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l’opera in Francia
fra Seicento e primo Settecento
«I popoli, non potendo spingere la loro comprensione fino in fondo,
regolano solitamente il loro giudizio sulle apparenze; il più delle volte è
sulle gerarchie e sui ranghi che commisurano il loro rispetto e la loro
obbedienza».
Luigi XIV, Mémoires
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L'enorme successo dell'opera italiana si estese ben presto in tutta
Europa. Da Vienna a Londra a Pietroburgo a Mosca, le principali
corti d'Europa favorirono l'importazione di questo spettacolo. Col
passare degli anni, tuttavia, gli artisti di ogni nazione cercarono di
affermare un linguaggio operistico autonomo e nazionale. Ma
nella maggior parte dei casi questi tentativi o fallivano
rapidamente (come in Inghilterra) o riuscivano dopo anni e anni di
prove (come in Germania dove l'opera nazionale tedesca
cominciò ad affermarsi solo a partire dalla prima
rappresentazione del Franco Cacciatore di Weber nel 1821).
L'unica nazione capace di opporre all'opera italiana uno
spettacolo operistico proprio, fin dalla fine del Seicento, fu la
Francia che, grazie alla forte spinta accentratrice e nazionalistica
esercitata da Luigi XIV (Re Sole), profuse grandi mezzi per
affermare uno spettacolo musicale capace di esprimere la
grandezza e l'autonomia del Paese.
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L’opera francese prenderà il nome di
Tragédie en musique
anche se si diffonderà (e oggi è nota)
come Tragédie Lyrique.
Oltre che alla grandeur di Luigi XIV la
Tragédie lyrique è frutto di alcune fortunate
circostanze politiche che portarono a Parigi
alcune fra le più forti personalità italiane.
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1.
Muore Richelieu (1642). A lui succede il cardinale Mazarino che, con un
gesto arbitrario, introdusse a Parigi l'opera italiana.
2.
Intanto i Barberini, i nipoti di Urbano VIII, caduti in disgrazia sotto il suo
successore (Innocenzo X) trascorrono in Francia il loro esilio dorato. Nel
1647 essi commissionano a Francesco Buti e Luigi Rossi (appartenenti
entrambi alla scuola romana) l'Orfeo, la prima opera scritta per il teatro
parigino.
3.
Prima di Buti e Rossi, nel 1645 la compagnia dei Febiarmonici (sempre su
invito di Mazarino) aveva rappresentato a Parigi un'opera, La Finta Pazza di
Giulio Strozzi con musiche di Francesco Sacrati. Le scenografie di
quest’opera, approntate da Giacomo Torelli, riproducevano l'Ile de la Cité,
con la veduta del Pont-Neuf, del monumento a Enrico IV e dei campanili di
Notre-Dame: era l'immagine della città che ammirava se stessa. Un effetto
che doveva piacere al pubblico parigino, il quale, tuttavia, mostrò ben
presto maggior gradimento nei confronti di altri spettacoli teatrali privi, o
quasi, di musica. Scarso successo incontrarono anche altre opere italiana
allestite più tardi: come ad esempio l’Egisto di Francesco Cavalli
scenografia di Giacomo Torelli per l’opera Mirame
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Dell'opera italiana, i francesi non sopportavano:
1. l'inverosimiglianza dei dialoghi cantati
2. la tendenza a interrompere l'azione con le arie
3. l'inosservanza delle unità aristoteliche (unità di
luogo, tempo e azione)
4. i lunghi vocalizzi
5. la voce dei castrati (i francesi prediligevano la voce
di contralto maschile)
inoltre i francesi mal sopportavano la tendenza promossa da
Mazarino, di italianizzare la vita di corte, tanto che nel 1648
si scatenò una vera e propria caccia agli artisti italiani: Torelli
fu imprigionato, Rossi dovette fuggire.
