leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri
http://www.10righedailibri.it
Stephanie Bond
Quattro cuori e un matrimonio
romanzo
Traduzione dall’inglese
di Sara Adinolfi
Prima edizione: marzo 2014
Titolo originale: Stop the Wedding!
© 2013 by Stephanie Bond
© 2014 by Sergio Fanucci Communications S.r.l.
via delle Fornaci, 66 – 00165 Roma
tel. 06.39366384
Originally published by NeedtoRead Books, Atlanta
Proprietà letteraria e artistica riservata
Stampato in Italia – Printed in Italy
Tutti i diritti riservati
Progetto grafico: Grafica Effe
Stephanie Bond
Quattro cuori e un matrimonio
Se qualcuno è contrario a questo matrimonio, parli ora...
1
Annabelle Coakley sollevò il panino che aveva già adden­
tato per far posto alla pila di documenti che teneva in mano
Michaela, la sua assistente, e si passò la cornetta del telefo­
no da un orecchio all’altro. «Mi piacerebbe molto fare due
chiacchiere, mamma, ma ora sono proprio sommersa dalle
carte.»
Mike indicò l’orologio e mormorò ad Annabelle che a­
vrebbe dovuto essere in tribunale entro venti minuti. Anna­
belle alzò un dito. «Posso richiamarti stasera?»
Si percepì un sospiro di fastidio attraverso la cornetta. «Sta­
sera ho il corso di ballo. Non ti tratterrò a lungo, ti ho chiama­
ta solo per dirti che sto per sposarmi.»
Annabelle smise di fare cenni alla sua assistente e avvici­
nò di più la cornetta all’orecchio. «Tu stai per fare cosa?»
«Sposarmi.»
Le sembrò che le stesse per scoppiare la testa. «Aspetta
un attimo, mamma.» Coprì con la mano il microfono del
telefono e indicò a Mike i documenti che le occorrevano in
tribunale, poi le fece cenno di lasciare il minuscolo ufficio.
Appena la porta si chiuse, tolse la mano e disse, ridendo:
9
«Con tutto il caos che c’è qui, devo aver frainteso, ho pensato
che tu avessi detto che...» continuò a ridere più forte «stai per
sposarti.»
Scosse la testa. Era assurdo che la sua dolce mammina,
vedova, potesse prendere in considerazione un’idea così
sconsiderata.
«È così, tesoro. Sto per sposarmi.»
Annabelle si fermò a riflettere e afferrò un tagliacarte dal­
la sua scrivania. «Con Melvin?»
«Si chiama Martin, tesoro. Martin Castleberry.»
«La star del cinema in pensione?»
Sua madre sospirò e Annabelle desiderò aver ereditato la
sua pazienza. «Per quelli della mia generazione, è una leg­
genda.»
Conficcò il tagliacarte nella copertina di sughero del suo
calendario da tavolo. «Ma lo conosci solo da... quanto? Tre
settimane?»
«Otto.»
«Che è quasi il numero di volte che è stato sposato.»
Un altro sospiro. «Questo sarà il sesto matrimonio di
Martin.»
«Sei, otto... dopo un po’, perché perdere tempo a contare?»
«Sii gentile, tesoro.»
Avrebbe voluto urlare dall’esasperazione. «Mamma, co­
me puoi sposare un uomo che conosci da due mesi appena?»
«Tesoro, Martin e io abbiamo capito di essere fatti l’uno
per l’altra già dopo due ore.»
«Ma... ma...» Cercò delle argomentazioni convincenti, poi
si lasciò sfuggire quella più vicina al suo cuore. «Ma è passa­
to così poco tempo da quando papà ci ha lasciate.»
Le parole rimasero sospese nel silenzio e, nonostante An­
nabelle fosse dispiaciuta per il momento che aveva scelto,
non era pentita di averglielo detto. Alla fine Belle si schiarì
10
piano la voce. «Tuo padre è morto da due anni, Annabelle.
Mi sento sola.»
Le si spezzò il cuore e il senso di colpa la avvolse come un
mantello di lana ispida. «Allora vieni a Detroit per una breve
vacanza.»
Sua madre sospirò, contrariata. «L’ultima volta che sono
venuta a trovarti, ho avuto l’impressione di rubarti del tempo
prezioso. Hai molte responsabilità.»
Annabelle ripensò a un giorno che avevano dedicato allo
shopping e, in effetti, il suo telefono aveva squillato almeno
una ventina di volte. Chiuse gli occhi mentre il rammarico
continuava a crescere. «Allora verrò ad Atlanta più spesso.»
«Sai che mi piacerebbe vederti sempre. Speravo che po­
tessi venire per la cerimonia.»
Il cuore di Annabelle cominciò a battere più forte. «Avete
già fissato la data?»
«Sabato prossimo!» esclamò sua madre.
«Tra otto giorni?» Si sforzò di trattenere il panico nella sua
voce. Martin Castleberry aveva almeno settantacinque anni,
vent’anni in più di sua madre, e le sue fughe d’amore erano
più famose della sua carriera di attore.
Non lo aveva mai incontrato, ma non aveva dimenticato
il suo nome sui titoli delle riviste di gossip, quando aveva
sposato una starlet della tv di quarant’anni più giovane. La
coppia May-December1 aveva fornito ai talk show molto ma­
teriale di cui parlare per tre mesi, la stessa durata dello sfor­
tunato matrimonio.
