L 43-46_Libri_segnalazioni_R17-20:Layout 2 1-02-2013 15:01 Pagina XVII L ibri del mese / segnalazioni G. STEINER, IL LIBRO DEI LIBRI. Un’introduzione alla Bibbia ebraica Vita e pensiero, Milano 2012, pp. XIV+ 92, € 12,00 9788834321232 P er comprendere questo piccolo libro di un grande autore – letterato e saggista tra i più celebri – occorre iniziare con un discorso di basso profilo. Bisogna riferirsi al titolo originale, A Preface to the Hebrew Bible – posto nell’edizione italiana come sottotitolo – e collocarlo nella sua veste iniziale. La sua prima comparsa fu infatti quella di Prefazione a The Old Testament: King James Version (Everyman’s Library, New York 1996). Da questi semplici dati emerge una tensione, non sufficientemente colta da Gianfranco Ravasi nella sua Prefazione all’edizione italiana. Di che si tratta? Dell’equivalenza, paradossalmente sia confermata sia smentita dalle pagine di Steiner, tra The Old Testament e la Hebrew Bible. La King James non è solo una traduzione inglese della Bibbia risalente ai primi del XVII secolo: è un monumento letterario della cultura anglosassone. È infatti impossibile contestare la valutazione proposta da Steiner secondo cui «le due principali costruzioni della lingua inglese» siano Shakespeare e la Bibbia di re Giacomo (26). Il fatto che questo libretto sia all’origine una Prefazione alla King James giustifica il suo interesse per le traduzioni in generale e per questa in particolare (11-35). Ma il punto capitale non sta qui. Il nucleo del problema è che l’influsso straordinario avuto anche dalla prima parte della Bibbia di re Giacomo è dovuto al fatto di presentarsi come un Old Testament a cui segue di necessità un New Testament; ed è fuori discussione che non basta amputare semplicemente questa seconda parte per renderla Hebrew Bible. Le pagine di Steiner si muovono all’interno di questa contraddizione. Da un lato affermano che la nozione di «“Antico Testamento” è puramente cristiana» perciò il fatto che il Nuovo Testamento dipenda da esso «non è affare del popolo ebraico» (44-45), dall’altro commentano la successione dei libri così come appaiono nell’Old Testament. Esse quindi si conformano a un ordine che differisce per aspetti qualificanti da quello proprio della Bibbia ebraica (49-82). Basti dire che un conto è terminare l’Antico Testamento con i Profeti, altro concludere la Bibbia ebraica con i due libri delle Cronache. XVII Si sbaglierebbe però a declassare queste osservazioni a puntigliosi rilievi da biblista. Le cose stanno ben altrimenti. Proprio questa contraddizione, evidente in quasi ogni riferimento compiuto dall’autore agli influssi biblici presenti nella cultura occidentale, costituisce una specie di sigillo a pagine scritte da un grande intellettuale ebraico diasporico della seconda metà del XX secolo (i riferimenti, espliciti o impliciti, alla Shoah sono una costante, qui e altrove, per Steiner). Si tratta perciò di una contraddizione che allude in modo profondo al senso stesso dell’inquietudine «confinaria» tipica della presenza ebraica nelle viscere della cultura occidentale. Steiner, a un certo punto del suo scrivere, propone un’osservazione: «Nelle parti “legislative” dei libri di Mosè, ma anche nelle profondità più abissali della profezia, Dio vive nei dettagli» (30). Con un paragone non privo di arditezza si potrebbe sostenere che lo stesso vale anche per l’autore di questa frase. Leggere le sue pagine significa, infatti, imbattersi in osservazioni folgoranti che travalicano il rigore scolastico per toccare verità più profonde che solo uno stile aforistico può conseguire (e ciò rappresenta una lezione su cui meditare da parte dei biblisti). Steiner si rammarica a più riprese di non avere una sufficiente padronanza della lingua originale in cui fu scritta la Bibbia. In questa luce, a proposito di Giobbe, annota: «Gli esperti dicono che l’originale ebraico trascende qualunque resa in altre lingue. Ma se anche fosse così, i traduttori di Giobbe della Bibbia di re Giacomo hanno raggiunto il massimo, facendoci sentire in modo inconfondibile quanto è snervante essere maltrattati dall’infinito» (65). Una definizione, quest’ultima, che, da sola, vale molti commentari. Il prato de Il libro dei libri è ricco di simili fiori. Le pagine finali affrontano il tema cruciale se la Bibbia sia in