Solo dopo gli anni ‘50 quest’onda anti-italiana sembrò placarsi. Solo allora vennero
tentati a corte nuovi esperimenti operistici, sebbene si adottò una via più morbida
consistente nell’avvicinare al gusto francese le opere italiane., anche se questo
tentativo finì col francesizzare le opere italiane.
Nel 1654 fu eseguita l’opera Le nozze di Peleo e di Teti con musiche del compositore
romano Carlo Caprioli e splendide macchine teatrali di Torelli, in cui lo stesso Luigi XIV
si esibì come ballerino (nel ruolo di Apollo)
Costume da Apollo (il Sole) che il re
Luigi XIV indossò nei balletti eseguiti
all’interno dell’opera Le nozze di Peleo
e di Teti del 1654.
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Per festeggiare le nozze del re con Maria Teresa di Spagna, nel 1660, fu
rappresentato nel palazzo reale del Louvre l’opera Xerse di Francesco
Cavalli.
Il Xerse venne adattato al gusto francese:
a.
innanzitutto il ruolo contraltile del protagonista fu affidato ad un
baritono
b. i tre atti vennero distribuiti in cinque
c. tra un atto e l'altro furono inserite delle entrées, ossia dei numeri
di balletto composte dal compositore della musica strumentale e da
ballo del re: Jean-Baptiste Lully.
Ciò nonostante il Xerse non piacque molto, come non piacque molto
l'altra opera di Cavalli (libretto di Buti) rappresentata a Parigi: l'Ercole
Amante (1662, Mazarino era morto l’anno precedente).
Nonostante questi sforzi, la Francia rimase l’unico paese europeo in cui
l’opera italiana non riuscì ad attecchire; nel 1666 i musicisti italiani furono
addirittura espulsi dal paese.
Erano maturi i tempi perché venisse forgiato un nuovo tipo di spettacolo
che rispecchiasse pienamente i gusti francesi, fornendo altresì
un’immagine fastosa e trionfale della monarchia borbonica.
Colui che riuscì in quest’intento fu tuttavia proprio un italiano, anche se
naturalizzato francese: Jean Baptiste Lully (1632– 1687). Fiorentino di
nascita, fu condotto in Francia a soli 14 anni. Fu assunto a corte in qualità
di valletto da camera; intanto studiava musica, divenendo così un provetto
strumentista, ballerino e, soprattutto, compositore.
La sua influenza presso Luigi XIV crebbe a tal punto da fargli raggiungere
una posizione sociale mai più conseguita da alcun altro musicista: nel 1653
fu nominato compositore della musica strumentale del re; nel 1661
divenne sovrintendente della musica e compositore della musica da
camera; nello stesso anno ottenne la cittadinanza francese, abbandonando
ufficialmente il suo originario nome italiano di Giovanni Battista Lulli; nel
1662 ottenne la carica di maestro della musica della famiglia reale.
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Oltre a imporre ai musicisti estrema fedeltà al testo scritto
(mentre i musicisti, specie quelli italiani, erano soliti
improvvisare sullo spartito considerato grosso modo come
una traccia), a partire dagli anni ‘60 Lully iniziò a collaborare
con Molière alla creazione di moltissime comédies– ballets:
commedie recitate, intersecate da inserti musicali danzati la
cui trama era spesso inserita nell’azione stessa (fra le più
famose spicca Le bourgois gentilhomme del 1670.
