella umiltà, quella bella modestia; è tolta la fonte. Sacerdote senza orazione è
giardino senza acqua: Anima mea sine aqua tibi27. Così dicea Davide per quando era
stato lontano da Dio.
È cadavere più presto di Sacerdote, che Sacerdote, mentre dice S. Giovanni
Grisostomo che: Sicut corpus si non adsit anima mortuum est, sic anima sine
oratione mortua est, et graviter olens28. Oh come si sente anche da lontano la puzza
d'un Sacerdote, che non fa orazione.
Ma beato all'incontro quell'uomo, che medita in lege Domini, che attende al santo
esercizio dell'orazione, lo paragona lo Spirito Santo a quell'albore, che sta piantato
alla corrente dell'acqua.
II. E qui entriamo al secondo punto, che siccome è difficile, che un Sacerdote senza
orazione si salvi, così poi è impossibile, che senza orazione giunga alla perfezione. E
qui non mi stendo, e suppongo che ben sappi ogni Sacerdote l'obligo, ch'ave di
caminare alla perfezione.
Veniamo a noi. Osservate dunque, dice lo Spirito Santo, quegli alberi piantati
lontano dalla corrente dell'acqua, come stanno o inariditi, o poco cresciuti, o mal
cresciuti non dritti, e all'incontro osservate questi altri della corrente, come sono
verdi, dritti, alti; così appunto sono gli uomini d'orazione forti, dritti, che non ànno
altro, che Dio, avanti gli occhi, alti, che crescono sempre nelle virtù: Tamquam
lignum secus decursus aquarum29. Che non perdono fronda, cioè non perdono
momento della loro vita, perché sempre o attualmente, o virtualmente s'avanzano
nella perfezione, cioè nel santo amore di Dio, che questa è la perfezione d'un'anima,
la santa Carità come dice S. Paolo: Charitatem habete, quod est vinculum
perfectionis30.
E questa è l'amabil fornace, dove s'infiammano l'anime di quel bel fuoco, di cui
ardono i Santi in terra, e i beati in Paradiso, la Santa Orazione. In meditatione mea
exardescet ignis. Davide31.
Poi ci lamentiamo, che ci troviamo tepidi, deboli? Che meraviglia, quando stiamo
lontano dall'orazione? Perché non procuriamo d'entrare spesso in questa bella Cella
d'amore della Santa Orazione, dove appena introdotta la Sposa de' Sacri Cantici
s'intese tutta accesa di carità? (Introduxit,32 ecc.).
Ci sentiamo freddi d'amore di Dio; e perché non andiamo spesso a trattare con Dio?
perché non ci accostiamo a Dio, che si chiama Fuoco consumatore per mezzo della
Santa Orazione? E questo fa l'orazione dice S. Giovanni Climaco33: Oratio est
hominis coniunctio cum Deo34.
Siasi un cuore il più freddo, il più disamorato con Dio, è certo, Signori miei, che se è
perseverante nell'orazione, è certo, che da questo Dio, ch'è così fedele, né si fa
vincere d'amore sarà infiammato una volta d'amore di Dio: il fuoco à da fare l'effetto
suo. Se dal parlare, e trattare noi alle volte con qualche persona veramente
innamorata di Dio ci sentiamo noi ancora tirare, accendere ad amare Dio, quanto
più ci sentiremo accesi parlando, e trattando spesso con Dio medesimo?
I. Parla sì, parla Dio all'anime, che veramente lo cercano, ma dove parla? Nelle
conversazioni, nelle Curie, nelle sacrestie, quando ci si stanno a perdere due, e tre
ore di tempo tutte a discorsi inutili? No, qui non parla Dio. Lascia, dice Dio, lascia la
conversazione degli uomini, ritirati alla solitudine, alla santa orazione, che là ti
voglio parlare: Ducam eam in solitudinem, et loquar ad cor eius. Os. 2. 14. Ed ivi,
dice Dio, ti farò sentire quelle mie belle parole piene, e sostanziose, che mentre si
fan sentire portano insieme l'effetto di quel, che significano, e non solo ci esortano,
ma ci fanno ancora bene operare.
