ANNAMÁRIA SZILÁGYI IL TROVATORE DI GIUSEPPE VERDI IN UNA PROSPETTIVA NARRATOLOGICA Introduzione Il Trovatore di Giuseppe Verdi risale a un dramma spagnolo, intitolato El trovador, opera di Antonio García Gutiérrez, che costituisce la base del libretto italiano scritto da Salvatore Cammarano. L’esistenza di due varianti della stessa trama drammatica offre l’occasione di dimostrare che il melodramma, grazie alla ricchezza dei suoi mezzi espressivi aumentò la drammaticità della stessa storia. Nell’analizzare questi mezzi espressivi utilizzo un nuovo punto di vista che può condurci a risultati interessanti e sorprendenti, meno studiati fino a questo momento: con la prospettiva narratologica cerco di illuminare le differenze di genere tra dramma e melodramma, e inoltre cerco di scoprire paralleli tra il melodramma romantico e il genere narrativo del romanzo ottocentesco. Dopo l’esposizione delle basi teoretiche, esaminerò le parti concrete del melodramma in cui appaiono i mezzi espressivi tipicamente narratologici, il che dimostra l’esistenza di uno sviluppo narratologico nel campo dell’opera romantica. La presenza di questi elementi avvicina il melodramma al genere del romanzo storico, mentre riduce la sua parentela con il genere drammatico, anche se la sua relazione con quest’ultimo è innegabile. Ma è noto che la drammaticità di queste opere aumenta appunto con l’introduzione dei mezzi espressivi del genere narrativo che sono presenti piuttosto nella musica che nel testo letterario. Basi teoretiche Dal punto di vista narratologico, il dramma e il melodramma comprendono differenze fondamentali di genere. Esiste un’opposizione classica tra generi letterari di tipo narrativo e di tipo rappresentativo; con la terminologia di Platone e Aristotele, questi 300 vengono chiamati, rispettivamente, diegesis (narrazione) e mimesis (rappresentazione) o, con la definizione di Goethe e Schiller, questa distinzione è fra i generi epici e i generi drammatici. Nei generi drammatici, gli attori ricreano sul palcoscenico gli eventi senza mediazione esterna, e l’azione teatrale si presenta come evento autonomo che non lascia trasparire l’attività dell’autore, mentre la narrazione rievoca fatti trascorsi, e li ricrea nell’immaginazione di chi legge o ascolta. Quindi, nella narrazione è presente l’intervento dell’autore, ma nella rappresentazione non contiamo sulla sua presenza. Secondo Goethe e Schiller, “il poeta epico espone gli avvenimenti come interamente trascorsi, il poeta drammatico come interamente presenti” (Zoppelli 1994:13). Il teatro musicale è un genere essenzialmente rappresentativo in cui, invece, possono confluire elementi epici come, per esempio, l’utilizzo del coro o l’illusione dell’evento presente come se avvenisse in quell’istante. L’intervento dell’autore è un fattore che accomuna l’opera in musica al romanzo e la distingue dal dramma, visto che la musica agisce sui tempi drammatici, fornisce informazioni e suggerisce diversi punti di vista. Per capire meglio le differenze di genere fra il teatro di parola e quello musicale, bisogna modellare i loro statuti di comunicazione. a) teatro di parola: autore → personaggio ↔ personaggio → destinatario Lo statuto comunicativo del teatro di parola rinchiude gli eventi in una cornice in cui la comunicazione va da personaggio a personaggio, e solo all’esterno della cornice appare l’intervento dell’autore, visto che lo spettacolo è inteso come un atto di comunicazione tra autore e pubblico. Vediamo che cosa succede nello statuto di comunicazione del teatro musicale. 