Atto II scena V (la vestizione del borghese) (testo)
Nel 1672 si verifica una svolta brusca nella carriera e nella produzione di
Lully. Dopo il 1669, per iniziativa del librettista Perrin e del musicista
Cambert, si erano infittiti i tentativi di forgiare un'opera francese, capace
di armonizzare alla lingua francese il recitativo usato dagli italiani. Perrin e
Cambert avevano conseguito a questo fine un privilegio del Re, cosa che
non sembrò inizialmente inquietare Lully. Poi però il successo inaspettato
dell'impresa, variò il suo atteggiamento, tanto che, nel 1671, in occasione
degli inconsulti atti di gestione che portarono Perrin alla prigione per
debiti, Lully se ne avvantaggiò immediatamente; si recò a visitare il
prigioniero, ottenendo la cessione del privilegio suddetto in cambio del
pagamento dei suoi debiti. Tale privilegio fu enormemente potenziato nel
marzo 1672 con lettere patenti del re che confermavano questa cessione
e la completavano con l’inibizione a chiunque non fosse Lully di “far
cantare qualunque pezzo musicale intero sia in versi francesi che in altra
lingua, senza il suo permesso, pena un'ammenda di 10.000 lire”.
A partire da questo momento, Lully diveniva di diritto e di fatto padrone
assoluto della scena lirica francese; era assurto al ruolo di Re della Musica
e di questo diritto egli si valse vita natural durante.
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La prima vera e propria tragédie lyrique di Lully venne composta nel 1673 su libretto del
poeta Philippe Quinault (che gli fornirà i testi della quasi totalità delle sue opere): Cadmus
et Hermione.
Fin dalla sua prima tragédie lyrique Lully individuò gli elementi chiave che avrebbe
confermata nella successiva produzione e che diverranno peculiari dell’opera francese.
Ossia:
gli atti sono sempre cinque e sono sempre preceduti da un prologo cantato da figure
allegoriche che esaltano le virtù del re.
Il brano strumentale che precede il prologo allegorico si chiama Ouverture (verrà detta
alla francese o anche lulliana) ed è divisa in due parti: la prima è solenne, accordale e in
ritmo puntato; la seconda è un veloce fugato.
il precetto aristotelico dell'unita' di tempo e' rispettato.
La liaison de scène - la regola che vieta di far uscire di scena tutti i personaggi al termine
di una stessa scena - e' applicata puntualmente e all'interno di un singolo atto non c'e'
mai cambio di luogo.
Ogni scena è morbidamente collegata alla successiva tramite alcune note di passaggio del
basso continuo.
Armide –Ouverture (audio)
partitura
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ouverture, 2a parte
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un momento della rappresentazione di Armide a Versailles
L'orchestra è formata da: violini I e II, viole I e II, un contrabbasso,
legni. Essa inoltre è divisa in due parti: petit choeur (piccola orchestra
di 10 strumenti) e grand choeur (grande orchestra di 24 strumenti)
sovente Lully inserisce dei momenti di musica strumentale
descrittiva.
I cori partecipano attivamente all'azione. La scrittura corale è
generalmente molto semplice, accordale e omoritmica.
Lo spettacolo comprende numerose entrées (momenti danzati)
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non esiste separazione netta tra recitativo ed aria: la declamazione è sillabica
in entrambi; l'aria si distingue dal récit per la ripetizione più o meno
frequente di un verso o due ritenuti particolarmente espressivi. Sia nel récit
che nell’aria l’attenzione alla prosodia è estrema e ciò comporta anche
continui cambi di tempo.
A differenza dell'opera italiana, in cui il tempo dell'azione scorre rapido nei
recitativi e si interrompe nelle arie, nell'opera francese il tempo fluisce con
un decorso regolare.
il verso adottato nei libretti è prevalentemente l'alessandrino (ogni verso è
formato da due emistichi di sei sillabe ciascuno) spezzato a volte dalla
presenza di versi ottonari e novenari.
Aria (audio)
(selezione)
partitura
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Nonostante l’estrema varietà interna dei singoli atti, i
percorsi armonici toccano i gradi vicini. Al tempo stesso si
evince una grande ricerca di simmetria, mediante la
ripresa (testuale o variata) di episodi cantati, corali,
strumentali o danzati.