Quell’uomo era uno zimbello e Annabelle era stata sul
punto di svenire quando sua madre le aveva confessato che
usciva con lui. Era riuscita a calmarsi soltanto al pensiero
1
Nel mondo anglosassone vengono indicate così le relazioni di coppia con una gran­
de differenza di età tra i due partner.
11
che, nonostante sua madre fosse una bella donna, Castle­
berry sarebbe stato distratto presto da un fascino più gio­
vane. Ora avrebbe voluto prendersi a schiaffi per non aver
stroncato la relazione sul nascere. Fece una smorfia. «Mam­
ma, possiamo parlarne stasera?»
«Allora, ci sarai alla cerimonia?»
Il solo pensiero di vedere sua madre, una donna così gene­
rosa, naïf, sola, promettere di amare, onorare e prendersi cu­
ra di un dongiovanni come Martin Castleberry le fece venire
la pelle d’oca. Il cuore tenero e leale di Belle si sarebbe infran­
to non appena Castleberry avesse rivolto la sua attenzione a
un’altra donna. Negli ultimi due anni, sua madre aveva già
sofferto abbastanza.
Tuttavia, Annabelle si sforzò di sembrare contenta. «Non
mancherò.»
«E sarai la mia damigella d’onore?»
Annabelle trasalì. «Certo.»
«Grazie, tesoro! Sarà una cerimonia intima, solo con pochi
amici. Martin ha proposto di scambiarci le promesse a lume
di candela.»
Alzò gli occhi al cielo. «Che romantico.»
«So che sei molto impegnata, perciò penso che arriverai il
giorno della cerimonia, vero?»
La sua agenda brulicante di impegni le attraversò la mente
come un fulmine. «Devo controllare, ti farò sapere, mamma.»
Un’occhiata all’orologio la fece scattare in piedi. «A proposito,
devo scappare. Ti chiamo dopo, okay? Ti voglio bene.»
Annabelle riattaccò e uscì dalla stanza in fretta. Le girava
la testa. Giugno era il mese propizio per i matrimoni ma nes­
suno sapeva meglio di lei che lo era altrettanto per i divorzi.
Probabilmente le alte temperature contribuivano a scaldare
gli animi, ma sembrava che tutte le donne sfortunate di De­
troit che volevano divorziare avessero bisogno dell’assisten­
12
za del suo ufficio legale. Con tutto il lavoro che aveva, non
sarebbe stato facile prendersi un fine settimana libero nem­
meno per andare in paradiso, figurarsi per essere testimone
del matrimonio tra Belle Coakley e Martin Castleberry.
Scosse la testa e fece un respiro profondo. In tempi come
questi, perché qualcuno dovrebbe sposarsi?
Si infilò la tracolla della borsa strapiena di documenti, poi
posò lo sguardo su una foto dei suoi genitori incorniciata su
una mensola. Con un nodo alla gola, la afferrò e accarezzò
i loro volti sorridenti. Era stata lei a scattarla. Chi avrebbe
potuto dire che quella era l’ultima volta che sarebbero stati
tutti insieme?
I suoi genitori avevano costruito un matrimonio solido,
basato su valori e una divisione di ruoli d’altri tempi. Belle
restava a casa a cucinare, rassettare, prendersi cura del giar­
dino e occuparsi di Annabelle. Suo padre aveva trascorso ore
e ore a lavorare per un piccolo studio legale nella periferia
di Atlanta, per garantirle un tenore di vita decoroso, ed era
comunque riuscito a essere presente alle sue gare di nuoto al
liceo. Dopo la laurea di Annabelle non vedeva l’ora di andare
in pensione, ma un attacco di cuore gli concesse solo poche
settimane per godersela. Più tardi, ripensando a una richiesta
singolare che le aveva fatto una volta, Annabelle capì che lui
stesso doveva sospettare che il suo stato di salute fosse debole.
‘Anna, promettimi di prenderti cura di tua madre, se do­
vesse accadermi qualcosa. È così fragile.’
‘Certo, papà. Sai che non c’è bisogno che tu me lo chieda.’
Aver perso suo padre all’età di ventisei anni la faceva sen­
tire come se vivesse in una casa dalle fondamenta non più
solide. Memore di quella promessa, aveva saltato un trime­
stre del corso di giurisprudenza all’università del Michigan,
per occuparsi del suo patrimonio. Ricordò di aver pensato
che era una fortuna che la proprietà dei suoi genitori avesse
13
acquistato tanto valore: gli immobiliaristi stavano creando
un quartiere di lusso intorno alla loro casa, in una zona che
una volta era considerata periferica.
Nel giro di poco tempo, aveva scoperto che nell’imponen­
te struttura costruita proprio davanti casa di sua madre vive­
va il lascivo Martin Castleberry.
Annabelle ormai aveva ingoiato il rospo. Aveva così mise­
ramente infranto la promessa che aveva fatto a suo padre. Le
visite e le telefonate sporadiche avevano gettato sua madre
tra le braccia di un famoso dongiovanni. Socchiuse gli occhi
pensando a Castleberry con i capelli brizzolati e sempre ab­
bronzato, avvinghiato a una procace pin-up. Non era mini­
mamente all’altezza di sua madre.
Un rapido colpo alla porta annunciò Michaela, che appar­
ve sulla soglia. «Annabelle, il taxi è arrivato e al telefono c’è il
tuo agente immobiliare. È tutto okay?»
Si stirò facendo un respiro profondo, e il ferretto del reggi­
seno le si conficcò nella costola. Il fatto che non avesse tempo
neppure per comprare dell’intimo nuovo cosa poteva voler
dire della sua vita?
