TEATRO di TORINO m m m ' TEATRO DI TORINO SOCIETÀ DEGLI AMICI DI inventario n ° Giugno 1926 MESSA DA REQUIEM DI GI USEPPE VERDI TORINO T E A T R O SOCIETÀ DI D E G LI T O R I N O AMICI DI TORINO Giovedì, 3 Giugno 1926 MESSA DA REQUIEM D I GIUSEPPE I. II. VERDI REQUIEM e KYRIE a quattro parti : Soprano, Mezzo-Soprano, Tenore e Basso, Coro. DIES IRAE a quattro parti, Soli e Coro. III. DOMINE JESU - Offertorio a 4 voci : Soprano, MezzoSoprano, Tenore e Basso. IV. SANCTUS - Fuga a due Cori. V. AG NUS DEI - Soprano, Mezzo-Soprano e Coro. VI. VII. LUX AETERNA - Mezzo-Soprano, Tenore e Basso. LIBERA ME - Solo per Soprano - Coro - Fuga finale. Nadia Svilarova (Soprano) - Marta Offers (Mezzo-Soprano) Giuseppe Taccani (Tenore) - Nazzareno De Angelis (Basso) CORO DI 120 VOCI DEL SINDACATO CORALE. ORCHESTRA DEL TEATRO DI TORINO. MAESTRO DIRETTORE VITTORIO ALTR O M AE STR O : FERRUCCIO GUI M AESTRO DEL C O R O : CALUSIO - D’ORCHESTRA: ANDREA ED. RICORDI & C. - M ILANO - MOROS 1 NI Requiem aeternam dona eis. Domine: et lux perpetua luceat eis. Te decet hymnus, Deus, in Sion, et tibi reddetur votum in Jerusalem : exaudi orationem meam, ad te omnis caro veniet. Requiem aeternam dona eis, Domine: et lux perpetua luceat eis. Kyrie eleison, Christe eleison, Kyrie eleison, Christe eleison, K yrie eleison. Dies irae, dies illa Solvet saeclum in favilla, Teste David cum Sibylla. Quantus tremor est futurus, Quando Judex est venturus, Cuncta stride discussurus ! Tuba mirum spargens sonum Per sepulchra regionum Coget omnes ante thronum. Mors stupebit et natura Cum resurget creatura, Judicandi responsura. Liber scriptus proferetur, In quo totum continetur, Unde mundus judicetur. Judex ergo cum sedebit, Quidquid latet apparebit, N il inultum remanebit. Quid sum miser tunc dicturus, Quem patronum rogaturus, Cum vix justus sit securus ? Rex tremendae majestatis, Qui salvandos salvas gratis, Salva me, fons pietatis. Recordare Jesu pie, Quod sum causa tuae viae, N e me perdas illa die. Quaerens me, sedisti lassus, Redemisti crucem passas : Tantus labor non sit cassus. Juste Judex ultionis, Donum f ac remissionis Ante diem rationis. Ingemisco tamquam reus: Culpa rubet vultus meus: Supplicanti parce Deus. Qui Mariam absolvisti, Et latronem exaudisti, Mihi quoque spem dedisti. Preces meae non sunt dignae. Sed tu bonus f ac benigne, Ne perenni cremer igne. Inter oves locum praesta. Et ab haedis me sequestra, Statuens in parte dextra. Conf utatis maledictis Flammis acribus addictis Voca me cum benedictis. Oro supplex et acclinis, Cor contritum quasi cinis, Gere curam mei f inis. Lacrymosa dies illa, Qua resurget ex Javilla, Judicandus homo reus. Huic ergo parce Deus: Pie Jesu Domine, Dona eis requiem. Amen. DomineJesu Christe, Rex gloriae, libera animas omnium fidelium defunctorum de poenis inferni, et de prof undo lacu : libera eas de ore leonis, ne asborbeat eas tartarus, ne cadant in obscurum: sed signifer sanctus Michael repraesentet eas in lucem sanctam. Quam olim Abrahae promisisti et semini ejus. Hostias et preces tibi, Domine, laudis offerimus: tu suscipe pro animabus illis, quorum hodie memoriam facimus: fa c eas, Domine, de morte transire ad vitam. Quam olim Abrahae promisisti et semini ejus. Sanctus, sanctus, sanctus, Domine Deus Sabaoth. Pieni sunt coeli et terra gloria tua, Hosanna in excelsis. ■Benedictus qui venit in nomine Domini, # Hosanna in excelsis. Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona eis requiem; Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona eis requiem. , Agnus D e li qui tollis peccata mundi, dona eis requiem sempiternam. Lux aeterna luceat eis, Domine, cum Sanctis tuis in aeternum, quia pius es. Requiem aeternam dona eis, Domine: et lux perpetua luceat eis. Cum Sanctis tuis in aeternum, quia pius es. Libera me, Domine, de morte aeterna, in die illa tremenda: quando coeli movendi sunt et terra. Dum veneris judicare saeculum per ignem. Tremens factus sum ego et timeo, dum discussio venerit atque ventura ira. Quando coeli movendi sunt et terra. Dies illa, dies irae, calamitatis et miseriae, dies magna et amara valde. Dum veneris judicare saeculum per ignem. Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Libera me, Domine, de morte aeterna, in dies illa tremenda, quando coeli movendi sunt et terra. Dum veneris judicare saeculum per ignem. Dona, o Signore, l’eterno riposo ai morti, e la luce perpetua ad essi risplenda. A te, o Dio, è dovuto il cantico in Sion, e sarà sciolto il voto a te, in Ge rusalemme: esaudisci la mia preghiera; dinanzi a te ogni mortale si presenterà. Dona, o Signore, l’eterno riposo ai morti, e la luce perpetua ad essi risplenda. Signore, pietà! Cristo, pietà! Signore, pietà! Cristo, pietà, Signore, pietà! Il giorno della collera divina, fatai giorno, dis perderà in cenere il mondo, secondo la pro fezia di Davide e della Sibilla. Quanto grande sarà lo sgomento nel punto in cui il Giudice si presenterà a giudicare ogni cosa con esattezza. La tromba, diffondendo un suon meraviglioso per i sepolcri d’ogni regione, spingerà tutti i morti dinanzi al trono di Dio. La Morte stupirà, e con essa la Natura, poiché le creature si leveranno dai sepolcri pronte a dar conto di sè a Colui che giudica. Sarà recato un libro scritto in cui tutto è con tenuto, e da cui ogni uomo sarà giudicato. Appena il giudice sarà assiso, si svelerà tutto ciò che è nascosto, e nulla resterà senza sanzione. Che cosa, misero me, potrò dire a mia discolpa, quale difensore potrò invocare, se appena è tranquillo l’uom giusto? O Re, adorno di tremenda maestà, che i degni di salvazione salvi per tua grazia, salva me, o fontana di pietà. Ricordati, o Gesù misericordioso, che io sono il motivo della tua venuta; non mi lasciar pe rire nel giorno fatale. Per cercar me, giacesti stanco, e mi hai redento soffrendo sulla croce. Ah, tanto travaglio non sia vano! Giusto Giudice del castigo, donaci il perdono prima del giorno del giudizio. Gem o com e al colpevole s’addice: della colpa il mio volto s’arrossa: o D io , risparmia chi ti supplica. Tu che assolvesti Maria di M agdala, Tu che esaudisti il buon ladrone, anche a me, dunque, hai dato speranza. Le mie preghiere non sono d egn e, ma tu , ge n eroso, fa colla tua misericordia ch’io non sia bruciato dal fuoco eterno. Fra le pecorelle serbami il p osto, tienmi lon tano dai capri reietti, collocandom i alla tua destra parte. Precipitati i maledetti, buttatili alle voraci fiamme, fammi venire con i benedetti. Prego supplice e prostrato, col cuore pesto com e fosse cenere, che Tu pigli su Te la cura della mia fine. Un lagrim oso giorno fatale in cui dalle sue ce neri l’uomo colpevole risorgerà per essere giudicato. Abbi dunque pietà di lui, o Dio! O misericor dioso Signore Gesù, dona ai morti il riposo. E così sia! Signore Gesù Cristo, Re di gloria, libera le anime di tutti i fedeli defunti dalle pene dell’inferno e dal profondo abisso: libera essi dalla bocca del leone, perchè il Tartaro non li inghiotta e non cadano nelle tenebre; San M ichele, l’Alfiere degli Angioli, li riporti invece verso la luce divina. Un tempo già pro mettesti questa luce ad Abramo e alla sua schiatta. Sacrifici e preghiere di lode noi ti offeriamo, o Signore: tu le accogli a riscatto di quelle anime, di cui oggi celebriamo la memoria: o Signore, fa che esse passino dalla morte alla vita. Un tempo già questa vita promettesti ad Abramo e alla sua schiatta. Santo, Santo, Santo sei Tu, o Signore, Dio degli eserciti! Il cielo e la terra son pieni della tua gloria. Osanna nell’alto dei cieli! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei cieli! Agnel di Dio, che redimi i peccati del mondo, dona ai morti riposo. Agnel di Dio, che redimi i peccati del mondo, dona ai morti riposo. Agnel di Dio, che redimi i peccati del mondo, dona ai morti riposo sempiterno. La luce eterna ai morti risplenda, o Signore, insieme coi tuoi Santi, per la eternità; poiché sei misericordioso. Il riposo eterno dona ad essi, o Signore; e la luce perpetua ad essi ri splenda. Coi tuoi Santi, e per l’eternità; poiché sei misericordioso. Libera me, o Signore, dalla morte eterna nel giorno tremendo del giudizio; quando il cielo e la terra staranno per essere sconvolti. E sarà l’ora che tu verrai col fuoco a giudicare il mondo. Trepidante io divengo, e tem o, e frattanto verrà il giudizio, e la collera scoppierà. Allora il cielo e la terra staranno per essere sconvolti. Giorno fatale, giorno della collera, della sventura, della perdizione, grande ed amarissimo giorno! E sarà l’ora che tu verrai col fuoco a giudicare il mondo. Il riposo eterno dona ai morti, o Signore, e la luce perpetua ad essi risplenda. Libera me, o Signore, dalla morte eterna, nel giorno tremendo del giudizio; quando il cielo e la terra staranno per essere sconvolti. E sarà l’ora che tu verrai col fuoco a giudicare il mondo. ' (Trad. di Onorato Castellino). O. Verdi e la M ESSA LA DA REQUIEM BIOGRAFIA R oncole (Busseto), 10 ottobre 1813 — 27 gennaio 1901, Milano N acq u e in u n a p iccola cascina del villa ggio delle R on cole (com une di B usseto, p rovin cia di Parm a), da C arlo V erd i e L u ig ia U tin i, i q u ali esercivan o una b o tte g a d i «generi d iversi ». G li furono im posti i nom i d i G iuseppe F ortu n in o F rancesco. E ra ancora assai piccino q uan do il villa ggio d i R oncole fu invaso d a un a b an d a d i au striaci e di russi (al tem po della dom inazione francese, il luogo era com preso nel d ipartim en to del T aro), i quali, dopo a ver m esso a soqquadro le v ie e le case, penetrarono anche in chiesa, o v e alcu n e donne im pau rite s'eran o rifu g iate con i figliuoli. F ra queste era la U tin i, che p o rta v a in b raccio B epp ino. In orrid ita, essa tro v ò scam po, a trav erso la sacrestia, nel cam panile, rim an en d ovi nascosta col piccino finché il pericolo fu scom parso. La giovin ezza. — B ep p in o è d escritto dai biografi com e un rag azzo tran qu illo, sobrio, con tem p lativo , u bbid ien te; a iu ta v a i genitori nelle faccen d e della b ottega; e pure a m a v a asco ltare i suonatori am bu lan ti, e, in chiesa, le com posizioni organistiche del m aestro B aistrocch i; e d ilettan dosi di m usica, ta n to in sistette presso i genitori finche gli fu concesso d i stu d iare col B aistrocch i. A o tto anni m o stra va ta n ta « bu ona disposizione d ’im parare a suonare » la sgan gh erata sp in etta d o n atag li dal babbo, ch e un accordatore, ch iam ato a rim ettere a sesto lo strum en to, volle, in om aggio a lui, rin u n ziare a l com penso e scrivere un cartellino, d a incollare nella sp in etta, con le parole che abb iam o riferito fra virgo lette. A dodici anni p o teva già sostitu ire a ll’o rgano il vecch io B aistro cch i. I gen ito ri lo inviaron o allora a B usseto, d ove erano scuole e m aestri, e d ove il gio vin etto , affidato a un a d ozzin an te con la r e tta di tren ta centesim i al giorno, ebbe qualche nozione di cultura generale. T u tte le domeniche e l ’altre feste tornava a piedi alle Roncole, per prestar servizio d'organo in chiesa, retribuito con 40 lire annue. A Busseto era presidente della Società filarmonica, e musicofilo, Antonio Barezzi, negoziante e fornitore di Carlo Verdi. Il Barezzi, conosciuto Beppino e com piaciutosi delle tendenze musicali di lui, lo assunse come segretario negli affari, am m ettendolo nella sua casa, ove si radunavano gli am atori di musica del paese e si facevano le prove della banda cittadina, diretta dal maestro di cappella Ferdinando Provesi. Il giovane Verdi non tra scurava i doveri dell’ufficio per la musica, allo studio della quale attendeva, con sempre m aggiore entusiasmo, sia prendendo lezioni dal Provesi, sia trascri vendo partiture per banda. Intanto studiava latino col canonico Seletti. Dopo due o tre anni il Provesi dichiarò di non avere più nulla da insegnare al giova netto, gli affidò la direzione della banda, e gli concesse anche di eseguire qualche sua composizione, come marcie, sinfonie, ecc. Inoltre il Barezzi e il Provesi decisero di inviare il Verdi a Milano, ove avrebbe potuto continuare gli studii nel Conservatorio; gli ottennero una borsa di studio dal Monte di Pietà; il B arezzi aggiunse all'esigua somma qualcosa di suo: due anni a Milano erano assicurati. Verdi lasciò Busseto, com battuto fra l’aspirazione al Conservatorio e il ramm arico d ’allontanarsi da M argherita Barezzi, la figliuola di Antonio, che rispondeva teneram ente al suo affetto. Ma il Conservatorio gli restò inaccessi bile, sia per l ’età, diciannove anni, sia, pare, per non aver egli soddisfatto gli esaminatori nella prova di pianoforte. Accogliendo il consiglio del maestro Colla, prese lezioni di armonia, contrappunto e fuga dal Lavigna. Verdi si eser citò pure nella direzione dell’orchestra, concertando la Creazione di H aydn per una Società filarm onica diretta dal maestro Masini, e nella composizione, scrivendo m olti pezzi che in viava agli am ici di Busseto. N el 1833 m oriva il Provesi. E poiché fra le condizioni della concessione della Borsa di studio era quella della successione di Verdi al Provesi, il giovane d ovette anticipare il ritorno a Busseto. O ve però la fabbriceria, la quale proteggeva un maestro, Ferrari, si oppose alla sua nomina a organista. I bussetani si divisero in ver diani e ferrariani. E il Barezzi, continuando ad aiutare il Verdi, lo fece nomi nare 0 Maestro di musica del Comune e del Monte di P ietà » con l’incarico per tre anni. Intanto le esecuzioni bandistiche dirette dal V erdi acquistavano fama nella regione ed