Anno XIV - Numero 22 - 8 aprile 2008
Storia dell’Opera
Dopo Madama Butterfly
Puccini torna a Belasco
A Pag. 4
Esotismo musicale
La ricerca di nuove
ambientazioni si sposta
dall’est all’ovest
A Pag. 6
Colt e Winchester
Due protagonisti
della epopea del West
A Pag. 8 e
9
Un giallo alla vigilia
di "Fanciulla"
Il tragico suicidio
della cameriera
A Pag. 12 e
13
LA FANCIULLA DEL WEST
di Giacomo Puccini
2
La Fanciulla del West
L’intervento
L’immortalità di Puccini
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Programma Stagione 2008
Teatro Costanzi
TOSCA
22-27 Aprile
di G. Puccini
di Francesco Ernani
Sovrintendente al Teatro dell’Opera di Roma
Fanciulla
del West”,
diretta dal
M°
Gelmetti, con
la regia ed
il
nuovo
allestimento di Giancarlo Del
Monaco,
l’opera ebbe la sua
“prima”
italiana a
Roma, nel
nostro Teatro Costanzi, il 12 giugno
1911 e la sua partitura mostra la
prodigiosa abilità tecnica del
compositore.
Si ricorda che alla prima del
Metropolitan del 10 dicembre 1910,
Puccini, dopo innumerevoli chiamate, fu incoronato con una corona d’argento adorna dei colori nazionali
dell’Italia e degli Stati Uniti.
Su questa opera, in questi giorni il
regista Paolo Benvenuti, sostiene la
tesi che Puccini “doveva” innamorarsi mentre scriveva un’opera, trovare
una donna che gli ispirasse le note, il
personaggio che inventava in musica, cosa che è avvenuta
durante l’ideazione dell’opera “La Fanciulla
del West”, che nel film di
Anonimo (Leopoldo Metlicovitz?)
Benvenuti diventa “La
Manifesto per La fanciulla del West (part.)
Fanciulla del Lago”.
Officine Ricordi
La terza produzione è
“Madama
Butterfly”,
diretta dal M° Martinenghi, con realizzaIl G iornale dei G randi Eventi
zione visiva, scene e
Direttore responsabile
costumi
di
Renzo
Andrea Marini
Giacchieri che sarà ripreDirezione Redazione ed Amministrazione
sa
alle
Terme
di
Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma
Caracalla dal 27 luglio
e-mail: [email protected]
al 3 agosto.
Editore A. M.
Il melodramma italiano,
Stampa Tipografica Renzo Palozzi
grazie anche a Giacomo
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Puccini, continua così a
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dove potrete leggere e scaricare i numeri del giornale
i Paesi.
I
principali teatri d’opera del
mondo, nel corso del 2008, celebrano il 150° anniversario della
nascita di Giacomo Puccini. Il nostro
compositore asceso nella sfera dei
“legislatori” nel campo della musica,
ha avuto con Roma un rapporto particolare, come dimostrato dal battesimo di “Tosca”, avvenuto il 14 gennaio 1900, nella città in cui è collocata la vicenda, nonchè nel centenario
della battaglia di Marengo.
L’Opera di Roma, quindi, non poteva
non aprire – proprio nel giorno della
ricorrenza della prima esecuzione - la
propria attività del corrente anno che
con “Tosca”, affidata alla regia e
scene di Franco Zeffirelli, ai costumi
di Anna Biagiotti sotto la bacchetta di
Gianluigi Gelmetti.
La partecipazione del pubblico alle
recite di gennaio e le previsioni di
esaurito per le prossime recite di
Tosca di aprile, dal 22 al 27, dimostrano che la musica di Puccini ha
valori che sanno rappresentare
“veri” elementi dell’umana esistenza
come
ne
era
stato
capace
Shakespeare, ad esempio, con Iago e
Falstaff.
Altre due produzioni di Puccini sono
nel nostro cartellone: la prima è “La
~ ~ La Copertina ~ ~
CARMEN
17-28 Giugno
di G. Bizet
AMICA
7-12 Ottobre
di P. Mascagni
12-18 Novembre
DER ROSENKAVALIER
di R. Strauss
OTELLO
6-14 Dicembre
di G. Verdi
Stagione estiva Terme di Caracalla
AIDA
10-24 Luglio
di G. Verdi
LUCIA DI
LAMMERMOOR
18-31 Luglio
di G. Donizetti
27 Luglio - 3 Agosto
MADAMA
BUTTERFLY
di G. Puccini
~~
La Locandina ~ ~
Teatro Costanzi, 8 - 15 aprile 2008
LA FANCIULLA
DEL WEST
Opera in tre atti
Libretto di Guelfo Civinini e Carlo Zangarini
dal dramma The Girl of Golden West (Pittsburg, 1905)
Musica di Giacomo Puccini
Prima rappresentazione: New York, Metropolitan Opera House,10.12.1910
Direttore:Arturo Toscanini
Prima rappresentazione italiana: Roma,Teatro Costanzi, 12.6.1911
Direttore:Arturo Toscanini
Maestro concertatore Gianluigi Gelmetti
e Direttore
Maestro del Coro Andrea Giorgi
Regia, Scene e Costumi Giancarlo Del Monaco
Disegno Luci Wolfgang von Zoubeck
Personaggi / Interpreti
Minnie (S)
Daniela Dessì (8, 11, 13,15) /
Janice Baird / Virginia Todisco
Jack Rance, sceriffo (Bar)
Silvano Carroli (8, 11, 13,15)
/ Mauro Buda
Dick Johnson, bandito (T)
Fabio Armiliato (8, 11, 13,15) /
Nicola Martinucci / Renzo Zulian
Ashby, agente comp. trasporti (B)
Francesco Facini
Nick, cameriere (T)
Aldo Orsolini
Larkens, minatore (B)
Armando Caforio
Ja ke Wallace, menestrello (Bar)
Mario Bellanova
Sid, minatore e baro (Bar)
Danilo Serraiocco
Sonora , minatore (Bar)
Massimiliano Gagliardo / Piero Terranova
Happy, minatore (Bar)
Alberto Noli
Joe, minatore (T)
Claudio Barbieri
Billy, pellirosse (B)
Reda El-Wakil
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Nuovo Allestimento
Il
Giornale dei Grandi Eventi
U
n paesaggio ed
una storia ambientata nella lontana
America. L’esotismo di
Puccini, dopo l’orientalismo imperante a cavallo tra
‘800 e ‘900 che portò a
Butterfly, guarda con La
Fanciulla del West ad occidente, a quella America
che cominciava ad essere
un nuovo grande sogno e
pure il nuovo grande mercato per le merci, ma anche
per la musica. Strizza l’occhio al pubblico europeo e
La Fanciulla del West
soprattutto – con una storia tutta loro – a quello del
Metropolitan di New York,
teatro presso il quale già da
anni il supertenore italiano
Enrico Caruso aveva un
contratto ed infiammava le
platee.
Lo fece con quest’opera
che rappresenta un perfetto equilibrio tra teatro
e musica. Per l’ispirazione Puccini tornò ad
avvalersi di un lavoro di
quel Davide Belasco
autore del libretto di
Madama Butterfly di sei
anni prima. Il debutto, al
Metropolitan il 10 dicembre 1910 con Enrico
Caruso nei panni di Dick
Johnson e la direzione di
Arturo Toscanini, lo stesso che guiderà sei mesi
dopo, il 12 giugno 1911
l’esordio italiano proprio
al teatro Costanzi di
Roma.
Ora, “Fanciulla” torna
all’Opera di Roma - dove
debuttò, appunto, 97 anni
fa - dopo vent’anni di
3
assenza. Lo fa come
secondo titolo pucciniano della stagione del mercoledì 9 aprile, ore 20,30
150° anniversario della giovedì 10 aprile, ore 20,30
nascita del suo autore. venerdì 11 aprile, ore 20,30
Sul podio il maestro sabato 12 aprile, ore 18,30
Gianluigi Gelmetti che domenica 13 aprile, ore 17,00
manterrà un grande martedì 15 aprile, ore 20,30
rispetto, con un’essenziale aderenza, per la
dito Johnson e da Silvano
partitura originale. Sul
Carolli in quelli dello
palcoscenico,
invece,
sceriffo Rance.
Daniela Dessì protagoRegia, scene e costumi di
nista principale, affiancaquesto nuovo allestimenta da Fabio Armiliato nei
to sono di Giancarlo
panni dell’amante/banDel Monaco.
Le Repliche
“La Fanciulla” torna al Costanzi
a 97 anni dal suo debutto italiano
Ai piedi delle Montagne delle Nubi {Cloudy
Mountains) in California. Un campo di minatori,
nei giorni della febbre dell'oro (1848-1850).
La Trama
Atto I – La vicenda si apre nel bar “La Polka”, presso il campo
dei minatori. Qui i cercatori d'oro vengono a bere, a ballare ed a far
la corte a Minnie, la bella ragazza padrona del bar di cui tutti sono
innamorati, ma che «il primo bacio deve darlo ancora». Gli uomini,
presi dalla malinconia per quella vita difficile, attendono la sua
venuta giocando a carte. La fanciulla arriva e si mette a leggere il
salmo 51 dalla Bibbia. Ella ha con i minatori un rapporto particolare: legge loro passi delle scritture, li conforta quando la nostalgia della casa si fa sentire, placa le loro liti.
Entra Ashby, agente della Compagnia Wells Fargo. Con lui Jack
Rance, lo sceriffo, parla di Ramerrez, capo di una banda di fuorilegge, cui tutti danno la caccia. Rimasto solo con Minnie, Rance le
dichiara ancora una volta il suo amore, ma ella lo respinge con dolcezza, parlandogli della sua infanzia. Entra uno straniero che si fa
chiamare Dick Johnson, ma in realtà e Ramerrez, il quale secondo
le leggi del campo non potrebbe star lì. Ma per lui garantisce
Minnie, dopo averlo riconosciuto come l’uomo che un giorno
incontrò sul sentiero di Monterey e del quale subito si innamorò.
Incurante della gelosia di Rance, il nuovo arrivato riesce a conquistare Minnie. Mentre Johnson e Minnie ballano, i minatori lasciano la taverna per andare a cercare il bandito Ramerrez. Rimasti soli
i due si dichiarano il reciproco amore e la ragazza invita l’uomo
nella sua capanna.
Atto II - Nella sua stanza, Minnie si fa bella
in attesa di Johnson. Quando egli giunge, si
scambiano baci e promesse d'amore. Ma l’idillio è interrotto dall’arrivo di Rance e dei ragazzi del campo.
Johnson si nasconde. Minnie apprende, così, che l'uomo che ama è
in realtà un fuorilegge, che ha un'amante, che forse è venuto proprio per rubare l'oro che i minatori le hanno affidato. Quando
Rance e i suoi si allontanano, Minnie addolorata scaccia Johnson.
Ma questi, ferito da Rance, torna però ben presto a rifugiarsi in
casa di Minnie, la quale per amore lo nasconde nel solaio. Entra lo
sceriffo alla ricerca del fuggiasco: una goccia di sangue che cade
dall’alto gli rivela il nascondiglio. Minnie, allora, rischia il tutto
per tutto avanzando una proposta disperata: giocare una partita a
poker. Se Race vincerà avrà lei e la vita del bandito, altrimenti
Ramerrez sarà libero. Giocando la partita, Minnie, quando vede
che sta per perdere, bara e riesce a sconfiggere lo sceriffo.