«Sto bene» disse, la voce sorprendentemente determinata
mentre riponeva la cornice. «Puoi farmi un favore, Mike?»
«Certo.»
«Cancella tutti gli impegni della prossima settimana.»
Mike inarcò le sopracciglia. «Dell’intera settimana? Pro­
blemi in famiglia?»
Non avrebbe permesso a Martin Castleberry di infangare
il nome di sua madre e il suo. Doveva semplicemente anda­
re ad Atlanta per smascherare quel donnaiolo, poi avrebbe
riportato sua madre a Detroit. Annabelle alzò il mento. «Sì,
devo impedire un matrimonio.»
Clay Castleberry stava utilizzando il puntatore laser per
14
indicare il picco più alto e quello più basso sul diagramma.
«Come potete vedere, negli ultimi otto anni la Munich-Tyre
Venture Fund ha superato la Dow Jones Industrial Avera­
ge, passando da sei a nove punti percentuali.» Fece una
pausa per consentire all’interprete di tradurre in francese,
facendo attenzione che ogni intonazione desse la giusta en­
fasi alla frase. «Io e i miei soci prevediamo...» Al suono di
un timido colpo alla porta, si girò e trattenne un rimprovero
quando l’assistente fece capolino nella penombra della sala
riunioni.
«Mr Castleberry, c’è Mr Jacobson in linea per lei.»
«Gli dica che sono in riunione e prenda il suo messaggio,
per favore.»
«Ha detto che è urgente.»
Un senso di preoccupazione gli attraversò il petto, mentre
gli balzavano alla mente diverse tragiche ragioni che potes­
sero giustificare la telefonata a Parigi di un amico di suo pa­
dre. «Chiedo scusa.» Uscì dalla sala, socchiudendo gli occhi
per la luce accecante della reception. Gli batteva forte il cuore
quando afferrò il telefono. «Jake, che succede?»
«Scusami per il disturbo, Clay, ma sto per prendere un a­
ereo per la Nuova Zelanda. Non sarò reperibile per un po’ e
volevo parlarti prima di partire.»
«Papà sta bene?»
«Cosa? Oh, sì, quella canaglia sopravvivrà a tutti noi.»
Clay tirò un sospiro di sollievo, ma si irrigidì di nuovo quan­
do sentì Jacobson emettere il lungo suono sibilante che prean­
nunciava la notizia di una delle ultime bravate di suo padre.
Volse lo sguardo verso la sala piena di ricchi investitori inter­
nazionali in attesa e si massaggiò il naso. «Cos’ha combinato
stavolta?»
«Sta per sposarsi.»
Clay imprecò. «No, di nuovo?»
15
«Temo di sì. Pare che tuo padre ci abbia preso gusto.»
Tale padre, per nulla tale figlio. «Chi diavolo è questa vol­
ta? Per favore, dimmi che è maggiorenne.»
«Si chiama Belle Coakley. Mi ha detto che è una sua vicina,
ma non ha fiatato quando gli ho chiesto l’età. Pensavo che
magari tu l’avessi conosciuta.»
Clay serrò le labbra. «No, papà non mi ha mai parlato di
lei. Non vado a trovarlo da un po’.» Parlavano poco al telefo­
no, ancor meno di persona. I trenta chilometri che divideva­
no le loro case ad Atlanta avrebbero potuto essere trentami­
la. «Sono sicuro che questa Coakley sia un’aspirante attrice
accecata dalla fama che ha fiutato l’odore dell’assegno per i
diritti d’autore di Streetwise – Ragazzi di strada.»
Jake emise un sospiro compassionevole. «Martin è stato
raggirato in quel film. Dopo tutto il lavoro che hai fatto per
recuperare il denaro che meritava, Clay, non sopporterei di
veder andare tutto in fumo. Ecco perché vengo meno alla
parola data, perché mi ha espressamente chiesto di non dirti
nulla del matrimonio.»
«Pensava che non lo avrei scoperto?»
«Sta organizzando la cerimonia prima del tuo rientro ad
Atlanta. Tra otto giorni.»
Clay chinò la testa in avanti ed esclamò: «Pensi che stia di­
ventando vecchio, Jake?»
«Sfortunatamente no, penso che sia nel pieno possesso
delle sue facoltà.»
In lontananza si sentì una voce ovattata. «È l’annuncio del
mio imbarco. Mi spiace dare la cattiva notizia e scappare,
ma...»
«Va’ pure, Jake, divertiti. E grazie per avermi avvisato.»
«Hai un piano?»
L’idea di perdere l’affare per tornare negli Stati Uniti a oc­
cuparsi dell’ultimo fiasco di suo padre si insinuò nella sua
16
mente e gli fece ribollire il sangue. «Certo. Smaschererò que­
sta specie di cacciatrice di dote. E...» colpì la scrivania con
il palmo della mano «farò tutto il possibile per impedire il
matrimonio.»
17
2
«Sono atterrata, ma la mia valigia no» brontolò Annabelle
al telefono. Una cosa era certa: non avrebbe più potuto ri­
mandare lo shopping per comprare della biancheria nuova.
«Hai messo un cambio nel tuo bagaglio a mano?» chiese
Michaela in tono compassionevole.
«Non c’era abbastanza spazio nella borsa del computer.»
«Hai portato il computer?» chiese l’amica con disappro­
vazione. «Pensavo che dovesse essere un’occasione per una
riunione tra madre e figlia.»
