CATERVO CANGIOTTI JAZZ EDIZIONI NOBILI PESARO 2006 Duecento copie Edizioni fuori commercio Stamperia Annesio Nobili in Pesaro dal 1823 Finito di stampare nel mese di aprile 2006 A Walter Ottaviani. La musica jazz, fedele e fantastica compagna della tua vita terrena, ti sia vicina anche là dove ora ti trovi. In questo “quaderno” sono raccolti i temi da me sviluppati nel corso di conversazioni tenute in varie città marchigiane. Ringrazio con tutto il cuore gli amici Leonardo Della Chiara e Americo Salvatori. Senza la loro preziosa e appassionata collaborazione questo libretto non avrebbe mai potuto venire alla luce. Catervo Cangiotti Indice Introduzione ........................................................................... 9 Parte prima: La poetica delle Arti moderne ............................................ Miles Davis ......................................................................... Modern Jazz Quartet .......................................................... Thelonious Monk................................................................. Charles Mingus ................................................................... Charlie Parker ..................................................................... Steve Lacy ............................................................................ John Coltrane....................................................................... 13 49 49 50 50 51 52 53 Parte seconda: Storia sociale del jazz ........................................................... Il jazz dalle origini al crollo di Wall Street ......................... L’era dello swing ................................................................. Il jazz del dopoguerra .......................................................... 57 62 67 71 Parte terza: Musica jazz e musica leggera: opera d’arte ed opera di intrattenimento ......................... 103 Conclusioni ............................................................................. 113 Bibliografia ............................................................................. 119 Discografia .............................................................................. 121 Introduzione Non ho certo la presunzione di aver scritto queste pagine per gli appassionati di jazz, i quali già conoscono meglio di me la loro musica. Le ho volute scrivere essenzialmente per i tanti amici che non si sono mai avvicinati al jazz ed all’arte moderna per i più disparati motivi, oppure ne hanno un’idea vaga e troppo spesso distorta. Per divulgare la conoscenza del jazz, mi sono sembrate indispensabili alcune riflessioni di più ampio respiro che riguardano, oltre alla storia ed alla poetica di questa musica, anche la storia e la poetica di tutte le arti moderne (pittura, scultura, letteratura ecc.), dal momento che tutte le arti del Novecento sono collegate intimamente alla evoluzione della società negli ultimi cento anni. Fare storia della musica e dell’arte moderna in generale, non è altro che una forma di fare storia, essendo l’arte una trama e una sintesi delle relazioni fra i diversi accadimenti della realtà umana. L’Arte è prodotta dalla Storia e, talvolta, la precede. Mi è sembrato anche indispensabile il suggerire l’ascolto dei più importanti protagonisti di cento anni di storia del jazz, segnalando incisioni di grande livello e significato; il mio amico Americo (una specie di computer umano: si ricorda a memoria tremila dischi jazz!) mi ha aiutato nella scelta dei brani, anch’essa effettuata con l’attenzione rivolta ai non esperti. Dunque, dischi importanti e bellissimi, per la maggior parte non molto complessi sotto il profilo armonico – melodico – ritmico, ma contenenti alcune suggestioni in grado di colpire i neofiti, aiutandoli nella comprensione del testo. Parimenti, mi auguro che il testo li aiuti nella comprensione delle musiche. Il libro è diviso in tre parti: una prima parte che riguarda la poetica delle arti moderne, una seconda che riguarda propriamente la storia della musica jazz ed una terza parte conclusiva che esamina le differenze e convergenze fra arte e intrattenimento (fra musica jazz e musica leggera). Parte Prima La poetica delle arti moderne Indubbiamente non è facile capire ed amare la musica jazz, soprattutto quella del dopoguerra, come non è facile capire ed amare la pittura di Picasso, Braque, Klee e men che meno quella di Pollock, Mondrian o Kandinsky; come non è facile leggere ed apprezzare l’Ulisse di Joyce. Oggi fortunatamente sono milioni le persone in tutto il mondo che hanno imparato ad amare le arti moderne (musica jazz compresa), ma fino a trenta anni fa, come dice Guido Ballo, “l’occhio comune e l’orecchio comune” prevalevano sull’orecchio critico e l’occhio critico, per cui era facile ascoltare nei confronti delle arti moderne le espressioni di questo tipo: “Questi artisti moderni dicono e parlano tanto, ma in realtà non sanno più copiare la natura” oppure “Certo è comodo disegnare così, a caso, il seno al posto delle ginocchia, due nasi, un solo occhio...”. “Ma che razza di arte è questa? dove sono più la bellezza e il sentimento?”. E analoghi commenti nei riguardi di tutta la musica del Novecento: “dov’è più l’armonia?” “cosa sono questi rumori strozzati o animaleschi o elettrici?” “dove sono più il bel canto e le sublimi armonie?” E così di seguito. La realtà è che non è possibile avvicinarsi alle arti moderne utilizzando i criteri della estetica classica. Quantomeno occorre prima rendersi conto perché il Novecento è un secolo così diverso da tutti gli altri che lo hanno preceduto nella storia dell’umanità. Vi sarete certamente domandati perché nella nostra epoca non possono venire più alla luce opere d’arte di largo respiro come la Divina Commedia o gli affreschi della Cappella Sistina o la Messa in Si minore di Bach - opere che sono le grandi cattedrali dello spirito umano? Poniamoci un’altra domanda: perché Donatello o Canova sono così differenti, in senso tecnico e formale, da Henry Moore? E, analogamente, perché Mantegna da Kandinsky? Oppure Chopin da Bartok e, più ancora, da Webern, da Cage o da Charlie Parker, il più grande artista che abbia espresso la musica jazz nei suoi cento anni di vita? Tutto ciò non è casuale. E’ che il Novecento è un secolo troppo diverso da tutti quelli che lo hanno preceduto. E’ un secolo durante il quale l’umanità ha compiuto più progressi che in tutta la sua restante storia messa insieme. E’ un secolo contrassegnato dalle grandi scoperte scientifiche e tecnologiche dalle quali è derivata la rivoluzione industriale che, in un certo senso, ha traumatizzato l’anima umana portando nella coscienza dell’uomo sollecitazioni ed inquietudini fino ad allora sconosciute. L’arte del Novecento riflette questi traumi e queste inquietudini e si esprime non con opere conchiuse ma per lampi di genio, per squarci di luce, con messaggi ambigui ed inquietanti, con una aspirazione assoluta alla purezza; dunque con messaggi rivolti ad un fruitore coinvolto anch’esso in una ricezione aperta di questi messaggi, molto spesso simbolici. Secondo la teoria della ricezione il senso di un testo letterario, come di un quadro o di un brano musicale, non deriva solo dall’atto che lo crea; esso si può dire compiuto quando viene “ricostruito” nella mente del fruitore. Come la musica, anche un testo letterario deve venire “eseguito” ed il senso dell’opera sta nel rapporto dialogico fra chi compone, dipinge (o scrive) e chi ascolta, guarda o legge. Il mondo classico fino al secolo scorso era invece dominato da una idea metafisica di ordine, con una concezione del cosmo a gerarchie chiarite e prefissate. Dogmi e verità morali erano altrettante certezze, punti di riferimento obbligati per la coscienza dell’uomo. La realtà si appalesava senza imprevisti in una unica direzione; si sapeva e si insegnava ciò che era il bene e ciò che era il male, ciò che era giusto e ciò che era ingiusto, ciò che era morale e ciò che era immorale. Nel Novecento, soprattutto le scoperte della fisica, con la introduzione dei concetti di campo, di possibilità, di probabilità, di casualità, di indeterminazione, hanno dato un colpo mortale a quell’universo di certezze che costituiva un baluardo protettivo per l’uomo di fronte al mistero dell’esistere. Tutto ciò, parallelamente ai progressi della tecnica, ha reso l’uomo estremamente insicuro. L’arte naturalmente riflette questo stato d’animo. Dunque alla base del costume artistico del nostro tempo c’è la mancanza di punti fermi, c’è il relativismo diffuso. Nell’epoca in cui tutti i punti di vista mutano continuamente, in cui l’uomo viene bombardato quo- tidianamente da milioni di messaggi, col relativismo, anche l’esistenzialismo è entrato nel clima, nel costume, nella coscienza della gente comune, anche senza bisogno che questa abbia letto Kierkegaard, Sartre o Einstein. L’ansia, l’instabilità, l’angoscia diventano motivi esistenziali che influenzano profondamente il modo di esprimersi dell’artista del Novecento. Egli, dunque, comincia a riprodurre (sia in pittura che in musica o in poesia) non ciò che vede ma ciò che sente. Di qui un arte che non si basa più sulla imitazione della realtà, ma si basa su segni, simboli, sulla espressione di un gesto, nell’emissione di una nota, magari affrancata da un centro tonale. Interessano l’artista del Novecento non solo l’intelletto, ma anche l’inconscio. Il contrasto di vivere in uno stato di indeterminatezza fa sviluppare una esigenza di purezza, di assoluto che si esprimono mediante simboli, segni, colori, suoni, parole, densi di poesia, bagliori di luce dell’anima, come dicevo prima. Per averne conferma basta andare a leggersi i “manifesti ideologici” dei movimenti che hanno caratterizzato la pittura del Novecento: Kandinsky teorizzava il valore della emozionalità attraverso i simboli; dunque una pittura astratta con ri- nuncia definitiva alla raffigurazione del soggetto. I simbolisti concepivano l’arte come espressione analogica dell’IDEA, in contrapposizione al naturalismo. Il surrealismo (André Bréton) concepiva l’arte come valorizzazione dell’inconscio. I fauvisti (De Vlaminck) pensavano alla natura solo come ispirazione o repertorio dei segni ai quali attingere per esprimersi. Essi postulavano, inoltre, modalità espressive fondate su accordi di colori analoghi agli accordi musicali. Una ulteriore conferma, per analogia, viene dalle parole di alcuni fra i più grandi artisti del jazz: “Io non sono ciò che suono, ma suono ciò che io sono” (Miles Davis), oppure: “Nel jazz si deve suonare la vita” (Parker, Coltrane). Ed i percorsi misteriosi, affioranti da segrete solitudini, dei segni e dei simboli dei quadri di Klee, sono gli stessi dei percorsi armonici e melodici di Monk o Coltrane. Sia nella musica che nella pittura trionfa la interiorità (risonanza interiore, la chiamava Kandinsky) a scapito della rappresentazione del visibile e dell’immutabile. L’artista moderno non si cura più di rappresentare la realtà; egli ricerca la verità intrinseca delle cose. E’, quindi, portato a tradurre ciò che 16 sente in simboli, segni visibili o segni sonori, rappresentativi di concetti. Lo scultore marchigiano Edgardo Mannucci diceva: “E’ molto più difficile cercare la verità che il vero. Perché al vero ci si può arrivare, poiché è un dato fotografico, che documenta tutto. Invece la verità è un qualcosa che sta dentro di noi, un qualcosa di molto più complicato”. Sono concetti già espressi da Paul Klee: “L’arte dissuggella gli occhi sull’invisibile. La realtà non è altro che la verità delle cose non ancora svelata, alla quale l’uomo può arrivare anche ad occhi chiusi; perché l’arte non deve fargli vedere ciò che è già visibile, ma insegnargli a vedere nel fondo della propria anima”. Oggi non possono più nascere le grandi architetture dello spirito, simbolo di una visione statica dell’ordine; oggi l’uomo moderno non ha più né tempo né certezze interiori per esprimere universi conchiusi e definiti. Può solo emettere bagliori dell’anima, come una lucciola dispersa nella notte, effetti di lirismo acuto, sottili stridori ed espressività come cercare scampo dalla realtà traumatizzante di tutti i giorni. Questo grido solitario, questa sottile poesia la si può scorgere in un quadro di Klee, come in un verso di Montale o in una nota (a volte anche una nota sola) di Miles Davis, impareggiabile lirico poeta del jazz. Entriamo, ora, più concretamente nel mondo della musica. Vi sono molte analogie fra le musiche del Novecento (musica jazz moderna e musica postweberniana) e le altre arti del secolo. In entrambe si riscontra una predilezione per le strutture vaghe, aperte, con un livello di entropia molto elevato, con una grande ambiguità di significati; entrambe prediligono materiali ed espressioni povere, grezze; si pensi alle tele di Alberto Burri ed alle macchie di colore degli espressionisti, alla entusiastica ricerca dell’arte primitiva d’Africa e d’Oceania fatta dai pittori epigoni del fauvismo, alla predilezione per le espressioni primitive degli aborigeni americani, da parte di Pollock, per il loro carattere magico e simbolico. E si potrebbe continuare... Per analogia, tutto quanto appena detto per la pittura trova corrispondenza nella musica jazz, che predilige i suoni poveri e grezzi lontani dalla levigatezza formale della musica classica. Scrivono i critici musicali Rodolfo Dini e Massimo Mazzoni: “Anche Debussy, come Ellington, rimette 17 in discussione le tradizionali gerarchie