Ramerrez va via.
Atto III - Nella grande selva californiana - Rance ed i minatori sono
riusciti a catturare Ramerrez e lo stanno per impiccare. Prima di
morire, dichiarando di essere stato «ladro, ma assassino mai», egli
chiede loro una sola grazia: Minnie deve crederlo vivo, sulla via
della redenzione. Ramerrez ha già il laccio al collo quando giunge
Minnie a cavallo, la quale, ricordando gli affanni ed i disagi condivisi con loro, riesce a commuovere i minatori, inducendoli al perdono. Ramerrez è libero. Minnie si allontana con lui, per vivere
insieme una vita onesta.
La Fanciulla del West
4
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La storia dell’opera
Perfetto rapporto tra teatro e musica
L'
inizio del ‘900 non fu
per Giacomo Puccini
un periodo molto
facile. I rapporti con la compagna Elvira erano sempre
più difficili. La donna soffriva
di una gelosia asfissiante e i
suoi sospetti erano probabilmente più che giustificati: il
musicista, celebre ormai in
tutto il mondo, poteva vantare
schiere d’ammiratrici e non
era certo insensibile al fascino
femminile.
Momento culminante della
crisi fra i due coniugi, lo scandalo scoppiato a Torre del
Lago in seguito al suicidio
della
ventenne
Doria
Manfredi, cameriera in casa
Puccini, accusata ingiustamente da Elvira d’essere l’amante del Maestro. A rendere
ancor più difficile l’avvio del
XX secolo per Puccini arrivò
anche, nel 1906, la morte del
librettista Giuseppe Giacosa,
uno dei più stretti e affezionati
collaboratori del musicista in
opere come La Bohème,Tosca,
Madama Butterfly.
Dal punto di vista lavorativo,
invece, nonostante l’iniziale
fiasco alla Scala di Madama
Butterfly, (che fu, però, “riabilitata” a Brescia nel 1904),
Puccini poteva dirsi all’apice
della carriera: ricco e famoso,
ma infelice e sempre insoddisfatto nell’animo. Forse anche
per questo dall’estate del 1904
si mise alla ricerca di un libretto nuovo e originale, lontano
dalle fragili eroine fin lì incontrate, perché «è necessario rinnovarsi o morire», visto che si
era, ormai, nel nuovo secolo.
Il compositore tornò così a
pensare ad una Notre-Dame
de Paris tratta dal romanzo di
Victor Hugo, si occupò a più
riprese di una Margherita da
Cortona che gli era stata proposta da Valentino Soldati,
soggetto di ambientazione
medioevale che abbandonò
però ai primi del 1906. In
quell’anno il successo della
Salome di Strauss lo portò a
pensare ad un libretto da La
femme et le pantin di Pierre
Louys che avrebbe dovuto
intitolarsi con il nome della
protagonista, Conchita. Ai
primi di febbraio Puccini si
Emma Destin, Pasquale Amato ed Enrico Caruso (con il capo chino sul tavolo) ne La Fanciulla del West al Met il 10.12.1910
incontrò con d’Annunzio nel
quale pensava di trovare il collaboratore ideale. Ma durò
poco. Non si lasciò convincere
dalla proposta di un’opera
intitolata La Rosa di Cipro che
il Vate gli propose. Così,
rispondendo alle lettere che
D’Annunzio inviava dalla villa
“La Versiliana” sul mare di
Pietrasanta, Puccini gli scrisse:
«Io non voglio un realismo a
cui Tu penosamente potresti
accostarti, ma un “quid medium” che prenda possesso degli
ascoltatori per i fatti dolorosi
ed amorosi, i quali logicamente vivano e palpitino in
un’aureola di poesia, di vita
più che di sogno», il che voleva
dire che aspirava a testi meno
retorici, più concreti, fatti di
immagini familiari più dirette.
Più a lungo durò l’interesse
per una Maria Antonietta,
soggetto che stava molto a
cuore ad Illica, ma che fu
abbandonato – incrinando
definitivamente anche i rapporti con il librettista – nel settembre del 1907 dalla scelta del
libretto che Carlo Zangarini
stava ap-prontando dal dramma di Belasco The Girl of the
Golden West.
La nascita di Fanciulla
Risale al 1907 l’idea di scrivere
un’opera ambientata nel West.
Invitato, infatti, a New York
per la messa in scena di
alcune sue opere al
Metropolitan, il compositore
ebbe l’occasione di assistere a
The Girl of the Golden West,
di David Belasco (cui già
doveva il successo di
Madama Butterfly) in scena
da tempo sui palcoscenici
americani.
A
partire
da questa «aspirazione verso
un profondo rinnovamento di
tutto lo stile, verso una forma
più alta di poesia umana»,
Puccini iniziò a pensare a un
soggetto diverso dal solito,
dopo aver meditato oltre che
sulla proposta dannunziana
anche su Tartarine di Daudet
ed addirittura su La Divina
Commedia.
La Fanciulla del West non costituì, però, un amore a prima
vista. Il 18 febbraio 1907, infatti, egli scrisse a Tito Ricordi:
«[…] L’ambiente del West mi
piace, ma in tutte le piéces che
ho visto ho trovato solo
qualche scena, qua e là. Mai
una linea semplice, tutta farragine e a volte cattivo gusto e
vecchio gioco». L’allestimento
di Belasco, infatti, presentava
aspetti sensazionali e molto
realistici, che non convinsero
in pieno il compositore
toscano.
Tornato in Italia e chiesta
copia del dramma al regista
rimeditò sull’argomento ed a
poco a poco se ne convinse,
anche grazie all’intervento
dell’amica e confidente Sybil
Seligman, che promosse la
traduzione italiana del testo
americano. Puccini, ormai
pienamente convinto, arrivò a
scrivere, il 26 agosto, a Giulio
Ricordi:
«Carissimo signor Giulio, ci
siamo! La Girl promette di
diventare una seconda
Boheme, ma più forte, più
ardita e più ampia. Ho l’idea
d’uno scenario grandioso una
spianata nella grande foresta
californiana cogli alberi colossali, ma occorrono 8 o 10 cavalli-comparse…».
Il Libretto
Per il libretto Puccini non
poteva più contare sulla coppia ampiamente collaudata
Giacosa-Illica: il primo, come
si è detto, era scomparso, il
secondo stava lavorando ad
un’altra opera e del resto del
solo Illica, il musicista lucchese probabilmente non si fidava: troppo avventuroso e “disordinato” nella sua genialità.
Fu,
dunque,
chiamato
Zangarini (figlio di un’americana e che, per questo,
conosceva molto bene l’inglese), affiancato, con molte
polemiche,
da
Guelfo
Civinini, che aveva il compito
di «frenare i voli di fantasia
del collega». In realtà, il vero
autore del libretto fu Puccini
stesso, che controllò meticolosamente ogni decisione
dei due autori.
Il 14 settembre, invitato da
Giulio Ricordi ad accelerare i
tempi, Puccini rispose: «Non
dormo né mi raffreddo sul
West, tutt’altro, ci penso e son
certo che riuscirà una seconda
Bohéme se il cervello e le forze
non mi fallano». Benché
dovesse sopportare il peso
della non facile situazione
personale (il suicidio di Doria
Manfredi risale al 23 gennaio
1909), la stesura dell’opera
non subì particolari ritardi,
anche se il genio musicale e la
carriera di Puccini furono
messi a dura prova: profondamente stanco e privo di slancio, egli doveva lavorare su
Fanciulla, che sarà la sua soddisfazione più grande («La
mia opera migliore» come
dirà al-l'amica Sybil). Il debutto dell’opera ebbe luogo il 10
dicembre 1910, al Metro-politan di New York, interpretata
da Enrico Caruso, Emmy
Destinn e Pasquale Amato e
diretta da Arturo Toscanini. Il
pubblico - per la verità
“preparato” precedentemente
dai giornali orgo-gliosi di
un’opera di ambientazione
americana - apprezzò da
subito il nuovo lavoro con 47
chiamate (14 alla fine del
primo atto, 19 dopo il secondo
e 14 al termine) ed anche la
critica risultò entusiasta:
«America orgogliosa della
Fanciul-la del West!”», titolò
la stampa newyorkese, ormai
conquistata, come il ricco
mercato americano, da quest’opera portata oltreoceano per
il debutto assoluto.
Fanciulla del West giunse in
Italia l’anno successivo, il 12
giugno 1911 al Teatro
Costanzi di Roma, ancora
sotto la direzione di Arturo
Toscanini con Eugenia Burzio
come protagonista, affiancata
dal tenore Amedeo bassi e dal
baritono Amato.
Il successo di pubblico fu
caloroso, ma le recensioni
dei critici ebbero un tono
perplesso, soprattutto per
quella “modernità” della
musica pucciniana, pur
riconoscendo nell’opera una
nuova e raffinata maturità
espressiva
specialmente
sotto l’aspetto del colore che
certo non manca.
Marta Musso
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La Fanciulla del West
5
Fabio Armiliato, Nicola Martinucci e Renzo Zulian
Daniela Dessì, Janice Baird e Virginia Todisco
Dick Johnson,
bandito fuggiasco
Minnie, in lotta
per il suo amore
P
resteranno la voce a Dick Johnson Fabio Armiliato (8, 11, 13 e
a voce di Minnie sarà quella di Daniela Dessì (nei giorni 8, 11,
15 aprile), Nicola Martinucci (9 aprile) e Renzo Zulian (10 e 12
13 e 15 aprile), Janice Baird (9 aprile) e Virginia Todisco (10 e
aprile).
12 aprile).
Fabio Armiliato, originario di Genova, si è formato
Daniela Dessì è nata a Genova e si è diplomaal Conservatorio "Niccolo Paganini" della sua città.
ta in canto e pianoforte al Conservatorio
Nel 1984 ha debuttato col ruolo di Gabriele Adorno
“Arrigo Boito” di Parma specializzandosi in
nel Simon Boccanegra di Verdi con i complessi
canto da concerto presso l’Accademia
dell'Opera di Genova, seguito dal ruolo di Licinio ne
Chigiana di Siena. Dopo aver vinto il primo
La Vestale di Spontini al Teatro Pergolesi di Jesi, inipremio al Concorso Internazionale della Rai
ziando una rapida carriera internazionale che lo ha
nel 1980, ha debuttato con l’opera giocosa La
condotto ad affrontare i ruoli più importanti del
serva padrona di Pergolesi, costituendo un
repertorio tenorile nei maggiori teatri d’opera del
repertorio comprendente circa 70 titoli da
mondo. Con una trionfale Madama Butterfly al Teatro
Monteverdi a Prokofiev, passando dal repertoalla Scala di Milano, con Tosca all’Arena di Verona
rio barocco alle sue straordinarie interpretazionell’estate 2002 ma soprattutto con Andrea Chénier a
ni delle eroine mozartiane e verdiane, fino ad
Torino e Venezia nel 2003 si consolida il sodalizio
essere considerata oggi la miglior interprete
artistico con Daniela Dessì, sua compagna anche
del repertorio verista. Per la prestigiosa carrienella vita.
ra artistica è stata insignita di importanti ricoNicola Martinucci, nato a Taranto, si considera
noscimenti. E’ spesso sul palcoscenico del
depositario della scuola di Mario del Monaco, avenTeatro dell’Opera di Roma. La sua stagione
do intrapreso lo studio del canto col fratello di questi
2008 si è aperta in gennaio con un debutto di
Marcello. Si è, quindi, perfezionato in teatro con i
grande rilievo per riconoscimenti della critica e
maggiori direttori e registi, proseguendo gli studi
pubblico, al Forum Grimaldi di Montecarlo
con Gianfranca Ostini. Nel 1966 è risultato vincitore
con La forza del destino. Fra le numerosissime
Daniela Dessì e Fabio Armiliato
del concorso As.Li.Co. in seguito al quale avvenne il
incisioni, segnaliamo il recentissimo “Dessì
suo debutto operistico con Il Trovatore. Del suo repertorio ricordiasings Verdi” (etichetta Decca).
mo Aida, Turandot, Andrea Chenier, Tosca, Pagliacci, Norma, Fanciulla
Janice Baird è una dei principali soprani drammatici di oggi,
del West, Manon Lescaut, Madama Butterfly, Trovatore. E' stato inoltre
soprattutto nell’interpretazione delle grandi eroine di Wagner e
apprezzato interprete di opere quali: I Lombardi, Francesca da Rimini,
Strauss. Tra i suoi ruoli prediletti, ci sono Brunhilde, Elektra,
Gioconda, Lorely, Iris.
