ACCELERATORI DI PARTICELLE
Dr. Adolfo Esposito
GLI ACCELERATORI DI PARTICELLE
Gli acceleratori di particelle possono accelerare soltanto particelle cariche.
La prima categoria di tali particelle sono le cosiddette particelle elementari,
elettroni e protoni (in realtà questi ultimi non elementari), a causa sia della loro
relativa facilità di produzione, che della interpretazione dei risultati.
Sono altresì accelerabili gli ioni di molti elementi (deuteroni  uranio) e
particelle .
Questi ioni possono avere carica elementare o essere multicarica.
Per carica elementare si intende la carica dell'elettrone.
In completo accordo con la relazione E=mc2 la massa è una forma di energia.
Viene pertanto utilizzata la stessa unità sia per esprimere l'energia di una
particella che per esprimere la sua massa viene usato l'eV.
L'eV è molto piccolo e pertanto vengono utilizzate le unità derivate dal SI
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In tabella è possibile vedere le principali caratteristiche di alcune particelle accelerate
PARTICELLA
MESSA A RIPOSO
CARICA
kg
10-19 C
MeV
Elettrone
9.109 x 10-31 0.511
-1.602
Protone
1.672 x 10-27 938
+1.602
Deuterone
3.342 x 10-27 1877
+1.602

6.644 x 10-27 3733
+3.204
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Movimento di una particella carica in un campo elettrico uniforme
Le particelle cariche ferme o in movimento all’interno di un campo elettrico uniforme sono soggette alle
stesse leggi cui obbediscono i corpi liberi in un campo gravitazionale.
Se noi ipotizziamo di mettere un elettrone e in un campo elettrico E la forza che agisce sull’elettrone
sarà
F= e E
F= me a
dove a è l’accelerazione ed me la massa dell’elettrone da cui si può ricavare che il movimento di un
elettrone in un campo elettrico uniforme descritto da
eE
me
Accelerazione
a
Velocità
v  a t 
eEt
me
Velocità finale dopo l’attraversamento di un segmento con differenza di potenziale V
vk 
2eV
m
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Spazio percorso
eEt 2
s
2me
Le unità di misura utilizzate sono
a
in
cm/s2
v
in
cm/s
E
in
V/cm
(campo elettrico)
V
m
s
t
in
in
in
in
V
g
cm
s
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Se invece di un elettrone si accelera uno ione la velocità di cui abbiamo parlato diventa
v  2e
nmeV
mi
Dove n è il numero di cariche elettriche elementari ed mi è la massa dello ione accelerato.
Le considerazioni finora svolte sono relative al movimento di particelle che si muovono a
velocità piccole cioè a particelle non relativistiche.
Introduciamo dapprima un coefficiente

E trattiamo l’elettrone come se fosse un punto materiale.
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v
c
Si possono distinguere due casi
<<1
Se  è molto minore di 1 la particella si muove a una velocità bassa e allora la meccanica
newtoniana è valida e la massa delle particelle m corrisponde con la sua massa a riposo.
m  lim
o
mo
1  2
Nel caso non possa trascurarsi il valore di 2 allora
m
m0
1  2
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Se la velocità della particella è espressa in termini della tensione di accelerazione la massa
relativistica diventa

6
m  m0 1  1.94  10 V

e per ioni di massa A e carica n e


V

m  m0 1 
 ( A / n) *1836 * 511000 


V

m  m0 1 
 ( A / n) *1836 * 511000 
Quando si tiene conto dell’aumento della massa dell’elettrone allora la velocità che
raggiunge in un dato campo elettrico è
v  c 1
1
1  1.94  106V
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La dipendenza di tale velocità dal tipo di particelle è riportata in figura
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Mentre gli elettroni raggiungono la velocità della luce già a qualche decina di MeV, la
velocità delle altre particelle si avvicina alla velocità della luce ad energie superiori al GeV.
Ciò è ovviamente dovuto alla differenza fra le masse delle particelle.
Gli elettroni sono classificati come particelle leggere mentre i protoni, e deuteroni e le 
sono classificate come particelle pesanti.
Di conseguenza gli acceleratori vengono divisi
in due grosse famiglie
ACCELERATORI PER PARTICELLE LEGGERE
ACCELERATORI PER PARTICELLE PESANTI
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Se la velocità della particella è veramente piccola allora la massa della particella è
veramente vicina alla massa a riposo.
Tutto ciò non sempre è vero nell’accelerazione delle particelle.
La massa delle particelle, specialmente nel caso degli elettroni è molto più
grande della massa a riposo. È pertanto necessario tenere conto dell’aumento di
massa.
Un elettrone di energia 100 keV ha una massa relativistica 20% in più della sua
massa a riposo. A 1 MeV, siamo al 320% in più ; a questa energia l’elettrone è al
90% della velocità della luce. Aumentando ulteriormente l’energia a 10 MeV si è
praticamente raggiunta la velocità della luce. Nella fase di accelerazione ad alta
energia la velocità dell’elettrone cresce poco ma la sua massa relativistica cresce
molto rapidamente. Un elettrone da 20 GeV è praticamente alla velocità della luce
e la sua massa è 40000 volte maggiore di quella a riposo.
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Le particelle pesanti si comportano in maniera differente: la velocità relativa di un protone
da 1 MeV è solo il 4.6% della velocità della luce, la velocità relativa di un deuterone è 3.2%
di quella della luce. L’incremento relativistico della massa a queste energie è dell’ordine
dello 0.2%.
Solo ad energie dell’ordine di 20 MeV la massa relativistica del protone cresce di circa 2%
mentre quella del deuterone rimane all’1%.
Da ciò segue che nel range delle velocità relativistiche, che praticamene incontriamo molto
frequentemente, nel campo delle accelerazioni di particelle, gli elettroni, che hanno una
massa a riposo piccola, diventano uguali in massa e quantità di moto (momento) delle
particelle più pesanti.
Nella figura è possibile vedere graficamente quanto detto.
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La quantità di moto o momento di una particella è il prodotto della massa per la sua velocità
P=mv
Ed è in genere espressa in GeV/c
Nel range delle alte velocità la massa m dovrebbe essere sostituita dalla sua massa
relativistica.
In regime relativistico P mc e differisce dall’energia E=mc2 per un fattore c:
E
P
c
In altre parole, per una particella relativistica la quantità di moto altri non è che il rapporto
fra l’energia e la velocità della luce ed ecco spiegata l’unità di misura GeV/c.
La medesima unità si può utilizzare a velocità più bassa ma la relazione fra la quantità di
moto e l’energia non è cosi’ semplice.
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Negli acceleratori di particelle è spesso usato il rapporto fra l’energia cinetica Ek e l’energia a riposo Eo
= Ek / Eo
Questo rapporto può essere usato per determinare le proprietà fondamentali della particella in
movimento.
L’energia totale Et=mc2=m0c2+Ek=E0+Ek
Da cui dividendo per m0c2 si avra’ m=m0(1+)
ma
m
m0
1  2
1   2  1
Da cui
vc
Da cui la quantità di moto
P  mv  m0 c 1  2  1  m0c  2  2
1 
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Nell’intervallo delle basse energie la velocità cresce molto più rapidamente della massa. Per
energie veramente alte allora la velocità non cambia ma è la massa che cresce.
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Un altro modo di rappresentare il movimento delle particelle accelerate è quello di usare il rapporto
dell’energia totale sull’energia della massa a riposo.

