CULTURA il nostro tempo Domenica 27 Giugno 2004 n. 25 9 LIBRI INTERVISTA Il filosofo Luigi Alici nel suo ultimo libro offre una esplorazione sull’enigma del nostro rapporto con il bene, con il male e con la trascendenza. Un’etica minore La città dell’anima La nostra fragile identità si costruisce attraverso la relazione con gli altri, oggi messa a dura prova da una cultura fatta di “rapporti corti”, che tagliano fuori la terza persona, il “non-previsto” A destra, il filosofo Luigi Alici JACOPO GUERRIERO U N LIBRO appassionante e provocatorio che alterna riflessione filosofica, sociologica e letteraria. «Il terzo escluso» (San Paolo, 11 euro) è l’ultimo volume del professor Luigi Alici, ordinario di Filosofia morale presso l’Università di Macerata, che con quest’opera guida il lettore attraverso un viaggio nel senso ultimo della relazione con l’«altro», un’esplorazione sull’enigma del rapporto con la trascendenza. A partire dall’analisi di quella rete di relazioni sociali in cui si forma la nostra fragile identità, quella stessa rete che oggi è messa a dura prova da una cultura di quei «rapporti corti», in cui l’autore individua la ricerca di un’autenticità certo gratificante che però taglia fuori la terza persona, il “non previsto”, ciò che è prossimo e meraviglioso. Professore, nel suo volume lei parla di «un’etica minore», di soggettività svincolate. Che cosa intende? Nel libro parlo di «etica minore» per sottolineare una declinazione profondamente diversa (e non sempre dichiarata) del nostro rapporto con il bene e con il male: rispetto ad un modo ritenuto troppo “forte” e impegnativo di intendere l’etica, che avrebbe finito per ridurla ad una forma alienante di mortificazione della vita, oggi si preferisce ritagliarsi alcuni spazi di «autenticità morale» nella sfera delle “relazioni corte”, definite prevalentemente da un rapporto diretto tra l’«io» e il «tu». Questa presa di distanza dagli ideali alti e universali della moralità coincide con una riappropriazione del vissuto con una ricerca diretta di felicità, giocata sui valori immediati dell’affettività, del contatto, della gratificazione emozionale. Questa trasformazione cambia profondamente l’intera rete dei rapporti tra le persone, sottoponendoli però ad una ambiguità fondamentale: per un verso si vuole modulare la vita morale secondo una domanda di felicità estremamente concreta e vicina al nostro vissuto; per l’altro, si corre il rischio di passare da un’idea del bene troppo “lontana” dalla vita ad un’idea di bene troppo “vicina”, che finisce per identificarsi con la spontaneità delle nostre pulsioni. La coscienza contemporanea ha più volte cercato di blindarsi nella «cittadella dell’anima», nel suo volume riporta passi di Huysmans e Andrea De Carlo. Esistono, oggi, esempi di scrittori che vanno in controtendenza? Più che impegnarmi a fare dei nomi, vorrei sottolineare che rispetto ad una letteratura molto esercitata in un’estetica delle emozioni soggettive, in cui ciò che conta è soprattutto l’inventario dei sentimenti, c’è una tendenza di segno opposto che pone al centro il più ampio orizzonte della biosfera, esterno all’uomo stesso. Penso all’ecologismo, all’ambientalismo, ai vari movimenti per i diritti degli animali che intendono contestare il primato antropocentrico della cultura moderna, mostrando che il vero problema oggi riguarda il futuro della vita sulla Terra: un problema che si può affrontare rinunciando a porsi al di sopra degli altri esseri viventi. Si apre qui una doppia sfida per la cultura contemporanea, in particolare quella di ispirazione cristiana, chiamata anzitutto a rilanciare un’idea non evasiva di vita interiore (la «cittadella dell’anima» non può essere un rifugio, ma una dimensione aperta). E, in secondo luogo, a difendere un primato della persona umana non inteso