«Ho portato con me qualche documento da leggere e ho
detto all’agente immobiliare che avrei controllato l’email;
dobbiamo ancora fissare una data per chiudere con la casa.»
«A proposito, sono arrivate in ufficio una foto e una stima
del terreno. Sono verde d’invidia, non so come tu possa per­
metterti un posto così fantastico.»
Nonostante fossero amiche da un pezzo, Annabelle non
amava condividere la sua vita privata. «Diciamo che per
quanto riguarda gli amici e gli investimenti faccio delle scel­
te oculate.»
«Sono lusingata. Hai chiamato tua madre?»
18
«No.»
Michaela rise. «Ti presenterai direttamente davanti alla
sua porta?»
«Pensa a quanto sarà felice di vedermi.»
«Hai paura che scappino, se tua madre sa che stai arri­
vando?»
«Va bene, lo ammetto, ho sbagliato. Ma se tutto va bene,
tra pochi giorni sarò di nuovo a casa insieme a mia madre,
spero. Penso che abbia soltanto bisogno di cambiare aria per
un po’. Ieri sera, al telefono, mi ha detto che è innamorata di
quel tipo. Ah! Te lo immagini?» Ci fu una breve pausa di si­
lenzio, durante la quale si rese conto che stava per arrivare il
predicozzo di Michaela.
«Annabelle, sei sicura di sapere quello che stai facendo?»
Sospirò. «Quello di cui sono sicura è che mia madre è una
donna vulnerabile ed è sul punto di commettere un enorme
sbaglio.»
L’altra si schiarì la voce. «Credo che questo non sia proprio
il momento giusto per dire che Mrs Coakley potrebbe non
considerare sua figlia, un avvocato divorzista ventottenne e
single, un’autorità in materia di rapporti sentimentali.»
«Mike, negli affari di cuore ho più esperienza di mia madre.»
«Se lo dici tu» disse l’amica, dubbiosa. «Ma quante propo­
ste di matrimonio hai ricevuto tu?»
Annabelle corrugò la fronte. «Sai come la penso sul ma­
trimonio.»
«Esattamente come la penso io. Ed è per questo che ti di­
co che se non stai attenta con il tuo cinismo, non caverai un
ragno dal buco.»
«Ora devo riattaccare.»
«Okay, lo prendo come un avvertimento. D’ora in poi ter­
rò le mie opinioni per me.»
Annabelle rise. «No, non lo farai.»
19
«Hai ragione. Ti auguro buona fortuna, fatti viva ogni
tanto.»
Terminata la telefonata, Annabelle sospirò, poi diede
un’occhiata ai tabelloni delle informazioni. Con tutto quel
viavai e i continui annunci in tutte le lingue, l’aeroporto in­
ternazionale Hartsfield-Jackson di Atlanta avrebbe potuto
spaventare i viaggiatori, ma per lei quel trambusto era fami­
liare. Nonostante la missione che l’attendeva, si sentiva lega­
ta ad Atlanta. In realtà, aveva sempre immaginato di tornare
a casa dopo l’università, ma l’opportunità di lavoro a Detroit
le aveva fatto cambiare idea, soprattutto per i fondi offerti
dallo Stato per rimborsare i prestiti scolastici in cambio di
due anni di lavoro. Il primo era già passato, mancava il se­
condo.
All’inizio era rimasta sconvolta dalle meschinità delle di­
spute familiari, ma le occasionali vittorie morali che riusciva
a ottenere la ricompensavano di tutti gli sforzi. E nel tratta­
re i problemi degli altri era diventata una persona più forte.
Rifiutava le accuse di cinismo di Michaela, lei era semplice­
mente realista. Le statistiche non mentivano. Fortunatamen­
te, aveva una soluzione semplice al dilemma sulle relazioni
sentimentali: non ne aveva nessuna. Ed era diffidente nei
confronti di chi ne avesse.
Per quanto riguardava sua madre, be’... stava attraversan­
do una crisi di mezz’età per la scomparsa dell’uomo con cui
aveva vissuto per tanti anni.
Annabelle si voltò verso la stazione, mise la borsa del com­
puter a tracolla e s’incamminò. Per risparmiare, avrebbe po­
tuto prendere la metropolitana in direzione nord e poi un
taxi fino alla casa della sua infanzia. Stava mettendo da parte
un po’ di soldi per la caparra della sua nuova casa e per com­
prare una macchina usata decente a sua madre. Per questo,
il suo budget era abbastanza limitato e il biglietto last minute
20
era stato un salasso. Sperava che la compagnia aerea recupe­
rasse presto il suo bagaglio, perché non poteva permettersi
di comprare vestiti nuovi e non si sarebbe mai sognata di
indossare per le successive due settimane una salopette di
jeans, una maglietta rosa e dei sandali bassi.
La prima ventata di caldo estivo la colpì mentre usciva per
salire le scale fino al binario. Alcune ciocche di capelli erano
sfuggite al fermaglio che indossava quando non lavorava e
le solleticavano il naso. Se le sistemò dietro le orecchie, poi
indossò gli occhiali da sole con le lenti gialle.
Sorrise. Benvenuta ad Atlanta!
Quando il treno si fermò in stazione si unì alla folla che a­
vanzava, poi trovò posto su una poltroncina opposta al senso
di marcia. La gente si sparpagliò, le porte si chiusero e il treno
sfrecciò via. La varietà di passeggeri comprendeva diverse
categorie, dagli studenti tatuati del college ai turisti dagli
sguardi curiosi agli impassibili professionisti. Annabelle a­
dorava osservare gli altri e fantasticare sulle loro storie, pren­
dendo ispirazione dai loro gesti.