301 b) teatro musicale: elemento musicale autore destinatario personaggio ↔ personaggio Lo schema della comunicazione del teatro musicale viene arricchito dall’elemento musicale che non è indirizzato da personaggio a personaggio, ma direttamente dall’autore al pubblico. All’interno della cornice, i personaggi comunicano tramite un canale verbale, ovvero il loro cantare viene percepito dagli altri personaggi come atto del parlare. La musica, invece, è uno strato aggiunto, un messaggio che il compositore invia, in prima persona, allo spettatore, sovrapponendolo all’atto verbale prodotto dai personaggi. La linea tratteggiata rappresenta l’elemento musicale che unisce autore e destinatario, e che attraversa la cornice interna. Quindi, nel teatro musicale convivono due statuti di comunicazione: uno interno, verbale, che costituisce la parte drammatica autosufficiente, e uno esterno, musicale, che attraversa trasversalmente la cornice chiusa e che presta una responsabilità estetica al compositore. L’intervento del compositore è presente dall’esordio del genere operistico, cioè dalla formazione dell’opera veneziana, in cui i frammenti di testo di carattere moralizzante – le parti ariose che comprendono il valore musicale dell’opera – si intendono diretti più dall’autore al destinatario che da personaggio a personaggio, e contrastano con i frammenti di carattere recitativo che costruiscono il dialogo tra i semplici personaggi. Questa netta distinzione esiste anche nell’opera seria settecentesca, anche se in quest’epoca il compositore si comporta come drammaturgo nascondendosi dietro i personaggi, e non sfruttando la sua possibilità di intervento. Nell’800, invece, il compositore interviene più direttamente nel senso che la musica diventa il fattore primario che costituisce l’opera d’arte; a questo punto, l’uso della musica assume dimensioni tendenzialmente narrative. (Zoppelli 1994:12-21) 302 Nel caso de Il Trovatore, ci sono numerosi elementi narrativi. L’opera si definisce come dramma della narrazione, perché sulla scena non succede niente, ma tutto viene narrato. Nella prima scena del primo atto, Ferrando narra la tragedia, cioè l’antefatto dell’intreccio del melodramma; nella seconda scena, Leonora fa conoscere il suo incontro con il Trovatore; nella prima scena del secondo atto, Azucena narra la morte della madre e del figlio; nella seconda scena, il Conte parla delle sue pene d’amore; e nella prima scena del terzo atto, Ferrando e il coro avvertono della battaglia e dell’arrivo di Azucena. Il tema del fuori scena viene ripetuto anche musicalmente: il canto del Trovatore nel primo atto, il coro degli zingari nel secondo, l’organo della chiesa nel terzo, o il Miserere di voci interne nel quarto atto, in cui, mentre Leonora pregusta il sacrificio per il suo profondo amore, Manrico, in una prigione non vista dallo spettatore, esprime il suo desiderio di morte e il suo affetto per Leonora. L’unica azione di Leonora è l’atto del suicidio, l’ingestione del veleno contenuto nel suo anello, che è difficilmente percepibile dallo spettatore visto che la censura non permetteva un aperto suicidio sulla scena. Nell’ultima scena in cui viene rappresentata la morte di Leonora, ritornano, nella mente dei protagonisti, le visioni del passato e il sogno per un futuro irrealizzabile: “Ai nostri monti ritorneremo’; ‘Parlar non vuoi?’; ‘Donna, svelami... narra”.(Gerardi 1981: 62-63) Infine, anche il finale tragicissimo, arricchito con l’estrema drammaticità del discorso musicale, è narrato sulla scena dai due sopravvissuti: Azucena Conte Azucena Conte Azucena Conte Azucena Conte Azucena Conte (destandosi) Manrico!... Ov’è mio figlio? A morte corre!... Ah ferma!... m’odi... (trascinando Azucena verso la finestra) Vedi? Cielo! È spento! Egli era tuo fratello!... Ei!... quale orror!... Sei vendicata, o madre! (Cade a’ pié della finestra.) (inorridito) E vivo ancor! (Cattaneo 1988: 23-24) 303 Quindi, l’intreccio del dramma spagnolo offre molte occasioni narrative. La tecnica