Et
E0
Per Ek>>E0 allora 
Se una particella si muove in un campo magnetico possiamo scrivere la seguente relazione
Ek 2
Ek



2
E 
E
 
Dove r è il raggio dell’orbita delle particelle stabili e B è l’induzione0del campo0magnetico.
mV P m0C
Mc
rB 
 
 2  2 
e
e
e
e
Il prodotto rB è detto rigidità magnetica della particella.
Per Ek>>E0 l’equazione precedente la possiamo scrivere.
Le equazioni cosi’ scritte sono valide per tutte le particelle se si tiene ovviamente conto della massa e
della carica della particella.
2
E
rB  0
ec
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Ek  2Ek
1




Ek 2  2Ek E0
E 
E0
ec
 0 
rB  Ek
Nel range delle particelle non relativistiche cioe’ Ek non molto piu’ grande di E0
Il fattore di proporzionalità ha lo stesso valore per i protoni e per le  , è 1 / 1836
più piccolo per
l’elettrone ed e’ 2 volte piu’ grande per i deuteroni .
Nel range delle particelle relativistiche il prodotto rB è proporzionale a Ek. Il fattore di
proporzionalità è lo stesso per particelle aventi la stessa carica ma è la meta’ per le particelle 
Nella figura è possibile vedere l’andamento di
rB in funzione dell’energia per varie particelle.
Una proporzionalita’ a Ek e’ evidente nel
range non relativistico. Le curve per protoni ed
alfa coincidono e quella relativa ai deuteroni e’
spostata verso l’alto di 2 e quella per elettroni
1 / 1836 . La
e’ spostata verso il basso di
regione di transizione e’ in corrispondenza della
massa a riposo. Dalla medesima figura è
possibile estrapolare che poiche’ il massimo
valore ottenibile di B è pari a 2 Tesla il raggio
di acceleratori circolari dell’ordine delle
centinaia di GeV deve essere centinaia di metri.
mp =1836 me
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Se infatti l’induzione magnetica e’ espressa in Tesla
1 Tesla = 1Wb/m2 1Wb= 1 V*s il prodotto rB per particelle
all’energia di 100 GeV e’ circa 500 e tenuto conto dell’induzione
di 2 Tesla si ricava un raggio di 250 m
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UN PO' DI STORIA
A partire dalla scoperta della radioattività la fisica nucleare ebbe a sua
disposizione soltanto sorgenti naturali di particelle di alta energia.
Tali sorgenti altro non erano che isotopi naturali  emettitori quali gli isotopi
del Polonio o del Radio.
Le particelle  in parola avevano energie nell'intervallo 5.30  7.68 MeV.
Pertanto la fisica nucleare si doveva limitare a questo solo tipo di particelle
peraltro non di elevata energia.
L’altro ostacolo per un proficuo lavoro di ricerca era dato dall’esiguo numero
di reazioni prodotte da particelle da sorgenti naturali (piccolo numero di  ma
più piccolo numero di reazioni).
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Allo scopo di studiare meglio i fenomeni fisici era necessario avere a disposizione
delle sorgenti di particelle che fossero sufficientemente numerose tali da poter
evidenziare anche fenomeni rari.
Nell’ipotesi che trasformazioni nucleari potessero avvenire anche con l’uso di altre
particelle oltre le , Rutherford nel 1927 propose la costruzione di un generatore da
1 MeV. Detto generatore doveva essere usato per accelerare protoni da usare su
varie targhette.
Nel frattempo lo stesso Rutherford suggerì a Cockcroft e Walton di investigare se
per caso tali trasformazioni potessero avvenire anche utilizzando tensioni più basse.
Nel 1932 i due autori annunciarono di aver ottenuto la scissione di atomi di litio a
mezzo di protoni accelerati a potenziali relativamente bassi.
Essi avevano costruito ed usato il primo acceleratore al mondo.
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Questo acceleratore, chiamato cannone a protoni, consisteva in una camera di accelerazione
contenente una sorgente di elettroni con catodo riscaldato e una coppia di elettrodi accelerati.
Gli elettroni emessi dal catodo erano accelerati dalla tensione esistente dal catodo e anodo.
Passando attraverso la camera gli elettroni ionizzano un elevato numero di atomi di idrogeno
nelle vicinanze dell’anodo.
Gli atomi di idrogeno ionizzati altro non sono che protoni.
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Se applichiamo una alta tensione Va di 150kV fra l’anodo e l’elettrodo di accelerazione di
polarità opportuna, i protoni prodotti nei pressi dell’anodo sono accelerati e lasciano la
camera da vuoto per andare a colpire la targhetta di litio. Essi poterono osservare e misurare
particelle  con energie fino a 8.6 MeV e ranges fino a 8 cm.
Durante queste prime prove trovarono che due particelle  erano emesse in direzione 180˚
ipotizzando la seguente reazione nucleare:
7
1
8
4
4
3 Li1 H 4 Be 2 He 2 He
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L’esperimento di Cockcroft-Walton permise per la prima volta trasformazioni
nucleari indotte da particelle accelerate artificialmente in un acceleratore, cioè in
un dispositivo progettato per accelerare particelle cariche.
Successivamente gli stessi autori furono in grado di accelerare particelle fino
a 700 keV.
Questo tipo di acceleratore fu chiamato COCKCROFT-WALTON dal nome
degli inventori.
È considerato il primo acceleratore di particelle elementari costruito al mondo.
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Questo acceleratore aveva una camera di accelerazione chiusa in una
ampolla di vetro di 2 m di altezza e un generatore, sempre chiuso in vetro,
di un’altezza pari a 3,6 m.
Il generatore era in grado di fornire correnti dell’ordine di 10A
cioè pari a ~6.24 x 1013 protoni/s.
Intensità equivalente era fornita da una quantità di 34 g di radio.
In un secondo tempo la Philips costruì a Cambridge un acceleratore a
cascata in grado di dare 100 A di protoni a un’energia di 1.2 MeV.
Un anno dopo Crockroft e Walton, Van de Graaff, un ricercatore
americano, costruì il primo acceleratore elettrostatico, più tardi divenuto
uno dei meno costosi e comunemente usati generatori per l’accelerazione
di particelle.
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Questi ultimi due acceleratori sono acceleratori lineari ad alta tensione
Lo schema di principio di funzionamento è intuibile dalla figura
Una sorgente di elettroni o di ioni è installata all’interno di una camera da vuoto e una alta tensione è
applicata agli estremi della camera da vuoto. Quando gli elettroni sono prodotti essi subiscono una
accelerazione pari alla tensione applicata. Se la differenza di potenziale è per esempio 1 MV allora gli
elettroni alla fine della camera da vuoto hanno una energia di 1 MeV.
Il fascio va poi a colpire una targhetta che può essere interna o esterna, in quest’ultimo caso abbiamo un
cosiddetto fascio estratto.
Pertanto un acceleratore lineare è costituito da un percorso lineare in camera da vuoto, per il fascio
accelerato e una sorgente di alta tensione per fornire l’energia.
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La camera deve essere il più possibile “vuota” altrimenti le particelle accelerate
interagirebbero con le molecole del gas residuo e pertanto non si avrebbe il fascio.
Il principale svantaggio degli acceleratori lineari ad alta tensione è che la camera deve
contenere l’alta tensione e i problemi di isolamento diventano il fattore limitativo per le
energie più alte. Si riescono a raggiungere tensioni di 15-30 MV.
Il problema è stato del tutto eliminato con i cosiddetti acceleratori lineari a radiofrequenza
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Il principio di funzionamento prevede che le particelle viaggino lungo un percorso rettilineo,
all’interno di una serie di elettrodi.
La tensione a radiofrequenza viene applicata alle sezioni contigue in modo tale che le
particelle possano ricevere una accelerazione in fase con l’energia da loro posseduta.
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Un miglioramento nelle tecniche di accelerazione si ebbe subito dopo la II guerra mondiale,
anche perché le conoscenze sulle microonde a radiofrequenza avevano nel frattempo subito
notevoli avanzamenti.
Sebbene gli acceleratori siano capaci di accelerare particelle all’energia del GeV essi hanno
dimensioni rilevanti. L’acceleratore lineare di Stanford 3 miglia (3200 m) è capace di
accelerare elettroni fino all’energia di 35GeV.
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Acceleratori Circolari
Contrariamente agli acceleratori lineari gli acceleratori circolari accelerano le particelle
in percorsi circolari muovendo le particelle lungo una spirale ovvero lungo una
circonferenza.
Il primo acceleratore circolare fu sviluppato da Lawrence e Livingston. Lawrence prese
il nobel per questa invenzione.
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All’interno di una camera da vuoto piatta furono installati in una coppia di elettrodi a
forma di lettera “D”. Un tensione alternata a radiofrequenza è applicata a questi
elettrodi. Le particelle accelerate sono emesse nel punto centrale della camera e
precisamente fra i due poli di elettromagnete molto potente.
Partendo da questo punto centrale le particelle viaggiano su orbite circolari. Il campo
magnetico perpendicolare al piano dell’orbita ha la funzione di curvare dette orbite e il
campo elettrico a radiofrequenza ha la funzione di accelerarle. Esse percorrono un
semicerchio di raggio crescente. Durante un giro le particelle sono accelerate due volte.
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Il primo di tali acceleratori raggiungeva un’energia massima per i
protoni accelerati pari a 80 keV e con un altro prototipo fino a 500 keV
ma le intensità non superavano 0.01 A .
Dagli anni 20 in poi molti scienziati lavorarono a tecniche di
accelerazione circolari differenti da quelle dei ciclotroni.
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Nel 1940 negli Stai Uniti fu costruito il primo Betatrone ad opera di D.W.
Kerst. Questo tipo di acceleratore consiste in una camera toroidale
installata all’interno dei poli di un elettromagnete. L’elettrone emesso da
una sorgente si muove all’interno della camera da vuoto. Il betatrone non
ha elettrodi acceleranti a radiofrequenza.
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Il campo magnetico applicato svolge due funzioni: quella di deflettere il fascio e di