Salome, Arianna a Nasso, Ortrud (Lohengrin) a www.abao.org"
Tra le esibizioni di Renzo Zulian si distinguono Conchita di
Bilbao. Cantante e attrice carismatica, Janice Baird ha ottenuto granZandonai al Wexford Opera Festival, Turandot per l’acclamato
de successo anche come Isolde, come Leonora (Fidelio), come
debutto sul palcoscenico del Festival Puccini di Torre del Lago; Il
Turandot, Minnie (La Fanciulla del West) e come Lady Macbeth.
Trovatore al Teatro Regio di Parma, al Teatro di San Carlo di Napoli,
Virginia Todisco, nata a Torre del Greco, ha studiato canto e perfezioal Teatro Verdi di Trieste, al Teatro de La Maestranza di Siviglia, alla
namento con il Maestro Nunzio Todisco e si è diplomata in canto presPhiladelphia Opera Company e allo Staatstheater di Stuttgart. Più
so il Conservatorio di Salerno. Ricordiamo brevemente l’avvio della
volte invitato all’Opera di Vancouver, vi ha proposto opere come
sua carriera: il debutto è avvenuto nell'agosto del 1998 nell'opera Don
Aida, Turandot, La fanciulla del West. Di particolare rilievo, inoltre, le
Carlo presso il Teatro Municipale di Rio de Janeiro. Ha cantato molte
recenti interpretazioni di Adriana Lecouvreur al Teatro Bellini di
volte, in vari teatri, nel ruolo di Minnie, personaggio a lei caro.
Catania, Andrea Chénier al Teatro Verdi di Trieste, I vespri siciliani
(Arrigo) all’Opéra di Toulon. Renzo Zulian si è perfezionato sotto la
Mozart, Rossini, Donizetti a Verdi,
guida di Franco Corelli.
Meyerbeer, Gounod, Saent Saens
sino a Zandonai e Puccini. Tra i ruoli
Silvano Carroli e Mauro Buda
che ha interpretato ci sono Jago,
Macbeth, Nabucco, Ezio, Renato,
Simone, Germont, Rigoletto.
Mauro Buda, dopo una carriera giovanile come attore, ha iniziato lo
studio del canto a Napoli, città natale, con il soprano Carmen Lucchetti;
ack Rance sarà interpretato sul palcoscenico da Silvano Carroli (8,
si è perfezionato poi con il baritono
11, 13 e 15 aprile) e Mauro Buda (9, 10, 12 aprile). Silvano Carroli
Giuseppe Taddei a Roma e a
è nato a Venezia, dove ha iniziato la sua carriera. Ha studiato con
Londra, al Royal College of Music,
Marcello Del Monaco e si è perfezionato poi con il celebre tenore
sotto la guida di Graziella Sciutti.
Mario Del Monaco. Ha vinto il Concorso per giovani cantanti lirici
Ha debuttato nel 1989 con La
Mauro Buda
promosso dal Teatro La Fenice di Venezia, partecipando così alla
Cecchina, ossia la buona figliola di
scuola di avviamento al teatro con i maestri Mario Labroca,
Piccinni a Milano. Il successivo trasferimento a Londra ha coinciso
Francesco Siciliani e Floris Ammannati. Nel 1963 ha debuttato giovacon l’avvio della carriera internazionale, legata a un repertorio che
nissimo nel ruolo di Marcello ne La Bohéme di Puccini al fianco di
spazia dall’opera del ’700 a quella dei primi del Novecento.
Mirella Freni e G. Aragal. Subito è iniziata una importante carriera,
che lo ha portato, ad esempio, nel 1966 a cantare il ruolo di Ezio in
Pagina a cura di Diana Sirianni - Foto Corrado M. Falsini
Attila di Verdi al fianco di B. Christoff. Il suo repertorio spazia da
Jack Rance, sceriffo
innamorato di Minnie
J
L
La Fanciulla del West
6
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Il nuovo esotismo d’Occidente
Il Salmo 51, letto da Minnie ai minatori nel primo atto
E l’America
conquistò l’opera
Il Cantico di
Davide Penitente
E
' il più noto del salmi, il «Miserere» pieno di squisito
senso religioso, divenuto giustamente il canto classico
della penitenza (quarto fra i Salmi penitenziali) nella
liturgia cattolica e nell'uso dei fedeli. I primi due versetti sono
presi dal titolo, che lo attribuisce a Davide, dopo il peccato con
la maglie d'Uria ed il famoso colloquio di Natan profeta (2
Sam 1,15). Il contenuto del salmo risponde, infatti, benissimo
al titolo, meno i due versi ultimi, aggiunti al salmo nel tempo
dell'esilio, con ogni probabilità ad uso liturgico.
F
ra l’Oriente e l’Occidente gli
operisti europei hanno preferito per lungo tempo il primo.
Le cosiddette “turcherie” risalgono
già al Set-tecento. Allora bastava
qualche scampanellio, un triangolo
e dei piatti per “imitare” (così si
pensava) l’esotismo orientale. E l’interesse era incentrato, specialmente
nel teatro comico, sulla contrapposizione fra le due culture. Si pensi al
Ratto dal serraglio mozartiano o,
arrivando all’Ottocento, all’Italiana
in Algeri, al Turco in Italia e anche
alla Pietra del paragone di Rossini
(con il celebre finto turco che urla
“sigillara” e requisisce ogni bene).
Più avanti all’Oriente ci si accostò
con maggiore consapevolezza e l’esotismo si colorì di atmosfere,
umori, timbri più appropriati: si
pensi a Lakmé di Delibes, ma anche
ai Pescatori di perle di Bizet e,
venendo in Italia, a Iris di Mascagni
o Madama Butterfly di Puccini.
Contribuì
alla
conoscenza,
l’Esposizione Uni-versale di Parigi
del 1900 che portò alla scoperta di
usi, costumi, merci, culture extraeuropee.
L’Occidente, meno esotico
Rispetto all’Oriente, l’Occidente
esercitò una minore attrattiva.
Inizialmente l’attenzione era posta
sulle grandi conquiste europee.
Così fu ad esempio per Fernando
Cortez in cui Spontini esaltando il
grande avventuriero celebrava in
realtà Napo-leone. E così fu per
Cristoforo Colombo, spesso protagonista del teatro musicale, a partire
dal tardo Seicento (Il Colombo
ovvero l’India scoperta, probabilmente di Bernardo Pasquini) per
passare
al
primo
Ottocento
(Colombo di Morlacchi, 1828), al
tardo
Ottocento
(Cristo-foro
Colombo di Franchetti, 1892) e finire
nel Novecento con Milhaud (1928) e
Glass (1992). In questo caso, naturalmente, l’attrattiva era il personaggio,
lo scopritore del nuovo continente,
più che il continente stesso, visto in
vari casi come una terra selvaggia e
ignota.
A parte poi titoli fondamentali della
cultura americana come West side
story (Bernstein, 1957) o Porgy and
Bess (Gershwin, 1935) o, ancora,
AI capocoro. Salmo. Di Davide, Quando venne a lui
Natan profeta, dopo il peccato con Betsabea.
Gilda della Rizza nel ruolo di Minnie al Teatro
Alla Scala 1930-1931
Treemonisha (Joplin, 1915), del
grande repertorio italiano, vale la
pena ricordare solo “Un ballo in
maschera” che come è noto si svolge
nel Massachusetts. Ma Verdi fu
costretto ad “esportare” fuori
Europa la vicenda per non incorrere
nei veti della censura, per cui in
realtà, la vicenda potrebbe essere
ambientata ovunque. E infine merita
una segnalazione Il Guarany di
Antonio Carlos Gomes, compositore
brasiliano trapiantatosi in Italia all’epoca della Scapi-gliatura e autore di
un teatro che seppe arricchire il nostro
di colori e situazioni genuinamente
“esotiche”.
La fanciulla del West si può
comunque considerare la più
autorevole esplorazione da parte di
un compositore europeo del mondo
americano. Puccini che aveva appena “assaggiato” il nuovo continente
nell’atto finale di Manon Lescaut
(ma anche lì, la terra arida che
accoglie la morente protagonista
potrebbe essere ovunque) nella
“Fan-ciulla” celebra con ritmi e
drammaturgia quasi cinematografica l’epopea dei cercatori d’oro creando un’opera unica, non solo per la
genialità della struttura narrativa e
musicale, ma anche per l’idea dell’ambientazione.
R. Iov.
O Dio, pietà di me per la tua clemenza;
nella tua gran bontà tergi il mio fallo,
Dalla nequizia mia lavami a fondo,
e dal peccato mio rendimi puro.
Poiché le mie colpe io riconosco,
e il mio peccato sempre mi sta innanzi.
Contro di te soprattutto io peccai
e commesso ho il male nel tuo cospetto.
Così che giusta appare la tua parola,
irreprensibile è la tua sentenza.
Ecco, ebbi nella colpa il nascimento,
nel peccato mi generò mia madre.
Ecco, tu ami un amico sincero,
nell'occulto m'insegni la tua sapienza.
Aspergimi con 1'issopo, e sarò puro,
lavami, e sarò bianco più che neve.
Mi sazierai di gioia e d'esultanza,
esulteranno l'ossa che tu spezzasti.
Rivolgi il viso tuo dal mio peccato
e detergi tutte le mie colpe.
Un puro cuore in me ricrea, o Dio,
un fermo e santo spirito in me rinnova.
Non rigettarmi via dal tuo cospetto,
non ritogliermi il tuo spirito santo.
La gioia rendi a me del tuo riscatto;
d'un generoso spirito mi rinfranca.
Insegnerò ai perversi le tue vie,
e a te ritorneranno i peccatori.
Dal sangue. mi salva, o Dio, mio scampo,
e la mia lingua esalti la tua pietà.
O mio Signore, schiudi le mie labbra,
e la mia lingua annunzi le tue lodi.
Poiché non t'è gradito il sacrificio,
nè olocausto ch'io offrissi avresti caro,
mio sacrificio, o Dio, sia un cuor contrito;
un cuor contrito e affranto tu non sprezzi.