E dove i Santi, riveritissimi miei, ànno imparato ad amare Dio, se non già
nell'orazione?35 Dove un S. Filippo Neri ricevé tanto fuoco d'amore, che non
potendo soffrirlo il suo povero cuore, se l'alzarono due coste per dargli più luogo da
palpitare? Dove un S. Pietro d'Alcantara36 s'accese tanto d'amore di Dio, che per non
morire bisognava, che uscisse alla campagna, e tal volta si buttasse nell'acque
gelate? Una S. Maria Maddalena de Pazzi37, che andava quasi sempre fuori di sé per
l'amore? Dove fu ferita una S. Teresa38, la quale scrive di sé, ch'ella quando si pose a
far orazione mentale, all'ora cominciò a sentire che cosa fusse amore di Dio?39
II. Ah Sacerdoti miei non crediamo nò, che l'orazione mentale sia esercizio
solamente proprio de' Solitarii, e non degli Operarii ancora.
1. Tertulliano40 chiama tutti i Sacerdoti: Genus deditum orationi, et
contemplationi41.
2. Gli Apostoli non erano già solitarii, ma furono gli operarii più grandi del mondo, e
pure per trovarsi il tempo per attendere alla orazione, che fecero? Costituirono i
Diaconi, che attendessero agli officii inferiori, e dissero: Fratres, viros constituamus
super hoc opus, nos vero orationi, et mynisterio Verbi instantes erimus. Notate
Oratíoni, et mynisterio Verbi42, prima l'orazione, e poi la santa predicazione, perché
senza orazione non riesce niente bene.
3. Che importa, che noi non siamo Solitarii, non siamo chiamati alla vita
contemplativa? Se vogliamo farci santi, e santi operarii, è necessario, che
attendiamo all'orazione; ma assai; (non così un quarto d'ora, una mezz'ora di
passaggio, assai, assai, e se nò è impossibile, moralmente parlando, che ci facciamo
Santi, è impossibile).
III. In mezzo alle maggiori fatiche nostre bisogna, che sempre ci troviamo il tempo
di far riposare un poco l'anima, conforme ordinò Giesuchristo agli Apostoli:
Quiescite pusillum43. Che là siede l'anima, e si riposa, e piglia forza poi per meglio
operare: Sedebit solitarius, et tacebit (Tren. 3. 28), quia levabit supra se. Un'anima,
ch'esce dell'orazione, esce un'altra. Levabit supra se.
E perciò tanto mi piace il bell'uso di quelli, che si prendono un giorno di ritiro la
settimana tutto di riposo per l'anima, e in quel giorno non si confessa, non si studia,
non s'attende ad altro, che all'orazione, a lezioni spirituali, e alla santa solitudine.
Alcuna Religione dà un giorno la settimana di ricreazione per il corpo a li suoi
Religiosi, acciocché così il corpo pigli più forza per operare, e per resistere alle
fatiche; e perché non s'à da dare poi all'anima un giorno di ricreazione spirituale,
acciocché possa poi meglio faticare, perché colle fatiche esteriori sempre si dissipa
qualche poco l'anima. Assai, non un quarto, né mezz'ora, assai, assai, ecc.
Trovatemi un Santo, ch'è stato Operario, che s'è fatto santo senza molta orazione? Io
non lo trovo. Trovo che S. Francesco Saverio,44 quello, che fu lo stupore degli
Operarii, che il più delle volte la notte si restava nelle chiese a fare orazione, e dopo
uno scarso riposo, che pigliava nella sacrestia, se ne andava al Ss. Sacramento a
sfogare gli affetti suoi, che poi diceva consolato da Dio: Sat est Domine, Sat.
Leggo del B. Giovanni Francesco Regis45 quel gran Missionario della Francia, che
dopo aver faticato tutto il giorno a predicare, e confessare, la notte invece di
riposare se n'andava avanti la porta della chiesa, che stava chiusa, e là si tratteneva
forse tutta la notte a parlare co 'l suo Dio.
Un S. Filippo Neri voi sapete quanto operò, e quanto fu innamorato dell'orazione46.
Un S. Vincenzo Ferrero Apostolo delle Spagne, che, solo prima di predicare faceva
un'ora d'orazione mentale47.
E tutti poi l'ànno imparato questo bell'uso dall'esempio, e Capo degli Operarii
Giesuchristo, che Erat pernoctans in oratione (Luc. 6. 12).