accelerarlo all’interno della camera a vuoto.
Durante una rivoluzione nel betatrone l’elettrone acquista una energia relativamente piccola,
dell’ordine di una decina o alcune decine di eV. Se il numero di rivoluzioni è alto e l’energia
finale può arrivare fino a 108 eV.
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Il primo betatrone raggiungeva energie di 2.35 MeV.
Nel 1942 Kerst ottenne energie fino a 20 MeV, riuscendo in questo modo
ad ottenere una radiazione equivalente a 1 kg di Uranio.
Dopo la guerra si arrivo’ a un Betatrone da 100 MeV costruito dalla
General Electric. Nel 1950 si arrivo’ infine a un’energia di 300 MeV. Gli
alti costi dovuti alla parte magnetica dell’impianto hanno di fatto limitato
fortemente la costruzione di impianti a più alta energia.
Gli anni seguenti alla seconda guerra mondiale hanno segnato un rapido
sviluppo delle tecniche di accelerazione.
Indipendentemente in Unione Sovietica (Verksler) e negli Stati Uniti (Mac
Millian) furono sperimentati acceleratori basati su questo nuovo metodo.
Essi furono chiamati sincrotroni.
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Le orbite sono fisse
In un sincrotrone le particelle sono accelerate da una tensione a radiofrequenza in un campo magnetico
in salita. Questo metodo apri’ nuovi orizzonti e prospettive nell’ambito delle tecniche di accelerazione
permettendo la costruzione di diversi tipi di acceleratori:
gli elettrosincrotroni, i protosincrotroni e gli acceleratori per ioni pesanti.
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Sebbene in una fase iniziale di sviluppo della tecnica questi acceleratori raggiungevano
energie di centinaia di MeV, i protosincrotroni possono raggiungere attualmente energie del
TeV.
Contrariamente al ciclotrone, il sincrotrone ha un campo magnetico soltanto nella regione
dell’orbita circolare lungo cui le particelle sono accelerate.
L’elettromagnete può essere fatto come un magnete a forma di anello incurvato.
Il diametro delle orbite dei moderni sincrotroni per alte energie può raggiungere diverse
centinaia di metri.
L’SPS del Cern raggiunge una energia di 450 GeV con un paio di km di diametro.
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Veksler nell’ambito dei suoi studi di accelerazione progetto’ un nuovo tipo di acceleratore per
elettroni chiamato microtrone.
In un microtrone l’elettrone si muove in un campo magnetico curvo lungo un cerchio di
tangenti comuni. Un insieme di elettrodi alimentati a radiofrequenza sono installati nei
pressi del punto tangente.
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Ulteriori miglioramenti dei ciclotroni furono i sincrociclotroni e i ciclotroni isocroni.
I primi differiscono dai ciclotroni nella tensione applicata ai magneti a D che non ha una
frequenza costante bensì variabile durante i cicli di accelerazione. I secondi differiscono dai
ciclotroni a causa del comportamento del campo magnetico lungo l’orbita.
In un ciclotrone classico, questo campo è costante lungo l’intera lunghezza di un’orbita di un
dato raggio, nell’isocrono, la particella che si muove in un’orbita di un dato raggio incontra un
campo magnetico che in sequenza aumenta e diminuisce.
Gli anelli di accumulazione costituiscono un tipo di acceleratori da considerarsi a parte.
Con l’aumento dell’energia delle particelle ci si e’ posti il problema di come utilizzare tali
energie per la sperimentazione.
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Quando l’energia delle particelle accelerate, per esempio protoni e elettroni, che è
incidente su una targhetta fissa dell’acceleratore, la maggior parte dell’energia è
spesa nel movimento del centro di massa delle due particelle e soltanto una piccola
parte nel loro relativo movimento.
Ma poiché la massa particella secondaria formata è determinata dalla parte
dell’energia spesa dal movimento relativo. Ciò restringe la possibilità di studiare
nuove strutture. Sono i movimenti relativi che forniscono le informazioni
necessarie alla comprensione della struttura della materia.
Gli anelli di accumulazione offrono la possibilità di superare questo problema
facendo scontrare due fasci che viaggiano in direzioni opposte.
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Una classificazione degli acceleratori viene effettuata sulla base delle energie massime di
accelerazione
Bassa energia
Energia intermedia
Alta energia
≤ 100 MeV
100 ÷ 1000 MeV
> 1000 Mev
Una ulteriore classificazione consiste nel suddividere fra acceleratori per ricerca e
acceleratori per applicazioni pratiche.
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SORGENTI DI ELETTRONI E IONI – TARGHETTE
Lo scopo della costruzione di sorgenti di elettroni e/o ioni è quello di
poter produrre un fascio di particelle libere, in prima istanza, e di produrlo
in modo appropriato in seconda istanza.
Fra l’altro la sorgente svolge anche la funzione di preaccelerazione fino
ad energie al centinaio di keV.
La richiesta fondamentale per una sorgente di particelle è che il fascio
prodotto sia intenso, abbia una piccola divergenza angolare (beamemittance), grande durata e stabilita’.
Negli acceleratori che lavorano in modo pulsato allora è necessario avere
un gran numero di particelle per impulso. Per le sorgenti che utilizzano un
gas l’ulteriore requisito è che il gas non si esaurisca.
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SORGENTI DI ELETTRONI
La produzione di fasci di elettroni a scopo accelerazione non differisce
fortemente dalla tecnica di produzione in altri campi.
Gli elettroni sono prodotti sulla superficie di un catodo caldo che può
essere fatto di filamenti di tungsteno. Se un filamento del diametro di 1
mm è riscaldato a 2600 K, è prodotta una corrente di circa 0.8 A su cm2.
La vita media di tale dispositivo è relativamente lunga ~ 400 h.
Se la temperatura del medesimo catodo raggiungesse 3000 k, la corrente
aumenterebbe di un fattore 20 ma la durata sarebbe appena 20 ore.
Va fatta una scelta di compromesso.
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Oltre ai catodi direttamente riscaldati esistono catodi indirettamente riscaldati; i cosiddetti
catodi a ossido.
In questo caso l’elemento riscaldante è all’interno di un tubo la cui superficie è rivestita di
ossidi di metalli quali il bario o lo stronzio. Il vantaggio di questi ultimi catodi è che
possono lavorare a temperature di 1000 K e ciò ne prolunga la durata
La sorgente di elettroni ad alta corrente che viene correntemente usata negli acceleratori lineari per elettroni
è detta “Pierce gun” cannone di Pierce, dal nome del suo inventore.
Alla sua uscita la sorgente di elettroni libera un fascio preaccelerato con energie delle decine di keV.
L’ intensità di tali fasci può raggiungere l’ordine dell’ampere.
Ciò dipende sia dalla divergenza angolare che
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dalle condizioni di operazione.
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SORGENTI DI IONI
Gli acceleratori di ioni sono usati per accelerare ioni di vari elementi sia positivi che negativi e
con ionizzazione variabile.
In aggiunta ai requisiti richiesti per le sorgenti di elettroni, le sorgenti di ioni debbono avere un
basso consumo di gas e in alcuni casi una facile intercambiabilita’ da gas a gas.
Ci sono essenzialmente tre metodi per ottenere ioni di elementi che sono solidi per esempio ioni di metalli.
Il primo consiste nell’evaporazione dell’elemento e successiva ionizzazione del vapore risultante.
Il secondo metodo consiste nel bombardamento di una superficie solida con un fascio di alta energia.
Sotto l’effetto del fascio sono emessi ioni di un dato elemento, positivi o negativi, dalla superficie
fredda del metallo.
Infine il terzo metodo consiste nell’utilizzazione del metodo Langmuir che consiste nell’evaporazione
diretta di ioni da una superficie calda.
In pratica ioni possono essere prodotti con il primo metodo irradiando con radiazione elettromagnetica
(raggi x o ultravioletti) vapori di dati elementi.
Il sistema più frequentemente usato nel campo degli acceleratori di particelle è quello basato sul secondo
metodo. Se un elettrone di alta velocità interagisce con un atomo di idrogeno o qualche altro elemento,
esso può strappare un elettrone da un livello energetico dell’atomo producendo uno ione per esempi H+.
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Il principio di funzionamento è illustrato nella figura.
In questo caso un fascio di atomi non ionizzati si muove nella direzione orizzontale.
Un fascio di elettroni di energia sufficientemente elevata interseca a 90º il fascio di atomi. I
due fasci all’interno delle griglie poste a potenziali positivo e negativo interagiscono
producendo elettroni liberi e atomi ionizzati della specie più numerosa. A causa della
tensione applicata il fascio di elettroni viene deflesso verso il basso mentre il fascio di ioni
va verso l’alto. La realizzazione di un simile dispositivo è rappresentata in figura.
Il catodo k emette un fascio di
elettroni.
A causa della pressione bassa
all’interno del dispositivo nell’urto
vengono prodotti a mezzo di
ionizzazione per collisione gli ioni,
con esclusione degli altri effetti che
potrebbero giocare un ruolo
importante a più alte pressioni.
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Gli elettroni emessi dal catodo k entrano
nella regione dell’anodo A attraverso la
fenditura S1 e lasciano l’apparecchiatura
attraverso la fenditura S2 raggiungendo la
trappola per elettroni T. Questa trappola è
connessa elettricamente con l’anodo. Nella
parte di spazio nei pressi dell’anodo gli
elettroni vengono accelerati a mezzo di un
campo elettrico pari a 200 volt. Al momento
dell’iniezione del gas di atomi neutri, essi
sono ionizzati in ioni positivi. L’elettrodo R è
positivo mentre la parte negativa è collegata
con l’anodo. Ciò fa si che l’elettrodo fa
azione di repulsione degli ioni e li dirige
verso la fenditura dove trova la tensione Vp
che accelera ulteriormente gli ioni.
Il gas o il vapore utilizzato provengono o da
una bombola o da una fornace in cui viene
fatta avvenire l’evaporazione. La direzione
del flusso di gas è perpendicolare alla
direzione del fascio di elettroni. I vapori
