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art.1, comma 1, DCB Bologna
attualità
1-8 aprile 2012
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I cattolici francesi
a un mese dal voto
13-14
L’atteggiamento dialogico a
tutto campo, soprattutto alla
base, è la cifra di un contributo
originale alle «presidenziali» di
questa primavera. Come
leggere e interpretare il
documento della Conferenza
episcopale francese.
attualità pastorale
Tracce
della risurrezione
La Pasqua è possibile leggerla nella “natura”, nell’arte e, soprattutto, nell’uomo salvato, amato, redento, perdonato, accolto, portato a pienezza di vita… Ma è nella liturgia della Chiesa che natura,
arte e uomo riconciliato e vivente in Cristo possono intrecciarsi in una grande “danza pasquale”.
Bisogna evitare, certo, di cadere nella tentazione “gnostica” di pensare la risurrezione
già pienamente avvenuta, riducendo così a
nulla la speranza escatologica e magari facendo, di questa pretesa “escatologia realizzata”, il pretesto per sottrarsi all’esigenza impegnativa e storicamente situata del vangelo.
Con questo, però, la risurrezione non coincide solo con ciò che attendiamo al di là della
nostra morte e della fine della storia. In Gesù,
il Crocifisso-Risorto, la risurrezione è già entrata nel nostro mondo, e nel suo Spirito già
vi imprime la sua forza. Si tratterà di individuare, allora, le linee di una “spiritualità
della risurrezione” o di cercare i vestigia resurrectionis, le “tracce” di una presenza del
Risorto anche nella vita quotidiana del nostro mondo, di ciascun credente e delle nostre comunità.
Nella primavera
Un primo spunto è suggerito dalla concomitanza della festa pasquale con la primavera. Anche nel nostro mondo così fortemente tecnologizzato è ancora possibile lasciarsi afferrare dal fascino della “natura”.
Fin dalle origini bibliche, e anzi prima ancora, la festa pasquale è legata alla primavera, e la tradizione cristiana non ha mancato di vedere, nel “risveglio” della natura
dopo il sonno invernale, un segno – un vestigium, appunto – del “risveglio” di Cristo
dal sonno della morte. Le assonanze linguistiche, del resto, sono rivelatrici, e nella prospettiva del linguaggio biblico non sarebbe
sbagliato vedere in ogni risveglio, in ogni “alzarsi” (l’atto “banale”, e spesso faticoso, che
compiamo ogni mattina), una prima traccia
della risurrezione.
I ritmi quotidiani, e i ritmi della natura –
almeno per chi vive in una parte del mondo
dove i cambiamenti stagionali hanno ancora
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Salviamo gli atei
Il 24 marzo circa 20.000 umanisti-atei si
sono radunati nella spianata del National
Mall di Washington per chiedere la difesa
dei loro diritti e la loro piena cittadinanza
americana. Una ventina di associazioni
hanno convogliato nella capitale la protesta
contro le forme radicali della religiosità politica americana. Trasferire il contesto americano al nostro è assai poco produttivo. Con
la crisi delle ideologie, tuttavia, anche gli
atei “nostrani” hanno improvvisamente
perso quel ruolo di avanguardie della coscienza storica che era stato loro indebitamente riconosciuto. Ma il credente sa di
avere bisogno dell’inquieta ricerca dell’ateo
e riconosce in se stesso alcune delle sue domande. Il vero pericolo in Europa non viene
da loro, ma da quella deriva agnostica che è
interessata alla religione e indifferente alla
fede, che per essere laica è “ovviamente non
religiosa”, che si astiene dall’impegno critico e teorico sui problemi dei fondamenti. E
che devasta il costume, l’ethos e la coscienza
pubblici senza esserne consapevole.
attualità
Il papa in Messico e a Cuba p. 3
profili
Shenuda, il papa copto p. 5
società
33o Rapporto Unicef p. 7
etica
Sentenza coppie gay p. 11
settimana 1-8 aprile 2012 | n° 13-14
L
a Pasqua è meno esposta, rispetto ad
altri grandi eventi del mistero cristiano – si pensi in particolare al Natale – a essere confusa con abitudini,
pratiche e convinzioni che poco o nulla
hanno a che fare con ciò che la fede riconosce e che la liturgia celebra. Ciò nonostante,
non è mai inutile riportare l’attenzione al
centro del mistero celebrato, la risurrezione
di Gesù, il Crocifisso, passato da questo
mondo al Padre (cf. Gv 13,1ss) e ora vivente
per sempre, sorgente dell’effusione dello Spirito sull’umanità redenta.