1. Si, quando ci comanda Dio a lasciare l'orazione per attendere alla salute delle
anime, si, all'ora bisogna obbedire lasciando Dio per Dio, all'ora attendiamo,
applichiamoci a benefizio del prossimo per quanto è necessario, e dove si vede
tempo perduto, spezzare tanti discorsi inutili, non sentir tanti fatti d'altri, tempo
perduto, né ce lo comanda Dio questo nò. Ma subito ecc. all'orazione.
2. Anzi nell'istesse fatiche nostre, confessando, predicando, trattando, bisogna, che
sempre conserviamo nel cuore la Celletta di S. Caterina di Siena48, dove entriamo da
quando in quando con qualche atto d'amore, con qualche giacolatoria a parlare con
Dio.
3. Ed all'ora medesima bisogna, che non perdiamo di vista, e non lasciamo l'affetto
alla santa solitudine, e bisogna all'ora dire, come diceva la Sposa de' Sacri Cantici al
suo Diletto: Fuge Dilecte mi super montes aromatum49. Non volea la Sposa, ch'egli
fuggisse, e l'abbandonasse, ma sapendo il costume del suo Sposo divino, che parla
solo nella solitudine, perciò lo pregava, che andasse sopra de' monti solitarii, nella
solitudine, e che ivi l'aspettasse a parlare poi da solo a solo. E così noi nelle nostre
fatiche all'or più che mai bisogna, che sospiriamo, come cervi assetati la fonte, che
giunga presto il tempo dell'orazione, per andare a trattenersi da solo a solo col
nostro Dio.
1. E quanto tempo? e che gran cosa è due ore d'orazione il giorno una la mattina,
l'altra la sera? Almeno un'ora il giorno. Ah volesse Dio, che da questi esercizii io non
avessi altra fortuna, che questa, che uno solo crescesse un poco più d'orazione.
2. Giovani Ordinandi miei, fatelo almeno voi, crescete l'orazione che tutto sta al
principio al buon'abito, che si fa: Che certi, che da tanti anni ànno fatto quell'uso per
esempio di fare mezz'ora d'orazione, e non più, è difficile, che la creschino, par che
si pregiudichino, se crescono un poco più d'orazione.
3. Non è gran cosa, replico, nò due ore d'orazione il giorno, trattenersi a parlare co 'l
Crocefisso, o co 'l SS. Sacramento. Sub umbra illius, quem desideraveram sedi50. Ah
che Paradiso trattenersi a parlare con Giesù sacramentato alle 40 ore, o pure ad
altre Esposizioni, o pure in qualche Chiesa solitaria, dove ci è il Sacramento. Secolari
alle volte si trattengono più ore intiere, vergogna nostra. Che apposta s'è restato con
noi in terra il nostro caro Signore per parlare spesso con noi. E quando sta poi
chiuso và trovando, quasi pregando chi li venga a parlare.
Ma due ore è troppo. Troppo due ore d'orazione nè? E sai che viene a dire orazione?
Viene a dire, parlare da tu a tu con Dio, trattare d'amicizia con Dio, dice S. Teresa51.
Qui s'acquistano le belle ali per caminare alla perfezione: Quis dabit mihi pennas
sicut columbae, volabo, et requiescam?52 Che perfezione vuoi trovare mai senza
orazione?
Questa è la bella scola, dove s'impara la bella scienza de' Santi. Tanti studii,
permettetemi di dire quest'altro prima di finire, tante erudizioni, tante lingue, tante
scienze diverse, sono buone Sissignore, chi lo nega, ponno servire, ma meglio
sarebbe prima studio della Scrittura, di canoni, di dogmatica per trovarsi pronto a
rispondere ancora agli eretici moderni, che tanto ci vanno attorno.
Ma sopra tutto ci è necessaria la bella scienza de' Santi, la scienza d'amare Dio, che
non si studia a li libri nò, si studia avanti al Crocefisso, avanti al SS. Sacramento.
