SCIA DI SANGUE IN ALTO MARE
CAPITOLO 5
di Cristian e Veronica Papillo
Uno sguardo al mio orologio mi annunciava che saremmo dovuti rientrare in camera,
perché con i nostri ritmi ci sarebbero servite almeno due ore, prima di esser pronti per
la cena. Entrati in camera, trovammo le luci soffuse, sintomo che il nostro
maggiordomo era stato lì lasciandoci sul letto due cioccolatini fondenti al 75% di
cacao, i menu del ristorante e una rosa rossa in un bellissimo vaso decorato, posto sul
comò. Ci coccolavano e a noi piaceva. Certo, non potevano pensare che sarebbero
bastati due cioccolatini e una rosa a giustificare il prezzo di tutta la crociera, no?
Bussarono alla porta, aprii e feci conoscenza con il nostro concierge. Mi si presentò
davanti un ragazzo troppo scuro di pelle per appartenere alla parte superiore del
mappamondo, sui trent’anni, sbarbato alla perfezione e con una perfetta riga in mezzo
ai capelli unti di gelatina. Teneva le mani come se fosse in preghiera e non alzò mai
lo sguardo oltre le mie ginocchia.
-Buonasera Sir, mi chiamo Ramunhuel e sarò a vostra disposizione per tutta la durata
della crociera-, disse sempre fissandomi le rotule- mi potete cercare al numero 029
del vostro telefono interno. Arriverò velocissimo. Comunque non preoccupatevi, sono
sempre qui attorno. Avete tutto quello che desiderate?- sorrise forzatamente
mostrandomi i denti neri da masticatore di bastoncini di liquirizia.
-Sì grazie va benissimo così per ora-.
-Ricordatevi 029 ventiquattro ore su ventiquattro-.
-Ventiquattro su ventiquattro-, ripetei macchinoso.
-Non esiteremo a chiamarla. Grazie mille-, lo congedai con venti euro e chiusi la
porta. Alcune volte la loro professionalità valeva tutto il prezzo del viaggio. Se nel
cuore della notte ci sarebbe venuta voglia di una bottiglia di Krug e un vassoio di
canapè sono sicuro al cento per cento che Ramunhuel ci sarebbe stato.
-Amore cosa c’è di buono sul menù questa sera?- chiesi ritornando dalla mia metà.
-Una selezione di formaggi con marmellate e miele, risotto asparagi e tartufo e un
rollè di tonno pinne gialle mi sembrano le cose più invitanti. C’è tanto altro-,
consultava lo scritto senza alzare gli occhi nemmeno per rispondere, probabilmente
stava scegliendo quale bottiglia di vino rosso far stappare. Faceva finta di nulla ma
poiché oggi era il giorno del mio compleanno, ero certo che aveva organizzato
qualcosa, anche se lo stava nascondendo bene. Stetti al gioco. Mi si avvicinò e mi
diede un bacio sulle labbra iniziando a slacciarmi la camicia.
-L’acqua per l’idromassaggio adesso dovrebbe essere pronta-, alternò ogni parola con
un bacio, -ho messo i sali che abbiamo comprato la settimana scorsa, quelli alla rosa
selvatica-, il tono della sua voce era suadente tanto da far perdere la testa.
-Allora che stiamo aspettando?- la incalzai dandole una pacca sul sedere che lei
accolse di buon grado emettendo quel “ahi” che suonò più come un “grazie amore”,
che altro.
Portai in vasca l’itinerario delle escursioni previste per quel viaggio in modo da
prenotarle la sera stessa.
Mentre, sdraiati uno di fronte all’altro nella vasca, i suoi piedi mi sfioravano
facendomi felice, io cercavo di mantenere un minimo di concentrazione solo per non
darle la soddisfazione di avere sempre lei il coltello dalla parte del manico.
