Il laser blu 1 Marialuisa Amodio L'ERA DEL LEVIATANO L'era del Leviatano di Marialuisa Amodio © 2012 La Penna Blu Edizioni Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione anche parziale a norma di legge. ISBN 978-88-95974-27-9 Artwork di copertina: Marta C. Flocco (www.rehlandea.it) Questa è una storia di fantasia. Personaggi, nomi e situazioni sono frutto dell’immaginazione dell’autore. Ogni riferimento a fatti o persone esistenti è puramente casuale. www.lapennablu.it R L'ERA DEL LEVIATANO A Daniele, Che porta l’alba nelle mani E negli occhi meraviglia. CAPITOLO 1 K arol aveva cambiato tutto della sua vita, città, lavoro, sesso, tranne il nome. Gli pareva che Karol fosse un nome perfetto anche per una donna. Dopo l’operazione aveva aperto il locale nella periferia di Tara. A volte si sorprendeva che nessuno cercasse di indagare sul suo passato. Perché lo lasciavano libero? Perché gli avevano permesso di aprire un locale e vivere una vita tranquilla e perfettamente integrata nel grembo della città? Karol ammirava la loro perspicacia: dei sentimenti che l’avevano spinto a entrare nel Movimento non era rimasto nulla. Non riusciva neanche a ricordare cosa provasse in quei giorni. Gli restava un po’ di nostalgia, da cullare a volte come una barca in bottiglia. E, nascosta in fondo all’armadio, la giacca che aveva indosso quando era scappato. Non potevano arrestarlo per il triste cimelio di una ribellione. La sirena ululò nella strada mattutina subito seguita dal commento entusiasta di una muta di cani e la distolse dalle sue meditazioni. Alcuni curiosi si accalcarono alla finestra. Uno scalpiccio, grida strozzate, colpi e calci in faccia. Karol continuò a raccogliere i bicchieri vuoti, senza batter ciglio. Aveva smesso di avere paura ogni volta che passava una sirena. « Chi è? Chi hanno preso? » « Due balordi. Li stanno portando via. » « Ma li conosco! Sono quegli studenti… quei pezzi di merda che frequentava mio figlio. Sono venuti qui l’altra notte, ricordi? » « Sì, Jas » rispose Karol. Erano entrati con una pila di opuscoletti pieni di idiozie sovversive, come le aveva defi- 8 MARIALUISA AMODIO nite Jas stracciando il suo davanti a loro e cominciando a insultarli. Karol aveva sentito odore di rissa, ma i due non avevano risposto alle provocazioni ed erano andati via sorridenti. Gli avevano fatto tenerezza, perché le ricordavano i bei tempi. « Li hanno quasi ammazzati » disse Pasco, scuotendo la testa. « Io li avrei ammazzati del tutto » sentenziò Jas. « Per quelle stronzate si sarebbero beccati al massimo una multa. Se la facevano col Movimento, statene certi. » « Non mi meraviglio che tuo figlio ti odiasse così tanto, Jas » disse Pasco disgustato, allontanandosi dalla finestra. « Li hanno massacrati, poveri ragazzi. Io l’ho tenuto il mio libretto. » « E tu farai la stessa fine, idiota beone! » « Basta! Nel mio locale non si parla di politica. » « Ma Karol! Chi sta parlando di politica? Io dicevo solo che… » « Tu hai bevuto troppo stanotte, Jas. E fra un paio d’ore devi andare a lavorare. » « Sì, mamma » chiocciò Jas scoppiando a ridere, con singulti nervosi. « Mamma Karol ci sta mandando a nanna. » Jas si alzò, facendo cadere le sedie, barcollò e lanciò un’occhiata in tralice a Pasco. « A nanna » ripeté, col tono di chi avrebbe voluto dire qualcosa d’importante, ma non aveva trovato le parole. Alle sei erano andati quasi tutti via. Karol distese lo straccio accanto al lavello, dopo aver lavato i tavoli, e cominciò a posarvi i bicchieri man mano che li sciacquava. Poi avrebbe dato una spazzata e una ripulita al bagno… Anzi, ci avrebbe pensato l’indomani. Era troppo stanca. « Devo chiudere, Pasco. » L’uomo non si mosse. Aveva la fronte poggiata sul tavolo e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Le grosse spalle sussultavano a tratti. Poi si quietava e riprendeva a russare. Karol prese il cappotto e si avvicinò all’ubriaco. « Avanti, non fare storie. Ho sonno e devo chiudere. L'ERA DEL LEVIATANO 9 Non fare finta di dormire. » L’uomo sussultò. Karol gli diede una