se stessa letteratura. Dopo aver preso le distanze dagli estremi opposti del fondamentalismo e di un laicismo propenso a consegnare le pagine bibliche a una congerie arcaica di miti, favole, leggende, codici legislativi ecc. (87-88), Steiner afferma di poter comprendere come Shakespeare, dopo aver scritto Amleto od Otello, si potesse informare al mercato sul prezzo dei cavoli; questo passaggio alla vita quotidiana egli riesce, sia pure con più difficoltà, a concepirlo anche in relazione all’ultimo Schubert o al giovane Einstein; quanto non è invece in grado di compiere è di arrivare a qualsiasi «immagine mentale» per gli autori dei discorsi di Dio contenuti nel libro di Giobbe, o in riferimento a gran parte di Qohelet o a certi Salmi o a larghe sezioni del Secondo Isaia: «L’immagine di un uomo o di una donna che pranza, o cena, dopo aver “inventato” e trascritto que- sti e altri testi biblici, mi lascia per così dire, cieco e disorientato» (91). Forse per loro bisogna ipotizzare livelli diversi di udito e una capacità d’ascolto di cui siamo ormai orfani (qui si percepiscono echi heideggeriani; cf. il suo Heidegger, Garzanti 2002). Ce ne restano tracce attraverso la Scrittura: anche per questo, «più di ogni altro libro, è la Bibbia ebraica che interroga l’uomo» (92). Piero Stefani P. SEQUERI, L’AMORE DELLA RAGIONE. Variazioni sinfoniche su un tema di Benedetto XVI, EDB, Bologna 2012, pp. 146, € 9,00. 9788810208069 L a moderna separazione della ragione e della fede ha largamente colonizzato la rappresentazione filosofica e scientifica del sapere. (…) Il concilio Vaticano I – a fronte di una cospicua ideologizzazione ostile della pratica politica e scientifica della ragione – aveva pur sancito, insieme con la specifica distinzione della fede e della ragione, la ferma esclusione di una reciproca e pregiudiziale estraneità. La fede sconfessava con ciò anche la propria rappresentazione come decisione irrazionale, e resisteva alla requisizione della ragione entro i limiti della pura irreligione. Ma erano – quelli – tempi difficili. E non fu colta adeguatamente, nella sua testuale trasparenza, e spesso dagli stessi credenti, l’audace difesa – in nome della fede religiosa – di un logos condiviso dagli umani e degno di Dio, contro gli opposti estremismi ideologici del fideismo e del razionalismo. Ma tant’è. Quella sconfessione, e la contestuale difesa del logos, va onorata. D’altra parte, l’apologetica cattolica di scuola era stata indotta a creare un ponte fra le due estraneità, creando l’ibrido di una credibilità umana della rivelazione che argomenta – essa stessa – in perfetta estraneità al sapere della fede. L’intento era generoso, ma l’ibrido non poteva reggere. L’estremo tentativo, nonostante la sua buona intenzione, alimentava in effetti l’equivoco della rappresentazione di una fede, in se stessa puramente dogmatica, decisa in base a una specifica filosofia, più che in corrispondenza con la rivelazione stessa. L’intelletto filosofico prendeva il posto della coscienza cre- IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2013 43 43-46_Libri_segnalazioni_R17-20:Layout 2 L 1-02-2013 15:01 Pagina XVIII ibri del mese / segnalazioni dente. E la discussione sui principi della ragione finiva per rinviare indefinitamente il confronto sui temi della fede. L’aggravamento di questo doppio equivoco ha finito per diventare inaccettabile per il cristianesimo. «Ritengo che il razionalismo neoscolastico sia fallito nel suo tentativo di voler ricostruire i praeambula fidei con una ragione del tutto indipendente dalla fede, con una certezza puramente razionale; tutti gli altri tentativi, che procedono su questa medesima strada, otterranno alla fine gli stessi risultati. Su questo punto aveva ragione Karl Barth, nel rifiutare la filosofia come fondazione della fede, indipendentemente da quest’ultima: la nostra fede si fonderebbe allora, in fondo, su mutevoli teorie filosofiche».1 Quando Joseph Ratzinger, con il suo consueto stile di acuminato candore, formula un giudizio come questo, riporta semplicemente la questione al suo presupposto essenziale, che non deve più essere oscurato da anacronistiche dispute di scuola. La restituzione della fede alla più trasparente connessione con il suo principio sarebbe gravemente fraintesa, però, se fosse contraddittoriamente fatta