Pag. 1 CHRISTIAN SALERNO CONSERVATORIO LOVE NON SOLO MUSICA Pag. 2 Parte VII Conservatorio Love (Parte VII) Pag. 3 Christian Salerno Impaginazione di Christian Salerno Copertina: Christian Salerno Fotomanipolazione: Christian Salerno Prima edizione Agosto 2013 Sito web: ChristianSalerno.com La presente opera è rilasciata secondo la licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia License http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/ Vuoi ricevere per e-mail anche gli altri fascicoli? Lascia la tua e-mail qui: http://www.christiansalernolive.it/Newsletter.html Seguimi su: Facebook.com/Christian Salerno Youtube.com/Christian Salerno Il Racconto è verosimile. 6. Scusa Pag. 4 […] Cercando di non far rumore, monto il pianoforte digitale, mi metto le cuffie e ripasso le scale di doppie note, una vera tragedia per noi pianisti. La notte passa velocemente, e arriva finalmente l’ultimo giorno prima dell’esame. Ore 7.00, vengo svegliato dal canticchiare dei galli. Ho la sensazione di non aver dormito per nulla. Non riesco ad alzarmi dal letto, ma so che oggi mi aspetta un gran giorno e devo prepararmi sia fisicamente che psicologicamente. Ogni qualvolta che ho un esame o un concerto, ho una mia routine di rituale che rispetto sempre. Corsetta di 30 minuti nei boschi del mio paese, doccia rinfrescante, e assunzione di una bevanda energizzante. Così nel freddo del mattino mi metto la tuta, indosso le scarpe da ginnastica facendole obbligatoriamente un doppio nodo, scendo le scale di casa ed inizio la mia corsettina. La velocità è all’incirca quella del passo d’uomo. Faccio più scena che altro. È solo che correre mi dà la giusta carica, in più risolvo un problema che è per me una vera croce: le mani fredde. Quando corro, il sangue pompa, e così facendo si ricorda anche di arrivarmi alle mani che le ho perennemente ad una temperatura bassissima. Ad ogni espirazione, vedo il fumo che mi esce dalla bocca, quel fumo che mi ricorda ancora una volta quanto faccia freddo fuori. Spero che il sole inizi a riscaldare tutt’intorno il prima possibile, perché questa è davvero una mattina rigida. Mentre continuo imperterrito la mia corsetta, sfilo dalla tasca del pantalone il mio iPod che contiene musica di ogni tipo. Non c’è un genere Pag. 5 musicale che preferisco più di un altro, e non ho dei pregiudizi su questi. Amo la musica, che sia classica o rock, l’importante è che sia buona musica. Questa, infatti, è la mattina dei Queen. “Chi meglio di Freddie può darmi la giusta carica per affrontare l’esame?” Così mi suona la sveglia sul cellulare che mi avvisa che i miei 30 minuti di corsa sono finiti. Torno in casa, mi faccio una doccia godendomi attimo per attimo l’acqua bollente, e a malincuore chiudo l’acqua. Mi asciugo i capelli, mentre c’è mia madre che gironzola per la cucina. «Non vuoi proprio nulla per colazione?» mi dice. «Ma, lo sai che non faccio mai colazione la mattina.» Rispondo. «E vai all’esame a stomaco vuoto?» «Sì davvero, e poi non muoio mica se non mangio per 2 o 3 ore, vai tranquilla.» Così rassegnata si allontana dalla cucina. Mia madre è proprio una bravissima donna. Ce ne fossero più donne come lei al mondo, sarebbe un mondo migliore. È gentile e premurosa, le vogliono bene tutti e si fa amare in qualsiasi posto lei vada, che sia il parrucchiere o il lavoro. Io le voglio un gran bene, sapendo benissimo che anche quando avrò 40 anni, sarò sempre il suo bambino. Apro il frigorifero e tiro fuori MindMaster, la bevanda che mi aiuta ad avere maggiori prestazioni, sia fisiche che mentali. È ormai da più di 1 anno che assumo questa bevanda prima dei concerti e ogni volta mi sento carico e sicuro di me. Preparo la mia dose e poi sono pronto per iniziare a vestirmi per uscire. So che alcuni miei compagni vanno agli esami in jeans e t-shirt, ma essendo un’esecuzione su di un gran coda, in auditorium, davanti a 4 professori di pianoforte che hanno un gran nome, mi sento di dare Pag. 6 rispetto e importanza a quel momento, così mi vesto con pantaloni neri, camicia bianca e scarpe nere laccate. Nonostante conosco gli spartiti a memoria, me li porto dietro con me, casomai dovessi avere qualche vuoto di memoria. Così metto la mia 24 ore contenente gli spartiti in auto, e mi accingo ad andare in conservatorio, direzione Milano. 