i concerti di lui, anche come pianista e compositore, erano sempre più frequenti. Chiesta in isposa M argherita Barezzi, le nozze furono celebrate il 4 m aggio del 1836. D al m atrim onio nacquero successivamente Virginia e Ilicio. Le p r im e op ere. — N el 1839, scad u to il co n tra tto col com une d i B u sseto, la fam igliu ola si trasferiv a a M ilano. V erd i p o rta v a con sè il m an oscritto d ella su a prim a opera teatrale, che, com posta, su lib retto d i T . Solera , a B u sseto, gli era s ta ta rifiu ta ta nel ’37 d a un im presario d i P arm a: L ’Oberto, conte di San B onifacio. Il M asini o tten n e che q uesto sp artito fosse acco lto d alla S ca la per alcune recite straord in arie di beneficenza. E ra n o già com inciate le p rove q uan do il tenore M oriani si am m alò. L e rap presen tazioni furono sospese. N el grande ram m arico V erd i ebbe un conforto : l ’im presario M erelli, che a v e v a u d ito la ca n ta n te Strepp on i e il b ariton o R onconi p arlare d ell’opera con favore, a ccettò d i rap presen tarla, riserbandosi di d ivid ere col m aestro gli even tu ali g u ad agn i d ella v e n d ita d ello sp artito. Il successo d ell’opera fu caloroso, a giu d icare d a lle repliche a M ilano, a Torino, a G en ova, a N ap oli, e d al fa tto ch e G iovan n i R icord i ne acq u istò la proprietà dal M erelli per 2000 lire au striach e (1600 lire it.); in o ltre il M erelli incaricò su bito il com positore d i tre opere, due buffe e un a seria. V erd i s ’accinse al Proscritto, lib retto serio del R ossi, m a, sollecitato d al M erelli, l ’abbandonò pel F in to Stanislao, com ico, del R om ani. D u ra n te la com posizione d ell’opera tre sciagure lo colpirono successivam en te: nello stesso 1840 m orirono i due suoi figliuoli e la consorte; egli stesso fu g ra v e m en te am m alato. P u re com pletò l ’op era com ica, che irrep arabilm en te cadde a M ilano, a V en ezia, a N apoli. S confortato, si sciolse d al M erelli, abban don ò M ilano, torn ò a B usseto. M a non v i restò a lungo. E , ven u to d i n u ovo a M ilano, a ccettò di m usicare il Nabucco, per l ’im presario M erelli. L a com posizione non fu in in terro tta. P iù d ’una v o lta il V erd i im pose al lib rettista va riazio n i di scene e d i versi, e però sorsero fra essi litigi, presto sopiti. Il m aestro stesso d ettò, per esem pio, i versi « Sarà l ’urlo della jen a — L a can zon e d ell’am or ». A tte s a con entusiasm o (già alle prove s ’era n otato il singolare vig o re dello stile verdiano), l ’opera ebbe grande successo. F u su b ito a cq u ista ta per 3000 lire a u striach e d a ll’editore R icordi. P och i m esi dopo il trionfo del Nabucco, V ., presen tato alla contessa C larina M affei (vedi R . B arbiera, I l salotto della C . M .), strinse con lei u n ’am icizia fedele e in tellettu a le che fu tro n ca ta so lta n to d alla m orte d i lei. Il V . non fu estraneo, col suo consiglio d i uom o fran co e d i Ubero pensatore, a lla decisione di d ivorzio, presa d a lla contessa e d al suo consorte, A n drea M affei; e fu poi nel 1846 testim one, con G iulio Carcano, d e ll’a tto notarile. Il m o m e n t o patriottico. Il Merelli incaricò « il giovane Verdi », già designato nuovo astro del teatro italiano, d ’un’altra opera, libretto del Solerà: I lombardi alla prima crociata. L a polizia austriaca, che già a veva n otato quanto potentem ente il giovane musicista agisse sulle masse con la sua vena prorompente, con l ’ardore violento d ell’ espressione, e perciò era sospettosa di maggiori entu siasmi artistico-politici sorgenti dalle opere teatrali di lui, cominciò a cen surare m inuziosam ente gli spartiti verdiani. Innanzi tu tto l ’ arcivescovo di Milano sollecitò il direttore della polizia perchè fossero soppresse scene e allusioni religiose, e soltanto il buon ta tto di Merelli — Verdi rifiutò qualsiasi discussione — riesci a ottenere cam biam enti di poca im portanza. Il successo fu anche più entusiastico di quello del Nabucco e le repliche in Italia si segui rono rapide e numerose. L a Fenice di Venezia invitò V . a scrivere un’opera ed egli scelse ì’Ernani, che Francesco M. Piave, giovane e noto per qualche poesia, ridusse da V . Hugo. Anche il P iave secondò il compositore nella stesura del libretto. L ’opera fu condotta presto a term ine e rappresentata con pieno successo. R ip etuta in altri teatri, incontrò ovunque favore, meno alla Pergola di Firenze. Anche in quest'opera il pubblico italiano colse e vide allusioni patriottiche; e, perdurando il successo, accadde che alcuni passi dello spartito, come « Si ridesti il leon di Castiglia » e « a Carlo Magno sia gloria ed onor» fossero assunti come intenzionali espressioni del pubblico stesso; di quello veneziano, che cantò insieme con i coristi il « si ridesti... », del ligure e del piemontese che avevano variato « Carlo Magno » in « Carlo Alberto »; altri inneggiavano invece a « P io I X ». T a li rappresentazioni assum evano spesso carattere di manifestazione politica ; il che esasperava sempre più la censura austriaca. Mentre la sua fam a cresceva, V ., sdegnoso di popolarità, v iv ev a a Busseto. Benché avessè conseguito, con il fru tto delle sue opere, una certa agiatezza, lasciò Milano, nel 1842, per Busseto, ove alloggiava in casa di Dem etrio Barezzi, figliuolo di Antonio, occupando una stanza tappezzata di verde. Nella casa del Barezzi scrisse I due Foscari, libretto del Piave, tratto da Byron. V iv a mente applaudita a Rom a, l ’opera fu replicata altrove, ma non ebbe favore intenso quanto le precedenti. Neppure successo duraturo ebbe poi la Giovanna d’Arco, che il Solerà a vev a tratto da Schiller; in breve scom parve dal repertorio, nè valsero a risuscitarla le rappresentazioni con la Stolz, nè quelle di Parigi, del 1868, con la P atti. E d anche le sorti dell’AIzira non furono liete. Gli am m i ratori di V ., anziché ricercare le intim e ragioni per le quali sem brava in deca denza, fiacco nell’ispirazione, attribuirono il freddo successo o alla reazione per l ’eccessiva asp ettazion e o agli um ori del p u b b lico capriccioso o alla ie tt a tu ra di un ta l C apecelatro. In ta n to , nel 1845, V . fa ce v a a M ilano la conoscenza di O pp ran din o A rrivab en e, patrizio m an tovan o, collab oratore dell 'Opinione, e pure con lui strinse fedele e in in terro tta am icizia. L a ve n a verd ian a riflu iv a poi n uovam en te nell' A ttila e V erd i ricon q u istava il suo posto di autore fra i più pred iletti. A n ch e in q u ell’opera furono colte allusioni p o litich e e sottin tesi p a trio ttici. Q uando E zio can tò: « A v ra i tu l ’uni verso, resti l ’ Ita lia a me! », l'im petu osa frase echeggiò nel p u b b lico che sorse gridando: « resti l ’Ita lia a noi! ». E anche a