valere come l’impulso a una più radicale separazione dal logos umano condiviso. In primo luogo, la rivelazione specifica con la quale s’identifica, e attinge intelligenza, la fede, si offre nella manifestazione di Gesù, il Figlio. (…) La cristologia – che è di gran lunga la parte più evoluta della teologia contemporanea – appare di nuovo, e con un’evidenza che per lungo tempo si era più che attenuata – come il primum cognitum del cristianesimo: non solo sapere essenziale della fede, ma anche argomento decisivo della sua credibilità. (…) In secondo luogo, la teologia cristiana (…) lavora in favore della condivisione di un logos allargato, più che per l’autoreferenzialità di un logos ancillare. Emblematicamente, il libro di Benedetto XVI su Gesù di Nazaret, e l’appassionata perorazione del suo magistero recente sul contributo che la teologia può e deve dare, in quanto religione del Logos, al «logos più largo» di una ratio hominis digna, pongono un autorevole sigillo sulla via che deve essere intrapresa. La teologia per prima deve onorare il legame positivo e propositivo, libero e creativo, della «Ragione» di Dio con la «ragione» dell’uomo. (…) La depressione del logos umano, a opera di un riduzionismo avaro di senso e privo di visione (…), corrompe i giovani. Li mette in fuga dalla fede e dal pensiero della destinazione dell’uomo. Una ragione che ha radicalizzato il suo ideale di perfetta indifferenza all’ordine degli affetti, abbandona il cielo e si perde il mondo. E si vende i figli per denaro. PerConoscenza: una nuova collana EDB l libro di Pierangelo Sequeri su L’amore della ragione, di cui qui a fianco riproduciamo ampi stralci dell’Introduzione, inaugura per le EDB una nuova collana, intitolata «PerConoscenza»: volumetti di riflessione teologica e filosofica, su temi di frontiera per il cristianesimo del nuovo millennio, in un centinaio di pagine, quelle necessarie per un’argomentazione rigorosa, ma tesa e contenuta. Nell’ideazione dei direttori (lo stesso Sequeri, Kurt Appel, Marcello Neri, Maurizio Rossi), il titolo della nuova collana «evoca un indicatore di messaggio, che allarga ad altri soggetti la comunicazione (…). Il Logos, qui, è quello della fede. Il primo destinatario è il ricercatore appassionato della sua intelligenza, secondo verità e giustizia. Ognuno di questi libri intende ri-affezionarlo e incoraggiarlo alla bellezza e all’onore di tale compito. La collana s’iscrive nell’orizzonte della possibilità della fede di generare intelligenza. Ogni volume è scritto per essere partecipato dai molti che sperano – pur senza identificarsi I 44 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2013 con essa – che la fede sia capace di questo: per amore di una ragione degna dell’uomo. Dissodare il terreno del pensiero, per metterlo alla prova delle sue fioriture e dei suoi raccolti; produrre cibo per la mente, riaprire le generazioni alla grandezza dell’animo, restituisce amore per la vita che non si consuma. Pensare secondo la verità e la giustizia di un Logos che vuole essere ascoltato e non subìto, ci sembra una buona causa; consapevoli di poter soltanto incoraggiare il riaccendersi di questa passione per il pensiero, facendo la nostra parte di “rematori del logos” (cf. Lc 1,2)». Il Comitato scientifico è composto da J. Duque (Università cattolica di Braga); M.P. Gallagher (Pontificia università gregoriana); S. Givone (Università di Firenze); J. Kloc-Konkolowicz (Università di Varsavia); G. Larcher (Università di Graz); K. Müller (Università di Münster); P. Prodi (Università di Bologna); C. Theobald (Centre Sèvres di Parigi). D. S. D’altro canto, la rassegnazione fideistica a un logos umano incapace di verità e indifferente alla giustizia espone irrimediabilmente la fede medesima a concepirsi come prevaricazione dogmatica, e non come illuminazione persuasiva; assoggettamento forzato, non come libera obbedienza. Ciò genera fatalmente la deriva di un fondamentalismo dispotico e settario (…). In questa fase, mi sembra in ogni caso piuttosto evidente che il magistero cattolico (…) ha fatto dei passi che attendono ancora l’autocritica, e l’apertura di credito corrispondente, nei confronti della religione. L’apologia della ragione – della ratio hominis digna, della sua affezione per la libertà e della sua passione per la verità – è un tratto in