tendono ad uscire dalle tre fenditure un
sistema di pompaggio estrae il gas
rapidamente in modo tale che lo stesso non
possa pregiudicare il vuoto dell’acceleratore.
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La sorgente di ioni del secondo tipo “ion plasma source” è basata sul principio della
ionizzazione per collisione.
Gli elettroni emessi da un catodo caldo producono un plasma sotto l’azione di una scarica
elettrica.
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La camera che contiene il plasma ha una ionizzazione diretta del gas,
oppure nel caso di ioni di elementi solidi un vapore a 800º dell’elemento
viene iniettato nella camera a plasma. In quest’ultimo caso un consumo di
5 mg/h di sostanza è necessario.
Questo tipo di sorgente può produrre ioni di metalli quali lo Zn, Ag, Cd,
Hg, Cu, Bi etc.
Alcune versioni di questo tipo di sistema ha una camera riscaldante fino a
3000ºC in tal caso vengono dette sorgenti calde.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
TARGHETTE PER ACCELERATORI
Una targhetta è un elemento soggetto al bombardamento di un fascio di particelle
accelerate con lo scopo di indurre reazioni determinate.
Tali targhette sono divisibili in due gruppi.
Il primo consiste di targhette oggetto loro stesse di studi e il secondo di targhette
necessarie alla produzione di fasci secondari.
Le prime possono essere fatte di qualsiasi materiale si voglia studiare e sono
pertanto destinate al puro caso di ricerca.
Le seconde possono essere usate sia per ricerca che per altri scopi pratici. Per
esempio targhette in un acceleratore di elettroni possono essere utilizzate per
produrre fasci di raggi x, per sterilizzare, per radioterapia o per radiografie
industriali.
Facendo solo riferimento allo stato del materiale le targhette possono essere
solide, liquide o gassose. Le solide per esempio, possono essere costituite da un
blocco, da una foglia o da un film sottile depositato su un supporto.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Le targhette possono essere inserite all’interno di un acceleratore o costituire la parte terminale
della camera da vuoto. La posizione dipende da vari fattori: tipo di materiale, specie di particelle
prodotte, metodo usato per la rivelazione delle particelle.
Le targhette inserite all’interno delle camere da vuoto sono di solito resistenti alle alte
temperature e alle radiazioni senza disturbare l’ultra alto vuoto.
Di solito queste targhette sono foglie o blocchi.
Targhette esterne vengono usate quando gli ioni sono sufficientemente energetici da oltrepassare
le finestre da vuoto.
I requisiti di una targhetta dipendono fortemente dal tipo di misura si debba effettuare e
comunque la sua qualità è decisiva nel successo di una misura.
Fra i parametri da menzionare ci sono la vita media, la purezza chimica e l’ omogeneità la
resistenza alla pressione e al vuoto, la capacità termica, l’ uniformità dello spessore etc.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
ACCELERATORI LINEARI
Andiamo a vedere in dettaglio il funzionamento degli acceleratori lineari a partire dagli
acceleratori elettrostatici.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
VAN DE GRAAFF
Il principio di funzionamento è mostrato nella figura
Una cinghia senza fine di trasporto della
carica, fatta di materia isolante è
montata fra due cilindri, di solito diversi
metri lontani l’uno dall’altro.
Il cilindro in basso agisce come una
puleggia di trasmissione. Il suo
movimento è provocato a un motore che
fa muovere la cinghia a una velocità
lineare fino a parecchie decine di metri al
secondo. La parte più bassa del
generatore alloggia una apparecchiatura
in grado di fornire una carica alla
cinghia.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Vicino la cinghia infatti è installato un
elettrodo a punta che funziona da
sorgente di cariche elettriche. Sotto
l’effetto di un campo elettrico intenso,
sono prodotti nelle immediate vicinanze
dell’elettrodo ioni positivi e negativi. Se
la punta è carica positivamente allora le
cariche positive vengono spinte verso la
cinghia e spostate meccanicamente
verso l’alto. All’interno dell’elettrodo
sferico chiamato elettrodo collettore c’è
un altro elettrodo a punta. Questo
collettore prende le cariche positive
dalla cinghia e le trasporta sulla
superficie dell’elettrodo di alta tensione,
che acquista sempre di più potenziale.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Secondo quanto indicato in figura l’elettrodo di alta tensione è caricato ad un
potenziale positivo. Nei pressi del collettore c’è un ulteriore elettrodo che
carica la parte di cinghia che va verso il basso di cariche negative. Un
generatore di questo tipo si chiama generatore con due direzioni di carica. È
ovvio che il sistema è simmetrico rispetto alla carica.
La corrente massima che si può ottenere da un Van de Graaff dipende dalla
densità massima delle cariche che può essere depositata sulla cinghia.
Per una cinghia che si muove in aria alla pressione atmosferica la massima
densità teorica di carica è ~ 2.6x10-9 A s cm2, ma in pratica soltanto il 50÷60%
di tale valore può essere ottenuto.
Con un generatore con una velocità di trasmissione di 20m/s e larghezza 30cm
si potrebbero in teoria fornire 100A ma in realtà se ne forniscono solo 80÷90
A .
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
È chiaro che gli elettrodi non possono essere caricati a piacere. Se un
generatore di questo tipo opera in aria, delle scariche possono avvenire
fra l’elettrodo e le pareti del contenitore in cui è alloggiato. Questo
ovviamente oltre certi valori di tensione.
Anche lungo la cinghia di trasmissione possono avvenire scariche.
In aria non si può superare il valore di 30kV/cm.
Gli elettrodi di alta tensione sono di solito di forma sferica. Una sfera
di raggio 1 m può raggiungere un potenziale di 3MV.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
I primi Van de Graaff non raggiungevano che il 30% di questo potenziale a
causa della non uniforme distribuzione della tensione lungo il generatore.
Dispositivi di equalizzazione furono previsti.
Un altro motivo per il non raggiungimento della potenziale nominale è che
sull’elettrodo esistono delle micropunte che scaricano l’elettrodo.
Allo scopo di produrre tensioni da 2 a 25 MV fu necessario pertanto costruire
impianti molto grandi. Uno dei più grandi acceleratori di questo tipo aveva
degli elettrodi da 4.57 metri di diametro posti su colonne isolanti alte 6.7 m. Il
sistema era fatto in modo da caricare ad un potenziale positivo di 2.4 MV e
l’altro a un potenziale positivo di 2.7 MV. Raggiungendo una tensione massima
di 5.1 MV e una corrente di 1.1 mA.
Tutto l’impianto era installato in un’area di 43x23x23 m3.
L’umidità fu inoltre un altro grande inconveniente per i generatori in aria.
L’interesse per questo tipo di acceleratori è ormai soltanto storico.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Allo scopo di eliminare questo tipo di inconvenienti i ricercatori svilupparono
acceleratori pressurizzati o pressurizzati e isolati.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Il Van de Graaff fu quindi inserito in una camera a tenuta in cui
immettere un gas a pressione da diverse decine di atmosfere che
facesse da isolante. La capacità di isolamento del dielettrico gas è
proporzionale alla sua pressione. L’uso pertanto del gas a pressione ha
ottenuto diversi vantaggi:
- dimensioni limitate
- a parità di dimensioni correnti maggiori.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
ISOLANTI
Azoto
Derivati dal Metano
Utilizzati talvolta
Freon (C CL2 F2)
Esafluoruro di zolfo (SF6)
Molto usati anche se hanno una azione
corrosiva sui componenti di origine organica
Per quest’ultimo motivo si preferisce usare una miscela Azoto più
Freon o SF6.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
La costruzione di appropriate cinghie con resistenze dell’ordine di 1013 - 1614
ohm rappresenta una grande difficoltà nella costruzione di questi tipi di
acceleratori.
Le cinghie devono allungarsi poco, essere resistenti all’ umidità, avere
superfici lisce e possedere una resistenza meccanica notevole. All’inizio fu
usata gomma vulcanizzata; successivamente da tessuto in cotone e seta
gommata.
Comunque sia le cinghie dovevano essere sostituite dopo non più di qualche
migliaio di ore di funzionamento.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Il sistema di carica in anni sufficientemente recenti fu notevolmente
migliorato con l’introduzione del sistema “pelletron” o “laddertron”.
Il primo, introdotto dalla NEC, consiste in una specie di catena fatta
con piccoli cilindri metallici senza spigoli, collegati fra loro da agganci
di plastica, raggiungendo un tempo di funzionamento superiore alle
40000 ore di funzionamento.
Il secondo tipo consiste in una variante del primo. La cinghia consiste
di elementi piatti collegati fra loro da elementi isolanti.
Quando questo tipo di sistema è usato nella carica bidirezionale si
ottengono correnti fino a 600A.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Negli acceleratori Van de Graaff le tensioni variano fra centinaia d kVa a diversi MV.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Con acceleratori a due stadi TANDEM si ottengono potenziali fino a 20 MV.
È appena il caso di far presente che fra gli acceleratori elettrostatici quello di
tipo Van de Graaff è senz’altro il più diffuso a causa dei seguenti vantaggi:
- operazione in modo continuo ( corrente media  corrente istantanea );
- operazione pulsata è possibile;
- fascio prodotto molto uniforme in energia;
- possibilità di accelerare particelle di diversa carica fino ad accelerare ioni
pesanti;
- operatività semplice, bassi costi di gestione.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
TANDEM
Un Van de Graaff unito ad altri stadi di accelerazione può costituire un tandem.
Ma vediamo come funziona un sistema a due stadi.
Un fascio di ioni positivi è prodotto all’esterno dell’acceleratore. Questo fascio viene
fatto passare attraverso un canale in cui c’è del gas a bassa pressione. Nell’interazione
vengono prodotti ioni negativi ottenuti per “attachment” di due elettroni. Il fascio di ioni