del fuori scena non è una novità nel genere drammatico, mentre la novità sarà l’elemento musicale che Verdi presta a queste narrazioni: l’intreccio drammatico si arricchisce della musica che, con l’aiuto dell’orchestra, assume una responsabilità informativa nel commentare le azioni, i sentimenti nascosti dei personaggi, o nel descrivere l’ambiente circostante con gesti orchestrali e con suoni di natura e, inoltre, proietta diversi punti di vista. Il passato terrificante viene narrato due volte: la prima, da Ferrando, la seconda, da Azucena, in una maniera assolutamente differente riflettendo sulle diverse prospettive rappresentate dai due protagonisti, visto che Ferrando sta a fianco del Conte di Luna, mentre Azucena è schierata dalla parte opposta. La musica, esprimendo gli affetti dei personaggi, crea due narrazioni che apparentemente hanno un argomento in comune, ma rappresentano due mondi differenti e indipendenti, proiettando due punti di vista assolutamente opposti. Nelle parti successive del mio studio vengono analizzati dettagliatamente gli elementi narratologici della musica verdiana, elementi che non – o solo molto scarsamente – appaiono nell’intreccio drammatico. 1. Canto realistico Il primo modello del canto realistico ne Il Trovatore è quello di Manrico (“Deserto sulla terra”) nella Parte Prima. La romanza del protagonista è una musica in musica; quindi appare di nuovo un elemento lontano dal genere drammatico che conosce solo il discorso diretto, e così l’opera si avvicina sempre di più al genere del romanzo. È una musica in scena, in cui la dimensione musicale è percepita come prodotto del personaggio stesso, come una musica in musica; il protagonista sta realmente cantando e suonando, e il suo canto possiede la responsabilità del personaggio. È una musica che sta dentro la cornice comunicativa dell’opera, cioè risuona come musica anche agli orecchi degli altri personaggi. 304 Non è, quindi, un canto operistico condotto dal compositore stesso, che rende musicali momenti che nella realtà non sono tali. Nel canto operistico i personaggi parlano, comunicano verbalmente all’interno della cornice, ma il compositore aggiunge alla sua comunicazione verbale una dimensione musicale. Questo tipo di canto, che era presente in ogni frammento musicale de Il Trovatore fino a questo momento, viene percepito dai personaggi come atto verbale e non musicale. Il canto di Manrico è, invece, una serenata, una musica di scena, ovvero un canto realistico, percepito dai personaggi come musica. Certe volte, la distinzione tra canto realistico e operistico è meno evidente, ma in questo caso è molto visibile, basti pensare alla reazione del conte alla voce di Manrico, dalla quale il pubblico comprende che anche lui sente una musica, e non un atto verbale. La funzione più importante della musica di scena è tradizionalmente quella di aggiungere vivacità e varietà coloristica all’opera teatrale, che così è più divertente per lo spettatore (Zoppelli 1994:25-28). Nell’800 si usò spesso questa tecnica, aumentando il numero delle canzoni, ballate, serenate, inni, preghiere, cantici o danze che sono adatti ad inserirsi, come musica in scena, nello svolgimento dell’opera. A Verdi piace molto la varietà dei colori della musica di questo tipo e, di conseguenza, ogni sua opera ha almeno un frammento elaborato in questo modo. La romanza è anticipata e poi accompagnata dagli arpeggi del liuto, che sarà lo strumento tipico del personaggio. Ma dobbiamo sottolineare il fatto che, nell’attività artistica di Verdi, la scelta di uno strumento solista che accompagna i frammenti lirici dei protagonisti non raggiunge il livello del leitmotiv wagneriano; il compositore non li usa per caratterizzare l’interiorità di un certo personaggio, ma per descrivere meglio un sentimento o una situazione. È evidente che l’arpa è lo strumento che si mette in rapporto con il nome di Manrico o, meglio dire, lo strumento non è il motivo identificante di lui ma della sua qualità di trovatore, caratterizzata tradizionalmente con il liuto. 