scrollata e gli voltò la testa bruscamente. Pasco stava piangendo. « Anche questa oggi! » Karol gli sedette accanto porgendogli un fazzoletto. « Cosa c’è? È per i due ragazzi? Lo so, dispiace anche a me. » « Jas è un bastardo » mugolò Pasco. « Non dovevi dire quelle cose su suo figlio. Non lo sai? L’hanno preso una notte, il mese scorso, e non ne ha saputo più niente. » « Allora è doppiamente bastardo. » « Vogliamo star qui a pesare le anime mentre ci passa la sbronza? Jas è un uomo generoso… Amava suo figlio, per questo si comporta così. » « Non mi fido di lui. » « Non ti denuncerà. E poi, anche se lo facesse? Che vuoi che ti capiti per così poco? » « Lasciami dormire qua, Karol, ti prego ». Pasco le si aggrappò al braccio e riprese a singhiozzare rumorosamente. « Non posso » disse Karol irrigidendosi. « Basta, tornatene a casa. Tua moglie sarà preoccupata » « Mia moglie… sarà morta adesso. » Pasco si strofinò gli occhi con la manica ruvida e incrostata di vomito. Sembrava non si cambiasse da giorni. « Si è ammalata. Una settimana fa. L’ha presa allo stomaco. Pensavamo a un virus di tipo C, ma… Sono tornato dal lavoro e non c’era. Anche le altre si erano ammalate sai, lo stesso giorno, tutte le operaie del suo settore. » Pasco si premette le orbite con i palmi tesi, graffiandosi le tempie e lanciando un grido isterico, di rabbia frustrata. « Me l’hanno portata via. Me l’hanno uccisa! » « L’avranno portata in ospedale per… curarla » disse Karol, esitando. Pasco l’aggredì: « Lo vedi? Non ci credi neanche tu. Al Luna Park l’hanno portata. Lei e le altre. Non ti sembra 10 MARIALUISA AMODIO strano? Tutte insieme si sono ammalate. » L’uomo batté il pugno sul tavolo e riprese in tono concitato. « Avevano scoperto certe cose sul latte in polvere per i neonati… è che non ho ascoltato bene quando Laura me ne ha parlato, ero ubriaco. Volevano andare al CIP e denunciare tutto. Non ci andare, le ho fatto io. Ma lei è sempre stata così testarda e… si sono ammalate tutte, il giorno dopo. E quei figli di puttana del CIP non hanno pubblicato nulla. Sono stati loro, lo so. Ci prendessero almeno! Come hanno fatto con quei due ragazzi, stanotte. No, quando è troppo chiaro che abbiamo ragione non si sporcano le mani. Un bel giorno ti ritrovi a vomitare l’anima o con la fronte che ci puoi cuocere un uovo. Ora mi stanno cercando, lo sai? Lasciami dormire qui, Karol. Solo oggi. Ma non mi credi? » Karol sospirò. « Ti credo. Lo so e mi dispiace per tua moglie, ma non puoi restare. Potrebbero fare un’ispezione. E metteresti nei guai anche me » « Se torno a casa sono morto. E non mi fido di nessuno. Credi che a un altro l’avrei detto? Sei la mia unica amica. Ti prego, solo per oggi. » Karol si tirò indietro i capelli e indossò il cappotto. Aveva voglia di fare una doccia, apparecchiare una bella colazione e soprattutto di dormire tranquilla e tornare a lavorare la sera senza far cadere i bicchieri ogni volta che sentiva una sirena. « Tieni, sono chiavi di riserva… anzi, sarà meglio lasciare la finestra socchiusa. Sei entrato da lì, d’accordo? Non accendere le luci, non fare rumore e non mi toccare i liquori. E… stai attento, Pasco. » Karol gli accarezzò la guancia sudata e gli diede un buffetto sulla fronte. Uscì. L’aria fredda le pizzicò la pelle, dissipò la paura e pulì l’odore dolciastro del locale. Con un po’ di fortuna non avrebbero ispezionato il locale e Pasco sarebbe andato via indisturbato. Per dove? Sua moglie era morta, non poteva tornare a casa, la sua vita era distrutta. Cosa poteva fare per lui? Dargli asilo a casa sua per un po’? Troppo rischioso. Non 11 L'ERA DEL LEVIATANO voleva morire di peste al Luna Park o finire picchiata a sangue in una cella come i due dissidenti di quella notte. Non poteva mettersi nei guai per tutti i poveracci del quartiere e… come sei meschina, Karol! Come sei arida ed egoista. Viridius l’avrebbe disprezzata per questo. Karol si morse il labbro e imprecò sottovoce. Viridius non è qui, sta giocando all’eroe nel deserto e non ho più bisogno di sentirmi giudicata da lui. So