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Via Narni, 29 - 00181 Roma - Mensile di informazione - Anno LXI - N° 7 - Luglio 2012
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/C/RM - Una copia € 1,00
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SOMMARIO
NEL SEGNO
DEL SANGUE
EDITORIALE
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Dall’alto dei gabbiani di Michele Colagiovanni
Mensile della Unione Sanguis Christi
dei Missionari
del Preziosissimo Sangue
Anno LXI - N° 7
Luglio 2012
Direttore Responsabile
Michele Colagiovanni, cpps
MISSIONI
Le mucche della provvidenza di Giuseppe Montenegro
SUSSIDI
Il Sangue di Cristo
riscalda la nostra esistenza fredda, gelida di Rosario Pacillo
171
INCONTRO DI PREGHIERA
175
La famiglia di Angela Rencricca
Stampa e fotocomposizione
Stab. Tipolit. Ugo Quintily S.p.A.
Viale Enrico Ortolani, 149/151
00125 Zona Industriale di Acilia - Roma
Tel. 06/52169299 (multilinea con r.a.)
168
ATTUALITÀ
La vita del giusto: dai vizi alle virtù
“La superbia della vita” Madre che genera due figlie:
Vanagloria e ira di Romano Altobelli
179
MISSIONI POPOLARI
Redazione e Amministrazione
00181 Roma - Via Narni, 29
Tel. e Fax: 06/78.87.037
e-mail: [email protected]
http://www.csscro.it
http://www.sangasparedelbufalo.it
MISSIONE A SAN GIOVANNI ROTONDO
Esercizi spirituali del GFASC di Suor Maria Dalcin, ASCJ
“I giovani e la vita piena” di Giovanni Chifari
Antologia di voci
183
184
186
STORIA
188
La casa della Santa di Michele Colagiovanni
Abbonamento annuo
ordinario: € 9,50
sostenitore: € 15,00
estero: $ 22,00
C.C.P. n. 391003
UMORISMO
191
Il lato comico di Comik
UNIONE SANGUIS CHRISTI
Direttore
Autorizzazione Trib. Roma
n. 229/84 in data 8-6-1984.
Iscriz. Registro Naz. della Stampa
(Legge 8-8-1981, n. 416, Art. 11)
al n. 2704, vol. 28, foglio 25,
in data 27-11-1989
Finito di stampare
nel mese di Luglio 2012
Michele Colagiovanni, cpps
Redattori
Italia Accordino, Claudio Amici,
Anna Calabrese, Maria Damiano,
Gabriella Dumo, Aldo Gnignera,
Stefania Iovine, Giovanni Lucii,
A. Maria Mascitelli, Vincenzo Mauro,
Noemi Proietti, Angela Rencricca,
Emanuela Sabellico, Mauro Silvestri,
Carla Taddei.
Grafica: Elena Castiglione
Foto: Archivio USC
Questa rivista è iscritta
all’Associazione
Stampa Periodica Italiana
CENTRO STUDI SANGUIS CHRISTI
Direttore
Tullio Veglianti, cpps
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Dall’alto dei gabbiani
di Michele Colagiovanni
I
l gabbiano… Che strano
nome. Lo diresti uno che sta
in gabbia, come l’ortolano
sta nell’orto, l’ergastolano in
prigione, il sacrestano in sacrestia, il cappellano in cappella, il
ciarlatano intento a dire ciarle e
così via. Invece il gabbiano è
per eccellenza l’uccello che non
conosce gabbia, è il più libero
volatile che ci sia. Solca lo spazio tra cielo e terra, sfiora le
onde e perfora le nubi oltrepassandole. Non fa che volare, tant’è che perfino il poeta ha confessato: «Non so dove i gabbiani abbiano il nido». Io lo so, ma
non lo dico. Ve lo lascio immaginare dalle cose che racconto.
Potrebbe anche essere in una
fenditura della Montagna Spaccata di Gaeta.
Fin da quando mandò in
frantumi l’uovo nel quale era
nato il gabbiano Cion-Bam-Bo
(forse di lontana discendenza
cinese) pensava al volo. Sua
madre, che lo aveva covato, gli
diceva: «Anche io sono nata
come te, in un uovo: una gabbia
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molto più grande di me, quando
cominciai a esistere; ma poi mi
fu stretta, strettissima e senza
alcuno sforzo, con il semplice
crescere, la mandai in frantumi
e uscii all’aperto. Mi accorsi
che stavo dentro un altro uovo,
fatto di mare e di cielo, grande,
grandissimo».
A Cion-Bam-Bo piaceva stare a sentire i racconti della
mamma, che di tanto in tanto
volava via e tornava con un
pesce per loro due. «Stanca di
stare a guardare, una mattina
spiccai il volo» - proseguì
mamma gabbiano mentre il
figlio si ingozzava. «Non devi
pensare che l’uovo nel quale sei
passato ora, uscendo dal precedente, sia tutto quello che vedi,
per quanto grande ti possa sembrare. Con i miei viaggi non ne
ho neppure esplorato la minima
parte, sia in altezza che in profondità, eppure sono due anni
che giro».
Cion-Bam-Bo, mentre la madre raccontava, si abbandonò al
sogno. Come gli piacevano i
racconti di quando non c’era!
Ma intanto i giorni passavano e
le piume gli crescevano. Le
flaccide escrescenze laterali che
sembravano moncherini si irrobustivano e da esse si stendevano lungo i fianchi penne lunghe, leggere. Il corpo, invece, si
copriva di piccole piume, fitte
fitte e lievi lievi, come un alito
di vento sulla pelle prima nuda.
La gagliardia che si accumulava all’interno del giovane gabbiano era percepita da lui non
come peso ma come leggerezza, garanzia del possibile. L’esperienza fu talmente possessiva da portarlo a rendersi conto
tutto a un tratto che la brutta
polpetta di carne aggrovigliata
che era stato fin allora si era fatta affusolata e che il collo aveva
sospinto la testa e il becco assai
discosti da tutto il resto, tanto
che poteva girare quasi attorno
attorno alla propria struttura,
fino alla coda.
A mano a mano che si rendeva consapevole della propria
mutazione si faceva più imprudente e si sporgeva dal davanzale della roccia dove aveva
aperto gli occhi al mondo.
Mamma gabbiano lo trascinò
con il becco fino alla spalliera
della roccia, dicendogli: «Sta
là, perché giù è profondo e se
cadi ti vai a sfracellare sulle
rocce». Cion-Bam-Bo domandò: «Che cosa è la profondità?». Mamma gabbiano rispose:
«Hai ragione. Tu conosci solo
lo spazio, non la larghezza, l’altezza, la lunghezza. Te le spiego. Vedi lo spazio dove stiamo
appoggiati? È una rientranza
nella roccia molto piccola, ma
sufficiente per te, oggi. Io ci sto
perché ci sei tu, altrimenti sarei
in volo perpetuo o a covare un
altro uovo. Ebbene, da dove
comincia a dove finisce, guardando in qua e in là [così dicendo indicò con il becco a destra e
a sinistra della piazzuola] è la
sua lunghezza. Da dove riprende a salire la roccia fino all’orlo
dove comincia a precipitare è la
sua larghezza».
In quel momento mamma
Gabbiano si accorse che CionBam-Bo stava tranquillamente
sull’orlo del precipizio senza
accorgersi che le unghie, ancora molli, delle zampe sporgevano nel vuoto. Dovendo spiegare
l’altezza ritenne opportuno
afferrare con il becco il figlio e
tirarlo indietro. Poi riprese la
lezione. «La roccia che continua sopra di noi è l’altezza».
Invitò Cion-Bam-Bo a torcere il
collo per guardare con l’occhio
rivolto in alto e fare lo stesso,
con maggior prudenza, con
l’occhio rivolto in basso, mentre lo tratteneva per la coda.
Cion-Bam-Bo poté vedere il
pavimento mobile infrangersi
minaccioso con tante fiammate
bianche contro la roccia frantumata alla base. Mamma gabbiano riprese: «È pure altezza la
distanza che ci separa da quella
specie di pavimento ondeggiante che vedi in basso».
Il piccolo rimaneva in dubbio se chiedere spiegazione della lite in corso tra il pavimento
e la roccia, giù in basso, o
lasciare che la madre proseguisse da sé a esporre altre novità.
Riprese la madre: «Esso è perforabile come l’aria, anche se
un poco più denso. A volte sorvolandolo io vedo un pesciolino
adatto a te. Mi appare come una
piuma d’argento che galleggia e
lo catturo a volo radente senza
neppure bagnarmi. A volte,
invece, lo intravedo per un po’ e
poi scompare dentro e devo
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entrare nel pavimento anche io,
parecchio, per afferrarlo. Entro
con tutto il corpo e riemergo. Io
non so dove finisce, non so fin
dove potrei immergermi, ma
potrebbe essere profondo molto
più di quanto noi siamo distanti
da esso. È tutto pieno di animali come quelli che ti porto da
mangiare e vi si muovono dentro come noi nel cielo. Vanno
su, giù, da un lato, da un altro
con fremito, a volte solo per la
gioia di esistere, altre perché si
è diffusa la notizia di un pericolo (che sarei io) o del ritrovamento di abbondanza di cibo.
Vi sono però degli animali
più grandi assai di quelli che
volano nell’aria. Sono grandi
che tu non puoi immaginare.
Pensa che non si sazierebbero
neppure se inghiottissero mille
pesci come quelli che io porto a
te. Si chiamano balene».
Cion-Bam-Bo sognava un
gabbiano grandissimo e lo cercava come un’ombra smisurata
dentro il pavimento, e ecco che
proprio in quel momento, nello
spazio dove volteggiavano a
centinaia i gabbiani, ciarlieri
ora e spaventati, passò con un
frastuono tremendo un aereo
con cinquecento persone dentro. Cion-Bam-Bo pensò che
fosse la Balena evocata dalla
madre per fargliela vedere e
esclamo: «Ecco la balena! Ma
può anche uscire da sotto il
pavimento?». «Questo non è
l’animale di cui ti parlavo. Questo uccello lo hanno costruito
gli uomini a pezzo a pezzo».