bella evidenza, fra i marcatori istituzionali della teologia professionale, non senza l’impulso determinante del magistero cattolico più alto. Il concilio Vaticano II ha fermamente sollecitato la cultura cristiana a superare le storiche ragioni di risentimento nei confronti di una secolarizzazione aggressiva, invitando a non costruire su di esso il proprio rapporto con la cultura filosofica e scientifica, artistica e civile. La ratio hominis digna, che riflette pur sempre la qualità creaturale migliore dell’uomo, nella quale il cristianesimo crede fermamente, continua in ogni epoca a trovare i suoi spazi d’affermazione e i suoi slanci degni di ammirazione da parte del credente. Fosse pure nell’orizzonte di una coscienza e di una cultura che non trovano motivi sufficienti per riconoscere la verità di Dio confessata dalla fede. Si può discutere sui luoghi di questa evidenza, e anche sul peso delle contraddizioni che essa patisce nei diversi ambiti della cultura e delle sue tendenze dominanti. Ma la sua illustrazione rimane un compito possibile e necessario. (…) Abbiamo ora la metodica insistenza di Benedetto XVI sull’approfondimento di un intrinseco nesso fra il Logos rivelato e il logos creato, che si accompagna all’incoraggiamento per l’allargamento del logos del mondo e per la sua riapertura al Logos cristologico. Il Logos incarnato, che già lo abita generosamente, peraltro, da prima della creazione del mondo fino all’irrevocabile legame con la condizione umana. Questo stesso magistero papale ha aperto di slancio una seconda connessione vitale, per questa sfida dell’epoca, cioè quella fra Logos e Agape: «Dio è in assoluto la sorgente originaria di ogni essere, ma questo principio creativo di tutte le cose – il Logos, la ragione primordiale – è al contempo un amante con tutta la passione di un vero amore».2 Questo è il tema. Da qui prende ispirazione la mia ricerca di questi anni. La ragione che più diffusamente tratta della sfera umana dell’affezione, enfatizzando la sovranità di XVIII 43-46_Libri_segnalazioni_R17-20:Layout 2 eros, è spesso proprio quella che rimane più vicina al modello di un logos anaffettivo: ossia di una scienza dell’empirico calcolabile, che revoca in dubbio l’affidabilità dell’ethos umano dell’esperienza, orientata dal nomos della giustizia che vuol essere trovata. L’indistinto di una fede sentimentale nell’amore che si contenta di non pensare niente (se non se stessa) è incoraggiato mediante il puntiglio di una ragione anaffettiva che si vanta di non credere più a nulla (se non a se stessa). La riapertura della fede al tema dell’amore della ragione – non solo tolleranza, non solo apologetica, dunque – mi sembra in ogni caso un’opportunità per la quale accendere qualche entusiasmo nella generazione che viene. In questa cornice, il pensiero della ragione dell’amore deve uscire dall’ossimoro che tiene in vita la scissione, e impone la sua risoluzione nell’alternativa. Di mio, aggiungo che questa contraddizione della cultura dominante (…) offre un’opportunità straordinaria di riabilitazione della domanda ontologico-metafisica radicale. Perché è proprio sui temi che implicano il peso sostanziale e lo spessore relazionale delle logiche dell’affezione per la giustizia del senso che la tradizione classica di quell’istanza ci ha abbandonato e la sua tradizione moderna ci ha scavalcato. (…) Di questo difetto di realismo del logos dell’amore è venuto il momento opportuno (il kairos), che deve essere colto. La teologia, per prima, deve farsene carico. (…) Nel lessico della nostra tradizione metafisica – della sostanza o del soggetto – ha sino a ora dominato l’alternativa: o il logos o l’affezione. O si deve professare il realismo dell’affezione, e allora essa va ridotta all’aura psicologica e libidica di più fondamentali operazioni della sostanza e della relazione, o si deve valorizzare l’irriducibile singolarità del logos dell’affezione, e allora l’affezione deve in realtà sciogliersi dall’intelletto e dalla volontà, per librarsi nelle oscure regioni del sentimento irrazionale e della pulsione primordiale. La ripresa della confessione cristologica come svelamento dell’intima giustizia della potenza affettiva in cui il Logos è generato e respira, è destinata a diventare l’esperienza più bella dell’odierna vitalità del sensus fidei in quest’epoca difficile. Si tratta di un kairos per la confessione dell’identica fede custodita fin dall’inizio, non di una sconfessione della sua tradizione (…). Pierangelo Sequeri 1 J. RATZINGER, La fede e la teologia ai giorni nostri, in L’Osservatore romano 27.10.1996. 