che sto mentendo. Lui è sempre con me e mi guarda ogni volta che incontro uno specchio: non è forse per lui che sono diventato una donna? La città era ancora accesa ed era bello come il vivace arcobaleno delle insegne e dei lampioni si ritraeva davanti al grigio e funereo passo dell’alba. Karol vedeva sempre molta bellezza, anche quando camminava per le strade puzzolenti di piscio e pozze di sangue ignoto, o quando si sentiva molto sola e aveva paura. R Karol aveva avuto molti amanti. Alcuni per necessità, di denaro o di protezione: non erano stati facili i primi tempi a Tara. Ad altri aveva voluto bene. Ma solo un uomo aveva amato. Quattro anni erano passati dall’ultima volta che l’aveva visto e non sapeva se era ancora vivo. Si chiamava Viridius Kallas ed era innamorato di un’altra. Vera Lekter, questo era il nome da affiliata della donna. Nessuno conosceva il suo vero nome. Scoprirono che era una spia e la processarono. Karol non avrebbe mai voluto uccidere. Aveva giurato che avrebbe partecipato solo alle missioni di sabotaggio, che mai avrebbe toccato una vita umana, perché Karol amava la vita, l’amava pazzamente. Talvolta, quando tornava a casa da sola nell’ora incerta che precede l’alba, si fermava a guardarsi in una vetrina e, per un attimo, non si riconosceva. Le immagini che si affollavano nella sua mente sembravano i ricordi di un’al- 12 MARIALUISA AMODIO tra persona. Da ragazzo aveva una scatola blu per tenere in ordine i ricordi. Allora non gli succedeva mai di non riconoscersi. Ora, quando le capitava, Karol distoglieva gli occhi dal proprio riflesso e si rimetteva a camminare a passo svelto. Cercava di individuare il momento esatto in cui aveva cominciato a perdersi, e la risposta era sempre la stessa. Otto anni prima, il giorno in cui aveva ucciso Vera. R Già da quattro mesi era nel Movimento e ancora non gli avevano dato nulla da fare, tranne qualche piccolo furto, qualche messaggio di scarsa importanza da trasmettere di qua e di là. Lotto Kopfe entrò nella tenda a mezzogiorno, mentre Karol contava i dieci granelli di sabbia da conservare nella scatola blu. Karol trasalì, rischiando di rovesciare la preziosa scatola che conteneva già 1920 granelli di sabbia, ovvero ben sei mesi e nove giorni della sua nuova vita nel deserto. Faceva parte di una spedizione di profughi il giorno che aveva riposto nella scatola blu i primi dieci granelli di sabbia. Erano in ventinove, accampati nel deserto con tende ricavate da mantelli e sottogonne. Era notte e faceva freddo. La zia di Karol, l’unica parente del gruppo, era morta due notti prima. La sua grossa gonna di lana serviva ora a rattoppare la tenda del nipote e le cose inutili del suo fagotto erano finite nel fuoco, inutili anche a riscaldare il gelido buio del deserto. Karol quella notte decise di svuotare la scatola blu. Vi aveva collezionato oggetti e ricordi per tutti i suoi diciassette anni. Li appoggiò nel fuoco, rivivendo l’emozione di ognuno mentre si consumava. Li poggiò inesorabile, ma con dolcezza: la palla di gomma, il pesciolino d’oro rotto a metà, il segnalibro di plastica rossa, il fischietto, l’orecchino spaiato di sua madre, il ciottolo di fiume della prima notte d’amore, il sacchetto con le pietre colorate, il calzino bianco da neonato, il foglio rosso ripiegato (non lo L'ERA DEL LEVIATANO 13 rilesse prima di bruciarlo). Appena la scatola fu vuota, si addormentò, felice, accanto al fuoco dei suoi ricordi. Dormì fino a mezzogiorno. Gli altri erano già partiti. Raccolse e contò dieci granelli di sabbia. Chiuse la scatola e cominciò a camminare, senza seguire le orme dei compagni. Si convinse che vivere da solo nel deserto era la soluzione migliore, come facevano gli avventurieri delle storie che leggeva da bambino. Jona, un mercenario in pensione, lo trovò svenuto e in avanzato stadio di disidratazione. In quei libri non spiegavano mai come faceva l’eroe a trovar da mangiare e da bere, e a non impazzire per la solitudine. Karol si attaccò al mercenario come un riccio allo scoglio. Lo seguì nel suo nuovo lavoro di