-Allora andiamo ad Akureyri a scoprire le famose cascate degli Dei e poi da lì una
specie di zattera ci porterà sul lago Myvatn-, feci finta che quello che stava facendo
con i piedi fosse meno importante di quel fottuto foglio che avevo in mano.
Lei rispose solo con un cenno della testa e un sorriso, consapevole della mia
goduriosa sofferenza, mentre si alzava in vasca e si piegava in posizioni da girone
dantesco per arrivare a prendere il bagno schiuma in alto sulle mensole.
In quel momento mi resi conto che non avrei potuto desiderare altro dalla vita e
buttando via l’itinerario mi gettai su mia moglie schizzando acqua dappertutto.
Quando l’acqua si fece troppo fredda mi alzai, mi risciacquai ed uscii dal bagno
lasciando Mary a fare la sua lunga doccia. Mi asciugai i capelli davanti allo specchio
osservando con piacere che nonostante mi avvicinassi repentinamente ai quaranta
erano ancora tutti presenti e tutti neri. Solo qualche isolato grigio ogni tanto,
inesorabile segno del tempo che passava. Mossi, praticamente impettinabili cosa che
io non cercavo assolutamente di fare, collegati ad una barba folta e anch’essa nera
che insieme ai baffi vanno a nascondere le labbra grosse e carnose. Quella barba
faceva impazzire mia moglie ed io ne andavo fiero. Osavo, consapevole. Eretto come
una statua greca, nudo, guardavo lo specchio contento di ciò che si rifletteva dentro.
Il fisico era possente e ben definito, merito di palestra, mountain bike, arrampicate in
montagna e tanto buon sesso. Logicamente l’addome terminava con un filo di
pancetta a testimonianza che non ero certo io a tirarmi indietro di fronte ad una
lasagna accompagnata da un buon vino rosso.
I vestiti che avrei dovuto indossare erano già sul letto. A queste cose solitamente ci
pensava mia moglie, abbinamenti del tipo calzino uguale a cintura uguale a cravatta;
fermacapelli per lei uguale a fermacravatta per me e molto altro. Nulla era lasciato
mai al caso: sul letto infatti, c’erano boxer, calzino in filo di scozia, cintura e cravatta
tutto nero. Un impressionante identico nero. Poco più a destra iniziava la zona dei
grigi: abito Tom Ford due bottoni e camicia bianca. Concludeva il tutto un fiore
all’occhiello bordeaux come la cravatta a fiori. Da quel piccolo particolare poteva
partire un mondo per Mary, si sarebbe potuta vestire di grigio, di nero o se la
conoscevo come pensavo, di bordeaux.
Prima di iniziare a vestirmi inserii l’I-pod nel piccolo ma autorevole impianto Bose
da viaggio e feci partire la mia play list. I Pink Floyd riempirono la stanza. Aprii il
minibar e versai in un tumbler una mini bottiglia di J&B che “sorseggiai d’un fiato”
intanto che finii di prepararmi. Terminai il mio rituale con una spruzzata di una
pregiata colonia regalatami il Natale precedente da Mary. Sentii l’acqua della doccia
chiudersi, sintomo che tra poco lei sarebbe uscita dal bagno e giunta in camera,
sarebbe stata nuda, con piccole goccioline d’acqua che le avrebbero percorso il corpo,
liscio come la seta. Sarebbe stata infreddolita e quindi avrebbe assunto il tipico
atteggiamento che invoglia ad abbracciarsi e a far nascere cosa da cosa. In questo
caso avremmo perso cena e dopocena. Eccola affacciare dalla porta del bagno:
-Amore stai benissimo-, mi disse guardandomi. –Mi ci vorrà ancora un po’, non
annoiarti qui ad aspettarmi. Ho visto prima mentre salivamo in camera che al sesto
piano c’è un bar dove hanno un’ottima carta degli scotch. “Senza strafare” aspettami
lì e ordina anche per me-.
-Ma come farò a trovare un “piccolo bar” in tutto questo casino?- protestai indicando
con un braccio la porta della nostra stanza.