negativi viene mandato in uno spettrometro magnetico per selezionare esattamente
quelli di uno specificato q/m.
Gli ioni selezionati sono iniettati nelle camere da vuoto la cui sezione iniziale è messa a
terra . L’elettrodo di alta tensione connesso alla camera ha un potenziale positivo
dell’ordine di diversi MV. Gli ioni sono accelerati a una energia pari al potenziale
corrispondente e passando attraverso un canale di “stripping” sottile foglia di metallo o
carbone, perdono gli elettroni.
I corrispondenti ioni positivi sono accelerati di nuovo. La tensione applicata serve ad
impartire due volte l’energia al fascio
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Sistemi a tre
e a quattro stadi
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
ACCELERATORI LINEARI A RADIOFREQUENZA (LINAC)
Negli acceleratori lineari a radiofrequenza come già detto le particelle viaggiano in linea retta.
L’incremento di energia avviene a mezzo di un campo elettrico a radiofrequenza in sincronia con il
passaggio delle particelle nel sistema di elettrodi cilindrici.
Si fa la distinzione fra linac per particelle leggere (elettroni) e particelle pesanti
(protoni, atomi).
Negli acceleratori per elettroni il fascio si muove ad una velocità pari a quella della
luce con relativo piccolo cambiamento nella sua velocità dal momento dell’iniezione
al momento della fine accelerazione.
Le velocità di protoni e ioni pesanti sono molto più basse pertanto si hanno grandi
modifiche durante l’accelerazione.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
I fasci di ioni si muovono in una sistema di elettrodi cilindrici e tubi da
vuoto di lunghezza diversa ovvero in un campo elettrico di un’onda
elettromagnetica indotta in una guida d’onda.
Gli elettrodi hanno una tensione a radiofrequenza applicata ad essi:
entrambi gli estremi di una sezione hanno allo stesso tempo lo stesso
potenziale. Il fascio muovendosi lungo l’asse di tale sistema di elettrodi
è accelerato soltanto nello spazio fra gli elettrodi (nello spazio fra una
sezione ed l’altra).
All’interno delle sezioni il fascio è schermato dal campo elettrico e
pertanto non accelerato. Gli elettrodi successivi sono di lunghezze
crescenti per accordarsi con la velocità crescente degli ioni. Questo tipo
di struttura è particolarmente adatta per accelerare ioni con velocità
basse v<<c.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Un forte campo elettrico è presente fra i due elettrodi di due sezioni
contigue. Una particella che si trova in asse con la direzione del campo
elettrico e in fase con esso subisce una accelerazione.
Il potenziale dell’ordine di centinaia o migliaia di kV, molto più grande
di quello che si potrebbe ipotizzare dalle caratteristiche dielettriche del
gap, possono essere ottenute mediante un sistema eccitato da un
impulso di tensione a radiofrequenza.
Tali campi elevati sono spiegabili dal fatto che lo sviluppo della scarica
richiede più tempo della applicazione della tensione per un tempo
veramente corto. I generatori che pilotano tali sistemi operano a
frequenze delle centinaia alle migliaia di MHz.
Negli acceleratori lineari del secondo tipo l’accelerazione avviene in un
campo elettrico ad onda fissa o ad onda viaggiante. Il sistema ad onde
viaggianti è usato negli acceleratori per elettroni vc.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Il LINAC (Linear Accelerator) è una macchina acceleratrice per elettroni e positroni.
Il principio di funzionamento è quello del guadagno di energia che subisce una
particella carica “sospinta” da un’onda viaggiante all’intorno di una struttura metallica
detta "guida d’onda": un sistema di alimentazione crea infatti un campo elettrico a
microonde all’interno della struttura, che si propaga con una velocità che dipende dalla
struttura della guida d’onda e che nel nostro caso è praticamente uguale alla velocità
dalla luce.
Il campo elettrico che si propaga nella guida ha una componente nella direzione del
moto degli elettroni e quindi questi “vedono” sempre un campo accelerante: se le varie
sezioni hanno opportune fasi relative l’elettrone acquisterà una energia all'incirca
proporzionale alla lunghezza della struttura accelerante.
Cerchiamo ora di seguire un elettrone dalla sua creazione fino all’estremità del LINAC.
Il primo elemento dell’acceleratore è il CANNONE (GUN): questo emette elettroni per
riscaldamento, ottenuto bombardando il catodo con una corrente di elettroni emessa da
un secondo emettitore, detto "bombarder". Il cannone riesce a fornire così circa 4A di
corrente massima.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Il cannone dà degli impulsi di corrente continua della durata di circa 4 µs ; non tutta la
corrente però potrebbe essere accelerata dalla struttura a guida d'onda, in quanto in essa
si propaga un’onda che ha la frequenza di 2.856 GHz e possono venire accelerate solo
le particelle che vedono un campo elettrico opportuno (cioè negativo nel caso degli
elettroni): la lunghezza dtonda è di circa 10 cm e quindi ogni impulso del LINAC avrà
la forma di un treno di circa 11400 impulsi della durata di circa 0,2µs ciascuno con un
periodo di 0,35µs. Conviene allora sopprimere la parte di corrente che si trova in
controfase con il campo acceleratore, e questo è ottenuto facendo attraversare al fascio
un campo a radiofrequenza (prebuncher) che elimina la parte spuria del fascio,
ottenendo contemporaneamente un miglioramento della corrente media accelerata.
Un sistema di lenti magnetiche per la focalizzazione del fascio. completa questa zona
del LINAC detta di “iniezione”.
Il fascio così ottenuto viene quindi successivamente accelerato nelle guide d’onda
successive. Il sistema di iniezione e 1e prime 4 sezioni acceleratrici formano la
"sezione ad alta corrente", al termine della quale è posto il convertitore per la
produzione dei positroni. Le successive 8 sezioni formano la "sezione di alta energia"
L’energia finale degli, elettroni all’uscita dell’acceleratore è di circa 400 Mev, e dipende
dalla corrente accelerata. La massima frequenza di ripetizione è di 250 impulsi al
secondo.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
L’accelerazione dei positroni sì ottiene ponendo un convertitore, e cioè una targhetta
metallica, (tungsteno o rame) sulla traiettoria del fascio al termine della sezione ad alta
corrente. Nel convertitore , gli elettroni vengono frenati dai nuclei del metallo, ed
emettono dei raggi che costituiscono la cosiddetta “radiazione di frenamento”
e- + N  e- + N + 
quindi a loro volta, possono interagire sempre con i nuclei della targhetta dando
origine a coppie elettrone-positrone, attraverso la reazione
 +N  N + e+ + ei positroni così creati devono essere focalizzati mediante un sistema di lenti
magnetiche e possono quindi essere accelerati nelle 8 guide d’onda della “sezione ad
alta energia” disponendo opportunamente le fasi dell’alimentazione delle guide in modo
da accelerare a positroni. Dal momento che i positroni escono dal convertitore con una
certa dispersione angolare, durante l’accelerazione dei positroni è necessario che questi
vengano focalizzati per tutta la lunghezza dell’acceleratore, e ciò si ottiene alimentando
dei solenoidi disposti attorno alle ultime 8 sezioni acceleratrici.
Il rapporto tra la corrente dei positroni che si ottiene all’uscita dell’acceleratore e la
corrente di elettroni al convertitore, e cioè il cosiddetto “rendimento di conversione” e’
circa l’1%. L’energia massima dei positroni all’uscita dell’acceleratore è di circa 320
FERDOS
MeV.
Dr. Adolfo Esposito
Al termine dell’acceleratore lineare vi sono 4 magneti quadrupolari che servono a
mantenere focalizzato il fascio lungo una zona dritta che potrebbe essere un giorno
utilizzata per aumentare l’energia massima dell’acceleratore e poi un magnete pulsato
che può deflettere il fascio a destra o a sinistra di un angolo di 6º. La deflessione verso
sinistra conduce invece il fascio verso uno strumento, costituito da un magnete ed un
certo numero di placchette metalliche, le particelle vengono deviate dal magnete M e la
deviazione è tanto maggiore quanto minore è l’energia del fascio e quindi, dato che gli
elettroni accelerati hanno una certa dispersione in energia, varie placchette metalliche
saranno colpite dagli elettroni. Queste placchette danno un segnale di tensione
proporzionale alla quantità di particelle che le colpiscono e quindi su di un oscillografo
in sala controllo si potrà osservare un segnale. Si può così risalire alla energia centrale
ed alla dispersione in energia del fascio accelerato.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
CICLOTRONI E SINCROCICLOTRONI
Facendo riferimento al funzionamento del ciclotrone, se una particella di
massa m e di carico q si muove con velocità v perpendicolare alle forze
del campo magnetico di induzione B, allora la particella è soggetta alla
forza di Lorenz FL perpendicolare alla direzione di V e B.
FL = vBq
Il raggio di curvatura dell’orbita è determinato dalle condizioni di equilibrio fra la forza
centrifuga e la forza FL
mv
 Bq
r
mv=P=qBr
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Il magnete del ciclotrone altri non è che
un circuito magnetico con un intervallo di
aria. La distanza è dell’ordine di 10÷30
cm mentre il loro diametro è dell’ordine
del metro. Fra i due poli è installata la
camera da vuoto. All’interno della
camera ci sono gli elettrodi e degli altri
elementi fondamentali quali la sorgente
di ioni, la targhetta etc.
I due poli sono montati su supporti
isolanti.
Essi
costituiscono
un
condensatore a cui viene applicata una
tensione acceleratrice a radiofrequenza
con un’ampiezza da decine a migliaia di
kV a frequenze dell’ordine dei 10 MHz.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Un campo elettrico approssimativamente uniforme fra gli elettrodi a D
viene prodotto sotto l’effetto della tensione alternata. Un campo
magnetico costante di induzione pari a 1.5 Wb/m2 curva il percorso degli
ioni emessi dalla sorgente in un punto lievemente al di sopra del piano
orizzontale. Il periodo di rivoluzione di una particella che si muove con
velocità v in un’orbita di raggio di curvatura r è
T
2pr 2pm