protettore della setta dei Bambini Sublimi finché, in una delle città mobili del deserto, incontrò Viridius. Era diverso da chiunque. Diverso dai rassegnati profughi con cui si era messo in viaggia per Tara, diverso dal cinico Jona e dagli esaltati Bambini Sublimi. Guardava dritto negli occhi quando parlava e il suo tono era fervido e pacato al tempo stesso. Karol non aveva mai pensato che le Nove Città fossero lager dittatoriali. Tutti i suoi coetanei ne parlavano come di un approdo felice, lontano dalla miseria dei villaggi. E lui stesso lo credeva. Una parte di sé giudicava infantili i discorsi di quell’affascinante sconosciuto, ma era una parte cui Karol non aveva mai dato importanza. Lasciò Jona e la setta e seguì Viridius per cominciare il suo apprendistato nel Movimento. Dopo quattro mesi, Lotto Kopfe, il Giudice della sua sottosezione, gli affidò la sua prima missione. Giustiziare Vera Lekter, la spia. La donna dell’uomo che amava. I dieci granelli di sabbia che aveva appena riposto nella scatola non sembravano così diversi dagli altri 1910. Karol restò immobile tutto il pomeriggio, come Lotto l’aveva lasciato dopo una patetica pacca sulla spalla. Avrebbe potuto essere utile al Movimento in tanti modi. Perché fargli uccidere l’amante del suo migliore 14 MARIALUISA AMODIO amico, la donna per cui Viridius avrebbe dato la vita, lui che non avrebbe potuto uccidere neanche un uccellino, un topo del deserto, neanche il verme più brutto? A occhi sbarrati vide il buio sciogliersi, le dune bluastre apparire come lividi e la stoffa bianca della tenda arrossarsi. Vennero a chiamarlo due ragazzini arruolati da poco. Karol si alzò e camminò come un automa fino alla stanza dell’esecuzione. C’erano Lotto Kopfe, Ludovico Mikonos, Ruth Lavace e altri a fissarlo severi. Si sentiva in imbarazzo, piccolo e meschino come quando da bambino andava a scuola senza aver studiato. Sembrava tutto finto, come quando nel sogno ci si accorge di sognare, per questo riusciva ancora a muoversi e quasi non sapeva più perché era lì, sotto lo sguardo di tutti, sentendosi sporco. Apparve Vera, bella e viva, dalla pelle color della sabbia quando il sole è alto. Si vergognò improvvisamente di essere lì, davanti a lei, in quel ruolo assurdo. Voleva scusarsi, dirle che era tutto uno scherzo e che la smettessero con quella storia: era una spia, va bene, ma la sua vita valeva di più delle informazione che poteva aver venduto. Pensò di prenderla, slegarle i polsi e scappare con lei. Viridius li avrebbe raggiunti più tardi, nella loro isola segreta in mezzo al deserto. Schiacciato com’era dalla vergogna Karol non udì neanche l’ispirata lettura che Lotto Kopfe fece della sentenza. Viridius non c’era. Lotto si avvicinò a Karol e gli diede un robusto laccio nero. Karol si accorse di averlo in mano solo quando Vera arrivò davanti a lui. Stava per gettare il laccio e scappare, ma fu lei a impedirlo. « Karol, resta e fai quello che devi. Hai un grande cuore e io morirò lo stesso » gli disse piano. « Devi restare accanto a Viridius. Non lasciarlo solo, perché col tempo capirà e avrà bisogno di te. » Karol non comprese bene le sue parole. Capì solo che lei gli voleva bene e aveva fiducia in lui e che amava Viridius. Avrebbe voluto abbracciarla. Avrebbe voluto essere lei, così bella e amata. Sapeva che avrebbe dovuto tirare L'ERA DEL LEVIATANO 15 molto in fretta e forte per non farla soffrire. Si concentrò sul gesto. Tirò. Vide la pelle arrossata dove c’era il laccio. Sentì i baci di Viridius su quella linea rossa. Svenne. Quando si svegliò era un membro effettivo del Movimento. Aveva atteso con desiderio quel giorno, solo per essere degno del rispetto di Viridius. Aveva rinunciato alla propria libertà per combattere contro un nebuloso nemico in nome di ideali senza corpo, cui non aveva mai creduto. I dettagli della nuova vicinanza con Viridius, delle missioni da compiere insieme, li aveva immaginati con minuzia per mesi. La realtà così sciatta, imprecisa non poteva competere con le sue fantasie. Eppure, pian piano, le fece a pezzi. Non