In tua bontà sii tu benigno a Sion,
rialza le mura di Gerusalemme.
Allora ti saran grati i sacrifizi
di giustizia, le oblazioni, gli oIocausti,
e torneran sul tuo altare i giovenchi.
1) L’ossa tu spezzasti - Le terribili pene comminate avevano sconvolto e come infranto il re il colpevole. Qui
«le ossa» stanno per tutto l'organismo. L'espressione
è usuale in ebraico.
2) Dal sangue: L'omicidio recava con sé la pena del
taglione, sangue per sangue (2 Sam 11,15; Num ~ 35,1821). Vi poteva sfuggire Davide re; ma restava c il grido
del sangue innanzi a Dio (Gen 4,10).
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La Fanciulla del West
7
Analisi dell’opera
Puccini e le melodie del vecchio West
“L
a fanciulla del
West” rappresentò
una
delle operazioni commerciali più coraggiose e
“moderne” all’epoca di
Puccini: la conquista del
ricco mercato d’oltreoceano con un’opera
“americana” portata nel
nuovo continente per il
debutto assoluto. Ma a
stimolare l’interesse del
musicista non c’erano
solo questi aspetti, certamente cari all’editore
Ricordi: c’era anche la
possibilità di abbandonare il mondo delle
fragili eroine che aveva
finora assorbito interamente l’estro pucciniano.
Protagonista assoluta dell’opera è naturalmente
Minnie che Belasco
descrive così nella prefazione al suo dramma:
«La
sua
estrema
franchezza le toglie qualsiasi traccia di vizio,
mostrando come sia
senza macchia, felice, disinteressata, non tocca
dalla vita che la circonda.
Tuttavia ha una piena
coscienza di ciò che gli
uomini che le sono
attorno di solito desiderano. E’ avvezza all’adulazione, sa esattamente
come trattare con gli
uomini, è molto intelligente, ma pienamente
capace di essere una
buona amica per i ragazzi
dell’accampamento».
Minnie, insomma, è una
donna ricca di contraddizioni, sa maneggiare il
revolver e servire il
whisky, tiene a bada gli
uomini, ha pensieri puri,
legge libri colti, crede nell’amore puro.
Non meno improbabili
sono gli altri due personaggi principali: Johnson,
il bandito gentiluomo,
dietro la cui apparente
eleganza si nasconde il
bandito
di
strada
Ramerrez e lo sceriffo
Jack, «un giocatore freddo, deciso, impassibile»,
innamorato di Minnie,
ma non falso e inaffidabile come Scarpia.
Puccini ed il libretto
Più che la coerenza dei
personaggi, a Puccini
interessava la vicenda in
sé, l’insieme di passioni
forti, l’ambientazione
originale per il teatro
italiano. Come ha testimoniato il librettista
Zangarini, Puccini intervenne direttamente nel
libretto. Fu lui ad esempio a ricavare da un
semplice accenno di
Belasco la caccia all’uomo nella foresta e ad
inventare la scena nella
quale la dea ex machina
Minnie arriva a cavallo
(una Walkiria del West)
per salvare Johnson dall’impiccagione. E fu
ancora
Puccini
a
inventare
la
commovente scena di addio
di Minnie ai cercatori.
Il dramma di Belasco, in
4 atti, prevedeva il
processo di Johnson nel
terzo, mentre nel quarto
si vedevano solo i due
amanti in cammino
verso la libertà. Puccini
pensò di fondere i due
ultimi atti, poi inventò la
caccia all’uomo e trasferì
la scena del linciaggio
nella
Foresta
della
California.
Quanto
ai
personaggi
principali,
come ha scritto il biografo
M o s c o
C a r n e r ,
«Puccini resta
fedele al suo
vecchio principio di dare
una mano di
bianco sugli
amanti e di
annerire
il
cattivo».
Il
che significa
esaltare
le
qualità positive dei buoni
ed estremizzare l’efferatezza dei cattivi, per
accentuare i contrasti,
anche a costo di rendere
ancora più improbabili i
caratteri (il che gli
avrebbe
procurato
qualche problema nella
Turandot).
Perfetto rapporto
tra teatro e musica
“La Fanciulla” appare sul
piano musicale meno “lirica”, meno commovente,
meno generosa in melodie
d’effetto rispetto ai titoli
pucciniani precedenti e la
stessa Minnie risulta
quasi estranea alla galleria
di eroine femminili impalpabili e sensibili cui ci ha
abituato il compositore
lucchese.
In realtà il valore della
“Fanciulla” sta soprattutto nel perfetto rapporto
fra teatro e musica, fra
gesto teatrale e gesto
sonoro. E’ opera nella
quale la “coralità” ha una
forza espressiva indubbia,
nella quale la virilità delle
voci è preminente e nella
quale il colore locale (la
barbarie dei cercatori
d’oro, la violenza dei rapporti ecc.) è risolto da
Puccini con mano magnifica, ancora una volta
(come aveva fatto in
Butterfly e come avrebbe
fatto in Turandot) andan-
do a cercare melodie
popolari, in questo caso
americane.
E’, ancora, opera di forte tensione scenica. Si prendano
tre scene come esempi.
Innanzitutto la prima. Nel
Saloon arrivano i vari personaggi e Puccini crea con
estro la giusta atmosfera
intersecando dialoghi,
interventi solistici, passi
corali. E’ una potente
scena di massa che ha il
pregio di trascinare lo
spettatore nel vecchio
West non introducendolo
immediatamente nella
vicenda centrale (che
rimane ancora sconosciuta agli spettatori), ma
calandolo invece con efficacia nelle giuste atmosfere di un saloon animato
da uomini rozzi tenuti
amabilmente a bacchetta
da una donna coraggiosa.
Il secondo atto è costruito
con maestria. Prima l’idillio amoroso, poi il crescendo passionale cui fa da
contraltare il crescendo
della tempesta di neve
all’esterno e ancora il colpo
di scena con l’irruzione di
Rance. Segue, nel finale
dell’atto, la scena maggiormente straordinaria sul
piano drammaturgico, la
partita a carte in cui
Minnie mette come posta
se stessa e Johnson. Qui
Puccini (grande giocatore
di carte) inventa una delle
scene forse più geniali del
suo teatro nella quale la
musica cadenza la crescente tensione del gioco
con efficacia.
Infine, nel terzo atto, da
segnalare l’arrivo di
Minnie a salvare ancora
una volta Johnson dal
capestro. Altro momento
spettacolare in cui Puccini
tratta Minnie un po’ da
Walkiria, un po’ da pura
predicatrice (ma non
aveva lei barato nella partita per salvare, in fin dei
conti, un bandito?),
inserendo nel discorso
musicale reminiscenze
popolari come la canzone
nostalgica del minstrel
ripresa dal primo atto.
Happy end
Da notare l’happy end. Se
sul piano drammaturgico,
il riferimento può essere a
Tosca (la spettacolarità, la
complessità dei rapporti in
gioco, la crudeltà del
rivale, ecc.) manca qui la
conclusione tragica. Tutto
si stempera nel perdono e i
due amanti possono partire verso un’altra vita in
una sorta di idillico
“vogliamoci bene”. Il bene
insomma trionfa sul male
non attraverso la morte,
ma grazie all’amore. Il che
sembra
preludere
a
Turandot, anche se qui la
drammaturgia appare più
coerente e logica nel condurre lo spettatore verso
l’esito conclusivo.
Sottolineati gli aspetti
teatrali dell’opera, non si
può, infine, ignorare il valore della partitura musicale. Se non ci sono gli
slanci lirici pieni e trascinanti che altrove hanno
decretato il successo di
Puccini (ma alcune pagine
sono giustamente famose:
si ricordino, ad esempio,
“Che faranno i vecchi
miei” di Wallace, “Minnie
dalla mia casa son partito”
di Rance, “Laggiù nel
Soledad” di Minnie,
“Ch’ella mi creda” di Dick
Johnson) c’è tuttavia una
condotta armonica (elementi esatonali, richiami a
Debussy, ma anche a
Strauss), un’orchestrazione
solida e ricca, un modo di
fondere elementi folclorici
che fanno della nuova fatica del Lucchese un’opera
perfettamente calata nel
contesto europeo del suo
tempo, confermando il
ruolo che Puccini ormai da
tempo ricopriva nella cultura italiana, di leader abilmente aperto a recepire le
istanze più aggiornate e ad
inserirle nel proprio linguaggio teatrale.
Roberto Iovino
8
La Fanciulla del West
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Due protagonisti dell’
Colt e Winchester, fedeli ed inseparabili compag
C'
era una volta il
West, spazzato
dal vento di terre
lontane, lacerato dalle
deflagrazioni leggendarie
delle pistole Colt e dei
fucili Winchester. Armi
«giustiziere» o «portatrici
di eguaglianza», ma in
ogni caso fedeli compagne
di un giovane popolo teso
alla conquista del suo
spazio vitale.
Fin dalle prime bocche da
fuoco del XIV secolo, le
pistole hanno svolto un
ruolo importante nell'evolversi della storia. Tra i
marchi più famosi ha
un posto d'onore la
Colt: fin dalle prime
prove sul campo, nel
1873, passando alle
azioni di frontiera in
Texas e Florida; dalla
Guerra civile, poi al
fianco dei soldati
americani con il mitico
modello 1911, (che
rimase in servizio fino al
1985 quando fu sostituito
dalla Beretta 92 F), le armi
Colt hanno avuto un
seguito entusiasta tra cacciatori, tiratori e intenditori. Soprattutto, sono
entrate nella storia per la
geniale innovazione tecnica apportata dal loro
inventore, fondatore di
una fabbrica che sarà legata a doppio filo al progresso industriale americano.
Nasce il «revolver»
Samuel Colt, figlio di un
piccolo uomo d'affari attivo nel campo della seta,
era quello che si dice un
ragazzino sveglio, naturalmente portato per le scienze, la meccanica e l'avventura.
Appassionato di armi fin
da piccolo, all'età di sedici
anni, durante una traversata per mare, forse ispirato dal sistema di spinta
della ruota del piroscafo,
maturò l'idea dell'arma da
fuoco a rotazione.
Fino ad allora il numero di
colpi di un'arma coincide-
va con quello delle canne:
generalmente era una sola,
spesso due, al massimo tre,
salvo alcune esagerazioni
poco diffuse, come le
cosiddette «pistole a piede
d'anitra» (con quattro o
più canne disposte a ventaglio su di un piano orizzontale che sparavano contemporaneamente) o il
fucile a sette canne, dell'inglese Manton.
Samuel Colt
disporre una nuova cartuccia pronta allo sparo.
Il modellino di tamburo di
Colt era però ad avancarica e le camere di scoppio
dovevano essere caricate
ancora con i vari elementi
separati (capsule, polvere e
pallottole).
Il ragazzo mostrò il progetto ai parenti, che lo
indussero a presentare la
domanda di brevetto
provvisorio ed a tentare
addirittura il deposito dell'invenzione.
Per
finanziare
la
costruzione dei primi
prototipi, Sam Colt
dedicò i quattro anni
successivi a un'insolita attività: girava
in lungo e in largo
tra gli Stati Uniti e il
Canada
tenendo
conferenze dimostrative sugli effetti del
gas esilarante, che era
utilizzato come analgesico e aneste-tico.