ltre frasi d ivenn ero in b reve popo lari, nel crescente fa vo re d ell’opera ricon ferm ato nelle m olte repliche. A lcu n i biografi dicono ch e V erdi, passando ad altro lavoro, ev itò m ed itatam en te ogni c o n tatto politico. N on solo scelse Macbeth, m a anche preferì F irenze, c ittà non som m ossa da bollori p a trio ttici com e V en ezia. V . lasciò B usseto per assi stere alle p rove della n u o va opera. In Firenze conobbe il G iusti, G ino C ap poni, il N icolini, il D u pré e strinse con essi relazioni di sim patia. G li conven ne in v ita re A n d rea M affei a rived ere il libretto del P iave, troppo disadorno nei versi. F u assiduo alle prove, costan te sua abitudine, esigentissim o nella con certazione. M a il pubblico, decretando un trionfo a ll’opera, e facendone rep li care cin q ue v o lte un d u etto, non lasciò passare inosservata la frase: « L a p a tria tra d ita — piangendo c ’in v ita ; — fratelli, gli oppressi — corriam o a sa lv a r »; e ne fece o g g e tto di m anifestazion i patriottiche. M algrado ta le favore iniziale, il Macbeth non restò a lungo in repertorio. V erd i ritoccò l ’opera nel 1865, m a non riuscì a renderla popolare. D u ra n te la dim ora a Firenze, V . sollecitò dal M affei un lib retto desunto d a a u tore straniero. S ca rta ti un Caino e un Re Lear, poeta e com positore furono d ’accord o su I masnadieri di Schiller. Il V . si recò a L ond ra per dirigere l ’opera; q u esta non eb b e liete accoglienze. P assan d o per Parigi, V . m ise in iscena a ll’O péra i Lombardi (26 novem bre 1874) che, rito cca ti e r ib a tte z z a ti in Jerusalem, piacquero. E g li era ancora a P arigi nelle giorn ate della rivoluzion e ch e a b b a ttè L u ig i F ilippo, quando apprese le prim e n otizie dei m oti di V en ezia e d i M ilano; p a rtì su b ito d a P arigi per M ilano, dopo a ver m usicato un inno di G . M am eli (non quello noto, un altro, rip u b b licato da B ragagn olo e B etta zzi) ch e G. M azzini gli a v e v a proposto. Il V ., invian d olo al M azzini, scriveva: « Possa q u est’inno fra la m usica del cannone essere presto c a n ta to nelle pianure lom b ard e ». G iu n to a Lione, apprese la triste fine della guerra; e sostò colà. In v i ta to ad apporre anche la sua firm a ad un indirizzo che i p a trio ti italian i v o l geva n o alla F ra n cia , aderì. T orn an d o a P arigi (dim orava in una villa a P assy), non potè a cc etta re l ’offerta d ’un im presario inglese, che l ’a vreb b e v o lu to per tre anni alla direzione dell’Her Maiesty, perchè l'editore L ucca non volle svin colarlo dal contratto. E scrisse, in fr etta. II corsaro, tratto da Byron, che,_ eseguito senza suo controllo, non ebbe successo. A d argom ento patriottico tornava il V ., nel fervido periodo del con la Battaglia di Legnano. Alla prim a rappresentazione, a Rom a, gli uomini recavano la coccarda tricolore sul petto, le donne ornavano i palchi di sciarpe e di nastri tricolori. Applaudendo i singoli pezzi, il pubblico gridava: « V iva Verdi » e « V iv a l ’Italia ». Il coro iniziale « V iv a Italia! U n sacro patto... » era im m ediatam ente ripetuto ovunque. Malgrado le deformazioni imposte dalla censura, l’opera svelava le sue allusioni patriottiche ed eccitava gli animi. L ieto del trionfo, V . tornò a Parigi nella prim avera del 1849, alloggiando al n° 13 della R ue de la V ictoire. Contava di restarvi a lungo. Ma, scoppiata l’epidemia colerica, cedette al richiam o di suo padre, ritiratosi a Vidalenzo presso Busseto, e rim patriò; allora, nel ’49, acquistò dalla fam iglia Savelli la villa di S. A gata, che fu la dimora prediletta duranta tu tta la vita, e dove convisse con Giuseppina Strepponi (la quale a veva abbandonato il teatro) anche prim a del m atrim onio celebrato poi nel 1859, all’estero. Egli, che s’ono rava di proclamarsi contadino e che alla tum ultuosa v ita cittadina preferiva la quiete dei campi, s’accinse subito, nella nuova dimora, ad una nuova opera, la Luisa M iller. Rappresentata a Napoli con grande successo, l ’opera fu ripe tu ta in m olti teatri d ’ Italia e di fuori. Quasi un anno dopo andava in iscena a Trieste Stiffelio, tratto da un dram m a francese del Souvestre e sciatto a Busseto, nel palazzo Orlandi. L a censura austriaca s’accanì contro il libretto, sopprimendone l’ultim o atto, per preconcetti religiosi; peggio fece la censura d i Roma; del che indignato, il m aestro ripudiò l ’opera, che fu presto dimenticata. L e opere centrali. Con il Rigoletto, che pur esso dovè trasformarsi per volere della cen sura, V . m antenne il contratto con la Fenice d i Venezia; l’ opera fu scritta in quaranta giorni, pure a Busseto, nel palazzo Orlandi; la canzone « La donna è mobile » fu com posta pel tenore M irate alla vigilia della prova generale. Il successo dell’ opera fu trionfale. V erdi dichiarò d ’essere molto com piaciuto del suo lavoro, considerandolo il migliore tra quanti ne aveva già composti. Pochi mesi dopo •gli m oriva la mamma, a Vidalenzo. Verdi attese poscia, sempre a Busseto, al Trovatore, tratto dal'dram m a E l Trobador, di G arcia Guttierez, libretto oscuro, ingarbugliato; a tali difetti il V . non badò (la scen eggiatura fu opera sua), lasciando prorom pere la sua v e n a im petuosa con accen ti di passione così veem en ti che com m ovono ed esaltano oggi, com e allora. A lla prim a rappresentazione, m oltissim i pezzi furono rep licati; le feste a l com positore, trionfali. L a Traviata, invece, pensata a P arigi, nel 1852, dopo l ’audizione d ella Dame aux camélìas, e scritta in gran pa rte a R om a, cadde, a V en ezia, per un com plesso di ragioni, delle q u ali la più evid en te è la m edio crità dei c an ta n ti; m a un anno dopo (6 m aggio 1854), esegu ita d alla Spezia, d al L an d i e d a l C oletti, al S. B en ed etto di V en ezia, ebbe pieno trionfo. N el 1855 il G overno im periale francese, volend o solennem ente inaugurare l ’E sposizion e U n iversale, in v ita v a V . a scrivere u n ’opera da rap presen tare a P arigi. I Vespri S icilia n i, m algrado l'argom en to che p a rve a m olti inopportuno, ebbe lietissim o successo. Corse allora la voce che V . pen sava di stab ilirsi a P arigi. M a egli preferì tornare n ella regione n ativ a, o v e com pose il Sim on Boccanegra, fred d am ente accolto, e l 'Aroldo, che non sollevò entusiasm o. In circa tre mesi (novem bre 1857-gennaio 1858) scrisse il B allo in maschera, d esti n ato a l p u b b lico n apoletano; esigendo la censura m u tilazion i in accettabili, V . rifiutò di m odificare l ’opera e di tra tta re com unque col G overno. In vece, fu d ato Sim on Boccanegra. Con m inori trasform azioni, il B allo in maschera fu d a to poi a R om a, nel febbraio del 1859, tra grande entusiasm o. P o co dopo, n ell’aprile, V . e G iuseppina Strepponi si recavan o a Collange, nella Savoia, per leg ittim are la loro unione, secondo le leggi della chiesa. In ta n to al grido d i v iv a V erdi, che risu onava nei te a tri e nelle vie, il popolo d a v a assai più larg a significazione, dopo che V itto rio E m an u ele ebbe p rocla m ato d i non essere insensibile al « grido di dolore » che d ’ogni parte d ’Ita lia si le v a v a verso il P iem on te: nel nom e d i V erd i com prendeva pure il R e lib era tore (V ittorio E m an u ele re d ’Italia, V .E .R .D .I.). Il M aestro si dolse d i non im pugnare le arm i pel ris ca tto nazionale, non consentendoglielo, disse, la m al ferm a salute; fece opera benefica nel parm igiano raccogliendo soccorsi per i feriti e per le fam iglie bisognose e lanciando un appello, che a vreb b e p o tu to esporlo a g ra v i rappresaglie. N el settem bre del ’59, B usseto nom inò V . dep u ta to col m an d ato d i v o ta re l ’annessione a l Piem onte. V itto rio E m an u ele accolse il m usicista con speciale deferenza e il popolo torinese gli fece grandi dim o strazioni. C av o u r in sistette perchè V . accettasse il m and ato p o litico pel collegio d i B orgo San D onnino, e finalm ente vin se la ritrosia del m aestro, il q u ale fu eletto n ell’elezione d i b allottaggio. Il suo atteggiam en to p o litico fu d a liberale m oderato. L a m orte di C avo u r fu per lui cagione di grande dolore. L e ultim e opere e la «M essa». Tornò poi al teatro con la Forza del destino, da un dramma del Saavedra, scritta pel teatro di Pietroburgo; da un primo freddo successo l’opera si risol levò nelle repliche a R om a e a Milano. Per l ’Esposizione U niversale di Londra (1862) musicò l ’in n o delle nazioni, can tata di A . Boito. Nel ’65 ritoccò il Macbeth, per Parigi, e accettò di comporre il Don Carlos. N el gennaio 1867 mori Carlo Verdi; nel luglio Antonio Barezzi, il benefattore. Nello stesso anno. Don Carlos otten eva buon successo, m igliorato nei successivi rifacim enti. (In quel tempo, V . a b itava a Genova, nell’invem o, e nell’estate a S. A gata. Pel Manzoni a veva venerazione religiosa. Corrispondeva am ichevolm ente soltanto con la Maffei e l'A rrivabene). Nel giugno del ’ 70 cominciò a trattare per l' Aida, che fu poi rappresentata al Cairo e nel febbraio 1872 alla Scala. (Per la biografia e la critica dell’opera, vedi A. D ella Corte, Aida, 1923). Morto il Manzoni, V ., profondamente addolorato, scrisse la Messa di requiem, che fu eseguita nella chiesa di S. Marco a Milano, il 22 maggio 1874, e ripetuta, spesso sotto la sua direzione, in m olte città straniere. Nello stesso anno era nominato senatore. A Genova, si trasferì da Palazzo Sauli a Palazzo Doria. T re lutti lo colpivano in breve giro di anni: la morte di Carcano nell’84, quella della Maffei nell’86, quella di Arrivabene ai primi dell’87. L a preparazione dell 'Otello fu laboriosa; il libretto di B oito fu acquistato dal V . nell’estate d ell’8o; l ’opera era finita nel novem bre dell’86. Il successo fu entusiastico. (Vedi per la biografia e la critica dell’opera: A. D ella Corte, Otello, 1924). In tanto V . v iv ev a m etodicam ente e modestamente, sempre schivo di m ondanità e di ossequii, tra G enova e S an t’A gata, recandosi nell’estate a Montecatini. F ra gli am ici più intimi noverava la duchessa Massari-Waldmann, la prima Amneris al Cairo, con la quale aveva a ttiv a e cordiale corrispondenza, e il signor D e Am icis, uno dei pochi ammessi fam iliarm ente a Genova. Scriveva anche alla contessa Giuseppina Negroni P rati Morosini. Afferm atosi il successo della collaborazione boitiano-verdiana dell ’Otello, si riparlò, fra gli am ici del maestro, di Falstaff, cui il V . aveva da m olti anni pensato. Il com positore era incerto se, d ata l ’età, sarebbe riuscito a compiere l ’opera. A v u to il libretto nel .1890, attese alla composizione senza affannosa sollecitudine, ma compiacendosi di « m artirizzarlo di note ». U na sosta al lavoro fu cagionata nel 1892 da lunga indisposizione. L a composizione term inò nel luglio 1891, l’istrum entazione oltre la m eta del 1892. V erdi intese di creare « un tipo », indipendentem ente d all’apparenza buffa o com ica del libretto, un « divertente tipo di briccone, eternam ente vero, sotto maschera diversa. in ogni tem po, in ogni luogo ». (Per la biografia, la derivazione shakespeariana e la critica d e ll’opera, ved i: A . D ella C orte, Falstaff, 1925). L ’opera m aravigliò il p u b b lico per il n u o vo atteggiam en to verd ian o e il successo, la prim a sera, non fu en tusiastico; d a q u alche anno, invece, ripresa alla S ca la d a A . Toscanini, trion fa ov u n q u e sia rip etu ta. V . attese poi ad alcune com posizioni di m usica sacra viv en d o sem pre più ritira to d a l m ondo. A v e v a già p ro v ved u to per un ospedale nel com unello di V illan ova, e acq u ista to il terreno per q u ella C asa di riposo dei m usicisti, di cui garan tì poi l ’avven ire con op portun e dispo sizioni testam entarie. N el 1897 fu colto da un a tta cco ap op lettico; ne gu arì in un m ese. N ello stesso anno m orì a S. A g a ta la consorte, e fu per lui un g ra v e colpo. In tristì e non eb b e più svagh i. N el dicem bre d el 1900 s ’era recato a M ilano per passarvi qualche mese, alloggiando, com e d i consueto, a ll’H ó tel M ilan. P assò il N atale con la pron ipote signora M aria C arrara V erdi, con gli intim i, T eresa S tolz, A rrigo B oito, la fam iglia R icordi. A l m a ttin o del 21 gennaio 1901 fu co lto da em iplegia. A ll’alb a del 24 ric e v e tte serenam ente i Sacram enti. Spirò alle 2,50 del 27. P er l'I ta lia fu lu tto nazionale. L e esequie del grande a rtista, d ell’uom o leale, del citta d in o probo, furono m odeste, quali egli le prescrisse, e riuscirono un p lebiscito d ’onore. Il 27 febbraio le salm e d i G iuseppe V erd i e di G iuseppina Strepp oni v e n iv an o trasferite nella C asa d i riposo per m usicisti, a M ilano; fu ancora una m anifestazione p lebiscitaria di lu tto e d ’onore; m igliaia di voci c a n ta v a n o com m osse: « V a, pensiero, su ll’ali dorate... ». (D al Dizionario di M usica di A . D ella C orte e G . M. G a tti. P arav ia, Torino). LA MESSA DA per ALESSANDRO REQUIEM MANZONI L ’ ispirazione. Verdi era appena tornato a S an t’A gata, nell’aprile del 1873, che gli per venivano due tristi notizie: quella della grave m alattia d ’un figliuolo di Piave, il librettista, e l ’altra della m orte del figliuolo di Manzoni, Pietro, avvenu ta il giorno 28. U na sua lettera alla buona Clarina Maffei dice il dolore del Maestro: « Povero P iave! A Milano non seppi che a ll’ultim o momento ch ’egli era ai fate-bene-fratelli, m a non im m aginavo mai fosse nei posti gratuiti nella cro ciera cogli altri! Povero