orchestrali, emancipando il timbro orchestrale ad elemento strutturale. Ma Debussy si serve di suoni neutri ed epurati secondo un lungo processo di astrazione che consente di fissarli sulla carta pentagrammata prescindendo, al limite, dalla mediazione degli interpreti. La tavolozza timbrica di Ellington è invece ricca di suoni sporchi le cui radici risiedono nel blues, con una sintesi fra intonazione non temperata e deformazione timbrica che è uno dei tratti distintivi della musica afro-americana”. Riflettiamo ora su un’altra straordinaria analogia: nella musica jazz l’improvvisazione è un fatto di fondamentale importanza, determinando una identificazione fra creazione ed esecuzione. In sostanza l’arte coincide con il gesto che lo crea. La stessa cosa accade nella pittura informale; pensiamo a tutta l’action painting e a Pollock in particolare, la cui pittura, di grande tensione e drammaticità, nasce dal gesto del dipingere non come fatto automatico ma come fatto creativo che si trascina sul quadro il mondo interiore dell’artista. Analogamente pensiamo all’esplosione sulla tela degli accordi di colori di un De Vlaminck del tutto analoghi alla esplosione delle note e degli accor- di musicali durante una improvvisazione. La tela del musicista di jazz che crea mentre improvvisa è il nastro registrato. Nella musica classica invece, il processo creativo è disgiunto da quello esecutivo. L’opera d’arte, una volta creata, ha una forma definita e l’interprete deve eseguirla nella maniera più vicina alle intenzioni dell’autore, tanto che all’interprete è necessario un lavoro di approfondimento storico, in senso filologico, estetico, nel senso di conoscere la biografia del compositore ecc., in modo da captare tutte le sfumature e rendere quindi l’esecuzione il più possibile aderente alle intenzioni del creatore. Pensiamo al non mai abbastanza lodato sforzo filologico della Fondazione Rossini per riportare i manoscritti rossiniani alla loro originale stesura; pensiamo al disappunto dei più raffinati cultori di musica classica che lamentano di non poter più ascoltare la musica di Haendel così come l’autore volle concepirla perché oggi non è più possibile disporre di un coro di giovani castrati, previsti espressamente da Haendel per il particolare timbro delle loro voci! Naturalmente sto estremizzando, per evidenziare la dissociazione fra processo creativo e processo esecutivo dell’opera d’arte classica. Del 18 resto, Balzac affermava: “La musica esiste indipendentemente dalla esecuzione”. Ma per ricollegarmi al discorso dell’opera aperta, le musiche del ‘900 non possono più consistere in un messaggio conchiuso, fatto di realtà sonore organizzate e gerarchizzate, ma sono costrette a presentare, (perché così vuole l’anima dell’uomo del ‘900) un campo di possibilità di varie organizzazioni affidate all’iniziativa dell’esecutore che la porta a termine nel momento stesso in cui le fruisce esteticamente, cioè mentre le realizza. Nella musica jazz è l’interpretazione, con l’improvvisazione, che diventa composizione immediata. L’assolo del musicista di jazz è un fatto autobiografico, identificandosi con un momento, quel momento di vita realmente vissuto. Ogni esecuzione è una composizione che tiene conto dello stato emozionale ed esistenziale del musicista nel momen- to della esecuzione stessa. Il nastro registrato è per il jazz fondamentale. Senza riproduzione sonora non ci sarebbe spartito musicale in grado di riprodurre con sufficiente evidenza la musica jazz. La difficoltà di penetrare la musica jazz moderna è del tutto analoga, in senso formale, storico ed emotivo, alla difficoltà che occorre per decifrare ed amare tutte le altre arti del Novecento, la pittura in particolare. Prima di passare alla seconda parte, nel corso della quale ripercorreremo i cento anni della storia del jazz, vi propongo l’ascolto dei brani di alcuni fra i più grandi musicisti di jazz con la contemporanea visione di opere di altrettanti grandissimi pittori del XX secolo. Linguaggio sonoro e linguaggio pittorico cercano di suscitare le stesse emozioni, come ho cercato di illustrarvi in questa prima parte. Ascolti Visioni Miles Davis Lucio Fontana, Wassily Kandinsky Modern Jazz Quartet Giorgio De Chirico Thelonious Monk Henri Rousseau Charles Mingus Matisse, Boccioni, De Vlaminck Charlie Parker Jackson Pollock, Pablo Picasso Steve Lacy Piet Mondrian John Coltrane Paul Klee 19 fig. 1 – Wassily Kandinsky, composizione VIII 21 fig. 2 – Paul Klee, insula dulcamara 23 fig. 3 – Alberto Burri, sacco 54 25 fig. 4 – Jackson Pollock, ocean greyness 27 fig. 5 – Maurice De Vlaminck, le chiuse a Bougival 29 fig. 6– Lucio Fontana, concetto spaziale 31 fig. 7 – Wassily Kandinsky, composizione X 33 fig. 8 – Giorgio De Chirico, le muse inquietanti 35 fig. 9 – Henri Rousseau, giaguaro che attacca un cavallo 37 fig. 10 – Henri Matisse, pesci rossi 39 fig. 11 – Umberto Boccioni, dinamismo di un ciclista 41 fig. 12 – Jackson Pollock, numero 8 43 fig. 13 – Pablo Picasso, donna seduta 45 fig. 14 – Piet Mondrian, composizione in rosso 47 fig. 15 – Paul Klee, la belle jardinière 48 49 MILES DAVIS Ascoltiamo Miles Davis, il lirico poeta della musica jazz.1 Di razza nera, ma di famiglia ricca e di educazione borghese, si trovò a suonare fra gli zingari poeti come Charlie Parker. E, proprio dal contrasto, nascono le sue note essenziali, quasi colte al margine del minimo vitale. A volte basta una sola nota sospesa, per esprimere una emozione profonda. In definitiva il lirismo di Davis è fatto di poche note che colpiscono ed incidono sottilmente lo spazio musicale, così come i tagli di Lucio Fontana (fig. 6) incidono gli spazi monocromatici della tela, creando entrambi una grande tensione emotiva. Miles Davis era anche un apprezzato pittore. Il suo stile era astratto, fortemente ispirato al movimento “Memphis” di Ettore Sottsass, il raffinato e colto designer italiano e metteva insieme colori e forme con un procedimento uguale a quello della sua musica. Il suo lirismo, “astratto” nella forma ma di intensa emozionalità, rimanda alla pittura altrettanto struggen- 1 2 Ascolto: Blue in green - Miles Davis 1959 Ascolto: Vendome - Modern Jazz Quartet 1955 te di W. Kandinsky, anche lui tenace assertore delle suggestive analogie fra musica e pittura, fra i segni sulla tela e le note d’aria, fra il valore psicologico delle forme e quello delle note. (fig. 1) Di Davis parlerò ancora alle pagg. 79, 80. MODERN JAZZ QUARTET Formato da quattro musicisti di colore ma di formazione musicale classica, europea, il Modern Jazz Quartet 2 per trent’anni ha calcato le scene di tutti i teatri ed i Conservatori del mondo. Essi, pur non rinnegando la loro origine e cultura nera, prediligono la classicità elaborando una singolare forma di jazz da camera in cui la sostanza è jazzistica all’interno di una forma europea; prova ne sia il ricorso al contrappunto, adottato con un rigore accademico. Così come la pittura di De Chirico che, pur essendo un protagonista del surrealismo, conserva un dichiarato amore per la classicità e per le sue forme. (fig. 8) Penso anche ad un quadro del 1919 50 di Carlo Carrà, Le figlie di Lot, un quadro straordinario per la sua carica innovatrice all’interno di un dichiarato amore per i valori della classicità. THELONIOUS MONK Monk 3 è uno dei grandissimi del jazz moderno. Non si può dire di conoscere il jazz se non si conosce e non si ama Monk. (Vedi anche a pag. 79) Egli era un uomo senza speranze e senza sorriso; passava settimane intere a letto senza vedere nessuno. Ma artisticamente è una specie di Henri Rousseau del jazz (fig. 9): entrambi primordiali nell’ispirazione, anime candide ma interiormente contorte. Le loro immagini musicali e pittoriche sembrano pescate dal remoto mondo dei sogni. Le dissonanze del pianoforte di Monk e delle sue composizioni (Monk è forse il più grande tra i compositori di jazz) sono estranee, assurde, offensive, a volte infantili, eppure incantevoli così come i leoni e le verdissime piante tropicali che campeggiano nelle tele del “do- 3 4 Ascolto: Ruby my dear - Thelonius Monk 1947 Ascolto: Tijuana gift shop - Charles Mingus 1956 ganiere”, e forse significano le stesse cose. CHARLES MINGUS Altro grandissimo del Jazz moderno, grande contrabassista e soprattutto grande leader di orchestra e di piccoli gruppi di musicisti dai quali sapeva ricavare prestazioni straordinarie. La sua musica è un capolavoro dell’espressionismo, “una caldaia di emozioni” come l’ha definita un critico che ha aggiunto: “la musica di Mingus è un cavallo selvaggio ed imprevedibile. Essa è espressionista come tutta la pittura nella quale l’esperienza emozionale è contraddistinta da una forte accentuazione cromatica e dalla incisività del segno”. Analogamente, nella musica di Mingus, 4 abbiamo l’accentuazione dei cromatismi sonori ed anche dei segni sonori, cioè dei percorsi armonici accidentati di Mingus, che esprimono una alta intesità emotiva. De Vlaminck, Matisse, Chagall e Boccioni sono i nomi che possono portare alla musica di Charlie Mingus. (fig. 5, 10 e 11) Esplosioni di colori 51 sulla tela, esplosioni di note nell’aria: sono e significano la stessa cosa. (Vedi anche pag. 79) Vi propongo l’ascolto di un brano nel quale Mingus descrive in musica il fascino e le attrattive di Tijuana, la famosa città messicana, ricreando le sensazioni che egli stesso “sentiva” percorrendo i pittoreschi, stretti vicoli gremiti di turisti, di vecchie botteghe, di tequila e hotchili peppers consumati a dismisura, di spogliarelli e di orchestrine sparse un po’ ovunque. CHARLIE PARKER Ho già detto che Charlie Parker 5 è il più grande artista che la musica Jazz abbia mai espresso nei suoi cento anni di storia. Quando morì, a soli trentacinque anni, il 5 marzo 1955, gli appassionati di jazz si sentirono come mutilati di una parte del loro corpo e del loro cuore. Mi è caro riportare le parole che Giancarlo Testoni ed Arrigo Polillo, due grandi maestri della critica musicale jazzistica, scrissero in quei giorni: Charlie Parker ha raggiunto le vette del sublime come tanti artisti maledetti (Poe, Van Gogh, Verlaine, 5 Ascolto: Lover man - Charlie Parker 1946 Caravaggio) e come tanti artisti che hanno bruciato la loro giovane vita (Keats, Shelley, Pollock), quasi che la morte prematura fosse una condizione necessaria per la creatività e la pazzia il prezzo della loro poesia. (fig. 4, 12) Il “sentire” dell’uomo del novecento si sviluppa all’insegna di esperienze insolite e perturbanti, ambivalenti, spesso eccessive, di cui è intessuta l’esistenza di uomini e donne di questo secolo. Da questo tipo di sensibilità, non di rado vicino a nevrosi, stati psicopatologici e tossicodipendenti, tutte le arti del Novecento hanno spesso trovato ispirazione. Dissociazione e caos, malessere e bruttezza, dolore ed abiezione sono stati gradi di affettività tormentata che spesso si trovano all’interno dell’uomo del Novecento (Mario Perniola, “L’estetica del Novecento”, Ediz. Il Mulino). Iniziato alla droga all’età di dodici anni da un amico di famiglia, la vita di Parker si è bruciata fra il bene e il male in un processo ricorrente di autodistruzione e di lirismo struggente. Mostri e fantasmi della rovina dell’Io nel mondo contemporaneo, galoppano fra le note 52 di Parker, con un linguaggio ed una sintesi ribelli ma con una aspirazione ad una purezza classica. Vi invito ad ascoltarlo in un brano che è uno dei più famosi di tutta la storia della musica jazz: il Lover Man inciso da Parker nel luglio del 1946, in preda ad una crisi allucinogena. Se il jazz rappresenta, come abbiamo detto, inquietudini, smarrimenti e speranze dell’uomo del novecento, nessuno come Charlie Parker è riuscito a rappresentare tutto ciò. Ancora una osservazione. L’arte africana che, come vedremo, ha esercitato una significativa influenza sulle origini della musica jazz, ha fortemente influenzato anche l’arte di Pablo Picasso, il quale fece diventare la pittura e la scultura negra una parte integrante del suo spirito. (fig. 13) I quadrati, i cubi ed i triangoli, capaci di deformare la realtà secondo ua occulta necessità lirica, sono nati da lì. Come le tortuose deformazioni armoniche e melodiche della musica di Parker. Tutto ciò è suggestivo e non casuale. Altre note su Parker alle pagine 72 e 75. 6 Ascolto: Remember - Steve Lacy 1977 STEVE LACY Uno dei grandi maestri del sax soprano, strumento che lui stesso definisce “perverso e divino, pudico e sensuale”, è Steve Lacy. 6 Lacy è un maestro della sperimentazione, tanto da avvicinarlo ad alcuni dei grandi pittori dell’arte moderna da lui tanto amata; da un lato a Piet Mondrian, per la pervicacia ed il rigore con cui ha asciugato le proprie creazioni in idee nitide e brillanti; dall’altro a Paul Klee per il suo mondo di figure infantili e simboli inquietanti, di linee monodimensionali ma che creano sottilmente la profondità. Sono le parole del critico musicale Claudio Sessa. Sia Mondrian che Klee portano alla semplificazione scarna delle immagini così come è scarno l’uso delle note da parte di Lacy. (fig. 14 e 15) La pittura di Mondrian e di Klee e la musica di Lacy, rappresentano la geometria dell’arcano. Con un’ampia tavolozza a disposizione, Lacy lavora come un pittore, esaltando contrasti timbrici, accesi moduli ripetitivi, aerei puntilismi e saturazioni sonore (Stefano Merighi, “Musica Jazz”, Ottobre 1996). 53 Vi propongo l’ascolto di un suo straordinario assolo con l’orchestra di Gil Evans. JOHN COLTRANE Uno dei più grandi del jazz di ogni tempo è, certamente, John Coltrane, la cui figura è tratteggiata a pag. 87, 88. Qui mi preme sottolineare le straordinarie analogie con la vita e le opere di Paul Klee. Entrambi impressionanti per intensità psicologica e deformazione espressiva. Entrambi sempre alla ricerca dell’ignoto. Entrambi grandi sperimentatori: Klee come teorico dei rapporti sulla costruzione e combinazione dei segni, della scala cromatica (di alta complessità tecnica), paladino di un rigoroso rapporto fra teoria e prassi pittorica e, nello stesso tempo, lirico creatore di un territorio magico nel quale il controllo dei mezzi viene tradotto in 7 Ascolto: Crescent - John Coltrane 1964 infinite ed emozionanti forme fantastiche. (fig. 2 e 15) Coltrane altrettanto rigoroso sperimentatore di scale modali, di alta complessità tecnica, attraverso le quali andare alla riscoperta sommessa di sentimenti e purezze lontane. La sua tormentosa manipolazione delle linee melodiche è di straordinaria intensità espressiva. C’è, infine, da rilevare come Klee e Coltrane siano stati due uomini miti e schivi, ma non nevrotici o chiusi anzi, profondamente umani e con uno struggente amore per le cose e gli eventi naturali. Di Klee si è detto che egli ascoltava palpitare la vita ed alitare la morte, cercando l’impossibile equilibrio fra il bene ed il male. L’arte, diceva Klee, non rende “il visibile ma insegna a vedere”. ”Dissuggella gli occhi sull’invisibile, sulla verità delle cose non ancora svelata”. Ebbene, le stesse cose si possono dire della musica di Coltrane. 7 Parte Seconda 57 Storia sociale del jazz Con l’ausilio delle incisioni consigliate, cercherò di fare una sintesi della storia sociale del jazz. Sottolineo la parola “Sociale” poiché la storia della musica jazz è intimamente e profondamente legata alla evoluzione della società negli Stati Uniti e, successivamente, nel mondo. L’etimologia della parola “JAZZ” ha contorni molto incerti, così come tante altre parole gergali (si veda ad esempio “Dada” del dadaismo). Parimenti esiste una notevole difficoltà a dare una definizione precisa, in senso tecnico-formale, della musica jazz. Di jazz come forma musicale autonoma si può cominciare a parlare attorno al 1900. Ma il periodo nel quale si caratterizzarono e fusero le varie componenti sociali e musicali dalle quali sarebbe poi nata la musica jazz abbraccia più di tre secoli, da quando cioè vennero forzosamente importati in America i primi negri in stato di schiavitù. Le componenti africane del jazz sono fuori discussione. Ma, attenzione, non si pensi minimamente che il jazz sia una musica africana. E’ una musica sviluppata ed elaborata dai negri degli Stati Uniti nel corso di tre secoli, fondendo le tradizioni socio-musicali della loro terra di origine, l’Africa appunto, con quelle della cultura europea, sia cattolica (dovuta ai francesi che occupavano la Louisiana) sia protestante (dovuta alla larga diffusione dei coloni anglosassoni). Ora vi farò un esempio, certamente paradossale, ma che consente di capire bene l’origine e lo sviluppo della musica jazz. Pensate dunque a degli extra-terrestri, molto più evoluti di noi, che piombino ad esempio su Napoli e rapiscano centomila napoletani per portarli sul loro pianeta ed asservirli come schiavi. Potete immaginare questa comunità di napoletani, sradicati dalla loro cultura ed inseriti in una cultura assolutamente estranea e in una civiltà di secoli e secoli più avanzata! Dopo cinquanta, cento o duecento anni, questa comunità napoletana, divenuta nel frattempo di milioni di individui, avrà sviluppato e pro- 58 Stampa dell’800 usata dagli abolizionisti nella campagna di liberazione degli schiavi (La Repubblica, 8.10.2005) 59 dotto una cultura in senso lato (tradizioni, cerimonie, modi di vita, di comunicazione, espressioni artistiche ed in particolare musicali) assolutamente nuova ed autonoma. In particolare la loro musica sarà una musica che certamente si rifarà alle radici classiche di Salvatore Di Giacomo e a “O sole mio”, ma che sarà completamente diversa, anche formalmente, cioè in senso armonico, melodico e ritmico, dalla musica di Napoli. Sarà una musica piena di innesti di cultura e paradigmi musicali degli extra-terresti. Di certo sarà però una musica densa di passione, d’angoscia, di struggimento perché rappresenterà il disagio di un popolo intero drasticamente strappato al suo mondo e catapultato in un altro più avanzato di secoli; una musica dunque che per questa sua tensione originale sarà un’arte popolare molto più elevata della musica di origine da cui è partita. Ho fatto questo esempio apparentemente paradossale, per farvi capire ciò che è esattamente accaduto ai negri dell’Africa occidentale, bruscamente catapultati in America, cioè in un mondo, per loro, di extra-terresti. La loro cultura africana si è dunque mescolata alla cultura bianca dei proprietari terrieri. Il delta del Mississipi e tutta la zona circostante New Orleans fu l’epicentro di questa commistione di cultura bianca e nera. Furono egualmente importanti le influenze sia della cultura cattolica francese sia di quella anglosassone dei coloni. L’influenza della cultura francese (col suo patrimonio di quadriglie, valzer, uso degli strumenti a fiato) fu notevole anche perché assorbita, dopo il 1865, dagli ex schiavi liberati (fra cui le ex schiave divenute concubine degli aristocratici francesi). Questi ex schiavi, ritornati successivamente, a seguito del ripristino di una situazione di dura segregazione razziale in uno stato di quasi schiavitù, trasferirono agli altri negri quella cultura che avevano naturalmente assorbito. La influenza della cultura anglosassone fu importante per tutto quel patrimonio di folklore irlandese e scozzese e per i canti religiosi protestanti (ricordiamo i salmi molto importanti nei riti religiosi dei Quaccheri). Ricordo che sul Mayflower furono imbarcate e gelosamente custodite, all’arrivo in America, le trascrizioni musicali di ben 39 salmi! La città di New Orleans, con la sua vita colorita, il suo incontro di razze, il suo proliferare di feste religiose e profane, sfilate, carnevali, fu- 60 nerali, feste di confraternite ecc., fu davvero un terreno fertile per lo sviluppo di questa musica, prodotto di impatto fra una cultura africana e due culture bianche europee. E così nacque il jazz, curioso impasto musicale in cui sono predominanti una armonia di matrice europea, una melodia euro-africana ed un ritmo prevalentemente africano. Vi si trovano in abbondanza diminuite e mezzi toni dovuti alla necessità di raccordare la scala pentatonica africana con quella classica europea. Caratteristiche della musica jazz sono una immediatezza di comunicazione, un uso di colori strumentali e vocali propri con tale espressività per cui gli strumenti suonano come fossero una voce umana (quasi che lo strumento fosse una propaggine del corpo umano) e le voci cantano come fossero strumenti, con un ritmo complesso e fluente. Questa musica, così definitasi nei primi anni del secolo, nei successivi cento anni di vita si è molto sviluppata, diffusa, modificata, continuando nei vari decenni ad attingere via via elementi di predominio ora dalla cultura bianca ora da quella negra, essendo stata sin dalle origini, come matrice di nascita, compressa ed oscillante fra queste due culture. Ad esempio basta ascoltare Charlie Mingus e Duke Ellington (neri) o Bill Evans (bianco) per avvertire chiaramente che la loro musica non sarebbe potuta esistere senza l’Africa, ma nemmeno senza Ravel e Debussy. Il jazz è stato definito anche musica popolare urbana, perché nel suo sviluppo ha rappresentato il disagio e le angosce e le speranze di un popolo ghettizzato nelle grandi città industriali degli Stati Uniti. A poco a poco gli stilemi, il linguaggio e la poetica del jazz sono stati apprezzati, assorbiti e fatti propri dai bianchi, a cominciare da quei gruppi etnici quali ebrei e italo-americani che hanno per molto tempo condiviso coi neri una condizione di emarginazione e di subordinazione nei confronti della classe dirigente americana, cioè quella anglosassone e protestante (WASP). Così, pian piano, nel corso di decenni e soprattutto del dopoguerra, la musica jazz è diventata internazionale, come musica che esprime quel disagio e quell’angoscia che contraddistinguono l’uomo del Novecento, sradicato dalle sue certezze e dalla sua cultura tradizionale in conseguenza della rivoluzione industriale. Oggi la musica jazz, pur conservando profondi legami sintattici e 61 grammaticali col jazz delle origini, è divenuta, ripeto, una musica suonata ed apprezzata ovunque, anche se di difficile comprensione. Il jazz moderno è una musica che impegna orecchie e cervello, cuore e mente ed il cui processo di comprensione è analogo a quello necessario per amare Picasso o Pollock. E’, nelle sue forme migliori, una delle più autentiche espressioni musicali del Novecento, la musica dell’uomo della civiltà industriale. Una acuta puntualizzazione di quanto appena detto proviene dal critico Luca Cerchiari: “Il jazz è diventato un linguaggio di sintesi fra preordinazione formale ed estemporaneità. Esso è inoltre una potentissima sintesi del patrimonio mondiale delle scale, vero catalizzatore fra le scale modali, orali, quelle di blues e quelle della cultura europea colta (scale maggiore, scala minore, ecc.). Ecco perché la musica jazz è diventata la musica più suggestiva dei nostri tempi”. Negli ultimi trenta anni i progressi della elettronica e le trasmissioni via satellite hanno ridotto il mondo ad un ben piccolo territorio. Abbiamo assistito ad una omogeneizzazione dei modi di vivere, di produrre, di mangiare, di vestire; gran parte del modo di vivere americano si è insinuato come un ger- me a volte benefico ed a volte malefico nei modi di vivere europeo, giapponese e di altri paesi. Così man mano il jazz ha dilatato confini, stilemi, praticanti e pubblico, assumendo un linguaggio ed esprimendo valori divenuti patrimonio di tutta la civiltà industrializzata e dando voce, in ogni paese, ai sentimenti di disagio e di inquietudine dell’uomo moderno. Come bene ha detto Martin Luther King, nella lotta dei neri d’america si può riscontrare una grande affinità con la lotta universale dell’uomo moderno. Dunque il jazz è diventato rappresentativo non solo di un popolo ma di un secolo di storia. Nato per dar voce ai neri d’America, il jazz è diventato uno strumento che dà voce alla Storia del Novecento. Ed ecco che ci riannodiamo con i discorsi fatti all’inizio sulla poetica delle arti moderne. La storia del jazz si può dividere approssimativamente in tre periodi. Dalle origini al 1934, dal 1934 al 1944 ed il jazz dal dopoguerra ad oggi. Il jazz del primo periodo, cioè fino al ’34 è un’arte popolare, espressionista, quasi naif, densa di sentimenti immediati. Il jazz del secondo periodo, la famosa era dello swing è un jazz prevalentemente influenzato dalla cul- 62 tura bianca, spensierato, godibile, comprensibile, ma sicuramente da un punto di vista artistico meno valido e più commerciale. Quello dal dopoguerra ad oggi è un jazz rivoluzionario, denso d’angoscia e di liricità, di difficile comprensione e con molti punti di contatto con la pittura e le arti moderne in genere. Il jazz dalle origini a dopo il crollo di Wall Street Nel 1865, al momento della abolizione della schiavitù decretata dal presidente Lincoln, la popolazione degli Stati Uniti era di trentadue milioni di abitanti; la popolazione di colore era di quattro milioni di abitanti. I possessori di schiavi erano circa 400 mila. Di questi, 350 mila possedevano meno di venti schiavi a testa e 200 mila meno di cinque schiavi a testa. Bastano questi dati a far riflettere su quanti e quali problemi sociali e culturali scaturissero da una coesistenza con una comunità di colore così forte. Ci sono, al di là del fatto musicale, bellissimi resoconti di viaggiatori, commercianti, predicatori, artisti europei, che raccontano, stupefatti, dei riti, delle cerimonie, dei canti degli schiavi negri, sia canti religiosi che di lavoro nel Sud degli Stati Uniti. Per esempio una cantante inglese, trasferitasi in Georgia in quanto sposatasi con un piantatore di cotone, narra (il diario è datato 1837) di cerimonie religiose di schiavi negri convertiti al cristianesimo, con rituali misti di paganesimo e di ritualità cristiana, con emissioni di voci e movimenti originali; in particolare le voci, soprattutto come emissione e modulazione, erano stranissime e suggestive. La conversione forzata degli schiavi al Cristianesimo ha avuto un impatto molto forte nella sensibilità di milioni di schiavi. La Musica Jazz è anche il frutto di questo impatto. Vedete come pian piano fin da quell’epoca stesse prendendo corpo la musica jazz che all’inizio fu naturalmente molto vocale e poco strumentale. Mentre la vocalità della tradizione europea del bel canto tende alla regolarità di intonazione, di tempo, di timbro e di vibrato, quella del jazz tende invece a negare questi valori. Il modo di pronunciare, attaccare, sostenere e modulare i suoni costituisce nel jazz un caso particolarissimo. Esempi celebri di questa particolarità di usare la voce come uno strumento e lo strumento come fosse una voce sono due mu- 63 Louis Armstrong 65 sicisti, uno nero ed uno bianco, Louis Armstrong e Chet Baker. Louis Armstrong è colui che in maggior misura ha recepito tutte le sfumature di questa vocalità trasferendole nello strumento. Fra le manifestazioni musicali più importanti annoveriamo i blues e gli spirituals. Il blues è il cuore del jazz. Nessun musicista riesce a fare della buona musica jazz se non sente dentro di sé e non sa suonare il blues. Il blues, oltre che una forma musicale precisa, è anche uno stato d’animo ed un modo di sentire. Esso trae le sue origini nei canti di menestrelli vagabondi o degli schiavi durante il lavoro; le parole dei blues parlano delle cose semplici di tutti i giorni: l’amore, la mancanza di lavoro, la lontananza dai propri cari, ma lo fanno con grande sentimento e grande poesia.8a Nelle strofe dei blues l’universo squallido e dolente dello schiavo negro e più generalmente del negro sfruttato si traduce in poesia. Le parole della sterminata letteratura dei blues sono fra i più belli, freschi, spontanei e convincenti esempi 8a Ascolto: Lonesome house blues - B. L. Jefferson 1926 Black eye blues - Ma Rainey 1928 Ascolto: St.Louis Blues - Bessie Smith - L. Armstrong 1925 8b Ascolto: 9 di poesia popolare del Novecento.8b Da un punto di vista musicale il blues è un tema di 12 battute, originariamente un canto, sotto forma di domanda e risposta, con un coro che risponde. Le battute non riempite dal canto sono riempite dallo strumento. Quando strumento e voce sono affiatati ne conseguono effetti di grande bellezza.9 Per quanto riguarda l’armonia, il blues è improntato sulla scala blue che sarebbe la nostra scala diatonica con la terza e la settima abbassate di un semitono. Queste ultime sono le cosiddette blue notes, note particolarmente tristi, come è triste lo stato d’animo dei blues, che viene esposto in maniera espressionista, in modo tenero e delicato. Scrive Antonio Lodetti nel suo libro ”Alle radici del jazz”: ...il protervo e sfumato abbassamento tonale del terzo e settimo grado della scala (il “mi” ed il “si”) crea il particolare e misterioso fascino indiscreto della scala blues, la cui progressione armonica con la caratteristica tonalità sfuggente è impossibile da fissare sul pentagramma. Anche se il blues 66 è strutturalmente semplice, ha artisticamente una gamma infinita di possibilità; il minimo variare di intonazione, di ritmo e di melodia serve ad esprimere una emozione. Con il diffondersi a macchia d’olio del jazz, ben presto emersero musicisti di straordinario valore. Un nome per tutti: Jelly Roll Morton, che portò nel jazz la ricchezza del ragtime, dando più spazio alla improvvisazione ed affinando il lessico del blues, dandogli un senso di compiutezza formale.10 Ma il grande genio che contribuì allo sviluppo (anche in senso tecnico) del jazz ed alla sua enorme diffusione in tutta l’America fu Louis Armstrong. Di origine umilissima, l’infanzia trascorsa in un riformatorio, autodidatta, attraverso le sue incisioni degli anni Venti ha espresso alcuni fra i capolavori assoluti della musica del Novecento. Ve ne propongo all’ascolto uno dei più famosi.11 In West and Blues si avverte immediatamente la rassegnazione dolente di un popolo sradicato dalle sue origini e ridotto in schiavitù. - What 10 Ascolto: Georgia swing - Jelly Roll Morton Ascolto : West and Blues - Louis Armstrong 1928 12 Ascolto: Jazz me blues - Bix Beiderbecke 1927 11 did I do to be so black and so blue? Cosa ho fatto per essere così nero e così triste?Un altro grande protagonista del jazz degli anni ’30 è stato il bianco Bix Beiderbecke, sensibilissima tromba, introversa, poetica, dalla splendida sonorità strumentale e dal fraseggio sinuoso. Morì a soli 28 anni, stroncato dall’abuso di alcool. Tanto Armstrong è drammatico, quanto Beiderbecke è lirico.12 Dal ’20 al ’30 il jazz ebbe uno sviluppo ed una diffusione grandissimi tanto che persino Scott Fitzgerald se ne servì per battezzare come l’età del jazz tutta un’epoca, quella cioè del proibizionismo, dei trionfi di Dempsey e Lindberg e Clara Bow e che si concluse tragicamente col crollo di Wall Street. Ma è molto dubbio, dice Arrigo Polillo, che i giovanotti di Scott Fitzgerald, che ballavano il charleston, strimpellavano l’ukulele e andavano alle partite di football paludati nei suntuosi pelliccioni di tasso, conoscessero davvero l’autentico jazz, quello di King Oliver e Armstrong a Chicago e di Duke Ellington a New York. 67 L’era dello swing Dopo il crollo di Wall Street del 1929, fame e miseria si abbatterono sull’America e, in misura ancora maggiore sulla popolazione di colore. Si incrementarono le migrazioni dei neri verso il nord, i bianchi strinsero i morsi del potere ed il ruolo dei negri divenne ancora più subordinato, tanto che molti, per sopravvivere, cominciarono a compiacere i bianchi in tante manifestazioni, compresa la musica. Ritornò in auge lo stereotipo del nero “Zio Tom”, servile ai bianchi, ed anche la musica jazz si tinse di colori più tenui, quelli dei bianchi, e tramutò la carica aggressiva in carica edonistica e di divertimento, adattandosi così agli ideali di vita dell’americano bianco di classe media, un popolo giovane ed efficiente qual era quello al quale Roosevelt tentava di restituire una America risanata. Il trust dei cervelli di Roosevelt col New deal aveva lavorato in fretta e bene tanto che nel ’35 si guardava con ottimismo al futuro. Chi era giovane sentiva l’esigenza di divertirsi dopo tanto soffrire. Tante cose cambiarono e così la musica jazz che divenne festosa, eccitante, bal13 labile. Nacque l’era dello swing , la musica dei tempi sereni. Sugli schermi Frank Capra raccontava le sue favolette a lieto fine e Fred Astaire e Ginger Rogers ripetevano ad ogni stagione il loro garbato idillio a passo di danza. (Storia del jazz di Arrigo Polillo) Naturalmente la radio e l’industria consumistica, in mano ai bianchi, cercarono di rendere il jazz sempre più orecchiabile, ballabile e vendibile, facendogli perdere alcuni dei sanguigni connotati di origine. Ciò non significa che il jazz dal ’35 alla guerra sia stata musica commerciale e basta. Certo è che, artisticamente, questo è il periodo di gran lunga meno valido di tutta la storia della musica jazz, anche se è il periodo che ha consentito al jazz di diffondersi in tutte le fasce sociali ed in molti altri paesi e di influenzare, come vedremo più avanti, gran parte della musica leggera. Campione dell’era dello swing è stato certamente Benny Goodman, clarinettista ebreo di origine russa, molto preparato musicalmente ed anche dotato di un gran senso degli affari. Ma era anche un direttore di orchestra esigentissimo, incontentabile e perfezionista.13 Ascolto: Don’t be that way - Benny Goodman 1938 68 Benny Goodman Goodmann rappresentò davvero un simbolo di quella felice America roosveltiana ed interpretò il suo ruolo con sufficiente rispetto per la musica jazz, da musicista preparato quale egli era. 14 Come vi ho detto l’era dello swing segnò la netta supremazia dei musicisti bianchi. Questo non significa tuttavia che il 14 Ascolto: Monglow - Benny Goodman 1937 Ascolto: Liza - Art Tatum 16 Ascolto: Body and soul - Coleman Hawkins 1943 17 Ascolto: The foolish things - Lester Young 1945 18 Ascolto: In the mood - Glenn Miller 1941 15 jazz dal ’34 al ’44 sia da disprezzare. Anche perché, accanto alla musica prevalentemente di matrice bianca, le grandi migrazioni dei neri verso il nord fecero nascere a Kansas City, Chicago e New York anche importantissimi artisti neri. Pur compressa ed esclusa dai circuiti dei bianchi, la musica nera espresse in quel periodo enormi talenti a cominciare dal pianista Art Tatum, padrone della sonorità e dotato di una tecnica straordinaria15; e poi Coleman Hawkins, dal linguaggio sontuoso e possente16, padre di tutti i tenorsassofonisti moderni; il grande Nat King Cole ed infine Lester Young, il mitico Prez, con il suo sax tenore dalla voce tenera e rilassata.17 L’ultima espressione bianca nell’era dello swing è stato Glenn Miller. La sua è una musica brillante, formalmente elegante e tecnicamente ineccepibile.18 E’ una musica però che rimane nella storia del jazz più come simbolo di un’epoca che come un fatto musicale significante. Interessa più lo storico che il critico musicale. 69 Lester Young 71 Quando Glenn Miller giunse in Europa nel 1944 alla direzione dell’orchestra della Aeronautica statunitense, fu il simbolo del profumo d’America che arrivava a noi insieme alla cioccolata, al pane bianchissimo e al chewing-gum.19 Il profumo di una America che pian piano avrebbe cominciato da allora ad inserirsi sempre di più nella nostra civiltà contadina provocando in tutti noi quel disagio di civiltà di cui parlavo prima e di cui parleremo più avanti. E veniamo alla musica jazz dal dopoguerra ai giorni nostri, la vera musica jazz ormai, l’autentica espressione musicale della odierna civiltà. Glenn Miller Il Jazz del dopoguerra L’anno 1944 è l’anno zero del jazz moderno. Per i soldati americani in Europa era imminente il ritorno a casa. Pochi mesi ancora e la bomba atomica su Hiroshima avrebbe posto fine al conflitto anche in estremo oriente. Iniziava un nuovo ciclo nella storia del mondo e tutto doveva ricominciare e non solo in Europa. I militari americani avevano un so19 Ascolto: Moonlight serenade - Glenn Miller 1941 Coleman Hawkins 72 lo desiderio: tornare a casa e riprendere le vecchie care abitudini. Come diceva la canzone allora in voga, era venuto il momento di fare a sentimental journey home, quel viaggio sentimentale verso casa tanto desiderato. In realtà nessun ritorno ai vecchi tempi era però più possibile; molte, troppe cose erano cambiate e, fra queste, le condizioni dei negri ed i rapporti fra neri e bianchi. L’industria di guerra, abolendo i divieti di usufruire di manodopera negra, portò neri e bianchi a lavorare fianco a fianco per una causa comune. Negri e bianchi avevano combattuto fianco a fianco sui fronti europei ed inoltre avevano potuto avere qui un contatto con la cultura europea a gran parte di loro sconosciuta. Così tutti dovettero prendere atto che i tempi dello Zio Tom erano tramontati e tutti i negri presero coscienza dei loro diritti quali cittadini americani a tutti gli effetti e della loro identità. Cominciarono ad aleggiare sentimenti non più di rassegnazione bensì di rivolta verso la condizione di emarginazione, rivolta che trovò la propria espressione musicale nel bebop, la nuova musica rivoluzionaria 20 21 creata da Dizzy Gillespie e soprattutto da Charlie Parker, a New York a partire dal ’44 - ’45. E si trattò davvero di rivoluzione, sia in senso musicale che in senso sociale. Parker e i suoi colleghi effettuarono una grande rivoluzione musicale, rivedendo i consueti schemi armonici e ricorrendo alla loro alterazione. La salda concezione tonale del jazz fino ad allora esistente fu insidiata dall’esteso uso di cromatismi al confine della politonalità. Ma soprattutto l’elemento ritmico subì la riforma più radicale, con una scansione nuova che dà respiro alle pause e fa parlare il silenzio, una metrica più libera ed un continuo variare dell’accentazione.20 21 Il jazz cessò di essere quello che i musicisti bianchi avevano cercato di farlo diventare dal ’35 alla guerra e cioè una musica edonistica e per il ballo. Parker e compagni si sentirono artisti puri, se ne infischiavano del pubblico, suonavano solo per sè stessi esprimendo un prepotente desiderio di evasione e di rivincita, recuperando l’orgoglio della propria razza. Se il blues degli anni venti era cari- Ascolto: A night in Tunisia - Dizzy Gillespie 1947 Ascolto: Ornithology - Charlie Parker 1947 73 Charlie Parker 75 co di una tristezza rassegnata, senza speranza, il blues di Parker diventa denso di angoscia esistenziale, una angoscia estrema. Naturalmente all’inizio Parker e Gillespie ed i loro colleghi furono aggrediti, come sempre accade alle avanguardie; furono definiti cubisti, cerebrali, astratti, surrealisti e descritti come intellettualoidi in vena di decadentistiche raffinatezze. Ma anche Ravel, che oggi ci appare un classico, fu a suo tempo osteggiato come innovatore e così gli impressionisti, che pure oggi ci appaiono ormai dei classici, suscitarono scaldalo. E’ il destino delle avanguardie innovatrici. In realtà il bebop era musica schietta, talvolta addirittura ingenua, che sapeva essere a volte tragica, beffarda, irridente, amara e disperata. Parker è stato una esplosione solitaria e geniale nella storia della musica jazz. La sua biografia tormentata e la sua parabola artistica, indissolubilmente legate, sono diventate ben presto leggenda, una leggenda tragica, quella dell’arte che raggiunge a volte le vette del sublime attraverso la dannazione 22 23 Ascolto: Parker’s Mood - Charlie Parker 1947 Ascolto: Bird of Paradise - Charlie Parker 1947 come in tanti altri artisti maledetti (Poe, Van Gogh, Verlaine, Baudelaire ecc.) Parker bruciò la sua vita nell’ansia di darle un significato, maledetto da un invincibile senso di autodistruzione.22 (Vedi anche a pag. 51 e 52) E’ incredibile come Charlie Parker sia rimasto così intensamente nel cuore di tutti gli appassionati di jazz, tanto che un alone di leggenda lo avvolge. Parker è stato il prodotto, seppure abnorme, di una civiltà di cui anche noi facciamo parte, di cui il jazz moderno è espressione immediata. Mostri e fantasmi della rovina dell’io nel mondo contemporaneo galoppano fra le note di Parker. Il colore della sua voce strumentale, magra e tesa, è di una dolcezza fragile e snervata. 23 E quel suo fraseggio, ora tumultuoso ed aggressivo, ora sommesso e carezzevole, ora aspro e angoloso, turba prima di dilettare. Parker non fu un maestro nel senso che non si preoccupò mai di insegnare. Rimase sempre chiuso nel suo mondo di lucida follia, quella lucida follia che spesso avvolge i 76 grandi artisti da Van Gogh a Poe a Shubert a Caravaggio. Un altro assoluto protagonista di questo jazz rivoluzionario fu il pianista di colore Bud Powell, con le sue linee melodiche a sviluppo orizzontale di straordinaria bellezza e con una grande fantasia ritmica. Anche lui, come Parker, ebbe una vita sfortunata, disperata, al limite di quella follia, lucida e corrosiva, che ha segnato il percorso umano ed artistico di tanti geni della pittura, della letteratura e della musica.24 Dopo la grande rivoluzione parkeriana, verso il 1950, una parte di America musicale, per lo più bianca, sentì il bisogno di tirare il fiato e di dare una disciplina formale agli elementi scaturiti disordinatamente da Parker e compagni; sentì anche il bisogno di usare un linguaggio più accessibile per ritrovare il pubblico di ascoltatori che avevano voltato le spalle a una musica così difficile. Così nacque per reazione un jazz elegante, colto, il cool jazz, con riferimenti anche alla musica dotta, europea. Il pianista bianco Lennie 24 Tristano ne fu uno dei protagonisti, degno di essere annoverato fra i grandissimi del jazz di ogni tempo. Divenuto cieco a nove anni per la febbre spagnola, fu un vero innovatore: gioco dei bassi, movimenti fugati, rigore compositivo e calligrafico, contrappunto, sono le caratteristiche della sua musica fatta di grande coerenza stilistica. Lo si può ascoltare in una sua composizione, Requiem, scritta in memoria di Charlie Parker.25 Tristano fu un maestro sempre circondato da allievi, anche musicisti classici. Ecco due celebri e delicati brani, con Tristano ed un gruppo di suoi fedelissimi fra i quali emerge prepotentemente l’altosassofonista bianco Lee Konitz. 26 27 Non si può tratteggiare la storia del jazz senza soffermarsi su tre protagonisti assoluti, tre straordinari artisti neri, accomunati da un carattere enigmatico, scontroso, a volte irascibile, ma capaci anche di esprimere un lirismo intenso e delicato; tre giganti in assoluto, fra le figure più importanti del Novecento musicale. Mi sto riferendo al pianista e compositore Thelonious Monk, al con- Ascolto: Tempus fugit - Bud Powell 1949 Ascolto: Requiem - Lennie Tristano 1956 26 Ascolto: Marionette - Lennie Tristano 1949 27 Ascolto: You go to my head - Lennie Tristano con Lee Konitz 1949 25 77 Lennie Tristano 79 trabbassista, compositore e leader Charles Mingus ed al trombettista Miles Davis. Di Monk ho già trattato a pag. 50. La sua musica è dura, aggressiva, non semplice nella struttura, con aggregati di accordi spinosi; ma la musica di Monk è anche accuratissima ed inattaccabile all’interno di percorsi logici e rigorosi. Attraverso le sue prospettive armoniche sghembe, eppure equilibrate, Monk riesce ad esprimere una potentissima sintesi di cosa è la musica jazz. C’è una frase di Monk che, a mio giudizio, fa comprendere il suo universo: “E’ sempre notte. Se così non fosse non cercheremmo così tanto la luce”.28 Anche Charles Mingus (di cui ho già trattato a pag. 50 e 51), ha saputo trovare nella sua musica il mezzo per esprimere, in maniera straordinariamente espressiva, le proprie emozioni, le proprie tensioni psichiche, contrassegnate da scatti d’ira violenta seguiti da impeti di tenerezza. Mingus è stato un leader eccezionale, un audace arrangiatore e compositore, un “primitivo” quale un orso in collera, ma anche un intellettuale imbevuto di cultura musicale europea. 28 29 La musica di Mingus è come un torrente in piena che trascina con sé un universo di esperienze.29 Ascoltandola ci si rende conto, ancora una volta, che la musica jazz non avrebbe potuto esistere senza l’Africa, ma nemmeno senza Ravel e Debussy. Anche di Miles Davis ho trattato a pag. 49. Ma qui devo aggiungere che l’attività artistica di Miles Davis è durata quaranta anni, con una incessante e straordinaria capacità di cercare e trovare sempre nuove strade, passando dalle collaborazioni con Parker al cool jazz poi all’hard-hop e, quindi, alla musica elettrica (quasi ai confini col rock), mantenendo sempre livelli artistici assoluti. Di famiglia ricca (il padre era un affermato dentista e proprietario terriero) e di educazione borghese, si trovò giovanissimo a suonare accanto a zingari poeti come Parker. Forse dal contrasto dei due mondi scaturì quella sua personalità enigmatica e quella sua capacità di elaborare, ad un certo punto della sua vita artistica, con la collaborazione dei musicisti bianchi Gerry Mulligan, Bill Evans e Lee Konitz quel raffinatissimo jazz che, con il sup- Ascolto: Don’t blame me - Thelonius Monk 1947 Ascolto: Orange was the colour of her dress - Charles Mingus 1974 80 porto degli arrangiamenti di un mago quale il bianco canadese Gil Evans, si impose all’attenzione di tutti i critici, con il celeberrimo disco Birth of the cool, una delle pietre miliari del jazz. Gli arrangiamenti di Gil Evans si caratterizzano per la densità dei suoni specie sul registro grave, a mezza voce, un suono che sovrasta tutto, come una nuvola, ottenuto ricorrendo a strumenti inusuali quali il corno francese. Su questo sottofondo si staglia la tromba di Davis con la sua sonorità velata e lieve, quel lirismo intenso ed assorto, il gusto per le frasi semplici e statiche fatta di poche note che però colpiscono sottilmente e incidono lo spazio musicale. La preziosità e la purezza del suo stile, il suo chiaro senso della forma, l’espressività del suo discorso liricamente malinconico che sa essere a volte maestoso e a volte sottilmente incantatorio nella sua semplicità, hanno fatto di Miles Davis uno dei musicisti di jazz più famosi in tutto il mondo. Lo si può ascoltare in un brano dal titolo Blues for Pablo dedicato a Pablo Picasso e per questo intriso di reminiscenze spagnole.30 Mi preme ora segnalare come la 30 Ascolto: Blues for Pablo - Miles Davis 1957 evoluzione della musica jazz negli anni ’60, ’70 e ’80 sia ancora una volta correlata con la evoluzione della società americana. Ma per parlarne esaustivamente occorrerebbe un libro a parte. Darò qui alcuni cenni sommari. Il movimento per i diritti civili in Alabama con Martin Luther King, il nascere di movimenti di contestazione (ricordate Marcuse, gli hippies, la non violenza), l’assassinio di Kennedy, la tragedia del Vietnam e tanti altri avvenimenti influirono fortemente sulla società americana ed anche sulla evoluzione del musica jazz. Nacquero così la New Thing ed il Free Jazz. Nel momento in cui al movimento pacifico per i diritti civili si sostituisce il violento Black Power dei ghetti, con la New Thing di pari passo la musica jazz diventava meno musicale per assurgere a simbolo e misura della capacità dichiamarsi fuori dal sistema. Il Free Jazz, rompendo le leggi armoniche così come la ideologia dei musicisti che lo praticavano rompeva con la società, confermava la sua essenza ideologica e politica; come dice Alessandro Baricco, proprio nell’oscurità e nella inaccessibilità del suo linguaggio il free jazz tro- 81 Thelonious Monk 83 Charles Mingus, Perugia 1974, (foto A. Salvatori) 85 Miles Davis, Milano 1969, (foto A. Salvatori) 87 vò il riscatto della sua irsuta musicalità. Anche alcuni grandi del jazz, come ad esempio Charles Mingus e Max Roach, composero brani di grande valore musicale contro la oppressione razziale. Famoso è il Fables of Faubus di Charles Mingus composto contro il Governatore dell’Arkansas, uno dei più reazionari e razzisti politici americani dell’epoca: le voci, la tromba ed i sassofoni urlano versacci di sberleffo e disprezzo verso il governatore razzista.31 Fra i musicisti riuniti da Mingus per l’occasione, si può ascoltare anche lo straordinario sassofonista e flautista nero Eric Dolphy, scomparso prematuramente a 36 anni; la sua figura si staglia prepotentemente fra i maggiori protagonisti del jazz moderno. Dotato di una tecnica violenta e sensoriale, a volte luciferina ma straordinaria, Dolphy ha saputo cogliere la più profonda essenza del jazz, un po’ come Monk. E’, forse, nato e scomparso troppo presto per le sue idee.32 Proseguendo nella carrellata sulla storia del jazz, non è possibile non 31 32 Ascolto: Fables of Faubus - Charles Mingus 1960 Ascolto: Tenderly - Eric Dolphy 1960 ricordare la figura di John Coltrane, forse il più geniale innovatore dopo Parker. Quanto quest’ultimo fu genio e sregolatezza, disordine e follia, tanto Coltrane fu uomo mite, riservato, cortese, di profonda religiosità e spiritualità. La sua musica trae origine dalla lezione di Parker e Monk, cioè dai pilastri del jazz. Non è facile, poi, capire come un uomo così modesto e mite abbia potuto inventare una musica così torrenziale, di straordinaria intensità espressiva, con una incessante e tormentosa manipolazione delle linee melodiche e delle figure ritmiche. Il suo amore per la musica indiana, oltre che a ragioni spirituali, è da attribuirsi alla presenza in essa di scale modali, cioè alla particolarità di fondare l’improvvisazione su scale particolari anziché su sequenze di accordi precostituiti. Nelle scale modali, largamente sperimentate da Coltrane, non vi sono gerarchie di accordi precostituiti. La successione degli accordi segue più le leggi della polifonia che quelle di concatenazione tonale. Per la verità improvvisazione e 88 sperimentazione modali erano già state portate avanti da Davis (e sfociate nel suo celeberrimo disco Kind of Blue). Anche il grandissimo pianista bianco Bill Evans fu un attento e profondo sperimentatore di scale modali. Ma Coltrane andò molto avanti in queste sperimentazioni. Mentre scrivo queste note arriva nei negozi di musica un cd straordinario. E’ il ritrovamento della registrazione di un concerto tenuto nel 1957 alla Carnegie Hall dal quintetto di Thelonious Monk e John Coltrane! Per un appassionato di jazz è l’equivalente di un miracoloso ritrovamento, sotto una coltre di polvere in una vecchia soffitta, di un quadro di Raffaello! Anziché proporvi l’ascolto di A love supreme, la suite in quattro quarti che costituisce il capolavoro di John Coltrane, vi propongo l’ascolto di un brano tratto da questo miracoloso cd, nel quale i due colossi del jazz si stimolano ed incalzano a vicenda nel costruire architetture melodiche ed armoniche che sono l’essenza stessa della musica jazz.33 Altri appunti su J. Coltrane a pag. 53. 33 34 Grandissimo studioso dello spazio pancromatico, Coltrane avrebbe allargato considerevolmente la sua opera innovativa se non fosse morto a soli quarantun anni per un cancro al fegato. Il mondo di Coltrane non è nevrotico, né chiuso né allucinato, è anzi un giardino coltivato dall’uomo, pieno di fiori e frutta umani. Ho prima fatto un cenno a Bill Evans; la sua importanza nella storia del jazz è di primissimo piano. Sensibilità estrema, delicatezza, liricità, grande profondità di sentimenti; ma, anche, grande tecnica e grande senso dello swing sono le caratteristiche della musica di Bill Evans, intimista, colta ma facilmente comprensibile. Bill Evans è stato definito lo Chopin del jazz.34 Un altro “grande” nella storia del jazz è il sassofonista nero Ornette Coleman. “La vera sfida dell’artista è mutare cose immutabili, aumentare quello in cui possiamo credere”; sono parole dello stesso Coleman, a testimoniare della sua potente carica innovatrice ed universale. Al centro dell’universo di Coleman c’è la Società multietnica nella qua- Ascolto: Blue Monk - John Coltrane con Thelonious Monk 1957 Ascolto: Time remembered - Bill Evans 1974 89 John Coltrane 91 Bill Evans 93 le le informazioni non possiedono genere, razza e colore. Il jazz di Coleman è pieno di tensione; le strutture musicali vengono create e subito distrutte, al limite del rispetto delle regole armoniche e melodiche. Eppure, come il sax di Parker, anche quello di Coleman è coerente e logico e si esprime con una voce ad inflessione umana.35 Ho voluto lasciare a parte Duke Ellington, forse il più grande artista, dopo Charlie Parker, che abbia mai espresso la musica jazz nella sua storia. Perché l’ho lasciato a parte? Perché mentre la carriera artistica (e non di rado anche la vita) dei più grandi musicisti di jazz ha avuto una durata molto limitata, fiori sbocciati e subito appassiti, la carriera di Duke Ellington ha durato, ininterrotta e trionfale, dal 1925 al 1974, anno della sua morte, a 75 anni, con un linguaggio al di sopra del tempo. Nato nel 1899 da famiglia della piccola borghesia nera (il padre era maggiordomo di una ricca famiglia), Edward Ellington, soprannominato Duke proprio per i suoi modi aristocratici nel parlare, nel 35 36 Ascolto: Eventually - Ornette Coleman 1959 Ascolto: Creole Rapsody - Duke Ellington 1931 vestire, nel gestire, di solida formazione classica europea. La sua celebrità va ascritta alla qualità straordinaria di compositore arrangiatore-direttore d’orchestra, attività fra loro inscindibili in Ellington. Giustamente è stato affermato che il suo strumento è l’orchestra, con la quale, utilizzando eccellenti strumentisti rimasti con lui per decine di anni, costruì un edificio sonoro fatto di colori vivi, di suoni ora dolcissimi ora aspri, apparentemente barbarici, ma raffinatissimi. La musica di Ellington è fatta di smaglianti colori, densa di accenti, di forza, di infinite sottigliezze e di affascinanti atmosfere. Igor Strawinsky e Leopold Stokowsky , appena messo piede negli Stati Uniti, si precipitarono ad ascoltarlo, rimanendone affascinati. Ecco ora un frammento di un brano del 1931, Creole Rapsody,36 pezzo impressionistico di atmosfera, sognante e suggestivo. Duke Ellington ebbe accoglienze trionfali ovunque; nel 1950 suonò a Milano al Teatro Odeon e Giulio Confalonieri, illustre critico di musica classica scrisse l’indomani sul Corriere della Sera: “Il jazz rimarrà 94 insieme all’opera di Strawinsky l’unico prodotto vitale della nostra epoca, perché si lancia verso novità grandissime tenendosi però attaccato a verità insuperabili nella coscienza musicale”. Potete ascoltare in allegato la famosissima sigla dell’orchestra.37 La terza incisione proposta, datata 1941, è Chelsea bridge.38 Il brano ricorda Ravel per il suo colore e per le sue ossessionanti armonie; Esso crea una impressione vivida del ponte londinese, cui è intitolato, avvolto nella nebbia. In ogni opera di Ellington si avverte una meticolosità formale ed una continuità di ispirazione che stupiscono. Ellington è stato anche un ottimo compositore di musica sinfonica. E’ celebre una sua composizione eseguita dall’orchestra sinfonica della NBC, quell’orchestra che fino a due anni prima era stata l’orchestra di Arturo Toscanini; vi assicuro che trattasi di musica affascinante. Ellington fu anche grandissimo compositore di ballads, basti per tutte la sua bellissima Sophisticated Lady. Molte opere jazzistiche di Ellington sono delle suites di lunga durata, 37 divise solitamente in quattro parti e generalmente ispirate ad un argomento. Come ultimo esempio della musica di Duke Ellington potete ascoltare una parte della suite Such sweet thunder39 , una serie di dodici bozzetti dedicati ad altrettanti personaggi di Shakespeare e scritti per il festival shakespeariano di Strafford in Canada nel 1957. Ascolterete la parte centrale del bozzetto dedicato a Giulietta e Romeo. Il sax contralto e quello tenore rappresentano le voci, bellissime ed appassionate, dei due arcinoti personaggi. Tutto il mondo del jazz è debitore di Charlie Parker, ma anche di Duke Ellington. E’ singolare constatare come i due massimi artisti della musica jazz siano così diversi tra loro. Charlie Parker poeta maledetto, fiore del male, di poca cultura e umili origini. Duke Ellington di educazione e cultura europee, raffinato sia di modi che come creatore di musica; ma ciò testimonia ancora una volta come la musica jazz sia il punto di incontro di due culture, bianca e nera inscindibili fra loro. Ascolto: Take a train – Orchestra Duke Ellington Ascolto: Chelsea bridge - Duke Ellington 1947 39 Ascolto: Star crossed lovers - Duke Ellington 1957 38 95 Duke Ellington 97 Infine un accenno al jazz in Europa. Possiamo affermare che oggi non esiste più una madrepatria statunitense ed una colonia europea dove tutt’al più si poteva sviluppare un’arte provinciale, di scarsa creatività perché fondata sulla imitazione dei modelli americani. Ora vi sono ottimi musicisti ovunque. Anche in Italia abbiamo almeno un artista di valore assoluto mondiale, il trombettista torinese Enrico Rava ed altri talenti di fama internazionale quali il compositore e direttore d’orchestra Giorgio Gaslini, il pianista Enrico Pierannunzi ed il più giovane Stefano Bollani. In chiusura non posso non accennare all’influenza sull’evoluzione della musica jazz provocata negli Enrico Rava, Cagli 2003, (foto A. Salvatori) ultimi trenta anni da alcuni macrofenomeni che hanno fatto una prorompente irruzione nella vita sociale: 1) il progressivo inurbamento nelle grandi metropoli del nord dei neri e la loro progressiva emancipazione hanno causato un approccio ad una cultura molto diversa rispetto all’universo afroamericano delle origini. 2) L’avvento della elettrificazione degli strumenti, a cominciare dalla chitarra e dal basso per finire alle tastiere ed agli stessi strumenti a fiato. 3) Il dilagare delle discoteche e della disco-music. 4) La prepotente capacità di marketing delle case discografiche, capaci di piegare ogni musica ai fini di speculazione commerciale. 5) L’uscita di gran parte dei nuovi musicisti dai Conservatori, agguerriti, virtuosi, preparati e dotati di una grande tecnica di base, ma privi di quella sensibilità che era nel cuore dei grandi musicisti di jazz. Tutto questo ha certamente segnato la evoluzione del jazz che di fronte al dilagare vorticoso del rythm’n blues, del rock e del pop non ha potuto non esserne “contaminato”. E qui si è scatenata la guerra fra i 98 critici e gli appassionati sostenitori del jazz puro e coloro che non trovano disdicevole abbattere gli steccati fra art music e pop music, fra arte e musica commerciale. Non mi ritengo un manicheo che piange sulle perduta purezza del jazz e “maledice le acque fangose che hanno travolto gli angusti argini del blues per invadere le strade elettriche della wyndy city ed aprire tumultuosamente ai ritmi binari ed alle sonorità elementari ed immediate del rock!”.(a) Devo ammettere, che negli ultimi dieci anni il jazz ha faticato a mantenere una propria identità nello scenario mondiale, anche per i motivi di cui sopra. Ha, forse, perduto in creatività e piena rappresentatività dei sentimenti ed inconsce paure che provenivano dai cambiamenti della Società. Inoltre, si addebita al mondo del jazz di essersi dimostrato impreparato a gestirsi con le innovazioni tecnologiche, legate agli strumenti elettronici, e con i nuovi media, tipo la videomusica. I grandi artisti del passato sono scomparsi ad uno ad uno. (a) A NTONIO LODETTI, Alle radici del Jazz. Ascolto: Till there was you - Sonny Rollins 1958 41 Ascolto: Footprints - Wayne Shorter 1966 40 Lee Konitz, Bologna 1978, (foto A. Salvatori) Rimangono ancora in vita tre grandi sassofonisti neri, Ornette Coleman,35 Sonny Rollins40 e Wayne Shorter41, ed il grande sassofonista bianco Lee Konitz.26 27 Ma Coleman e Rollins sono nati nel 1930; Shorter nel 1933 e Konitz nel 1927! In piena attività, di grande livello, 99 c’è il pianista bianco Keith Jarrett, forte, appassionato, creativo, romantico, dalla magica capacità di improvvisare.42 Da ultimo, vi propongo l’ascolto di un sassofonista bianco, Joe Lovano, di forte sensibilità ed anche dotato di grande tecnica. Lo potete ascoltare accompagnato da musicisti di elevato valore, fra i quali il compianto, straordinario pianista francese Michel Petrucciani, altra testimonianza di come il jazz, oggi, non abbia più confini.43 Ma questi musicisti sono forse il canto del cigno? Azzardo questo interrogativo perché, se la musica jazz è la vera musica rappresentativa del Novecento, è probabile che essa non lo sarà più per il secolo appena iniziato. I motivi sono stati più sopra spie- 42 43 gati e verranno ripresi nelle ultime pagine della Terza Parte, ma non sono solo quelli. Il Duemila si affaccia all’insegna di troppi e troppo veloci cambiamenti nella Società, nei valori, nei destini dell’umanità e nel sofferto, tormentato e inarrestabile processo di integrazione di culture, razze e religioni. La musica e l’arte in generale saranno, come sempre, fedeli interpreti di questi cambiamenti. Chissà quale musica e pittura scaturiranno dal cuore e dalla mente degli artisti del Duemila? Probabilmente non nasceranno più giganti come Picasso o Charlie Parker ad indicare la strada. O, forse, i geni del Duemila sono dietro l’angolo? Oggi mi è molto difficile pensare che sia così. Ascolto: Last nighit when we are young - Keith Jarret 1996 Ascolto: Central Park West - Joe Lovano 1991 Parte Terza 103 Musica jazz e musica leggera: Opera d’arte e opera di intrattenimento Negli ultimi quarant’ anni, le diminuite tensioni razziali, il crollo delle pulsioni rivoluzionarie degli anni ’60 e poi delle illusioni degli anni ’70, il dilagare della elettrificazione degli strumenti musicali, l’esplosione dei media (dalle emittenti televisive tipo MTV, ai sintetizzatori digitali, ai cd), e tutti i fenomeni della globalizzazione, hanno fatto sì che, accanto e dietro la musica jazz esplodesse, letteralmente, un universo musicale di enorme diffusione, una musica “leggera” che, tuttavia, trovava le sue radici (armonia, melodia, ritmo), nel jazz. La contaminazione e le influenze reciproche sono state inevitabili. Cercherò di addentrarmi in questa sfera di sovrapposizioni fra il jazz e le altre musiche “leggere”, che tante accanite dispute hanno suscitato fra i critici musicali, ed anche fra gli appassionati. Cominciamo con l’osservare che il rapporto fra jazz e musiche leggere si materializza attraverso due percorsi molto diversi. Il primo riguarda l’influenza che la musica jazz, in particolare quella dell’era dello swing, ha esercitato su un certo tipo di musica leggera. In questo primo percorso si deve parlare solo di influenze del jazz e non viceversa; una influenza che non ha intaccato e contaminato la “artisticità” del jazz. E’ stato, semmai, questo tipo di musica leggera ad esserne “contaminata”, ma in senso positivo, traendone solo vantaggi ed uscendone arricchita. Il secondo percorso riguarda, invece, il complesso rapporto fra il jazz e quell’immenso fiume musicale che negli anni si è formato dalla convergenza di mille rivoli: il rock, il pop, il rythm and blues, il funk, il punk, la disco-music, la fusion, il soul, il grunge, la new wave, il metal, il rap, la musica globale. Qui ci troviamo in presenza di contaminazioni ed influenze reciproche. Affermano i critici Gino Castaldo ed Ernesto Assante (“Blues, jazz, rock, pop”, Ed. Einaudi): “alcuni sostengono che il jazz abbia elevato a dignità spirituale l’elementarità 104 delle strutture del rock; altri parlano di mutua e proficua influenza. Altri critici hanno evocato la inevitabilità di una svolta obbligata al passo con i tempi. Molti altri critici, più oltranzisti, non hanno esitato a gridare allo scandalo”; come, ad esempio, Luca Cerchiari quando afferma che, laddove la industria discografica dell’America bianca mette le mani su qualunque tipo di musica, la sfrutta al punto tale da alterarne i connotati originali. In realtà negli ultimi trenta anni troppe cose sono cambiate ed è inutile recriminare; bisogna prenderne atto. Non si può vivere nel rimpianto delle tagliatelle della nonna e dei formaggi genuini, in un mondo nel quale trionfano sulle tavole coca cola, nutella e cibi alla McDonald. Io lo capisco; ciò non toglie che io sia convinto che il jazz rimanga la vera opera d’arte del Novecento, mentre tutto il caleidoscopio delle musiche rock sia opera di intrattenimento, secondo la puntuale definizione coniata da Umberto Eco. E chiedo proprio aiuto ad Umberto Eco per spiegare le differenze tra opera d’arte ed opera di intrattenimento. Dice dunque Eco che l’opera d’arte coinvolge il fruitore (spettatore/ ascoltatore) nella problematica esistenziale del suo creatore; l’opera di intrattenimento si propone soltanto di produrre effetti, di provocare sensazioni immediate, ordinando allo spettatore/ascoltatore “tu devi ridere”, “tu devi provare nostalgia”, “tu devi provare desiderio sessuale”, “tu devi divertirti”, mentre l’opera d’arte lo costringe a ricercare la visione del mondo che alberga nell’animo dell’artista. L’opera di intrattenimento, invece, provoca sensazioni immediate ed in superficie, tanto è vero che essa viene consumata e digerita rapidamente. Anche una bellissima canzone di straordinario successo, già l’estate successiva viene dimenticata, mentre un notturno di Chopin o un disco di Charlie Parker possono venire ascoltati mille volte di seguito e per mille anni, senza mai stancare, ma sempre provocando emozioni profonde. Dunque, l’opera d’arte è un veicolo di valori; l’intrattenimento è un puro veicolo sensoriale. Ma, dice Umberto Eco, i due mondi dell’opera d’arte (nel nostro caso la musica jazz) e dell’opera di intrattenimento (nel nostro caso la musica leggera) non hanno confini ben definiti; i confini spesso si sfumano 105 e cattiva opera d’arte e buon intrattenimento si sovrappongono. Vedremo ora una serie di esempi concreti che dimostrano come la sovrapposizione dei confini, postulata da Eco, si applichi benissimo a jazz e musica leggera. E partiremo dal primo filone di influenza, come in precedenza detto, per passare successivamente al più complesso rapporto fra jazz e rock. Dice Umberto Eco: a volte l’opera di intrattenimento si appropria di elementi artistici, usandoli come stimoli consolatori per colpire lo spettatore/ascoltatore. Certe volte l’opera di intrattenimento cerca un quid di artisticità attraverso una citazione dell’opera d’arte. Ad esempio si sono confezionate canzoni tratte da Per Elisa o dal Chiaro di Luna di Beethoven. Altro esempio: vi sono ottimi cantanti di musica leggera, che si avvalgono di musicisti jazz e di un linguaggio di natura jazzistica. Ecco tre eccellenti cantanti americani. Il primo è Billy Joel44 che si è avvalso, in un suo LP, della collaborazione di uno dei più bravi trombettisti di jazz in circolazione, Freddie 44 Ascolto: Zanzibar - Billy Joel Ascolto: Maxine - Donald Fagen 46 Ascolto: When she is mine - Michael Franks 45 Hubbard, il cui apporto è significativo, anche se avviene in un contesto debole per un musicista di jazz, a cominciare da una sezione ritmica assolutamente non in grado di supportarlo. Il secondo è Donald Fagen che si è avvalso dei fratelli Michael e Randy Brecker, due ottimi musicisti di jazz.45 Il terzo, infine, è Michael Franks46, che si è avvalso di uno dei sassofonisti oggi più celebrati qual è Michael Brecker. Queste sono operazioni criticate dai puristi dal jazz; ma, se ad un vero appassionato di jazz non piace ascoltare Michael Brecker in questo contesto, bisogna tuttavia ammettere che l’opera di intrattenimento di Billy Joel o di Michael Franks o di Donald Fagen è di ottimo livello. Questi cantanti fanno un’opera di intrattenimento di alta classe, cercando di appropriarsi di un quid di artisticità per arricchire il loro ottimo prodotto di musica leggera, ricorrendo a celebrati musicisti di jazz, senza per questo spacciarsi come grandi artisti creativi. Non possiamo, dunque, parlare di kitsch. 106 Vi sono, invece, altre operazioni musicalmente più discutibili. Si confezionano esecuzioni musicali di basso livello, a puro scopo commerciale, cercando di “nobilitarle” richiamando, con cattivo gusto, elementi jazzistici e con la pretesa (e presunzione), di dare alle masse la convinzione di fruire di una esperienza estetica profonda. Siamo in pieno kitsch, la cui caratteristica principale è proprio quella di contrabbandare come artistica un’opera ottenuta imitando l’arte e manipolandone gli stilemi, presi in prestito al fine di offrire al fruitore un surrogato sentimentale o tecnico dei valori originari. Ne volete una prova eclatante? Vi suggerisco l’ascolto di una famosa canzone usata come tema da John Coltrane47 e l’ascolto della stessa canzone eseguita da Fausto Papetti48, uno dei protagonisti del kitsch e dello sfruttamento commerciale. La differenza è abissale, come quando, nei grandi magazzini, si vendono i grembiuli da cucina con sopra stampate le imitazioni dei quadri di Mirò o di Mondrian. E’ lo stesso cattivo gusto in base al quale si vendono le statue in finto marmo della 47 Ascolto: Greensleaves - John Coltrane Ascolto: Greensleaves - Fausto Papetti 49 Ascolto: Non partir - Fred Buscaglione 48 Pietà di Michelangelo o si pubblicano, sul Reader’s Digest, i riassunti dei capolavori della letteratura. Vi è, poi, una nutritissima schiera di musicisti e cantanti di musica leggera che si sono ispirati, sotto il profilo armonico, melodico e ritmico, alla musica jazz dell’era dello swing, quella di cui Benny Goodman fu un protagonista. Limitando lo sguardo alla sola Italia, Alberto Rabagliati, Natalino Otto, Iula De Palma, Teddy Reno, Ernesto Bonino, Gorni Kramer e Lelio Luttazzi, Gianni Ferrio, Piero Piccioni, Bruno Canfora, Pino Calvi, Fred Buongusto, Bruno Martino, Fred Buscaglione, Paolo Conte, Sergio Caputo e tantissimi altri, sono tutti debitori nei confronti della musica jazz di quell’epoca. Fred Buscaglione, ai suoi tempi (anni ’50), fu un grandissimo innovatore. La sua è una ottima musica di intrattenimento, arricchita e nobilitata da una cultura jazzistica che Fred si portava dentro.49 Un esempio più recente è costituito da Sergio Caputo, la cui elevata preparazione musicale tradisce un’anima jazzistica, specie sotto il profilo armonico. Ne sono una pro- 107 va gli accordi e le armonie del suo “Spicchio di luna”.50 Non possiamo fare a meno di ascoltare, in questa disamina Paolo Conte, il grande, raffinato, ironico, romantico e colto interprete di un genere che tradisce, in ogni nota ed in ogni accordo, un dichiarato amore per il jazz: in Paolo Conte i confini fra opera d’arte e opera di intrattenimento sono davvero sfumati.51 Analogamente, su scala mondiale, la classe di Frank Sinatra è talmente elevata da cancellare, quasi, i confini tra jazz e canzone, dunque, fra opera d’arte e opera di intrattenimento. Un ultimo esempio di come il jazz scivoli verso una ottima musica commerciale (e viceversa), è offerto dal fenomeno Diana Krall. Sfruttando la sua avvenenza e la sua presenza scenica, ma anche le sue davvero buone qualità di jazzista (sia come cantante e, più ancora, come pianista), Diana Krall confeziona una musica di intrattenimento di eccellente livello, tanto da essere contesa in tutto il mondo a colpi di centinaia di migliaia di dollari.52 50 A completamento di questa prima disamina dei rapporti fra musica jazz e musica leggera, vi segnalo quattro incisioni di canzoni bellissime nelle interpretazioni di ottimi musicisti di jazz, i quali hanno trovato, nella struttura armonica e melodica di questi brani, di matrice jazzistica, un fertile campo di ispirazione. Le prima è “Estate” di Bruno Martino, divenuta famosissima per le interpretazioni magistrali dei grandi del jazz, da Chet Baker, a Petrucciani.53 La seconda è una canzone italiana dei primi anni ’50, “Amore baciami” composta da Carlo Alberto Rossi; è un valzer lento, ma ha armonie che vengono da una diretta matrice jazzistica. E’ interpretata da una cantante jazz italiana, Ada Montellanico, accompagnata da jazzisti di eccellente valore, fra i quali il pianista Enrico Pierannunzi ed il grande altosassofonista bianco Lee Konitz che, ultrasettentacinquenne, ma sempre straordinario, ha trovato, nella tessitura armonica e melodica di questa vecchia canzone italiana, l’ispi- Ascolto: Spicchio di luna - Sergio Caputo Ascolto: Un uomo camion - Paolo Conte 52 Ascolto: East of the sun. West of the moon - Diana Krall 53 Ascolto: Estate - Les Demodés 51 108 razione per una bellissima performance.54 La terza canzone è “Mi sento tua”, resa famosa negli anni ’50 da Iula De Palma, e contestata dalla censura di quel tempo perché ritenuta troppo sensuale, sia nel testo che nel modo di cantarla! Ancora, una cantante di jazz italiana, Paola Arnesano riprende molto bene quell’atmosfera ed insieme al marito, il chitarrista ed arrangiatore Guido Di Leone, ne offre una versione nella quale la sintassi jazzistica appare in tutta evidenza.55 La quarta è “Donna”, una swingante performance di Nicola Arigliano che, malgrado gli ottanta anni, si conferma il miglior cantante italiano di jazz. Da notare il bell’assolo di Enrico Rava, oggi il più famoso musicista italiano di jazz, a proprio agio con la tessitura musicale di “Donna”, non a caso opera di Gorni Kramer, musicista eccellente e con il jazz nel sangue.56 Sono tutti esempi di musica leggera raffinata, grazie alla ispirazione jazzistica di autori ed esecutori. Rimaniamo, comunque, prevalentemente nel campo di una musica 54 Ascolto: Amore baciami - Ada Montellanico Ascolto: Mi sento tua - Paola Arnesano 56 Ascolto: Donna - Nicola Arigliano 55 di intrattenimento di grande livello. Ed è chiaro a tutti, spero, che la musica jazz rimanga su un livello di artisticità ben più alto. A tal proposito, non posso non spendere due parole sulla bossa nova. La bossa nova è una musica brasiliana molto originale, che ha avuto sempre, con il jazz e con i jazzisti, un feeling particolare, forse perché alla base della bossa nova c’è quel sentimento di struggimento e di inquietudine che costituisce anche il valore distintivo del jazz. Tutto ciò non è casuale se si riflette sul fatto che le due musiche sono molto simili nella matrice di origine. Entrambe sono musiche nate dall’incontro della cultura africana con quelle europee; solo che le culture spagnola e portoghese (più “morbida” e meno rigorosa di quella protestante e francese), unitamente ai diversi fattori ambientali ed alla maggiore influenza dei bianchi, che hanno fatto sì che in Brasile nascesse una musica, sfociata poi nella bossa nova, come una sorta di jazz autoctono, ma più dolce e meno aggressivo e spigoloso della musica jazz. 109 Una musica, comunque, sempre intrisa di sottile ed impalpabile poesia. Anche la bossa nova, come il jazz, fa ricorso ad una straordinaria abbondanza di semitoni, diminuite e soluzioni armoniche incredibilmente suggestive. Carlos Jobin, Vinicius Demoraes e Joao Gilberto sono certamente dei veri artisti.57 E veniamo alla seconda parte, di più difficile lettura e decifrazione, perché qui i rapporti fra musica jazz e mondo del rock, pop, soul music, rythm and blues sono stati più interattivi, a tal punto che sono in molti a sostenere di ritenere superata la visione di una musica jazz opera d’arte e di tutta l’altra musica opera di intrattenimento. Ma i puristi della musica jazz ritengono che un vero e proprio tradimento verso la loro amata musica sia stato perpetrato da quei jazzisti che, per motivi commerciali, si sono lasciati andare con disinvoltura ad una integrazione con i ritmi binari ed elementari della musica rock, aggravando la confusione e le contaminazioni musicali. Che il rock e le tasche di questi musicisti ne abbiano tratto beneficio, non ne ho il minimo dubbio; che ne 57 abbia tratto beneficio il jazz ho forti dubbi. Io rimango del parere che la stragrande maggioranza di tutte le musiche rock, pop, soul, ecc. siano opera di intrattenimento seppure, molto spesso, di ottimo livello. Ho già sottolineato che le cause che hanno portato a produrre il diluvio delle musiche rock e affini sono state: 1) il benessere che ha investito le nuove generazioni di giovani bianchi e neri; 2) la potenza delle grandi case discografiche e dei nuovi media (si pensi alla emittente MTV); 3) la digitalizzazione della musica, l’avvento degli strumenti a supporto elettrico ed elettronico; 4) la diffusione della musica via Internet ed il proliferare delle grandi discoteche, casse di risonanza di enorme potenza. Tutta questa musica (certamente figlia del nuovo assetto della Società americana, soprattutto da Reagan fin qui), è assurta a simbolo di riti collettivi fra i giovani. Ma di qui a parlare di opera d’arte ne corre di strada. Pensiamo alle immense folle di giovani in delirio ai concerti dei Beatles, Rolling Stones, Elvis Presley, Ascolto: Meditation - Carlos Jobim - Joao Gilberto 110 Led Zeppelin, Chicago, Blood Sweat and Tears, Bob Dylan, Bruce Springsteen, dai Pink Floyd ai Police, fino ai Nirvana ed ai “Seattle Supersonics”. Pensiamo alle folle oceaniche da Woodstock, fino ai concerti degli U2. Ebbene questa musica, talvolta di buon livello (molto spesso pescando nelle stesse radici del jazz), ha costituito un grandissimo supporto per i riti sociali collettivi della cultura underground e del dissenso giovanile a cavallo degli anni sessanta e settanta, ma anche dei riti e dei comportamenti dei giovani cresciuti nell’era reaganiana degli anni ’80; giovani senza più grandi sogni collettivi, senza più il gusto della contestazione, senza aver assaggiato direttamente l’acre sapore del malessere dei ghetti e, tuttavia, sempre bisognosi di socializzare e di stare insieme per cercare riferimenti e ideali comuni. Non poteva essere la vera musica jazz ad assumere questo ruolo di supporto, in quanto musica troppo difficile per la massa ed anche troppo carica di tristezza e poesia. Questo ruolo fu, invece, come dicevo, assunto dal caleidoscopio di 58 musiche rock, pop, rythm and blues, folk, rap, ecc., musiche di intrattenimento adatte a colpire i giovani per la loro capacità di essere percepite in superficie. Ultimamente il rap sta avendo un successo travolgente, ma il suo successo sta più nella forza delle parole (che porta la voce della cultura popolare delle strade, che incalza la passione positiva delle nuove generazioni), più in questo, dicevo, che nella forza della sua musica. Credo che, nel tempo, la storia del rock interesserà moltissimo il sociologo e meno il critico musicale, anche se non bisogna essere troppo radicali, rivendicando una purezza della musica jazz e demonizzando tutto il resto. Esiste certamente un notevole numero di musicisti rock di grande livello e ve ne propongo tre esempi: Pink Floyd58, Blood Sweat and Tears59 e Gino Vannelli.60 Certo, dentro il rock si trovano citazioni, accenti, stilemi, ritmi di natura e scuola jazzistica, ma il rock è una musica che il critico musicale G. Della Bona ha definito “una luminosa farfalla meccanica”, cioè una farfalla artificiale che, parafrasando Ascolto: Money - Pink Floyd Ascolto: Lucretia’s reprise - Blood Sweat and Tears 60 Ascolto: Brother to Brother - Gino Vannelli 59 111 ancora Umberto Eco, produce suoni, colori e movimenti contrabbandati come artistici, ma in realtà ottenuti manipolando i caratteri originari dell’opera d’arte (il jazz nel nostro caso), con lo scopo di fornire un surrogato tecnico e/o sentimentale dell’opera d’arte stessa. Continuiamo ancora con l’ascolto di alcuni brani di musica rock, di acid jazz e derivati che oggi vanno per la maggiore. Ecco un esempio di acid jazz, dei Solsonics, tavolozza timbrica proteiforme, ma musica fredda, di superficie, meccanica.61 La musica jazz è un’altra cosa! Ecco ora un altro complesso oggi di gran moda: i Jamiroquai.62 Sono evidenti i riferimenti alla musica jazz ed una ispirazione al jazz sotto il profilo armonico; ma, anche qui, ripeto: musica che si ascolta volentieri, di buon livello esecutivo, ma non c’è la commozione di un brano di musica jazz. A testimonianza dell’influenza della musica jazz sulla musica leggera di oggi, vi propongo all’ascolto altri due gruppi che oggi vanno per la maggiore uno, italiano, è quello dei Dirotta su Cuba. E’ agevole 61 Ascolto: Jazz in the present tense - Solsonics Ascolto: Seven days in sunny june - Jamiroquai 63 Ascolto: Dove sei - Dirotta su Cuba 64 Ascolto: People get ready - Brand Nw Heavies 62 constatare come la cantante faccia uso di diminuite, caratteristica fondamentale della musica jazz. 63 Ancora un gruppo, i Brand New Heavies, che denunciano una matrice di chiara origine jazzistica. 64 Da ultimo un accenno alla musica globale, fenomeno musicale proprio dei giorni nostri. Nel villaggio globale della comunicazione, si sono amplificati i fenomeni che hanno dato origine all’esplosione del rock, ecc., talchè oggi, ci si presenta un grande melting pot, un minestrone musicale che racchiude e fonde dentro di sé jazz, rock, musiche indiane, arabe, le musiche tradizionali, anche italiane, le musiche elettroniche, in una parola, una musica per tutti e di tutti. Personalmente sono talvolta affascinato da questa musica, ma continuo a ritenere la musica jazz la vera musica del Novecento. Certo, il jazz di oggi è meno creativo, perché è il simbolo, come lo è stato fin dalle sue origini, della evoluzione della Società e tiene conto, puntualmente, dei tanti fatti che, nel bene e nel male, hanno 112 cambiato la Società negli ultimi quindici anni. Tuttavia, proprio per questo, il jazz continua a rappresentare la vera musica del Novecento, mentre la proteiforme tavolozza timbrica e ritmica del rock, pop, soul, ecc. (anche loro musiche del Novecento) è, secondo la felice definizione già ci- tata in precedenza, una luminosa farfalla meccanica, che vola entusiasmando per i suoi bellissimi colori artificiali ed effetti luminosi e scenici. Essa diverte, stupisce, incalza, ma non commuove; perché è meccanica e tutto quello che emana è artificiale. P.S. In questo capitolo ho cercato di spiegare i legami espliciti, occulti o interattivi, fra musica jazz e musica leggera (rock compreso). Tutto ciò non vuole assolutamente significare che la sola musica leggera di valore sia quella che ha radici nel jazz. Esistono, infatti, altre musiche leggere di ottimo livello, che nulla hanno a che fare con la musica jazz: basti pensare a Battisti, Cocciante, Baglioni e Renato Zero. 113 Conclusioni Mi accorgo di non averVi citato tanti altri musicisti che sono stati protagonisti nella Storia del Jazz (King Oliver, Fats Waller, Charlie Christian, Billie Holiday, Dexter Gordon, Clifford Brown, Cecil Taylor, Jimmy Giuffrè, Gerry Mulligan, Chet Baker, Art Pepper, Joe Henderson e tanti altri). Mi affretto a rimediare in piccolissima misura, scrivendo qualche nota su alcuni di essi, corredate dai relativi ascolti di incisioni che sono anch’esse fulgide perle della collana del jazz. Fats Waller, se non fosse stato un nero e, quindi, escluso dai circuiti dei teatri, avrebbe potuto essere un grande concertista classico, per il talento che sprigionava sui tasti del pianoforte. Dovette accontentarsi di una carriera molto più “leggera” come pianista e cantante (aiutato da un carattere umoristico, esuberante ed accomodante) e di una fertilissima attività di compositore. 65 66 Ascolto: Ain’t misbehavin’ - Fats Waller 1934 Ascolto: I can’t get started - Clifford Brown 1954 Gioco muscoloso e perentorio, ma anche tenero sentimentalismo, si colgono nella sua musica.65 Clifford Brown sarebbe divenuto di certo uno dei più importanti jazzisti degli ultimi cinquant’anni se la sua vita non fosse stata stroncata a soli ventisei anni da un tragico incidente d’auto; nei pochi anni della sua attività ci ha lasciato gemme luminosissime. Padrone di una formidabile tecnica strumentistica, la sua tromba aveva una sonorità calda, morbida ed allo stesso tempo bruciante, incisiva, essenziale: graffiante e nello stesso tempo lirica. E’ stato un grande maestro nel costruire frasi che passavano attraverso le più belle ed imprevedibili combinazioni di intervalli. 66 Dexter Gordon è stato un tenorsassofonista nero, il cui grandissimo valore è stato, probabilmente, sottovalutato dalla critica. A volte poderoso come Coleman Hawkins, a 114 volte tenero e rilassato come Lester Young, molto creativo nel concepire i percorsi melodici, a suo agio sia sui tempi veloci che, soprattutto, nelle ballads.67 Un posto, anche se non di primissimo piano nella storia del jazz, spetta anche ai due musicisti bianchi, Gerrry Mulligan (sax baritono) e Chet Baker (tromba). Gerry Mulligan era già stato tra i protagonisti di quel fenomenale gruppo di musicisti riuniti da Miles Davis per realizzare, per la Capitol, uno dei più famosi dischi di cool jazz: “Birth of the cool”. Si trovò poi, quasi per caso, in California nel 1952 a dirigere un quartetto, senza pianoforte, comprendente il ventitreenne esordiente trombettista Chet Baker. Il quartetto (tromba, sax baritono, basso e batteria), ebbe un successo clamoroso in tutti gli Stati Uniti e contribuì non poco, con il suo sound morbido e sottovoce, alla diffusione popolare del jazz. La musica del quartetto di Mulligan e Baker fu definita casta eppure frizzante, dinoccolata ed orecchiabile; la squisita musicalità degli assoli ed il variato gioco dei fiati, talvolta 67 68 Chet Baker, Macerata 1977, (foto A. Salvatori) in contrappunto, li potete constatare nell’ ascolto.68 Mulligan ebbe in seguito una lunghissima carriera, anche se altalenante e, talvolta, musicalmente discutibile, ma sempre all’insegna del gusto e dell’intelligenza. Chet Baker va ricordato per la sua sensibilità quasi femminea, la sonorità calda e pastosa, specie sul registro grave e per la lirica grazia delle sue frasi. Viene ricordato anche per la sua vita sfortunata (a causa della dipendenza dalla droga) fra il carcere, subìto anche in Italia, e disavventure varie. Un libro a parte occorrerebbe scri- Ascolto: Ruby my dear - Dexter Gordon Ascolto: The nearness of you - Quartetto Mulligan – Baker 1953 115 Dexter Gordon, Ancona 1976, (foto A. Salvatori) 117 vere, poi, sui grandi contrabbassisti, il cui ruolo è stato di fondamentale importanza nella storia della musica jazz (Jimmy Blanton, Ray Brown, Oscar Pettiford, Ron Carter, Paul Chambers, Scott La Faro, Marc Johnson, N.O. Pedersen, Dave Holland, Gary Peacock, Charlie Haden, Gorge Mraz, Jaco Pastorius, ecc.). La stessa cosa vale per i grandi batteristi (Gene Krupa, Shelly Manne, Roy Haynes, Max Roach, Kenny Clarke, Art Blakey, Philly Joe Jones, Tony Williams, Elvin Jones, Jack de Johnnette, Paul Motian, ecc.). Ora è proprio arrivato il momento di trarre le conclusioni. In questo libretto ho cercato di illustrarvi l’universo della musica jazz e, con esso, tutta l’evoluzione sociale ed artistica del Novecento, di cui anche il jazz è stato fedele interprete. Molte conclusioni le ho già tratte nelle ultime pagine della Seconda e della Terza Parte. Vorrei qui aggiungere che il jazz ha accompagnato cinquanta anni della mia vita; un amore che non si è mai spento, analogamente a quello per Klee, Kandinsky e Picasso. Ma io ho la consapevolezza di essere un Uomo del Novecento (anagraficamente e culturalmente) e, come tale, ho difficoltà a districarmi nei complessi sentieri delle Arti del Duemila. Mi aggiro smarrito fra minimal, post-pop, arte povera e post-modern. Per quanto riguarda il jazz, ascolto volentieri Jeremy Pelt, Dave Douglas, John Taylor, Jean-Michel Pilc e Jan Garbarek, ma il mio smarrimento permane di fronte a questa “modernità” che non riconosco. E intanto, come dice Alessandro Baricco, “la modernità accade” e se non riesce a coinvolgermi, peggio per me. A ciascuno la sua stagione. Cari amici, spero di non avervi annoiato e di avervi aperto qualche finestra sul panorama fantastico delle emozioni del Novecento. E, a testimonianza di queste emozioni, vi suggerisco l’ascolto di una incisione di grande intensità creativa. A cavallo degli anni ’50 e ’60 Art Pepper, bianco, era già un ottimo sassofonista, affermatosi a Los Angeles nell’ambito della cosiddetta scuola californiana. Dopo sette anni trascorsi in carcere per uso di stupefacenti, uscì talmente segnato da questa esperienza, da sbalordire critici ed appassionati per la sua maturazione artistica. La sua musica appare di un lirismo autentico, nel contesto di un mondo interiore estremamente sofferto. A volte vi sono lacrime che sgorgano dal cuore e non arrivano agli oc- 118 chi; quelle di Art Pepper arrivano a noi tramite il suo lacerante sax.69 La musica di Art Pepper mi invita a ricordare una stupenda frase di André Breton, uno dei padri del surrealismo, quando afferma che in ogni artista che crea esiste “un noyeau infracassable de nuit”, cioè una indistruttibile fonte di luce; 69 essa è indistruttibile perché il bagliore che emana non è artificiale, ma è prodotto dall’anima. Quell’anima umana che, intrisa di tanta sottile angoscia ed altrettanta sottile poesia, pervade di sé tutte le opere d’arte e, fra queste, la musica jazz, la musica dei nostri tempi. Ascolto: Everything happens to me – Art Pepper 1981 119 Bibliografia ARRIGO P OLILLO, Il jazz – Ed. Mondadori ARRIGO P OLILLO, Il jazz moderno – Ed. Ricordi ERIC J. HOBSBAWM , Storia Sociale del Jazz – Editori Riuniti PIERRE BOULEZ, Pensare la musica oggi – Ed. Einaudi W.T. GOTTLIEB, The golden age of jazz – Pomegranate art books of San Francisco FRANCO FAYENZ, Jazz e jazz – Ed. Laterza JOHN FORDHAM, Jazz – Ed. Idealibri GILDO DE STEFANO, Trecento anni di jazz – Ed. Sugarco LUCA CERCHIARI, Il jazz – Ed. Bompiani MASSIMO M ILA, Storia della musica – Ed. Einaudi GUIDO BALLO, Occhio critico – Ed. Einaudi UMBERTO ECO, Opera aperta – Ed. Bompiani GILLO DORFLES, Il kitsch – Ed. Einaudi ERNESTO ASSANTE - GINO CASTALDO , Blues, jazz, rock, pop – Ed. Einaudi DAVIDE SPARTI, Suoni inauditi – Ed. Il Mulino MASSIMO TARABELLI, Il gomito del jazzista – Ed. peQuod - Ancona ANTONIO LODETTI, Alle radici del jazz – Ed. Gammalibri GEOFF DYER, Natura morta con custodia di sax – Ed. Feltrinelli ALESSANDRO BARICCO, L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin – Ed. Garzanti R ODOLFO DINI - MASSIMO MAZZONI, Omaggio a Duke Ellington – Ed. Istituto Gramsci Marche CARLO BOCCADORO, Jazz! – Ed. Einaudi R OBERTO RUSSI, Letteratura e Musica – Ed. Carocci HEINRICH BESSELER, L’ascolto musicale nell’età moderna – Ed. Il Mulino MAURO P ERNIOLA, L’estetica del Novecento – Ed. Il Mulino 121 Discografia CD 1 Riferimenti testo Pagina Nota 49 1 49 2 50 3 50 4 51 5 52 6 53 7 65 8a 65 8b 65 9 66 10 66 11 66 12 67 13 68 14 68 15 68 16 68 17 68 18 71 19 72 20 72 21 75 22 75 23 76 24 76 25 76 26 76 27 79 28 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 MILES DAVIS, Blue in green, 1959 - Columbia MODERN JAZZ QUARTET, Vendome, 1955 - Atlantic THELONIUS MONK, Ruby my dear, 1947 - Blue Note CHARLES MINGUS, Tijuana gift shop, 1956 - Blue Bird BMG Record CHERLIE PARKER, Lover man, 1946 - Saga STEVE LACY, Remember, 1957 - Prestige JOHN COLTRANE, Crescent, 1964 - Impulse B.L. JEFFERSON, Lonesome house blues, 1926 - Fonit Cetra MA RAINEY, Black eye blues, 1928 - Fonit Cetra BESSIE SMITH - LOUIS ARMSTRONG, St. Louis Blues, 1925 - Giants of Jazz JELLY ROLL MORTON, Georgia swing, 1928 - Giants of Jazz LOUIS ARMSTRONG, West and blues, 1928 - Odeon BIX BEDERBECKE, Jazz me blues, 1927 - Giants of Jazz BENNY GOODMAN, Don’t be that way, 1938 - Charly BENNY GOODMAN, Monglow, 1937 - Frequenz ART TATUM, Liza, 1934 - Charly COLEMAN HAWKINS, Body and soul, 1943 - Charly LESTER YOUNG, These foolish things, 1945 - Charly GLENN MILLER, In the mood, 1941 - Charly GLENN MILLER, Moonlight serenade, 1941 - Joker DIZZY GILLESPIE, A night in Tunisia, 1947 - Roulette CHARLIE PARKER, Ornithology, 1947 - Fonit U.S.A. CHARLIE PARKER, Parker’s mood, 1947 - Savoy CHARLIE PARKER, Bird of Paradise, 1947 - Fonit U.S.A. BUD POWELL, Tempus fugit, 1949 - Verve LENNIE TRISTANO, Requiem, 1956 - Atlantic LENNIE TRISTANO, Marionette, 1949 - Capitol LENNIE TRISTANO - LEE KONITZ, You go to my head, 1956 - Atlantic THELONIUS MONK, Don’t blame me, 1947 - CBS 122 CD 2 Riferimenti testo Pagina Nota 79 29 80 30 87 31 87 32 87,88 33 88 34 88,93 35 93 36 94 37 94 38 94 39 98 40 98 41 99 42 99 43 113 65 113 66 114 67 114 68 117,118 69 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 CHARLES MINGUS, Orange was the colour of her dress, 1974 - Columbia CBS MILES DAVIS, Blues for Pablo, 1957 - Columbia CBS CHARLES MINGUS/ERIC DOLPHY, Fables of Faubus, 1960 - Candid ERIC DOLPHY, Tenderly, 1960 - New Jazz JOHN COLTRANE con T. Monk, Blue monk, 1957 - Blue Note BILL EVANS, Time remembered, 1974 - Milestone ORNETTE COLEMAN, Eventually, 1959 - Atlantic DUKE ELLINGTON, Creole Rapsody, 1931 - RCA DUKE ELLINGTON, Take a train, 1941 - Charly DUKE ELLINGTON, Chelsea Bridge, 1941 - RCA Victor DUKE ELLINGTON, Star crossed lovers, 1957 - Columbia CBS SONNY ROLLINS, Till there was you, 1958 - Riverside WAYNE SHORTER, Footprints, 1966 - Blue Note KEITH JARRET, Last night when we were young, 1996 - ECM JOE LOVANO, Central Park West, 1991 - Blue Note FATS WALLER, Ain’t misbehavin’, 1934 - Frequenz CLIFFORD BROWN, I can’t get started, 1954 - Vogue DEXTER GORDON, Ruby my dear, 1978 - Columbia QUARTETTO MULLIGAN - BAKER, The nearness of you, 1953 - Giants of Jazz ART PEPPER, Everything happens to me, 1981 - Galaxi 123 CD 3 Riferimenti testo Pagina Nota 105 44 105 45 105 46 106 47 106 48 106 49 106,107 50 107 51 107 52 107 53 107,108 54 108 55 108 56 109 57 110 58 110 59 110 60 111 61 111 62 111 63 111 64 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 BILLY JOEL, Zanzibar - CBS DONALD FAGEN, Maxine - Warner Bros MICHAEL FRANKS, When she is mine - Warner Bros JOHN COLTRANE, Greensleaves - Impulse FAUSTO PAPETTI, Greensleaves - Decca FRED BUSCAGLIONE, Non partir - Fonit Cetra SERGIO CAPUTO, Spicchio di luna - CGD PAOLO CONTE, Un uomo camion - CGD DIANA KRALL, East of the sun. West of the moon - Verve LES DEMODÉS, Estate - Unplugged ADA MONTELLANICO, Amore baciami - Soul Note PAOLA ARNESANO, Mi sento tua - Philology NICOLA ARIGLIANO, Donna - NUN Enterteinment CARLOS JOBIM - JOAO GILBERTO, Meditation - EGEA PINK FLOYD, Money - EMI BLOOD SWEAT AND TEARS, Lucretia’s reprise - CBS GINO VANNELLI, Brother to Brother - AM Records SOLSONICS, Jazz in the present tense - Crhysalis ERG JAMIROQUAI, Seven days in sunny june - Sony DIROTTA SU CUBA, Dove sei - CGD BRAND NEW HEAVIES, People get ready - Delicious Vinyl Per informazioni sulla discografia: [email protected] [email protected] Stamperia Annesio Nobili in Pesaro dal 1823