solo Viridius non gli parlava più come prima e lo evitava, questo poteva anche capirlo. Il disprezzo non lo capiva. E faceva male. Quando si trovavano assieme in un rifugio e dividevano il pasto, Viridius cominciava a parlare e si interrompeva proprio quando stava per aprirsi e andare oltre una banale conversazione, come se non lo ritenesse degno e si pentisse di avergli confidato così tanto di sé in passato. Col passare delle settimane e dei mesi, Karol colmò quella distanza con una serie di ragioni, perché riusciva a sopportare meglio di odiarsi che di smettere di amare Viridius. Faceva bene a disprezzarlo, si diceva, perché quel giorno aveva tradito se stesso. Aveva giurato di non uccidere e aveva ucciso. Ora più Viridius lo evitava, più Karol lo ammirava per la sua integrità morale e la nobiltà d’animo con cui affrontava il terribile dissidio fra l’amore per Vera e la fedeltà ai suoi ideali. Ogni sua azione, dal più banale gesto quotidiano al comportamento nelle missioni, aveva un giudice, anche quando Viridius era assente. Karol si comportava come se lui fosse sempre al suo fianco ed era così che aveva preso ad assomigliare a Vera. Per la sua fragilità fisica e la forte emotività, i capi del Movimento ancora non gli assegnavano missioni importanti e Karol dopo quattro anni svolgeva perlopiù compiti adatti a un novellino. Viridius partiva per missioni ri- 16 MARIALUISA AMODIO schiose e lui sentiva ancora più giusto il suo disprezzo. Quale delusione doveva essere stato per lui vedere che in quattro anni era stato capace solo di ammazzare una donna e partecipare a sabotaggi di poco valore, senza mai mettere in gioco la propria vita. Quando Viridius tardava a tornare dalle missioni, la sua sofferenza diventava insopportabile. Voleva seguirlo ed essergli vicino e riprendeva gusto alla vita solo quando tornava, non importava che poi lui lo trattasse male e lo ferisse con la sua malcelata insofferenza. Cercava l’occasione per riconquistarlo come un uomo che sta per morire assiderato attende il sorgere del sole. Il 10 agosto dell’anno 490 un grosso contingente dell’esercito governativo avrebbe attraversato un distretto a nord di Tara, passando per una zona montagnosa particolarmente favorevole alle imboscate. Una squadra scelta avrebbe trasportato un carico di esplosivo sufficiente a provocare una valanga di rocce lungo la gola da cui sarebbe passato l’esercito. Viridius avrebbe guidato il gruppo e Karol per la seconda volta tradì se stesso e si offrì volontario per una missione che avrebbe tolto la vita a decine di uomini. Naturalmente non fu accettato. Era un compito troppo rischioso e richiedeva uomini preparati. Karol non si arrese e con la caparbietà e la tenacia che fino a quel momento aveva tirato fuori soltanto per collezionare granelli di sabbia, tentò in tutti i modi di unirsi alla squadra e in tutti i modi venne rifiutato. Finché Viridius, per la seconda volta, ebbe fiducia in lui. Entrò nella sua tenda, già pronto per partire, e gli si piazzò davanti, fissandolo intensamente negli occhi. « Perché vuoi farti ammazzare, Karol? » In un primo momento notò solo che l’aveva chiamato per nome. Poi rispose che voleva fare il suo dovere, mettere la sua vita al servizio del Movimento e altre frasi di rito. Ma Viridius continuava a guardarlo dritto negli occhi e a un certo punto Karol dovette smettere di recitare. « Perché voglio venire con te », ma lo disse solo nella sua L'ERA DEL LEVIATANO 17 mente. Viridius gli poggiò la mano sulla spalla e disse: « Hai cinque minuti per vestirti e prepararti. Porta solo il necessario. » Karol si precipitò a preparare lo zaino. La prima cosa che ci mise fu la sua scatola della sabbia. Sarebbe stato arduo spiegare durante il controllo quanto fosse “necessaria” quella scatola, ma in missioni di quel tipo lasciavano sempre portare cose irrilevanti, come foto o portafortuna, purché non fossero d’ingombro. In meno di cinque minuti si presentò all’appello, cercando di togliersi l’inopportuna aria vacanziera dalla faccia. Nella squadra c’erano Fausta e