in termini di potere, ma di dovere e (soprattutto) di amore. Chi è il «terzo escluso»? O meglio: con quale meccanismo il «terzo si dà», con quale meccanismo di reciprocità si costruisce la nostra identità? Non possiamo decidere noi chi è la «terza persona» e quali requisiti deve soddisfare perché possa interagire con l’«io» e con il «tu». Non si tratta di ammettere, ma di accogliere. Fino a quando l’«io» e il «tu» si arrogano preventivamente il diritto di decidere i criteri di ammissibilità del «terzo», la convivenza è esposta ad un pericolo gravissimo di esclusione. Il dibattito sui requisiti che deve possedere l’embrione Pietro Belfiore MISTERO A SCUOLA Edizioni Piemme, Casale Monferrato 2004 pp. 169, 7,59 euro «Il terzo escluso», un viaggio nel senso ultimo della relazione con l’altro umano per essere considerato persona, o il malato terminale per praticare l’eutanasia, sono una esemplificazione inquietante. Dobbiamo rovesciare l’ottica, scendere dal nostro piedistallo e lasciarci sorprendere dall’altro. Perché il pensiero contemporaneo ha senti- to come condanna il fatto che «con l’altro si può comunicare solo fino a un certo punto»? Qui si tocca un nodo cruciale: il dislivello nel rapporto con gli altri è un sintomo inequivocabile della nostra finitezza. Dirò di più: tale dislivello segna profondamente anche il rapporto che ognuno di noi ha con se stesso. In tale rapporto, io avverto di non poter raggiungere la radice del mio essere e quindi di non potermi autoproclamare come il fondamento di me stesso. La ricerca di una autonomia e parità assoluta nel rapporto con l’altro sembra quindi mascherare un nodo molto più grande: la difficoltà di riconoscere il mistero della trascendenza che ci sovrasta e ci ac- La scuola è ricominciata e Pietro e i suoi compagni devono affrontare il terribile professor Garito, il nuovo insegnante di italiano. Le giornate passano tra compiti e interrogazioni, finche a scuola non iniziano a succedere cose strane: oggetti coglie. Certo, il deficit di spariti, merendine rubate, comunicazione autentica portafogli scomparsi… Chi resta e la distanza con sarà il colpevole? l’altro continuerà ad accompagnare il nostro bi- Giusi Quarenghi sogno di amare ed essere NON SMETTERE amati, ma potranno esse- DI VOLERMI BENE re letti in una prospettiva San Paolo, Milano 2004 nuova e liberante: non pp. 15, 5 euro Nella narrativa religiosa come il segno di uno scacco e di una impo- per i più piccoli una beltenza, ma come il punto lissima collana dedicata ai di partenza di un cammi- salmi per voce di bambino. no di approssimazione ad In questo libretto una stuun’«ulteriorità» alla quale pefacente rielaborazione in possiamo solo lasciare lo veste poetica del Salmo 51, spazio perché possa do- che ne mette in luce alcuni narsi e farsi riconoscere. nuclei emozionali riconoRinunciare alla meravi- scibili e condivisibili da un glia dinanzi al «non anco- giovane lettore. Nella stessa ra» che ci oltrepassa e ci collana anche «Tu sei come interpella significherebbe una mamma». rinunciare alle domande grandi, dimenticando che Sara Boero sono proprio le domande QUANDO UN ALBERO grandi a rendere grandi CADE IN UNA FORESTA le nostre risposte, sempre DESERTA… Edizioni Piemme, Casale Monfertroppo piccole. rato 2004, pp. 106, 9,90 euro PREMIO «Il tetto è crollato. Sapevo che prima o poi sarebbe successo. Come se non fosse già abbastanza spiacevole dover trascorrere tutta la propria vita a mangiare pavoni arrostiti nel rudere di una villa su un’isola deserta. Adesso l’unica cosa che posso fare è aspettare. Aspettare e raccontare storie, nella speranza che Marianna ritrovi il quaderno, o per me sarà veramente finita…». Il «Grinzane Cavour» al grande scrittore sudamericano Il forte appello di Vargas Llosa contro tirannie e ingiustizie Per la narrativa italiana