-Usa le tue doti investigative amore-, si prese gioco di me -si chiama Cigar Room
Club. Tra pochissimo sarò da te-, percorse qualche passettino in punta di piedi e
venne a darmi un bacio congedante.
Pensai che farmi un paio di bicchierini e fumarmi un buon sigaro, mentre aspettavo
che quello schianto di mia moglie si facesse bella per me, mi avrebbe di sicuro fatto
bene.
Ricambiai il bacio e uscii. Il corridoio era ghermito di gente vestita a festa che
sembrava non sapere dove andare. Mi unii a loro per recarmi al piano suggeritomi da
mia moglie, solo che questa volta avrei fatto le scale approfittandone per dare
un'ulteriore occhiata in giro. Incrociai lo sguardo di un ragazzo che mi passò di
fianco, aveva meno della mia età ed era fortemente impegnato a tenere a bada i suoi
tre marmocchi che non facevano altro che cercare di divincolarsi a lui e scalciare
urlando. La moglie era qualche metro più avanti di loro, intenta a parlare al telefono.
Mi guardò e mi sorrise come a voler dire “amico, beato te”. Ricambiai il sorriso
proseguendo verso la mia strada. I prossimi che incontrai furono certamente i
migliori, mentre cercavo di capire quale direzione fosse più consona prendere, mi
superò una coppia alquanto strana. Lui, sui settanta inoltrati, abito blu scuro,
incravattato e con un’andatura claudicante, visti i probabili acciacchi dovuti all’età.
Lei, vergognosamente più giovane. Ci avrei scommesso il libretto della mia BMW
che non arrivava a vent’anni, camminava su tacchi alti quanto lei ed era visibilmente
a disagio visto che ogni due passi rischiava di prendere storte micidiali che le
avrebbero frantumato le caviglie. Perlomeno, i due tenevano lo stesso passo! Sperai
fino all’ultimo che fosse la figlia o che so io, la nipote, ma quando lei si fermò per
baciare le labbra raggrinzite del vecchio, non ebbi più nessun dubbio. Il tutto sapeva
molto di politica italiana. Trattenni un conato e li sorpassai cercando di non pensarci.
Dovevo trovare quel bar. Non potevo certo ritornare in camera dicendo di non essere
riuscito a trovarlo, avrebbe significato almeno un mese intero di sfottii vari e
punzecchiature alle quali il grande investigatore non poteva certo sottostare.
A passo svelto percorsi i tre piani di scale fino ad arrivare al sesto, poi, seguendo il
corridoio centrale e facendomi strada tra la folla alla mia destra ecco comparire il
famoso bar. Un cameriere aprii la porta non appena mi vede arrivare come se mi
aspettasse:
-Buonasera Sir. Prego, si accomodi-.
-Grazie-, risposi insicuro. Il locale non era molto grande, aveva i pavimenti di legno
scuro e qualche tavolino sparso qua e là fatta eccezione per un pianoforte a coda ed
un bancone del bar rosso cremisi. Tutto all’interno era di legno o cristallo, tutto era
molto lussuoso, c’era però un particolare che mi lasciava confuso, cioè che a parte
quattro o cinque tra camerieri e barman ero l’unico cliente. Uno di essi, quello che mi
aveva aperto la porta mi fece accomodare in uno dei tavoli “liberi” per poi sparire.
Aspettai impaziente qualche minuto che i camerieri venissero a prendere la mia
ordinazione, dal momento che il J&B di prima aveva già fatto finire i suoi effetti.
