Stagione
2011-2012
Martedì 3 aprile 2012, ore 20.30
Alberto Miodini pianoforte
Ivan Rabaglia violino
Enrico Bronzi violoncello
Sala Verdi del Conservatorio
Trio di Parma
Ciclo integrale dei Trii di Dvořák - I
Trio n. 1 in si bemolle maggiore op. 21
Trio n. 4 in mi minore op. 90 “Dumky”
Il concerto è registrato da Rai Radio3
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Consiglieri di turno
Andrea Kerbaker
Antonio Magnocavallo
Direttore Artistico
Paolo Arcà
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È vietato, senza il consenso dell’artista, fare fotografie e registrazioni, audio o video,
anche con il cellulare.
Iniziato il concerto, si può entrare in sala solo alla fine di ogni composizione.
Si raccomanda di:
• spegnere i telefoni e ogni apparecchio con dispositivi acustici;
• evitare colpi di tosse e fruscii del programma;
• non lasciare la sala fino al congedo dell’artista.
Il programma è pubblicato sul nostro sito web dal venerdì
precedente il concerto.
Antonín Dvořák
(Nelahozeves 1841 - Praga 1904)
Trio n. 1 in si bemolle maggiore op. 21 (ca. 32’)
I. Allegro molto II. Adagio molto e mesto III. Allegro scherzando - Trio
IV. Allegro vivace
Anno di composizione: 1874
Anno di pubblicazione: Berlino, 1880
Trio n. 4 in mi minore op. 90 “Dumky” (ca. 35’)
I. Lento maestoso II. Poco adagio III. Andante IV. Andante moderato
V. Allegro VI. Lento maestoso
Anno di composizione: 1890/1891
Prima esecuzione: Praga, 11 aprile 1891
“Caro S., in relazione alla borsa di studio conferita dallo Stato, sono stato molto
soddisfatto negli scorsi anni dei lavori di Antonín Dvořák di Praga. (...) Dvořák
ha scritto ogni sorta di composizioni, opere (in ceco), sinfonie, quartetti e musica pianistica. Non c’è dubbio che abbia molto talento. E poi è anche povero. Vi
prego di rifletterci sopra. I Duetti non vi daranno molti pensieri e probabilmente si venderanno bene...”
Il 12 dicembre 1877 Brahms segnalava all’influente editore di Berlino Fritz
Simrock uno sconosciuto musicista di Praga, che aveva chiesto aiuto all’illustre
collega su suggerimento del critico Eduard Hanslick, anch’egli di origini praghesi. Brahms aveva intuito nel lavoro di Dvořák una natura musicale di
prim’ordine. Le composizioni inviate a Vienna mostravano nel giovane musicista un eccezionale flusso di idee e una inesauribile vena melodica, bisognosa
però di una maggior disciplina stilistica. A 33 anni, con molti anni di mestiere
alle spalle ma pochi e disordinati studi di composizione, il musicista di Praga
cominciava appena ad affrontare il problema della forma, della composizione.
Nell’incredibile calderone di musiche scritte negli anni di apprendistato, in
seguito quasi tutte eliminate dal catalogo, si trovavano lavori esageratamente
prolissi, come il Quartetto in re dell’eccezionale durata di 68 minuti. Il giovane
Dvořák ricalcava i modelli dello stile classico, in primo luogo Beethoven, con
una scrittura però largamente influenzata dal cromatismo della musica di
Wagner. Al pari di Schubert, Dvořák sognava di raggiungere il successo come
autore teatrale. L’ansia di scrivere per le scene era tale che quando il Teatro di
Praga rifiutò la sua opera Král a uhlir (Il re e il carbonaio), Dvořák musicò da
capo una seconda volta lo stesso libretto.
Nel frattempo anche le condizioni della vita privata stavano cambiando. In
primo luogo, nel 1873 Dvořák aveva sposato Anna, sorella minore della cantante Josephina Cermákova, della quale si era in precedenza innamorato. Il matrimonio, analogo a quello di Mozart con la sorella del suo primo amore, diede in
compenso al musicista una famiglia e una vita affettiva stabile. La modesta
posizione di organista nella chiesa di Sant’Adalberto gli consentì inoltre di
lasciare l’orchestra del Teatro, dove suonava la viola, per potersi dedicare in
maniera completa alla composizione.
Brahms mantenne intatta la benevolenza verso il giovane collega per tutta la
vita con vari atti di tutela generosa e contribuì in maniera determinante a proiettare il nome di Dvořák sulla scena musicale europea, salvandolo da un destino di autore provinciale. Forse quel che colpì Brahms, oltre all’evidente talento,
fu il bisogno di cercare una maggiore chiarezza nel disegno, la necessità di
depurare l’idea musicale dalle scorie che appesantiscono lo sviluppo della
forma. Nella produzione della sua prima fase, Dvořák mostra infatti di allontanarsi dall’influenza della musica di Wagner e della scuola neo-tedesca, che
aveva condizionato in modo più o meno profondo i lavori iniziali.