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Inoltre:
gli episodi comici sono aboliti
i fatti di sangue non avvengono mai sulla scena
il finale è sempre lieto
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Cadmus et Hermione di Jean-Baptiste Lully (1632-1687)
libretto di Philippe Quinault, da Ovidio
Tragédie en musique in un prologo e cinque atti
Prima:
Parigi, Opéra, 27 aprile 1673. Prologo: Palès (S), Mélisse (S), Pan (B),
Archas (Hc), l’Envie (Hc),
Personaggi:
Cadmus (B), due principi di Tiro (T), Arbas (B), Hermione (S), Charite (S),
Aglante (S), la nutrice di Hermione (Hc), due africani (Hc), Draco (B),
Jupiter (B), Junon (S), Pallas (S), l’Amour (S), Mars (B), Vénus (S),
l’Hymen (Hc), il sacerdote di Mars (B), Echion (T); sacerdoti, divinità del
cielo e della terra, seguito di Cadmo e Hermione. Balletto: quattro
giganti, quattro amadriadi, sei sacerdoti, africani, statue d’oro, soldati,
divinità, Comus e suo seguito, amorini, seguito di Pan, venti, pastori e
pastorelle
L’amore tra il principe Cadmo e Ermione, figlia di Venere e Marte, pare
irrealizzabile perché la fanciulla è stata promessa dal padre al gigante
Draco. Per conquistarla Cadmo dimostra il proprio coraggio in diverse
azioni eroiche, ma può ricongiungersi all’amata solo grazie all’intervento
di Pallade e Cupido: le due divinità pongono fine alla lite tra Giove e
Giunone, che era all’origine delle disavventure della coppia, e nel finale
del quinto atto gli dèi, discesi sulla terra, festeggiano le nozze dei due
innamorati.
In tutte le tragédies il prologo costituisce un’allegoria neppure troppo
velata dello splendore di Luigi XIV e degli eventi politici più recenti; nel
caso di Cadmus et Hermione il sovrano è raffigurato dal Sole, che
sconfigge l’Invidia e il mostruoso serpente Pitone, emerso dalla palude
(simbolo della minaccia degli olandesi, che durante la guerra con la
Francia avevano aperto le dighe inondando il territorio).
La tragedia, tratta dalle Metamorfosi di Ovidio, è ambientata nell’antica
Grecia.
cartella
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Jean-Philippe Rameau
Con Rameau la musica d'opera francese entra in una nuova fase.
Jean-Philippe Rameau (1683 – 1764) iniziò la carriera operistica nel 1733, a
cinquant'anni suonati. Tra il 1733 e il 1739 compose le sue opere migliori:
Hippolyte et Aricie (1733), Les Indes galantes (1735), Castor et Pollux (1737),
Les Fetes d'Hébé (1739) e Dardanus (1739). Seguirono cinque anni di silenzio
e di assenza dai teatri probabilmente a causa di notevoli divergenze con la
direzione dell'Opéra. Riprese in seguito a comporre opere mettendone in
scena, fra il 1744 e il 1760, poco più di una dozzina.
I libretti e gli allestimenti scenici
A parte Voltaire, Rameau si servì sempre di librettisti di modesta levatura.
Gli allestimenti erano curati da persone esperte fra le quali spicca il nome di
Giovanni Girolamo Servandoni e François Boucher. Pochi progressi invece
vennero fatti nel settore dei costumi: fin dall'epoca di Lully i personaggi sulla
scena indossavano vestiti appartenenti al mondo contemporaneo; quelli dei
personaggi delle opere di Rameau vestono costumi dell'epoca di Luigi XV ai
quali venivano aggiunti -per creare un effetto realistico!- dei simboli stilizzati.
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Il recitativo
L'aspetto dell'opera di Rameau che più sconcertò il pubblico fu il recitativo, che la stessa
critica del tempo giudicò molto severamente. Quando apparve Les Indes galantes, gli
animi s'accesero al tal punto che egli decise di pubblicare la partitura praticamente senza i
recitativi. Rameau usò tre tipi di recitativo: semplice, accompagnato e misurato.