2 BENEDETTO XVI, lett. enc. Deus caritas est sull’amore cristiano, 25.12.2005, n. 10; EV 23/1558. XIX 1-02-2013 15:01 Pagina XIX R. MAZZOLA (A CURA DI), DIRITTO E RELIGIONE IN EUROPA. Rapporto sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di libertà religiosa, Il Mulino, Bologna 2012, pp. 364, €28,00. 9788815234001 S. DOMANIELLO (A CURA DI), DIRITTO E RELIGIONE IN ITALIA. Rapporto nazionale sulla salvaguardia della libertà religiosa in regime di pluralismo confessionale e culturale, Il Mulino, Bologna 2012, pp. 264, € 22,00. 9788815233998 A. FERRARI (A CURA DI), DIRITTO E RELIGIONE NELL’ISLAM MEDITERRANEO. Rapporti nazionali sulla salvaguardia della libertà religiosa: un paradigma alternativo? Il Mulino, Bologna 2012, pp. 350, € 27,00. 9788815234018 T ra le possibili prospettive da cui osservare il percorso realizzato dall’Europa negli ultimi 50 anni verso l’unificazione, percorso non ancora compiuto e anzi in qualche modo bloccatosi nell’ultimo decennio,1 quella dell’evoluzione del diritto alla libertà religiosa è particolarmente ricca di rivelazioni piuttosto sorprendenti. Ed è anche poco di moda, probabilmente per un insieme di cause che vanno dalla maggior concentrazione sulle più visibili conseguenze economiche dell’integrazione incompiuta, allo scarso appeal della questione dei diritti religiosi delle minoranze, all’effettiva complessità di un tema che per essere analizzato a dovere richiede una competenza tecnico-giuridica elevata. I tre volumi pubblicati dal Mulino nel 2012 – come esito di una ricerca triennale finanziata nel 2007 dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca –2 offrono, presi insieme, un quadro delle complesse interazioni tra diritto e religione in una fase di passaggio di sovranità dagli stati nazionali all’Unione Europea e di sempre maggiore pluralismo nel panorama religioso. La ricerca nazionale ha avuto come obiettivo comune quello di ricostruire le effettive condizioni di esercizio della libertà religiosa e di coscienza nell’area euromediterranea. Essa è stata originata da due costatazioni: in primo luogo che le migrazioni da Sud a Nord hanno irreversibilmente trasformato il nostro continente, e in secondo luogo che «il diritto di libertà religiosa torna a rappresentare la cartina tornasole per eccellenza della “rivoluzione” dell’intero patrimonio fondativo delle demo- crazie costituzionali “kelseniane” del secondo dopoguerra».3 Una delle caratteristiche che rende originale ed efficace l’approccio – e che è omogenea fra i tre Rapporti in quanto deriva direttamente dall’impostazione metodologica su cui sono state condotte le ricerche – è quella di non partire dal diritto «teorico», cioè dalle affermazioni «di progetto» contenute nelle fonti del diritto, ma dal diritto «vivente», cioè dalle concrete applicazioni che la giurisprudenza ha attuato nel tempo, così da cogliere effettivamente lo stato delle cose «in bilancio» (come in effetti un Rapporto richiede). Nel caso del rapporto su Diritto e religione in Italia questo ha significato porre l’attenzione su molti ambiti, nei quali entra in gioco in qualche modo la libertà religiosa: l’attuazione della Costituzione; l’attuazione del federalismo; il settore del privato sociale e quello scolastico; il finanziamento pubblico delle confessioni; l’ambito dei media; i processi di giuridificazione delle questioni bioetiche; l’ambito matrimoniale; l’insegnamento della religione nella scuola pubblica; il riconoscimento dei titoli di studio rilasciati da istituti religiosi di alta cultura, il diritto alla disponibilità degli edifici di culto; l’osservanza dei precetti religiosi in ambito lavorativo; le pratiche religiose negli ospedali, nelle carceri, nell’esercito (le cosiddette «comunità segreganti»); il diritto a esporre simboli religiosi nello spazio pubblico; e infine l’abbigliamento indossato in conformità a precetti religiosi nei luoghi pubblici. Come si vede, quasi non vi è ambito della vita sociale che non sia toccato in qualche modo IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2013 45