«Gli uomini?» - disse CionBam-Bo ripetendo con tono di
domanda il nome dei misteriosi
animali dei quali mamma gabbiano aveva detto il nome. «Chi
sono?».
«Eh» sospirò mamma gabbiano. «Non lo sanno neppure
loro. Sembrano tanto intelligenti e poi si comportano da imbecilli. Possono solo camminare
su due zampe (mamma gabbiano non sapeva che gli uomini
chiamano gambe le loro zampe), ma sono abili inventori di
strumenti con i quali volano nel
cielo, nuotano nell’acqua in
superficie e nelle profondità,
uccidono a distanza di migliaia
di chilometri e guariscono un
ferito…. Costruiscono abitazioni più alte della roccia sulla
quale ci siamo accampati noi,
spopolano il mare dei pesci che
ci occorrono… Sono più voraci
delle balene».
Adesso Cion-Bam-Bo non
stava a sentire incantato. Mentre ascoltava passava in rassegna orgoglioso le centinaia (ma
che centinaia? le migliaia) di
penne da cui era fasciato. Quelle lunghe delle ali e della coda
le percorreva in tutta la loro
lunghezza, una per una, nella
forbice del becco, come se
avesse voluto spezzettarle, in
realtà con una delicatezza
straordinaria e le riponeva nell’assetto giusto. Le piccole non
le selezionava una per una, poiché formavano in apparenza
una maglia inconsutile; frugava
al loro interno come se volesse
controllare che fossero ben
innestate al corpo. Infatti qualcuna gli rimaneva nella forbice
e se ne liberava strofinando il
becco sulla roccia.
«Sono grande» – si disse un
giorno, a conclusione della lunga ispezione. «No, sei ancora
troppo giovane!» – ribatté la
madre con tono allarmato. Senza neppure concedere un secondo di attenzione alla frase
della madre, Cion-Bam-Bo si
mise a sventagliare l’aria con
entrambe le ali sul davanzale
dello strapiombo sul quale stavano e notò che grazie alle ali
poteva sporgersi nel vuoto e
rientrare nella sicurezza dell’appoggio. Sembrò un segno di
esultanza e lo fu perché ripeté
più volte l’atto. Si era accorto
allora quanto fosse grande. Ma
vi fu un di più. Aveva percepito che con quel movimento
riusciva a rendersi più leggero,
fino a non pesare affatto. Giurava a se stesso che per una frazione di istante le sue zampe si
erano staccate dal davanzale
della roccia in faccia al mare,
dove aveva fin allora abitato.
Non poteva restare piantato là
uno che si era nutrito di cielo e
di distese d’acqua irrequieta.
Aveva tanta voglia di sondare
quelle due immensità.
Stando fuori dal davanzale
solo per un istante precipitò giù.
Un istinto gli fece muovere le
ali e la coda nella maniera giusta e sentì che non solo poteva
galleggiare nell’aria all’altezza
che sceglieva, ma anche muo-
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versi in qua e in là. Puntò dritto
a superare l’altezza della roccia
nella quale, in una nicchia, aveva vissuto. Non si era reso conto che dietro di lui era saltata
nel vuoto anche sua madre, che
l’aveva covato, nutrito e difeso
durante il periodo che va sotto
il nome di immaturità. E ora,
standogli al fianco, gli diceva:
«Ho fatto tanto, per te! Non
voglio che ti perda adesso che
credi di poter fare da te».
Cion-Bam-Bo, a quelle parole sentì venir meno l’entusiasmo dell’avventura. La mamma
gli disse: «Hai preso la direzione della terra degli uomini. La
conosco. Avrei preferito che
restassi sul mare, che è il nostro
regno fin quando gli uomini ce
lo lasciano abitabile. Ho visto
qualcuno dei nostri tutto bitumato… Pensa: gli uomini lo
hanno ripulito e riconsegnato al
volo! Io ho visto tutto questo
con gli occhi miei. Come posso
rispondere alla tua domanda:
chi sono gli uomini? Ti darò
una risposta provvisoria. Noi
siamo gabbiani! Dobbiamo
esserne fieri. Anche perché siamo così e non possiamo essere
che così. Per fortuna è una bellissima vita, la nostra. L’uomo,
invece, è ciò che vuole. Non
sempre finisce in una condizione bellissima».
A un tratto mamma gabbiano
sentì che Cion-Bam-Bo aveva il
fiato corto. Gli disse: «Figliolo,
devi sfruttare le correnti favorevoli. Se non facciamo così, noi,
che viviamo in volo, non ce la
faremo mai. Vieni più vicino a
me e impara a riconoscerle. Prima di tutto, convinciti che ci
sono. Se ne sei convinto, le trovi». Doveva essere veramente
allo stremo Cion-Bam-Bo, perché pur con uno sbuffo di impazienza si avvicinò alla madre e
notò davvero che dove passava
lei si volava nel riposo assoluto.
Con le ali distese, i due si
lasciarono trascinare verso l’interno del territorio, che partendo
dal promontorio mozzato sul
mare, alla cui base continuavano a ribollire le onde, degradava
in pianura sulla quale ferveva
l’attività degli uomini.
Intanto Cion-Bam-Bo andava dicendo: «Lo avrei trovato
anche da me questo fenomeno
che permette di navigare senza
fatica. Non l’ha mica inventato
lei! Esiste in natura e quindi...».
Il gabbiano madre, vedendo il
figlio godersi quel volo senza
una parola di gratitudine, ruppe
il silenzio e disse: «Adesso non
crogiolarti pensando che sia
sempre un divertimento. Le
correnti cambiano direzione e
devi sapere dove vuoi andare.
Inoltre qui non siamo sul mare,
dove basta scendere per mangiare. Qui occorre conoscere i
siti e accontentarsi».
(continua)
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4000 Messe Perpetue
I Missionari del Preziosissimo Sangue, per facilitare
la comunione di preghiera tra vivi e defunti, hanno
istituito da oltre un secolo l’ Opera delle 4000 Messe
Perpetue.
Ogni anno vengono celebrate 4000 Messe per tutti gli
iscritti, vivi o defunti.
Per associarsi, o per iscrivere i propri cari, basta
versare l’offerta di una Messa, una volta per sempre.
Si rimane iscritti in perpetuo.
Viene rilasciata una pagellina con il nome della persona
iscritta.
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Tel. e fax: 06/7
Abbonamento annuo alla Rivista
Nel Segno del Sangue
Ordinario: € 9,50 - Sostenitore € 15,00
Estero $ 22,00
Ringraziamo tutti coloro che
rispondono con tanta generosità.
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Missioni
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Le mucche della
provvidenza
di Giuseppe Montenegro
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Missioni
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I
n Africa tropicale chi volesse contare i bovini si
smarrirebbe come se contasse le stelle del cielo. Certo
sono più della popolazione che
vive nei diversi Stati. Generalmente sono buoi di razza zebù.
Hanno cioè una riserva di grasso sulla spalla che li fa sembrare come se avessero una
gobba. Questa riserva è utile
per le bestie, naturalmente,
altrimenti la natura non la consentirebbe. Consente l’adattamento al clima e ai momenti di
carestia.
Le mandrie servono per la
carne da vendere, per fare
festa, per scambio di merce,
per dote del ragazzo da dare
alla famiglia della ragazza al
momento di sposarsi.
In rapporto alla dote, è
usanza in Tanzania che quando
nasce una bambina si fa grande
festa, perché la sposa farà
arricchire la propria famiglia;
la quale riceverà una quantità
considerevole di vitelli al
momento dello sposalizio. La
ragazza sarà valutata sempre di
più per il rango della famiglia,
per la sua bellezza e giovinezza e per la cultura o mestiere
che esercita e per il numero di
mucche che procurerà ai suoi.
Al calare del sole le innumerevoli mandrie rientrano nei
recinti accanto alle case dei
proprietari. Esse si sono già
abbeverate dopo il pascolo. Si
formano allora scene meravigliose che si caratterizzano per
il belare dei piccoli che richiamano le loro madri per una
abbondante poppata prima che
venga la notte.
Vi racconto un fatto curioso
che mi è capitato. Durante l’evangelizzazione si insegna ai
neofiti l’uso della Bibbia.
Generalmente ogni famiglia ne
possiede una. Si è diffusa l’abitudine che uno legga mentre
gli altri ascoltano e si fanno
delle domande tra di loro per
entrare più in profondità sulla
comprensione dei vari avvenimenti del libro sacro. È sorprendente partecipare alle loro
animate discussioni. Soprattutto la sera, quando la temperatura si abbassa di molto, la
gente crea un falò con la legna
abbondante che hanno, si pongono seduti in cerchio attorno
al lettore e dibattono su vari
avvenimenti del villaggio e
degli episodi biblici. Il Missionario, dopo avere terminato il
suo lavoro pastorale e di aiuto
agli infermi, si unisce al gruppo per ascoltare e rispondere.
In uno di questi incontri, si
parlava della strana avventura
capitata a Noè quando inventò
il vino. Noè attirato dal sapore
e dalla dolcezza, ne bevve
quanto ne voleva, ma gli effetti secondari si fecero subito
visibili. Si ubriacò, si spogliò
nudo e cadde ubriaco a dormire saporitamente per terra,
pensando di stare a letto!
Dal capitolo nono del libro
della Genesi leggiamo: 20Ora
Noè, coltivatore della terra,
cominciò a piantare una vigna.
21Avendo bevuto il vino, si
ubriacò e giacque scoperto
all`interno della sua tenda.
22Cam, padre di Canaan, vide
il padre scoperto e raccontò la
cosa ai due fratelli che stavano
fuori. 23Allora Sem e Iafet
presero il mantello, se lo misero tutti e due sulle spalle e,
camminando a ritroso, coprirono il padre scoperto; avendo
rivolto la faccia indietro, non
videro il padre scoperto.