ha vinto la Gianini Belotti Elena Gianini Belotti EMANUELE REBUFFINI L’ OPERA narrativa di Mario Vargas Llosa è caratterizzata da una forte originalità sostenuta da una scrittura brillante e immaginifica. Il cambio repentino e brusco da una situazione a un’altra senza avvertimenti preliminari, uniti a una grande coerenza narrativa, hanno reso lo scrittore peruviano uno dei maestri della letteratura contemporanea, capace di descrivere tutti i livelli di una realtà, e uno dei grandi simboli della scena letteraria latinoa- NARRATIVA mericana. L’autore unisce alla qualità della scrittura la forza dell’impegno civile: nei suoi romanzi Vargas Llosa condanna tutte le forme di tirannia e le ingiustizie sociali. Un appello forte che lo ha reso uno dei più autorevoli portavoce delle istanze di libertà e di giustizia dei Paesi dell’America del Sud». Con queste parole Luis Sepúlveda ha motivato il conferimento del Premio internazionale «Grinzane Cavour» a Mario Vargas Llosa (Arequipa, 1936), autore di straordinari romanzi come «La città e i cani». «I quaderni di don Rigoberto» e il recente «Il Paradiso è Altrove» (Einaudi). Mario Vargas Llosa è stato tra i protagonisti della cerimonia di premiazione della XXIII edizione del Premio Grinzane Cavour, ospitata sabato scorso tra i bastioni del castello che domina le colline di Pavese e Fenoglio. Il Premio Grinzane Editoria è andato alla francese Odile Jacob, che nel 1987 ha dato vita a una casa editrice fortemente orientata a rappresentare e divulgare i vari settori della scienza. Per il Premio Autore esordiente la scelta è caduta sul- l’arabo-israeliano Sayed Kashua, autore di «Arabi danzanti» (Guanda), un romanzo forte e malinconico che evidenzia la disperazione di chi, trovandosi a cavallo di due culture, finisce per essere estraneo a entrambe. Per la sezione «Narrativa italiana» le giurie scolastiche hanno assegnato il titolo di “supervincitore” alla romana Elena Gianini Belotti con «Prima della quiete» (Rizzoli), davanti a Marina Jarre («Ritorno in Lettonia» Einaudi) e Andrea Vitali («Una finestra vistalago» Garzanti). Il libro della Gianini Belotti si ispira alla breve vita di Italia Donati. Nata a Cintolese nel 1863, nel cuore della val di Nievole, in una povera famiglia di contadini, la Donati volle studiare e realizzare così il suo sogno: diventare maestra comunale. A quell’epoca, annota l’autrice nelle prime pagine del romanzo, Tra gli autori stranieri vittoria di Radojcic-Kane Mario Vargas Llosa «l’istruzione doveva apparire un lusso inconcepibile, una pretesa scandalosa, un’ambizione colpevole che suscitava soltanto biasimo». Per Italia la scelta dell’emancipazione si trasformerà in una trappola mortale, che la farà diventare vittima dell’ignoranza e della violenza di un’intera comunità. Diffamazione, insulto e ludibrio porteranno Italia, Un giallo di Luigi Guarnieri che investe la storia recente VOLUME Il grande falsario dei quadri di Vermeer che seppe ingannare anche Goering LUCA DESIATO L’ ARTISTA e il suo doppio, la sua ombra, un rivale, un alter ego, un discepolo che in lui si immedesima con le conseguenti sovrapposizioni e manipolazioni. Nel nostro caso: la storia del pittore seicentesco fiammingo Vermeer, genio misterioso di cui poco si conosce, e del pittore novecentesco Han van Meegeren. Per vendicarsi dei critici che avevano stroncato la sua pittura realistica costui aveva messo a punto una tecnica stupefacente ed era divenuto eccelso falsario dei quadri del genio di Delft.Certo si può imitare la pittura di un maestro divenire, se coevi, seguaci, ma a distanza di secoli inventare nuove opere e farle passare per autentiche è una bella differenza. Su questa scommessa è giocato il romanzo «La doppia vita di Vermeer» di Luigi Guarnieri recentemente edito dalla Mondadori. Una scommessa, questo