50 Minuti dopo sono in Conservatorio. Trovo Jung con Miriam, che ormai credo sia diventata la sua ragazza o accompagnatrice ufficiale, che attendono anche loro di fare l’esame. «Sei teso?» Chiedo a Jung mettendogli la mano sulla spalla. «Ciao Fratello! Anche tu qui per esami? Eh dai, un pochetto.» «Eh sì. Ora ho pianoforte e oggi pomeriggio ho l’esame di musica da camera.» E aggiungo: «Furbi vero, a mettermi due esami pratici lo stesso giorno?» «In effetti…» mormora Jung. “Driiin, Driiiin”, mi squilla il cellulare, chi è? Lo sfilo dalla tasca e leggo sullo schermo “Natalie”. «Pronto!!» Con tono entusiasmante. «Hey!! Allora oggi grande giorno eh? Vai tranquillo e fagli vedere chi sei.» «Eheh, va bene, lo farò. Ma tu non riesci proprio a fare un salto qui?» «Eh no purtroppo, domani ho un esame grosso anche io e oggi è il mio ripassone finale, mi spiace…» «Ma figurati, non ti preoccupare. Allora mettiti sotto da…subito!» «Hihi, ok e mi raccomando, fai il bravo!» mi dice con tono provocatorio. Pag. 7 «Sempre bravo io.» Rispondo facendo l’angioletto ma con un filo di ironia. «In bocca al lupo!» «Crepi!» Ok, ora posso spegnere il cellulare. Non vorrei mai che mi vibrasse in tasca durante l’esecuzione di Chopin! Vedo uscire dall’auditorium il M.Santi, che mi dice: «Sei pronto? Oggi si fa sul serio.» «Prontissimo, Maestro.» Entro in auditorium col cuore in gola. Stringo la mano a tutti i professori che guarda caso sono proprio gli stessi che ho sognato: Santi, il M.Messina di accordatura con una folta barba, De Colmi che arrivò in semifinale al Concorso Chopin nel 90, e Tortoni, il nuovo arrivato. Presento a loro il programma che era formato da: Sonata di Beethoven n.1 in Fa minore (Op.2 no.1) Concerto di Beethoven n.4 in Sol maggiore Rhapsody in Blue di Gershwin (trascritta per Piano solo) Studio Op.10 n.1 di Chopin Lo firmano tutti e 4, e poi mi chiedono: «Da dove vuoi cominciare?» così rispondo: «dalla Sonata di Beethoven.» Mi fanno cenno di andarmi a sedere al pianoforte. Per suonare ho la possibilità di scegliere fra 3 pianoforti: Steinway & Sons 274, Bosendorfer mezza coda, e Fazioli 278. Pag. 8 Essendo un amante sfegatato del Fazioli, decido di scegliere lui. Così lo sposto al centro dell’auditorium con l’aiuto di qualche mio amico che è venuto a sentirmi. Blocco le ruote onde evitare che si spostasse durante l’esecuzione, alzo lo sgabello alla mia altezza, mi sistemo la camicia e utilizzo qualsiasi escamotage per cercare di tenere a freno il mio cuore che batte alla velocità della luce. Aspetto ancora, sperando che i professori non si innervosiscano per tutta quest’attesa e poi attacco: “Do Fa Lab Do Fa Lab” Con l’arpeggio iniziale del primo tempo della sonata. Sono molto sicuro sul primo tempo, lo conosco davvero come le mie tasche, in più Beethoven lo sento molto mio, nonostante non siamo molto simili. Lui è rinomato per il suo tocco rude e burbero, io invece che fatico ad esprimere un “forte”. Ma non ci posso fare nulla, quando vieni rapito da un autore, c’è poco da fare. Il primo tempo della sonata scorre a meraviglia, e finisce con qualche piccola sbavatura passabile. Ora è il tempo di attaccare il secondo movimento, un magnifico e tenerissimo adagio. “Do…Do La” In tonalità di Fa maggiore. Mi lascio avvolgere dal calore di quelle note, nonostante nell’auditorium facesse freddissimo e le mie mani erano più fredde che mai. Chiudo gli occhi e suono. Rimango anche meravigliato da me stesso. Solitamente quando suono in pubblico non riesco a lasciarmi andare così tanto, a tal punto di chiudere gli occhi, mentre su questo secondo movimento è stato più forte di me. Anche questo fila liscio. Ora è il tempo del minuetto, ovvero il 3° tempo. È un tempo piuttosto semplice da suonare, se non fosse per un passaggio difficilissimo di quarte legato con la mano