La graziosa brunetta indifferente agli schiamazzi dei ra­
gazzi si stava chiedendo cosa sarebbe successo al suo matri­
monio. La coppia di anziani seduta accanto a lei era arrivata
per andare a far visita ai nipotini. E l’uomo d’affari dal volto
inespressivo, che tamburellava con le dita sul costoso oro­
logio, forse avrebbe voluto essere altrove, magari con la sua
amante.
Annabelle lo scrutò. No, i suoi lineamenti scuri erano fissi
in un’espressione troppo rigida per immaginare che potesse
pensare a qualcosa di lontanamente romantico. Il completo
verde oliva e la camicia bianca erano impeccabili, ma il nodo
alla cravatta era allentato e nei suoi occhi neri e nell’espres­
sione del volto si poteva percepire che era provato dal jet lag.
Guardava fisso alla sua sinistra attraverso il finestrino, ma
21
lei immaginò che non vedesse nulla del panorama. Proba­
bilmente quell’uomo con la barba incolta era diretto a un in­
contro, forse a un funerale. La fantasia di Annabelle si mise
in moto. Certo, era tornato a casa per andare a un funerale. Il
funerale di una persona cui non era affezionato, ma avrebbe
dovuto esserlo.
Lui si voltò e i loro sguardi s’incrociarono. L’intensità della
sua espressione le diede un brivido. Annabelle si trattenne,
ma non poté fare a meno di continuare a guardare. Perfino
Satana in persona non avrebbe potuto essere più irresistibile.
Il suo naso grande, la mascella possente e le folte soprac­
ciglia avrebbero attirato di certo l’attenzione di un artista. La
sua testa sporgeva al di sopra dello schienale e le sue spalle
erano così larghe da invadere il posto vuoto accanto al suo.
Aveva qualcosa di familiare, ma era sicura che non si fossero
mai incontrati prima. Avrebbe potuto chiederglielo, ma l’uo­
mo s’incupì ulteriormente e la sua espressione sembrava un
avvertimento per chiunque osasse avvicinarsi.
Posò gli occhi su di lei, non soffermandosi tanto sul viso
e sugli abiti, quanto sui suoi piedi. Con un notevole sforzo,
Annabelle riuscì a resistere alla tentazione di arricciarli per
nasconderli. Appena due giorni prima, nel tentativo di ac­
cattivarsi una testimone quattordicenne che si era chiusa nel
bagno di un locale, Annabelle aveva proposto di fare una
doppia pedicure con lo smalto blu che era rotolato fuori dal­
lo zaino della ragazza. L’idea aveva funzionato e, dal mo­
mento che le sue scarpe normalmente nascondevano quel
capolavoro, non aveva ancora rimosso lo smalto.
L’uomo storse la bocca prima di voltarsi di nuovo verso il
finestrino, sempre preoccupato. Fu assalita da un senso di
disagio. Era stata al cospetto dei giudici e degli avvocati più
temuti di Detroit, ma non era mai stata liquidata con un’oc­
chiata così veloce. Qualunque cosa facesse per vivere, quel­
22
l’uomo doveva essere un misero fallito o un vincente feno­
menale.
O, più probabilmente, un misero vincente.
Annabelle si sforzò di spostare l’attenzione sulle ferma­
te successive, ma continuava a percepire la sua presenza a
un paio di metri di distanza, sia all’interno del suo campo
visivo, sia in qualcosa di simile a un campo di collisione e­
nergetica. L’aura dell’uomo si posava su ogni cosa intorno
a lui, richiamava l’attenzione anche quando era concentrato
su qualcos’altro. Nervosa e imbarazzata, Annabelle tenne lo
sguardo incollato sulla locandina di un film imbrattata dai
graffiti.
L’uomo si alzò mentre il treno si avvicinava alla stazione
del quartiere finanziario, afferrò con una mano una valigetta
di pelle nera e con l’altra una borsa portacomputer molto ca­
piente. Con la coda dell’occhio Annabelle notò che lasciava
scendere gli altri passeggeri prima di lui, ma riconobbe in
quel segno di gentilezza un gesto strategico. Aveva studiato
il comportamento della gente abbastanza da sapere che le
personalità con una certa influenza e posizione sociale sono
sempre le ultime a uscire dalle stanze e dagli ascensori e, se­
condo lei, quello era un tentativo di mantenere il potere pro­
teggendosi le spalle. Lui schizzò via, a testa alta e con passo
determinato, scendendo i gradini a due a due per poi sparire
in fondo alle scale.
Dopo che le porte si furono richiuse, sembrò che nel treno
mancasse l’aria per la sua assenza, tuttavia Annabelle fece
un sospiro di sollievo. Non avrebbe mai voluto avere a che
fare con gente come lui in tribunale. O in camera da letto.
Quando la corsa riprese, Annabelle respinse l’inquietante
immagine di quell’estraneo e notò alcuni cambiamenti nel
paesaggio. Individuare le zone in via di sviluppo della cit­
tà era facile, bastava cercare i mucchi di argilla rossa dove la
23
terra era stata scavata per costruire case, strade e centri com­
merciali. Il centro di Atlanta e l’area metropolitana erano una
combinazione di grigio e verde, di cemento e alberi, una zona
economicamente prospera.