24Quando Noè si fu risvegliato dall`ebbrezza, seppe
quanto gli aveva fatto il figlio
minore; 25allora disse: «Sia
maledetto Canaan! Schiavo
degli schiavi sarà per i suoi
fratelli!». 26Disse poi: «Benedetto il Signore, Dio di Sem,
Canaan sia suo schiavo!
27Dio dilati Iafet e questi
dimori nelle tende di Sem,
Canaan sia suo schiavo!»
(Gen 9, 20-26).
Fin qui il brano biblico era
preciso e condividevo con loro
il racconto. Ma poi sorse una
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domanda molto insidiosa. I
presenti mi dissero: ”Il figlio
maledetto da Noè siamo noi,
vero? Perciò siamo neri e
schiavi degli altri due figli, è
così?
“Assolutamente NO” - risposi subito. Pensai chi fosse
stato il malvagio che aveva
dato tale interpretazione al brano. Chi mai aveva spiegato che
il figlio maledetto da Noè fosse diventato nero e gli altri due
benedetti fossero bianchi. La
loro domanda era risoluta: “Si
o no?”.
Insistetti con tutte le forze
che era “no”. Allora come
spiegare i due colori? Cercai di
dare spiegazione con i vari
colori dei fiori… Ma non
vedevo l’espressione soddisfatta del loro viso. Cercai di
spiegare che stando sotto tale
temperatura del sole si prende
una tinta più forte, ma anche
questo non ottenne soddisfazione.
In Europa tu spieghi che
uno è puro o innocente e si
dice è bianco come la neve.
Volevo raccontare che loro
sono innocenti e che il loro
colore non dipende dal fatto
raccontato dalla Bibbia. Ma
come spiegarlo in Africa dove
la neve non la vedono e non
cade mai...
Mentre parlavo chiedevo
lume al Signore per dare una
spiegazione esauriente alla
loro domanda. Avrei voluto
picchiare chi aveva dato una
spiegazione così orribile di
questo brano biblico… Forse
l’aveva data qualche Pastore
protestante o qualche razzista
di altri tempi.
Cercavo scientificamente di
spiegare come i pigmenti della
pelle dipendevano da diversi
componenti organici. Ma tutti i
miei sforzi risultavano inutili.
Dissi anche con forza che il
colore nero è bello e che i presenti erano tutti belli e belle e
simpatici. Ma non c’era soddisfazione sul loro volto.
Finalmente il Signore mi
dette una illuminazione. Pensai che il bianco del latte mi
poteva aiutare in questa discussione. Non molto lontano
da dove godevamo il tiepido
calore del falò c’era una mandria di buoi. Vidi esattamente
mucche nere e mucche bianche.
Per risolvere praticamente
la differenza di colore dissi:
“Vi racconto una cosa molto
importante che vi potrà spiegare tutto ciò che stiamo discutendo”. Gli occhi di tutti mi
fissarono con intensità. Continuai: “Ebbene voi avete ragio-
ne che ci deve essere una differenza, perché so bene che le
mucche bianche producono
latte bianco… e le mucche
nero producono latte nero!”.
All’unisono si sentì un fortissimo “NO”.
Continuai “come il latte è
bianco anche se le mucche
sono nere… così l’anima di
tutti è bianca anche se abbiamo
colori diversi… Siamo tutti
uguali”. Tutti acconsentirono e
i loro volti divennero luminosi,
raggianti. Aggiunsi “La benedizione di Dio è per tutti, perché siamo tutti uguali”. Uno
scroscio di applausi venne
all’improvviso, come una liberazione da un’angoscia che li
opprimeva.
Con tono autorevole aggiunsi: “Vedete anche il sangue è rosso sia per i bianchi
che per i neri, siamo dello stesso sangue che ha preso Gesù
venendo al mondo, quindi siamo consanguinei con Lui”.
Erano tutti più che soddisfatti,
esaltati dalla verità.
Tirai un sospiro di soddisfazione, come chi ha superato a
pieni voti un esame di laurea
molto difficile. La conversazione da quel giorno divenne
un vero approfondimento della
Parola di Dio.
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Sussidi
Il Sangue di Cristo
riscalda la nostra esistenza
fredda, gelida
di Rosario Pacillo
CANTO INIZIALE
S. Il Sangue di Cristo infuocato dallo Spirito celeste, che scioglie il gelo dai nostri cuori increduli e riscalda la nostra vita indifferente e fredda verso i nostri fratelli, sia con tutti voi.
T. E con il tuo spirito.
Il sacerdote introduce brevemente la preghiera.
Dal Libro dei Salmi (147, 12-20)
Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.
Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fior di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.
Fa scendere la neve come lana,
come polvere sparge la brina,
getta come briciole la grandine:
di fronte al suo gelo chi resiste?
Manda la sua parola ed ecco le scioglie,
fa soffiare il suo vento e scorrono le acque.
Annunzia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.
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Sussidi
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Dal Vangelo secondo Giovanni (18, 15-18)
Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme con un altro discepolo. Questo discepolo era
conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro
invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote,
tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: “Non
sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?”.
Egli disse: “Non lo sono”.
Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano;
anche Pietro stava con loro e si scaldava.
TESTI PATRISTICI MEDIEVALI
Dall’Esposizione sui Salmi di Sant’Agostino (Sal. 147, 25)
“Che cos’è un ghiaccio? Neve molto dura, molto congelata, tanto che non si scioglie così
facilmente come la neve comune. La neve indurita, con il passare di molti anni o di secoli,
uno dopo l’altro, si chiama ghiacciaio... Ci sono tipi molto duri, da paragonarsi non alla neve,
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ma al ghiacciaio... Basta che ci pensiamo un istante e subito ce ne
vengono in mente di persone che anche noi conosciamo: gente
dura, ostinata, resistente di fronte alla verità... Come Paolo: duro,
ostinato contro la verità, urtante contro il Vangelo, quasi volesse
restare solido a dispetto del sole”.
Dall’Esposizione sui Salmi di Sant’Agostino (Sal.
147, 26)
“Sono intirizzito dal freddo, sono congelato: quale calore mi
scioglierà, sicché io possa correre? Chi mi libererà da questo corpo di morte? Chi può reggere di fronte al suo freddo? Ecco cosa
risponde il Salmo: “Invierà la sua parola e li squaglierà”. Che
significa “li squaglierà”? Non dovete intendere in senso peggiorativo questo squagliarsi. Vuol dire: “Li struggerà, li scioglierà”.
Quando sui mucchi di neve si spande il calore del sole, si liquefanno e si abbassano... Soffia lo spirito che brucia, si scioglie il
congelamento della cattività e della superbia e si corre verso Dio
nel fervore della carità”.
Dal Commento al Vangelo di S. Giovanni di S.
Bonaventura (XVIII, 32)
“Giovanni racconta che i servi e le guardie avevano acceso un
fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano. Anche Pietro stava
con loro e si scaldava”. Qui si descrive il terzo aspetto del rinnegamento di Pietro, cioè il raffreddarsi dell’amore. Pietro già
dimentico del Signore, stava per scaldarsi al fuoco con i servi e
così, intiepidito senza calore interiore, cercava consolazione al di
fuori. Al fuoco, prima di Pietro, si erano accostati i servi e le guardie, cioè coloro che avevano catturato Gesù. Giustamente Agostino ricordava che non era il tempo dell’inverno e tuttavia era ancora freddo, come suole accadere talvolta nell’equinozio di primavera. Ma Pietro si
riscaldava perché aveva perduto quel fuoco di cui aveva parlato Gesù: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra”. Difatti era diventato tiepido. Beda nel suo commento dice che a tal punto il primo degli Apostoli si era intiepidito per il gelo dell’infedeltà, che ebbe paura a confessare Cristo, alla parola di una sola serva.
Dalle omelie sul Cantico dei Cantici, di San Gregorio di Nissa (V)
Poiché la natura umana era diventata pietra a causa dell’idolatria, ed era immobile nei confronti del meglio, tutta rappresa nel gelo del culto degli idoli, per questo motivo sorse su questo tremendo inverno il sole di giustizia. Si realizza così la primavera che scioglie siffatto gelo
e riscalda, col sorgere dei raggi del sole, tutto quanto è al di sotto. E così l’uomo che era diventato come pietra ad opera di quel ghiaccio, riscaldato dallo Spirito e intiepidito dal raggio del
Logos (Cristo) ritornò ad essere acqua che sprizzava per la vita eterna.
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Da “Il sacramento dell’Altare”, di Baldovino di Ford (II, 37)
“Cristo il sole di giustizia, emise il suo calore quando, all’ora sesta, innalzato sulla croce per
noi, riversò sul mondo (mediante il suo Sangue) il fuoco della sua carità... Nella morte egli è
stato dissolto, per la potenza del suo amore e della sua intima compassione: ed allora si è verificato veramente lo sciogliersi della manna... Anche in noi comincia a scaldare il sole quando il nostro cuore brucia dal desiderio di amare Dio”.
Il sacerdote aiuta la riflessione con un breve pensiero al termine del quale ognuno, in silenzio, può riflettere sulle circostanze in cui la sua fede e la sua carità appaiono gelide, e può chiedere a Gesù che con il fuoco proveniente dall’Eucarestia, possa scaldare la propria vita.
PREGHIERE LIBERE
Ad ogni intenzione rispondiamo con il versetto:
“Il tuo Sangue, infuocato dallo Spirito,
riscaldi il mio cuore freddo e indifferente”.
PADRE NOSTRO
Il tuo corpo donato
e il tuo Sangue versato,
come dalla Croce,
irradino per noi luce,
bontà da gustare,
calore da accogliere
per riscaldare la nostra esistenza
troppo fredda, per la durezza del cuore,
troppo gelida per l’incredulità,
troppo insensibile a motivo dell’egoismo.
Il tuo Sangue, uscito caldo
dalla fornace del tuo costato,
ammorbidisca il nostro cuore indurito;
riaccenda in noi il desiderio di amarti,
renda piena di zelo la nostra vita,
riscaldi le nostre parole,
riapra le nostre mani alla carità,
ci faccia godere fin da ora
la gioia della fiamma ardente
che è nel tuo paradiso.