305 Un altro modello del canto realistico è legato alla personalità di Azucena. Nell’apparire sulla scena, la vecchia allude alla morte di sua madre (“Stride la vampa!”, Verdi 2000:58-62) Narra l’azione del rogo con tutta la sua terribilità, in cui la fiamma è la forza più attiva sia concretamente – uccide la madre zingara - , che psichicamente – anche Azucena arde nella fiamma della vendetta. Questo brano musicale mette in luce i pensieri più segreti di Azucena, l’immagine ossesiva del rogo e la spinta interna alla vendetta. La musica ha un effetto oscuro e mistico, che conserva le tracce dei sanguinosi rituali pagani della magia. Il tempo di allegretto e il ritmo di tre ottavi, caratteristici del ballo popolaresco, riflettono il mondo pieno di credenze superstiziose di Azucena. Anche la canzone di Azucena è un elemento narrativo lontano dal genere drammatico con il quale l’opera si avvicina sempre di più al genere del romanzo. La sua canzone viene percepita come un canto realistico, una musica in musica visto che gli zingari la ascoltano come musica, perché alla fine commentano: “Mesta è la tua canzon!” (Gerardi 1981:43). Azucena così risponde agli zingari: “Del pari mesta – Che la storia funesta – Da cui tragge argomento!” (Gerardi 1981:43) È una musica che sta dentro la cornice comunicativa dell’opera, cioè risuona come musica anche agli orecchi degli altri personaggi. 2. La narrazione focalizzata A proposito del romanzo ottocentesco, la fusione dei generi è un luogo comune la cui influenza è enorme nello sviluppo dell’opera lirica del secolo, il che non è sorprendente visto che i due generi, proprio in quei tempi, fioriscono e vivono la loro grande stagione. Il fenomeno è messo in rilievo dal fatto che l’opera lirica dell’800 si arricchisce di numerosi elementi narrativi. Lo statuto comunicativo dell’opera in musica permette al compositore di esercitare il potere narrativo proprio di chi racconta. Secondo Carl Dahlhaus esiste “un fattore che accomuna l’opera in musica al romanzo e la distingue dal dramma: la presenza estetica dell’autore. Come nel genere epiconarrativo, anche nell’opera la presenza di un ‘narratore’ che pilota gli 306 eventi è costitutiva sotto il profilo estetico [...] Il carattere dell’epico, che nel dramma è un contrassegno di modernità, nell’opera è almeno parzialmente un elemento di tradizione (cit. in Zoppelli 1994:15). La Parte Prima comincia con la narrazione di Ferrando. Nel dramma spagnolo, i tre servitori raccontano la terrificante storia del passato, ma il librettista fa cambiamenti importanti: i due protagonisti attivi della sua narrazione sono Ferrando, il servitore, e il coro maschile. La narrazione ha uguale funzione in tutt’e due le varianti: presentare al pubblico gli avvenimenti fuori di scena, nel passato, e far conoscere allo spettatore il sistema dei conflitti nel corso di tutta l’azione. All’inizio della scena, ascoltiamo una breve introduzione orchestrale, che ha la funzione di descrivere l’ambiente e di presentare l’atmosfera di questa prima scena. Dal punto di vista narratologico, l’orchestra ha il ruolo di commento o, certe volte, di contraddizione nell’intreccio dell’opera romantica, cioè, in altre parole: l’orchestra corrisponde alla voce del compositore, ed ha una responsabilità informativa che, nell’opera ottocentesca, le viene assegnata con sempre maggior frequenza. Essa può fornire informazioni sull’azione – avvenimenti passati o futuri sconosciuti allo spettatore - , sull’interiorità del personaggio – ciò