Julienne, due veterane esperte di esplosivi, e Markus, uno dei più vecchi comandanti del Movimento. Karol si offrì subito di trasportare il carico, ma avevano già provveduto Fausta e Julienne, del resto più robuste di lui. Karol, durante la marcia, non pensava affatto a quello che stavano per fare. La gioia di aver riconquistato la fiducia di Viridius, di contare di nuovo ai suoi occhi, gli alleggeriva il passo. Non pensò alla morte neanche quando la mattina del 10 agosto sistemarono gli esplosivi. Julienne e Markus si appostarono sul picco a ovest, Viridius e Fausta su quello a est. Karol faceva da vedetta ed era nascosto su una collina un centinaio di metri più avanti. Attesero fino al tramonto e non ci fu nessun avvistamento. Le ore notturne trascorsero lente e gelide. Karol aveva lo sguardo fisso all’orizzonte e il vento lo teneva sveglio. Il cielo cominciava a schiarire e gli occhi bruciavano di sonno. Uno scarabeo verde scalava la manica della sua giacca. Karol lo fece salire sul dito indice e lo posò delicatamente su un ciuffo d’erba smorta fra le rocce. Sentì all’improvviso un crepitio di spari. Riuscì appena ad alzare lo sguardo e nel cielo esplose una costellazione di pietra e fango che l’inghiottì senza lasciargli il tempo di urlare né di pensare alla morte. CAPITOLO 2 V iridius Kallas era ancora un ragazzino quando era entrato nel Movimento in seguito allo sterminio della sua famiglia. Ricordava poco dei suoi genitori e ancor meno della sorellina appena nata. Di sua madre ricordava solo il nome e una sensazione di tepore profumato. Sentiva ancora l’odore della sua pelle e non sapeva ricordare una sua parola o la forma del suo viso. La pelle di mia madre odorava di terra bagnata, pensò Viridius scrostandosi il fango dagli stivali. Da tre giorni e quattro ore aspettava nello scheletro di un camion. Persico sarebbe dovuto arrivare da giorni. Forse era banalmente morto nell’attraversare le dune. Improbabile, perché Persico era nato nel deserto ed era stato allevato dal capitano di una banda mercenaria. Forse l’avevano arrestato, lo stavano torturando. Toccò istintivamente la fiaschetta del veleno. L’avrebbe bevuta in un istante se invece di Persico fosse apparso chiunque altro in quel maledetto orizzonte nudo. In qualità di messo aveva accesso a troppe informazioni. Le notti erano fredde, le giornate roventi. Più che dargli riparo, le lamiere del camion lo stavano cuocendo a puntino. Era dal 490 che non si vedeva un’estate così calda. Da quando Karol aveva disertato, quattro anni prima. In qualità di amico aveva accesso a un solo segreto. E non se la sarebbe cavata con una sorsata letale di sonnifero se l’avessero scoperto. Scoppiò a ridere. Una risata singhiozzante e arsa che riecheggiò fra le ferraglie e disturbò il mormorio sacrale delle dune. Karol, chissà dov’era. Ripensò a quella notte e i ricordi scivolarono nel flusso confuso del sogno. 19 L'ERA DEL LEVIATANO R Viridius si allontanò per controllare che l’esercito non avesse preso un’altra strada. Al ritorno vide una sagoma scura che, strisciando lungo la parete di roccia si avvicinava alla compagna. Affrettò il passo, scivolando sullo stretto sentiero fra i rovi e massi scoscesi, ma la stretta terrazza di terra su cui si era appostato con Fausta era ancora troppo lontana. Gridò per avvisarla, ma era controvento e la sua voce si perse nel fischio rabbioso dello scirocco. Fausta era accovacciata accanto a un pruno rinsecchito, col fucile in grembo. Si dondolava sui talloni e canticchiava uno degli inni del Movimento. Il vento era ancora forte e le sue orecchie dovevano essere intorpidite dal freddo. Per questo non sentì alcun rumore alle sue spalle, e se lo sentì, dovette pensare che fosse Viridius e tardò a voltarsi. Un oggetto freddo e appuntito le colpì la nuca. Svenne. Un uomo la rigirò col fucile e le sparò alla testa col silenziatore. Trascinò il corpo dietro una roccia, le sfilò il mantello e lo indossò. Viridius si fermò ansante e strinse i pugni, maledicendo di non aver portato il fucile nel suo giro di ricognizione. Li