Amen.
Al termine dell’incontro prendiamo davanti al Signore l’impegno di sciogliere, chiedendo l’aiuto al Signore, qualche situazione in cui viviamo in modo freddo dei rapporti con i nostri familiari ed amici.
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INCONTRO DI PREGHIERA
luglio 2012
La famiglia
di Angela Rencricca
CANTO
ESPOSIZIONE EUCARISTICA
ANNUNCIO DELLA PAROLA
È vitale, oggi, ritrovare i fondamenti sui quali un nucleo familiare dà valore al suo
essere, e con i quali questo nucleo si propone di contribuire allo sviluppo di una
società più giusta, minacciata dai tentativi di allontanare Dio dalla visione distorta
dei comportamenti sessuali e dal degrado dei rapporti tra le persone, nonché dai
gravi problemi economici e sociali che incombono ai nostri giorni.
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Incontro di preghiera
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La famiglia, intesa come famiglia cristiana, è il nucleo fondamentale per un sano
sviluppo dei suoi componenti nel contesto interno ad esso e proiettato verso gli altri.
I coniugi, in modo particolare, hanno il compito di dare una testimonianza valida della propria fede, ma non sempre i componenti del gruppo praticano la fede in
modo coerente o addirittura viene a mancare. La disparità del sentimento religioso
è anche causa di crisi nei rapporti di coppia, in quanto l’amore non è più vissuto
come sentimento di donazione di sé e rispetto, ma prevale la forma egoista di una
ricerca di piacere personale. Le diverse situazioni di criticità nei rapporti familiari e
verso l’esterno, sono il frutto della mancanza di un interesse comune che si riflette
nella educazione religiosa dei propri figli. È all’interno di questo contesto che i componenti della famiglia devono svolgere una prima attività missionaria mirata ad
avvicinare e a far aderire alla fede i congiunti che ne sono lontani.
È necessario riappropriarsi del vero significato dell’amore cristiano, che mira al
bene dell’altro cercando di comprendere e accogliere.
L’amore con la “A” maiuscola da prendere come esempio per crescere nella fede,
è senza dubbio l’amore donatoci da Dio.
Cristo, come Dio, sarebbe potuto apparire al mondo come, quando e nelle sembianze che avesse voluto, ma ha scelto di presentarsi al mondo incarnandosi uma-
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Nel Segno del Sangue
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namente in un bambino da una madre e da un padre, se pur non consanguineo,
umani.
Nella famiglia il bambino è amato e impara ad amare a sua volta dall’amore ricevuto, che lo porterà in futuro a trasmettere ad altri l’esperienza di
”… una pronta e generosa disponibilità di tutti e di ciascuno alla comprensione, alla tolleranza, al perdono, alla riconciliazione…”
(Familiaris Consortio).
Spesso non si è consapevoli del reale ruolo che ogni componente assume all’interno del nucleo. Una caratteristica importante che contraddistingue un gruppo di
persone, è la consanguineità che in ambito civile comporta uguali diritti, e questo
deve intendersi come “fattore” di comunione. Quando la consanguineità non è vista
come “valore” di comunione, può diventare fonte di egoismi per la stessa famiglia e
causa di esclusione degli altri. Nelle famiglie cristiane questo provoca spesso confusione, facendo privilegiare il rapporto con i figli, diretti consanguinei, sminuendo
quello con il coniuge:
“… Nessuna famiglia ignora come l’egoismo, il disaccordo, le tensioni, i conflitti aggrediscano violentemente e a volte colpiscano mortalmente la propria
comunione: di qui le molteplici e varie forme di divisione nella vita familiare”
(Familiaris Consortio).
La consanguineità non deve essere intesa come fattore assoluto per il rapporto
interpersonale, ma deve aprirsi alla assunzione di un valore al di sopra dell’esperienza e della percezione fisica umana (trascendenza) del sangue di Cristo che è
l’unica garanzia di comunione e vincolo di vero amore. Questo è evidente nella
famiglia che Gesù ha scelto per venire al mondo, il sangue di Gesù umano, donato
dalla madre, diventa divino perché è il sangue del Figlio di Dio; Giuseppe è il padre
di Gesù anche se tra loro non c’è consanguineità: diventa chiara la trascendenza dei
fattori umani.
Da questo si può affermare che la famiglia è il nucleo di partenza di una visione
più ampia del disegno di Dio, indicata dal suo stesso Figlio nel suo sacrificio sulla
croce:
“… Vedendo la madre e lì accanto il discepolo che egli amava, disse alla
madre: ‘Donna, ecco il tuo figlio’! Poi disse al discepolo: ’Ecco tua madre’! E
da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Gv 19, 26-27).
Su questo Giovanni Paolo II afferma “di vedere il profondissimo legame che intercorre tra il sacramento del Corpo e Sangue del Signore e quella prima vitale cellula
della società che è la famiglia”. Nella realtà umana la madre viene privata del Figlio,
il Figlio sulla croce grondando sangue dà a sua madre una “casa”, una “famiglia”.
Una famiglia che rafforza il legame al sangue di Cristo, mantiene il legame originale della consanguineità naturale, e inserisce un fattore umano in un valore che
lo esalta e lo trascende: la consanguineità dei figli di Dio.
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Incontro di preghiera
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Nel Segno del Sangue
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Per attuare il disegno di Dio, la famiglia deve ritrovare il senso profondo rispondente alla propria realtà, deve ritrovarsi comunità di amore e di salvezza in una forte spinta di spiritualità.
La famiglia cristiana intraprendendo un cammino di conversione, vive l’amore
come comunione e servizio, come dono reciproco e apertura verso tutti, riflette nel
mondo l’amore di Cristo.
CANTO
RIFLESSIONI
Dalla capanna dove è venuto al mondo fino agli ultimi momenti della sua vita terrena, la famiglia per Gesù, ha avuto grande importanza per l’attuarsi del disegno di
Dio. È utile riportare alla mente l’episodio delle nozze di Canaan. Lo scenario comprende i componenti di una famiglia già formata (Gesù, e Maria) e una che sta
nascendo e che incontra la sua prima difficoltà. Gesù presente in quel momento,
per intercessione di sua madre ha aiutato la nuova famiglia a superare la difficoltà.
Quanto sentiamo la presenza di Cristo all’interno della nostra famiglia?
Quanta importanza diamo al valore della preghiera?
Ci uniamo ora a tutta la Chiesa per offrire al Padre il dono preziosissimo
del sangue di Cristo, nostra gloria, salvezza e risurrezione.
Eterno Padre, noi ti offriamo con Maria, Madre del Redentore del genere umano, il sangue che Gesù sparse con amore nella passione e ogni giorno offre in sacrificio nella celebrazione dell’Eucaristia.
In unione alla vittima immolata per la salvezza del mondo, ti offriamo le
azioni della giornata in espiazione dei nostri peccati, per la conversione dei
peccatori, per le anime sante del purgatorio e per i bisogni della santa
Chiesa. E in modo particolare:
Generale: Perché i carcerati siano trattati con giustizia e venga rispettata la loro dignità umana.
Missionaria: Perché i giovani, chiamati alla sequela di Cristo, si rendano
disponibili a proclamare e testimoniare il Vangelo sino agli estremi confini
della terra.
BENEDIZIONE EUCARISTICA
CANTO FINALE
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Attualità
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LA VITA DEL GIUSTO:
dai vizi alle virtù
“LA SUPERBIA DELLA VITA”
Madre che genera due figlie:
Vanagloria e Ira
di Romano Altobelli
Parlare dei vizi serve per esercitarsi nell’acquisto delle virtù. Più si è virtuosi, meno si è viziosi. Proviamo a conoscere la superbia per imparare ad essere umili.
Il tempo natalizio è il momento giusto per farci introdurre magistralmente da S. Agostino nella dinamica esistenziale umana e cristiana della superbia – umiltà:
“Cosa vuol dire preparate la via del Signore se non: siate umili nei vostri pensieri? Prendete esempio di umiltà da Giovanni Battista che, scambiato per il Cristo, dice di non essere
colui che gli altri credono sia. Si guarda bene dallo sfruttare l’errore degli altri per una sua
affermazione personale. Se avesse detto di essere Cristo, sarebbe stato facilmente creduto,
perché, poiché lo si credeva tale prima ancora che parlasse. Non lo disse: si riconobbe, si
distinse, si umiliò. Avvertì dov’era per lui la salvezza: comprese di essere lucerna e temette, ebbe timore, perché non venisse spenta dal vento della superbia”
1
(Discorso 293,3) .
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Attualità
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Cristo Gesù è l’antitesi di tutti i vizi capitali. Il Figlio di Dio
si presenta nella storia umana
come uomo, pur essendo Dio. Si
umilia facendosi quello che non
è: è Dio e si fa uomo - servo. La
“Grandezza” si fa” Piccolezza”!
Invece, l’uomo, piccolo, si fa
grande: si fa dio. Entriamo,
così, nella superbia intellettuale,
l’attribuirsi una gloria che non è
propria: la vanagloria.
Umiltà nei pensieri e nel cuore è l’antitesi della superbia
vanagloriosa e irosa. Alla fine
del IV secolo troviamo Evagrio
del Ponto, grande asceta e scrittore di cose spirituali, che per
primo parla di vizi capitali2. Ne
enumera otto, che S. Gregorio
Magno riduce a sette3: alla superbia, il primo dei vizi capitali,
abbina la vanagloria chiamata
anche vanteria. La superbia
intellettuale e vanagloriosa si
manifesta con la disubbidienza,
la iattanza, l’ipocrisia, la caparbietà, la discordia e la pretesa
delle novità.
Diagnosi
della superbia intellettuale,
vanagloriosa e irosa
La superbia ha due figlie: la
vanagloria e l’ira. Anche l’ira,
figlia della superbia ha le sue
espressioni: si scopre con le risse, il gonfiore della mente, gli
insulti, le strilla, l’indignazione
e le bestemmie.