v
qB
e quindi la frequenza f=1/T=qB/2pm
La condizione affinché la particella sia accelerata è che la frequenza della tensione di
accelerazione Va sia sincronizzata con la frequenza della particella che gira
sull’orbita.
Detta fs la frequenza di questa tensione sincronizzata e ws la corrispondente
frequenza angolare (ws =2pfs) .
La condizione di essere in fase può essere descritta da ws=qB/m.
FERDOS
1 Wb = 1 V*s
Dr. Adolfo Esposito
Seguiamo la particella da vicino: per prima cosa la particella nel centro della
camera viene accelerata dal campo elettrico fino a raggiungere una velocità v1 e
contemporaneamente curvata dal campo magnetico. Il risultato combinato dei due
campi è che la particella descriverà una spirale.
Dopo parecchie rivoluzioni la particella sarà vicino al “gap” quando la tensione
acceleratrice sarà arrivata al massimo. Il raggio dell’orbita istantanea inizierà a
crescere in funzione del tempo t.
Subito dopo la particella si trova all’interno dei D dove non c’è campo elettrico.
Da questo momento in poi la particella sarà accelerata soltanto nel “gap” e il
raggio di ciascuna orbita sarà più grande di quello precedente. Il tempo di
rivoluzione
t0 
2pr
v