resoconto di avventure pittoriche e umane, la vicenda di un impostore e grande falsario che seppe ingannare, negli anni Trenta, esperti e critici famosi, direttori di musei e lo stesso gerarca nazista Goering che nel 1938 gli comprò l’ineffabile opera «Cristo e l’adultera». A fine guerra, nel 1945, le indagini della polizia olandese tese a recuperare le opere d’arte trafugate dai nazisti, portarono all’incredibile scoperta della truffa di Han van Meegeren. Di qui l’accusa di collaborazionismo e l’arresto. Per difendersi il falsario vuoterà il sacco. L’opera venduta a Goering era un bidone di sua invenzione. Una bella impresa per un pittore mediocre che aveva dovuto lottare contro il severissimo padre per seguire l’arte. Le conoscenze tecniche acquisite in anni di studio gli avevano permesso di addentrarsi nell’imitazione dei seicenteschi fiamminghi, in primis di Vermeer, portandolo a una parossistica e morbosa immedesimazione. Le sue stupefacenti qualità mimetiche gli avevano permesso di copiare, imitare, infine inventare opere del suo idolo: tramite una sapiente miscela e recupero di olii, pigmenti e colori d’epoca. Le vendite di falsi come «La cena di Emmaus» e «La lavanda dei piedi» gli avevano fruttato ricchi guadagni permettendogli una vita libera e scioperata: mogli e amanti, abuso di alcool e droghe. Pur se occultato da una abnorme sete di denaro c’è nel personaggio un senso di rivalsa, una paranoica sfida al genio di Vermeer (un’incondizionata ammirazione aveva nutrito per questo artista Proust). Di tale «pittore della luce, degli accordi e melodie del colore» poco si conosce, il pittore di un mondo d’armonia che nei suoi interni borghesi raggiunge «il mondo impalpabile della visione». Guarnieri scandaglia documenti e testimonianze d’epoca per cercare di ar- simbolo della rivolta della mitezza femminile contro un mondo infettato di sessismo e di prepotenza, a togliersi la vita a soli ventitré anni. Di grande qualità anche i tre romanzi finalisti per la Narrativa Straniera: il martinicano Édouard Glissant («Il quarto secolo», Edizioni Lavoro), la balcanica Natasha RadojcicKane («Ritorno a casa», Adelphi) e il magiaro Péter Esterházy, autore di «Harmonia Caelestis» (Feltrinelli). Gli studenti hanno premiato Radojcic-Kane, nata a Belgrado nel 1966, attualmente vive negli Stati Uniti. Un intenso ro- Alberto Melis LE DUE FACCE DI GERUSALEMME Edizioni Piemme, Casale Monferrato 2004, pp. 185, 7,50 euro Natasha Radojcic Kane manzo d’esordio, scritto con talento e una maturità precoce, che racconta il ritorno di Halid dalla guerra e dalle trincee di Sarajevo: tre giorni freddi, fangosi e febbrili, che si concluderanno con la morte violenta del protagonista. Un’ottima scelta quella delle giurie studentesche del Grinzane, che devono aver trovato un po’ ostico quel capolavoro rappresentato dal monumentale romanzo familiare di Esterházy, uno dei casi letterari della passata stagione, già vincitore del Premio ungherese per la letteratura e del Premio Sándor Marai. Nato a Budapest nel 1950, Peter Esterházy è autore di numerosi romanzi già pubblicati in Italia, tra i quali «Il libro di Hrabal» nel 1991, ma con la sua ultima opera l’autore si confronta con il passato della propria famiglia, una delle più importanti famiglie aristocratiche della Mitteleuropa. «Harmonia Caelestis» è un grande e complesso affresco della storia ungherese e, al tempo stesso, una composita metafora della storia europea: labirinto di disarmonie, di insensatezze e follie. Un’opera di raffinata dismisura sull’assurdità del mondo. Dolcissima storia di Louis de Bernières Reg Dog, straordinario cane che aveva un conto in banca GIANNI FERRARA I rivare a definire un artista che sempre sfugge. Come sfugge, in realtà, la vita del falsario Han van Meegeren. L’io e il suo doppio, ambedue nebulosi