La superbia della mente, della vanagloria e dell’ira è presente nelle varie fasi della vita, perché la persona umana tende
all’affermazione del proprio
“io” a danno degli altri e a chiudersi nel proprio “io” egocentri-
co. In questo modo è destinata a
distruggersi. Il superbo si rivela
e si presenta in modo vanitoso,
perché in cerca di gloria che non
ha: è vuoto, perciò, vana-glorioso; diventa anche goffo, perciò ridicolo. La superbia dei
pensieri porta all’autosufficienza, alla presunzione, all’ambizione. Si comprende, allora,
perché il superbo vana-glorioso
diventa prepotente, fino a
distruggere anche la verità: ha
lo scopo di raggiungere i propri
interessi. L’altro non esiste se
non per usarlo e umiliarlo.
La vanagloria nella superbia
vuole attirare l’attenzione per
essere ammirato e approvato.
Non dà pace al ragazzo e al giovane finché non ha gustato una
lode, finché non si sente dire che
è bravo. Gli adolescenti e i giovani sono succubi del “bullismo”, fenomeno che rivela il
vuoto del soggetto e la vanità
della sua gloria. Gli adulti manifestano il loro orgoglio sentendosi autosufficienti, non bisognosi di alcuno; la loro presunzione parte dal di dentro e si
manifesta con una chiarezza
insopportabile. Altro modo superbo dell’adulto è l’ambizione
e il successo: vivere per attestare a se stessi i traguardi raggiunti e farli conoscere agli altri. Finché non sale sul piedistallo e non
siede sul trono, non si dà pace.
Una volta arrivato, per giustificarsi si dà anche una motivazione sociale, politica, addirittura
missionaria. Oggi, tipi di persone contagiate dalla malattia della superbia vana-gloriosa, sono
sotto i nostri occhi e sono una
rovina per tutti, per la famiglia,
per la società. I figli, spesso,
sono condizionati da padri e
madri che pretendono da loro
quanto non hanno potuto realizzare e, poi, poter dire: “mio
figlio è…; mia figlia è…”.
S. Giovanni nella sua prima
lettera indica bene le tre radici
dei vizi capitali: “La concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, la concupiscenza della vita” (2,16). A noi,
qui, interessa rilevare la concupiscenza della vita, perché questa non è altro che cercare il
proprio “io” a livello dell’essere. È una radice avvelenata che
condiziona tutta la nostra vita: i
pensieri, le scelte, le decisioni, i
comportamenti. Se non si è
attenti e oculati questo veleno
forma i serpenti velenosi: “Sarai
come Dio”, dice il serpente ad
Adamo ed Eva. “Basto a me
stesso”, “non ho bisogno di te”,
si dice orgogliosamente nelle
relazioni con qualche membro
della famiglia, del gruppo di
amici, della società civile e religiosa. Si giunge anche ad affermare: “Non abbiamo bisogno di
Dio”, siamo noi i creatori della
vita, dicono scienziati e tecnologi. Il calciatore, dopo un goal,
corre veloce verso le varie tribune di spettatori e grida: “Io
sono” e manca poco che aggiunga: “Io sono Dio”. Letterariamente la superbia è descritta
come una regina che viaggia in
carrozza tirata da pavoni con le
code aperte a ventaglio per
mostrare i loro colori. La superbia ha il suo spirito: la fame di
ostentazione, approvazione, tracotanza, vanità, narcisismo, insolenza, presunzione e violenza.
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PIETER BRUGEL IL VECCHIO: Caduta degli angeli ribelli, Amsterdam 1562.
Possiamo dire che l’incarnazione della superbia sono gli angeli ribelli, per i quali è stato creato l’inferno, e tutti i dittatori che
la storia ci ha offerto
Rileggendo il comportamento del primo uomo in Gen 3, è
subito evidente che vuole diventare Dio. Il serpente ingannatore
gli dice: “Diventerete come Dio.
Conoscerete il bene e il male”.
Viene immediatamente in mente
che questo momento segna l’inizio della superbia intellettuale.
Superbia che è rimasta sempre
presente negli uomini e tra gli
uomini.
La nostra epoca è caratterizzata proprio dalla superbia intellettuale: allontanamento da Dio,
anzi sostituzione di Dio con il
dio della scienza e della tecnologia. La superbia dell’ultima
generazione si fa dio, si pone al
posto di Dio: scienza e tecnica si
sposano e diventano creatrici di
vita. Si può decidere chi, come e
quando far nascere con la tecnica della fecondazione assistita;
si possono clonare le persone,
crearle tutte intelligenti o tutte
con un’intelligenza manipolabile, tutte maschili o tutte femminili; dare la vita ad alcuni e non
ad altri. La superbia scientifica e
tecnologica non solo allontana
da Dio, ma si sostituisce a lui.
Una recente inchiesta sociologica ci dice quali sono i nuovi
vizi degli italiani. Per quanto
riguarda la superbia pongono
l’accento sull’arroganza, l’irresponsabilità, lo scarso rispetto
della natura dell’uomo, la competizione senza regole, il carrierismo, l’intolleranza.
La terapia
La diagnosi fatta chiede
un’urgente terapia, pena la
distruzione dell’uomo, della
società e della convivenza umana. La terapia sta nel guardarci
dentro e intorno a noi, prima di
tutto per cambiare mentalità,
modo di essere e di esistere, per
migliorare di conseguenza il
proprio stile di vita, i comportamenti suggeriti dalla superbia
vana-gloriosa a danno personale
e dell’intera umanità. Ma come?
Con quale mezzo? La risposta è
l’umiltà. Quando domandarono
a S. Bernardo quali fossero le
quattro virtù cardinali, rispose:
Umiltà, umiltà, umiltà e umiltà.
L’umiltà cura la malattia
“superbia” con tre terapie: distaccarsi da quanto ci separa da
Dio, aprire gli occhi sulla realtà,
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Attualità
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lasciarsi guidare dall’Amore.
Non rimanere inchiodati da
quello che separa da Dio porta a
mettere ordine dentro di sé,
ponendo le cose secondo la
priorità del loro valore. Conoscere la propria realtà fangosa
nella quale siamo immersi, conduce a rendersi conto quanto sia
grande la bontà di Dio che ci
tira fuori dalla melma in cui si è
immersi. La superbia condusse
il figliol prodigo a vivere con i
porci, a impantanarsi in un porcile; riconobbe la realtà in cui
era affogato, riconobbe la sua
misera situazione; l’umiltà lo
guarì: decise di uscire dalla triste condizione e tornò a vivere.
Umilmente disse al padre, senza
vergognarsi: “Ho peccato contro il cielo e contro di te. Consi-
derami l’ultimo dei suoi servi”.
Da quel momento si lasciò guidare dall’Amore del Padre. I
pensieri, i bisogni, i sentimenti,
i diritti personali hanno perso la
loro forza e il loro falso valore e
non lo hanno più comandato.
Ha fatto ordine in sé, ponendo
al primo posto Dio, valore assoluto, perché è Amore; ogni altra
cosa, anche il proprio “io” è in
relazione all’Altro e agli altri.
Il Dio crocefisso, umile,
obbediente è l’antitesi e la
medicina di tutti i vizi, soprattutto dell’orgoglio. Egli, “maestro di umiltà”, c’insegna a
essere umili: “O uomo, riconosci di essere uomo”. L’umiltà è
verità, la verità di essere terra
nelle mani di Dio, arricchiti dei
suoi doni, anzi, divenuti total-
mente “dono”. Apprèzzati,
ma “senza decidere in quale
precisa nicchia del tempio
della Fama ti trovi” (C. S.
Lewis).“Non vi gonfiate di
orgoglio a favore di uno contro un altro. Che cosa mai
possiedi che tu non abbia
ricevuto? E se l’hai ricevuto,
perché te ne vanti come se
non l’avessi ricevuto?”, ci
ricorda S. Paolo (1Cor 4,67). Clive Staples Lewis, autore di Le lettere di Berlicche
scrive in una lettera sull’orgoglio: “Per mezzo della virtù (dell’umiltà) Dio vuol stornare l’attenzione dell’uomo
dal proprio io per volgerla
verso di Sé e verso il prossimo (…). Quando (gli uomini)
avranno veramente imparato
ad amare il prossimo come se
stessi, sarà loro permesso di
amare se stessi come il prossimo” 4.
Questa è la medicina risolutiva che guarisce il superbo: uscire da sé, andare verso l’Altro e
gli altri per imparare ad amare
se stessi; avere “una carità e una
gratitudine per tutte le persone,
compresa la propria”.
NOTE
1
SANT’AGOSTINO, Discorsi, vol
XXXIII (Nuova Biblioteca Agostiniana), Città Nuova Ed., Roma
1986, 227).
2
Cfr. EVAGRIO DEL PONTO, Gli
otto spiriti maligni (a cura di F.
Comello), Pratiche, Parma 1990.
3
Cfr S. GREGORIO MAGNO, Moralia in Job, XXXI, XLV, 87.
4
CLIVE STAPLES LEWIS, Le lettere di Berlicche, XIV, Oscar Mondadori, Milano 2011, 57-60.
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Missioni al popolo
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Missione
a San Giovanni
Rotondo
Esercizi spirituali del
GFASC
Dal 28 al 30 aprile, la Grande Famiglia del
Sacro Cuore (GFASC) ha vissuto giorni di
festa nello Spirito, a San Giovanni Rotondo.
Ci ha guidato in questa esperienza don Domenico Parlavecchia (don Mimmo) della Congregazione del Preziosissimo Sangue. Ha sviluppato il tema: “Rievangelizzare la vita familiare e comunitaria per diventare “icona” credibile della bellezza di Dio”,
priorità consegnata dal XVI Capitolo Generale delle Apostole del
Sacro Cuore di Gesù, nel 2010. La maggior parte delle famiglie presenti sono consacrate al Sacro Cuore. I gruppi erano di varie città d’Italia, dove le Apostole del Sacro Cuore di Gesù svolgono il loro apostolato: Oppido Mamertina, Forlì, Motta di Livenza, Milano, Bari,
Noicattaro, Noci, Cassano Murge, Manoppello, Pineto, Guglionesi,
Salerno, Roma, Acilia (RM), San Severo, San Giovanni Rotondo.