2pm0
qB

2p
ws
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Questo significa che con un’appropriata scelta della frequenza ws, una particella che ha
attraversato una volta il gap dei D attraverserà il gap nel momento in cui il campo è
massimo.
Per una induzione magnetica costante B*e e per una energia non molto alta, il raggio r
dell’orbita è direttamente proporzionale alla velocità v.
Questo vale per particelle non relativistiche m  m0. Per particelle relativistiche
il tempo di rivoluzione è allora costante cosi’ come la sua velocità angolare.
2pr
 cos t
v
v
w   cos t
r
t0 
Non dipende
dall’energia
Queste condizioni di costanza valgono come già detto per energie relativamente basse.
Si e’ stabilito il seguente criterio pratico di disincronizzazione: valgono le condizioni di costanza per una particella che
guadagna una energia cinetica Ek tale da incrementare dell1% la massa a riposo
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Di seguito sono riportate le energie massime a cui possono essere accelerate le particelle
pesanti in un ciclotrone convenzionale.
Emax  10 MeV
Protoni
(E0 = 938 MeV )
Deuteroni
(E0 = 1877 MeV ) Emax  20 MeV

(E0 = 3733 MeV ) Emax  40 MeV
Gli elettroni potrebbero essere accelerati soltanto ad energie massime di 5.11 keV. Il che significa che i
ciclotroni non possono essere utilizzati per gli elettroni.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Per un ciclotrone convenzionale si possono scrivere le seguenti equazioni
La lunghezza d’onda della tensione di accelerazione e la velocita’ angolare ws sono legate dalla seguente
relazione
s 
2pc
ws
La velocita’ angolare soddisfa ws /2p=v/2pr e tenuto conto dell’equazione che lega l’induzione magnetica
alla quantita’ di moto si avra’
ws /2pqB/2pm0
Riassemblando il tutto si avra’
m 1
2pc
B  2pc 0
dove s 
q s
ws
Ek
E0
 2p
2
2
rmax
2s
L’energia cinetica è inversamente proporzionale al quadrato della lunghezza d’onda
Nel contempo l’induzione magnetica è inversamente proporzionale a
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
s
2 s
E poiché la massima induzione ottenibile è 2 Tesla allora il valore di  è limitato.
Una ulteriore limitazione della lunghezza d’onda è dovuta alla capacità dei D che,
per considerazioni strutturali, non possono decrescere a piacere. Tenuto conto di
questi due fattori il più basso limite della lunghezza d’onda è 10-20m che
corrispondono a frequenze di 30-15 MHz.
L’aumento di energia può essere ottenuto in un ciclotrone convenzionale soltanto
aumentando il raggio massimo dell’orbita delle particelle. Una volta specificato il
raggio massimo e la lunghezza d’onda, l’energia cinetica dipende solo
dall’energia a riposo e/o dalla sua massa a riposo.
Vale la pena notare che la massima energia delle particelle è indipendente dalla
tensione applicata. La tensione determina solo il numero delle rivoluzioni
necessarie per raggiungere una data energia.
Il numero di orbite non può essere arbitrariamente grande per l’effetto delle
oscillazioni di betatrone che non andremo ad analizzare.
La tecnica di accelerazione con ciclotroni ebbe miglioramenti con la costruzione
di sincrociclotroni e ciclotroni isocroni.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
BETATRONI
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
BETATRONI
I betatroni fanno uso della proprietà che un campo magnetico variabile
nel tempo produce un campo elettrico.
Il betatrone consiste in una camera da vuoto posta fra i poli di un
elettromagnete.
Gli elettroni prodotti da una sorgente cominciano a muoversi in un
percorso circolare. In questo caso non ci sono tensioni acceleranti a
radiofrequenza come nel caso dei ciclotroni.
Il campo magnetico applicato svolge una duplice funzione quella di
curvare gli elettroni all’interno della camera da vuoto e quella di dare
una tensione acceleratrice tangente all’orbita.
Durante un’orbita l’elettrone guadagna poca energia da qualche eV al
keV.
Se il numero di orbite diventa elevato l’energia può raggiungere le
decine di MeV.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
betatroni vengono di solito utilizzati nell’ambito delle radiografie
industriali o della radioterapia. I betatroni infatti non sono acceleratori
che possono accelerare gli elettroni a qualsiasi energia. Energie
veramente elevate sono impedite dalle perdite di energie per
irraggiamento che si hanno quando un elettrone viene accelerato
centripetamente .
Nel range relativistico l’irraggiamento è proporzionale E4 e pertanto
cresce molto rapidamente.
La radiazione emessa è nel campo dell’infrarosso visibile e
ultravioletto. Questa e’ la cosiddetta luce si sincrotrone.
Ed è questo il motivo per cui non vengono usati Betatroni ad energie
superiori a 50 MeV anche se teoricamente il valore massimo che si
può raggiungere è 500 MeV ma i costi diventano proibitivi.
I
Emax1.3 *1015 *f/B2max
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
SINCROTRONI
Il principio di operazione del metodo di accelerazione di un sincrotrone
consiste nell’impartire energie sempre più alte a una particella che viaggi in una
orbita circolare costante.
Il campo magnetico del sincrotrone deve poter variare nel tempo (B=ƒ(t)).
L’accelerazione effettiva delle particelle avviene fra lo spazio di risuonatori
alimentati a tensione a radiofrequenza come nel caso dei ciclotroni e degli
acceleratori lineari a radiofrequenza.
Poiché a energie relativamente basse gli elettroni raggiungono velocità
prossime a quelle della luce la loro frequenza di rivoluzione è
approssimativamente costante durante tutto il ciclo di accelerazione. Pertanto la
frequenza della tensione acceleratrice può essere costante.
Nel caso di sincrotroni per protoni non essendo sempre relativistici allora è
necessario introdurre oltre al campo magnetico variabile una frequenza
variabile della tensione acceleratrice. Addentrarsi in una trattazione più
specifica esula da queste lezioni.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
ANELLI DI ACCUMULAZIONE
Le energie ottenute nell’accelerazione delle particelle negli ultimi anni hanno
raggiunto limiti impensabili. L’LHC di Ginevra è previsto avere fasci di
protoni e antiprotroni a 7 TeV/C.
In aggiunta ai problemi tecnici, tecnologici ed economici di un acceleratore a
sempre più alta energia, c’è il problema di come si usa l’energia raggiunta
nell’ambito delle attività di ricerca.
Come già detto, quando una particella accelerata va a colpire una targhetta di
un acceleratore essa ha una energia superiore a quella della particella colpita.
La maggior parte dell’energia è però spesa nel movimento del comune centro
di massa e soltanto una piccola parte nel movimento relativo fra le particelle.
In accordo con la teoria della relatività, le reazioni di interesse dipendono dal
moto relativo. Il moto del centro di massa non dà informazioni.
A velocità più vicine a quelle della luce, anche il raddoppio dell’energia della
particella incidente non dà risultati utili negli effetti da studiare quando urta
una targhetta fissa.
La legge di aumento dell’energia implica che l’energia in una collisione
raddoppia solo quando l’energia del fascio incidente misurata rispetto al
laboratorio aumenta di un fattore 4.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Questa situazione peggiora per particelle relativistiche. Se una particella di massa m01
di Energia E1 colpisce una particella ferma di massa m02 l’energia totale utile nel
sistema del centro di massa è
2
2
ECM  c 2 m01
 m02
 2m01m02 1
1 
Et
m0 c 2
Se le due particelle collidenti hanno la stessa energia allora
e per  >>1
Ecm  m0c 2 2 1
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Ecm  m0c 2 2  2 1
Ecm  m0c 2 2 1
Per calcoli pratici si usa
ECM  2Et mt 
2 Et E0
dove Et è l’energia totale della particella incidente ed mt la sua massa a riposo
(mt=E0 = m0c2)
L’energia utile cresce così con la radice quadrata dell’energia raggiunta con bersaglio