1. Recitativo semplice
Come Lully, anche Rameau mira a rendere musicalmente il significato espressivo del testo
poetico pur rispettandone la prosodia: ne conseguono continui cambiamenti di tempo.
2. Recitativo accompagnato
Rispetto al primo tipo di recitativo, quello accompagnato -"solennne"-, parco di
figurazioni ritmiche e melodiche, è sostenuto da semplici accordi degli archi e riservato
per lo più a invocazioni e profezie.
3. Recitativo misurato
Il recitativo "misurato" diverge dagli altri tipi solo in quanto il suo ritmo è più accentuato e
la melodia più nettamente delineata e può presentare elementi di simmetria. Il recitativo
misurato consta infatti di una serie di brevi frammenti melodici, ovvero di "ariosi". Nelle
opere di Rameau il recitativo misurato serviva, nel corso di un recitativo semplice, a
sottolineare un passo importante o a rafforzare un momento di forte passione.
I cori
I cori sono uno dei sommi motivi di gloria dell'opera francese in generale e di quella
di Rameau in particolare. Nei cori Rameau verificò la validità delle sue teorie
armoniche. Normalmente essi sono a 4 parti delle quali quella di contralto era
cantata da uomini; si distinguono in grandi (a 4 o più parti) e minori (a meno di
quattro parti).
L'armonia
Per tutta la sua esistenza, Rameau si interessò dei problemi teorici dell'armonia. Nel
principale suo trattato L'armonia ridotta ai suoi principi naturali, pubblicato a Parigi
nel 1722 egli teorizzò il concetto di nota fondamentale (o basso fondamentale) la
quale nota coincide col suono generatore di una serie di armonici naturali, come
dimostrò nel suo Génération harmonique pubblicato nel 1737.
Le ricerche in campo armonico portarono Rameau verso un tipo di opera
armonicamente più complessa rispetto a quella di Lully. Per questa ragione egli
trovò nei "lullisti" degli oppositori accaniti che diedero vita all'ennesima querelle
francese: quella appunto fra rameuisti e lullisti.
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Indes galantes, Les
di Jean-Philippe Rameau (1683-1764)
libretto di Louis Fuzelier
Ballet-héroïque in un prologo e quattro entrées
Prima:
Parigi, Opéra, 23 agosto 1735. Prologo: Hébé, dea della gioventù (S); Be
Personaggi:
Osman, pascià di un’isola turca dell’Oceano Indiano (B); Emilie, giovane ragazza
provenzale, sua schiava (S); Valère, ufficiale di marina, amante di Emilie (Hc); schiavi
africani, marinai (prima entrée); Huascar, inca, presidente della festa del Sole (B);
Phani, ragazza inca di stirpe regale (S); Don Carlos, ufficiale spagnolo, amante di
Phani (Hc); incas, peruviani (seconda entrée); Tacmas, principe persiano, travestito
da inserviente dell’harem (Hc); Alì, suo favorito (B); Zaïre, principessa turca, schiava
di Alì (S); Fatime, schiava georgiana di Tacmas, travestita da schiavo polacco (S);
persiani, persiane, Zéphire, Borée, la Rose, les Fleurs (terza entrée); Damon, ufficiale
francese di una colonia americana (Hc); Don Alvar, ufficiale spagnolo di una colonia
americana (B); Zima, figlia di un capo indiano (S); Adario, capo dei guerrieri indiani,
amante di Zima (T); indiani, soldati e amazzoni francesi, pastori e pastorelle (quarta
entrée)
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Platée
di Jean-Philippe Rameau (1683-1764)
libretto di Adrien-Joseph Le Valois d’Orville, dal balletto Platée ou
Junon jalouse di Jacques Autreau e dalla Periegesi della Grecia di
Pausan
Ballet-bouffon in un prologo e tre atti
Prima:
Versailles, Théâtre de la Grande Ecurie, 31 marzo 1745. Prologo:
Thespis, inventore del
Personaggi:
Platée, ninfa (Hc); Cithéron, re di Grecia (B); Jupiter (B); Mercure (Hc);
Momus (T); Junon (S); la Folie (S); Clarine, una fonte (S); Nakade, serva
di Platée (S); Iris (m); venti, seguito di Momus e della Folie, naiadi del
seguito di Platée, satiri, driadi, contadini
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Lo scenario europeo
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Austria e Germania
L'opera italiana in Germania
Le corti della Germania importarono l'opera italiana. Fin dal 1618 opere
italiane vennero rappresentate sui palcoscenici di Salisburgo, Vienna e
Praga. Particolarmente a Vienna l'opera italiana riscosse notevole successo.