Mentre stavo per alzarmi per andare a sollecitare, ecco che un signore in smoking
bianco fece il suo ingresso nella sala e si accomodò al piano forte. Mi guardò, mi
sorrise in modo benevolo e cosi ricambia il suo sorriso decidendo di non alzarmi per
ora, si accinse a muovere le dita sui tasti del pianoforte e nello stesso istante che
cominciò a intonare la più bella canzone di Elton Jhon le poche luci presenti nella
sala, si offuscarono completamente mentre uno strobo rosso restò puntato sulla porta
d’ingresso. Guardai incuriosito il cameriere che si stava accingendo ad aprire la porta
e la vedi comparire bella come una dea. Mia moglie si avvicinava sorridendo verso di
me percorrendo quei pochi passi con una lentezza struggente, aveva i capelli raccolti
in un’acconciatura che ricordava gli anni cinquanta, un vestito nero orlato di pizzo e
merletti che la cingeva, lasciando scoperte le braccia tatuate e il decolté. Nella sala si
sentiva solo il rumore delle sue Jimmy Choo sul legno del pavimento, e le luci al
soffitto facevano brillare ulteriormente il suo Rolex tempestato di diamanti. Restai
ammutolito, la bocca semi chiusa per lo stupore di tanta bellezza. Mi alzai andandole
incontro, ci scambiammo un lungo bacio e ballammo al ritmo della nostra canzone
preferita.
-Buon compleanno amore mio-, mi sussurrò all’orecchio.
Non risposi nemmeno, mi limitai a godermi quell’attimo così bello e così speciale
che solo da lei poteva provenire. Finita la canzone, andammo al nostro tavolo che nel
frattempo era stato elegantemente apparecchiato.
Le spostai la sedia per farla accomodare, poi andai a sedermi di fianco a lei ancora
intontito per quella sorpresa.
-Stasera non devi nemmeno scegliere cosa mangiare mi sono occupata io di tutto-, mi
appoggiò una mano sul braccio e mi parlò sottovoce, in modo dolce e complice.
-Amore è fantastico sei riuscita a farti riservare un bar della nave interamente per me?
Come ci sei riuscita-? mi guardai intorno, incredulo che fossimo davvero gli unici
clienti all’interno della sala.
-Se avessi visto gli ultimi movimenti della carta di credito avresti capito tante cose-,
ribatté scherzosamente, ma non troppo.
Cenammo mentre il musicista ci deliziava con “Clair de lune” e altre opere del
grande pianista. Al momento della torta le luci si spensero nuovamente e un
cameriere portò al nostro tavolo un’enorme dolce fatto a forma di 38. Tutto era curato
nei minimi particolari, tipico di mia moglie. Con non poca fatica spensi le quasi
quaranta candeline scatenando l’applauso e la stonata canzone dei tanti auguri anche
da parte del personale. Finito di spegnere le candele, il cameriere si riprese con se la
torta con l’intento di riportarcene due fette. Non mi accorsi che mia moglie nel
frattempo aveva posato un pacchetto incartato con carta dorata su un piatto davanti a
me. La guardai con ammonizione perché lei sapeva che io non ero mai propenso a
ricevere regali, anche se questo solitamente sembrava incitarla a fare l’esatto
contrario.
-Dai, scartalo in fretta o lo faccio io-, mi disse palesemente eccitata.
Con una lentezza logorroica iniziai a scartare il pacchetto. Tolsi prima i nastri, poi
cercai il punto, dove la carta era incollata e facendo attenzione come se fossi un
artificiere al primo giorno di lavoro, tolsi la carta dorata esponendo un pacchettino di
pelle nera con chiusura a portafoglio.
-Gesù Cristo Ettore, mi stai facendo morire. Ti vuoi decidere ad aprirlo? Mi sento
male tra poco!-Aprirlo? Scusa non è questo il regalo?- le dissi prendendola in giro.
Sbuffò a mo di bimba viziata. –Dai-, m'incalzò.
Aprii infine il prezioso scrigno restando senza parole per ciò che conteneva: un
bracciale tennis di diamanti neri. L’aggettivo più adeguato per quel dono era
scintillante! Ottantaquattro diamanti neri dal taglio brillante, erano incastonati una
dopo l’altra in una splendida montatura d’oro bianco. Desiderai indossarlo subito per
ammirarmelo addosso, il mio polso ora luccicava emanando piccoli flash non appena
incontrava la luce. Ero al settimo cielo.