Le famiglie appartenenti al GFASC, fanno un cammino di spiritualità lasciandosi guidare dal Carisma della Fondatrice, la Serva di
Dio Madre Clelia Merloni, che indica il Cuore aperto di Gesù tenerezza, la misericordia, la bellezza del suo Cuore che ci ama infinitamente.
Le riflessioni del padre missionario erano piene di saggezza e ispirate dallo Spirito Santo. È stata presentata la bellezza di Dio nel contesto biblico, nella creazione e nell’Antico Testamento. Nel Nuovo
Testamento Gesù, bellezza del Padre, si incarna e ci salva. Ci ama e
ci insegna ad amare. Bellezza che ci trasfigura, ci riveste di bontà e
ci fa nuove creature nello Spirito.
È stato citato più volte Sant’Agostino che esalta la bellezza: “Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai”; e di San
Tommaso d’Aquino, teologo della bellezza.
Le 280 persone presenti hanno potuto sperimentare la bontà di Dio
e la sua bellezza, anche attraverso la figura di san Gaspare del Bufalo, il bello dell’annuncio tinto di rosso del Sangue Preziosissimo di
Gesù che ci ha rinnovati, lavati e guariti.
Era presente per questa esperienza, la Madre Generale dell’istituto, Madre Chiara Millea, che in tanti momenti si è commossa vedendo nel volto di ogni persona, la gioia, la pace, cuori aperti alla dimensione spirituale, a far conoscere e a vivere la bellezza di Dio presen-
te dentro e fuori di noi. È stato
presente p. Marcio Luciano
Martins de Souza, dedito per
tutto il tempo dopo il vivo invito del missionario a rendere belle le nostre anime nel sacramento della riconciliazione.
Ringraziamo il Signore per
questa esperienza meravigliosa.
Siamo stati coperti dalla bellezza d Dio e, rivestiti da questa
bellezza, abbiamo preso l’impegno a portarla, come cristiani,
nel seno delle nostre famiglie,
nella vita della Chiesa e nel
mondo che ci circonda.
Risplenda nel nostro volto la
bellezza di Dio.
Il più bello deve ancora arrivare! Un Sogno del missionario,
un prossimo raduno nazionale
fra USC e GFASC insieme, Dio
lo voglia!
Quanto più amo Dio e il mio
prossimo, più bello divento,
perché LUI è con me. Le mie
tenebre si trasformano in gioia,
in luce, in bellezza!
Suor Maria Dalcin, ASCJ
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Missioni al popolo
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Nel Segno del Sangue
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I missionari del preziosissimo sangue di Gesù a
San Giovanni Rotondo
“I giovani e la vita piena”
Feedback e riflessioni a margine
Annunciare Cristo nei luoghi dove vive la gente, lavoro, scuola,
famiglia, comunità. Un modo diverso di vivere la missionarietà quello portato avanti dai Missionari del Preziosissimo Sangue, apostoli
innestati nel carisma di san Gaspare del Bufalo, chiamati per annunciare e testimoniare ai vicini e ai lontani quanto l’esperienza di Dio
può cambiare la vita dandole nuovo senso ed orientamento.
In occasione del IX Anniversario della Canonizzazione di Santa
Maria De Mattias, le sue Figlie spirituali residenti a San Giovanni
Rotondo, hanno invitato sacerdoti e seminaristi dei Missionari di San
Gaspare del Bufalo, che dal 14 al 19 maggio hanno incontrato gli studenti delle scuole offrendo momenti di riflessione all’interno dell’ora di religione cattolica. Non sono mancate altre occasioni d’incontro. In particolar modo ogni pomeriggio sono stati disponibili per
incontrare i giovani e per confessare presso la parrocchia di san Leonardo Abate, Chiesa madre della cittadina garganica, e in alcune serate hanno organizzato incontri, offrendo meditazioni nel salone parrocchiale. La settimana si è poi conclusa con un musical realizzato
dai giovani in Piazza Padre Pio.
Il tema
“I giovani e la vita piena”. Proposta stimolante che bene si sposa con il singolare tempo della gioventù, tutto proteso alla ricerca di
idee e proposte in grado di colmare il profondo desiderio di verità ed
autenticità che ne caratterizza la vita. Mediatori di questa proposta
altri giovani, sacerdoti e seminaristi, suore Adoratrici del Sangue di
Cristo e future consacrate, che attraverso le loro testimonianze, bene
attenzionate dai nostri giovani, hanno lasciato trasparire una luce in
grado di illuminare le menti, una gioia capace d’interrogare e sorprendere, un amore che ha scaldato i cuori e anche una pace intravista nella loro serena e risoluta scelta di vita. Considerazioni importanti, direttamente ricavate da un feedback avuto con i ragazzi, che
sintetizzano quanto loro stessi con un dire più immediato hanno voluto comunicare. “Si vedeva che erano felici”; “Mi trasmettevano
pace”; ecc…
Perché?
Il successivo passaggio è allora quello di orientare meglio quest’affermazioni con una decisiva domanda: Perché? Cos’è quella
luce, quella gioia, quella pace? Non il frutto di un impegno perso-
nale del soggetto, non un atto
coercitivo che ci s’impone a
priori, ben preparato, orchestrato o recitato, ma l’oggettivazione del proprio cammino di conversione, ovvero della propria
esperienza di Dio. Il mondo e i
giovani di oggi hanno bisogno
di chi renda loro credibile la
possibilità di incontrare Dio e
fare esperienza di Lui e del suo
amore. Di chi dica loro: “Dio
c’è e ti ama. Lo so perché ama
anche me, mi sento amato/a. Me
l’ha fatto capire, ho imparato a
discernere il suo amore e a scoprire la sua volontà …”. Parole
che abbiamo sentito risuonare
negli incontri con i giovani.
L’incontro con una Persona
Responsabilità per ogni cristiano, profezia per le nostre
Chiese. Perché Dio, in Cristo
suo Figlio, incarnato, crocifisso
e risorto, ci ha voluto dire che
Egli non è un’idea ma è una
Persona. Nella misura in cui
non entriamo in relazione con
questa Persona, non potremo
essere suoi discepoli e neanche
potremo avere quella intelligenza delle Scritture, che la Chiesa
ci dona e che è decisiva e cruciale per intendere la sua volontà.
Facciamo infatti esperienza
di Dio attraverso una serie infinita di mediazioni, di ponti e
collegamenti che ci connettono
a Lui. La presenza dei missionari e la loro devozione al Sangue
di Gesù, ma anche la centralità
che nel loro cammino formativo
occupa la Parola di Dio, mediante la sana pratica della Lectio Divina, c’indica quale deve
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essere il retto cammino e la giusta scansione di questi momenti.
Abbiamo innanzitutto la centralità della Parola di Dio. L’esperienza di Cristo incontrato
nella Parola, diviene intimità
feconda e nutrimento nell’eucarestia e poi apertura, accoglienza e comunione nella tensione verso la fraternità, in
particolar modo verso i poveri
e verso gli ultimi. Si può assumere come icona il racconto
dell’apparizione di Gesù ai
discepoli di Emmaus (Lc 24,1335). Prima c’è l’incontro con la
Parola, e il mediatore è il Risorto stesso, e poi c’è il riconoscimento nell’Eucarestia, nel suo
Corpo e nel suo Sangue, e solo
in terza istanza abbiamo la Missione verso i fratelli.
Fare memoria per riscoprire
la propria diaconia
Le testimonianze dei missionari e il loro incontro con i giovani sarà dunque incisivo e realmente performativo se attingerà
sempre a questa sorgente. Lo
abbiamo osservato, l’Eucarestia
è memoriale, ma anche la vita
può esserlo. Rintracciare il passaggio, spesso evidente di Dio,
guardare alla propria vita con
uno sguardo sapienziale, è un
dono della grazia divina, ed è
anche quell’eredità che va offerta come testimonianza a quanti
cercano Dio. Ecco il senso e il
valore delle testimonianze che
tanto scuotono, che sorprendono e a volte inquietano. Tuttavia
bisogna anche tenere presente
che questo discorso è sempre in
fieri, che l’esperienza di Dio va
sempre oggettivata, che la con-
versione è sempre in atto. Questo significa interpretare la propria
missione come una diaconia. È Dio il protagonista della missione. Il
Padre manda il Figlio, il Figlio dona lo Spirito Santo. È chiaro l’obiettivo: “che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4). Ogni missionario è allora come un prolungamento dell’unica missione trinitaria. Esperienza che sarà consolante e che rinsalderà autonomia e libertà. Non potremo avanzare
alcuna pretesa, perché ognuno sarà servo e strumento dell’Opera di
Dio.
Conclusione
Che in questo tempo difficile e complesso, tormentato e pieno di
dubbi e d’incertezze, il carisma di San Gaspare del Bufalo e di Santa
Maria De Mattias possa donare a quanti cercano Dio un anelito di
speranza e di pace. L’autore della 1 Pt può affermare: “Dalle sue piaghe siete stati guariti” (1 Pt 2,24). Quel Sangue che sgorga dalla croce, come balsamo si effonde su tutta l’umanità donando consolazione, guarigione e pace, ma anche gratitudine e gioia per quanti sanno
discernere l’amore che Dio, in Cristo suo Figlio e mediante lo Spirito, ha voluto donare. Comunione che si rinnova nell’incontro eucaristico, secondo le parole stesse di Gesù: “Chi mangia la mia Carne e
beve il mio Sangue ha la Vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo
giorno” (Gv 6,54). Presenza che diventa preghiera, canto e invocazione a favore di ogni uomo: “Sangue di Gesù, guariscici, rinnovaci,
liberaci. Amen”.