Con i guadagni sul gas
esilarante fece realizzare
dai migliori armaioli di
Hartford e Baltimora i prototipi di almeno nove carabine e sedici pistole. Nel
1832 la prima pistola
«Colt» era completa, ma al
collaudo esplose al primo
sparo: la fiammata di
ritorno aveva fatto scoppi-
La Colt Dragoon; Third Model, la Pocket Mod. 1849 (al centro) e la Army
are anche le altre cartucce.
Le
carabine
invece
andarono
decisamente
meglio.
Le prime pistole Colt sparavano in «singola azione»
(si doveva cioè armare il
cane con il pollice prima di
ogni colpo).
Con l’affermarsi della
«doppia azione» (il cane è
riarmato dalla stessa pressione del dito sul grilletto)
il revolver raggiunse una
stabilità evolutiva, rima-
Il giovane Colt gia durante
il viaggio diede subito
corpo alla sua geniale intuizione intagliando nel
legno un modellino di
quello che sarà il primo
meccanismo a tamburo:
un elemento cilindrico
che ruota attorno ad un
asse centrale, solidale
con l'intelaiatura dell'arma. Il tamburo, inserito
tra la canna e il cane è
provvisto, sulla sua circonferenza, di fori passanti longitudinali per
l'alloggiamento delle
cartucce.
Il movimento manuale
di armamento del cane
faceva ruotare il tamburo nei cui alloggiamenti si era precedentemente preparata la capsula di innesco, la polvere e la pallottola. In
questo modo la pistola
poteva rapidamente pre- Dall'alto: Henry n.9. Sotto due preziosi Winchester incisi da Gustav Young
nendo sostanzialmente
inalterato fino ai nostri
giorni. Nel 1836, Colt aprì
una linea di produzione a
Paterson da cui uscì il
modello che portava
questo
nome,
mod.
«Paterson», appunto. Il
primo contratto di fornitura al governo degli Stati
Uniti si sarebbe firmato
però solo dieci anni dopo,
il 4 gennaio 1847, per il
modello «Walker», arma di
grandi dimensioni in calibro .44.
Nel 1846, a conclusione della guerra
messicana,
un
catena di eventi in
rapida
successione fece crescere
la domanda di
armi.
La corsa all'oro in
California, l'espansione pionieristica
verso Ovest, la
crescente inquietudine sulla questione degli schiavi,
il banditismo diffuso e un'organizzazione
sociale
totalmente indisciplinata, furono circostanze
che
favorirono la dif-
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La Fanciulla del West
9
epopea del West
gni della corsa all’oro
fusione commerciale delle
Colt. Oltre ai
due
modelli
Walker
e
Dragoon, Colt
volle diversificare la produzione con
altri modelli
tascabili.
Taluni modelli
erano decorati
ad incisione in
modo elegante
e
venivano
molto apprezzati
dalla
miglior società
americana ed
europea.
Preziosi esemplari «da regalo» erano conservati in astucMod. 1860
ci in palissandro
foderati di velluto, con finiture in alpacca e ottone
argentato.
Tra i modelli più importanti prodotti dalla Colt's
Manufacturing Company
figura la Colt Single Action
Army del 1873, che fu,
insieme alla carabina Winchester, una delle armi
tipiche del Far West.
Il mito del Winchester
Ideale pendant della Colt,
questa carabina fu progettata dal famoso costruttore
d'armi Oliver Winchester.
La sua industria fu la prima
a produrre fucili a ripetizione con un meccanismo
di ricarica a leva da
azionare con la stessa mano
che premeva il grilletto:
tirando in basso e in avanti
la leva, si arretrava l’otturatore per cui il bossolo della
cartuccia appena sparata
veniva espulso ed un'altra
cartuccia immessa in canna.
Il primo modello fu il
Winchester 1866, ispirato al
similare fucile Henry, della
«Henry Repeating Rifle
Company». Fabbricato in
circa 13.000 esemplari,
l'Henry era stato adottato in
alcuni esemplari nella
Guerra di Secessione. Per
quanto un fucile a ripetizione, in guerra, fosse un
grande vantaggio rispetto
ai fucili a colpo singolo allora in dotazione, venne giudicato dalle autorità militari
troppo delicato e costoso.
Aveva alcuni difetti: primo
fra tutti una certa tendenza
ad incepparsi, a causa del
sistema di caricamento non
ancora perfezionato.
Inoltre era privo di un'astina guardavano, per cui
dopo un certo numero di
colpi era impossibile da sorreggere, a causa dell'eccessivo surriscaldamento della
canna.
Oliver Win-chester rilevò
l'azienda
produttrice
dell'Henry e, pur mantenendo l'esteriorità del vecchio fucile, apportò alcune
fondamentali modifiche,
come l'adozione di un
guardamano in legno, l'abolizione della fessura del serbatoio, l'adozione di una
finestrella di caricamento
sul lato destro del fucile e
l'uso di cartucce a percussione centrale.
Quest'ultima modifica sortì
anche l'effetto di migliorare
le prestazione dell'arma. Il
mod. 1866 fu, insieme al
1873, protagonista della
conquista dei territori occidentali: appena due anni
dopo l'inizio della sua produzione era già noto con il
nomignolo di «Yellow Boy»
per il colore giallo dell’ottone del castello.
Gli indiani lo chiamavano
«Grande fuoco» o «Molti
colpi» e fu tra le armi che i
guerrieri Sioux impugnarono
nella
famosa
battaglia di Little Bighorn,
in cui furono massacrati i
268 uomini del generale
Custer, che si difendevano
sparando a colpo singolo
con lo Spriengfield in
dotazione alla cavalleria.
La miriade di varianti delle Colt Single Action, tutte dotate di canna da 7,5' pari a 19,05
tive e cacciavano essenzialmente per nutrirsi e
vestirsi.
Con l’arrivo dei «visi pallidi» l’equilibrio si spezzò e
gli indiani cominciarono
ad intensificare la caccia
per scambiare pelli con i
manufatti europei, soprat-
tutto fucili Winchester. Nel
sud ovest degli odierni
Stati Uniti, gli animali
preferiti dai cacciatori
indiani erano il cervo, l’antilope, il coniglio, il tacchino e nelle zone orientali il
grosso bisonte.
Sotto
i
colpi
del
Roosvelt e Buffalo Bill,
due grandi cacciatori
Prima dell’arrivo dei
bianchi i cacciatori indiani
utilizzavano armi primi-
Il colonnello William Cody detto Buffalo Bill in una fotografia
scattata a Parigi nel 1889
Winchester, caddero centinaia di migliaia di bisonti,
cacciati spietatamente dai
bianchi anche per privare
gli indiani di una loro
importante fonte di nutrimento. In numero di questi
passò in pochi anni da
sette milioni a 40.000 capi.
Solo il colonnello William
Frederick Cody, alias
Buffalo Bill, si vantava di
averne abbattuti oltre 4000;
egli fu un fanatico ammiratore dei Win-chester e
ricordava come uno di essi
gli avesse salvato la vita da
un orso inferocito.
Il presidente americano
Theodore Roosvelt (18581919), grande appassionato di balistica e di caccia,
scriveva : «Il Winchester è
senza dubbio l'arma
migliore che io abbia mai
avuto. E' comodo da
portare, sia a piedi sia a
cavallo, e si porta facilmente alla spalla come un
fucile a pallini; è assolutamente sicuro e il rinculo
non scuote e non interferisce con la mira, mentre
riesce a sparare tanto lontano quanto si può
mirare».
Andrea Cionci
10
La Fanciulla del West
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Per la musica nuovi grandi mercati d’inizio secolo
L’America, nuova Mecca dell’opera italiana
«I
eri di mattino ho provato la “Wally” in orchestra […] iersera alle 9
prova generale di “Ballo in
maschera” che va benissimo.
Ora vado alla prima generale di
“Wally” e stasera première.
Domani generale di “Traviata” e
domenica matinée di “Ballo” e
prima di “Bohème”… ».
Scriveva così il direttore
d’orchestra Gino Marinuzzi ai
familiari l’8 maggio 1912 da
Buenos Aires. Un tour de force
notevole che non era tuttavia un
caso isolato. L’anno prima, ancora da Buenos Aires, Pietro
Mascagni informava i suoi di
aver messo su Aida, Lohengrin,
Bohème e Trovatore in otto
giorni!
Ai primi del Novecento
l’America (del nord come del
sud) rappresentava la nuova
Mecca per i musicisti non solo
italiani. Un significativo “spostamento” geografico rispetto al
passato. Se nel Settecento il centro musicale per tutta Europa, in
campo operistico era stata
Napoli con i suoi quattro
Conservatori, punti di riferimento essenziale per qualsiasi
musicista (e non a caso, il piccolo Amadeus vi era stato condotto dal padre in uno dei suoi tre
viaggi in Italia), dalla fine del
XVIII secolo capitale del teatro
musicale era divenuta Parigi. Lì
occorreva andare per conquistarsi fama internazionale. E lì
andarono Cherubini, Rossini,
Donizetti, Verdi, lo stesso
Wagner. Se prima autori
stranieri scrivevano opera in italiano (Mozart, ma anche Gluck e,
più indietro, Haendel), adesso
occorreva usare la lingua
francese e adeguarsi alle strutture formali dell’opera-comique
o del grand-opera.
Parigi fu l’incontrastato centro
teatrale europeo per tutto
l’Ottocento e per il primo
Novecento (si pensi ancora ai
primi decenni del XIX secolo con
la vulcanica attività dell’avanguardia, da Ravel a Stravinskij,
da Satie ai Cinque, con il contorno di Picasso, Cocteau,
Diaghilev, Massine), ma sul
piano più propriamente economico l’interesse degli editori
cominciò a spostarsi oltreoceano, dove esistevano grandi
teatri (il Colon di Buenos Aires,
ad esempio) in grado di offrire
affari vantaggiosi e dove si stavano ingrandendo le comunità
europee (e quella italiana in particolare).
Così le navi che dall’America
portavano le esperienze jazz,
dall’Italia trasportavano interi
complessi teatrali per tournée di
mesi destinate a segnare un
nuovo capitolo nella storia dell’opera italiana. Direttori come
Toscanini e Marinuzzi raccolsero
trionfi mettendo su stagioni
d’opera con velocità sorprendenti. I lunghi viaggi per mare
servivano come periodi di prove
intense, i cantanti passavano da
un titolo ad un altro senza alcun
problema. Anche Mascagni visse
l’esperienza di Marinuzzi e di
Toscanini e anticipò Puccini nel
portare un’opera oltreoceano in
prima assoluta. Il 2 giugno 1911
al Coliseo di Buenos Aires
debuttò infatti Isabeau su libretto di Illica con due grandi nomi
della lirica del tempo come
Maria Farneti e Carlo Galeffi.
R. Iov.
Il teatro sede della prima rappresentazione di “Fanciulla”
Metropolitan Opera, tempio newyorchese del melodramma
L
a fanciulla del West di Giacomo
Puccini fu rappresentata per la
prima volta il 10 Dicembre 1910
al Metropolitan di New York diretta
da Arturo Toscanini. Puccini in quel
teatro farà debuttare otto anni dopo, il
14 dicembre 1818, anche le tre opere
che compongono Il Trittico (Il tabarro,
Suor Angelica e Gianni Schicchi).