che egli pensa e sente ma non dice -, o sull’ambiente descrivendo gli elementi ambientali ritenuti importanti. In questo caso avviene proprio questo, cioè l’orchestra descrive l’ambiente e l’atmosfera della narrazione di Ferrando, e serve come una breve introduzione. Poi, comincia il discorso musicale tra Ferrando e il coro maschile, che serve sempre da commento e sintesi alle frasi del servo. Il protagonista comincia a parlare del presente, di un misterioso trovatore che sembra essere il rivale del suo conte, ma poi il gruppo maschile lo spinge a ricordare una storia più terribile e più emozionante: quella della zingara e del rapimento del figlio del vecchio conte. Dal punto di vista narratologico, la narrazione di Ferrando è una delle chiavi dell’analisi. Con la possibilità di richiamare il passato nel presente, Verdi dà il ruolo di narratore alla bocca di Ferrando, usando la tecnica di focalizzazione in cui gli eventi 307 scenici sono presentati dal punto di vista di un personaggio. La focalizzazione è estranea al teatro di parola, ma, grazie ad alcuni giochi con parametri della voce e degli effetti orchestrali, l’opera in musica può applicare questa tecnica narrativa(Zoppelli 1994:24). Questo succede nel caso di Ferrando. Il protagonista descrive l’antefatto, cioè gli eventi che avevano avuto luogo fuori scena. La narrazione di Ferrando viene condotta dalla prospettiva del personaggio: lo spettatore vede gli eventi passati tramite gli occhi di Ferrando, che, attraverso i suoi sentimenti e i suoi ricordi, rivela la sua simpatia per la famiglia del conte di Luna. Tutta la scena, incluso il coro e l’orchestra che esprimono i suoi sentimenti, viene focalizzata dal punto di vista di Ferrando. La narrazione di Ferrando, quindi, è una rimembranza, un passaggio che porta lo spettatore ad un momento tragico del passato non sperimentato dal pubblico, e che rievoca le immagini e i ricordi personali del protagonista. Il testo verbale fornisce il contenuto preciso dell’immagine pensata, e la musica offre la dimensione prospettica della penetrazione interiore del personaggio. Quindi, né il dramma né il libretto contengono quest’elemento narratologico, ma é la musica che offre la dimensione focalizzata. Succede lo stesso nel caso di Azucena, nella Parte Seconda. In questa parte Azucena narra la stessa storia che ha raccontato Ferrando nella Parte Prima. La zingara rievoca le immagini della terribile tragedia che sconvolge la sua anima anche al momento dell’azione. Viene fuori che la morte della madre sul rogo non è l’unica atrocità che ha segnato la sua vita, ma nel passato è successa un’altra tragedia che pesa ancora di più sull’animo dell’ormai vecchia gitana. Dopo aver rapito il figlio del conte per vendicare la madre, al momento di gettarlo nel fuoco Azucena si era confusa essendo fuori di sé, e invece di quel bambino aveva bruciato il suo proprio figlio. Quindi, Manrico non è suo figlio. Si completa così la storia narrata da Ferrando nella Parte prima dell’opera e, ascoltata dalla bocca della zingara, diventa una storia più autentica, personale e reale, e non si ferma al livello di una leggenda contenente falsificazioni, elementi non reali, misteriosi, e persino magici. 308 La storia viene focalizzata dal punto di vista di Azucena, e riceve un colorito assolutamente diverso da quello della narrazione di Ferrando. Il servo, rappresentando l’opinione del conte e della società tradizionale, accentua l’anima malvagia della madre zingara e di Azucena, e le condanna per la loro vita superstiziosa, segnata dalla magia. Lui rappresenta la voce della gente comune, che guarda di mal occhio il modo di vita degli zingari, e che considera Azucena e sua madre come streghe maligne. La narrazione di Azucena, invece, richiama l’attenzione sul lato opposto: vediamo la faccia umana di Azucena, che soffre per gli eventi del passato. Lei sottolinea la forza dei teneri sentimenti tra madre e figlia, e cerca di dare una spiegazione alla sua terribile azione: era fuori di sé, quando bruciò il suo proprio figlio; nel conoscere l’incidente fatale, lo spettatore sente compassione per la donna che perde madre e figlio quasi nello stesso momento. In altre parole, Ferrando presenta la strega Azucena, mentre la zingara fa vedere la madre–figlia Azucena. L’uso di queste diverse prospettive nel racconto, è una tecnica efficace per richiamare l’attenzione dello spettatore e, con l’aiuto di queste focalizzazioni, si ottiene una maggior immedesimazione visto che si ripercorre l’azione passo a passo, e il pubblico deve scoprirla dall’interno, insieme ai personaggi. Nel caso di Azucena, la narrazione è una rimembranza integrale, e ciò significa che i ricordi del passato sono rievocati dal personaggio e non dall’autore – quest’ultimo potrebbe essere il leitmotiv o motivo identificante. L’allucinata ricomparsa del motivo della vampa nella mente di Azucena, durante il racconto a Manrico, è una ricomparsa al quadrato, poiché la zingara (nel momento della narrazione) rivive la situazione con il bimbo davanti al rogo – primo livello di ricordo -, in cui era stata assalita dall’immagine del fuoco che aveva arso la madre – secondo livello di ricordo. Nel trattare delle reminiscenze e delle rimembranze, ci si accorge del fatto che i due concetti sono quasi sinonimi, ma esiste una piccola differenza tra essi: la reminiscenza è un ricordo, o una rievocazione, relativi ad un oggetto o ad un evento passato che lo spettatore ha visto realmente, mentre la rimembranza si riferisce all’immaginazione del personaggio relativa a scene del 309 passato a cui non abbiamo direttamente assistito. (Zoppelli 1994:117118) Adottando queste definizioni, si afferma che entrambe le narrazioni – sia quella di Ferrando che quella di Azucena – sono rimembranze. Quest’affermazione è appoggiata anche dal fatto che in questi casi non esiste un’intera melodia musicale che rievochi gli eventi, e quindi i due motivi musicali – quello del servo e quello della zingara – non si corrispondono, tutti e due hanno una melodia diversa, che riappare nel corso della loro narrazione, ma il racconto di Azucena non include gli elementi e i motivi uditi nella parte prima dell’opera. Durante la narrazione dell’atto del rogo, la musica ritorna al ritmo del ballo e al tempo di allegretto dell’aria “Stride la vampa”, e gli archi cominciano a suonare lo stesso motivo musicale che prima Azucena cantava nel suo canto realistico. Questo è il motivo della vampa, del fuoco e della follia che, a questo punto, diventa il motivo identificante di Azucena. Azucena rivive il terribile rogo, come se si impazzisse di nuovo. Dentro di lei risuona la voce della madre: “Mi vendica!”. (Verdi 2000:72) L’orrore del rogo viene aumentato con il passaggio cromatico della musica che raggiunge il culmine nel punto in cui Azucena si accorge che il figlio del conte è accanto a lei, e comprende che suo figlio sta morendo sul rogo. Il motivo della vampa si ripete anche nella Parte Terza quando il conte arresta la zingara e vuole bruciarla sul rogo - è noto che in questo caso non Azucena, ma il Conte menziona il motivo della vendetta, e infine Ferrando e il coro dei soldati toccano il tema del rogo e la vampa infernale che sarà la tomba della strega malvagia. La forza della vampa riappare ultimamente nell’immaginazione di Azucena nella Parte Quarta. Nella musica si sente la gradazione della sua follia, che è sempre più forte e che, a poco a poco, domina tutta la sua interiorità. La sua voce comincia ad essere impazzita quando dice a Manrico: “Non odi?... gente s’appressa... – I carnefici son... vogliono al rogo – Trarmi!... difendi la tua madre!” (Gerardi 1981:61) e ripete la stessa linea cromatica, accompagnata dalle semicrome, in allegro, apparsa all’inizio del suo racconto, nella Parte seconda, ma Manrico non ode nulla. Azucena, invece, continua il suo cammino verso la 310 follia gridando tre volte, senza badare a Manrico – indicazione del compositore: “Il rogo!...” e poi aggiunge: “parola orrenda!”