Giovanni Chifari, Docente di Teologia Biblica
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ANTOLOGIA DI VOCI…
I giorni che voi missionari avete trascorso qui con noi nella nostra
città sono stati DIO-MERAVIGLIOSI. Li considero un grande dono
di Dio perché abbiamo compreso la bellezza di vivere nella passione
del Suo caldo sangue che porta solo alla VITA VERA. Ciò che io ho
sentito maggiormente è proprio l'amore di Cristo, ho capito davvero
che LUI MI AMA per quello che sono, che è LUI a venirmi incontro.
LUI che si fa pane e si fa piccolo come me per entrare nel mio cuore e farmi sentire il Suo calore di Padre. È Lui che mi chiede cosa
voglio, cosa davvero mi rende felice e mi riempie il cuore di amore
puro. È Lui che in quel pane spezzato si fa cibo per la mia anima. Ho
imparato che le risposte alle nostre domande sono da ricercare solo
nella parte più profonda del nostro essere. Siamo noi a costruire la
nostra storia e a renderla speciale. Siamo noi a scegliere di diventare santi... DIO ci chiama TUTTI alla santità. La missione mi ha insegnato ad aprirmi agli altri, ad aprire le mie braccia, i miei occhi e il
mio cuore. Mi ha insegnato che solamente scoprendo la mia verità
posso donarmi agli altri. La missione mi ha lasciato un segno indelebile nell'anima e la voglia di essere io stessa missionaria anche nel
mio piccolo. Mi ha lasciato la voglia di far conoscere agli altri la
bellezza di vivere nel e dell'AMORE DI CRISTO! LA VITA è BELLA!
Sì, la vita è bella davvero se la viviamo nell'amore.
Maria Grazia Vincitorio
È stato come andare per una settimana al campo scuola, ma la
destinazione non era una località particolare, la destinazione era (ed
è ancora oggi x me) il cuore di Gesù. Ora dopo questa missione lo
sento più vicino, più presente nella mia vita, nelle cose che faccio,
più di quanto non lo era già prima! È una cosa stupenda, perché ora sento di sprizzare di
gioia e di voler annunciare a
tutti che noi valiamo tutto il
sangue di Cristo! Ho rivalutato
le nostre suore, che già amavo
tanto, ma ora le sento molto
vicine; ho rivalutato la mia vita,
insomma un po’ tutto.
Chiara Di Nunzio
In quella settimana con i
Missionari ho sentito un forte
bisogno di ascoltare e di capire.
Le provocazioni ricevute mi
hanno fatto davvero riflettere
sull'Amore verso Gesù. Ho cercato di dare delle risposte ai
miei perché! Mi chiedevo perché facevo alcune cose con
superficialità, perché a volte
non avevo voglia di incontrarLo, perché mi perdevo nelle cose futili della vita! In quella settimana i Missionari, per me,
sono stati una risposta, un aiuto
nel capire che nonostante alcuni momenti di difficoltà e di su-
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perficialità, ce la metto tutta a
rimediare e a provarci sempre...
ad affidarmi a Lui, a fare di Lui
il senso della mia vita. Quest'esperienza mi è servita molto e i
Missionari sono per me il dono
che Dio ha fatto a tutti noi e
dobbiamo custodirlo, perché
grazie a loro che portano la
Parola di Dio ovunque, noi
riusciamo a renderci conto che
Dio ci ama davvero tanto!....
P.S. ogni tanto faccio fatica a
trovarLo, ma grazie alle vostre
parole so che posso farcela e
che nonostante tutto Lui è sempre con me...
Mara
"Rispondere all'Amore si
può... "La vita è un dono
immenso"... "Tu vali il sangue
di Cristo"... solo alcuni dei
messaggi meravigliosi che ci
sono stati donati dai Missionari
in una settimana di grazia per
San Giovanni Rotondo!
Due sacerdoti, due suore,
una postulante e tre seminaristi:
un piccolo grande esercito armato d'amore per Dio che ha
marciato con una gioia contagiosa, aiutandoci a spalancare
le porte (a volte chiuse) del nostro cuore per permettere a Dio
di invadere la nostra vita, trasformandola in un canto di allegria!
Durante la missione è stato
significativo vivere con la
comunità le lodi al mattino, affidando a Dio la giornata e portando la Sua letizia a scuola, a
lavoro, a casa...
I missionari hanno incontrato i giovani e le famiglie, ma
anche gli ammalati sono stati
visitati da questi raggi di speranza per ricordare loro che
sono parte viva della comunità
e che le loro sofferenze, unite al
Sangue di Gesù, rendono più
forte la Chiesa. Di queste persone innamorate di Dio, custodisco nel cuore l'entusiasmo
instancabile, la luce dello
sguardo, l'affetto, i sorrisi, la
dolcezza...
Ringrazio il Signore per questa esperienza breve ma intensissima. Gli chiedo di accompagnare tutti verso il
Suo cuore per aiutare anche noi ad essere missionari nel
nostro piccolo, nel
nostro "ordinario
straordinario".
Chiara Calò
Devo dire che
per essere un ragazzo da pochissimo uscito da una situazione (in quanto a
relazioni sociali)
abbastanza disastrata, mi sento
molto contento di
questo mio cambiamento radicale.
Per questo devo
ringraziare soprattutto i miei fratelli
(che penso voi non
conosciate) e poi il
gruppo tutto della
Chiesa, compreso
don Andrea che mi
hanno fatto capire
che per essere accettato dagli altri
bisogna prima accettare se stessi.
Per quanto riguarda l'incontro con voi Missionari è stato
molto costruttivo ed istruttivo
perché in primis mi ha permesso di conoscere persone nuove e
poi di scrutare ancor di più nel
mio subconscio (grazie all'incontro sulle proprie paure che
fra l'altro è stata la cosa che più
mi ha colpito di questa avventura). Questo è tutto... saluti
a tutti e spero di rincontrarvi un
giorno non molto lontano.
Davide Savino
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La casa della Santa
di Michele Colagiovanni
N
ella Casa di Santa Maria De Mattias a Vallecorsa vi è una piccola
collezione di manuali di devozione grazie alla donazione del
coniugi Raimondo e Cristina
Dettori, come si può leggere nel
sito www.liciniorefice.it cercandolo su internet. Vogliono ricordare la grande funzione culturale che essi svolsero nell’alfabetizzazione delle donne nell’Ottocento. Su libri come quelli
Maria De Mattias imparò a leggere e a scrivere. Alla donazione iniziale altri se ne sono
aggiunti e tra questi alcuni giunti dall’Argentina, perché Adelaida Negri, soprano di fama
internazionale, per cause che
hanno del romanzesco, è entrata
in contatto con i Missionari del
Preziosissimo Sangue e con le
Adoratrici, con la Ciociaria,
Patrica, Vallecorsa e ha voluto
aggiungere alcuni antichi libretti della sua famiglia nella collezione della Casa della Santa. Li
depose con le proprie mani e
sono ancora lì come li ha collocati lei.
Anche recentemente mi ha
inviato da Barcellona, dove era
occasionalmente nel suo viaggio di ritorno in Argentina, un
libretto sulla Visita alle Sette
Chiese, accompagnato da un
biglietto nel quale aveva scritto:
«Caro don Michele, ho trovato
tra gli oggetti personali di mia
mamma questo libretto che risale al 1885, e che probabilmente
apparteneva alla mia nonna piemontese. Affido a lei l’incarico
di portarlo alla Casa di Santa
Maria De Mattias, quando sarà
a Vallecorsa. Ringraziando…»
eccetera. Ometto i complimenti
perché sono il minino che si
possa fare per una donna che sta
riscoprendo il teatro lirico religioso (Cecilia e Samaritana di
Licinio Refice, Poliuto di Gaetano Donizetti…). Affida a me
l’incarico di depositare il cimelio perché durante l’ultima sua
visita in Italia voleva compiere
di persona il gesto, ma altri
impegni glielo hanno impedito.
Comunque sono già due volte
che visita la Casa della Santa a
Vallecorsa e è stata ancor più
spesso a Patrica per il suo attuale interesse per il musicista
patricano.
Il minuscolo libretto, di sole
sedici pagine più copertina, è
interessante. L’aspetto, molto
liso, attesta un uso assiduo. È
intitolato Visita alle Sette Chiese nel Giovedì Santo al Sepolcro di Gesù Cristo. Le sette stazioni fanno riflettere sui
seguenti temi: 1. Il sudore di
sangue nell’Orto. 2. Gesù trascinato ai Tribunali. 3. Gesù
posposto a Barabba. 4. Gesù
flagellato. 5. Gesù coronato di
spine. 6. Gesù crocifisso. 7.
Gesù ferito nel costato.
Ogni sosta prevede una brevissima meditazione che ha lo
scopo di approfondire la considerazione dell’oltraggio che
viene fatto a Gesù (Dio che si fa
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uomo), dall’uomo che si fa Dio
nell’episodio da lui vissuto e, a
contrasto, l’amore con il quale
Gesù risponde all’oltraggio,
offrendo una via di redenzione
al colpevole. Segue una Orazione, con la quale l’orante si
impegna a dare la risposta giusta all’offerta di salvezza
mediante la conversione. Si
aggiungono tre Pater Ave e Gloria e la strofetta «Santa Madre,
deh voi fate, che le piaghe del
Signore siano impresse nel mio
cuore»
Come è noto la Visita alle Sette Chiese si fa risalire all’attività
pastorale di San Filippo Neri, a
Roma. Gli studi più recenti sono
orientati a credere che il Santo si
sia limitato a rimettere in auge
una devozione molto più antica,
legata ai pellegrinaggi dell’Anno
Santo (il primo fu nel 1300,
come è noto) se non addirittura
originario del periodo post
costantiniano, quando la Chiesa
si consolidò e presero piede le
Stazioni alle Sette principali
Chiese dell’Urbe1.
Lasciando da parte la questione storica dell’origine di questa
pratica di devozione, essa da
Roma si diffuse nel mondo cristiano prescindendo dalle chiese
di Roma. Un fenomeno analogo
all’origine della Via Crucis che
nacque a Gerusalemme sui luoghi reali e poi si diffuse con stazioni simboliche in tutto il mondo. Si narra nella vita di Santa
Begga, badessa di Andenne
(615-709) che, di ritorno in Belgio da un pellegrinaggio a
Roma, facesse costruire attorno
alla chiesa principale del suo
Monastero sei cappelle. Il luogo
fu chiamato Sept-Églises.