Il primo Trio pubblicato da Dvořák risale a questa fase di ricerca dell’affermazione professionale. La scrittura del lavoro rivela lo studio e la conoscenza dello
stile classico dei maestri viennesi, ai quali Dvořák si ispirava per quanto riguarda la forma e il linguaggio strumentale. Non si tratta tuttavia di una mera
imitazione di modelli dominanti da parte di un musicista provinciale e subalterno, bensì di un processo di formazione di un proprio linguaggio espressivo
all’interno di una koinè artistica comune. Vienna e Praga erano legate da un
fitto intreccio di rapporti musicali, che rispecchiavano l’asse politico secolare
che univa le due capitali. La musica viennese aveva spesso trovato più risonanze a Praga che in patria, come rivela l’esempio di Mozart. Allo stesso modo
Vienna rappresentava il punto di riferimento artistico naturale per i musicisti
boemi, tra i quali Dvořák non faceva eccezione. Ciò non significa tuttavia che il
Trio in si bemolle sia carente di sfumature di carattere personale e di
un’espressione originale. L’inclinazione per le inflessioni ritmiche e armoniche
della musica contadina slava emergono in maniera chiara, sotto la superficie
rassicurante del linguaggio classico. Nel movimento iniziale, “Allegro molto”, le
figure ritmiche di accompagnamento slittano in continuazione dalla misura pari
a quella dispari, così come le armonie risentono delle influenze modali tipiche
della musica popolare. L’“Adagio molto e mesto” esprime il profondo carattere
melodico della musica di Dvořák, che modella nella tonalità di sol minore un
canto melanconico e struggente. Altrettanto cantabile, ma allo stesso tempo
leggera e spigliata, è la danza dell’“Allegretto scherzando”, che dischiude nel
Trio centrale un luminoso episodio in si maggiore, in netto contrasto con il
carattere corrusco del do minore iniziale. Il Trio si chiude con un appassionato
“Allegro vivace”, pieno di fuoco e di movimento, trascinando il colorito linguaggio armonico dell’autore verso una chiusura gioiosa e categorica.
Dvořák era figlio del suo tempo, e la storia ha dimostrato come la questione
dell’identità nazionale abbia rappresentato il principale problema politico
dell’Europa nel secondo Ottocento. La musica di Dvořák risentiva gli influssi
delle tendenze autonomiste e separatiste emerse a Praga nell’ultimo scorcio del
secolo, espresse con più forza proprio nelle varie forme del linguaggio artistico.
L’ultimo Trio rappresenta una delle dichiarazioni anti-tedesche più radicali
della produzione di Dvořák, un artista in genere di tendenze politiche moderate. Il nome del lavoro, “Dumky”, ha origine in una forma poetica proveniente
dall’Ucraina e molto diffusa anche nella cultura russa. Per Dvořák la dumka
rappresentava una sorta di simbolo delle radici slave della musica boema.
Questo canto perennemente ondeggiante tra languore melanconico ed ebbrezza
dionisiaca era ben radicato nella sensibilità del musicista, che spesso ha usato
la dumka nei suoi lavori. Mai tuttavia in maniera cosi radicale e senza mediazioni come in questo Trio, formato da una successione quasi ininterrotta e
ripetitiva di tali forme. Ciascuna delle sei dumka esprime un carattere particolare, che si riflette nella determinata tinta del linguaggio armonico. Non si può
infatti parlare di tonalità in senso tradizionale, dal momento che l’armonia non
forma una struttura architettonica basata su gerarchie di suoni e rapporti di
forza. La musica infatti si muove su uno sfondo armonico che non si sviluppa
secondo un percorso, ma oscilla come un pendolo tra modo minore e maggiore,
conferendo alla dimensione melodica e ritmica una estrema libertà espressiva.
Ciascuna dumka infatti ruota attorno a un centro tonale di volta in volta diverso, dal mi della prima al do dell’ultima. Le armonie tuttavia slittano continuamente dal modo minore a quello maggiore, seguendo l’andamento improvviso
dell’umore. La scrittura del Trio cerca di rendere nella maniera più efficace
possibile il carattere estroso tipico della musica popolare, seguendo le improvvisazioni dello strumento che di volta in volta si mette al centro della scena.
Malgrado il carattere libero e rapsodico della scrittura, il lavoro segue una
contrapposizione armoniosa di episodi di carattere diverso e una sequenza di
colori tonali accostati in maniera appropriata. Il Trio “Dumky” mette in luce la
sensibilità di Dvořák per la forma, che nella sua apparente semplicità nasconde
una raffinata espressione del chiaroscuro emotivo. L’autore padroneggia la
scrittura mercuriale del Trio con mano felice, lasciando affiorare soprattutto gli
umori melanconici del violoncello, che diventa spesso il principale protagonista
del lavoro.