fisso.
Et=Ecm* Ecm /2E0
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
Ad esempio l’energia nel centro di massa di una targhetta fissa di 7.8 GeV corrisponde
a una energia di 33 GeV nel riferimento del laboratorio. Con 1 TeV si avrebbe nel
centro di massa solo 43 GeV (Fermilab)
Il metodo dei fasci collidenti è stato sviluppato in ordine all’eliminazione degli
svantaggi del passaggio dal sistema di riferimento del laboratorio al sistema di
riferimento nel centro di massa.
Questo metodo è basato sulla sostituzione del bersaglio fisso con un bersaglio in
movimento che viaggia in direzione opposta al fascio incidente.
FERDOS
Dr. Adolfo Esposito
È possibile vedere che esistono due possibili layout. I fasci possono
circolare in due anelli separati (storage ring) o circolare nello stesso
anello.
Lo scopo di questi anelli è di produrre fasci sufficientemente densi,
anche se non si raggiunge ovviamente la densità di una targhetta
solida, e di farli scontrare nelle zone di interazione. Si ovvia alla bassa
densità sovracitata facendo urtare ripetutamente i fasci fra di loro nelle
zone di interazione.
Gli anelli di accumulazione sono essenzialmente dei sincrotroni con
fasci circolari di e+ ed e- nelle direzioni opposte. Esperimenti di
collisione fra due fasci possono essere fatti sia con collisori circolari
che con collisori lineari.
I limiti di energia per i collisori non sono limiti fisici bensì limiti
economici.
Ovviamente la massima energia che si può raggiungere, dato un certo
impegno finanziario, dipenderà dalle eventuali nuove tecnologie
utilizzate -- magneti superconduttori radiofrequenze superconduttrici.
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Dr. Adolfo Esposito
Se un fascio è fatto di particelle di massa m01 ed energia E1 e l’altro fatto di particelle di
massa m02 ed energia E2 , l’energia nel centro di massa può essere espressa
Ecm  c
2
m01  m02  2m01  m02 1 2 1   1 2 
2
2
Per particelle relativistiche si può scrivere
Ecm  2 E1E2
e se le energie sono uguali
Ecm  2E 
Et=Ecm/2
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L’energia del centro di massa è equivalente all’energia Elab che dovrebbe possedere una
particella di massa m01 che bombarda una particella m02 ferma nel centro di massa in
una targhetta fissa.
Se due fasci di protoni da 30 GeV collidono, l’energia nel centro di massa sarà la
somma delle due energie. Lo stesso risultato si otterrebbe con un fascio da 900 GeV su
targhetta fissa.
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Una differenza maggiore c’è per gli elettroni la cui massa relativistica
si incrementa molto più rapidamente che quella dei protoni. La
collisione fra due fasci di elettroni da 3 GeV potrebbe essere ottenuta
con energie di 35 TeV. Nel caso di Petra 20 GeV per fascio ci vorrebbe
un fasci da 1500 Tev.
Tutto ciò è illustrato bene nella figura.
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In un anello dì accumulazione, prendiamo come esempio Adone, le particelle, in questo
caso gli elettroni, vengono fatte circolare in gran numero (circa 1011) a velocità
prossime a quella della luce (3.108 m/s) in senso opposto a quello in cui circolano le
loro antiparticelle, e cioè i positroni.(I positroni sono particelle del tutto simili agli
elettroni, solo che mentre questi hanno carica elettrica negativa, i positroni hanno carica
elettrica positiva) Se un elettrone entra in collisione con un positrone, essi possono dare
origine a processi fisici di vario genere, tra i quali, ad esempio, l’annichilazione, che
permette la creazione di nuove particelle. Le apparecchiature sperimentali disposte
attorno all’anello di accumulazione sono progettate in modo da permettere appunto la
rivelazione di queste particelle prodotte nella reazione di annichilazione.
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La "qualità" di un anello di accumulazione è definita da alcune caratteristiche tecniche dei fasci,
delle quali le principali sono le seguenti:
a)
ENERGIA: 1'energia delle particelle del fascio è una misura della “forza d’urto "con cui
gli elettroni urtano contro i positroni; tanto maggiore e l’energia che corrisponde all’urto, tanto
più "pesanti" possono essere le particelle create e nella reazione. In un anello di accumulazione
per elettroni e positroni l’aumento di energia delle particelle si ottiene aumentando il campo nei
magneti curvanti. Più precisamente l'energia è proporzionale al prodotto B r, dove B è il campo
magnetico curvante e r è il raggio di curvatura dei magneti.
Il raggio di curvatura dei magneti di Adone è di 5 metri, mentre il campo può variare da zero a
10.000 gauss. L’energia massima, corrispondente al campo di 10.000 gauss, è di 1.500 MeV per
fascio;
b)
CORRENTE: la corrente accumulata in Adone è data dalla formula
I (Amp) = e (Coulomb) C (m/s) N
2*pR (m)
dove e è la carica dell’elettrone, che vale 1,6 x 10-19 Coulomb, C è la velocità della luce nel
vuoto (3 x 108 m/s), N è il numero di particelle accumulate nell’anello ed R è il raggio medio
dell’anello, che è di 16.7 metri . Si può quindi scrivere
I (Amp) = 4.6 x 10-13 N
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c)
LUMINOSITA’: la luminosità è, insieme all’energia, la qualità più importante di
un anello di accumulazione; essa dà una misura delle quantità di interazioni tra
elettroni e positroni che possono avvenire in un secondo, e naturalmente tanto
più alto è questo numero, tanto più facilmente possono essere eseguite le
esperienze di fisica nell’anello. La luminosità è proporzionale al prodotto delle
correnti degli elettroni e dei positroni ed inversamente proporzionale alla
sezione trasversale del fascio stesso, per cui conviene avere dei fasci
“focalizzati” ed intensi nei punti in cui avvengono gli urti tra gli elettroni ed i
positroni. Essa si misura in cm-2 s-1 ed in Adone è dell’ordine di 1029 cm-2 s-1 .
In Dafne e’ dell’ordine di 1032 cm-2 s-1
La luminosità è legata ai parametri della macchina dalla relazione
f N N'
L 
4k
A
Dove f è la frequenza di rivoluzione delle particelle accumulate, N ed N’ il numero totale delle
particelle accumulate nei due fasci, ed A la sezione dei fasci nel punto di interazione; K è il
numero dei pacchetti in cui è diviso ciascun fascio.
L’ordine di grandezza di A è di 1x1 mm2.
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d) VITA MEDIA: Un'altra importante caratteristica degli anelli di accumulazione è
la vita media, che è definita come il tempo in cui la corrente diminuisce fino alla
metà del valore iniziale. È importante aver una vita media abbastanza più lunga del
tempo necessario ad accumulare i fasci nell'anello. In Adone si impiega in genere
circa 10-15 minuti per iniettare i fasci, mentre la vita media dei fasci accumulati è di
5 / 10 ore. Le perdite di corrente che danno origine alla vita media sono causate da
vari processi che avvengono tra gli elettroni e positroni e del fascio accumulato e le
molecole del gas residuo nella ciambella un vuoto molto spinto, che in Adone
raggiunge i l0-9Torr.
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Luce di sincrotrone
Una particella carica che si muove di moto accelerato (ad esempio che percorra una traiettoria curva in un campo
magnetico), emette energia sotto forma di onde elettromagnetiche,
Un elettrone perde l’energia data dalla seguente formula
E= 8.85* 10-5 E04 /rs(GeV)
ad ogni giro. rs e’ il raggio dei magneti curvanti
La luce di sincrotrone ha una distribuzione continua dall’infrarosso ai raggi x duri passando per il visibile, per
l’ultravioletto e per i raggi x molli.
L’intensita’ massima si ha alla lunghezza d’onda max=0.42 cr
La lunghezza d’onda critica, che determina la parte utile di spettro, e’ data dalla
cr =4pR*-3/3 dove R e’ il raggio dell’orbita dell’elettrone.
cr(Å)=5.59R(m)*E (GeV)-3
cr(eV)=2.22 *103*E (GeV)3*R(m)-1
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