Fondato
nel
1880,
il
primo
Metropolitan Opera House, nato su
disegno J. Cleaveland Cady, fu inaugurato il 22 Ottobre del 1883 ed era
situato tra la 39ma e la 40ma strada a
Il vecchio Metropolitan Theatre e Brodway Avenue a New York
Broadway. Ma ebbe vita breve, solo
piazza ubicata all’incrocio tra Broadway e
nove anni, poiché il 27 Agosto 1892 fu disColumbus Avenue, si demolì un intero vectrutto da un incendio, cosa frequente nei
chio quartiere popolare dell’Upper West
teatri dell’epoca. Dopo ampi rifacimenti
Side. La costruzione iniziò nel 1959, sotto la
continuò a essere utilizzato fino al 1966,
direzione generale dell’architetto Wallace K.
quando si spostò nell’attuale moderna sede
Harrison e proseguì nel corso degli anni
del Lincoln Center.
Sessanta e Settanta. Finanziamenti pubblici
Il Lincoln Center for the Performing Arts,
vennero erogati solo per l’acquisto del terubicato a Manhattan, nell’Upper West Side,
reno, mentre la costruzione fu finanziata da
tra Broadway, la Amsterdam e la Columbus
privati (tra cui il magnate John D. Rockfeller
Avenue, è il più grande centro culturale di
III, presidente del comitato per la realizNew York dedicato alle arti drammatiche
zazione). I singoli edifici che lo compon(teatro, opera, danza e concerti) e può
gono, la cui pianta è ispirata al disegno di
ospitare nelle numerose sale contempoMichelangelo
per
la
piazza
del
raneamente 15.000 spettatori. Vi lavorano
Campidoglio a Roma, furono disegnati da
6.000 persone ed ogni anno si tengono 3.000
progettisti diversi anche se, grazie al loro
manifestazioni che richiamano oltre 5 milaspetto classicistico, riuscirono a fondersi in
ioni di spettatori (dei quali il 50% proveniun insieme architettonico omogeneo. Per il
enti da fuori New York e il 15% dall’estero).
rivestimento delle facciate degli edifici è
Per edificare questo complesso, che deve il
stato utilizzato il travertino italiano, giudisuo nome alla Lincoln Square, una piccola
cato il meno sensibile agli effetti di smog
e polvere.
Il Metropolitan Opera, anche chiamato
Met - progettato come altri edifici da W.
K. Harrison - è stato inaugurato nel
1966. L’auditorium interno, decorato in
legni africani, dispone di 3.800 posti e si
caratterizza per le sue cinque alte arcate.
Il proscenio è largo 16 metri e alto 16 ed
il sipario principale, damascato d’oro, è
il più grande del mondo. Il palcoscenico
è altamente tecnologico, tanto che ogni
settimana possono essere rappresentate
4 o 5 produzioni differenti. Il vasto foyer
è decorato da due grandi pitture murali
di Marc Chagall, Les sources de la
musique e Le triomphe de la musique, visibili di notte anche dall’esterno.
Al Met, che è senza dubbio il più famoso
teatro lirico americano, indimenticabili
sono state le 374 esibizioni, dalla Tosca alla
Bohème, da Elisir d’Amore a La Figlia del
Reggimento di cui Luciano Pavarotti è
stato protagonista dal 1969. Ma quel palcoscenico ha decretato anche la fine della
sua carriera dopo il suo forfait per una leggera influenza in Tosca, annunciato – come
tre giorni prima - 50 minuti prima dello
spettacolo l’11 Maggio 2002, giornata di
chiusura della stagione. Ma fu soprattutto
il rifiuto di presentarsi sul palco per scusarsi, ad essere accolto da disapprovazione in
sala e da un titolo cubitale di un quotidiano
americano: “Vergogna!”.
Al. Mo.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La Fanciulla del West
11
Per lui Puccini scrisse il ruolo di Dick Johnson
Enrico Caruso, ovvero la
perfezione del Belcanto italiano
L
a Fanciulla del West
fu in qualche modo
scritta da Giacomo
Puccini per lui, già idolo
dei teatri della lontana
America
e
del
Metropolitan di New York
in particolare, con il quale
aveva un contratto dal
1903. Parliamo del tenore
dei tenori: Enrico Caruso
(Napoli, 25 febbraio 1873 –
Napoli, 2 agosto 1921),
colui che seppe esprimere,
come nessun altro, lo
struggimento sensuale e la
passionalità dei personaggi pucciniani e veristi.
Dotato di una voce eccezionale, che univa alle
solari vibrazioni tenorili
un'inconfondibile brunitura baritonale, Caruso possedeva a fondo l'arte del
fraseggio che riluceva particolarmente nel repertorio
verdiano. A Milano l'11
aprile del 1902 incise dieci
dischi con arie d'opera per
conto della casa discografica inglese Gramophone &
Typewriter Company. Fu il
primo cantante a cimentarsi nella nuova tecnologia,
fino ad allora snobbata da
molti altri suoi colleghi e
questo determinò il suo
successo e quello della casa
discografica.
Di lui lo scrittore austriaco
Joseph Roth disse: «Sarebbe
diventato cantante anche se
fosse venuto al mondo senza
corde vocali».
Infatti, sebbene fosse stato
generosamente dotato da
Madre Natura, il suo successo fu dovuto soprattutto ad uno studio intelligente e critico, da autodidatta.
Agli inizi la vocalità di
Caruso era poco potente,
facile all'incrinatura sugli
acuti
e
decisamente
“corta”, sì che, a volte, un
semplice la naturale poteva
causargli delle difficoltà.
Tuttavia, con l'applicazione e una ferrea volontà,
arrivò a sviluppare una
personale tecnica vocale
ispirata ai dettami dell'antica scuola italiana del
Belcanto, una tecnica di
canto virtuosistico caratterizzata dal passaggio omogeneo dalle
note gravi
alle acute e
da agilità nell'ornamentazione e nel
fraseggio.
Ancor oggi
rimane fondamentale
quanto egli ci
ha lasciato
sulla didattica e sulle
caratteristiche tecniche
ed artistiche
del canto italiano.
La sua evoluzione canora
partì inizialmente da un repertorio di
tenore leggero. Tuttavia si
sentiva stretto nel modello
di tenore di grazia che a
fine '800 faceva furore,
tanto che gli altri allievi del
suo maestro, lo chiamavano “tenore vento” per gli
artificiosi, leziosi schiarimenti timbrici a cui cercava di adeguarsi, ma che
pesavano a una voce di
spessore
drammatico
come la sua.
Caruso dimostrò in modo
definitivo come la tecnica
belcantistica non obblighi
il cantante a una limitazione delle proprie potenzialità vocali o alla ghettizzazione all'interno di un
ristretto repertorio, un
falso mito che ancor oggi nonostante il suo esempio
- resiste. Al contrario, l'adozione dell'antica tecnica
italiana portò Caruso a
quello che è stato definito
«il felice ossimoro di un verismo belcantistico».
Le possibilità di questa
impostazione
vocale,
rispettosa della natura e in
armonia con il corpo
umano furono portate
all'estremo - o forse sarebbe meglio dire, a compimento - da Caruso, consentendogli di spaziare
senza problemi da ruoli
molto «spinti» come Otello
o Canio dei Pagliacci, al
Don Ottavio, del mozartiano Don Giovanni, e perfino
alle canzoni napoletane, di
cui fu un sensibilissimo
interprete “di madre lingua”.
La sua tecnica gli consentì
inoltre di riprendersi pienamente dopo alcune crisi
vocali e persino dopo un'operazione alla laringe.
L'impostazione belcantista
conduce soprattutto al
suono di “libera risonanza”
che crea un senso di stupore, quasi mistico, nel pubblico; come avveniva, del
resto, per gli spettatori di
Caruso, ogni volta rapiti
da suoni e inflessioni che
sembravano provenire da
un altro mondo.
Il dilemma secondo cui
certa musica sia nata per
l'inarrestabile evoluzione
tecnica degli strumenti o se
invece sia stata la fantasia
dei compositori a richiedere ai costruttori nuove tecniche e nuovi mezzi
espressivi, sembra non trovare una risposta univoca.
Certo è che i due aspetti si
sono da sempre influenza-
Enrico Caruso nel 2° atto Fanciulla del West al Met nel 1910
ti reciprocamente. Mentre,
(soprattutto nel Nord
Europa), volenterosi organologi hanno indagato
scientificamente l'evoluzione tecnica degli strumenti in relazione all'evoluzione del gusto musicale, questo è avvenuto in
forma molto minore nella
musica vocale, poiché
risulta molto difficile mettere su carta quegli ineffabili meccanismi di muscoli
per la maggior parte involontari e quel mondo di
sensazioni che rimangono
per larga parte patrimonio
intuitivo e soggettivo del
cantante. Sensazioni che
vengono
tramandate
secondo un codice spesso
immaginifico ed enigmatico: pochi punti fermi,
peraltro in certi casi ferocemente dibattuti (pensiamo
ai concetti tradizionali di
appoggio, sostegno, maschera
etc.), con un florilegio di
metafore, a volte persino
ridicole, tutto per indurre
un naturale perfetto equilibrio pneumofonico conquistato intuitivamente dal
cantante, solo, (e non sempre) dopo molti anni di
studio.
Tutti i tentativi di scientizzare la didattica del canto
hanno fallito miseramente.
L'insegnamento del canto
rappresenta forse la soglia
metafisica dell'organologia. Del resto, la voce
umana è l'unico strumento
che non è stato costruito
dall'uomo…
Non possiamo comunque
immaginare che Puccini
avesse scritto la parte di
Dick Johnson solo per un
unico cantante miracolato
dal Cielo. Evidentemente
anche lui, come altri intelligenti autori coevi, aveva
compreso che l'antica arte
del belcanto italiano, avrebbe potuto spingersi a sostenere ruoli così impegnativi,
come Caruso aveva confermato e dimostrato.
Andrea Cionci
12
La Fanciulla del West
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La vicenda a tinte fosche che
La brutta storia del
Elvira Bonturi Puccini
S
trettamente legate
alla composizione
di Fanciulla del
West, sono le vicende
sentimentali di Puccini
nei primi anni del nuovo
secolo. Continuavano le
ripetute crisi con la
moglie Elvira per la
gelosia di questa, che il
compositore aveva conosciuto subito dopo la
morte della madre il 17
luglio 1884. Puccini
aveva 27 anni e lei 25.
Elvira Bonturi (1860 –
1930), anche lei lucchese,
all’età di diciannove
anni aveva sposato il
commerciante in coloniali
Narciso
Germignani, da cui ebbe
due figli, Fosca nata nel
1880 e Renato (18851957). Con Puccini iniziò
una storia passionale
fino a quando la donna
nei primi mesi del 1886
rimase incinta. Da qui la
fuga nell’estate 1886
quando lo stato di gravidanza cominciava ad
essere evidente, poi la
nascita di Antonio (23
dicembre 1886) e la decisione di convivere. Dopo
una serie di vicende, nel
Corinna). In quei primi
mesi del 1903, proprio
per far fronte alla malattia del Maestro, venne
assunta dai Puccini una
nuova cameriera, la
diciottenne
Doria
Manfredi (1885 – 1909).