A questo punto il modo migliore per terminare la serata era nella nostra stanza da
letto.
Strisciai frettolosamente la tessera magnetica alla barra posta alla destra della porta e
le diedi una spinta per entrare ci disponemmo dinnanzi al letto e iniziammo a baciarci
a lungo nel frattempo giacca e scarpe sono già in un angolo. Senza smettere di
baciarmi mi tolse la cravatta e iniziò a sbottonarmi la camicia, mentre io con una
mano dietro la schiena portai in giù la zip del vestito facendolo scivolare a terra.
Rimasta solo con un microscopico perizoma a filo e dei tacchi vertiginosi la feci
sdraiare sul letto decidendo che anche quei pochi indumenti erano di troppo. Iniziai a
baciarla partendo dai piedi, leccando quelle dita affusolate e salendo sempre più su
fino alle cosce. Mentre le mie mani andavano a cercare e stringere i capezzoli già duri
la mia lingua era un vortice inarrestabile tra le sue gambe e ogni volta che sentivo le
sue unghie rosse torturare la pelle della mia schiena capivo quanto tutto ciò le fosse
gradito. Ansiosa di essere posseduta ancor più nel profondo mi afferrò per i capelli e
mi tirò a se facendo strada alla mia erezione dentro di lei con la mano. Mi tornò in
mente poco dopo che era ancora il mio compleanno e che a parer mio non avevamo
ancora brindato in modo davvero consono, quindi staccandomi da lei, mi diressi
verso il frigobar, presi una bottiglia di bollicine non curandomi dell’etichetta e
agitandola non poco, feci saltare via il tappo inondando il letto e concentrandomi sul
sedere di mia moglie. Usando un termine sottile “facemmo l’amore” per ore
cambiando mille volte posizione per godere al massimo di noi stessi, il culmine fu
uno spossante orgasmo che lasciò le membra distrutte e stanche. Capitolammo sotto
una doccia fredda per poi addormentarci serenamente cullati dalle onde.
La mattina seguente ci svegliammo di buon ora in modo da poter sfruttare ogni
attimo della nostra vacanza, svegliai mia moglie con un bacio e mentre lei si
rianimava, composi lo 029 dal piccolo cordless posto sul mio comodino. Una voce
metallica mi fece fare un giro di “schiacci uno per… due per… tre per…”, prima di
passarmi il mio maggiordomo.
-Buongiorno Ramunwel sono Paroli della 9008, mi scuso se ieri sera non ho fatto in
tempo a mettere fuori il cartellino della colazione ma vorrei ordinare se possibile un
paio di brioches alla frutta e delle spremute-.
-Ma certo Mr Paroli vuole che gliela porti subito?-No, tra un paio d’ore sarebbe perfetto. Perché appena mia moglie tornerà nel mondo
dei vivi-, dissi mentre con la coda dell’occhio osservavo Mary che in una posizione
soprannaturale non accennava a svegliarsi, -vorremmo andare a fare jogging-.
Guardai l’orologio sul comodino e vidi che erano solo le sei e mezza.
-Come dice signor Paroli, i vivi?-No nulla nulla, dicevo che per le nove andrà benissimo, grazie-. Attesi la conferma e
riagganciai.
Accesi l’I-pod e impostai la playlist heavy metal, scelsi con cura “Cowboy’s from
hell” dei Pantera, anche se questo poteva sembrare una crudeltà, sapevo che quando
sarei tornato dalla doccia Mary sarebbe stata sveglia, imbronciata e pentita di non
essersi svegliata al mio bacio. Iniziai a sentire le note della chitarra distorta poco
prima di entrare in doccia.