Memore della rapida occhiata dello sconosciuto, Anna­
belle cercò di dare una sistemata al trucco e ai capelli ribelli,
aiutandosi con uno specchietto grande quanto una scatola
di fiammiferi. Pensò a quale fosse l’approccio migliore per la
situazione che avrebbe dovuto affrontare di lì a poco. Si sen­
tiva in colpa per l’improvvisa decisione di sua madre. Se solo
avesse trascorso più tempo con lei dopo la morte del padre,
se le avesse fatto visita più spesso, se l’avesse incoraggiata a
vendere la loro casa, Belle non avrebbe mai incontrato Mar­
tin Castleberry e non si sarebbe fatta ingannare da lui. Poiché
il suo disinteresse aveva contribuito a quella situazione, ora
era compito suo aiutare la madre a capire che era sulla strada
sbagliata.
Quindi, avrebbe semplicemente fatto sedere Belle e sareb­
be stata onesta riguardo all’insano gesto di sposare Martin
Castle­berry. O forse la sua opposizione l’avrebbe convinta
ancora di più? D’altro canto, se l’infatuazione di Belle era
dovuta alla solitudine, come Annabelle immaginava, forse a­
vrebbe potuto servirsi della psicologia inversa e fingere di es­
sere entusiasta, così sua madre avrebbe fatto un passo indie­
tro per analizzare la situazione in modo più critico... Anche
se, così facendo, sarebbe andata oltre i limiti del suo talento di
attrice e del suo buonsenso.
Dal momento in cui il treno superò il confine settentriona­
le, Annabelle stabilì una strategia di cauto entusiasmo, da a­
dottare fino al momento in cui avesse potuto valutare lo stato
d’animo di sua madre. Scese dal treno, uscì dalla stazione e
chiamò un taxi. Nei pochi secondi durante i quali l’auto rag­
giunse uno stop, poté quasi sentire il naso coprirsi di lentig­
24
gini. Ai tempi del college, i limoni avevano minimizzato gli
effetti degli allenamenti e delle gare di nuoto all’aperto, ma la
sua pelle era ancora sensibile. Annabelle si passò una nocca
sul naso e sospirò. Le lentiggini non le conferivano l’aspetto
autoritario di cui aveva bisogno sul lavoro. E non la facevano
sentire un’adulta, cosa ancora più difficile quando c’era sua
madre.
Durante la corsa aveva provato un saluto del tipo ‘Ciao
mamma, ero nei paraggi’, ma si sentì ugualmente un po’ a­
gitata quando il taxi si fermò davanti casa. Il cuore le batteva
forte mentre pagava il tassista, poi scese e fu investita dai
ricordi. Voci, odori e immagini dal passato ritornarono per
rassicurarla. Era di nuovo a casa.
Il vialetto era vuoto, ma sua madre le aveva detto che a­
veva ripulito il garage e che aveva iniziato a parcheggiare
all’interno. Annabelle si voltò e fece un cenno di apprezza­
mento alla grande casa in stile ranch, degna di una rivista. Il
letto di foglie ai lati della veranda circondava le grandi pian­
te sempreverdi che Belle aveva piantato negli anni. Una fon­
tana grigia per uccellini con una fatina sul piedistallo era in
funzione sulla destra e dava ristoro a un gruppo di farfalle.
Il giardino era impeccabile, tranne un ciuffetto d’erba scom­
posto. Annabelle si abbassò per raccoglierlo e pensò che suo
padre avrebbe sicuramente approvato quel gesto.
Me ne prenderò cura, papà. Proprio come ho promesso.
Quando si rialzò, il suo sguardo fu attratto da una casa co­
lor corallo a tre piani che spuntava tra gli alberi e subito si
accigliò. La casa di Martin Castleberry, dedusse grazie alla
descrizione che le aveva fatto la madre. Probabilmente l’uo­
mo aveva spiato Belle con un binocolo, prima di invitarla a
uscire. Annabelle salì i gradini della casa dov’era cresciuta e
notò la stessa pietra, in quel preciso angolo di uno scalino,
che si era staccata abbastanza da poterla rimuovere e metterci
25
dietro un biglietto per la sua amica Lisa che, all’epoca, viveva
nella casa accanto. Ma Lisa e la sua famiglia si erano trasferite
in Illinois quando le bambine avevano otto anni, e Annabelle
aveva perso il conto di tutti i proprietari che si erano avvicen­
dati in quella casa, così come nel resto del quartiere.
Suonò il campanello e fece un largo sorriso, pronta a get­
tarsi tra le braccia della madre. Un minuto dopo, smise di
sorridere e suonò di nuovo. Dove poteva essere alle due del
pomeriggio? Poi si morse la lingua e capì. Forse era a casa
del suo uomo. Si corresse, il suo fiancé. Annabelle fece una
smorfia. Non le era mai piaciuto quel termine così altezzo­
so. Fiancé. Gli americani avevano adottato la parola francese
per addolcirne le sgradevoli implicazioni: vincolo. Legame.
Trappola.
Sollevò il battente di ottone lucido e colpì più forte. Alla fine
recuperò un mazzo di chiavi dalla borsa e aprì la porta. Pen­
sando che sua madre fosse nel giardino sul retro, Annabelle
attraversò il soggiorno e si diresse in cucina. Nel tragitto, os­
servò con occhio critico le pareti tinteggiate da poco. Dov’e­
rano finite le foto di suo padre? Si fermò in cucina e fissò il
tavolo.
Quello era un bicchiere sporco? Si sfregò gli occhi: un piat­
tino con delle briciole?