destra. Attacco questo tempo pensando solo di non sbagliare quel passaggio. Pag. 9 Suonando, suonando… arriva il fatidico passaggio. I battiti del mio cuore impazziscono. So di aver ripetuto quel passaggio a casa almeno 2000 volte. Riuscirò ora? Sul momento culminante del passaggio mi inscespico. Utilizzo un’altra diteggiatura che non ho mai utilizzato. Forse l’intuito o la paura di sbagliare ha cercato di farmi utilizzare un’altra diteggiatura ma è difficile se non impossibile che un passaggio vada bene cambiando la diteggiatura all’istante. Così fra le tante note sbagliate di quel passaggio mi viene in mente Freddie, e il suo “Show must go on” e così senza fermarmi vado avanti e arrivo salvo, non sano, alla fine di questo terzo tempo. Sto per attaccare l’ultimo tempo, “prestissimo”. Tutto ciò che mi preoccupa di questo pezzo è il primo arpeggio della mano sinistra. L’ho segnato in tutti i modi possibili e immaginabili, studiato con tutte le varianti di questo mondo, seguito i consigli dei migliori maestri ma quell’arpeggio rimane per me sempre un terno al lotto. Decido di prenderlo più lento del solito perché è risaputo che durante l’esecuzione, avendo il cuore che batte più veloce del solito, abbiamo una visione distorta del tempo e della velocità, e quasi sempre si va più veloci di quanto in realtà non si immagini. Pag. 10 Sembra procedere tutto liscio, arriva la sezione modulante, poi la parte lenta, poi di nuovo il prestissimo e termina la sonata con un grande arpeggio discendente molto difficile. Mi fermo, guardo i professori che mi fanno cenno con lo sguardo di proseguire. Così, decido di passare allo studio di Chopin, ora che sono abbastanza caldo. Prendo la misura dell’arpeggio con la mano destra senza suonare e poi parto. Basso potentissimo di Do + Do con la sinistra seguito dall’arpeggio prima ascendete e poi discendente della destra di Do maggiore. Lo studio procede fluido. L’attacco di questo studio è piuttosto comodo, ma è nelle pagine più avanti che arrivano i dolori. Fortunatamente sono riuscito a trovare alcune diteggiature particolari che si addicono molto alla mia mano e riescono a farmi superare alcune difficoltà. Arrivo all’ultima pagina, quella forse più complicata. Rallento nei punti più difficili tecnicamente, e poi riprendo la piena velocità quando gli arpeggi diventano più semplici. Non è un’idea mia questa, ho visto che molti lo fanno, anche se il mio Maestro non è per niente d’accordo su questo. In qualche modo arrivo alla fine anche di questo difficilissimo studio che è reputato uno dei più complicati dell’Op.10, nonostante cammini solamente la mano destra. Termina lo studio, e se penso che il bello deve ancora venire, mi viene da mettere le mani fra i capelli. Manca l’intero concerto di Beethoven, il n.4 il mio preferito e la Rapsodia di Gershwin. Dato che il concerto di Beethoven è un concerto per Pianoforte e Orchestra, e l’orchestra non si è mai vista in un esame (perché ovviamente non ci sono i fondi per pagarne una), la parte orchestrale viene eseguita da un secondo pianoforte, che per legge non può essere il tuo insegnante se questo è in sede di commissione. Così mi sono fatto Pag. 11 accompagnare dal mio Ex insegnante di pianoforte privato, un grandissimo pianista e direttore d’orchestra: De Falco. Così attacco da solo quegli accordi ribattuti di Sol e poco dopo attacca anche De Falco imitando l’orchestra. Fra di noi c’è sempre stato un gran connubio, e ci lasciamo trasportare dalla musica e dall’entusiasmo di suonare assieme una cosa così meravigliosa. Gli occhi di De Falco brillano. Mi ricordo che quando entrai con lui suonai il Cesi-Marciano, “Album per la gioventù”, ed ora mi ritrovo a suonare uno dei concerti per pianoforte più belli di sempre. Immagino che deve essere motivo di soddisfazione per lui e… lo è anche per me! Arriva poi anche il secondo tempo che ha in sé una carica drammatica enorme. Penso che sia una delle pagine più commoventi di sempre. Chissà a cosa pensava il povero Beethoven quando le ha scritte. Così ci guardiamo negli occhi, ed