Un vero dramma in
famiglia
Il rapporto con la moglie
Elvira si stava disgregando, soprattutto per la
pressante gelosia divenuta soffocante, soprattutto da parte di una
donna che voleva stare a
fianco di un grande
uomo, apprezzato in
tutto il mondo. In effetti
Puccini non si era mai
lasciato sfuggire alcuna
occasione con le donne,
da lui sempre elevate a
specchio del bello e della
passione. Elvira cominciò ad essere gelosa della
giovane bellezza di
Doria fino a licenziarla,
affermando di averla
colta in flagrante con
Giacomo. Arrivò ad
accusarla pubblicamente
diffamandone la reputazione con chiunque le
desse ascolto: il parroco,
il droghiere, i barcaioli.
Doria in realtà aveva
solo tenuto sporadici
contatti tra il Maestro e
la propria cugina Giulia
Manfredi, con la quale
poi, negli anni successivi, Puccini intratterrà un
rapporto dal quale, si
dice, sia nato nel giugno
del 1923 - diciassette
mesi prima della morte
del Maestro – Alfredo,
morto in povertà nel
1998. Doria,
però,
diventò lo zimbello del
paese, la meretrice di
Torre del Lago, finché il
23 gennaio 1909 ingerì
alcune pastiglie di sublimato. Nell’apprendere
la notizia, Puccini, che si
trova a Roma, ne è sconvolto: «Se si arriva in
tempo! questo pensiero è
tremendo - vedo distrutto tutto per me famiglia
pace - addio mio Torre
1891 si trasferirono a
Torre del Lago. I suoi
viaggi cominciarono a
far nascere la gelosia in
Elvira.
In
effetti
Giacomo, che iniziava a divenire famoso,
non si risparmiava
qualche piccola relazione, come quella
con la c.d. Corinna,
conosciuta il 19 febbraio 1900 mentre si
recava a Torino per
una rappresentazione
di Tosca. Relazione
che dovette interrompersi – con uno strascico legale di rivendicazione di una promessa di matrimonio
– a causa della forzata
immobilità di Puccini
dopo
l’incidente
automobilistico del
25 febbraio 1903. Il
giorno
successivo
giunse la notizia della
morte del marito di
Elvira, la quale diveniva così formalmente libera di sposare
Giacomo (cosa che
avverrà il 3 gennaio
1904 nella chiesa di
Torre del Lago suscitando le ire della Puccini dopo l’incidente automobilistico del 1903
del Lago per sempre! ...
tutto è sfacelo - e i rimorsi prenderanno tutti.
..ma gli altri non hanno
anima. ..Io sarò il più
infelice di tutti - Povera
Doria così buona così
dolce e affezionata!» (a
Bettolacci, 26 gennaio
1909). Ma non si arrivò
in tempo e Doria morì il
giorno 29 dopo terribili
sofferenze. Nei giorni
successivi Carlo Marsili,
figlio della sorella maggiore di Puccini Nitteti,
raggiunse lo zio a Roma
e ne informò la zia
Ramelde in una lunga e
accorata lettera: «Povero
Giacomo! che pena mi
faceva. La mattina che lo
vidi, non lo avrei riconosciuto. Pareva un vecchio! E per tutto quel
giorno si diede a mangiar dolci e paste per
morire. La mattina mi
svegliavano i suoi sospiri e i suoi pianti. Girava
per camera come un
matto. Mi raccontò poi
che il giorno innanzi,
appena ebbe la notizia
telegrafica da Emilio
[Manfredi]
della
morte, se non fosse
stato in compagnia si
sarebbe ammazzato. E
quella
[Elvira]
a
Milano che rise insieme con la figlia all’annunzio della morte di
quella povera disgraziata!!!» (C. Marsili a
Ramelde Franceschini,
9 febbraio 1909).
Puccini uscì distrutto
dalla notizia, lui che
aveva preferito viaggiare dietro alla sue
opere pur di stare lontano dalle smanie
ossessive
della
moglie, veniva colpito
dal braccio assassino
delle angosce. Così
scrisse alla sua amica
londinese,
Sybil
Seligman: «Elvira ha
seguitato a perseguitare quella povera
ragazza impedendole
persino di passeggia-
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La Fanciulla del West
13
precedette ed influenzò “Fanciulla”
la cameriera suicida
re, diffamandola per
tutto il paese: colla
madre, coi parenti, col
prete, con tutti. Tutti i
parenti e gli amici miei e
io compreso le dicevamo
di farla finita e che si calmasse. Le non ha ascoltato
nessuno.
(...)
Incontrò la Doria - la
offese pubblicamente in
strada in presenza di
altre persone (...) insomma la povera Doria
aveva l’inferno in casa, il
disonore fuori ancora le
offese di Elvira nelle
orecchie; in un momento
di grande sconforto
ingoiò tre pastiglie di
sublimato e morì dopo
cinque giorni fra atroci
spasimi (...)».
Puccini non ne poteva
più. La moglie era
diventata per lui una
persona da temere, una
minaccia anche fondata
visto che la brutta storia
montata da Elvira finì
con il colpire la reputazione dell’uomo ed
anche del compositore,
al punto di meditare persino di separarsi, azione
che non porterà mai a
compimento non amando dare forti scossoni
alla sua vita. Così scriveva all’amico Antonio
Bertolacci: «(...) Io sono
la stessa anima persa - e
triste - forse inguaribile!
- tu sapessi che momenti
passo! Alla sera mi sembra di non poter durare
mi addormento a forza
di sonniferi! di lavorare
non se ne parla - Ma è
vero che a Torre s’è cambiata l’opinione per me?
così me lo scrive Caselli!
Penso che siano parole
scritte da mia moglie da
informazioni dei sui
spioni (...)» (G. Puccini a
A. Bertolacci, 13 febbraio
1909).
Poiché a Torre del Lago
si sparse la voce che la
cameriera era morta in
seguito a un aborto, per
evitare spiacevoli equivoci Elvira partì subito
per Milano, mentre
Giacomo, sempre da
Roma, si rivolse all’avvocato Nasi che, da
Torre del Lago, gli scrisse: «Non ti nascondo che
era per me una grave
preoccupazione la voce
corsa (e di cui mi parlava
una lettera che ti mostrerò) che si trattasse di
aborto ecc., ormai ogni
dubbio anche lontano è
svanito ed è rimasta
ormai assodata la integrità assoluta di quella
povera creatura».
Elvira aveva esagerato a
punto tale che un’autopsia fatta sul corpo della
giovane Doria rivelò che
la ragazza era vergine.
Nasi poi rassicurava
Puccini sul benevolo
atteggiamento del paese
nei suoi confronti, e
invece sui «sentimenti
ostilissimi» nei confronti
di Elvira; annunciava
come inevitabile «un
sacrificio di denaro» in
vista della prevedibile
invece restarci dopo un
certo lasso di tempo.
Continuare a vivere col
veleno quotidiano è
impossibile. Non sistemare le cose solennemente sarebbe una follia» (Nasi a Puccini, 31
gennaio 1909).
II 1° febbraio 1909
Rodolfo Manfredi, fratello di Doria, querelò
per diffamazione Elvira.
Il processo venne fissato
per il 6 luglio 1909 presso il Tribunale Penale di
Lucca.
Puccini non risparmiava
Elvira, alla quale rivolge
lettere durissime: «Non
ho voglia di polemicare Mi scrivi una lettera che
non meriterebbe neppure una risposta tanto è
ingiusta e falsa - falsa
per le cose che dici a mio
riguardo - Io riparare al
male che ho fatto? questa è enorme! Tu colla
tua gelosia morbosa col
tuo entourage mi hai
avvelenato l’esistenza e
Doria Manfredi
azione giudiziaria per
diffamazione da parte
dei parenti di Doria contro Elvira, e soprattutto
consigliava «una separazione legale [. ..]. Ormai
la moglie tua non può
più tornare giù. Tu devi
pretendi che io mi prostri chiedendoti scusa,
sei Pazza! E bene fa
come credi - io parto
dolente di aver trovato
in te la medesima creatura fatta di puntigli
superbi e infarcita di
Giacomo Puccini a Torre del Lago
cose false tu sai la verità
su tutto ma la nascondi
non puoi convenirne e
cerchi caricarmi le spalle
di cose che io non ho
commesse per
coprire altri Se vuoi tornare con me,
dopo il processo, sarò sempre
pronto
riprenderti - e
se vuoi difenderti come tu
dici fallo pure
io non ho nulla
a Temere nulla!
1000.000 persone son lì, ad
attestare l’onestà e la probità
e la sincerità
della mia vita d’uomo e di
artista».
(G.
Puccini
a
Elvira Bonturi, 12
giugno 1909).
Forse mal consigliata dai
suoi avvocati, anche di
fronte al giudice Elvira
continuò ad accusare
implacabilmente Doria
e, non avendo alcuna
prova da addurre, venne
condannata per diffamazione, ingiurie e minacce
a 5 mesi e 5 giorni di prigione, a 700 lire di
ammenda e al pagamento delle spese processuali. I suoi avvocati ricorsero in Appello, che venne
fissato per il 21 luglio
seguente, ma nel frattempo Puccini ebbe un
incontro con i familiari
di Doria e, dopo aver
versato la somma di
12.000 lire, ottenne il
ritiro dell’accusa. Il 2
ottobre
la
Corte
d’Appello archiviò il
procedimento.
Puccini si rifugiò a Torre
del Lago lasciando
Elvira
a
Milano.
Lentamente riprenderà
la triste routine di un
falso ménage di coppia,
proprio come scriveva
lo stesso Puccini confessandosi con l’amico
Bertolacci: «(...) ormai
siamo qui, noi due, sposati per sempre. Siamo
qui con questo cattivo
amore che non tornerà
più quello di prima e
chissà che anche prima
non fosse cattivo».
Andrea Marini
La Fanciulla del West
14
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Fenomeno esplosivo nella California di metà Ottocento
Quella “febbre dell’oro” creò un Paese
ma distrusse molte vite
alifornia, gennaio
1848: per la prima
volta in quella
terra lontana viene alla
luce un filone aurifero.
La notizia rimbalza di
paese in paese stuzzi-
C
(Sacramento è un tipico
esempio di centro urbano nato sulle fondamenta di un campo base dei
pionieri), e ancora banche, uffici e locali di
divertimento come i
cando la fantasia e l'ingordigia di migliaia di
persone, che accorrono
in massa da ogni angolo
d’America ed anche da
altri continenti, alla
ricerca di un rapido e
facile
arricchimento.
Purtroppo le cose non
andranno per tutti come
sognato: a fronte di
pochi fortunati che troveranno effettivamente
discrete quantità dell'agognato metallo, la maggior parte dei pionieri ne
trovò tanto quanto
bastava per sopravvivere alla giornata, senza
migliorare le condizioni
di
vita
precedenti.
Spesso si trattava di operai che lasciavano un
duro ma sicuro lavoro in
fabbrica. Si era, infatti,
nel
pieno
della
Rivoluzione industriale.
La grande massa di persone che in quel periodo
giunse in California,
diede un forte impulso
alla colonizzazione alle
terre di quello Stato.
Sorsero nuove città
famosi Saloon ed i bordelli, tutto in mezzo al
deserto. Conseguenza ne
fu che più dei cercatori
veri e propri furono fornitori e commercianti ad
accumulare grandi fortune, dando luogo ad un
importante
sviluppo
economico di quelle
zone fino allora emarginate.