Bene, aveva la risposta: qualcuno, un tipo disordinato, ave­
va rapito sua madre e aveva preso possesso della casa.
Si diresse verso la porta-finestra scorrevole, la aprì e uscì
sul terrazzo che suo padre aveva fatto costruire qualche anno
prima. «Mamma?» Il giardino era vuoto. Si fermò ad ammi­
rare i due roseti che Belle aveva piantato dopo la sua ultima
visita, la rosa purpurea di Damasco e la rossa americana. Bel­
le aveva il pollice verde e il giardino rifletteva il suo talento.
Vi si trovavano rari cespugli di piante sempreverdi e i più
comuni fiori di Rudbeckia hirta. Annabelle osservò la scompo­
26
sta recinzione di arbusti che si diradava in una zona piena di
alberi e si allontanava dal prato in direzione della casa color
corallo. Buon dio, hanno tracciato un sentiero tra le loro case.
Da quella posizione riusciva a vedere meglio sia il retro del­
l’imponente struttura, sia l’alta recinzione intorno a quello
che sembrava il cortile interno. Oltre all’imponenza, la casa
si distingueva dalle altre per le grandi serliane e per i profili
di rame sui tetti.
«Mamma? Sono io.» Chiamò con prudenza, ma si sentì
quasi sollevata quando vide che non c’era. Preferiva parlarle
da sola, prima di incontrare il famigerato Mr Castleberry.
Immaginando che sarebbe rientrata presto, tornò verso casa
e aprì il rubinetto della doccia nel bagno vicino alla sua stan­
za. Mentre l’acqua si riscaldava, andò a cercare una vestaglia
nella camera di sua madre, ma al posto delle solite vestaglie
foderate di Belle trovò soltanto dei kimono di seta. Guardan­
do quell’arcobaleno di colori, scelse l’indumento più semplice,
uno turchese di media lunghezza con apertura a portafoglio,
poi andò verso la doccia.
Al pensiero che la lingerie di sua madre fosse più costosa
della sua, chiuse gli occhi e iniziò a strofinarsi violentemente
la testa.
Clay aprì la porta del suo attico e inserì il codice per disat­
tivare il sistema d’allarme.
Fu assalito dall’odore di pittura fresca e si lamentò mugu­
gnando: aveva dimenticato di aver concordato di far tinteg­
giare l’appartamento mentre era a Parigi. Un paio di scale a
libretto, diversi bidoni di vernice e stracci sporchi affollavano
l’ingresso.
A causa del lungo volo aveva male alla schiena e gli occhi
secchi. Poggiò il borsone e la borsa portacomputer sul pa­
vimento e si stiracchiò sbadigliando. Fu tentato di fare un
27
pisolino ma resistette, si strappò di dosso i vestiti e si diresse
verso la doccia. I cattivi affari dovevano essere sbrigati alla
svelta, dopo avrebbe potuto dormire. In uno slancio di en­
tusiasmo, entrò nella cabina di vetro cromato mentre l’acqua
era ancora fredda.
Brontolò per i brividi, poi si insaponò il viso e si rase. Suo
padre aveva fatto dell’immagine del ribelle con la barba incol­
ta il suo modus vivendi e, considerate le altre somiglianze
che li legavano, non aveva intenzione di dar modo agli altri
di paragonarlo a lui. Maledizione, perché non poteva esse­
re un normale settantacinquenne amante del giardinag­gio,
che non vedeva l’ora di avere nipotini e che andava al­cen­
tro commerciale tutte le mattine prima dell’orario di aper­
tura?
Fece un sorriso beffardo mentre si insaponava il petto.
Suo padre si sarebbe divertito fino alla fine. Clay sperava
soltanto che le circostanze non fossero tanto scandalose da
offrire alla stampa un articolo piccante.
Uscito dalla doccia, indossò gli abiti per il tempo libero. I je­
ans sarebbero stati una buona soluzione dopo aver indossa­
to per due settimane giacca e cravatta, tuttavia sapeva bene
che la sua impresa avrebbe reso di più con un bel completo.
Mentre si lucidava le scarpe, telefonò al centralino e pronun­
ciò il nome di Belle Coakley. Dopo una breve attesa otten­
ne l’indirizzo di casa della donna e il numero di telefono.
Quindi telefonò in banca e predispose il prelievo di ventimi­
la dollari. Non aveva mai dovuto sborsarne più di diecimila
per liberarsi delle amanti di suo padre, ma poiché la futura
sposa era una vicina di casa, avrebbe dovuto pagare per una
vacanza lontano da Atlanta.
Ripescò le chiavi della macchina e s’incamminò verso il
garage. Non aveva usato la Mercedes per più di un mese.
Eccetto che per i rari spostamenti per andare a trovare suo
28
padre e occasionali cene fuori, preferiva muoversi a piedi
o con il suo furgoncino nero. Una vergogna, pensò mentre
apriva la portiera argento della sua berlina, perché era pro­
prio un bel gioiellino.
Lungo il tragitto verso casa della Coakley, si meravigliò di
quanto la procedura si fosse semplificata negli ultimi anni:
prelevava una somma di denaro, faceva una visita all’ogget­
to del desiderio di suo padre, le rifilava una vecchia storiella
sulla saggia scelta di accettare i soldi e togliersi dai piedi, e
infine rapiva suo padre per un paio di giorni per una partita
a golf o a tennis, per sciare o per una gita in barca a vela.