Alla metà del secolo vi si ascoltarono Monteverdi, Cavalli, Cesti, Antonio
Bertali e, più prolifico di tutti, Antonio Draghi (1635-1700) che tra il 1663 e
il 1669 offrì al repertorio viennese qualcosa come centosettanta pezzi
drammatici. Draghi, e il suo librettista Nicolò Minato e l'architetto di corte
Ludovico Burnacini ebbero praticamente in pugno l'opera di Vienna negli
ultimi trent'anni del secolo.
Uno dei principali compositori italiani in Germania fu Agostino Steffani
(originario di Castelfranco Veneto 1654-1728) che scrisse la maggior parte
delle sue diciotto opere tra il 1681 e il 1696. Steffani svolse una funzione
storica di rilievo in quanto fu il principale intermediario tra l'opera italiana
della seconda metà del Seicento e l'opera tedesca.
I libretti delle opere di Steffani differiscono da quelli delle opere di
Pallavicino e di tutti gli altri compositori italiani contemporanei in quanto si
servono di soggetti tratti dalla storia tedesca e perché non insistono sugli
elementi mitologici e spettacolari della vicenda.
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Pier Antonio Cesti
Pier Antonio Cesti (1623-1669) di cui ci rimangono circa dodici opere scritte per i
diversi teatri italiani e per la Germania meridionale è, insieme al Cavalli, uno dei più
importanti operisti del secolo: fra le sue opere spiccano La Dori e soprattutto Il
pomo d'oro (1667) sul mito di Paride e della mela d'oro. Quest'ultima, eseguita per
la prima volta a Vienna nel 1667, si componeva di cinque atti, ben sessantasei scene
che richiedevano ventiquattro scenografie diverse e macchine elaboratissime. Ogni
atto comprendeva diverse danze. Tutte le parti erano cantate da uomini.
Con Cesti aumenta la divaricazione fra recitativo e aria.
Le prime opere tedesche
Dice D. J. Grouth (A Short History of Opera): «Teoricamente un'opera
puramente "tedesca" è un'opera scritta per essere eseguita da artisti
tedeschi di fronte ad un pubblico tedesco, con un libretto originale
tedesco su un soggetto tedesco (o quanto meno non tipicamente
straniero) composta da un tedesco, con musica in stile tedesco (o quanto
meno non predominantemente straniero). Praticamente sono pochissime
le opere (ammesso che ce ne siano) degli inizi che corrispondano a questa
definizione astratta.[...]»
Nella realtà troviamo direttori e cantanti stranieri che si esibiscono
presso le corti tedesche, il cui gusto si era spesso formato su modelli
italiani o francesi; troviamo libretti scritti in italiano, o che sono traduzioni
in tedesco o parafrasi di testi italiani o francesi; troviamo compositori
italiani e compositori tedeschi che scimmiottano la maniera italiana; ma
soprattutto troviamo tutte le possibili combinazioni e permutazioni di
questi fattori.
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L'unica città tedesca che filtrò nazionalisticamente
l'importazione dell'opera italiana di stampo veneziano
proponendo anche opere di compositori tedeschi (il più
importante dei quali fu Keiser 1674-1739), fu Amburgo.