Le origini della
“Febbre dell’oro”
Tornando alle origini del
fenomeno della c.d “febbre dell'oro”, fu un contadino,
James
W.
Marshall, che inconsapevolmente innescò questa
frenetica ricerca.
L'uomo era un dipendente dell'imprenditore
agricolo John Setter, il
quale aveva già realizzato una discreta fortuna
con l'allevamento del
bestiame e la coltivazione di frutta e vegetali.
Marshall stava ispezionando un canale presso
la segheria sul South
Fork
del
fiume
American, quando notò
un luccichio nell'acqua:
raccolto l'oggetto, non
più grande di un pisello,
scoprì che si trattava di
una particella d'oro. Ne
informò
subito il
padrone,
il quale
però
si
fece promettere
dallo scopritore di
non rivelare
il
segreto.
Lo spargimento
di
una
v o c e
simile
avrebbe
causato
presto
l'invasione del suo territorio da
parte di pionieri provenienti da ogni angolo
degli Stati Uniti. La
segretezza sul ritrovamento
durò
poco
tempo: quando la notizia fece capolino dalle
parti di San Francisco,
legioni di improvvisati
cercatori d'oro abbandonarono la città per recarsi sui luoghi della scoperta.
Per dare un'idea dell'effetto epidemico della
«soffiata», tra il 12 maggio 1848, (giorno in cui
trapelò la notizia), e il 15
dello stesso mese, la
popolazione di San
Francisco si ridusse da
600 maschi adulti ad
appena 200; entro giugno divenne una città
fantasma. Persino i giornali furono costretti a
chiudere. In seguito,
altri cercatori arrivarono da tutti i punti cardinali,
persino
dal
Messico e dalle Hawaii,
mentre dall'est, giunsero solo un anno dopo. In
effetti, le condizioni di
vita di operai e braccianti giustificavano il
rischio di un lungo
viaggio senza certezze:
un operaio di fabbrica
guadagnava un solo
dollaro al giorno, mentre un artigiano appena
50 cents in più. Il lavoro
di un cercatore era
altrettanto faticoso: ci si
spezzava la schiena
stando ore e ore curvi a
setacciare montagne di
terra, con l’occhio pronto ad individuare ogni
singola pagliuzza, ma
un colpo di fortuna
poteva significare la
svolta per tutta la vita.
Alcuni cercatori trovarono vene d'oro del
valore di centinaia o
migliaia di dollari, molti
altri si rovinarono a
causa di commercianti
senza scrupoli che speculavano indegnamente
sulle forniture ed i servizi. Un pasto preparato
per un minatore poteva
costare anche 25 dollari,
tori provenienti da paesi
diversi, come la Cina, il
Perù, il Messico ed il
Cile, giungendo ad omicidi e saccheggi. In
breve tempo tutto quello che poteva essere scavato a mano venne alla
luce, per il resto si
cominciarono ad utilizzare pesanti macchinari.
Coloro che avevano trovato l'oro poterono saldare i loro debiti ed iniziare una nuova vita
una volta tornati a casa.
Quelli che rimasero iniziarono lucrose attività
commerciali o coltivarono le fertili valli. I più
sfortunati morirono di
malattie come il colera
od a causa di incidenti
nei campi auriferi.
Nel 1855 dopo sette
anni, si pone il termine
convenzionale dell'ultima corsa all'oro californiana.
Già nel 1851 John Sutter
era pesantemente indebitato a causa dei danni
provocati dai pionieri
un prezzo assolutamente sproporzionato per
l'epoca.
nelle sue terre. Ormai in
rovina fu costretto a
lasciare la sua attività e
la California, il suo
impero agricolo.
Marshall, lo scopritore
dell'oro, ebbe anche lui
poco successo e morì in
povertà nel 1885, destino tragico comune a
molti di coloro che
erano stati preda della
“Gold Rush”, la Febbre
dell'oro.
Livio Magnarapa
Una lotta spietata
La competizione raggiunse livelli pericolosi:
vennero a crearsi dei
clan che reclamavano
ognuno a proprio favore
il diritto di scavo sulle
terre, a volte anche in
modo violento. Si accesero dispute con mina-
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Dal mondo della musica
15
Al Teatro Verdi di Salerno
Una stagione di grandi
appuntamenti
S
i alza il sipario sulla
nuova stagione di
grande musica al
Teatro Verdi di Salerno, da
alcuni anni in pieno rilancio.
Una sfida importante già
premiata con il ritorno della
lirica d'autore nella città
campana. Quella musica e
quell’imponenza scenica
apprezzata sia dai neofiti sia
dagli appassionati melomani e prescelte dal Maestro
Daniel Oren al suo secondo
anno di Direzione Artistica
del Teatro, faranno da cassa
di risonanza ad alcune tra le
più conosciuti titoli melodrammatici.
In cartellone cinque grandi
opere. Ad inaugurare la stagione il 9 aprile l’imponente
Tosca, firmata dal regista e
scenografo argentino Hugo
De Ana, con il soprano
cinese Hui He, diretta da
Miguel Gomez-Martinez.
Sarà poi la volta de La
Sonnambula (14 maggio)
con Annick Massis per la
regia di Riccardo Canessa e
de La Bohème il 9 ottobre
affidata
a
Lamberto
Puggelli, queste ultime
dirette dallo stesso Daniel
Oren.
Il 10 dicembre sarà sempre
Oren sul podio per la fastosa
Traviata, firmata da Franco
Zeffirelli, interpretata ancora dal soprano Annick
Massis assieme al baritono
Renato Bruson. Infine, il 21
dicembre l’originale e discussa Vedova Allegra, con la
regia e la partecipazione di
Vincenzo Salemme, che ha
chiuso fra molte polemiche
la scorsa stagione del teatro
dell’Opera di Roma.
Recital e concerti
Tre gli appuntamenti con
musicisti di livello internazionale.
Dapprima quello con il violoncellista Mischa Maisky,
che sul palcoscenico del
Teatro Verdi duetterà il 20
aprile con il pianista russo
Pavel Gililov. Sarà poi la
volta di Fazil Say (25 maggio) eccezionale pianista e
compositore turco e quindi
del tenore peruviano Juan
Diego Florez che si esibirà il
9 dicembre sulle più famose
arie operistiche.
In cartellone due grandi
concerti, quello diretto da
Salvatore Accardo (direttore
e solista) - previsto per il 6
giugno - con l’Orchestra da
Camera Italiana dedicato
alle quattro stagioni di
Vivaldi e quello dedicato a
Beethoven (5 ottobre) della
Symphonica
Toscanini
diretta da Lorin Maazel, per
la prima volta sul palco del
Teatro Verdi di Salerno.
Il 10 novembre, invece, l’appuntamento è con lo straordinario violino di Uto Ughi
accompagnato al pianoforte
da Alessandro Specchi.
I balletti
Un evento molto atteso è poi
sicuramente il Gran Gala
Roberto Bolle & Friends,
appuntamento con la danza
d’autore. Talento, presenza
scenica ed impeccabili esecuzioni tecniche i punti di forza
racchiusi in un unico nome: l’etoile Roberto Bolle affiancato
da primi ballerini internazionali provenienti dai maggiori
teatri del mondo (3 Maggio).
Mi. Ma.
Filatelia musicale
Novità in libreria
Un francobollo per i
duecento anni di Casa Ricordi
Una nuova collana
per guidare lo spettatore d’opera
Q
D
uesta volta è il caso di dirlo: un
francobollo per celebrare un mito.
Ed il francobollo è quello che è
stato emesso il 7 marzo per commemorare il bicentenario di fondazione della
Ricordi, la casa editrice musicale forse più
famosa al mondo, sicuramente quella più
legata all’opera italiana, dal Belcanto ai giorni nostri. Un “dentello”
del valore di 0,60 euro, stampato in rotocalco con una tiratura di tre
milioni e mezzo di esemplari, che riproduce in primo piano il logo
realizzato in occasione di questo bicentenario, mentre sullo sfondo è
raffigurato l’edificio del Teatro Alla Scala di Milano, che ospitava la
sede storica del negozio della Casa editrice.
La Ricordi fu fondata a Milano nel 1808 dal ventitreenne Giovanni
Ricordi (1785 – 1853). La sua storia e le sue fortune sono state legate
nell’Ottocento preminentemente al melodramma ed alle opere di
Bellini, Donizetti e quindi ed in particolar modo di Verdi e successivamente Puccini. Nel corso degli anni venne ampliata, anche con l’acquisizione di case editrici concorrenti, da Tito I (1811 –1888), Giulio (1840
– 1912) e Tito II (1865 – 1933) che mantenevano anche con i compositori della “scuderia” un rapporto molto diretto e personale.
In pratica Casa Ricordi finì per controllare e condizionare tutta la vita
musicale italiana a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Con il mutare dei tempi, l’azienda, guidata dal 1919 da vertici
estranei alla famiglia, si allargò in varie parti del mondo, divenendo
nel 1956 società per azioni ed affiancando alla classica attività editoriale nuovi settori, come la musica leggera e la produzione di dischi.
Nel 1995 l’azienda, pur mantenendo il suo nome, è stata acquistata
dal gruppo tedesco BMG.
Mi. Ma.
a Rossini a Verdi. Inizia con il grande melodramma ottocentesco italiano un nuovo viaggio nel mondo dell’opera. Si tratta di una
iniziativa dei “Fratelli Frilli editori” di Genova che ha
varato una collana di sei volumi, curata dal critico
musicale e nostro collaboratore Roberto Iovino (con
l’ausilio di vari collaboratori) e dedicata, appunto, al
teatro musicale, italiano e non.
In un momento in cui la lirica registra un confortante
incremento di pubblico, l’obbiettivo è offrire una
guida di consultazione rapida, tanto agli appassionati
melomani, quanto ai neofiti. Ogni libro, incentrato su
un delimitato periodo storico, propone un’antologia
di autori inseriti in ordine alfabetico. Per ogni compositore vengono analizzate le opere più significative
affrontando la trama e alcune considerazioni storico-stilistiche. Uno strumento
agile da portare con sè anche a teatro. Il primo volume, ora in libreria, è dedicato, appunto, al momento più importante del nostro teatro, l’Ottocento e porta la
firma di Iovino e di Giorgio De Martino. Tratta di 27 musicisti (Apolloni, Bellini,
Boito, Bottesini, Catalani, Coccia, Donizetti, Faccio, Gobatti, Gomes, Manfroce,
Marchetti, Mayr, Mercadante, Morlacchi, Pacini, Paer, Pedrotti, Petrella,
Ponchielli, i Ricci, Rossini, Spontini, Vaccaj, Verdi) per un totale di circa novanta
titoli. Il secondo volume (a firma Iovino e Francesca Oranges) uscirà in autunno
e affronterà il Novecento italiano. Di successiva redazione gli altri quattro volumi: “Da Auber a Wagner: i capolavori stranieri dell’Ottocento”, “Da Monteverdi
a Mozart: l’opera fra Seicento e Settecento”; “Strauss, Gershwin e il primo
Novecento straniero”, “Da Berio a Lloyd Webber: il secondo Novecento”.
“All’Opera – Da Rossini a Verdi: il grande ‘800 italiano” di Roberto Iovino e
Giorgio De Martino – Pag. 175 - € 11,50.
Fr. Pic.
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