Riguardo al numero delle
chiese stabilito per la pratica di
pietà, il sette, non può dubitarsi
che derivi dall’archetipo della
creazione biblica. La Genesi
descrive l’azione di Dio intento
a dare origine a tutte le cose. La
creazione del tempo e dello spazio si compie in sette giorni,
incluso quello del necessario
riposo. Se il Tempo fu creato
con il primo istante e poi cominciò a decorrere, la creazione
delle cose, che è in evoluzione
anch’essa, nella sua strutturazione fondamentale accadde in
sette stadi che la Bibbia chiama
giorni. Da essi deriva la Settimana. I rivoluzionari di Francia,
che miravano a porre l’Io al
posto di Dio e la Scienza al
posto della Fede (non ammettendo che possono andare – anzi
devono andare – d’accordo)
tentarono di sostituire la scansione settimanale con il Decadì.
Il giorno festivo sarebbe dovuto
essere il giorno decimo, in
omaggio al sistema decimale. Il
tentativo fallì – come tutti sanno. Quegli illuministi, troppo
abbagliati dalla loro illuminazione comprendevano che il
numero sette tramandava una
sorta di sacralità insita nel tempo come è insita nell’uomo e a
essa la scienza non può dare
risposte.
Il tempo, dunque, è scandito
in settenari finalizzati alla festa.
Anche la qualità del tempo è
decodificabile attraverso il
numero sette. Per aiutarci a
viverlo bene abbiamo disponibili sette Sacramenti. Nel corso
del tempo si possono sviluppare, per l’uomo che vi è immerso
e trascinato, sette situazioni di
pericolo, da evitare: sono i Sette
Vizi Capitali. Vi sono però
anche sette opportunità; anzi
sette più sette che riguardano il
corpo e l’anima: le Opere di
Misericordia corporali e altrettante di natura spirituale. Le
materiali acquistano valore spirituale e le spirituali si riflettono
beneficamente anche nella vita
materiale. I doni dello spirito
Santo sono dello stesso numero.
Anche le virtù: tre teologali e
quattro cardinali… Non si finirebbe più di elencare, perché
l’archetipo di questo numero,
essendo fissato dalla Storia
Sacra, porta quasi come un
obbligo a trovare sette situazioni per richiamarlo alla mente.
Non dovette fare molto sforzo l’Albertini quando decise di
comporre la Coroncina del Preziosissimo Sangue, alla quale
sicuramente il libretto donato
dalla Signora Negri si ispira.
Basti segnalare che vi è riportata la giaculatoria: «Eterno Padre
io vi offro il Sangue Preziosissimo di Gesù Cristo in isconto dei
miei peccati, e per i bisogni della Santa Chiesa» con i cento
giorni di indulgenza concessa da
Pio VII il 20 marzo 1817 ogni
volta che si recita. Se ciò non
bastasse sono frequenti i riferimenti espliciti al Sangue. Nella
prima stazione: «Caro Gesù, io
vi ringrazio di quel Sangue prezioso, che con tanto dolore del
vostro Cuore sudaste da tutto il
vostro Corpo; […]. Deh quelle
stille preziose del vostro Sangue
divino, invece di cadere sulla
nuda terra, cadano sul mio cuore, e lo purifichino, lo ammolliscano e lo accendano di amore
per voi. E voi, Madre Santissi-
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ma, offrite per me all’Eterno
Padre questo Sangue prezioso,
acciocché in virtù del medesimo
mi perdoni tutti i miei peccati».
Nella quarta: «Oh quanto Sangue versa il buon Gesù per tutto
il suo corpo… […]. E voi, Maria
Santissima, offerite all’Eterno
Padre queste ferite e questo Sangue prezioso, ed ottenetemi una
sincera contrizione…». Nella
quinta: «E voi, Maria Santissima, offerite per me all’Eterno
Padre quelle spine tinte del Sangue preziosissimo di Gesù, ed
ottenetemi la grazia di vincere la
mia superbia…». Nella sesta:
«Nel vostro Sangue, nelle vostre
Piaghe io pongo tutta la mia speranza; per questo Sangue, per
questa Piaghe, perdonatemi…
[…]. E voi Maria Santissima,
che trafitta dal dolore vedeste
spirar sulla Croce il vostro santissimo Figliuolo, offerite all’Eterno Padre le Piaghe, il Sangue…». Nella settima: «E voi,
Maria Santissima, offerite all’Eterno Padre questo Cuore santissimo
ferito per me, e quel Sangue e quell’acqua uscita
fuori dalla sua piaga, ed
ottenetemi che io non mi
parta mai più dal tabernacolo di questo Cuore
divino…».
Domenica primo luglio il libricino è stato
posto nella bacheca dei
libretti devozionali, secondo il desiderio della
Signora Adelaida Negri.
Intanto, prendendo lo
spunto dal fatto che in
paese ormai la Casa di
Santa Maria De Mattias
è chiamata comunemente la Casa della Santa
non se ne potrebbe fare “La
Casa della Santità”, collezionandovi i santini di tutti i Santi
di ogni epoca, in modo da farne
una sorta di teca della iconocografia mondiale? Io ne ho già
donati forse quattromila, in parte anche disposti in ordine alfabetico e registrati. Certo, occorrerebbe star dietro a catalogarli
e disporli in forma facilmente
rintracciabile. Ma che bel passatempo per chi vuole creare un
luogo che facilmente assurgerebbe a notorietà nazionale per
la sua specificità.
Le sette chiese romane del R. P.
P. Onofrio Panuinio [Panvinio],
[Agostiniano] Veronese, tradotte da
Marco Antonio Lanfranchi, Per gli
heredi di Antonio Blado, in Roma
1570, con Priuilegio. E anche:
Memorie sacre delle Sette Chiese di
Roma e degli altri luoghi, che si
trouano per le strade di esse. Parte
seconda in cui si tratta del modo di
visitar dette Chiese. Composte da
Giovanni Severano da San Seuerino, Prete della Congregazione dell’Oratorio di Roma, per Giacomo
Mascardi, in Roma 1630. Con
licenza de Superiori.
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Il lato comico
di Comik
REPUBBLICA MONARCHICA
Chi legge il profilo biografico di Eugenio Scalfari sull’enciclopedia on line www.treccani.it
apprende che nacque a Civitavecchia nel 1924; che è tra i maggiori editorialisti italiani; che nel
1976 ha fondato La Repubblica di cui è stato direttore. Prima ancora, nel 1955, aveva dato vita,
con Arrigo Benedetti, alla rivista L'Espresso. Deputato per il Partito socialista italiano (1968-72)
ha ottenuto onoreficenze e vinto numerosi premi. Nemmeno mezza parola sul suo passato di
fascista convinto. Scriveva per Roma Fascista e per Nuovo Occidente. Mussolini stesso lo giudicava troppo integralista. Solo l’esito della guerra gli mise giudizio. Adesso fa omelie domenicali laiciste. Dopo aver trasmigrato di penna in penna nel ventaglio politico, fondò tutto per sé un
giornale su cui scrivere. Lo chiamò La Repubblica, senza aggiunte. Ma lo spazio per l’aggiunta
c’è o si può trovare. Per vari anni è stata una Repubblica monarchica. Se si guarda sul mappamondo si trovano attestate varie tipologie di Repubbliche e se non sono espresse a parole, le differenze ci sono: Repubblica Popolare Cinese; Repubblica di Corea del Nord, Repubblica del
Congo, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Islamica dell’Afganistan, Repubblica
Islamica dell’Iran e così via; una diversa dall’altra, anche quando l’aggettivo o l’apposizione
sono identici. Non c’è nulla di più camaleontico del termine repubblica. Scalfari sa aspettare.
Per adesso è solo laicista, ma all’interno della sua Repubblica è ligio alla sua chiesa, cioè clericalissimo anticlericale.
ANTIPAPI
Eugenio Scalfari, Marco Pannella e Benedetto XVI sono i tre pontefici della vita quotidiana
mediatica odierna. In effetti tutti e tre pontificano. I primi due sono cisteverini, il terzo e trasteverino. Marco I, al secolo Giacinto Marco Pannella, da naufrago nel mare delle sue stesse parole, si lascia trasportare dalle onde agitate, sicché il suo assistente al trono di tanto in tanto lo deve
riportare all’argomento che tratta. Vi resta pochi secondi, trascinato altrove dall’ispirazione che
lo spinge sulle ali dell’autocelebrazione. Rievoca i propri successi e di conseguenza i benefici
che l’Italia avrebbe avuto dalle iniziative radicali da lui promosse. Sciorina i numeri degli aborti e dei divorzi per dimostrare in quanti abbiano aderito, fedeli e infedeli. I quali, però – lamenta – al momento del voto non lo ripagano con la plebiscitaria adesione con la quale adottano il
comportamento legalizzato. Si vede che conservano un residuo di ragionevolezza. Che ognuno
faccia quel che gli pare sarà pur bello, ma non è cosa buona, ma non sarebbe cosa né buona,
né giusta. Eugenio I (alias Eugenio Scalfari) è più compassato e cattedratico. Quando parla le
parole risultano costruite bene e anche le virgole, il punto fermo, i due punti e gli interrogativi.
Marco I e Eugenio I si beccano qualche volta tra loro. Hanno bisogno di dimostrare che l’uno è
più papa dell’altro. Tutti e due, però, sono agguerriti contro Benedetto XVI. Marco I lo fa con
parole aggressive, irriverenti; Eugenio I con maggiore aplomb. Lo ha definito di recente «teologo mediocre», ma gli ha dato atto che scrive bene. Che dice Benedetto XVI dei due rivali? Nulla. Non ha bisogno di dimostrare di essere l’unico vero Pontefice. Gli basta esserlo.
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Luglio 2012 - Centro Studi Sanguis Christi