Senza tenere in considerazione la volontà del padre o del­
la donna di porre fine alla storia, assoldava un investigatore
privato per scoprire gli scheletri di lei, poi riferiva le informa­
zioni diffamatorie al padre e tornava a casa. All’inizio Martin
era un po’ seccato, ma poi concordava con Clay e ammetteva
che la relazione non avrebbe funzionato, quindi tornava ai
suoi soliti passatempi.
Clay non amava comprare le cacciatrici di dote, ma aveva
negoziato tutti i divorzi del padre e sapeva che gli accordi
prematrimoniali non erano inoppugnabili, soprattutto con­
siderando la tendenza del padre a fare promesse non scritte
nell’impeto della passione. Anche se era lui stesso a gestire
gli investimenti del padre, i fondi si erano esauriti rapida­
mente. Avrebbe potuto comunque provvedere a lui genero­
samente – il lauto compenso della sua ultima causa avrebbe
risollevato le finanze di Martin –, ma Clay era determinato
ad arrestare le continue perdite del donnaiolo. Di conse­
guenza, far fallire il matrimonio sarebbe stata la soluzione
più efficace.
Rallentò per esaminare le tracce sulla strada. Le prece­
denti fidanzate del padre abitavano solitamente in apparta­
menti malmessi, per cui rimase sorpreso nel constatare che
29
la donna in questione possedeva una casa abbastanza carina
in un quartiere di lusso. Si chiese se la casa non fosse l’eredi­
tà dell’ultimo fidanzato. Detestava essere cinico, ma aveva
scoperto che molte delle donne che avevano conquistato
quell’ingenuo di suo padre avevano truffato già altri uomini
più anziani. Si fermò davanti alla casa bianca e sorrise. Com’è
graziosa.
Impassibile, parcheggiò e raggiunse il vialetto. L’ultimo
piano della casa di suo padre – o meglio di casa sua, perché
si era fatto carico del mutuo – si poteva vedere attraverso gli
alberi. La vicinanza era una variabile di cui non aveva do­
vuto tener conto in passato, ma gli sarebbe venuta in mente
un’idea anche per quello.
Si riempì i polmoni di aria tiepida e salì i gradini, la rabbia
nei confronti della sconosciuta si percepiva nei suoi passi.
Per favore, fa’ che non sia un’altra spogliarellista.
Suonò il campanello, fece un passo indietro e si immaginò
la solita ragazza appariscente. Bionda e prosperosa, se ricor­
dava la predilezione di suo padre per le curve.
Passarono un paio di minuti e suonò di nuovo, poi pen­
sò che la donna potesse trovarsi nella piscina di suo padre.
Proprio mentre stava per andare via, si sentì una flebile voce
femminile dall’altro lato della porta.
«Posso aiutarla?»
Sembrava giovane, naturalmente. «Ms Coakley, sono ve­
nuto per parlare di Martin Castleberry.»
«Lei chi è?»
«Sono Clay Castleberry, suo figlio.» Si sentì un idiota a
parlare alla porta.
«Non sapevo che avesse un figlio.»
Clay si morse la guancia, sentiva l’eco della sua testa vuo­
ta. Come poteva suo padre pensare di sposare una donna e
omettere il dettaglio abbastanza rilevante di avere un figlio?
30
Di sicuro Martin glielo aveva detto, ma lei lo aveva dimenti­
cato. Se era così svampita, sarebbe stato un gioco da ragazzi
offrirle del denaro. «Ms Coakley, dobbiamo parlare del fi­
danzamento.»
«Come sapeva che mi avrebbe trovata qui?»
Scosse la testa. Grandioso, è ottusa e paranoica. Pensò a una
risposta che l’avrebbe convinta. «Me lo ha detto mio padre.»
La maniglia vibrò e la porta si aprì. «Lo sapevo, usa il bi­
nocolo per spiare in casa, vero?»
Clay rimase sorpreso e fu scosso da un sussulto. Con in­
dosso una vestaglia turchese corta e i capelli scuri ancora
umidi che ricadevano sulle spalle, Belle Coakley era una vi­
sione. Gli occhi color nocciola su un viso sottile, contornati
da lunghe ciglia e una sorprendente esplosione di lentiggini
sul naso minuto. Un cassetto della memoria si aprì, ma non
riusciva a capire dove avesse potuto incontrarla. Il gusto di
suo padre in fatto di donne stava migliorando, ma di sicuro
non aveva più di venticinque anni. Una venticinquenne pa­
ranoica.
«Vero?» Annabelle si accigliò avanzando di un passo.
Alla vista di quelle gambe, la mente gli si annebbiò. «Co­
me, scusi?»
Socchiuse gli occhi. «Non faccia il furbetto con me.»
Cominciò a irritarsi anche lui, ma non voleva provocarla
ulteriormente. «Non so nulla di questi binocoli.»
Lei incrociò le braccia. «Bene Cliff, di cosa voleva parlare?»
Gli fumavano le orecchie. «Clay.»
Lei inarcò appena un sopracciglio.
Per convincere i venture capitalist a investire nei progetti dei
suoi clienti, Clay era diventato un maestro nell’interpretare
le espressioni della gente e niente lo faceva infuriare quanto
quel semplice gesto. Osservò attentamente il suo mento ed
ebbe la sensazione che la donna che gli stava davanti potesse
31
provocare molto più dolore di quanto gli uomini Castleber­
ry potessero tollerare. Prima finiva con i preliminari e me­
glio sarebbe stato.
«Ms Coakley, ho una proposta da farle.»
32
Scarica

leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri