CATERVO CANGIOTTI
JAZZ
EDIZIONI NOBILI
PESARO 2006
Duecento copie
Edizioni fuori commercio
Stamperia Annesio Nobili
in Pesaro dal 1823
Finito di stampare
nel mese di aprile 2006
A Walter Ottaviani.
La musica jazz, fedele e fantastica
compagna della tua vita terrena,
ti sia vicina anche là dove ora ti trovi.
In questo “quaderno” sono raccolti i temi
da me sviluppati nel corso di conversazioni
tenute in varie città marchigiane.
Ringrazio con tutto il cuore gli amici
Leonardo Della Chiara e Americo Salvatori.
Senza la loro preziosa e appassionata collaborazione
questo libretto non avrebbe mai potuto venire alla luce.
Catervo Cangiotti
Indice
Introduzione ...........................................................................
9
Parte prima:
La poetica delle Arti moderne ............................................
Miles Davis .........................................................................
Modern Jazz Quartet ..........................................................
Thelonious Monk.................................................................
Charles Mingus ...................................................................
Charlie Parker .....................................................................
Steve Lacy ............................................................................
John Coltrane.......................................................................
13
49
49
50
50
51
52
53
Parte seconda:
Storia sociale del jazz ...........................................................
Il jazz dalle origini al crollo di Wall Street .........................
L’era dello swing .................................................................
Il jazz del dopoguerra ..........................................................
57
62
67
71
Parte terza:
Musica jazz e musica leggera:
opera d’arte ed opera di intrattenimento ......................... 103
Conclusioni ............................................................................. 113
Bibliografia ............................................................................. 119
Discografia .............................................................................. 121
Introduzione
Non ho certo la presunzione di aver scritto queste pagine
per gli appassionati di jazz, i quali già conoscono meglio di
me la loro musica.
Le ho volute scrivere essenzialmente per i tanti amici che
non si sono mai avvicinati al jazz ed all’arte moderna per i
più disparati motivi, oppure ne hanno un’idea vaga e troppo spesso distorta.
Per divulgare la conoscenza del jazz, mi sono sembrate indispensabili alcune riflessioni di più ampio respiro che riguardano, oltre alla storia ed alla poetica di questa musica, anche la storia e la poetica di tutte le arti moderne (pittura,
scultura, letteratura ecc.), dal momento che tutte le arti del
Novecento sono collegate intimamente alla evoluzione della
società negli ultimi cento anni.
Fare storia della musica e dell’arte moderna in generale, non
è altro che una forma di fare storia, essendo l’arte una trama
e una sintesi delle relazioni fra i diversi accadimenti della
realtà umana.
L’Arte è prodotta dalla Storia e, talvolta, la precede.
Mi è sembrato anche indispensabile il suggerire l’ascolto dei
più importanti protagonisti di cento anni di storia del jazz,
segnalando incisioni di grande livello e significato; il mio
amico Americo (una specie di computer umano: si ricorda a
memoria tremila dischi jazz!) mi ha aiutato nella scelta dei
brani, anch’essa effettuata con l’attenzione rivolta ai non
esperti.
Dunque, dischi importanti e bellissimi, per la maggior parte non molto complessi sotto il profilo armonico – melodico
– ritmico, ma contenenti alcune suggestioni in grado di colpire i neofiti, aiutandoli nella comprensione del testo. Parimenti, mi auguro che il testo li aiuti nella comprensione delle musiche.
Il libro è diviso in tre parti: una prima parte che riguarda la
poetica delle arti moderne, una seconda che riguarda propriamente la storia della musica jazz ed una terza parte conclusiva che esamina le differenze e convergenze fra arte e intrattenimento (fra musica jazz e musica leggera).
Parte Prima
La poetica delle arti moderne
Indubbiamente non è facile capire
ed amare la musica jazz, soprattutto quella del dopoguerra, come
non è facile capire ed amare la pittura di Picasso, Braque, Klee e men
che meno quella di Pollock, Mondrian o Kandinsky; come non è facile
leggere ed apprezzare l’Ulisse di
Joyce.
Oggi fortunatamente sono milioni
le persone in tutto il mondo che
hanno imparato ad amare le arti
moderne (musica jazz compresa),
ma fino a trenta anni fa, come
dice Guido Ballo, “l’occhio comune
e l’orecchio comune” prevalevano
sull’orecchio critico e l’occhio critico, per cui era facile ascoltare nei
confronti delle arti moderne le
espressioni di questo tipo: “Questi
artisti moderni dicono e parlano
tanto, ma in realtà non sanno più
copiare la natura” oppure “Certo è
comodo disegnare così, a caso, il
seno al posto delle ginocchia, due
nasi, un solo occhio...”. “Ma che
razza di arte è questa? dove sono
più la bellezza e il sentimento?”.
E analoghi commenti nei riguardi
di tutta la musica del Novecento:
“dov’è più l’armonia?” “cosa sono
questi rumori strozzati o animaleschi o elettrici?” “dove sono più il
bel canto e le sublimi armonie?” E
così di seguito. La realtà è che non
è possibile avvicinarsi alle arti moderne utilizzando i criteri della
estetica classica. Quantomeno occorre prima rendersi conto perché
il Novecento è un secolo così diverso da tutti gli altri che lo hanno preceduto nella storia dell’umanità.
Vi sarete certamente domandati
perché nella nostra epoca non possono venire più alla luce opere
d’arte di largo respiro come la Divina Commedia o gli affreschi della
Cappella Sistina o la Messa in Si minore di Bach - opere che sono le
grandi cattedrali dello spirito
umano?
Poniamoci un’altra domanda: perché Donatello o Canova sono così
differenti, in senso tecnico e formale, da Henry Moore? E, analogamente, perché Mantegna da Kandinsky? Oppure Chopin da Bartok
e, più ancora, da Webern, da Cage
o da Charlie Parker, il più grande
artista che abbia espresso la musica
jazz nei suoi cento anni di vita?
Tutto ciò non è casuale. E’ che il
Novecento è un secolo troppo diverso da tutti quelli che lo hanno
preceduto. E’ un secolo durante il
quale l’umanità ha compiuto più
progressi che in tutta la sua restante storia messa insieme. E’ un secolo contrassegnato dalle grandi scoperte scientifiche e tecnologiche
dalle quali è derivata la rivoluzione
industriale che, in un certo senso,
ha traumatizzato l’anima umana
portando nella coscienza dell’uomo
sollecitazioni ed inquietudini fino
ad allora sconosciute. L’arte del
Novecento riflette questi traumi e
queste inquietudini e si esprime
non con opere conchiuse ma per
lampi di genio, per squarci di luce,
con messaggi ambigui ed inquietanti, con una aspirazione assoluta
alla purezza; dunque con messaggi
rivolti ad un fruitore coinvolto anch’esso in una ricezione aperta di
questi messaggi, molto spesso simbolici. Secondo la teoria della ricezione il senso di un testo letterario,
come di un quadro o di un brano
musicale, non deriva solo dall’atto
che lo crea; esso si può dire compiuto quando viene “ricostruito”
nella mente del fruitore. Come la
musica, anche un testo letterario
deve venire “eseguito” ed il senso
dell’opera sta nel rapporto dialogico fra chi compone, dipinge (o scrive) e chi ascolta, guarda o legge.
Il mondo classico fino al secolo
scorso era invece dominato da una
idea metafisica di ordine, con una
concezione del cosmo a gerarchie
chiarite e prefissate.
Dogmi e verità morali erano altrettante certezze, punti di riferimento
obbligati per la coscienza dell’uomo. La realtà si appalesava senza
imprevisti in una unica direzione;
si sapeva e si insegnava ciò che era
il bene e ciò che era il male, ciò che
era giusto e ciò che era ingiusto, ciò
che era morale e ciò che era immorale. Nel Novecento, soprattutto le
scoperte della fisica, con la introduzione dei concetti di campo, di possibilità, di probabilità, di casualità,
di indeterminazione, hanno dato
un colpo mortale a quell’universo
di certezze che costituiva un baluardo protettivo per l’uomo di
fronte al mistero dell’esistere. Tutto
ciò, parallelamente ai progressi della tecnica, ha reso l’uomo estremamente insicuro. L’arte naturalmente
riflette questo stato d’animo. Dunque alla base del costume artistico
del nostro tempo c’è la mancanza
di punti fermi, c’è il relativismo diffuso. Nell’epoca in cui tutti i punti
di vista mutano continuamente, in
cui l’uomo viene bombardato quo-
tidianamente da milioni di messaggi, col relativismo, anche l’esistenzialismo è entrato nel clima, nel costume, nella coscienza della gente comune, anche senza bisogno che
questa abbia letto Kierkegaard, Sartre o Einstein. L’ansia, l’instabilità,
l’angoscia diventano motivi esistenziali che influenzano profondamente il modo di esprimersi dell’artista del Novecento. Egli, dunque, comincia a riprodurre (sia in
pittura che in musica o in poesia)
non ciò che vede ma ciò che sente.
Di qui un arte che non si basa più
sulla imitazione della realtà, ma si
basa su segni, simboli, sulla espressione di un gesto, nell’emissione di
una nota, magari affrancata da un
centro tonale. Interessano l’artista
del Novecento non solo l’intelletto,
ma anche l’inconscio. Il contrasto
di vivere in uno stato di indeterminatezza fa sviluppare una esigenza
di purezza, di assoluto che si esprimono mediante simboli, segni, colori, suoni, parole, densi di poesia,
bagliori di luce dell’anima, come
dicevo prima.
Per averne conferma basta andare a
leggersi i “manifesti ideologici” dei
movimenti che hanno caratterizzato la pittura del Novecento: Kandinsky teorizzava il valore della
emozionalità attraverso i simboli;
dunque una pittura astratta con ri-
nuncia definitiva alla raffigurazione del soggetto. I simbolisti concepivano l’arte come espressione analogica dell’IDEA, in contrapposizione al naturalismo.
Il surrealismo (André Bréton) concepiva l’arte come valorizzazione
dell’inconscio. I fauvisti (De Vlaminck) pensavano alla natura solo
come ispirazione o repertorio dei
segni ai quali attingere per esprimersi. Essi postulavano, inoltre,
modalità espressive fondate su accordi di colori analoghi agli accordi
musicali.
Una ulteriore conferma, per analogia, viene dalle parole di alcuni fra
i più grandi artisti del jazz: “Io non
sono ciò che suono, ma suono ciò
che io sono” (Miles Davis), oppure:
“Nel jazz si deve suonare la vita”
(Parker, Coltrane).
Ed i percorsi misteriosi, affioranti
da segrete solitudini, dei segni e
dei simboli dei quadri di Klee, sono
gli stessi dei percorsi armonici e
melodici di Monk o Coltrane. Sia
nella musica che nella pittura trionfa la interiorità (risonanza interiore,
la chiamava Kandinsky) a scapito
della rappresentazione del visibile
e dell’immutabile.
L’artista moderno non si cura più
di rappresentare la realtà; egli ricerca la verità intrinseca delle cose. E’,
quindi, portato a tradurre ciò che
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sente in simboli, segni visibili o segni sonori, rappresentativi di concetti.
Lo scultore marchigiano Edgardo
Mannucci diceva: “E’ molto più
difficile cercare la verità che il vero.
Perché al vero ci si può arrivare,
poiché è un dato fotografico, che
documenta tutto. Invece la verità è
un qualcosa che sta dentro di noi,
un qualcosa di molto più complicato”.
Sono concetti già espressi da Paul
Klee: “L’arte dissuggella gli occhi
sull’invisibile. La realtà non è altro
che la verità delle cose non ancora
svelata, alla quale l’uomo può arrivare anche ad occhi chiusi; perché
l’arte non deve fargli vedere ciò che
è già visibile, ma insegnargli a vedere nel fondo della propria anima”.
Oggi non possono più nascere le
grandi architetture dello spirito,
simbolo di una visione statica dell’ordine; oggi l’uomo moderno non
ha più né tempo né certezze interiori per esprimere universi conchiusi e definiti. Può solo emettere
bagliori dell’anima, come una lucciola dispersa nella notte, effetti di
lirismo acuto, sottili stridori ed
espressività come cercare scampo
dalla realtà traumatizzante di tutti i
giorni. Questo grido solitario, questa sottile poesia la si può scorgere
in un quadro di Klee, come in un
verso di Montale o in una nota (a
volte anche una nota sola) di Miles
Davis, impareggiabile lirico poeta
del jazz.
Entriamo, ora, più concretamente
nel mondo della musica.
Vi sono molte analogie fra le musiche del Novecento (musica jazz
moderna e musica postweberniana)
e le altre arti del secolo.
In entrambe si riscontra una predilezione per le strutture vaghe, aperte, con un livello di entropia molto
elevato, con una grande ambiguità
di significati; entrambe prediligono
materiali ed espressioni povere,
grezze; si pensi alle tele di Alberto
Burri ed alle macchie di colore degli espressionisti, alla entusiastica
ricerca dell’arte primitiva d’Africa
e d’Oceania fatta dai pittori epigoni
del fauvismo, alla predilezione per
le espressioni primitive degli aborigeni americani, da parte di Pollock,
per il loro carattere magico e simbolico. E si potrebbe continuare...
Per analogia, tutto quanto appena
detto per la pittura trova corrispondenza nella musica jazz, che predilige i suoni poveri e grezzi lontani
dalla levigatezza formale della musica classica.
Scrivono i critici musicali Rodolfo
Dini e Massimo Mazzoni: “Anche
Debussy, come Ellington, rimette
17
in discussione le tradizionali gerarchie orchestrali, emancipando il
timbro orchestrale ad elemento
strutturale. Ma Debussy si serve di
suoni neutri ed epurati secondo un
lungo processo di astrazione che
consente di fissarli sulla carta pentagrammata prescindendo, al limite, dalla mediazione degli interpreti. La tavolozza timbrica di Ellington è invece ricca di suoni sporchi
le cui radici risiedono nel blues, con
una sintesi fra intonazione non
temperata e deformazione timbrica
che è uno dei tratti distintivi della
musica afro-americana”.
Riflettiamo ora su un’altra straordinaria analogia: nella musica jazz
l’improvvisazione è un fatto di fondamentale importanza, determinando una identificazione fra creazione ed esecuzione. In sostanza
l’arte coincide con il gesto che lo
crea. La stessa cosa accade nella
pittura informale; pensiamo a tutta
l’action painting e a Pollock in particolare, la cui pittura, di grande tensione e drammaticità, nasce dal gesto del dipingere non come fatto
automatico ma come fatto creativo
che si trascina sul quadro il mondo
interiore dell’artista. Analogamente
pensiamo all’esplosione sulla tela
degli accordi di colori di un De
Vlaminck del tutto analoghi alla
esplosione delle note e degli accor-
di musicali durante una improvvisazione. La tela del musicista di
jazz che crea mentre improvvisa è il
nastro registrato.
Nella musica classica invece, il processo creativo è disgiunto da quello
esecutivo. L’opera d’arte, una volta
creata, ha una forma definita e l’interprete deve eseguirla nella maniera più vicina alle intenzioni dell’autore, tanto che all’interprete è
necessario un lavoro di approfondimento storico, in senso filologico,
estetico, nel senso di conoscere la
biografia del compositore ecc., in
modo da captare tutte le sfumature
e rendere quindi l’esecuzione il più
possibile aderente alle intenzioni
del creatore. Pensiamo al non mai
abbastanza lodato sforzo filologico
della Fondazione Rossini per riportare i manoscritti rossiniani alla loro
originale stesura; pensiamo al disappunto dei più raffinati cultori di
musica classica che lamentano di
non poter più ascoltare la musica
di Haendel così come l’autore volle
concepirla perché oggi non è più
possibile disporre di un coro di giovani castrati, previsti espressamente da Haendel per il particolare
timbro delle loro voci!
Naturalmente sto estremizzando,
per evidenziare la dissociazione fra
processo creativo e processo esecutivo dell’opera d’arte classica. Del
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resto, Balzac affermava: “La musica
esiste indipendentemente dalla esecuzione”. Ma per ricollegarmi al discorso dell’opera aperta, le musiche
del ‘900 non possono più consistere
in un messaggio conchiuso, fatto di
realtà sonore organizzate e gerarchizzate, ma sono costrette a presentare, (perché così vuole l’anima
dell’uomo del ‘900) un campo di
possibilità di varie organizzazioni
affidate all’iniziativa dell’esecutore
che la porta a termine nel momento
stesso in cui le fruisce esteticamente, cioè mentre le realizza.
Nella musica jazz è l’interpretazione, con l’improvvisazione, che diventa composizione immediata.
L’assolo del musicista di jazz è un
fatto autobiografico, identificandosi
con un momento, quel momento di
vita realmente vissuto. Ogni esecuzione è una composizione che tiene
conto dello stato emozionale ed esistenziale del musicista nel momen-
to della esecuzione stessa. Il nastro
registrato è per il jazz fondamentale. Senza riproduzione sonora non
ci sarebbe spartito musicale in grado di riprodurre con sufficiente
evidenza la musica jazz.
La difficoltà di penetrare la musica
jazz moderna è del tutto analoga,
in senso formale, storico ed emotivo, alla difficoltà che occorre per
decifrare ed amare tutte le altre arti
del Novecento, la pittura in particolare.
Prima di passare alla seconda parte, nel corso della quale ripercorreremo i cento anni della storia del
jazz, vi propongo l’ascolto dei brani di alcuni fra i più grandi musicisti di jazz con la contemporanea visione di opere di altrettanti grandissimi pittori del XX secolo.
Linguaggio sonoro e linguaggio
pittorico cercano di suscitare le
stesse emozioni, come ho cercato di
illustrarvi in questa prima parte.
Ascolti
Visioni
Miles Davis
Lucio Fontana, Wassily Kandinsky
Modern Jazz Quartet
Giorgio De Chirico
Thelonious Monk
Henri Rousseau
Charles Mingus
Matisse, Boccioni, De Vlaminck
Charlie Parker
Jackson Pollock, Pablo Picasso
Steve Lacy
Piet Mondrian
John Coltrane
Paul Klee
19
fig. 1 – Wassily Kandinsky, composizione VIII
21
fig. 2 – Paul Klee, insula dulcamara
23
fig. 3 – Alberto Burri, sacco 54
25
fig. 4 – Jackson Pollock, ocean greyness
27
fig. 5 – Maurice De Vlaminck, le chiuse a Bougival
29
fig. 6– Lucio Fontana, concetto spaziale
31
fig. 7 – Wassily Kandinsky, composizione X
33
fig. 8 – Giorgio De Chirico, le muse inquietanti
35
fig. 9 – Henri Rousseau, giaguaro che attacca un cavallo
37
fig. 10 – Henri Matisse, pesci rossi
39
fig. 11 – Umberto Boccioni, dinamismo di un ciclista
41
fig. 12 – Jackson Pollock, numero 8
43
fig. 13 – Pablo Picasso, donna seduta
45
fig. 14 – Piet Mondrian, composizione in rosso
47
fig. 15 – Paul Klee, la belle jardinière
48
49
MILES DAVIS
Ascoltiamo Miles Davis, il lirico
poeta della musica jazz.1
Di razza nera, ma di famiglia ricca
e di educazione borghese, si trovò a
suonare fra gli zingari poeti come
Charlie Parker. E, proprio dal contrasto, nascono le sue note essenziali, quasi colte al margine del minimo vitale.
A volte basta una sola nota sospesa, per esprimere una emozione
profonda. In definitiva il lirismo di
Davis è fatto di poche note che colpiscono ed incidono sottilmente lo
spazio musicale, così come i tagli
di Lucio Fontana (fig. 6) incidono
gli spazi monocromatici della tela,
creando entrambi una grande tensione emotiva.
Miles Davis era anche un apprezzato pittore.
Il suo stile era astratto, fortemente
ispirato al movimento “Memphis”
di Ettore Sottsass, il raffinato e colto
designer italiano e metteva insieme
colori e forme con un procedimento
uguale a quello della sua musica. Il
suo lirismo, “astratto” nella forma
ma di intensa emozionalità, rimanda alla pittura altrettanto struggen-
1
2
Ascolto: Blue in green - Miles Davis 1959
Ascolto: Vendome - Modern Jazz Quartet 1955
te di W. Kandinsky, anche lui tenace assertore delle suggestive analogie fra musica e pittura, fra i segni
sulla tela e le note d’aria, fra il valore psicologico delle forme e quello
delle note. (fig. 1)
Di Davis parlerò ancora alle pagg.
79, 80.
MODERN JAZZ QUARTET
Formato da quattro musicisti di colore ma di formazione musicale
classica, europea, il Modern Jazz
Quartet 2 per trent’anni ha calcato
le scene di tutti i teatri ed i Conservatori del mondo. Essi, pur non
rinnegando la loro origine e cultura nera, prediligono la classicità
elaborando una singolare forma di
jazz da camera in cui la sostanza è
jazzistica all’interno di una forma
europea; prova ne sia il ricorso al
contrappunto, adottato con un rigore accademico. Così come la pittura di De Chirico che, pur essendo un protagonista del surrealismo, conserva un dichiarato amore
per la classicità e per le sue forme.
(fig. 8)
Penso anche ad un quadro del 1919
50
di Carlo Carrà, Le figlie di Lot, un
quadro straordinario per la sua carica innovatrice all’interno di un dichiarato amore per i valori della
classicità.
THELONIOUS MONK
Monk 3 è uno dei grandissimi del
jazz moderno. Non si può dire di
conoscere il jazz se non si conosce e
non si ama Monk. (Vedi anche a
pag. 79)
Egli era un uomo senza speranze e
senza sorriso; passava settimane intere a letto senza vedere nessuno.
Ma artisticamente è una specie di
Henri Rousseau del jazz (fig. 9): entrambi primordiali nell’ispirazione,
anime candide ma interiormente
contorte. Le loro immagini musicali
e pittoriche sembrano pescate dal
remoto mondo dei sogni.
Le dissonanze del pianoforte di
Monk e delle sue composizioni
(Monk è forse il più grande tra i
compositori di jazz) sono estranee,
assurde, offensive, a volte infantili,
eppure incantevoli così come i leoni e le verdissime piante tropicali
che campeggiano nelle tele del “do-
3
4
Ascolto: Ruby my dear - Thelonius Monk 1947
Ascolto: Tijuana gift shop - Charles Mingus 1956
ganiere”, e forse significano le stesse cose.
CHARLES MINGUS
Altro grandissimo del Jazz moderno, grande contrabassista e soprattutto grande leader di orchestra e
di piccoli gruppi di musicisti dai
quali sapeva ricavare prestazioni
straordinarie. La sua musica è un
capolavoro
dell’espressionismo,
“una caldaia di emozioni” come
l’ha definita un critico che ha aggiunto: “la musica di Mingus è un
cavallo selvaggio ed imprevedibile.
Essa è espressionista come tutta la
pittura nella quale l’esperienza
emozionale è contraddistinta da
una forte accentuazione cromatica
e dalla incisività del segno”. Analogamente, nella musica di Mingus, 4
abbiamo l’accentuazione dei cromatismi sonori ed anche dei segni
sonori, cioè dei percorsi armonici
accidentati di Mingus, che esprimono una alta intesità emotiva. De
Vlaminck, Matisse, Chagall e Boccioni sono i nomi che possono portare alla musica di Charlie Mingus.
(fig. 5, 10 e 11) Esplosioni di colori
51
sulla tela, esplosioni di note nell’aria: sono e significano la stessa
cosa. (Vedi anche pag. 79)
Vi propongo l’ascolto di un brano
nel quale Mingus descrive in musica il fascino e le attrattive di
Tijuana, la famosa città messicana,
ricreando le sensazioni che egli
stesso “sentiva” percorrendo i pittoreschi, stretti vicoli gremiti di
turisti, di vecchie botteghe, di tequila e hotchili peppers consumati a dismisura, di spogliarelli e di
orchestrine sparse un po’ ovunque.
CHARLIE PARKER
Ho già detto che Charlie Parker 5 è
il più grande artista che la musica
Jazz abbia mai espresso nei suoi
cento anni di storia. Quando morì,
a soli trentacinque anni, il 5 marzo
1955, gli appassionati di jazz si sentirono come mutilati di una parte
del loro corpo e del loro cuore. Mi è
caro riportare le parole che Giancarlo Testoni ed Arrigo Polillo, due
grandi maestri della critica musicale jazzistica, scrissero in quei giorni: Charlie Parker ha raggiunto le
vette del sublime come tanti artisti
maledetti (Poe, Van Gogh, Verlaine,
5
Ascolto: Lover man - Charlie Parker 1946
Caravaggio) e come tanti artisti che
hanno bruciato la loro giovane vita
(Keats, Shelley, Pollock), quasi che
la morte prematura fosse una condizione necessaria per la creatività
e la pazzia il prezzo della loro poesia. (fig. 4, 12)
Il “sentire” dell’uomo del novecento si sviluppa all’insegna di esperienze insolite e perturbanti, ambivalenti, spesso eccessive, di cui è
intessuta l’esistenza di uomini e
donne di questo secolo.
Da questo tipo di sensibilità, non di
rado vicino a nevrosi, stati psicopatologici e tossicodipendenti, tutte le
arti del Novecento hanno spesso
trovato ispirazione.
Dissociazione e caos, malessere e
bruttezza, dolore ed abiezione sono
stati gradi di affettività tormentata
che spesso si trovano all’interno
dell’uomo del Novecento (Mario
Perniola, “L’estetica del Novecento”,
Ediz. Il Mulino).
Iniziato alla droga all’età di dodici
anni da un amico di famiglia, la
vita di Parker si è bruciata fra il
bene e il male in un processo ricorrente di autodistruzione e di lirismo struggente. Mostri e fantasmi
della rovina dell’Io nel mondo contemporaneo, galoppano fra le note
52
di Parker, con un linguaggio ed
una sintesi ribelli ma con una aspirazione ad una purezza classica.
Vi invito ad ascoltarlo in un brano
che è uno dei più famosi di tutta la
storia della musica jazz: il Lover
Man inciso da Parker nel luglio del
1946, in preda ad una crisi allucinogena.
Se il jazz rappresenta, come abbiamo detto, inquietudini, smarrimenti e speranze dell’uomo del
novecento, nessuno come Charlie
Parker è riuscito a rappresentare
tutto ciò.
Ancora una osservazione. L’arte
africana che, come vedremo, ha
esercitato una significativa influenza sulle origini della musica jazz,
ha fortemente influenzato anche
l’arte di Pablo Picasso, il quale fece
diventare la pittura e la scultura
negra una parte integrante del suo
spirito. (fig. 13)
I quadrati, i cubi ed i triangoli, capaci di deformare la realtà secondo
ua occulta necessità lirica, sono nati
da lì. Come le tortuose deformazioni armoniche e melodiche della
musica di Parker. Tutto ciò è suggestivo e non casuale.
Altre note su Parker alle pagine 72
e 75.
6
Ascolto: Remember - Steve Lacy 1977
STEVE LACY
Uno dei grandi maestri del sax soprano, strumento che lui stesso definisce “perverso e divino, pudico
e sensuale”, è Steve Lacy. 6 Lacy è
un maestro della sperimentazione,
tanto da avvicinarlo ad alcuni dei
grandi pittori dell’arte moderna da
lui tanto amata; da un lato a Piet
Mondrian, per la pervicacia ed il
rigore con cui ha asciugato le proprie creazioni in idee nitide e brillanti; dall’altro a Paul Klee per il
suo mondo di figure infantili e
simboli inquietanti, di linee monodimensionali ma che creano sottilmente la profondità. Sono le parole
del critico musicale Claudio Sessa.
Sia Mondrian che Klee portano
alla semplificazione scarna delle
immagini così come è scarno l’uso
delle note da parte di Lacy. (fig. 14
e 15)
La pittura di Mondrian e di Klee e
la musica di Lacy, rappresentano la
geometria dell’arcano.
Con un’ampia tavolozza a disposizione, Lacy lavora come un pittore,
esaltando contrasti timbrici, accesi
moduli ripetitivi, aerei puntilismi e
saturazioni sonore (Stefano Merighi, “Musica Jazz”, Ottobre 1996).
53
Vi propongo l’ascolto di un suo
straordinario assolo con l’orchestra
di Gil Evans.
JOHN COLTRANE
Uno dei più grandi del jazz di ogni
tempo è, certamente, John Coltrane, la cui figura è tratteggiata a
pag. 87, 88.
Qui mi preme sottolineare le straordinarie analogie con la vita e le
opere di Paul Klee. Entrambi impressionanti per intensità psicologica e deformazione espressiva. Entrambi sempre alla ricerca dell’ignoto. Entrambi grandi sperimentatori: Klee come teorico dei
rapporti sulla costruzione e combinazione dei segni, della scala cromatica (di alta complessità tecnica),
paladino di un rigoroso rapporto
fra teoria e prassi pittorica e, nello
stesso tempo, lirico creatore di un
territorio magico nel quale il controllo dei mezzi viene tradotto in
7
Ascolto: Crescent - John Coltrane 1964
infinite ed emozionanti forme fantastiche. (fig. 2 e 15)
Coltrane altrettanto rigoroso sperimentatore di scale modali, di alta
complessità tecnica, attraverso le
quali andare alla riscoperta sommessa di sentimenti e purezze lontane. La sua tormentosa manipolazione delle linee melodiche è di
straordinaria intensità espressiva.
C’è, infine, da rilevare come Klee e
Coltrane siano stati due uomini
miti e schivi, ma non nevrotici o
chiusi anzi, profondamente umani
e con uno struggente amore per le
cose e gli eventi naturali.
Di Klee si è detto che egli ascoltava
palpitare la vita ed alitare la morte,
cercando l’impossibile equilibrio
fra il bene ed il male.
L’arte, diceva Klee, non rende “il
visibile ma insegna a vedere”.
”Dissuggella gli occhi sull’invisibile, sulla verità delle cose non ancora svelata”.
Ebbene, le stesse cose si possono
dire della musica di Coltrane. 7
Parte Seconda
57
Storia sociale del jazz
Con l’ausilio delle incisioni consigliate, cercherò di fare una sintesi
della storia sociale del jazz. Sottolineo la parola “Sociale” poiché la
storia della musica jazz è intimamente e profondamente legata alla
evoluzione della società negli Stati
Uniti e, successivamente, nel mondo. L’etimologia della parola
“JAZZ” ha contorni molto incerti,
così come tante altre parole gergali
(si veda ad esempio “Dada” del dadaismo).
Parimenti esiste una notevole difficoltà a dare una definizione precisa, in senso tecnico-formale, della
musica jazz. Di jazz come forma
musicale autonoma si può cominciare a parlare attorno al 1900. Ma
il periodo nel quale si caratterizzarono e fusero le varie componenti
sociali e musicali dalle quali sarebbe poi nata la musica jazz abbraccia
più di tre secoli, da quando cioè
vennero forzosamente importati in
America i primi negri in stato di
schiavitù.
Le componenti africane del jazz
sono fuori discussione. Ma, attenzione, non si pensi minimamente
che il jazz sia una musica africana.
E’ una musica sviluppata ed elaborata dai negri degli Stati Uniti nel
corso di tre secoli, fondendo le tradizioni socio-musicali della loro
terra di origine, l’Africa appunto,
con quelle della cultura europea,
sia cattolica (dovuta ai francesi che
occupavano la Louisiana) sia protestante (dovuta alla larga diffusione
dei coloni anglosassoni).
Ora vi farò un esempio, certamente
paradossale, ma che consente di capire bene l’origine e lo sviluppo
della musica jazz.
Pensate dunque a degli extra-terrestri, molto più evoluti di noi, che
piombino ad esempio su Napoli e
rapiscano centomila napoletani per
portarli sul loro pianeta ed asservirli come schiavi. Potete immaginare questa comunità di napoletani, sradicati dalla loro cultura ed
inseriti in una cultura assolutamente estranea e in una civiltà di secoli
e secoli più avanzata!
Dopo cinquanta, cento o duecento
anni, questa comunità napoletana,
divenuta nel frattempo di milioni
di individui, avrà sviluppato e pro-
58
Stampa dell’800 usata dagli abolizionisti
nella campagna di liberazione degli schiavi (La Repubblica, 8.10.2005)
59
dotto una cultura in senso lato (tradizioni, cerimonie, modi di vita, di
comunicazione, espressioni artistiche ed in particolare musicali) assolutamente nuova ed autonoma. In
particolare la loro musica sarà una
musica che certamente si rifarà alle
radici classiche di Salvatore Di Giacomo e a “O sole mio”, ma che sarà
completamente diversa, anche formalmente, cioè in senso armonico,
melodico e ritmico, dalla musica di
Napoli. Sarà una musica piena di
innesti di cultura e paradigmi musicali degli extra-terresti. Di certo
sarà però una musica densa di passione, d’angoscia, di struggimento
perché rappresenterà il disagio di
un popolo intero drasticamente
strappato al suo mondo e catapultato in un altro più avanzato di secoli; una musica dunque che per
questa sua tensione originale sarà
un’arte popolare molto più elevata
della musica di origine da cui è
partita.
Ho fatto questo esempio apparentemente paradossale, per farvi capire ciò che è esattamente accaduto
ai negri dell’Africa occidentale,
bruscamente catapultati in America, cioè in un mondo, per loro, di
extra-terresti.
La loro cultura africana si è dunque
mescolata alla cultura bianca dei
proprietari terrieri.
Il delta del Mississipi e tutta la
zona circostante New Orleans fu
l’epicentro di questa commistione
di cultura bianca e nera.
Furono egualmente importanti le
influenze sia della cultura cattolica
francese sia di quella anglosassone
dei coloni. L’influenza della cultura
francese (col suo patrimonio di
quadriglie, valzer, uso degli strumenti a fiato) fu notevole anche
perché assorbita, dopo il 1865, dagli ex schiavi liberati (fra cui le ex
schiave divenute concubine degli
aristocratici francesi). Questi ex
schiavi, ritornati successivamente,
a seguito del ripristino di una situazione di dura segregazione razziale in uno stato di quasi schiavitù, trasferirono agli altri negri quella cultura che avevano naturalmente assorbito. La influenza della cultura anglosassone fu importante
per tutto quel patrimonio di folklore irlandese e scozzese e per i canti
religiosi protestanti (ricordiamo i
salmi molto importanti nei riti religiosi dei Quaccheri). Ricordo che
sul Mayflower furono imbarcate e
gelosamente custodite, all’arrivo in
America, le trascrizioni musicali di
ben 39 salmi!
La città di New Orleans, con la sua
vita colorita, il suo incontro di razze, il suo proliferare di feste religiose e profane, sfilate, carnevali, fu-
60
nerali, feste di confraternite ecc., fu
davvero un terreno fertile per lo
sviluppo di questa musica, prodotto di impatto fra una cultura africana e due culture bianche europee.
E così nacque il jazz, curioso impasto musicale in cui sono predominanti una armonia di matrice europea, una melodia euro-africana ed
un ritmo prevalentemente africano.
Vi si trovano in abbondanza diminuite e mezzi toni dovuti alla necessità di raccordare la scala pentatonica africana con quella classica
europea.
Caratteristiche della musica jazz
sono una immediatezza di comunicazione, un uso di colori strumentali e vocali propri con tale espressività per cui gli strumenti suonano
come fossero una voce umana
(quasi che lo strumento fosse una
propaggine del corpo umano) e le
voci cantano come fossero strumenti, con un ritmo complesso e
fluente.
Questa musica, così definitasi nei
primi anni del secolo, nei successivi
cento anni di vita si è molto sviluppata, diffusa, modificata, continuando nei vari decenni ad attingere via via elementi di predominio
ora dalla cultura bianca ora da
quella negra, essendo stata sin dalle origini, come matrice di nascita,
compressa ed oscillante fra queste
due culture. Ad esempio basta
ascoltare Charlie Mingus e Duke
Ellington (neri) o Bill Evans (bianco) per avvertire chiaramente che la
loro musica non sarebbe potuta esistere senza l’Africa, ma nemmeno
senza Ravel e Debussy.
Il jazz è stato definito anche musica
popolare urbana, perché nel suo
sviluppo ha rappresentato il disagio e le angosce e le speranze di un
popolo ghettizzato nelle grandi città industriali degli Stati Uniti.
A poco a poco gli stilemi, il linguaggio e la poetica del jazz sono
stati apprezzati, assorbiti e fatti
propri dai bianchi, a cominciare da
quei gruppi etnici quali ebrei e italo-americani che hanno per molto
tempo condiviso coi neri una condizione di emarginazione e di subordinazione nei confronti della
classe dirigente americana, cioè
quella anglosassone e protestante
(WASP). Così, pian piano, nel corso
di decenni e soprattutto del dopoguerra, la musica jazz è diventata
internazionale, come musica che
esprime quel disagio e quell’angoscia che contraddistinguono l’uomo del Novecento, sradicato dalle
sue certezze e dalla sua cultura tradizionale in conseguenza della rivoluzione industriale.
Oggi la musica jazz, pur conservando profondi legami sintattici e
61
grammaticali col jazz delle origini,
è divenuta, ripeto, una musica suonata ed apprezzata ovunque, anche
se di difficile comprensione.
Il jazz moderno è una musica che
impegna orecchie e cervello, cuore
e mente ed il cui processo di comprensione è analogo a quello necessario per amare Picasso o Pollock.
E’, nelle sue forme migliori, una
delle più autentiche espressioni
musicali del Novecento, la musica
dell’uomo della civiltà industriale.
Una acuta puntualizzazione di
quanto appena detto proviene dal
critico Luca Cerchiari: “Il jazz è diventato un linguaggio di sintesi fra
preordinazione formale ed estemporaneità. Esso è inoltre una potentissima sintesi del patrimonio mondiale delle scale, vero catalizzatore
fra le scale modali, orali, quelle di
blues e quelle della cultura europea
colta (scale maggiore, scala minore,
ecc.). Ecco perché la musica jazz è
diventata la musica più suggestiva
dei nostri tempi”.
Negli ultimi trenta anni i progressi
della elettronica e le trasmissioni
via satellite hanno ridotto il mondo
ad un ben piccolo territorio.
Abbiamo assistito ad una omogeneizzazione dei modi di vivere, di
produrre, di mangiare, di vestire;
gran parte del modo di vivere americano si è insinuato come un ger-
me a volte benefico ed a volte malefico nei modi di vivere europeo,
giapponese e di altri paesi. Così
man mano il jazz ha dilatato confini, stilemi, praticanti e pubblico, assumendo un linguaggio ed esprimendo valori divenuti patrimonio
di tutta la civiltà industrializzata e
dando voce, in ogni paese, ai sentimenti di disagio e di inquietudine
dell’uomo moderno. Come bene ha
detto Martin Luther King, nella lotta dei neri d’america si può riscontrare una grande affinità con la lotta universale dell’uomo moderno.
Dunque il jazz è diventato rappresentativo non solo di un popolo ma
di un secolo di storia. Nato per dar
voce ai neri d’America, il jazz è diventato uno strumento che dà voce
alla Storia del Novecento.
Ed ecco che ci riannodiamo con i
discorsi fatti all’inizio sulla poetica
delle arti moderne.
La storia del jazz si può dividere
approssimativamente in tre periodi. Dalle origini al 1934, dal 1934 al
1944 ed il jazz dal dopoguerra ad
oggi.
Il jazz del primo periodo, cioè fino
al ’34 è un’arte popolare, espressionista, quasi naif, densa di sentimenti immediati.
Il jazz del secondo periodo, la famosa era dello swing è un jazz prevalentemente influenzato dalla cul-
62
tura bianca, spensierato, godibile,
comprensibile, ma sicuramente da
un punto di vista artistico meno
valido e più commerciale.
Quello dal dopoguerra ad oggi è
un jazz rivoluzionario, denso d’angoscia e di liricità, di difficile comprensione e con molti punti di contatto con la pittura e le arti moderne in genere.
Il jazz dalle origini a dopo il crollo
di Wall Street
Nel 1865, al momento della abolizione della schiavitù decretata dal
presidente Lincoln, la popolazione
degli Stati Uniti era di trentadue
milioni di abitanti; la popolazione
di colore era di quattro milioni di
abitanti. I possessori di schiavi erano circa 400 mila. Di questi, 350
mila possedevano meno di venti
schiavi a testa e 200 mila meno di
cinque schiavi a testa.
Bastano questi dati a far riflettere
su quanti e quali problemi sociali e
culturali scaturissero da una coesistenza con una comunità di colore
così forte. Ci sono, al di là del fatto
musicale, bellissimi resoconti di
viaggiatori, commercianti, predicatori, artisti europei, che raccontano,
stupefatti, dei riti, delle cerimonie,
dei canti degli schiavi negri, sia
canti religiosi che di lavoro nel Sud
degli Stati Uniti.
Per esempio una cantante inglese,
trasferitasi in Georgia in quanto
sposatasi con un piantatore di cotone, narra (il diario è datato 1837) di
cerimonie religiose di schiavi negri
convertiti al cristianesimo, con rituali misti di paganesimo e di ritualità cristiana, con emissioni di
voci e movimenti originali; in particolare le voci, soprattutto come
emissione e modulazione, erano
stranissime e suggestive.
La conversione forzata degli schiavi al Cristianesimo ha avuto un impatto molto forte nella sensibilità di
milioni di schiavi. La Musica Jazz è
anche il frutto di questo impatto.
Vedete come pian piano fin da
quell’epoca stesse prendendo corpo
la musica jazz che all’inizio fu naturalmente molto vocale e poco
strumentale.
Mentre la vocalità della tradizione
europea del bel canto tende alla regolarità di intonazione, di tempo,
di timbro e di vibrato, quella del
jazz tende invece a negare questi
valori. Il modo di pronunciare, attaccare, sostenere e modulare i suoni costituisce nel jazz un caso particolarissimo. Esempi celebri di questa particolarità di usare la voce
come uno strumento e lo strumento
come fosse una voce sono due mu-
63
Louis Armstrong
65
sicisti, uno nero ed uno bianco,
Louis Armstrong e Chet Baker.
Louis Armstrong è colui che in
maggior misura ha recepito tutte le
sfumature di questa vocalità trasferendole nello strumento.
Fra le manifestazioni musicali più
importanti annoveriamo i blues e
gli spirituals.
Il blues è il cuore del jazz. Nessun
musicista riesce a fare della buona
musica jazz se non sente dentro di
sé e non sa suonare il blues. Il
blues, oltre che una forma musicale
precisa, è anche uno stato d’animo
ed un modo di sentire. Esso trae le
sue origini nei canti di menestrelli
vagabondi o degli schiavi durante
il lavoro; le parole dei blues parlano delle cose semplici di tutti i
giorni: l’amore, la mancanza di lavoro, la lontananza dai propri cari,
ma lo fanno con grande sentimento
e grande poesia.8a
Nelle strofe dei blues l’universo
squallido e dolente dello schiavo
negro e più generalmente del negro
sfruttato si traduce in poesia. Le parole della sterminata letteratura dei
blues sono fra i più belli, freschi,
spontanei e convincenti esempi
8a
Ascolto: Lonesome house blues - B. L. Jefferson 1926
Black eye blues - Ma Rainey 1928
Ascolto: St.Louis Blues - Bessie Smith - L. Armstrong 1925
8b Ascolto:
9
di poesia popolare del Novecento.8b
Da un punto di vista musicale il
blues è un tema di 12 battute, originariamente un canto, sotto forma
di domanda e risposta, con un coro
che risponde. Le battute non riempite dal canto sono riempite dallo
strumento. Quando strumento e
voce sono affiatati ne conseguono
effetti di grande bellezza.9
Per quanto riguarda l’armonia, il
blues è improntato sulla scala blue
che sarebbe la nostra scala diatonica con la terza e la settima abbassate
di un semitono.
Queste ultime sono le cosiddette
blue notes, note particolarmente
tristi, come è triste lo stato d’animo
dei blues, che viene esposto in maniera espressionista, in modo tenero e delicato.
Scrive Antonio Lodetti nel suo libro
”Alle radici del jazz”: ...il protervo
e sfumato abbassamento tonale del
terzo e settimo grado della scala (il
“mi” ed il “si”) crea il particolare e
misterioso fascino indiscreto della
scala blues, la cui progressione armonica con la caratteristica tonalità
sfuggente è impossibile da fissare
sul pentagramma. Anche se il blues
66
è strutturalmente semplice, ha artisticamente una gamma infinita di
possibilità; il minimo variare di intonazione, di ritmo e di melodia
serve ad esprimere una emozione.
Con il diffondersi a macchia d’olio
del jazz, ben presto emersero musicisti di straordinario valore. Un
nome per tutti: Jelly Roll Morton,
che portò nel jazz la ricchezza del
ragtime, dando più spazio alla improvvisazione ed affinando il lessico del blues, dandogli un senso di
compiutezza formale.10
Ma il grande genio che contribuì
allo sviluppo (anche in senso tecnico) del jazz ed alla sua enorme diffusione in tutta l’America fu Louis
Armstrong.
Di origine umilissima, l’infanzia
trascorsa in un riformatorio, autodidatta, attraverso le sue incisioni
degli anni Venti ha espresso alcuni
fra i capolavori assoluti della musica del Novecento.
Ve ne propongo all’ascolto uno dei
più famosi.11
In West and Blues si avverte immediatamente la rassegnazione dolente di un popolo sradicato dalle sue
origini e ridotto in schiavitù. - What
10
Ascolto: Georgia swing - Jelly Roll Morton
Ascolto : West and Blues - Louis Armstrong 1928
12 Ascolto: Jazz me blues - Bix Beiderbecke 1927
11
did I do to be so black and so blue? Cosa ho fatto per essere così nero e così
triste?Un altro grande protagonista del
jazz degli anni ’30 è stato il bianco
Bix Beiderbecke, sensibilissima
tromba, introversa, poetica, dalla
splendida sonorità strumentale e
dal fraseggio sinuoso. Morì a soli 28
anni, stroncato dall’abuso di alcool.
Tanto Armstrong è drammatico,
quanto Beiderbecke è lirico.12
Dal ’20 al ’30 il jazz ebbe uno sviluppo ed una diffusione grandissimi tanto che persino Scott Fitzgerald se ne servì per battezzare come l’età del jazz tutta un’epoca,
quella cioè del proibizionismo, dei
trionfi di Dempsey e Lindberg e
Clara Bow e che si concluse tragicamente col crollo di Wall Street.
Ma è molto dubbio, dice Arrigo Polillo, che i giovanotti di Scott Fitzgerald, che ballavano il charleston,
strimpellavano l’ukulele e andavano
alle partite di football paludati nei
suntuosi pelliccioni di tasso, conoscessero davvero l’autentico jazz,
quello di King Oliver e Armstrong
a Chicago e di Duke Ellington a
New York.
67
L’era dello swing
Dopo il crollo di Wall Street del 1929,
fame e miseria si abbatterono sull’America e, in misura ancora maggiore sulla popolazione di colore.
Si incrementarono le migrazioni dei
neri verso il nord, i bianchi strinsero i morsi del potere ed il ruolo dei
negri divenne ancora più subordinato, tanto che molti, per sopravvivere, cominciarono a compiacere i
bianchi in tante manifestazioni,
compresa la musica.
Ritornò in auge lo stereotipo del
nero “Zio Tom”, servile ai bianchi,
ed anche la musica jazz si tinse di
colori più tenui, quelli dei bianchi,
e tramutò la carica aggressiva in carica edonistica e di divertimento,
adattandosi così agli ideali di vita
dell’americano bianco di classe media, un popolo giovane ed efficiente qual era quello al quale Roosevelt tentava di restituire una America risanata.
Il trust dei cervelli di Roosevelt col
New deal aveva lavorato in fretta e
bene tanto che nel ’35 si guardava
con ottimismo al futuro. Chi era
giovane sentiva l’esigenza di divertirsi dopo tanto soffrire. Tante cose
cambiarono e così la musica jazz
che divenne festosa, eccitante, bal13
labile. Nacque l’era dello swing , la
musica dei tempi sereni. Sugli
schermi Frank Capra raccontava le
sue favolette a lieto fine e Fred
Astaire e Ginger Rogers ripetevano ad ogni stagione il loro garbato
idillio a passo di danza. (Storia del
jazz di Arrigo Polillo)
Naturalmente la radio e l’industria
consumistica, in mano ai bianchi,
cercarono di rendere il jazz sempre
più orecchiabile, ballabile e vendibile, facendogli perdere alcuni dei
sanguigni connotati di origine. Ciò
non significa che il jazz dal ’35 alla
guerra sia stata musica commerciale e basta.
Certo è che, artisticamente, questo
è il periodo di gran lunga meno valido di tutta la storia della musica
jazz, anche se è il periodo che ha
consentito al jazz di diffondersi in
tutte le fasce sociali ed in molti altri
paesi e di influenzare, come vedremo più avanti, gran parte della musica leggera.
Campione dell’era dello swing è
stato certamente Benny Goodman,
clarinettista ebreo di origine russa,
molto preparato musicalmente ed
anche dotato di un gran senso degli
affari. Ma era anche un direttore di
orchestra esigentissimo, incontentabile e perfezionista.13
Ascolto: Don’t be that way - Benny Goodman 1938
68
Benny Goodman
Goodmann rappresentò davvero
un simbolo di quella felice America
roosveltiana ed interpretò il suo
ruolo con sufficiente rispetto per la
musica jazz, da musicista preparato
quale egli era. 14
Come vi ho detto l’era dello swing
segnò la netta supremazia dei musicisti bianchi.
Questo non significa tuttavia che il
14
Ascolto: Monglow - Benny Goodman 1937
Ascolto: Liza - Art Tatum
16 Ascolto: Body and soul - Coleman Hawkins 1943
17 Ascolto: The foolish things - Lester Young 1945
18 Ascolto: In the mood - Glenn Miller 1941
15
jazz dal ’34 al ’44 sia da disprezzare. Anche perché, accanto alla musica prevalentemente di matrice
bianca, le grandi migrazioni dei neri verso il nord fecero nascere a
Kansas City, Chicago e New York
anche importantissimi artisti neri.
Pur compressa ed esclusa dai circuiti dei bianchi, la musica nera
espresse in quel periodo enormi talenti a cominciare dal pianista Art
Tatum, padrone della sonorità e
dotato di una tecnica straordinaria15; e poi Coleman Hawkins, dal
linguaggio sontuoso e possente16,
padre di tutti i tenorsassofonisti
moderni; il grande Nat King Cole
ed infine Lester Young, il mitico
Prez, con il suo sax tenore dalla
voce tenera e rilassata.17
L’ultima espressione bianca nell’era
dello swing è stato Glenn Miller.
La sua è una musica brillante, formalmente elegante e tecnicamente
ineccepibile.18
E’ una musica però che rimane nella storia del jazz più come simbolo
di un’epoca che come un fatto musicale significante. Interessa più lo
storico che il critico musicale.
69
Lester Young
71
Quando Glenn Miller giunse in
Europa nel 1944 alla direzione dell’orchestra della Aeronautica statunitense, fu il simbolo del profumo
d’America che arrivava a noi insieme alla cioccolata, al pane bianchissimo e al chewing-gum.19
Il profumo di una America che
pian piano avrebbe cominciato da
allora ad inserirsi sempre di più
nella nostra civiltà contadina provocando in tutti noi quel disagio di
civiltà di cui parlavo prima e di cui
parleremo più avanti.
E veniamo alla musica jazz dal dopoguerra ai giorni nostri, la vera
musica jazz ormai, l’autentica
espressione musicale della odierna
civiltà.
Glenn Miller
Il Jazz del dopoguerra
L’anno 1944 è l’anno zero del jazz
moderno. Per i soldati americani in
Europa era imminente il ritorno a
casa. Pochi mesi ancora e la bomba
atomica su Hiroshima avrebbe posto fine al conflitto anche in estremo oriente.
Iniziava un nuovo ciclo nella storia
del mondo e tutto doveva ricominciare e non solo in Europa.
I militari americani avevano un so19
Ascolto: Moonlight serenade - Glenn Miller 1941
Coleman Hawkins
72
lo desiderio: tornare a casa e riprendere le vecchie care abitudini.
Come diceva la canzone allora in
voga, era venuto il momento di fare a sentimental journey home, quel
viaggio sentimentale verso casa
tanto desiderato. In realtà nessun
ritorno ai vecchi tempi era però più
possibile; molte, troppe cose erano
cambiate e, fra queste, le condizioni
dei negri ed i rapporti fra neri e
bianchi.
L’industria di guerra, abolendo i
divieti di usufruire di manodopera
negra, portò neri e bianchi a lavorare fianco a fianco per una causa
comune. Negri e bianchi avevano
combattuto fianco a fianco sui fronti europei ed inoltre avevano potuto avere qui un contatto con la cultura europea a gran parte di loro
sconosciuta. Così tutti dovettero
prendere atto che i tempi dello Zio
Tom erano tramontati e tutti i negri
presero coscienza dei loro diritti
quali cittadini americani a tutti gli
effetti e della loro identità. Cominciarono ad aleggiare sentimenti
non più di rassegnazione bensì di
rivolta verso la condizione di emarginazione, rivolta che trovò la propria espressione musicale nel bebop,
la nuova musica rivoluzionaria
20
21
creata da Dizzy Gillespie e soprattutto da Charlie Parker, a New
York a partire dal ’44 - ’45.
E si trattò davvero di rivoluzione,
sia in senso musicale che in senso
sociale.
Parker e i suoi colleghi effettuarono
una grande rivoluzione musicale, rivedendo i consueti schemi armonici e ricorrendo alla loro alterazione.
La salda concezione tonale del jazz
fino ad allora esistente fu insidiata
dall’esteso uso di cromatismi al
confine della politonalità.
Ma soprattutto l’elemento ritmico
subì la riforma più radicale, con
una scansione nuova che dà respiro
alle pause e fa parlare il silenzio,
una metrica più libera ed un continuo variare dell’accentazione.20 21
Il jazz cessò di essere quello che i
musicisti bianchi avevano cercato
di farlo diventare dal ’35 alla guerra e cioè una musica edonistica e
per il ballo.
Parker e compagni si sentirono artisti puri, se ne infischiavano del
pubblico, suonavano solo per sè
stessi esprimendo un prepotente
desiderio di evasione e di rivincita,
recuperando l’orgoglio della propria razza.
Se il blues degli anni venti era cari-
Ascolto: A night in Tunisia - Dizzy Gillespie 1947
Ascolto: Ornithology - Charlie Parker 1947
73
Charlie Parker
75
co di una tristezza rassegnata, senza speranza, il blues di Parker diventa denso di angoscia esistenziale, una angoscia estrema.
Naturalmente all’inizio Parker e
Gillespie ed i loro colleghi furono
aggrediti, come sempre accade alle
avanguardie; furono definiti cubisti, cerebrali, astratti, surrealisti e
descritti come intellettualoidi in
vena di decadentistiche raffinatezze. Ma anche Ravel, che oggi ci appare un classico, fu a suo tempo
osteggiato come innovatore e così
gli impressionisti, che pure oggi ci
appaiono ormai dei classici, suscitarono scaldalo.
E’ il destino delle avanguardie innovatrici. In realtà il bebop era musica schietta, talvolta addirittura ingenua, che sapeva essere a volte
tragica, beffarda, irridente, amara e
disperata.
Parker è stato una esplosione solitaria e geniale nella storia della
musica jazz. La sua biografia tormentata e la sua parabola artistica,
indissolubilmente legate, sono diventate ben presto leggenda, una
leggenda tragica, quella dell’arte
che raggiunge a volte le vette del
sublime attraverso la dannazione
22
23
Ascolto: Parker’s Mood - Charlie Parker 1947
Ascolto: Bird of Paradise - Charlie Parker 1947
come in tanti altri artisti maledetti
(Poe, Van Gogh, Verlaine, Baudelaire ecc.)
Parker bruciò la sua vita nell’ansia
di darle un significato, maledetto
da un invincibile senso di autodistruzione.22 (Vedi anche a pag. 51 e
52)
E’ incredibile come Charlie Parker
sia rimasto così intensamente nel
cuore di tutti gli appassionati di
jazz, tanto che un alone di leggenda lo avvolge.
Parker è stato il prodotto, seppure
abnorme, di una civiltà di cui anche noi facciamo parte, di cui il jazz
moderno è espressione immediata.
Mostri e fantasmi della rovina dell’io nel mondo contemporaneo galoppano fra le note di Parker. Il colore della sua voce strumentale,
magra e tesa, è di una dolcezza fragile e snervata. 23
E quel suo fraseggio, ora tumultuoso ed aggressivo, ora sommesso e
carezzevole, ora aspro e angoloso,
turba prima di dilettare.
Parker non fu un maestro nel senso
che non si preoccupò mai di insegnare. Rimase sempre chiuso nel
suo mondo di lucida follia, quella
lucida follia che spesso avvolge i
76
grandi artisti da Van Gogh a Poe a
Shubert a Caravaggio.
Un altro assoluto protagonista di
questo jazz rivoluzionario fu il pianista di colore Bud Powell, con le
sue linee melodiche a sviluppo orizzontale di straordinaria bellezza e
con una grande fantasia ritmica.
Anche lui, come Parker, ebbe una
vita sfortunata, disperata, al limite
di quella follia, lucida e corrosiva,
che ha segnato il percorso umano
ed artistico di tanti geni della pittura, della letteratura e della musica.24
Dopo la grande rivoluzione parkeriana, verso il 1950, una parte di
America musicale, per lo più bianca, sentì il bisogno di tirare il fiato e
di dare una disciplina formale agli
elementi scaturiti disordinatamente
da Parker e compagni; sentì anche
il bisogno di usare un linguaggio
più accessibile per ritrovare il pubblico di ascoltatori che avevano
voltato le spalle a una musica così
difficile.
Così nacque per reazione un jazz
elegante, colto, il cool jazz, con riferimenti anche alla musica dotta, europea. Il pianista bianco Lennie
24
Tristano ne fu uno dei protagonisti,
degno di essere annoverato fra i
grandissimi del jazz di ogni tempo.
Divenuto cieco a nove anni per la
febbre spagnola, fu un vero innovatore: gioco dei bassi, movimenti fugati, rigore compositivo e calligrafico, contrappunto, sono le caratteristiche della sua musica fatta di
grande coerenza stilistica.
Lo si può ascoltare in una sua composizione, Requiem, scritta in memoria di Charlie Parker.25
Tristano fu un maestro sempre circondato da allievi, anche musicisti
classici. Ecco due celebri e delicati
brani, con Tristano ed un gruppo di
suoi fedelissimi fra i quali emerge
prepotentemente l’altosassofonista
bianco Lee Konitz. 26 27
Non si può tratteggiare la storia del
jazz senza soffermarsi su tre protagonisti assoluti, tre straordinari artisti neri, accomunati da un carattere
enigmatico, scontroso, a volte irascibile, ma capaci anche di esprimere
un lirismo intenso e delicato; tre giganti in assoluto, fra le figure più
importanti del Novecento musicale.
Mi sto riferendo al pianista e compositore Thelonious Monk, al con-
Ascolto: Tempus fugit - Bud Powell 1949
Ascolto: Requiem - Lennie Tristano 1956
26 Ascolto: Marionette - Lennie Tristano 1949
27 Ascolto: You go to my head - Lennie Tristano con Lee Konitz 1949
25
77
Lennie Tristano
79
trabbassista, compositore e leader
Charles Mingus ed al trombettista
Miles Davis.
Di Monk ho già trattato a pag. 50.
La sua musica è dura, aggressiva,
non semplice nella struttura, con
aggregati di accordi spinosi; ma la
musica di Monk è anche accuratissima ed inattaccabile all’interno di
percorsi logici e rigorosi.
Attraverso le sue prospettive armoniche sghembe, eppure equilibrate,
Monk riesce ad esprimere una potentissima sintesi di cosa è la musica jazz. C’è una frase di Monk che,
a mio giudizio, fa comprendere il
suo universo: “E’ sempre notte. Se
così non fosse non cercheremmo così
tanto la luce”.28
Anche Charles Mingus (di cui ho
già trattato a pag. 50 e 51), ha saputo trovare nella sua musica il mezzo per esprimere, in maniera straordinariamente espressiva, le proprie emozioni, le proprie tensioni
psichiche, contrassegnate da scatti
d’ira violenta seguiti da impeti di
tenerezza. Mingus è stato un leader
eccezionale, un audace arrangiatore
e compositore, un “primitivo” quale un orso in collera, ma anche un
intellettuale imbevuto di cultura
musicale europea.
28
29
La musica di Mingus è come un
torrente in piena che trascina con
sé un universo di esperienze.29
Ascoltandola ci si rende conto, ancora una volta, che la musica jazz
non avrebbe potuto esistere senza
l’Africa, ma nemmeno senza Ravel
e Debussy.
Anche di Miles Davis ho trattato a
pag. 49. Ma qui devo aggiungere
che l’attività artistica di Miles Davis è durata quaranta anni, con una
incessante e straordinaria capacità
di cercare e trovare sempre nuove
strade, passando dalle collaborazioni con Parker al cool jazz poi all’hard-hop e, quindi, alla musica
elettrica (quasi ai confini col rock),
mantenendo sempre livelli artistici
assoluti.
Di famiglia ricca (il padre era un affermato dentista e proprietario terriero) e di educazione borghese, si
trovò giovanissimo a suonare accanto a zingari poeti come Parker.
Forse dal contrasto dei due mondi
scaturì quella sua personalità enigmatica e quella sua capacità di elaborare, ad un certo punto della sua
vita artistica, con la collaborazione
dei musicisti bianchi Gerry Mulligan, Bill Evans e Lee Konitz quel
raffinatissimo jazz che, con il sup-
Ascolto: Don’t blame me - Thelonius Monk 1947
Ascolto: Orange was the colour of her dress - Charles Mingus 1974
80
porto degli arrangiamenti di un
mago quale il bianco canadese Gil
Evans, si impose all’attenzione di
tutti i critici, con il celeberrimo disco Birth of the cool, una delle pietre
miliari del jazz.
Gli arrangiamenti di Gil Evans si
caratterizzano per la densità dei
suoni specie sul registro grave, a
mezza voce, un suono che sovrasta
tutto, come una nuvola, ottenuto ricorrendo a strumenti inusuali quali
il corno francese. Su questo sottofondo si staglia la tromba di Davis con
la sua sonorità velata e lieve, quel
lirismo intenso ed assorto, il gusto
per le frasi semplici e statiche fatta
di poche note che però colpiscono
sottilmente e incidono lo spazio
musicale.
La preziosità e la purezza del suo
stile, il suo chiaro senso della forma, l’espressività del suo discorso
liricamente malinconico che sa essere a volte maestoso e a volte sottilmente incantatorio nella sua semplicità, hanno fatto di Miles Davis
uno dei musicisti di jazz più famosi
in tutto il mondo. Lo si può ascoltare in un brano dal titolo Blues for
Pablo dedicato a Pablo Picasso e per
questo intriso di reminiscenze spagnole.30
Mi preme ora segnalare come la
30
Ascolto: Blues for Pablo - Miles Davis 1957
evoluzione della musica jazz negli
anni ’60, ’70 e ’80 sia ancora una
volta correlata con la evoluzione
della società americana. Ma per
parlarne esaustivamente occorrerebbe un libro a parte. Darò qui alcuni cenni sommari. Il movimento
per i diritti civili in Alabama con
Martin Luther King, il nascere di
movimenti di contestazione (ricordate Marcuse, gli hippies, la non
violenza), l’assassinio di Kennedy,
la tragedia del Vietnam e tanti altri
avvenimenti influirono fortemente
sulla società americana ed anche
sulla evoluzione del musica jazz.
Nacquero così la New Thing ed il
Free Jazz.
Nel momento in cui al movimento
pacifico per i diritti civili si sostituisce il violento Black Power dei
ghetti, con la New Thing di pari
passo la musica jazz diventava
meno musicale per assurgere a simbolo e misura della capacità dichiamarsi fuori dal sistema.
Il Free Jazz, rompendo le leggi armoniche così come la ideologia dei
musicisti che lo praticavano rompeva con la società, confermava la sua
essenza ideologica e politica; come
dice Alessandro Baricco, proprio
nell’oscurità e nella inaccessibilità
del suo linguaggio il free jazz tro-
81
Thelonious Monk
83
Charles Mingus, Perugia 1974, (foto A. Salvatori)
85
Miles Davis, Milano 1969, (foto A. Salvatori)
87
vò il riscatto della sua irsuta musicalità.
Anche alcuni grandi del jazz, come
ad esempio Charles Mingus e Max
Roach, composero brani di grande
valore musicale contro la oppressione razziale. Famoso è il Fables of
Faubus di Charles Mingus composto contro il Governatore dell’Arkansas, uno dei più reazionari e
razzisti politici americani dell’epoca: le voci, la tromba ed i sassofoni
urlano versacci di sberleffo e disprezzo verso il governatore razzista.31
Fra i musicisti riuniti da Mingus
per l’occasione, si può ascoltare anche lo straordinario sassofonista e
flautista nero Eric Dolphy, scomparso prematuramente a 36 anni; la
sua figura si staglia prepotentemente fra i maggiori protagonisti
del jazz moderno.
Dotato di una tecnica violenta e
sensoriale, a volte luciferina ma
straordinaria, Dolphy ha saputo cogliere la più profonda essenza del
jazz, un po’ come Monk.
E’, forse, nato e scomparso troppo
presto per le sue idee.32
Proseguendo nella carrellata sulla
storia del jazz, non è possibile non
31
32
Ascolto: Fables of Faubus - Charles Mingus 1960
Ascolto: Tenderly - Eric Dolphy 1960
ricordare la figura di John Coltrane, forse il più geniale innovatore
dopo Parker. Quanto quest’ultimo
fu genio e sregolatezza, disordine e
follia, tanto Coltrane fu uomo mite,
riservato, cortese, di profonda religiosità e spiritualità.
La sua musica trae origine dalla lezione di Parker e Monk, cioè dai pilastri del jazz.
Non è facile, poi, capire come un
uomo così modesto e mite abbia
potuto inventare una musica così
torrenziale, di straordinaria intensità espressiva, con una incessante e
tormentosa manipolazione delle linee melodiche e delle figure ritmiche.
Il suo amore per la musica indiana,
oltre che a ragioni spirituali, è da
attribuirsi alla presenza in essa di
scale modali, cioè alla particolarità
di fondare l’improvvisazione su
scale particolari anziché su sequenze di accordi precostituiti.
Nelle scale modali, largamente sperimentate da Coltrane, non vi sono
gerarchie di accordi precostituiti.
La successione degli accordi segue
più le leggi della polifonia che
quelle di concatenazione tonale.
Per la verità improvvisazione e
88
sperimentazione modali erano già
state portate avanti da Davis (e sfociate nel suo celeberrimo disco Kind
of Blue). Anche il grandissimo pianista bianco Bill Evans fu un attento e profondo sperimentatore di
scale modali. Ma Coltrane andò
molto avanti in queste sperimentazioni.
Mentre scrivo queste note arriva
nei negozi di musica un cd straordinario. E’ il ritrovamento della registrazione di un concerto tenuto
nel 1957 alla Carnegie Hall dal
quintetto di Thelonious Monk e
John Coltrane! Per un appassionato
di jazz è l’equivalente di un miracoloso ritrovamento, sotto una coltre di polvere in una vecchia soffitta, di un quadro di Raffaello!
Anziché proporvi l’ascolto di A
love supreme, la suite in quattro
quarti che costituisce il capolavoro
di John Coltrane, vi propongo
l’ascolto di un brano tratto da questo miracoloso cd, nel quale i due
colossi del jazz si stimolano ed incalzano a vicenda nel costruire architetture melodiche ed armoniche
che sono l’essenza stessa della musica jazz.33
Altri appunti su J. Coltrane a pag.
53.
33
34
Grandissimo studioso dello spazio
pancromatico, Coltrane avrebbe allargato considerevolmente la sua
opera innovativa se non fosse morto a soli quarantun anni per un
cancro al fegato. Il mondo di Coltrane non è nevrotico, né chiuso né
allucinato, è anzi un giardino coltivato dall’uomo, pieno di fiori e
frutta umani.
Ho prima fatto un cenno a Bill
Evans; la sua importanza nella storia del jazz è di primissimo piano.
Sensibilità estrema, delicatezza, liricità, grande profondità di sentimenti; ma, anche, grande tecnica e
grande senso dello swing sono le
caratteristiche della musica di Bill
Evans, intimista, colta ma facilmente comprensibile.
Bill Evans è stato definito lo Chopin del jazz.34
Un altro “grande” nella storia del
jazz è il sassofonista nero Ornette
Coleman.
“La vera sfida dell’artista è mutare
cose immutabili, aumentare quello
in cui possiamo credere”; sono parole dello stesso Coleman, a testimoniare della sua potente carica innovatrice ed universale.
Al centro dell’universo di Coleman
c’è la Società multietnica nella qua-
Ascolto: Blue Monk - John Coltrane con Thelonious Monk 1957
Ascolto: Time remembered - Bill Evans 1974
89
John Coltrane
91
Bill Evans
93
le le informazioni non possiedono
genere, razza e colore.
Il jazz di Coleman è pieno di tensione; le strutture musicali vengono
create e subito distrutte, al limite
del rispetto delle regole armoniche
e melodiche.
Eppure, come il sax di Parker, anche quello di Coleman è coerente e
logico e si esprime con una voce ad
inflessione umana.35
Ho voluto lasciare a parte Duke Ellington, forse il più grande artista,
dopo Charlie Parker, che abbia mai
espresso la musica jazz nella sua
storia.
Perché l’ho lasciato a parte? Perché
mentre la carriera artistica (e non di
rado anche la vita) dei più grandi
musicisti di jazz ha avuto una durata molto limitata, fiori sbocciati e
subito appassiti, la carriera di Duke
Ellington ha durato, ininterrotta e
trionfale, dal 1925 al 1974, anno
della sua morte, a 75 anni, con un
linguaggio al di sopra del tempo.
Nato nel 1899 da famiglia della piccola borghesia nera (il padre era
maggiordomo di una ricca famiglia), Edward Ellington, soprannominato Duke proprio per i suoi
modi aristocratici nel parlare, nel
35
36
Ascolto: Eventually - Ornette Coleman 1959
Ascolto: Creole Rapsody - Duke Ellington 1931
vestire, nel gestire, di solida formazione classica europea. La sua celebrità va ascritta alla qualità straordinaria di compositore arrangiatore-direttore d’orchestra, attività fra
loro inscindibili in Ellington. Giustamente è stato affermato che il
suo strumento è l’orchestra, con la
quale, utilizzando eccellenti strumentisti rimasti con lui per decine
di anni, costruì un edificio sonoro
fatto di colori vivi, di suoni ora dolcissimi ora aspri, apparentemente
barbarici, ma raffinatissimi. La musica di Ellington è fatta di smaglianti colori, densa di accenti, di
forza, di infinite sottigliezze e di affascinanti atmosfere.
Igor Strawinsky e Leopold Stokowsky , appena messo piede negli Stati Uniti, si precipitarono ad
ascoltarlo, rimanendone affascinati.
Ecco ora un frammento di un brano
del 1931, Creole Rapsody,36 pezzo
impressionistico di atmosfera, sognante e suggestivo.
Duke Ellington ebbe accoglienze
trionfali ovunque; nel 1950 suonò a
Milano al Teatro Odeon e Giulio
Confalonieri, illustre critico di musica classica scrisse l’indomani sul
Corriere della Sera: “Il jazz rimarrà
94
insieme all’opera di Strawinsky
l’unico prodotto vitale della nostra
epoca, perché si lancia verso novità
grandissime tenendosi però attaccato a verità insuperabili nella coscienza musicale”. Potete ascoltare
in allegato la famosissima sigla dell’orchestra.37
La terza incisione proposta, datata
1941, è Chelsea bridge.38
Il brano ricorda Ravel per il suo colore e per le sue ossessionanti armonie; Esso crea una impressione
vivida del ponte londinese, cui è
intitolato, avvolto nella nebbia.
In ogni opera di Ellington si avverte una meticolosità formale ed una
continuità di ispirazione che stupiscono.
Ellington è stato anche un ottimo
compositore di musica sinfonica. E’
celebre una sua composizione eseguita dall’orchestra sinfonica della
NBC, quell’orchestra che fino a due
anni prima era stata l’orchestra di
Arturo Toscanini; vi assicuro che
trattasi di musica affascinante. Ellington fu anche grandissimo compositore di ballads, basti per tutte
la sua bellissima Sophisticated Lady.
Molte opere jazzistiche di Ellington
sono delle suites di lunga durata,
37
divise solitamente in quattro parti e
generalmente ispirate ad un argomento.
Come ultimo esempio della musica
di Duke Ellington potete ascoltare
una parte della suite Such sweet
thunder39 , una serie di dodici bozzetti dedicati ad altrettanti personaggi di Shakespeare e scritti per il
festival shakespeariano di Strafford
in Canada nel 1957.
Ascolterete la parte centrale del
bozzetto dedicato a Giulietta e Romeo. Il sax contralto e quello tenore
rappresentano le voci, bellissime ed
appassionate, dei due arcinoti personaggi.
Tutto il mondo del jazz è debitore
di Charlie Parker, ma anche di
Duke Ellington.
E’ singolare constatare come i due
massimi artisti della musica jazz siano così diversi tra loro.
Charlie Parker poeta maledetto, fiore del male, di poca cultura e umili
origini. Duke Ellington di educazione e cultura europee, raffinato
sia di modi che come creatore di
musica; ma ciò testimonia ancora
una volta come la musica jazz sia il
punto di incontro di due culture,
bianca e nera inscindibili fra loro.
Ascolto: Take a train – Orchestra Duke Ellington
Ascolto: Chelsea bridge - Duke Ellington 1947
39 Ascolto: Star crossed lovers - Duke Ellington 1957
38
95
Duke Ellington
97
Infine un accenno al jazz in Europa. Possiamo affermare che oggi
non esiste più una madrepatria statunitense ed una colonia europea
dove tutt’al più si poteva sviluppare un’arte provinciale, di scarsa creatività perché fondata sulla imitazione dei modelli americani.
Ora vi sono ottimi musicisti ovunque.
Anche in Italia abbiamo almeno un
artista di valore assoluto mondiale,
il trombettista torinese Enrico Rava
ed altri talenti di fama internazionale quali il compositore e direttore
d’orchestra Giorgio Gaslini, il pianista Enrico Pierannunzi ed il più
giovane Stefano Bollani.
In chiusura non posso non accennare all’influenza sull’evoluzione
della musica jazz provocata negli
Enrico Rava, Cagli 2003, (foto A. Salvatori)
ultimi trenta anni da alcuni macrofenomeni che hanno fatto una prorompente irruzione nella vita sociale:
1) il progressivo inurbamento nelle
grandi metropoli del nord dei
neri e la loro progressiva emancipazione hanno causato un approccio ad una cultura molto diversa rispetto all’universo afroamericano delle origini.
2) L’avvento della elettrificazione
degli strumenti, a cominciare
dalla chitarra e dal basso per finire alle tastiere ed agli stessi
strumenti a fiato.
3) Il dilagare delle discoteche e della disco-music.
4) La prepotente capacità di marketing delle case discografiche,
capaci di piegare ogni musica
ai fini di speculazione commerciale.
5) L’uscita di gran parte dei nuovi
musicisti dai Conservatori, agguerriti, virtuosi, preparati e dotati di una grande tecnica di
base, ma privi di quella sensibilità che era nel cuore dei grandi
musicisti di jazz.
Tutto questo ha certamente segnato
la evoluzione del jazz che di fronte
al dilagare vorticoso del rythm’n
blues, del rock e del pop non ha
potuto non esserne “contaminato”.
E qui si è scatenata la guerra fra i
98
critici e gli appassionati sostenitori
del jazz puro e coloro che non trovano disdicevole abbattere gli steccati fra art music e pop music, fra
arte e musica commerciale.
Non mi ritengo un manicheo che
piange sulle perduta purezza del
jazz e “maledice le acque fangose
che hanno travolto gli angusti argini del blues per invadere le strade
elettriche della wyndy city ed aprire
tumultuosamente ai ritmi binari ed
alle sonorità elementari ed immediate del rock!”.(a)
Devo ammettere, che negli ultimi
dieci anni il jazz ha faticato a mantenere una propria identità nello
scenario mondiale, anche per i motivi di cui sopra.
Ha, forse, perduto in creatività e
piena rappresentatività dei sentimenti ed inconsce paure che provenivano dai cambiamenti della Società.
Inoltre, si addebita al mondo del
jazz di essersi dimostrato impreparato a gestirsi con le innovazioni
tecnologiche, legate agli strumenti
elettronici, e con i nuovi media,
tipo la videomusica.
I grandi artisti del passato sono
scomparsi ad uno ad uno.
(a)
A NTONIO LODETTI, Alle radici del Jazz.
Ascolto: Till there was you - Sonny Rollins 1958
41 Ascolto: Footprints - Wayne Shorter 1966
40
Lee Konitz, Bologna 1978, (foto A. Salvatori)
Rimangono ancora in vita tre grandi sassofonisti neri, Ornette Coleman,35 Sonny Rollins40 e Wayne
Shorter41, ed il grande sassofonista
bianco Lee Konitz.26 27
Ma Coleman e Rollins sono nati nel
1930; Shorter nel 1933 e Konitz nel
1927!
In piena attività, di grande livello,
99
c’è il pianista bianco Keith Jarrett,
forte, appassionato, creativo, romantico, dalla magica capacità di
improvvisare.42
Da ultimo, vi propongo l’ascolto di
un sassofonista bianco, Joe Lovano,
di forte sensibilità ed anche dotato
di grande tecnica.
Lo potete ascoltare accompagnato
da musicisti di elevato valore, fra i
quali il compianto, straordinario
pianista francese Michel Petrucciani, altra testimonianza di come il
jazz, oggi, non abbia più confini.43
Ma questi musicisti sono forse il
canto del cigno?
Azzardo questo interrogativo perché, se la musica jazz è la vera musica rappresentativa del Novecento,
è probabile che essa non lo sarà più
per il secolo appena iniziato.
I motivi sono stati più sopra spie-
42
43
gati e verranno ripresi nelle ultime
pagine della Terza Parte, ma non
sono solo quelli.
Il Duemila si affaccia all’insegna di
troppi e troppo veloci cambiamenti
nella Società, nei valori, nei destini
dell’umanità e nel sofferto, tormentato e inarrestabile processo di integrazione di culture, razze e religioni.
La musica e l’arte in generale saranno, come sempre, fedeli interpreti di questi cambiamenti.
Chissà quale musica e pittura scaturiranno dal cuore e dalla mente
degli artisti del Duemila?
Probabilmente non nasceranno più
giganti come Picasso o Charlie
Parker ad indicare la strada.
O, forse, i geni del Duemila sono
dietro l’angolo? Oggi mi è molto
difficile pensare che sia così.
Ascolto: Last nighit when we are young - Keith Jarret 1996
Ascolto: Central Park West - Joe Lovano 1991
Parte Terza
103
Musica jazz e musica leggera:
Opera d’arte e opera di intrattenimento
Negli ultimi quarant’ anni, le diminuite tensioni razziali, il crollo delle pulsioni rivoluzionarie degli
anni ’60 e poi delle illusioni degli
anni ’70, il dilagare della elettrificazione degli strumenti musicali,
l’esplosione dei media (dalle emittenti televisive tipo MTV, ai sintetizzatori digitali, ai cd), e tutti i fenomeni della globalizzazione, hanno fatto sì che, accanto e dietro la
musica jazz esplodesse, letteralmente, un universo musicale di
enorme diffusione, una musica
“leggera” che, tuttavia, trovava le
sue radici (armonia, melodia, ritmo), nel jazz.
La contaminazione e le influenze
reciproche sono state inevitabili.
Cercherò di addentrarmi in questa
sfera di sovrapposizioni fra il jazz e
le altre musiche “leggere”, che tante accanite dispute hanno suscitato
fra i critici musicali, ed anche fra
gli appassionati.
Cominciamo con l’osservare che il
rapporto fra jazz e musiche leggere
si materializza attraverso due percorsi molto diversi.
Il primo riguarda l’influenza che la
musica jazz, in particolare quella
dell’era dello swing, ha esercitato
su un certo tipo di musica leggera.
In questo primo percorso si deve
parlare solo di influenze del jazz e
non viceversa; una influenza che
non ha intaccato e contaminato la
“artisticità” del jazz.
E’ stato, semmai, questo tipo di
musica leggera ad esserne “contaminata”, ma in senso positivo, traendone solo vantaggi ed uscendone arricchita.
Il secondo percorso riguarda, invece, il complesso rapporto fra il jazz
e quell’immenso fiume musicale
che negli anni si è formato dalla
convergenza di mille rivoli: il rock,
il pop, il rythm and blues, il funk, il
punk, la disco-music, la fusion, il
soul, il grunge, la new wave, il metal, il rap, la musica globale.
Qui ci troviamo in presenza di contaminazioni ed influenze reciproche.
Affermano i critici Gino Castaldo
ed Ernesto Assante (“Blues, jazz,
rock, pop”, Ed. Einaudi): “alcuni sostengono che il jazz abbia elevato a
dignità spirituale l’elementarità
104
delle strutture del rock; altri parlano di mutua e proficua influenza.
Altri critici hanno evocato la inevitabilità di una svolta obbligata al
passo con i tempi. Molti altri critici, più oltranzisti, non hanno esitato a gridare allo scandalo”; come,
ad esempio, Luca Cerchiari quando afferma che, laddove la industria discografica dell’America
bianca mette le mani su qualunque
tipo di musica, la sfrutta al punto
tale da alterarne i connotati originali.
In realtà negli ultimi trenta anni
troppe cose sono cambiate ed è
inutile recriminare; bisogna prenderne atto.
Non si può vivere nel rimpianto
delle tagliatelle della nonna e dei
formaggi genuini, in un mondo nel
quale trionfano sulle tavole coca
cola, nutella e cibi alla McDonald.
Io lo capisco; ciò non toglie che io
sia convinto che il jazz rimanga la
vera opera d’arte del Novecento,
mentre tutto il caleidoscopio delle
musiche rock sia opera di intrattenimento, secondo la puntuale definizione coniata da Umberto
Eco.
E chiedo proprio aiuto ad Umberto
Eco per spiegare le differenze tra
opera d’arte ed opera di intrattenimento.
Dice dunque Eco che l’opera d’arte
coinvolge il fruitore (spettatore/
ascoltatore) nella problematica esistenziale del suo creatore; l’opera
di intrattenimento si propone soltanto di produrre effetti, di provocare sensazioni immediate, ordinando allo spettatore/ascoltatore
“tu devi ridere”, “tu devi provare
nostalgia”, “tu devi provare desiderio sessuale”, “tu devi divertirti”,
mentre l’opera d’arte lo costringe a
ricercare la visione del mondo che
alberga nell’animo dell’artista.
L’opera di intrattenimento, invece,
provoca sensazioni immediate ed
in superficie, tanto è vero che essa
viene consumata e digerita rapidamente.
Anche una bellissima canzone di
straordinario successo, già l’estate
successiva viene dimenticata, mentre un notturno di Chopin o un disco di Charlie Parker possono venire ascoltati mille volte di seguito
e per mille anni, senza mai stancare, ma sempre provocando emozioni profonde.
Dunque, l’opera d’arte è un veicolo
di valori; l’intrattenimento è un
puro veicolo sensoriale.
Ma, dice Umberto Eco, i due mondi
dell’opera d’arte (nel nostro caso la
musica jazz) e dell’opera di intrattenimento (nel nostro caso la musica leggera) non hanno confini ben
definiti; i confini spesso si sfumano
105
e cattiva opera d’arte e buon intrattenimento si sovrappongono.
Vedremo ora una serie di esempi
concreti che dimostrano come la
sovrapposizione dei confini, postulata da Eco, si applichi benissimo a
jazz e musica leggera.
E partiremo dal primo filone di influenza, come in precedenza detto,
per passare successivamente al più
complesso rapporto fra jazz e rock.
Dice Umberto Eco: a volte l’opera
di intrattenimento si appropria di
elementi artistici, usandoli come
stimoli consolatori per colpire lo
spettatore/ascoltatore.
Certe volte l’opera di intrattenimento cerca un quid di artisticità
attraverso una citazione dell’opera
d’arte. Ad esempio si sono confezionate canzoni tratte da Per Elisa o
dal Chiaro di Luna di Beethoven.
Altro esempio: vi sono ottimi cantanti di musica leggera, che si avvalgono di musicisti jazz e di un
linguaggio di natura jazzistica.
Ecco tre eccellenti cantanti americani.
Il primo è Billy Joel44 che si è avvalso, in un suo LP, della collaborazione di uno dei più bravi trombettisti di jazz in circolazione, Freddie
44
Ascolto: Zanzibar - Billy Joel
Ascolto: Maxine - Donald Fagen
46 Ascolto: When she is mine - Michael Franks
45
Hubbard, il cui apporto è significativo, anche se avviene in un contesto debole per un musicista di jazz,
a cominciare da una sezione ritmica assolutamente non in grado di
supportarlo.
Il secondo è Donald Fagen che si è
avvalso dei fratelli Michael e Randy Brecker, due ottimi musicisti di
jazz.45
Il terzo, infine, è Michael Franks46,
che si è avvalso di uno dei sassofonisti oggi più celebrati qual è Michael Brecker.
Queste sono operazioni criticate
dai puristi dal jazz; ma, se ad un
vero appassionato di jazz non piace
ascoltare Michael Brecker in questo contesto, bisogna tuttavia ammettere che l’opera di intrattenimento di Billy Joel o di Michael
Franks o di Donald Fagen è di ottimo livello.
Questi cantanti fanno un’opera di
intrattenimento di alta classe, cercando di appropriarsi di un quid di
artisticità per arricchire il loro ottimo prodotto di musica leggera, ricorrendo a celebrati musicisti di
jazz, senza per questo spacciarsi come grandi artisti creativi. Non possiamo, dunque, parlare di kitsch.
106
Vi sono, invece, altre operazioni
musicalmente più discutibili.
Si confezionano esecuzioni musicali di basso livello, a puro scopo
commerciale, cercando di “nobilitarle” richiamando, con cattivo gusto, elementi jazzistici e con la pretesa (e presunzione), di dare alle
masse la convinzione di fruire di
una esperienza estetica profonda.
Siamo in pieno kitsch, la cui caratteristica principale è proprio quella
di contrabbandare come artistica
un’opera ottenuta imitando l’arte e
manipolandone gli stilemi, presi in
prestito al fine di offrire al fruitore
un surrogato sentimentale o tecnico
dei valori originari.
Ne volete una prova eclatante? Vi
suggerisco l’ascolto di una famosa
canzone usata come tema da John
Coltrane47 e l’ascolto della stessa
canzone eseguita da Fausto Papetti48, uno dei protagonisti del kitsch
e dello sfruttamento commerciale.
La differenza è abissale, come quando, nei grandi magazzini, si vendono i grembiuli da cucina con sopra
stampate le imitazioni dei quadri di
Mirò o di Mondrian. E’ lo stesso
cattivo gusto in base al quale si vendono le statue in finto marmo della
47
Ascolto: Greensleaves - John Coltrane
Ascolto: Greensleaves - Fausto Papetti
49 Ascolto: Non partir - Fred Buscaglione
48
Pietà di Michelangelo o si pubblicano,
sul Reader’s Digest, i riassunti dei capolavori della letteratura.
Vi è, poi, una nutritissima schiera
di musicisti e cantanti di musica
leggera che si sono ispirati, sotto il
profilo armonico, melodico e ritmico, alla musica jazz dell’era dello
swing, quella di cui Benny Goodman fu un protagonista.
Limitando lo sguardo alla sola Italia, Alberto Rabagliati, Natalino
Otto, Iula De Palma, Teddy Reno,
Ernesto Bonino, Gorni Kramer e
Lelio Luttazzi, Gianni Ferrio, Piero
Piccioni, Bruno Canfora, Pino Calvi, Fred Buongusto, Bruno Martino,
Fred Buscaglione, Paolo Conte, Sergio Caputo e tantissimi altri, sono
tutti debitori nei confronti della
musica jazz di quell’epoca.
Fred Buscaglione, ai suoi tempi
(anni ’50), fu un grandissimo innovatore. La sua è una ottima musica
di intrattenimento, arricchita e nobilitata da una cultura jazzistica
che Fred si portava dentro.49
Un esempio più recente è costituito
da Sergio Caputo, la cui elevata
preparazione musicale tradisce
un’anima jazzistica, specie sotto il
profilo armonico. Ne sono una pro-
107
va gli accordi e le armonie del suo
“Spicchio di luna”.50
Non possiamo fare a meno di ascoltare, in questa disamina Paolo Conte, il grande, raffinato, ironico, romantico e colto interprete di un genere che tradisce, in ogni nota ed in
ogni accordo, un dichiarato amore
per il jazz: in Paolo Conte i confini
fra opera d’arte e opera di intrattenimento sono davvero sfumati.51
Analogamente, su scala mondiale,
la classe di Frank Sinatra è talmente elevata da cancellare, quasi, i
confini tra jazz e canzone, dunque,
fra opera d’arte e opera di intrattenimento.
Un ultimo esempio di come il jazz
scivoli verso una ottima musica
commerciale (e viceversa), è offerto
dal fenomeno Diana Krall.
Sfruttando la sua avvenenza e la
sua presenza scenica, ma anche le
sue davvero buone qualità di jazzista (sia come cantante e, più ancora, come pianista), Diana Krall confeziona una musica di intrattenimento di eccellente livello, tanto da
essere contesa in tutto il mondo a
colpi di centinaia di migliaia di dollari.52
50
A completamento di questa prima
disamina dei rapporti fra musica
jazz e musica leggera, vi segnalo
quattro incisioni di canzoni bellissime nelle interpretazioni di ottimi
musicisti di jazz, i quali hanno trovato, nella struttura armonica e melodica di questi brani, di matrice
jazzistica, un fertile campo di ispirazione.
Le prima è “Estate” di Bruno Martino, divenuta famosissima per le interpretazioni magistrali dei grandi
del jazz, da Chet Baker, a Petrucciani.53
La seconda è una canzone italiana
dei primi anni ’50, “Amore baciami” composta da Carlo Alberto
Rossi; è un valzer lento, ma ha armonie che vengono da una diretta
matrice jazzistica.
E’ interpretata da una cantante jazz
italiana, Ada Montellanico, accompagnata da jazzisti di eccellente valore, fra i quali il pianista Enrico
Pierannunzi ed il grande altosassofonista bianco Lee Konitz che, ultrasettentacinquenne, ma sempre
straordinario, ha trovato, nella tessitura armonica e melodica di questa vecchia canzone italiana, l’ispi-
Ascolto: Spicchio di luna - Sergio Caputo
Ascolto: Un uomo camion - Paolo Conte
52 Ascolto: East of the sun. West of the moon - Diana Krall
53 Ascolto: Estate - Les Demodés
51
108
razione per una bellissima performance.54
La terza canzone è “Mi sento tua”,
resa famosa negli anni ’50 da Iula
De Palma, e contestata dalla censura di quel tempo perché ritenuta
troppo sensuale, sia nel testo che
nel modo di cantarla!
Ancora, una cantante di jazz italiana, Paola Arnesano riprende molto
bene quell’atmosfera ed insieme al
marito, il chitarrista ed arrangiatore
Guido Di Leone, ne offre una versione nella quale la sintassi jazzistica appare in tutta evidenza.55
La quarta è “Donna”, una swingante performance di Nicola Arigliano
che, malgrado gli ottanta anni, si
conferma il miglior cantante italiano di jazz.
Da notare il bell’assolo di Enrico
Rava, oggi il più famoso musicista
italiano di jazz, a proprio agio con
la tessitura musicale di “Donna”,
non a caso opera di Gorni Kramer,
musicista eccellente e con il jazz nel
sangue.56
Sono tutti esempi di musica leggera
raffinata, grazie alla ispirazione jazzistica di autori ed esecutori.
Rimaniamo, comunque, prevalentemente nel campo di una musica
54
Ascolto: Amore baciami - Ada Montellanico
Ascolto: Mi sento tua - Paola Arnesano
56 Ascolto: Donna - Nicola Arigliano
55
di intrattenimento di grande livello. Ed è chiaro a tutti, spero, che la
musica jazz rimanga su un livello
di artisticità ben più alto.
A tal proposito, non posso non
spendere due parole sulla bossa
nova.
La bossa nova è una musica brasiliana molto originale, che ha avuto
sempre, con il jazz e con i jazzisti,
un feeling particolare, forse perché
alla base della bossa nova c’è quel
sentimento di struggimento e di inquietudine che costituisce anche il
valore distintivo del jazz.
Tutto ciò non è casuale se si riflette
sul fatto che le due musiche sono
molto simili nella matrice di origine.
Entrambe sono musiche nate dall’incontro della cultura africana con
quelle europee; solo che le culture
spagnola e portoghese (più “morbida” e meno rigorosa di quella protestante e francese), unitamente ai
diversi fattori ambientali ed alla
maggiore influenza dei bianchi, che
hanno fatto sì che in Brasile nascesse una musica, sfociata poi nella
bossa nova, come una sorta di jazz
autoctono, ma più dolce e meno
aggressivo e spigoloso della musica
jazz.
109
Una musica, comunque, sempre intrisa di sottile ed impalpabile poesia.
Anche la bossa nova, come il jazz, fa
ricorso ad una straordinaria abbondanza di semitoni, diminuite e soluzioni armoniche incredibilmente
suggestive.
Carlos Jobin, Vinicius Demoraes e
Joao Gilberto sono certamente dei
veri artisti.57
E veniamo alla seconda parte, di
più difficile lettura e decifrazione,
perché qui i rapporti fra musica
jazz e mondo del rock, pop, soul
music, rythm and blues sono stati
più interattivi, a tal punto che sono
in molti a sostenere di ritenere superata la visione di una musica jazz
opera d’arte e di tutta l’altra musica opera di intrattenimento.
Ma i puristi della musica jazz ritengono che un vero e proprio tradimento verso la loro amata musica
sia stato perpetrato da quei jazzisti
che, per motivi commerciali, si
sono lasciati andare con disinvoltura ad una integrazione con i ritmi
binari ed elementari della musica
rock, aggravando la confusione e le
contaminazioni musicali.
Che il rock e le tasche di questi musicisti ne abbiano tratto beneficio,
non ne ho il minimo dubbio; che ne
57
abbia tratto beneficio il jazz ho forti
dubbi.
Io rimango del parere che la stragrande maggioranza di tutte le musiche rock, pop, soul, ecc. siano
opera di intrattenimento seppure,
molto spesso, di ottimo livello.
Ho già sottolineato che le cause che
hanno portato a produrre il diluvio
delle musiche rock e affini sono
state:
1) il benessere che ha investito le
nuove generazioni di giovani
bianchi e neri;
2) la potenza delle grandi case discografiche e dei nuovi media
(si pensi alla emittente MTV);
3) la digitalizzazione della musica,
l’avvento degli strumenti a supporto elettrico ed elettronico;
4) la diffusione della musica via Internet ed il proliferare delle
grandi discoteche, casse di risonanza di enorme potenza.
Tutta questa musica (certamente figlia del nuovo assetto della Società
americana, soprattutto da Reagan
fin qui), è assurta a simbolo di riti
collettivi fra i giovani. Ma di qui a
parlare di opera d’arte ne corre di
strada.
Pensiamo alle immense folle di giovani in delirio ai concerti dei Beatles, Rolling Stones, Elvis Presley,
Ascolto: Meditation - Carlos Jobim - Joao Gilberto
110
Led Zeppelin, Chicago, Blood Sweat and Tears, Bob Dylan, Bruce
Springsteen, dai Pink Floyd ai Police, fino ai Nirvana ed ai “Seattle
Supersonics”.
Pensiamo alle folle oceaniche da
Woodstock, fino ai concerti degli
U2. Ebbene questa musica, talvolta
di buon livello (molto spesso pescando nelle stesse radici del jazz),
ha costituito un grandissimo supporto per i riti sociali collettivi della cultura underground e del dissenso giovanile a cavallo degli anni
sessanta e settanta, ma anche dei
riti e dei comportamenti dei giovani cresciuti nell’era reaganiana degli anni ’80; giovani senza più
grandi sogni collettivi, senza più il
gusto della contestazione, senza
aver assaggiato direttamente l’acre
sapore del malessere dei ghetti e,
tuttavia, sempre bisognosi di socializzare e di stare insieme per cercare riferimenti e ideali comuni.
Non poteva essere la vera musica
jazz ad assumere questo ruolo di
supporto, in quanto musica troppo
difficile per la massa ed anche troppo carica di tristezza e poesia.
Questo ruolo fu, invece, come dicevo, assunto dal caleidoscopio di
58
musiche rock, pop, rythm and
blues, folk, rap, ecc., musiche di intrattenimento adatte a colpire i giovani per la loro capacità di essere
percepite in superficie.
Ultimamente il rap sta avendo un
successo travolgente, ma il suo successo sta più nella forza delle parole (che porta la voce della cultura
popolare delle strade, che incalza la
passione positiva delle nuove generazioni), più in questo, dicevo, che
nella forza della sua musica.
Credo che, nel tempo, la storia del
rock interesserà moltissimo il sociologo e meno il critico musicale, anche se non bisogna essere troppo
radicali, rivendicando una purezza
della musica jazz e demonizzando
tutto il resto.
Esiste certamente un notevole numero di musicisti rock di grande livello e ve ne propongo tre esempi:
Pink Floyd58, Blood Sweat and Tears59 e Gino Vannelli.60
Certo, dentro il rock si trovano citazioni, accenti, stilemi, ritmi di natura e scuola jazzistica, ma il rock è
una musica che il critico musicale
G. Della Bona ha definito “una luminosa farfalla meccanica”, cioè una
farfalla artificiale che, parafrasando
Ascolto: Money - Pink Floyd
Ascolto: Lucretia’s reprise - Blood Sweat and Tears
60 Ascolto: Brother to Brother - Gino Vannelli
59
111
ancora Umberto Eco, produce suoni, colori e movimenti contrabbandati come artistici, ma in realtà ottenuti manipolando i caratteri originari dell’opera d’arte (il jazz nel
nostro caso), con lo scopo di fornire
un surrogato tecnico e/o sentimentale dell’opera d’arte stessa.
Continuiamo ancora con l’ascolto
di alcuni brani di musica rock, di
acid jazz e derivati che oggi vanno
per la maggiore. Ecco un esempio
di acid jazz, dei Solsonics, tavolozza timbrica proteiforme, ma musica
fredda, di superficie, meccanica.61
La musica jazz è un’altra cosa!
Ecco ora un altro complesso oggi di
gran moda: i Jamiroquai.62 Sono
evidenti i riferimenti alla musica
jazz ed una ispirazione al jazz sotto
il profilo armonico; ma, anche qui,
ripeto: musica che si ascolta volentieri, di buon livello esecutivo, ma
non c’è la commozione di un brano
di musica jazz.
A testimonianza dell’influenza della musica jazz sulla musica leggera
di oggi, vi propongo all’ascolto altri due gruppi che oggi vanno per
la maggiore uno, italiano, è quello
dei Dirotta su Cuba. E’ agevole
61
Ascolto: Jazz in the present tense - Solsonics
Ascolto: Seven days in sunny june - Jamiroquai
63 Ascolto: Dove sei - Dirotta su Cuba
64 Ascolto: People get ready - Brand Nw Heavies
62
constatare come la cantante faccia
uso di diminuite, caratteristica fondamentale della musica jazz. 63
Ancora un gruppo, i Brand New
Heavies, che denunciano una matrice di chiara origine jazzistica. 64
Da ultimo un accenno alla musica
globale, fenomeno musicale proprio
dei giorni nostri.