Nel 1678 un gruppo di facoltosi cittadini decise di investire
il proprio denaro per consentire di erigere ed aprire un
teatro d'opera. Ai promotori dell'iniziativa interessava
riprodurre per la propria città l'istituzione degna,
piacevole e civile del teatro d'opera; soprattutto
piacevole, tant'è vero che ad Amburgo le opere si danno
in tedesco e non in italiano.
Ad Amburgo il primo teatro d’opera tedesco “pubblico e
popolare” fu aperto nel 1678 al Gänsemarkt (mercato
delle oche). La prima opera là rappresentata (perduta) era
Adam und Eva di Johann Theile (allievo di Schutz).
A livello di gestione del teatro d'opera, vi sono molte distinzioni col teatro veneziano:
1. La distinzione fra proprietario del teatro e impresario -assai netta a Venezia- è
invece molto labile ad Amburgo: il facoltoso senatore Schott, che sarà alla guida del
teatro per molti anni, è sia proprietario (in quanto detiene una quota di proprietà sul
teatro) che impresario. Dopo Schott il teatro d'Amburgo entrerà in profonda crisi.
2. Ad Amburgo non esiste la concorrenza, causa principale della lievitazione dei
costi d'ingaggio dei cantanti. L'unicità del teatro di Amburgo unitamente ad una legge
che bandiva su tutto il territorio della città spettacoli teatrali diversi da quelli ufficiali
che il teatro proponeva, favoriscono un certo contenimento dei costi.
3. La stagione teatrale -a differenza di quanto accade a Venezia- si svolge lungo
tutto l'arco dell'anno ad esclusione delle principali feste programmate. L'opera di
Amburgo è attiva ogni lunedì, mercoledì e giovedì da gennaio a dicembre per una
media di un centinaio di rappresentazioni all'anno. Ben diversa la situazione italiana
dove un'opera viene rappresentata al massimo una mezza dozzina di volte.
4. Il teatro di Amburgo è cosmopolita: vi si danno opere francesi in francese o in
traduzione tedesca, opere veneziane in italiano o anche queste in traduzione. Verso la
fine del XVII secolo, trionfano ad Amburgo -in traduzione tedesca- le opere di Steffani.
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Inghilterra
In Inghilterra un primo genere teatrale con musica è il masque, spettacolo
mascherato di corte del XVI/XVII secolo che risale ai cortei e agli spettacoli
mascherati del Rinascimento.
Raggiunse il suo apice nel Seicento per opera del poeta Ben Jonson.
Era costituito nel modo seguente:
a) prologo
b) sfilata degli attori mascherati (Masquers, nobili dilettanti)
c) azione principale di contenuto mitologico o allegorico con pantomime, danze,
dialoghi, airs (accompagnati dal liuto), cori (madrigali)
d) finale costituito da un ballo di tutti i presenti (main dance) e dalla deposizione
delle maschere.
Il masque decadde dopo la metà del 1600.
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La prima opera inglese tutta in musica fu The Siege of Rhodes (Londra
1656) musica di 5 compositori diversi e testo di Davenant.
I più importanti compositori inglesi di opera sono: John Blow (16491708) e Henry Purcell (1659-1695).
John Blow fu organista a Westminster e compositore della Cappella
Reale. La sua opera più importante è Venus and Adonis che, a dispetto
dell'umile etichetta di masque con cui l'Autore la definì è un'opera
pastorale vera e propria. Il primo atto, dopo un lungo dialogo fra
Venere e Adone, termina con un coro di cacciatori e un ballo.
Quest'ultimo è vagamente descrittivo, con le acciaccature e i suoni
tenuti che imitano danze venatorie e suoni di corni. In effetti in Venus
and Adonis la musica strumentale ha un ruolo tutt'altro che secondario.