entriamo assieme in un altro mondo. Non siamo più in quello reale, ma in quello di Beethoven. “Mi. Sol Fa# Sol Mi Si Re Do Si Do Do Do…” L’atmosfera si fa cupa e irreale e sembra che le luci si siano oscurate. Non sembra più di stare in un auditorium con le luci puntate su di te, ma sembra di stare in un bosco sperduto, dove ti senti perso e senza possibilità di poter ritornare indietro. Suonare significa immaginare, questo è sempre stato l’insegnamento che mi ha dato sin da subito De Falco. Immagino di essere all’interno di un bosco, di sera, con una fitta nebbia, e un carro trainato da un cavallo la oltrepassa, e su quel carro c’è Beethoven. Lui che ama i boschi, è lui che sta dirigendosi in tutta riservatezza dalla sua amata immortale. Riesco a sentire il pathos di tutto quel momento, di quello che prova Beethoven su quella carrozza così scomoda. Di quello che ha pagato per il viaggio e di quanto sia stato lungo. Pag. 12 Inizia anche leggermente a piovere e lo sterrato del bosco pian piano diventa fango. Torno per un attimo alla realtà e siamo al momento in cui l’orchestra (il secondo pianoforte) e il pianoforte si danno dei “botta e risposta”, sempre più veloci, sempre più intensi finché non si libera il romantico canto del pianoforte con la mano destra, che va poi ad espandersi in un lunghissimo trillo che porta alla conclusione. Attacca subito il rondò che con estrema vivacità viene portato a termine sorprendentemente bene, nonostante tutti i virtuosismi che il pianista deve supportare. Ora sono tranquillissimo, arriva la parte più divertente dell’intero programma: Gershwin. Ringrazio De Falco che torna fra i posti a sedere, e sono pronto per attaccare la rapsodia quando Santi mi blocca e mi dice: «Fermo Christian, va bene così.» Lo guardo sorpreso, e non capisco perché mi abbiano fermato. Forse devono esaminare tanti allievi oggi e devono fare in fretta. Pag. 13 Esco così dall’auditorium, ritirandomi in sala d’attesa assieme a tutte le persone che guardavano l’esame, in attesa del giudizio. «È andata bene dai!» Mi dice Yang mettendomi la mano sulla spalla. «We! Che ci fai qui, fratello? Non avevi un esame anche tu?!» rispondo sorpreso. «No no, l’esame ce l’ho il pomeriggio. Non potevo mancare! Grande Performance oggi. » «Insomma, si poteva fare di meglio.» Stringendomi nelle spalle Esco fuori dalla sala d’attesa per prendere una boccata d’aria. Quelli sono i minuti più terrificanti di sempre. In quei minuti saprai l’esito del tuo intero anno di studio sul pianoforte. Il cuore mi batte forte mentre sento gli altri ridere e scherzare in sala d’attesa mentre io vorrei morire. Passano cinque minuti, poi dieci… “quanto ci mettono? Staranno discutendo per un voto preciso? Quindi vuol dire che non sono tutti d’accordo!” Ho l’ansia, nonostante sento di avermi giocato bene le carte. Insomma, ho fatto quello che ero in grado di fare, niente di più e niente di meno, e poi quel fantastico pianoforte mi ha reso la vita più semplice in diverse situazioni, e parte del voto sicuramente lo devo a lui. «Kri, ti chiamano.» Mi dice Jang spalancando la porta della sala d’attesa. Così entro dentro la sala d’attesa e poi in auditorium. Entro sorridendo, ma non è un sorriso di gioia, ma uno di nervosismo. Insomma, il classico sorriso di circostanza. Mi fanno accomodare davanti alla loro cattedra, e ognuno mi dice la sua. Parte il M.Messina che mi dice: Pag. 14 «Avevamo un quadro di te non molto fiorente. All’esame dell’anno scorso ricordo che prendesti 25 se non mi sbaglio. A distanza di un anno hai fatto notevoli progressi e questi li abbiamo notati. Complimenti.» Ora è il turno di De Colmi: «Sai bene quanto adoro Chopin. Nel ‘90 sono arrivato in semifinale al famoso concorso di Varsavia.» “Sì sì lo so, lo ripeti sempre”. «Fra tutti gli studi sei andato a sceglierti proprio uno dei più difficili, o te lo ha assegnato il tuo maestro?» «No no, l’ho scelto io perché ce l’ho particolarmente a cuore.» «Ok, ricorda però che certe scelte si pagano.» “Come? Che cosa vuole dire? Che ho scelto lo studio