P iave! qual fine! F ate quanto v i dice la Peppina e fate che queirinfelice abbia tu tti i conforti possibili, ed io ve ne sarò oltremodo grato. « Povero Manzoni! L a morte del figlio, il sostegno della fam iglia, e quell ’altissim a mente che si spegne! Ciò è tremendo! La mente di Manzoni spenta! E la Provvidenza? Oh se v i fosse una P rovvidenza credete voi che si scatene rebbero tan te sventure sulla testa di quel Santo? ». P ervenutagli poi la notizia della morte di Alessandro Manzoni, avvenuta il 22 m aggio di quell’anno, non si recò a Milano a chè — scriveva al Ricordi — non avrei cuore d ’assistere a ’ suoi funerali ». Ma subito si proponeva di recarsi a visitare la tom ba « solo e senza essere visto, e forse (dopo ulteriori riflessioni e dopo aver pesate le mie forze) per proporre cosa ad onorarne la memoria ». « Io non ero presente — scriveva da S. A g ata alla Maffei, il 29 — , ma pochi saranno stati in questa m attina più tristi e commossi di quello che ero io, benché lontano. Come tu tto è finito! e con L u i finisce anche la più pura, la più santa, la più alta delle glorie nostre. Molti giornali ho letto! Nessuno ne parla come si dovrebbe. M olte parole, m a non profondamente sentite. Non mancano però i morsi. Persino a Lui! Oh la bru tta razza che siamo! ». E ra suo ospite, a S. A gata, un amico, cui propose di recarsi insieme a Mi lano, ed al quale, durante il viaggio, confidò il proposito di scrivere una Messa che a v reb b e d o v u to essere esegu ita n ell’ann iversario della m orte d i M anzoni. G iu n to a M ilano, vo lle su b ito inform arsi del luogo della sep oltu ra d i M anzoni. I l 2 giugn o sc riv e v a alla Clarina: « Sono in M ilano, m a v i prego di non dirlo a nissuno, a nissuno. « D o v ’è sepolto il nostro San to?... « V errò d a v o i dom ani dopo le dieci. « V i prego del silenzio anche con G iulio [C arcano]. A n d rò d a lui dom ani, dopo d i vo i. A d d io ». E , a v u ta risposta, visita v a , la m a ttin a del 3, la sep oltu ra d i M anzoni, nel C im itero M onum entale. S te tte a lungo d a v a n ti alla tom ba. Q ualch e giorno dopo scrisse a l Sind aco d i M ilano, il B elinzaghi, offrendosi d i com porre la M essa da requiem. Il B elin zagh i si recav a im m ediatam ente dal M aestro, e lo rin gra ziav a a nom e della città , poi, ad u n ato d ’urgenza il Consiglio com unale, p ub b licam en te esprim eva i rin graziam en ti di M ilano. F u deciso, sed u ta stan te, che tu tte le spese per l ’esecuzione della M essa sarebbero sta te sosten u te dal Com une e che lo stesso com positore avreb be designato il luogo della prim a audizione. D a S. A g a ta , il 9 giugno. V erdi rispon deva così ai rin graziam en ti del M unicipio m ilanese: « Illustrissim o sig. Sindaco, « N on m i si d evon o rin graziam en ti nè da L ei, nè d alla G iu nta, per l ’offerta d i scrivere un a m essa funebre per l ’anniversario di M anzoni. È un im pulso, o, dirò m eglio, un bisogno del cuore che m i spinge ad onorare, per q u an to posso, q uesto G rande, ch e ho ta n to stim ato com e scrittore, e ven era to com e U om o, m odello d i v irtù e d i patriottism o. « Q uand o il lavoro m usicale sarà ben inoltrato, non m ancherò di significarle q u ali elem enti saranno necessari onde l ’esecuzione sia d egna e del paese e dell ’U om o d i cui tu tti deploriam o la perdita. « C olla più profonda stim a e considerazione ho l ’onore d i dirm i d i Lei, illustrissim o Signor Sindaco, dev.mo G. V e r d i . N e ll’e state del 1873 V erd i si recò a P arigi e colà continu ò la com posizione, sollecitam en te in izia ta a S. A g a ta , inclu d en d ovi il Libera me, che a v e v a già scritto per q u ella M essa in onore d i Rossini, che, da lui proposta alla collaborazion e dei m aggiori m usicisti contem poranei, non fu m ai com piuta. V e r d i e M anzo ni. V erdi e Manzoni avevano stretta am icizia, auspice Clarina Maffei. Entram bi ne frequentavano il salotto ma non v i si erano mai incontrati. E lla suggerì al Manzoni di inviare al Maestro, nel m aggio del ’67, il proprio ritratto con la dedica: « A Giuseppe Verdi, gloria d ’Italia, un decrepito scrittore lom bardo ». Commosso rispondeva il Verdi, che pel Manzoni a veva religiosa vene razione. In vid iava sua moglie per « aver visto quel Grande ». In viava alla Maffei una sua fotografia perchè la donasse al Manzoni. « M’era venuta l’idea di accom pagnarla con due righe, m a i l . cor aggio m ’è m ancato e mi pareva d ’altronde una pretenzione che io non posso avere. Se lo vedete, ringraziatelo del suo ritrattino, che, col suo nome, diventa per me la più preziosa delle cose. D itegli quanto sia grande il mio amore e il mio rispetto per lui, che io lo stimo e lo venero, quanto si può stim are e venerare su questa terra e come uomo e come altissim o e vero onore di questa nostra sempre travagliata patria ». Finalmente gli fu dato di visitare Manzoni, il 30 giugno del 1868. « Come spie garvi — ne scriveva a ll’am ica — la sensazione dolcissima, indefinibile, nuova, prodotta in me, alla presenza di quel Santo, come voi lo chiam ate? Io me gli sarei posto in ginocchio dinanzi, se si potessero adorare gli uomini... Quando lo vedete, baciategli la mano per me, e ditegli tu tta la mia venerazione ». Verdi, inesorabile per tu tte le van ità «che paion persone », per tu tte le palme usurpate, a veva un culto quasi religioso dinanzi ai veri Grandi, ai quali non gli pareva d ’aver diritto d ’accostarsi se non « con le ginocchia della mente chine ». Adorazione vera sentiva per il Manzoni, della cui am icizia egli si mostrò, specialmente, orgoglioso. Già, sino dal 1867, quando ancora non conosceva il Manzoni, scriveva dei Promessi sposi: « Non solo è un libro, ma una consola zione per l ’um anità ». È noto come tra i m olti pezzi vocali com posti dal Maestro a Busseto, e da lui condannati inesorabilm ente al rogo, egli abbia volu to far conservare soltanto i Cori delle tragedie manzoniane a tre voci e il Cinque Maggio a una voce sola. Questa ode dovè subire anzi le persecuzioni della Censura austriaca, alla quale, come per m olte opere del Verdi, l’arte del Manzoni sem brava « in tin ta di doppio fiele satirico e rivoluzionario e tale da doversi arrestare e pro cessare coloro che di straforo la vendessero ». « È strano — scriveva il Verdi — io, timidissimo un giorno, ora non lo sono più; ma avan ti a Manzoni mi sento così piccolo (e n otate bene che sono orgoglioso quanto Lucifero) che non trovo mai o quasi la parola ». A lcu n e analogie fra gli a tteggiam en ti dello scrittore e quelli del com po sitore furono già r ile v a ti d al M onaldi. M anzoni confessa di non conoscere a b b a stan za la lingua e la lettera tu ra italian a, m a h a fede però n ella im m ortalità d e ’ suoi C an tici; il