Brani strumentali svolgono il ruolo di intermezzi o di introduzione: si
chiamano genericamente Act Tunes.
Allievo di Blow fu Henry Purcell forse il più grande compositore inglese. Morì
giovanissimo, appena trentaseienne, e con lui morì l'opera nazionale inglese
travolta dal vento dell'opera italiana. Sono soltanto circa una dozzina le
opere di Purcell. Tra queste The fairy queen, The indian queen, The tempest,
King Arthur e la sua più famosa: Dido and Aeneas.
Tutte queste opere -con l'eccezione di Dido and Aeneas- prevedono
momenti recitati in prosa, momenti cantati e momenti ballati. Per tutte vige
il precetto che soltanto ai personaggi minori o periferici e ai personaggi
sovrannaturali, e non ai protagonisti, compete il canto, e che "musicali" per
eccellenza sono i momenti magici o cerimoniali o spettacolari.
Lo stile di Purcell nasce da una straordinaria commistione di elementi di
diversa natura: a parte gli elementi stilistici propri di Purcell, evidenziati
dall'assetto melodico delle parti vocali, dal trattamento dell'armonia, da
particolarità dell'orchestrazione, nelle sue opere si trovano elementi
tipicamente francesi, come il recitativo che protende libero verso l'arioso e
mai verso la rigidità melodica del recitativo secco di tipo italiano, come la
tipica ouverture alla Lully nettamente divisa in due parti (adagio in ritmo
puntato, allegro fugato) (vedi ouverture di Dido and Aeneas).
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Di fonte italiana, invece, è l'uso del basso-lamento e del basso ostinato. La celebre
aria The Plaint tratta da The Fairy Queen si basa appunto su una variante melodica
del tetracordo cromatico discendente, così consueto nell'opera italiana. Ma bassi
ostinati si trovano un po' ovunque nell'opera di Purcell. Egli è un maestro di questo
genere, anche in campo strumentale: brani su basso ostinato (grounds ossia
passacaglie), si trovano di solito nei momenti drammaticamente forti delle sue
opere, al centro degli atti. King Arthur è l'opera che più delle altre presenta
un'ampia tipologia di bassi ostinati.
Su basso ostinato è pure l'aria di Dido Ah Belinda da Dido and Aeneas.
Di radici italiane ma piegato ad una marzialità sonora tutta inglese, è l'aria Come if
you dare (da The Fairy Queen) che prende a modello l'aria per tromba tanto in voga
nell'opera italiana, con due strumenti che concertano nell'introduzione e
nell'intermezzo. Ma nelle mani dell'inglese Purcell questo modello diviene un
omaggio alla regalità inglese suggellata dal suono squillante delle trombe e dalla
marzialità del coro.
I cori sono fra la musica più bella di Purcell. Anche qui esiste una pluralità di modelli:
vi sono quelli ispirati alla musica madrigalistica inglese, quelli semplici e accordali
alla maniera di Lully, e infine quelli che per ampiezza e sonorità anticipano i cori
degli oratori di Haendel. Vedi: Dido, "Belinda e Coro" dall'Atto I.
La morte di Purcell e il successo de Il trionfo di Camilla, regina de' Volsci di Antonio
Maria Bononcini segnarono la capitolazione completa e definitiva dell'opera inglese.
Didone ed Enea
• Dido and Aeneas di Henry Purcell (1659-1695)
• libretto di Nahum Tate
• Opera in tre atti
• Prima (?):
• Londra, Collegio di Josias Priest, ottobre (?) 1689
• Personaggi:
• Dido, regina di Cartagine (S); Belinda, sua confidente (S); seconda donna
(S); la maga (S); due streghe (S); uno spirito (S); Aeneas, principe troiano
(T); un marinaio (S); streghe, marinai, coro
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08/05/2011
Didone ed Enea
Atto I
Lamento di Didone
Atto III
Lamento e morte di Didone
Morte Didone
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05 opera in Europa