avevano scoperti: c’era una spia nel Movimento o nella loro stessa squadra. Cosa poteva fare ormai. Quell’uomo lo stava aspettando per ammazzarlo e sulle spalle aveva il mantello ancora caldo del corpo di Fausta. Non restava che avvisare gli altri e salvare la pelle. Viridius ridiscese e cercò di avvicinarsi all’altro picco per allertare Markus e Julienne, ma, prima di raggiungere la gola, sentì un grido. Era Markus. Così avevano ucciso anche loro. Subito dopo sentì una scarica di proiettili e vide qualcosa che precipitava lungo la gola. Cercò allora di raggiungere la collina dove stava Karol, sperando che già si fosse reso conto che qualcosa non andava. Markus e Julienne, se si erano salvati, certamente avrebbero piegato in ritirata e forse li avrebbe ritrovati alla base. Mentre correva verso la collina, sentì un rumore alle 20 MARIALUISA AMODIO spalle. Si voltò, estraendo il pugnale. Era Markus. « Julienne è morta. Le hanno sparato mentre scendeva per controllare come buttava dalle vostre parti » disse con l’affanno. « Dobbiamo ritirarci immediatamente. Siamo circondati e sanno che almeno uno di noi è vivo. » « Devo avvisare Karol. » « Lascia perdere! Forse è già morto » disse Markus. « A due passi da qui c’è un passaggio che porta a un rifugio. Ci allontaniamo troppo se andiamo verso la collina. » La sensata spiegazione di Markus fu interrotta da un assordante boato. La collina dove Karol era di vedetta era stata disintegrata da un’esplosione. Viridius seguì il compagno, affrettandosi verso il rifugio. R Quando Karol aprì gli occhi sentì una fitta dolorosa, come chi da un ambiente oscuro passi alla piena luce del giorno. Ma la luce che lo avvolse e gli ferì gli occhi non era quella calda e naturale del sole. Era un bagliore freddo, intenso, di un biancore abbacinante che proveniva dalle stesse pareti, candide e immateriali. Ricordava solo di essere caduto in un pozzo che si era aperto ai suoi piedi, mentre la collina esplodeva sopra di lui. Le mura correvano parallele, deviavano e si intersecavano in un gioco complesso e non c’era nulla in quel biancore assurdo, nessuna macchia, nessun punto di riferimento. Karol aveva sentito parlare di quei dedali sotterranei, ma credeva fossero solo una leggenda. Dicevano che erano stati costruiti prima dell’Anno Zero, ma nessuno ne ricordava la funzione o sapeva localizzarli. Persino gli scrittori di Storia tacevano sull’argomento. Erano detti Labirinti del Tempo e quanto si sapeva su tali misteriose architetture era che chi ci era entrato non ne era più uscito. Karol provò a forzare il punto del soffitto da cui era caduto, ma non c’erano buchi né fratture e tutto era di un bianco puro e uniforme, come se il Labirinto fosse liquido e l’avesse assorbito. Eppure le pareti erano solide. L'ERA DEL LEVIATANO 21 Se c’è un ingresso, pensò con ottimismo, deve esserci un’uscita. Avanzò lasciando incisioni sulle pareti col suo coltellino, ma ben presto si accorse che i segni sparivano e la parete tornava liscia e pulita, come se avesse tagliato un muro d’acqua. Quanto tempo era passato? Ritrovandosi sempre fra pareti uguali e bianche gli sembrava fosse trascorso appena un istante dalla sua caduta, ma le gambe gli dolevano per il continuo camminare e lo stomaco si stringeva nei crampi della fame. A volte anche il dolore e la fame scomparivano e si sentiva leggero e luminoso, come un neonato. Si fermava e sentiva di dover restare lì per sempre. Il sonno lo colse mentre i ricordi gli attraversavano la mente rapidi e confusi. In realtà non sapeva più cosa venisse prima o dopo e si sforzava di stabilire un ordine nei fatti che ricordava, o almeno di capire quali erano stati reali e quali solo sogni e fantasie. Si addormentò senza accorgersene e il suo corpo cominciò a essere lentamente assorbito dal muro bianco cui era poggiato. Scomparve metà del busto, poi la testa e le braccia. Forse non si sarebbe mai più svegliato se lo zaino al suo fianco non si fosse rovesciato sul pavimento. Il fracasso delle vettovaglie che rotolavano lo fece sobbalzare. Si ritrovò