Come non detto appena rientrai in camera, eccola intenta a preparare i vestiti tecnici
per lo sport, ci scambiammo un bacio alla “via col vento”:
-Amore, i tuoi risvegli sono sempre molto dolci. Sei una persona molto garbata-,
mentiva ironicamente. Se ne stava sul letto con quell’espressione imbronciata che mi
piaceva sempre tanto e guardandola così, con le braccia incrociate e il musone non
potei fare a meno di sorridere.
-Lo so amore, è per questo che mi hai sposato. Hai già preparato i vestiti?-
-Sì, i tuoi sono quelli gialli-, disse facendomela pagare. Sul letto aveva preparato per
me un paio di pantaloni e una felpa “tecnici” in Goretex, completamenti giallo
canarino. Nemmeno una piccola scritta sopra. Solo tanto giallo. Anche il paraorecchie
e i guanti erano dello stesso colore. Di certo, sarei sembrato il più cretino della nave
se mi fossi messo addosso tutto quel giallo, quindi presi un’altra felpa dall’armadio e
cercai di salvare il salvabile.
-Ordina due caffè mentre faccio la doccia-, si congedò con un frettoloso bacio sulla
guancia.
-Ah-, riuscii a dirle un secondo prima che si chiudesse la porta del bagno –per ieri
sera mi devi duecento euro-.
Dalla porta del bagno fuoriuscì solo un dito medio segno che non avrei ottenuto
nessun altra risposta.
I caffè arrivarono in stanza e dopo averli bevuti, uscimmo alla volta della pista.
Anche se non ero più vestito completamente di un giallo fosforescente, come se
dovessi uscire di notte a lavorare in autostrada, quello che avevo addosso risultava
molto imbarazzante. Non dissi nulla comunque, non avrei certo dato a Mary certe
soddisfazioni, anzi, quando lei mi guardava, facevo finta di ammirare ancora di più il
mio completo. Lei, fece altrettanto non chiedendomi nulla sulla felpa.
Tenerci in forma, anche a causa del lavoro che facevamo, era sempre stata una nostra
priorità, avevamo iniziato a fare una corsettina leggera attorno a casa nostra, poi era
arrivato l’abbonamento annuale in palestra per rinforzare la muscolatura,
accompagnato da due splendide mountain bike e più tardi ancora la scoperta del free
climbing. Tutto questo per preparare corpo e mente alle situazioni talvolta anche
estreme a cui potevamo essere sottoposti e in modo molto più soft anche in vacanza
ci piaceva mantenere l’abitudine di fare sport.
Mano nella mano ci dirigemmo con l’ascensore all’ultimo piano della nave e questa
volta, a causa dell’orario, i corridoi erano vuoti. La pista da jogging si estendeva per
cinquecento metri su quasi tutto il perimetro della nave. La vista da lì lasciava senza
fiato, un’alba pallida ci faceva compagnia in un fresco mattino nei mari del nord.
Calcolammo con il nostro orologio tecnico dieci chilometri e dopo un’ora e un quarto
eravamo già di ritorno nella nostra suite ad attendere la colazione, stanchi e sudati.
-Facciamo in tempo a farci la doccia prima che arrivi la colazione?- mi chiese Mary
togliendosi il paraorecchie.
-Dove arrivare tra mezz’ora ma se vuoi chiamo e chiedo di posticiparla-.
Neanche il tempo di aspettare la sua risposta che bussarono alla porta.
-Strano, non avranno capito l’orario-, consultai il mio pesante orologio.
Anche Mary mi guardò basita. –Va bèh-, si strinse nelle spalle mentre parlava, mangeremo prima-.
Aprii la porta e davanti a me non trovai Ramunwel con un vassoio portante la nostra
colazione bensì un signore vestito da ufficiale di marina.
La prima cosa che pensai fu che i vicini si erano lamentati per il rumore della sera
prima, forse le urla e le sonore sculacciate che lasciavano i segni, i nostri dirimpettai
li avevano interpretati male. Se non fosse stato per la mia folta barba, si sarebbe visto
che un po’ arrossii.