V erd i si definisce un guastamestieri in fa tto di m usica; m a q uan d o il tenore G razian i ha la c a ttiv a idea d i condolersi con lui per il fiasco della Traviata a V en ezia: « F a te le vo stre condoglianze — gli risponde il V erd i — a v o i e ai vo stri com pagni che non a v e te cap ito niente della m ia m usica! ». A n ch e l ’a ttiv ità a rtistica dei due G randi si svolge tra gli ardori febbrili, tra le angoscie delle d isfatte, tra gli entusiasm i delle v itto rie . E così, m en tre « le giorn ate del nostro risca tto » il M anzoni le v a tic in a v a q uan do più g ra ve era il servaggio, e la speran za più affievolita, così, pochi anni dopo il Nabucco e i Lombardi, i m ilanesi correvan o alle barricate can tan d o i cori degli E b rei e quelli dei Crociati. U g u ale fu anche il trib u to di riveren za e di affetto che en tram b i resero alla m onarchia. L ’uno il M anzoni — sul letto di m orte — lascia va com e am m o nim ento, d i pregare per l ’Ita lia e per la C asa S avoia; l ’altro, il V erdi, n ella sera -in cui lo colpì il fulm ineo m alore, a n d a va cercando le note a d a tte a m usicare la pia preghiera in cui il cuore regale d i M argherita a v e v a tro v a to l ’espressione del suo im m enso dolore. A m b ed ue, ch iam ati agli onori politici, v i rim angono a disagio: il p a trio t tism o lettera rio del M anzoni e quello m usicale del V erdi non p o tev an o rim anere c o stretti en tro le aule legislative della C am era e del Senato. V erdi, più austero e sdegnoso del M anzoni, non partecip ò q u asi m ai alle sed u te del Sen ato, e il M anzoni, an d an d ovi, si lim itò a m escolare lo zucchero nel bicchiere d ’acqua del suo vicin o — il C ialdini — e quando q u esti conchiuse un discorso tra gli applau si d e ll’A lto Consesso, il M anzoni com m entò bonariam en te : « Ci ho m erito a n ch ’io; gli ho d a to da bere!... ». L a p r im a e s e c u z i o n e . P er la prim a esecuzione della M essa V erdi, diligentissim o concertatore, tenne a scegliere egli stesso i can ta n ti. In sistette m olto perchè M aria W aldm ann potesse sciogliersi d a altro co n tra tto te a tra le e p a rtecip are al q u a rtetto delle prim e parti, e per essa scrisse un a solo nel D ies irae sulle parole Liber scriptus. S celse la chiesa di S. M arco, com e la più conven ien te per l ’acu stica, rinunziando a q u ella delle G razie, ch e C esare C an tù gli a v e v a suggerita. L a prim a esecuzione ebbe luogo d u nqu e nel prim o ann iversario della m orte d i M anzoni, d ire tta d a ll’autore. V i parteciparono la S tolz, soprano. la W aldm ann, contralto, il Capponi, tenore, il Maini, basso, cento strum en tisti, centoventi coristi. L ’impressione prodotta dal lavoro fu profonda; l ’auste rità del luogo e la pietà d ell’om aggio vietarono gli applausi. Ma grandi furono le manifestazioni d ’entusiasmo quando, pochi giorni dopo, la Messa veniva due volte ripetuta alla Scala, diretta da Franco Faccio. Un critico del tem po così descriveva le impressioni dei varii pezzi della Messa: « Il primo pezzo, Requiem, ha principio con un lieve sussurro degli stru menti a corda: sono i violoncelli che, cantando sottovoce, scendono di grado in grado nell’accordo del la minore; poi le armonie si allargano e su queste il coro incom incia a mormorare il requiem : il canto di esso viene a distendersi con inflessione quieta e triste; il Kyrie è di effetto nuovo, intonato alternativam ente dalle quattro voci principali; la istrum entazione è di una squisitezza am m ira bile. Segue il D ies irae: i quattro accordi brevi, in fortissimo, prorompono d all’orchestra: un urlo, che sa dello spavento, del terrore, della disperazione, si diffonde dai cori. È questo, senza dubbio, il punto culminante, per l ’effetto, d ell’opera: se nel p iù forte passa l’accento del terrore, nel pianissimo trem a l ’angoscia più cupa e paurosa. E cco le trom be squillare Tuba mirum spargens sonum agli echi, e gli echi rispondono. C ’è nell’incalzare delle terzine, nel rapido insistere degli accordi, qualcosa che annunzia l ’inevitabile giudizio. Terribile visione si affaccia nell’ansiosa sincope: poi precipita nel crom atico passaggio delle terzine staccate Coget omnes ante thronum: ed ora il basso canta il verso: et mors stupebit. E il mezzo-soprano: liber scriptus... a cui risponde sommes sam ente il coro: dies irae, dies irae, ancora tu tto tu tto compreso nel prim itivo terrore. «Eccoci al melanconico canto del Quid sum miser. Esso si annunzia con una frase semplice e com m ovente dei due clarinetti, la quale sembra contenere una ingenua, pietosa, um ile domanda; e da qui risulta il m irabile equilibrio nel quartetto dei legni: è il fagotto che con voce blanda e insinuante accom pagna con giusto e preciso accento nel passo in sestine tu t t’altro che facile. Intervengono i violoncelli per un passo crom atico, pure in sestine. Interloqui scono le altre voci: quid sum miser. È il canto ancora dell’uomo, del povero essere che andò ram ingo per il mondo, e contro il quale Jehova, senza il Reden tore, avrebbe chiesto eterna vendetta. E si viene al Rex tremendae maiestatis... Salva me im plorano le voci. Ne rimane, eco tristissim a, la dolorosa insistenza dei violoncelli, cupam ente: ecco s’inoltra il canto del Recordare, serena e tran quilla melodia, che tocca il cuore e persuade. E la stessa melodia can tata dal m ezzo soprano vien rip etu ta dal soprano, in più chiaro tim bro, fino a che le due voci femminili cantano insieme con raro effetto di soavità. Ingemisco tamquam reus c a n ta il tenore, e in un blan do accom pagnam en to intona la sua m esta preghiera. E d è il basso, poi, che con vo ce vib ra n te di com m ozione can ta: Confutatis maledictis... « L ’orch estra prorom pe nei q u attro accordi con cu i si annunciò il dies irae : il terrore d unque riprende gli anim i, li stringe, li atterra. Ma sorge il pentim ento: torn an o a in terloqu ire i soli: lacrimosa dies illa. Il pentim ento più sincero, p ro fondo, sorprende i cuori: l ’u m ano dolore c a n ta con a lta e p enetran te espressione. « N e ll’Offertorio preludiano i violoncelli in m odo m inore. Q u i si ha luogo d i am m irare l ’am pia te n u ta degli archi, la piena le v a ta del suono, che passa com e u n ’onda, v a d al g ra ve a ll’acuto, senza scatti, serenam ente, e l ’intonazione è p erfetta. Dom ine — can tan o le vo ci — libera animas, libera animas — e interludono i violini, con m eno di volu m e dei violoncelli. E term ina L'Offertorio con un m agnifico libera animas d ’insiem e. Sanctus! squillano ora le trom be, non più a richiam are a ll’orrenda visione del dies irae, m a con un im peto d i gioia, orm ai. Q ui il lavoro tem atico e la successione delle arm onie è ancora specialm ente interessante: qui, com e appare ogni parte ben lum eggiata, la con certa zione a cq u ista di un m erito più di genialità che di sapienza. A l com plesso Sanctus per cui la gioia della benedizione trab occò dai cuori in un inno m ultiplo, in in terro tto, succede il can to q u ieto d ell’A g n u s D ei: q u i can tan o in un m aestoso unisono le v o ci e gli strum enti. E a l L u x aeterna che term ina con un chiarissim o suono d i flauto, che sem bra veram en te un raggio d i luce, si passa al libera me per solo d i soprano e coro: ed in q u esta u ltim a parte si riassum ono e si conchiudono le m eravigliose idee accen nate e sv o lte nelle p arti precedenti con sim ile o più efficacia. I l Libera me è sta to ch iam ato una pagina di m agniloquente grandezza, che con sta di un a fu ga elaboratissim a, a un certo pu n to in terrotta d a un ca n to del soprano, poi ripresa con n u ovi disegni orchestrali, quindi sv ilu p p a ta in m odo in u sitato: il soprano rip ete il versetto salm odiando un a sola n o ta bassa, un do; il coro dice pur esso la stessa cosa e nello stesso m odo; ta lch é — con clu d eva il F ilip p i — la M essa finisce in una sfu m atu ra, com e un a p ic cola n ube d ’incenso p o rta ta dagli angeli in paradiso ». G iunsero a V erd i lodi e rin graziam en ti per la n u o va sua fa tica . Così egli risp on d eva a l S in d aco d i M ilano, tre giorni dopo la prim a esecuzione: « L a dolorosa n otizia della p erd ita di M anzoni m i spinse a scrivere la M essa da requiem. F u slancio generoso del cuore, trib u to di riveren te affetto, espres sione del m io cordoglio. « Mi è ora d i m oltissim a soddisfazione il sapere da Lei, signor Sindaco, che ta le m io a tto tornò grad ito alla S. V . ed a lla C itta d in a n za c h ’E lla d eg n a m ente rap p resen ta ». Giu diz i e resipiscenze. È appunto del tem po della Messa lo scritto di Hans von Bulow che, pub blicato nell'Allgemeine Zeitung (n° 148), suscitò aspre polemiche. Scrivendo delle tre esecuzioni milanesi, il Bulow così si espresse: « Il secondo avvenim ento sarà domani l ’esecuzione monstre del Requiem di V erdi nella chiesa di San Marco, ad attata teatralm ente e diretta eccezio nalm ente d all’autore, senator Verdi, colla quale l ’onnipotente corruttore del gusto artistico italiano, spera di spazzar via gli ultim i resti deU’im m ortalità di Rossini a lui malcomoda. L a sua ultim a opera in veste chiesastica verrà affidata dopo il prim o fittizio com plim ento alla riiemoria del poeta morto, per tre sere all’am m irazione mondiale, dopo di che verrà intrapreso in compagnia dei solisti am m aestrati da lui (Bulow adopera il term ine dressirt, che si usa parlando delle bestie ammaestrate) il viaggio a Parigi, la Rom a estetica degli italiani. U n ’occhiata di sfuggita e di contrabbando a questa nuova emanazione dell’autore del Trovatore e della Traviata ci ha tolto ogni voglia di assistere a questo F estiva l ». Brahm s, che si tro va v a a Zurigo, volle studiare la Messa e dichiarò : « Bulow ha preso un’immensa cantonata, giacché un’opera simile non la può scrivere che un genio ». D el resto lo stesso Bulow, fece poi ammenda del suo aspro giudizio con la seguente lettera indirizzata al Verdi : Amburgo, 7 aprile 1892. « Illustre Maestro, « D egnatevi ascoltare la confessione di un contrito peccatore. « Son già diciotto anni che il sottoscritto si è fa tto reo di una grande, grande bestialità giornalistica... verso l ’ultim o dei cinque R e della musica italiana moderna. Se n ’è pentito, se n ’è vergognato amaram ente, oh quante volte! Quando commise il peccato accennato (forse la vostra m agnanim ità l ’avrà affatto dimenticato) era proprio in istato di m entecattaggine — com patite ch’io m entòvi quella circostanza, per così dire, attenuante. E bbi la mente acciecata da un fanatism o, da Seide oltrewagnerista. Sette anni dopo, a mano a mano, si è fa tta la luce. Il fanatism o si è purificato, è diventato entusiasmo. Fanatism o-petrolio; entusiasmo-luce elettrica. N el mondo intellettuale e moralefla luce chiam asi: giustizia. N iente di più d istruttivo dell’ingiustizia, nulla di più intollerabile dell’intolleranza, come ha già detto il nobilissimo Giacomo Leopardi. « G iu n to alfine a q u el « p u n to d i cognizione », q u an to eb b i a congratularm i, q u an to si è a rricch ita la m ia v ita , si è accresciuto il cam po delle più preziose gioie: le artistich e! H o p rin cipiato collo stu d iare le vo stre u ltim e opere: l'A id a , l'Otello ed il Requiem, d i cu i ultim am ente, un a esecuzione p iu tto sto debole m ’ha com m osso fino alle lagrim e: le ho stu d ia te non solam ente secondo la lettera ch e uccide, m a secondo lo spirito ch e r a v v iv a ! E bb en e, illu stre M aestro, ora v i am m iro, v i am o! « V o le te perdonarm i, v o le te v a le rv i del p rivilegio dei sovran i d i graziare? C om unque sia, debbo, potendolo, fosse anche solo per d a m e l ’esem pio ai m inori fratelli erran ti, confessare la colpa del passato. « E , fedele a l m o tto prussiano: Suum cuique, esclam o viv am en te: E v v iv a V erdi, il W a gn er dei nostri cari alleati! ». E V erd i così rispon d eva: Genova, 14 aprile 1892. « Illu stre M aestro B ulow , non v i è om bra d i peccato in voi! — e non è il caso d i parlare d i pen tim en ti e d i assoluzioni! « S e le v o stre opinioni d ’una v o lta erano diverse da qu elle di oggi, vo i a v e te fa tto benissim o a m anifestarlo; nè io a vrei m ai osato lagnarm ene. D el resto, ch i sa... forse a v e v a te ragione allora. « C om unque sia, q u esta vo stra le tte ra in asp ettata, scritta d a un m usicista del vo stro v a lo re e della v o stra im portan za nel m ondo artistico, m ’h a fa tto un gran piacere! E questo, non per m ia va n ità personale, m a perchè ve d o che gli a rtisti ve ra m en te superiori giudicano senza pregiudizi d i scuole, d i n azio n alità , d i tem po. « S e g li a rtisti del N ord e del Sud hanno tenden ze diverse, è bene sieno diverse. T u tti d ovreb b ero m antenere i caratteri propri della loro nazione, com e disse benissim o W agner. « F elici v o i che siete ancora i figli d i B ach! E noi? N oi pure, figli d i P a le strina, a v e v a m o un giorno un a scuola grande... e nostra! O ra s’è fa tta b astard a e m in accia rovin a! « S e potessim o torn are d a capo?! ». "SNIA VISCOSA” SOCIETÀ NAZIONALE INDUSTRIA APPLICAZIONI VISCOSA ì C APITA LE L IR E UN M ILIA R D O TORINO 1 i F. I. P. Fa b b r i c a Italiana SO CIETÀ A N O N IM A P - ianoforti TO RINO Sede e Direzione : Via M oretta, 55 - Telef. 40-731 PIANI A C O D A - VERTICALI - AUTOPIANI - HARMONIUMS P R O D U Z I O N E ANNUAL E 4 5 0 0 ISTRUMENTI Vendita a i p r iv a t i in T orin o presso S. A. 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