e inafferrabili. Con «La doppia vita di Vermeer» l’autore ci presenta un intrigante giallo che investe il costume, la storia recente e l’arte. Eppure non solo di giallo si tratta, ma di una incursione inquietante nel mondo dell’ispirazione e della genialità, nelle sue antinomie e misteriosi labirinti. L PROTAGONISTA del libro «Red Dog» di Louis de Bernières (Guanda, pp. 130, 9 euro) è un cane straordinario e dalla personalità così spiccata da essere un vero e proprio privilegiato rispetto ai suoi simili. Red Dog, infatti, ha un posto riservato negli autobus, un conto in banca a suo nome per le spese veterinarie e l’avviso «vietato l’ingresso ai cani» non gli impedisce di oziare, piacevolmente corroborato dall’aria condizionata, nei centri commerciali. Red Dog è realmente esistito: morto nel 1979 a soli otto anni, ha trascorso gran parte della sua breve vita a girare in lungo e in largo l’Australia occidenta- le alla ricerca del suo padrone, o per meglio dire del suo migliore amico morto tragicamente in un incidente stradale. Louis de Bernières s’imbatte casualmente nella leggenda di Red Dog: trovandosi in Australia per un festival della letteratura, durante una gita nella città mineraria di Karratha scoprì la statua eretta dalla gente del posto in memoria di questo illustre personaggio a quattro zampe. L’autore affascinato dalla storia ritornerà a Karratha dopo qualche mese per raccogliere aneddoti e scampoli di vita su Red Dog dalle persone che avevano avuto la fortuna di conoscerlo, ed è da queste interviste che nasce questa dolcissima biografia. I personaggi che si alternano in questi brevi racconti sono commesse, muratori e camionisti; uomini semplici e un po’ aspri come i paesaggi del nord Australia che fanno da sfondo all’avventuroso girovagare di Red Dog. I suoi migliori amici sono comunque un gruppo di minatori, gente dura che lavora sodo per pochi soldi, ma che è subito pronta a sacrificare una giornata di paga per accompagnarlo dal veterinario o ad organizzare una colletta per pagare la parcella. E lo fanno senza pensarci due volte, perché Red Dog ha insegnato loro qualcosa che non ha prezzo nella vita, e cioè che per essere amati basta poco, basta solo avere il coraggio di amare per primi. Fatima, una ragazza palestinese, si trova a Gerusalemme per fare una commissione. Rami, un ragazzo israeliano, sta per prendere l’autobus. Per caso si ritrovano insieme sul luogo di un attentato. Tutto avviene in un attimo: sentono un boato e precipitano sotto terra. Sotto le strade della città, nascerà un’amicizia che sembrava impossibile. Graziella Favaro IL CAVALLINO E IL FIUME Carthusia, Milano 2004 pp. 24, 7,80 euro Un puledro inesperto non sa se può attraversare il fiume, perché un bue gli dice che l’acqua è poco profonda, mentre uno scoiattolo sostiene che è profondissima. Una collana di racconti di altri Paesi, tutti in edizione bilingue, per far conoscere ai bambini mondi e culture diverse. Il particolare formato dei volumi permette una duplice lettura: da una parte si sfogliano come un vero e proprio libro, dall’altro lato la storia è visualizzata attraverso un’unica grande immagine. Vanna Cercèna IL CORRIERE DELL’ARCOBALENO Fatatrac, Firenze 2004 pp. 120, 9,50 euro Nel Trecento, secolo caratterizzato da guerre infinite, violenze e saccheggi, una terribile epidemia di peste decima la popolazione di tutta Europa. Lorenzo, un ragazzino veneziano scampato alla «morte nera», unico della sua famiglia, compie il suo primo viaggio al seguito dello zio, corriere di posta, che lo porta per tutta l’Italia diretto ad Avignone. Con la sua sacca ricamata con un arcobaleno, colma di lettere da recapitare, Lorenzo si fa difensore della parola scritta, che può essere così potente da avere la meglio perfino sulla ferocia delle armi. a cura di Raffaella Ronchetta