È significativo che Brahms abbia aiutato generosamente l’amico a pubblicare il
lavoro, accettando di correggere le bozze della partitura mentre Dvořák si trovava in America. Significativo, perché il Trio era forse il lavoro più lontano dalla
rispettiva visione dei due musicisti. Dvořák si liberava per così dire dalla tutela
di Brahms, che a sua volta accettava con intelligenza la strada diversa percorsa
dall’amico. Il “Dumky” separava per sempre Dvořák da Brahms, ma allo stesso
tempo rappresentava la migliore espressione della loro amicizia e della loro
volontà di aprirsi all’altro.
Oreste Bossini
Trio di Parma
Il Trio di Parma si è formato nel 1990 al Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma.
Si è poi perfezionato con il Trio di Trieste alla Scuola di Musica di Fiesole e
all’Accademia Chigiana di Siena. Ha ottenuto importanti riconoscimenti con le
affermazioni al Concorso Internazionale “Vittorio Gui” di Firenze, al Concorso
Internazionale di Musica da Camera di Melbourne, al Concorso Internazionale
ARD di Monaco e al Concorso Internazionale di Musica da Camera di Lione.
Inoltre, nel 1994, ha meritato il “Premio Abbiati” dell’Associazione Nazionale
della Critica Musicale quale “miglior complesso cameristico”. Ha suonato per le
più importanti istituzioni musicali in Italia (Accademia Nazionale di Santa
Cecilia di Roma, Società del Quartetto di Milano, Amici della Musica di Firenze,
Unione Musicale di Torino, Gran Teatro La Fenice di Venezia, Unione Musicale
di Torino, Giovine Orchestra Genovese, Accademia Filarmonica Romana, ecc.) e
all’estero (Filarmonica di Berlino, Carnegie Hall e Lincoln Center di New York,
Wigmore Hall di Londra, Konzerthaus di Vienna, Filarmonica di San Pietroburgo,
Festival di Lockenhaus, Teatro Coliseo di Buenos Aires, Amburgo, Dublino,
Varsavia, Los Angeles, Washington, Barossa Music Festival Adelaide, Rio de
Janeiro, San Paolo). Ha collaborato con importanti musicisti quali Vladimir
Delman, Carl Melles, Pavel Vernikov, Bruno Giuranna, Alessandro Carbonare,
Eduard Brunner; ha partecipato a numerose registrazioni radiofoniche e televisive per la RAI e per diverse emittenti estere (Bayerischer Rundfunk, NDR, WDR,
MDR, Radio Bremen, ORT, ABC-Classic Australia). Ha inoltre inciso l’integrale
dei Trii di Brahms per l’UNICEF, di Beethoven e Ravel per la rivista Amadeus e
di Šostakovič per Stradivarius (“miglior disco dell’anno 2008” dalla rivista
Classic Voice). Il Trio di Parma, oltre all’impegno didattico in Conservatorio e al
Mozarteum di Salisburgo, tiene corsi alla Scuola Superiore Internazionale di
Musica da Camera di Duino e alla Scuola di Musica di Fiesole.
Ivan Rabaglia suona un violino Giovanni Battista Guadagnini costruito a
Piacenza nel 1744 ed Enrico Bronzi un violoncello Vincenzo Panormo costruito a
Londra nel 1775.
Il Trio è stato ospite della nostra Società nel 1994, 1996 e 2010.
Prossimo concerto:
Martedì 17 aprile 2012, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Leonidas Kavakos violino
Enrico Pace pianoforte
L’integrale delle Sonate per violino e pianoforte di Beethoven si conclude con
il terzo concerto della coppia di interpreti Kavakos e Pace, che ha entusiasmato il pubblico nel corso della presente stagione. Il ciclo si chiude con il
più celebre e spettacolare lavoro della letteratura violinistica, la Sonata
Kreutzer, che prende il nome dal violinista francese Rodolphe Kreutzer,
ammirato a Vienna da Beethoven per il suo stile lirico e appassionato. La
Sonata, scritta “quasi nello stile di un Concerto”, rappresenta una autentica
rivoluzione nel genere del duo strumentale, che acquista una dimensione
virtuosistica nuova e inaudita per un genere nato nella prospettiva del consumo musicale domestico. Il resto del programma offre in pratica uno spaccato
dell’intera produzione di Beethoven, grazie a un paio di lavori tratti dalle due
serie principali pubblicate da Beethoven, l’op. 12 e l’op. 30.
Società del Quartetto di Milano - via Durini 24 - 20122 Milano - tel. 02.795.393
www.quartettomilano.it - e-mail: [email protected]
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programma di sala - Società del Quartetto di Milano