Orazione, Signori miei, orazione. Tanto più che attendiamo alla salute dell'anime,
abbiamo bisogno di più forze, di più luce, perché abbiamo da comunicare poi luce, e
calore ancora agli altri; e che luce, che calore vuol comunicare all'altre candele una
candela, che appena sta allumata, sta in pericolo di smorzarsi ancora essa? e volesse
Dio e questo non soccedesse alla giornata, che chi s'applica alla salute dell'anime con
poco spirito, con poco amore di Dio, più s'intepidisce, e alle volte precipita, e finisce
di perdere Dio. Quanti casi miserabili sono socceduti di questo! Non ne sapete niuno
voi, che per attendere a confessare, a convertire gli altri, à prevaricato poi
coll'occasioni, e ci à perduto Dio?
E poi dicono, ch'è troppo due ore d'orazione? Non diceva ch'era troppo un S.
Francesco Borgia, che dopo 8 ore d'orazione cercava per carità un altro quarto
d'orazione53. Una S. Rosa54, che ne faceva 12 ore il giorno. Un S. Antonio Abbate,
che, avendo destinata la notte all'orazione, la mattina poi si lamentava co 'l sole,
perché uscisse così presto a dargli il termine dell'orazione55.
Quante Verginelle, quanti secolari, quanti artisti fanno 4, 5 e 6 ore d'orazione.
Vergogna nostra di noi Sacerdoti: Questi non ci ànno da giudicare poi nel giorno del
giudizio?
Ah Sacerdoti miei nell'amare Dio nò non ci facciamo passare dagli altri, che noi
Sacerdoti siamo obligati più degli altri ad amare questo Dio.
Non perdiamo più tempo, chi sà quanti giorni ci restano di vita. C'innamori di Dio
almeno il tanto impegno, che ave Dio d'essere amato da noi Sacerdoti.
Ah Dio mio è dunque vero, che voi avete impegno d'essere amato da me? E che mi
serve la vita, se non la spendo tutta ad amare te Sommo Bene? Unico Bene, Dio mio,
che non ci è altro, che te. Io non son degno d'amarti nò, ma Voi troppo degno siete
d'essere amato. Avete già tutte le parti per farvi amare, bello, amoroso, grato, fedele,
e che vi manca per essere amato? Resta solamente, ch'io vi ami. E perché non t'ò da
amare Dio mio, perché? E chi voglio amare, se non amo Te?
Dove io mi rivolgo fuori di te, io non trovo, che cosa s'à da amare, le creature? la
terra? Il fumo? Le miserie?
O Ignis qui semper ardes accende me. S. Agostino56. Oh Dio, che sei tutto fuoco
d'amore, accendimi una volta, inceneriscimi d'amore verso di Te.
E non à miglior mezzo per ecc. che cercare sempre a Dio l'amore suo.
Io ti voglio accendere, come desideri, dice Giesuchristo, Sacerdote mio, ma tu vieni
all'orazione: Veni columba mea57 in foraminibus petrae, in caverna maceriae.
T'aspetto alla solitudine, e là t'apparecchio l'abbondanza de' favori miei; vedrai ecc.
Ah Signori miei bella cosa è amare Dio! Solo questo ci troveremo in punto di morte,
avere amato Dio, e niente più. Onori ricevuti, casa accomodata, impegni superati, in
fine poi, che cosa ci troveremo? Solo avere amato Dio.
E che ci stiamo a fare nel mondo, se non ci stiamo ad amare Dio? A fare ricchezze, a
farci stimare, a pigliarci spasso, ad acquistarci onori di mondo? E che ci abbiamo
che fare noi col mondo? Elegi vos de mundo58. Dio ci à strappato dal mondo, e noi ci
vogliamo mettere un'altra volta nel mondo?
Che mondo! che onori! che spassi! Viviamo, e viviamo solo per amare Dio, e perciò
orazione, orazione.
(Così avremo poi la fortuna di uscire un giorno da questo mondo, dicendo,
ringraziando Dio, come diceva in morte la gloriosa Martire S. Agata: Domine, qui a
me abstulisti amorem saeculi59. O Signore ch'ai tolto da me l'amore delle ricchezze,
degli onori, delle vanità del mondo). Domine Regnum mundi, et omnem ornatum
saeculi contempsi propter amorem Domini mei Iesu Christi, quem amavi quem
concupivi60. Ah beati noi, se ancora ecc.