La fede nella risurrezione, in particolare,
ha bisogno di essere continuamente rinnovata e approfondita, perché in essa ne va di
qualcosa di assolutamente decisivo: «Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede… se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi
siete ancora nei vostri peccati… Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per
questa vita, siamo da commiserare più di
tutti gli uomini» (cf. 1Cor 15,14-19).
La fede, d’altra parte, ha bisogno di manifestarsi e di realizzarsi nell’ambito della
vita dei credenti e delle comunità. Si può e
anzi si deve credere al Cristo risorto, conformandosi – o piuttosto lasciandosi conformare dallo Spirito – finché siamo in questa
vita, alla morte di Cristo, «nella speranza di
giungere alla risurrezione dai morti» (cf. Fil
3,10); ma ci si può anche interrogare su che
cosa potrebbe significare un’«esistenza da risorti». Se, scrivendo ai Romani, Paolo vede il
battezzato «inserito nella morte di Cristo»,
nell’attesa di essere unito a lui anche nella
futura risurrezione (cf. Rm 6,5), nella lettera
ai Colossesi sembra invece anticipare il futuro già nel presente: «con lui sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante
la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti» (Col 2,12).
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> segue da pag. 1
una certa visibilità – possono costituire una sollecitazione a guardare a Colui che sempre da capo è
capace di respingere la tenebra e
di creare vita dove gravano segni
di morte, come ha fatto in modo
definitivo, risuscitando il suo Figlio Gesù.
In una pagina particolarmente
toccante del suo libretto Oscar e
la dama in rosa, E.-E. Schmitt racconta il momento culminante
della “scoperta” di Dio da parte
del protagonista – Oscar, appunto, un ragazzino destinato a
morire di leucemia di lì a poche
ore –, proprio nel momento dell’alba (immaginata, qui, in pieno
inverno, negli ultimi giorni dell’anno): «Quando mi sono svegliato… ho girato la testa verso la
finestra per guardare la neve. E allora ho indovinato che venivi. Era
mattino. Ero solo sulla terra. Era
talmente presto che gli uccelli
dormivano ancora… e tu cercavi
di fabbricare l’alba. Facevi fatica,
ma insistevi. Il cielo impallidiva.
Tingevi l’aria di bianco, di grigio,
di azzurro, respingevi la notte, risvegliavi il mondo. Non ti fermavi. È stato allora che ho capito
la differenza tra te e noi: tu sei un
tipo infaticabile! Uno che non si
stanca. Sempre al lavoro. Ed ecco
il giorno! Ed ecco la notte! Ed ecco
la primavera! Ed ecco l’inverno!…
Ho capito che eri qui. Che mi rivelavi il tuo segreto: ogni giorno
guarda il mondo come se fosse la
prima volta. Allora ho seguito il
tuo consiglio con impegno. La
prima volta. Contemplavo la luce,
i colori, gli alberi, gli uccelli, gli
animali. Sentivo l’aria che mi passava nelle narici e mi faceva respirare. Udivo le voci che salivano
nel corridoio come nella volta di
una cattedrale. Mi trovavo vivo.
Fremevo di pura gioia. La felicità
di esistere. Ero incantato».