. (Verdi 2000:227) Con queste parole ricomincia il motivo musicale di “Stride la vampa”, con il ritmo popolaresco di tre ottavi, con il tempo in allegretto e con lo stesso motivo melodico suonato dagli strumenti di legno anche se non nella stessa tonalità. Manrico cerca di calmarla, e alla fine la zingara si addormenta. Anche a questo punto, la musica segue fedelmente le fasi dell’addormentarsi e della crescente stanchezza di Azucena: gli staccati e le pause dell’orchestra in tempo andantino simboleggiano i suoi occhi che stanno chiudendosi. Abbiamo già analizzato due differenti focalizzazioni della stessa storia, quella di Ferrando e quella di Azucena. Il “Miserere” della Parte Quarta è un po’ differente: qui non appare una narrazione come nei casi precedenti, ma si presenta la pura focalizzazione musicale. Dopo la cavatina di Leonora segue il coro interno che canta il Miserere e suona la campana dei morti; quindi, la musica conferisce un effetto funebre e tragico alla scena, come se accompagnasse Leonora al suo ultimo cammino verso la tomba. La campana dei morti è un suono di natura che appare nell’opera diverse volte e fornisce informazioni spazio-temporali: aumenta l’effetto del buio notturno, e, inoltre, prevede simbolicamente gli eventi tragici. Il Miserere, nonostante che sia un intermezzo, o un tempo di mezzo funzionalmente secondario tra la cavatina e la cabaletta di Leonora, oltre a dare informazioni secondarie sulla situazione drammatica, costituisce il vero culmine emotivo della scena, grazie alla sua focalizzazione e alla sua straordinaria efficacia emotiva: il coro interno è focalizzato alla personalità di Leonora: “Miserere d’un alma già vicina – Alla partenza che non ha ritorno! – Miserere di lei, bontà divina, - Preda non sia dell’infernal soggiorno! (Gerardi 1981:57) Il Miserere lascia intendere che la sorte della protagonista è già prevista. 311 3. Suoni di natura I suoni di natura non appartengono al corpus dell’orchestra, servono esclusivamente a suggerire l’esistenza stessa di uno spazio, di un mondo esterno a quello scenicamente visibile, e quindi non si identificano con le musiche realistiche o dei suoni di scena. (Zoppelli 1994:124-125) Ogni parte contiene almeno uno suono di questo tipo. Nella Parte prima, durante la narrazione di Ferrando il suono della campana di mezzanotte assume la funzione di descrivere un ambiente fuori scena e di aumentare l’effetto orroristico della musica, e della situazione, basti pensare che il servitore sta proprio parlando del mondo superstizioso della zingara. Nella Parte Seconda, si ode il rintocco della campana de’sacri bronzi, che segnala lo squillo del rito di monacazione di Leonora. La sua funzione è dare informazioni sull’ambiente spazio-temporale: informa il conte e i suoi servitori sul tempo e sul fatto che devono fare in fretta se vogliono rapire Leonora prima dell’annunzio del voto sacro. Nella Parte Terza, il suono dell’organo informa Leonora e Manrico sull’ambiente spaziotemporale: i due amanti si accorgono così che devono lasciare la cappella che sta per essere chiusa. E infine, nella Parte Quarta, dopo il coro interno del Miserere focalizzato sulla personalità di Leonora, prevedendo la sua sorte tragica, suona la campana dei morti, che aumenta l’atmosfera funebre e tragico della scena. Conclusioni Nel presente studio, ho sottolineato