Ah Maria, Maria, Voi, di cui tutta la vostra vita fu una continua orazione, mentre
anche il sonno non v'impediva di stare unita con Dio, ah Voi ricordatevi, Voi, che
usastivo la carità a S. Rosa61 d'andarla a svegliare, quando era il tempo dell'orazione;
Voi ancora, quando ci vedete addormentati nella negligenza, nella tepidezza, usateci
la carità, veniteci a svegliare, a ricordare l'orazione, dove c'infiammeremo d'amore
verso Dio, e Voi, per venirne ad amare poi per tutta l'eternità in Paradiso.
Viva Gesù, e Maria con Giuseppe e Teresa!
NOTE
2 [16.] Gen., 18, 27.
3 [20.] Jo, 10, 10.
4 [21.] 1 Reg. 3, 9.
5 [11-12.] Jo. 16, 24.
6 [20-22.; 25-28.] Da SARNELLI, Il mondo santificato, ed. cit., 120-121.
7 [20-22.] G. FULIGATTI, Vita di Roberto Card. Bellarmino, Roma 1644, c. XXXV, 292: “E questa
meditazione stimò egli tanto necessaria a qualsivoglia fedele, che una volta alla sua Corte disse, come non
credeva esser alcun cristiano, che non vi spendesse almeno un quarto d'hora, non parendogli che si
potessero ben ordinare l'attioni senza l'invocatione del favor divino”; cfr. anche l' Op. De ascensione mentis
in Deum, Praef., Operum Roberti Bellarmini Tom. VII, Coloniae Agrippinae 1617, 1313 (B, C).
8 [25-28.] S. TERESA, Vita, c. 8, Opere, ed cit., I, 31: “Per queste grazie sì grandi, ch'ha fatte a me, la porta è
l'orazione: serrata questa, non so, come le farà”; cfr. anche il Sentenziario, Opere, II, n. 34, p. 249.
9 [12-15.] MANSI, Bibliotheca, v. Oratio, Disc. IX, nn. 3, 7.
10 [12.] Ps.-s. S. BONAV. (ma GUGLIELMO DI LANICIA), Diaeta salutis, Tit. 2, c. 5, Opera, Lugduni 1668,
VI, 284; cfr. l' ed. di Quaracchi, VIII, Proleg.
11 [14.] “S. Bernardo”: piuttosto ps.-S. BONAV. (ma DAVIDE DA AUGUSTA), De profectu relig., Opera, ed.
cit., VII, 603.
12 [24-27.] “un Maestro di spirito” = ven. GENNARO SARNELLI, Il mondo santificato, ed. cit., 154-155:
“Limosine e peccato, recitar preci e peccato, digiuni e peccato, possono, e bene spesso sogliono stare insieme
in un cuore: ma orazione mentale, e peccato mortale, non sanno mai stare a lungo in una medesima anima, e
per necessità l' orazione ave a cacciarne il peccato”.
13 [1-3.] S. TERESA, Vita, c. XIX, ed. cit., 66; Sentenziario, n. 107, p. 252.
14 [8.] Ps. 33, 6.
15 [12-20.] MANSI, op. cit., Disc. VIII, nn. 1, 2.
16 [12.] S. ILDEGARDA DI BINGEN (1098-1179), Vita e Opere, PL 197.
17 [17.] Brev. Rom., In festo S. Teresiae, 15 oct.
18 [18.] SURIO, De probatis Sanctorum historiis, Coloniae Agrippinae 1571, II, 7 Marzo, 75.
19 [19-20.] MARCO DA LISBONA, Delle croniche de' Frati Minori, trad. di Horatio Diola, Venetia 1606, P.
II, lib. II, c. II, 96.
20 [13-15.] S. TERESA, Opere, ed. cit., Sentenziario, n. 108, p. 252; cfr. Vita, c. XIX, 66.
21 [18-19.] Cant. 7, 1.
22 [20-21.] Cant. 6, 3.
23 [28.] “un Maestro di spirito” = ven. GENNARO SARNELLI, op. cit., 138-139: “Abbracciatevi a
quell'immensa fornace di carità, se desiderate essere infervorati, e accesi nel santo amore”.
24 [7-19.] Riassunto dal MANSI, op. cit., Disc. IX, n. 2; cfr. SARNELLI, op. cit., 135; per il testo di S. GIOV.
CRISOST. cfr. Gran mezzo, P. I, c. I, p. 15 (17-18).
25 [15-17.] Cant. 4, 12-13.