L’insistenza creatrice di Dio,
per così dire, trova nella risurrezione di Gesù il suo sigillo definitivo: «respingevi la notte, risvegliavi il mondo»: sono parole che
potrebbero stare benissimo in un
inno pasquale capace di cogliere
(come sa fare la letteratura cristiana sin dall’antichità, e come
potrebbe fare una spiritualità
della risurrezione) la sintonia profonda tra i ritmi della natura e il
“miracolo” della risurrezione di
Cristo.
settimana 1-8 aprile 2012 | n° 13-14
Nell’uomo
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Ma ci sono miracoli che rinviano alla risurrezione anche
nella “fioritura” dell’uomo. La
Scrittura lo paragona a un fiore
del campo, che presto fiorisce e altrettanto rapidamente appassisce
(cf. Sal 103,15s): e tuttavia questo
non è tutto; e non solo perché
l’immagine “vegetale” è anche la
base della risposta che Paolo dà ai
Corinti, piuttosto incerti quanto
alla risurrezione, e curiosi (stoltamente curiosi, secondo l’apostolo)
circa il “come” della risurrezione
(cf. 1Cor 15,35s). A questa curiosità, Paolo risponde con l’immagine del seme, che sembra suggerire anzitutto l’incomparabilità,
l’impossibilità di un confronto tra
ciò che viene “seminato” (il nostro
corpo mortale) e ciò che sarà raccolto, nel giorno della risurrezione, tra la fragilità di quanto
viene deposto nella terra e la ricchezza gloriosa dell’uomo trasfigurato nella risurrezione.
Un’anticipazione di questa trasfigurazione la possiamo trovare
nelle molteplici espressioni dell’arte. Se c’è un luogo particolarmente idoneo a suggerire qualcosa di ciò che potrà essere il
“corpo risorto”, questo, mi sembra, è dato precisamente dall’arte,
in quanto essa in molti modi plasma una materia – plastica, visiva,
sonora o come che sia – anche facendola uscire dal quotidiano (e
però non “smaterializzandola”),
perché in essa si manifesti lo spirito; appunto; come possiamo
tentare di immaginare la condizione di un corpo non svuotato
della corporeità, ma reso capace
di “dire” con pienezza, senza più
ombre o cedimenti, la realtà di
Dio come cuore e compimento di
tutto.
In ogni caso, la “fioritura” dell’uomo che si lascia raggiungere
dallo Spirito del Risorto non è
confinata solo al giorno ultimo.
La lettura dei testi evangelici offre tracce sorprendenti, ad esempio tutte le volte che utilizza
l’equivalente di verbi quali «sorgere», «(far) alzare», «alzarsi» –
gli stessi verbi con i quali i testi
del Nuovo Testamento esprimono la risurrezione – per situazioni significative, che vanno dal
«sorgere» di malati raggiunti
dalla guarigione (cf. Mt 8,15; Gv
5,8) al «sorgere» di Maria che,
dopo l’annuncio dell’angelo, va a
visitare la cugina Elisabetta (Lc
1,39), all’«alzarsi» del discepolo
raggiunto dalla chiamata del maestro (cf. Mc 2,14; Mt 9,9).
Si potrebbero moltiplicare gli
esempi: e non si tratta, ovviamente, di sovraccaricare teologicamente verbi che gli autori
usano nel loro significato abituale; è questione, piuttosto, di lasciarsi aprire gli occhi dal grande
mistero pasquale, per rendersi
conto che ad esso rinviano tutte le
situazioni che dischiudono speranza, fanno fiorire l’uomo,
creano futuro, generano vita che
si contrappone alla tanto deprecata “cultura di morte”…
Nella guarigione o almeno nel
sollievo procurato al malato; nella
riconciliazione e nel perdono che
dischiudono un nuovo cammino;
nel “perduto” ritrovato grazie all’accoglienza misericordiosa (Lc
15,24.32: il figlio «perduto e ritro-
vato» è allo stesso titolo «morto e
ritornato in vita»: unirsi alla gioia
di Dio per il peccatore ritrovato significa entrare nello spazio della
risurrezione); nella luce, anche tenue, accesa lì dove sembra che domini soltanto la tenebra; nella
speranza che tiene duro «contro
ogni speranza»… lì, e in molte altre situazioni di questo genere, si
incomincia a vivere da risorti, lì ci
si lascia raggiungere dallo Spirito
del Dio che «dà la vita ai morti e
chiama all’esistenza le cose che
ancora non esistono» (cf. Rm
4,17-18).