Nel villaggio globale della comunicazione, si sono amplificati i fenomeni che hanno dato origine all’esplosione del rock, ecc., talchè
oggi, ci si presenta un grande melting pot, un minestrone musicale
che racchiude e fonde dentro di sé
jazz, rock, musiche indiane, arabe,
le musiche tradizionali, anche italiane, le musiche elettroniche, in
una parola, una musica per tutti e
di tutti.
Personalmente sono talvolta affascinato da questa musica, ma continuo a ritenere la musica jazz la
vera musica del Novecento.
Certo, il jazz di oggi è meno creativo, perché è il simbolo, come lo è
stato fin dalle sue origini, della
evoluzione della Società e tiene
conto, puntualmente, dei tanti fatti
che, nel bene e nel male, hanno
112
cambiato la Società negli ultimi
quindici anni.
Tuttavia, proprio per questo, il jazz
continua a rappresentare la vera
musica del Novecento, mentre la
proteiforme tavolozza timbrica e
ritmica del rock, pop, soul, ecc. (anche loro musiche del Novecento) è,
secondo la felice definizione già ci-
tata in precedenza, una luminosa
farfalla meccanica, che vola entusiasmando per i suoi bellissimi colori artificiali ed effetti luminosi e
scenici.
Essa diverte, stupisce, incalza, ma
non commuove; perché è meccanica e tutto quello che emana è artificiale.
P.S. In questo capitolo ho cercato di spiegare i legami espliciti, occulti o interattivi, fra
musica jazz e musica leggera (rock compreso). Tutto ciò non vuole assolutamente
significare che la sola musica leggera di valore sia quella che ha radici nel jazz.
Esistono, infatti, altre musiche leggere di ottimo livello, che nulla hanno a che fare
con la musica jazz: basti pensare a Battisti, Cocciante, Baglioni e Renato Zero.
113
Conclusioni
Mi accorgo di non averVi citato tanti altri musicisti che sono stati protagonisti nella Storia del Jazz (King
Oliver, Fats Waller, Charlie Christian, Billie Holiday, Dexter Gordon, Clifford Brown, Cecil Taylor,
Jimmy Giuffrè, Gerry Mulligan,
Chet Baker, Art Pepper, Joe Henderson e tanti altri).
Mi affretto a rimediare in piccolissima misura, scrivendo qualche nota
su alcuni di essi, corredate dai relativi ascolti di incisioni che sono anch’esse fulgide perle della collana
del jazz.
Fats Waller, se non fosse stato un
nero e, quindi, escluso dai circuiti
dei teatri, avrebbe potuto essere un
grande concertista classico, per il
talento che sprigionava sui tasti del
pianoforte. Dovette accontentarsi
di una carriera molto più “leggera”
come pianista e cantante (aiutato
da un carattere umoristico, esuberante ed accomodante) e di una fertilissima attività di compositore.
65
66
Ascolto: Ain’t misbehavin’ - Fats Waller 1934
Ascolto: I can’t get started - Clifford Brown 1954
Gioco muscoloso e perentorio, ma
anche tenero sentimentalismo, si
colgono nella sua musica.65
Clifford Brown sarebbe divenuto
di certo uno dei più importanti jazzisti degli ultimi cinquant’anni se
la sua vita non fosse stata stroncata
a soli ventisei anni da un tragico incidente d’auto; nei pochi anni della
sua attività ci ha lasciato gemme
luminosissime.
Padrone di una formidabile tecnica
strumentistica, la sua tromba aveva
una sonorità calda, morbida ed allo
stesso tempo bruciante, incisiva, essenziale: graffiante e nello stesso
tempo lirica.
E’ stato un grande maestro nel costruire frasi che passavano attraverso le più belle ed imprevedibili
combinazioni di intervalli. 66
Dexter Gordon è stato un tenorsassofonista nero, il cui grandissimo
valore è stato, probabilmente, sottovalutato dalla critica. A volte poderoso come Coleman Hawkins, a
114
volte tenero e rilassato come Lester
Young, molto creativo nel concepire i percorsi melodici, a suo agio sia
sui tempi veloci che, soprattutto,
nelle ballads.67
Un posto, anche se non di primissimo piano nella storia del jazz, spetta anche ai due musicisti bianchi,
Gerrry Mulligan (sax baritono) e
Chet Baker (tromba).
Gerry Mulligan era già stato tra i
protagonisti di quel fenomenale
gruppo di musicisti riuniti da Miles
Davis per realizzare, per la Capitol,
uno dei più famosi dischi di cool
jazz: “Birth of the cool”. Si trovò poi,
quasi per caso, in California nel
1952 a dirigere un quartetto, senza
pianoforte, comprendente il ventitreenne esordiente trombettista
Chet Baker.
Il quartetto (tromba, sax baritono,
basso e batteria), ebbe un successo
clamoroso in tutti gli Stati Uniti e
contribuì non poco, con il suo
sound morbido e sottovoce, alla
diffusione popolare del jazz. La
musica del quartetto di Mulligan e
Baker fu definita casta eppure frizzante, dinoccolata ed orecchiabile;
la squisita musicalità degli assoli
ed il variato gioco dei fiati, talvolta
67
68
Chet Baker, Macerata 1977, (foto A. Salvatori)
in contrappunto, li potete constatare nell’ ascolto.68
Mulligan ebbe in seguito una lunghissima carriera, anche se altalenante e, talvolta, musicalmente discutibile, ma sempre all’insegna del
gusto e dell’intelligenza.
Chet Baker va ricordato per la sua
sensibilità quasi femminea, la sonorità calda e pastosa, specie sul registro grave e per la lirica grazia delle sue frasi.
Viene ricordato anche per la sua
vita sfortunata (a causa della dipendenza dalla droga) fra il carcere, subìto anche in Italia, e disavventure varie.
Un libro a parte occorrerebbe scri-
Ascolto: Ruby my dear - Dexter Gordon
Ascolto: The nearness of you - Quartetto Mulligan – Baker 1953
115
Dexter Gordon, Ancona 1976, (foto A. Salvatori)
117
vere, poi, sui grandi contrabbassisti, il cui ruolo è stato di fondamentale importanza nella storia della
musica jazz (Jimmy Blanton, Ray
Brown, Oscar Pettiford, Ron Carter,
Paul Chambers, Scott La Faro, Marc
Johnson, N.O. Pedersen, Dave Holland, Gary Peacock, Charlie Haden,
Gorge Mraz, Jaco Pastorius, ecc.).
La stessa cosa vale per i grandi batteristi (Gene Krupa, Shelly Manne,
Roy Haynes, Max Roach, Kenny
Clarke, Art Blakey, Philly Joe Jones,
Tony Williams, Elvin Jones, Jack de
Johnnette, Paul Motian, ecc.).
Ora è proprio arrivato il momento
di trarre le conclusioni. In questo libretto ho cercato di illustrarvi l’universo della musica jazz e, con esso,
tutta l’evoluzione sociale ed artistica del Novecento, di cui anche il
jazz è stato fedele interprete.
Molte conclusioni le ho già tratte
nelle ultime pagine della Seconda e
della Terza Parte. Vorrei qui aggiungere che il jazz ha accompagnato cinquanta anni della mia
vita; un amore che non si è mai
spento, analogamente a quello per
Klee, Kandinsky e Picasso. Ma io
ho la consapevolezza di essere un
Uomo del Novecento (anagraficamente e culturalmente) e, come
tale, ho difficoltà a districarmi nei
complessi sentieri delle Arti del
Duemila.
Mi aggiro smarrito fra minimal,
post-pop, arte povera e post-modern. Per quanto riguarda il jazz,
ascolto volentieri Jeremy Pelt, Dave
Douglas, John Taylor, Jean-Michel
Pilc e Jan Garbarek, ma il mio
smarrimento permane di fronte a
questa “modernità” che non riconosco.
E intanto, come dice Alessandro
Baricco, “la modernità accade” e se
non riesce a coinvolgermi, peggio
per me. A ciascuno la sua stagione.
Cari amici, spero di non avervi annoiato e di avervi aperto qualche finestra sul panorama fantastico delle emozioni del Novecento. E, a testimonianza di queste emozioni, vi
suggerisco l’ascolto di una incisione di grande intensità creativa.
A cavallo degli anni ’50 e ’60 Art
Pepper, bianco, era già un ottimo
sassofonista, affermatosi a Los Angeles nell’ambito della cosiddetta
scuola californiana.
Dopo sette anni trascorsi in carcere
per uso di stupefacenti, uscì talmente segnato da questa esperienza, da sbalordire critici ed appassionati per la sua maturazione artistica.
La sua musica appare di un lirismo
autentico, nel contesto di un mondo interiore estremamente sofferto.
A volte vi sono lacrime che sgorgano dal cuore e non arrivano agli oc-
118
chi; quelle di Art Pepper arrivano a
noi tramite il suo lacerante sax.69
La musica di Art Pepper mi invita a
ricordare una stupenda frase di
André Breton, uno dei padri del
surrealismo, quando afferma che in
ogni artista che crea esiste “un
noyeau infracassable de nuit”, cioè
una indistruttibile fonte di luce;
69
essa è indistruttibile perché il bagliore che emana non è artificiale,
ma è prodotto dall’anima.
Quell’anima umana che, intrisa di
tanta sottile angoscia ed altrettanta
sottile poesia, pervade di sé tutte le
opere d’arte e, fra queste, la musica
jazz, la musica dei nostri tempi.
Ascolto: Everything happens to me – Art Pepper 1981
119
Bibliografia
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GUIDO BALLO, Occhio critico – Ed. Einaudi
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HEINRICH BESSELER, L’ascolto musicale nell’età moderna – Ed. Il Mulino
MAURO P ERNIOLA, L’estetica del Novecento – Ed. Il Mulino
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Discografia
CD 1
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25
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27
28
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CHARLES MINGUS, Tijuana gift shop, 1956 - Blue Bird BMG Record
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MA RAINEY, Black eye blues, 1928 - Fonit Cetra
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JELLY ROLL MORTON, Georgia swing, 1928 - Giants of Jazz
LOUIS ARMSTRONG, West and blues, 1928 - Odeon
BIX BEDERBECKE, Jazz me blues, 1927 - Giants of Jazz
BENNY GOODMAN, Don’t be that way, 1938 - Charly
BENNY GOODMAN, Monglow, 1937 - Frequenz
ART TATUM, Liza, 1934 - Charly
COLEMAN HAWKINS, Body and soul, 1943 - Charly
LESTER YOUNG, These foolish things, 1945 - Charly
GLENN MILLER, In the mood, 1941 - Charly
GLENN MILLER, Moonlight serenade, 1941 - Joker
DIZZY GILLESPIE, A night in Tunisia, 1947 - Roulette
CHARLIE PARKER, Ornithology, 1947 - Fonit U.S.A.
CHARLIE PARKER, Parker’s mood, 1947 - Savoy
CHARLIE PARKER, Bird of Paradise, 1947 - Fonit U.S.A.
BUD POWELL, Tempus fugit, 1949 - Verve
LENNIE TRISTANO, Requiem, 1956 - Atlantic
LENNIE TRISTANO, Marionette, 1949 - Capitol
LENNIE TRISTANO - LEE KONITZ, You go to my head, 1956 - Atlantic
THELONIUS MONK, Don’t blame me, 1947 - CBS
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CD 2
Riferimenti testo
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13
14
15
16
17
18
19
20
CHARLES MINGUS, Orange was the colour of her dress, 1974 - Columbia CBS
MILES DAVIS, Blues for Pablo, 1957 - Columbia CBS
CHARLES MINGUS/ERIC DOLPHY, Fables of Faubus, 1960 - Candid
ERIC DOLPHY, Tenderly, 1960 - New Jazz
JOHN COLTRANE con T. Monk, Blue monk, 1957 - Blue Note
BILL EVANS, Time remembered, 1974 - Milestone
ORNETTE COLEMAN, Eventually, 1959 - Atlantic
DUKE ELLINGTON, Creole Rapsody, 1931 - RCA
DUKE ELLINGTON, Take a train, 1941 - Charly
DUKE ELLINGTON, Chelsea Bridge, 1941 - RCA Victor
DUKE ELLINGTON, Star crossed lovers, 1957 - Columbia CBS
SONNY ROLLINS, Till there was you, 1958 - Riverside
WAYNE SHORTER, Footprints, 1966 - Blue Note
KEITH JARRET, Last night when we were young, 1996 - ECM
JOE LOVANO, Central Park West, 1991 - Blue Note
FATS WALLER, Ain’t misbehavin’, 1934 - Frequenz
CLIFFORD BROWN, I can’t get started, 1954 - Vogue
DEXTER GORDON, Ruby my dear, 1978 - Columbia
QUARTETTO MULLIGAN - BAKER, The nearness of you, 1953 - Giants of Jazz
ART PEPPER, Everything happens to me, 1981 - Galaxi
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CD 3
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21
BILLY JOEL, Zanzibar - CBS
DONALD FAGEN, Maxine - Warner Bros
MICHAEL FRANKS, When she is mine - Warner Bros
JOHN COLTRANE, Greensleaves - Impulse
FAUSTO PAPETTI, Greensleaves - Decca
FRED BUSCAGLIONE, Non partir - Fonit Cetra
SERGIO CAPUTO, Spicchio di luna - CGD
PAOLO CONTE, Un uomo camion - CGD
DIANA KRALL, East of the sun. West of the moon - Verve
LES DEMODÉS, Estate - Unplugged
ADA MONTELLANICO, Amore baciami - Soul Note
PAOLA ARNESANO, Mi sento tua - Philology
NICOLA ARIGLIANO, Donna - NUN Enterteinment
CARLOS JOBIM - JOAO GILBERTO, Meditation - EGEA
PINK FLOYD, Money - EMI
BLOOD SWEAT AND TEARS, Lucretia’s reprise - CBS
GINO VANNELLI, Brother to Brother - AM Records
SOLSONICS, Jazz in the present tense - Crhysalis ERG
JAMIROQUAI, Seven days in sunny june - Sony
DIROTTA SU CUBA, Dove sei - CGD
BRAND NEW HEAVIES, People get ready - Delicious Vinyl
Per informazioni sulla discografia:
[email protected]
[email protected]
Stamperia Annesio Nobili
in Pesaro dal 1823
Scarica

Libro JAZZ - Comune di Pesaro