26 [17-18.] Cant. 4, 15.
27 [23-24.] Ps. 42, 6.
28 [27-28.] cfr. Gran mezzo, loc. cit., n. 6-8.
29 [8-9.] Ps. 1, 3.
30 [12-13.] Coloss. 3, 14.
31 [16.] Ps. 38, 3.
32 [21.] Cant. 2, 4-5.
33 [25.] S. GIOV. CLIMACO, Scala Paradisi, Grad. 28; PG 88, 1130.
34 [25.] SARNELLI, op. cit., 282.
35 [9-11.] P. G. BACCI, Vita di S. Filippo Neri, Roma 1642, lib. I, c. VI, nn. 4-5, p. 16-17.
36 [11-13.] GIOVANNI DI S. BERNARDO, Chronica dell'ammirabil vita e gesti miracolosi del glorioso Padre
S. Pietro d' Alcantara, Napoli 1674, lib. III, c. III, 238-239.
37 [14.] G. PUCCINI, Vita, ed. cit., P. I, c. XI-XII, 17-20.
38 [15-17.] S. TERESA, Vita, c. V, 16: “...Stavo tanto posta in guadagnare beni eterni, che per qualsivoglia
mezzo ero risoluta volergli acquistare. E ne resto ammirata, perché, a mio parere, non avevo per ancora
amore di Dio; siccome dopo d'aver incominciato a far orazione mentale, mi pare averlo avuto”.
39 [15-17.] SARNELLI, op. cit., 143.
40 [20-21.] “Tertulliano” (?): dal Decretum Gratiani, P. II, c. XII, q. I, c. VII: “Hieronymus ad quendam
suum levitam. Duo sunt genera christianorum. Est autem unum genus, quod mancipatum divino officio, et
deditum contemplationi et orationi, ab omni strepitu temporalium cessare convenit, ut sunt clerici, et Deo
devoti”; PL 187, 884; sulla provenienza ibid., N. 53, “Caput incertum”.
41 [20-21.] MANSI, op. cit., tr. XXII, De ecclesiasticis, Disc. XV, n. 5: cit. Hieronymus; L. SABATINO, Clero
santo, Napoli 1716, P. III, c. V., sez. II, art. I, 226: cit. Hieronymus.
42 [1-3.] Act. 6-4.
43 [12.] Marc. 6, 31.
44 [27-31.] O. TORSELLINI, VIta del B. Francesco Saverio, Milano 1606, lib. VI, c. 5, 253.
45 [32-34/1-2.] G. DAUBENTON, La vita del B. G. F. Regis, tradotta dal P. Sebastiano Zefferini, Torino,
1718, lib. IV, 217.
46 [3-4.] G. BACCI, Vita, ed cit., lib. II, c. V, 118 ss.
47 [4-5.] A. TEOLI, Storia di S. Vincenzo Ferreri, Roma 1735, tr. III, c. VI.
48 [15-16.] RAIMONDO DA CAPUA, Vita, trad. di B. Pecci, Siena 1707, P. I, c. IV, 54.
49 [20-21.] Cant. 8-14.
50 [4-5.] Cant. 2, 3.
51 [14.] S. TERESA, Vita, ed. cit., c. VIII, p. 30.
52 [15-16.] Ps. 54, 7.
53 [2-3.] D. BARTOLI, Della vita di .S. Francesco Borgia, Roma 1681, lib. IV, c. II, p. 289.
54 [3.] L. HANSEN, Vita mirabilis... Rosae de S. Maria Limensis, Romae 1664, c. XII, III.
55 [4-6.] CASSIANO, Coll. IX, c. 31; PL 49, 807-808.
56 [26.] Ps.-s. S. AGOST. (anon. sec. XIII), Liber soliloquiorum, c. XIX: “O ignis qui semper ardes et
numquam extingueris, o amor qui semper ferves et numquam tepescis, caritas Deus meus, accende me”; PL
32, 796.
57 [32.] Cant. 3, 13.
58 [9.] Joh. 15-18.
59 [16.] Brev. Rom., 5 febr., II noct.
60 [18-19.] Pont. Rom., De benedict. et consecr. Virginis.
61 [23.] HANSEN, loc. cit.
Scarica

s. alfonso m. de` liguori del gran mezzo della