Il più delle volte, “eventi di risurrezione” come quelli ai quali si
è accennato hanno gli stessi caratteri della risurrezione di Cristo,
celebrata nel mistero pasquale: si
manifestano, cioè, soltanto al credente attento, che si lascia interpellare dal Signore e sfiorare dal
tocco dello Spirito. Il Signore non
ha fatto, della sua risurrezione, un
“caso mediatico”: si è lasciato riconoscere – non senza difficoltà –
dai discepoli, dalle donne, da
quanti, pur non esenti da limiti e
peccati, avevano potuto vedere,
condividendo i giorni terreni del
loro Maestro e Signore, il dispiegarsi quotidiano di ciò che poi
avrebbero scoperto in pienezza
inaudita il mattino di Pasqua. Per
i credenti di oggi, quello stesso
mattino di Pasqua diventa il
punto di partenza per incominciare a riconoscere e a compiere,
negli spazi quotidiani della vita, i
tanti piccoli e grandi segni di una
risurrezione che prepara il
mondo alla sua trasfigurazione
definitiva.
Nella liturgia
Tracce di risurrezione nella
“natura”, nell’arte e, soprattutto,
nell’uomo salvato, amato, redento, perdonato, accolto, portato
a pienezza di vita… C’è un luogo
che, per i credenti, raccoglie tutto
questo e lo anticipa secondo una
sua modalità peculiare, ed è la li-
turgia della Chiesa: in essa la natura, le espressioni dell’arte e soprattutto l’uomo riconciliato e vivente in Cristo possono intrecciarsi in una sorta di grande
“danza pasquale”: non un girotondo superficiale, ma il grande e
drammatico “gioco rituale” che
racchiude nel simbolo il passaggio, in Cristo, da morte a vita, da
schiavitù a libertà, da tenebra a
luce, da chiusura egoistica a dono
pieno e senza riserve. Celebrata
lietamente nella comunità credente raccolta dal Risorto, la sua
Pasqua potrà diventare lievito
nuovo della vita quotidiana e speranza per un mondo chiamato
alla trasfigurazione, fino alla Pasqua beata della nuova creazione.
Daniele Gianotti
1 Prendiamo l’espressione, e anche alcuni spunti che trattiamo con una certa libertà, da Standaert B., Spiritualità arte di
vivere: un alfabeto, Vita e Pensiero, Milano
2007, 250-258; cf. anche Id., Lo spazio Gesù.
Esperienza, relazione, consegna, Àncora,
Milano 2004, 249-260.
2 Agostino usa l’espressione vestigium,
“traccia”, in riferimento al mistero del Dio
Trino, e invita a cercare in tutta la realtà
creata (e in particolare nell’anima) i vestigia Trinitatis, le “impronte trinitarie”. La ricerca è stata sviluppata con particolare vigore da Cunningham D.S., These Three Are
One. The Practice of Trinitarian Theology,
Blackwell, Malden (MS) 1998.
3 Schmitt E.-E., Oscar e la dama in rosa,
RCS Libri, Milano 2004, 83s.
4 Standaert cita come esempio un passo
di Clemente Romano, Ai Corinzi 24-26, nel
quale l’autore – della fine del I secolo – collega la risurrezione con i ritmi del giorno e
della notte, delle stagioni e della semina (cf.
Standaert B., Spiritualità arte di vivere, 252).
5 Non è un caso, del resto, che l’annuncio pasquale unisca strettamente la proclamazione del Risorto con il perdono dei peccati: cf. Lc 24,46-48.
6 Un bell’esempio si legge nel ricordo di
una scena del lager narrata da V. Frankl,
quando lo scrittore-psicologo cercò, in
un’ora particolarmente drammatica, nel
buio di una baracca, di parlare ai compagni
di detenzione per aiutarli a conservare il coraggio e a cercare un senso anche nell’assurdo che stavano vivendo: cf. Frankl V.,
Uno psicologo nei lager, Ares, Milano 41982,
135-139.
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