-I signori Paroli?- chiese con voce grave.
L’uomo che mi stava di fronte era alto poco meno di un metro e settanta con i capelli
grigi e il viso rotondo, praticamente il tipo che ti aspetti di trovare dietro uno
sportello in banca.
-Sì, siamo noi-, gli risposi imbarazzato.
-Buongiorno, sono Marcello Terni, il quarto ufficiale di coperta. Il vostro soggiorno
procede bene?- chiese, come se fosse sulle spine.
La figuraccia era imminente ma ero preparato. Tra due secondi mi avrebbe detto: “Lo
staff la prega di non scopare sua moglie in modo così cruento dopo un certo orario.
Grazie e buon proseguimento”.
-Per ora sì, ma c’è per caso qualcosa che non va?-Beh in effetti sì, se lei e la sua signora foste così gentili da seguirmi nella sala del
Capitano egli vi vorrebbe parlare-.
Il sesso non poteva essere una cosa così importante da riguardare anche il
comandante. Tirai un sospiro di sollievo. Mi voltai verso Mary che fece un cenno di
assenso con la testa.
-Va bene-, gli risposi visibilmente seccato –ma ci deve dare almeno trenta minuti per
farci una doccia-.
L’uomo sempre più impaziente disse: -Va bene ma vi prego fate in fretta, vi attenderò
qui fuori-.
Avere qualcuno che aspettava fuori dalla porta mentre eravamo in doccia, era
surreale.
Stranamente fummo pronti in un venti minuti. Questa storia non ci piaceva e si capiva
lontano un chilometro che sarebbe stato inutile chiedere di cosa si trattasse
all’ufficiale. Evidentemente era stato solo incaricato di convocarci.
-Prego seguitemi-, disse facendosi strada davanti a noi. Presi Mary per mano e ci
scambiammo uno sguardo interrogativo, lei si strinse nelle spalle nervosa.
Percorremmo tutto il corridoio del nostro piano, poi scendemmo al settimo usando le
scale, dopodiché finita l’area dove i clienti potevano accedere, il quarto ufficiale di
coperta Marcello Terni si fermò seguito a ruota da noi. Estrasse dal taschino della sua
giacca un badge, percorse ancora un paio di passi e si girò verso di noi. Davanti a lui,
un’enorme porta stagna bianca ci bloccava il passaggio.
-Vi devo cortesemente chiedere di non guardare il codice che sto per inserire su
questo display-, ci informò il piccoletto.
-Ma si figuri-, gli risposi -ci potrebbe anche bendare o chiedere di girarci dall’altra
parte- continuai sarcastico.
Tossì nervosamente mentre si avvicinava al display accingendosi a comporre il
fatidico numero. Intanto Mary mi diede una gomitata ammonendo il mio sarcasmo di
fronte ad una situazione così angosciante.
La porta si aprì e davanti a noi c’erano… altri corridoi identici a quelli di prima.
-Questa zona è riservata al personale di bordo. Ufficiali, sottufficiali e via
discorrendo. In fondo, come si può vedere dall’esterno, c’è la cabina di comando,
dove ora siamo diretti-.
-Si, è due piani sotto la nostra suite-, rispose mia moglie.
-Allora siete passeggeri fortunati-, ribatté mono tono il piccoletto, da lì si gode di
un’ottima vista-.
-Abbiamo semplicemente pagato più degli altri per essere li-, risposi seccato al
“capelli grigi” che a dirla tutta non finiva di piacermi -sarebbe stata fortuna se la
crociera l’avessimo vinta alla tombola-.
Altra gomitata e altro colpo di tosse. Ma comunque avevo ragione.
Finalmente Terni si fermò davanti ad un’altra porta, più piccola anche se sempre
blindata. Strisciò il suo prezioso badge e scostò la porta per farci passare prima di lui.
-Prego signori, entrate-.
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capitolo 5 scia - La scia di Ettore e Mary