sbagliato? Che l’ho suonato male? Aiuto!!” Parla poi Tortoni: «Personalmente credo che quella Sonata di Beethoven sia stata fatta in modo eccelso. Un po’ troppo veloce l’ultimo tempo ma… è piaciuta. Almeno, a me è piaciuta.» Poi aggiunge: «Ah, guarda che nel primo tempo, nella sezione dello sviluppo, c’è qualche nota fuori posto. Ricontrolla quando vai a casa.» «Certo, grazie mille.» E infine è il turno di Santi, che aggiunge: «Beh, mi sembra che i giudizi li hai sentiti, le carte te le sei giocate piuttosto bene. La commissione propone un 30. Lo accetti?» “Cosa? 30??? E me lo chiedi anche se lo accetto???” «Sì, grazie mille.» Rispondo. «Questo voto non è un traguardo, ma un voto che ti deve spronare a fare sempre meglio, ok?» Mi dice Santi. Pag. 15 «Assolutamente sì Maestro, l’anno prossimo mi impegnerò ancora di più.» «Bravo.» Sorridendomi. Poi torna subito serio e mi dice «prendi il libretto che ti firmo il voto.» Con camminata nervosa prendo il libretto, glielo faccio firmare e poi mi dice: «puoi andare.» Poso il libretto nella mia 24 ore, e con una camminata piuttosto veloce vado in sala d’attesa dove ci sono i miei amici che aspettano di sapere il risultato dell’esame. Non appena apro la porta mi metto a gridare. «Trentaaaaaaaaaa!!» E tutti mi rispondono a turno. «Maddai? Bravissimo!» «Grande!» «Non avevo dubbi.» «Strano che non ti abbiano fatto pesare il vuoto di memoria. Meglio così.» “Perché gli amici sono sempre così buoni e non riescono ad essere obiettivi? Ora voglio solamente uscire da qui e non saperne più nulla di questo programma di pianoforte per almeno 6 anni!”. Accendo il cellulare che avevo spento, per chiamare a casa e Natalie, per comunicare l’esito dell’esame. Appena acceso il cellulare trovo due messaggi: Pag. 16 Da: +39 33375***** Ora: 11:34 VODAFONE, servizio gratuito RECALL. Ho chiamato alle 11:34, Papà. E uno da: Da: 348717***** Ora: 10:50 VODAFONE, servizio gratuito RECALL. Ho chiamato alle 10:50, Ela Amari. Perché ogni volta che vedo una chiamata da Ela mi sale il panico? Che cosa avrà combinato questa volta? Chiamo prima a casa. «Pronto?» Risponde mia mamma. «Finito!!» «Quanto hai preso?» «30, non so neanche io come ho fatto.» «Bravissimo! Quindi ora torni a casa?» Pag. 17 «No ma, credo che starò un po’ in giro con gli amici a festeggiare, poi oggi ho quello di musica da camera.» «Ok, aspetta che ti passo tuo padre che ti vuole parlare.» «Ok.» «We, complimenti Maestro.» «Eheh ma che Maestro, è andata bene dai!» «Non avevo dubbi. Poi ci racconti meglio quando vieni a casa. Ah, oggi ha citofonato a casa una ragazza. Ha detto che voleva parlare con te ma gli ho detto che eri all’esame e che ti avrebbe trovato verso sera perché anche oggi pomeriggio hai un esame.» «Ah, e ti ha detto come si chiamava?» «Aveva un nome strano, Olga mi pare.» «Mmh… vabbè, se ha bisogno mi ricercherà.» Attacco la chiamata e penso che quella “Olga” in realtà sia Ela. “Che abbia camuffato il suo nome? Oppure può essere che mio padre abbia capito male.” “Se è lei, è già la seconda volta che viene a casa mia senza invito. La posso denunciare per Stalking.” «Dai Kri, andiamo o no al ristorante?» domanda Jang. «Dammi due minuti che ti raggiungo.» Rispondo. Decido di chiamare Ela, e dopo neanche due squilli di cellulare… «Hey!» «Perché questa mattina sei venuta a casa mia?» «Io? Guarda che ti sbagli.» Pag. 18 «Su Ela lo sappiamo tutti e due. Che cosa volevi dirmi?» «Non so cosa voleva dirti Olga, quella ragazza di stamattina, ma ora che ci penso io devo dirti una cosa. Credo che l’esame di oggi pomeriggio non ti andrà benissimo. So che avrai in commissione Cimarosa, e fra di voi non corrono buone acque, giusto? Secondo te, come la prenderebbe se scoprisse che gli hai bucato le ruote dell’auto?» «Che cosa dici??» «Se fossi in te mi preoccuperei…» «Pazza maniaca, che cosa hai fatto?!» «Solo quello che dovevo fare.» poi aggiunge «Ah, buon esame per oggi.» […] *** Per ricevere i capitoli seguenti allora lasciami la tua e-mail a questo indirizzo: http://www.christiansalernolive.it/Newsletter.html Pag. 19