le differenze tra dramma spagnolo e melodramma italiano dal punto di vista narratologico, le quali provengono dal fatto che il dramma e il melodramma ottocenteschi rappresentano due differenti generi artistici: il dramma è un genere assolutamente rappresentativo mentre, nel caso del melodramma ottocentesco, la classificazione è problematica poiché, per l’influenza del romanzo romantico, questo genere misto assume anche funzioni narrative, e quindi si trova al limite fra un genere rappresentativo e uno narrativo. Per questa ragione, mi sono 312 permessa la libertà di parlare dell’opera in una prospettiva narratologica. Ho dimostrato la presenza di tanti elementi narratologici: la narrazione focalizzata sulla prospettiva di uno o dell’altro protagonista, che viene accentuata con la forza viva della musica; la musica di scena; i diversi suoni di natura, che sono presenti in ogni parte dell’opera, e che danno informazioni sull’ambiente spazio-temporale; o addirittura l’orchestra che assume le funzioni di descrivere e rispecchiare un ambiente, un sentimento specifico, o appunto la prospettiva di un personaggio. Questi sono gli elementi che rendono l’opera coerente e unitaria. D’altro canto, è noto che le differenze tra le due varianti de Il Trovatore non sono dovute soltanto alla prospettiva narratologica ma anche alle diverse tradizioni teatrali dei due popoli mediterranei. Lo studio dettagliato di questo problema potrebbe essere un altro punto interessante nell’analisi comparativa tra il dramma spagnolo e il melodramma italiano.1 L’attenzione agli elementi narratologici consente di intendere meglio il miracolo compiuto da Verdi aumentando la drammaticità del melodramma italiano rispetto al dramma spagnolo. Con questi mezzi espressivi, le situazioni e i personaggi diventano più autentici, caratterizzati molto più profondamente del dramma, soprattutto la figura di Azucena si arricchisce con nuovi significati morali, similmente ad altri protagonisti di questo periodo verdiano, come, per esempio, Rigoletto o Violetta. Il melodramma ottocentesco si avvicina al genere del romanzo, come viene evidenziato anche dalla caratterizzazione drammatica dei personaggi: l’opera verdiana sostiene una morale media che è simile, pur nella diversità di orizzonti, a quella affermata dal romanzo manzoniano. 1 Per altre informazioni sul tema, vedi Szilágyi 2004. 313 Bibliografia Baroni 1999 Black 1984 Budden Cattaneo 1985 1988 Coletti 2003 Gerardi 1981 Gutiérrez Kerman Menarini 1997 1990 1977 Mila Osborne Szilágyi 2000 1975 2004 Verdi Verdi 2000 1968 Zoppelli 1994 314 M. Baroni, E. Fubini, P. Petazzi, P. Santi, G. Vinay, Storia della musica, Torino J. N. Black, The Italian Romantic Libretto. A study of Salvatore Cammarano, Edinburgh J. Budden, Le opere di Verdi, Torino M. Cattaneo, “Il libretto spagnolo: un percorso verdiano dal dramma al melodramma”, in Id., Forme del melodrammatico: Parole e musica (17001800), Milano V. Coletti, Da Monteverdi a Puccini, Introduzione all’opera italiana, Torino Giuseppe Verdi, Celeste Aida… I testi delle opere: Aida – Trovatore – Ballo in maschera – Forza del destino, (a cura di E. Gerardi), Roma A. G. Gutiérrez, El trovador, Madrid J. Kerman, L’opera come dramma, Torino P. Menarini, Dal dramma al melodramma: i tre libretti „Spagnoli” di Verdi, (Studi e testi Verdiani n. 2.) Bologna M. Mila, Verdi, Milano C. Osborne, Tutte le opere di Verdi, Milano A. Szilágyi, „A trubadúr, dráma és melodráma”, Italianistica Debreceniensis, (2004)/XI (Debrecen), pp. 199-223. G. Verdi, Il Trovatore, Milano G. Verdi, Il Trovatore, interpretato da Bjoerling, Milanov, Barbieri, Warren, Cellini, RCA Victor Orchestra, Robert Shaw Chorale, BMG A. Zoppelli, L’opera come racconto. Modi narrativi nel teatro musicale dell’Ottocento, Venezia