nel vuoto assoluto, ma sentì che poteva muovere le gambe e con un grande sforzo riuscì a emergere dalla parete. Vide gli oggetti sparsi sul pavimento, ma non riuscì a muoversi. Lentamente il pavimento latteo li assorbiva. Non poteva tenere gli occhi aperti. Sapeva che addormentandosi sarebbe morto, inghiottito dal muro bianco, ma proprio non riusciva a restare sveglio… e poi che speranze aveva di uscire da lì? Stava chiudendo gli occhi rassegnato, quando vide la scatola blu. Non era scomparsa come gli altri oggetti. Aprì la scatola e prese una manciata di sabbia, stringendola fra le dita. Si alzò e cominciò a camminare lungo il Labirinto, spargendo i granelli di sabbia. Era la sabbia minuziosamente raccolta negli ultimi cinque anni della sua vita, ogni giorno, quando il sole era 22 MARIALUISA AMODIO alto. Sperava che fosse sufficiente per uscire dal Labirinto. Pian piano la scatola blu si svuotava e un sottile filo di sabbia guidava Karol nel dedalo temporale. Erano rimasti pochi granelli e nulla spezzava l’uniformità dei corridoi. Quando l’ultimo granello di sabbia toccò il pavimento, Karol si fermò a guardare il percorso dietro di sé. Il filo di sabbia procedeva diritto e chiaro, ma non l’aveva portato alla fine del Labirinto. Stava per abbandonarsi di nuovo al cupo dormiveglia, quando sentì una fitta e lieve pioggia sul viso. Alzò lo sguardo: c’era una crepa sul soffitto. Raspando con le mani e col coltello cercò di allargare la fenditura. La luce calda del giorno dissipò quella bianca e innaturale del Labirinto. Karol, sporco di polvere e del misterioso materiale di cui era fatto il dedalo temporale, si distese esausto sulla sabbia, col cielo bianco sopra di lui. Si trovava dall’altra parte dalla gola e c’erano numerose orme sul terreno. L’esercito infine era passato, ma le orme erano fresche e non dovevano essere trascorsi più di due giorni. Dei suoi non c’era traccia. Forse erano tutti morti, pensò, col terrore di vedere da un momento all’altro il cadavere di Viridius conteso dagli sciacalli. Aveva militato per cinque lunghi anni solo per amore di Viridius, solo per meritare la sua stima. Ora era libero. Il pensiero lo colse improvviso, dissipando l’ansia per la sorte dell’uomo che amava e per il proprio futuro. E aprendo infinite strade su cui da tempo aveva smesso di fantasticare. Lo credevano morto, perciò poteva lasciare il Movimento senza complicazioni e andare altrove, cominciare una nuova vita. In un certo senso il vecchio Karol era davvero morto. Poteva vedere il suo cadavere in briciole lungo il sentiero di sabbia nel Labirinto. Eppure, se Viridius era ancora vivo, non voleva che lo considerasse perduto. Karol sapeva dell’ex rifugio nei pressi della gola e cautamente vi si avvicinò. Restò in attesa che uscisse qualcuno L'ERA DEL LEVIATANO 23 e a sera entrò, cercando di non far rumore. Il rifugio era deserto, ma c’erano tracce di un fuoco recente e resti di cibo non ancora marci. Trascorse lì la notte e al mattino seguì le tracce che partivano dal rifugio verso ovest. Li raggiunse a un giorno di cammino dalla base e scoprì con sollievo che Viridius era ancora vivo. Doveva avvicinarlo senza che l’altro se ne accorgesse e non era facile poiché i due non si separavano mai e Markus aveva una sensibilità felina. La fortuna lo soccorse ancora una volta, perché Markus, prima di ripartire, si era allontanato per una breve caccia. Karol esitò, poiché sospettava che si fossero accorti della sua presenza e che, fingendo di allontanarsi, Markus volesse farlo uscire allo scoperto. Ma la sua cautela durò poco. Era la sua unica occasione di incontrare Viridius e sapeva che se non gli avesse parlato non avrebbe avuto la forza di cominciare la sua nuova vita. Viridius, quando lo vide, balzò in piedi e corse ad abbracciarlo. « Sei vivo, Karol, sei vivo! » gridava e gli brillavano gli occhi. Karol non si aspettava tanto calore. La sua sicurezza di partire vacillò. Viridius gli voleva bene ed era stato in pena per lui. Sarebbe rimasto nel Movimento al suo fianco. Ma le parole che aveva preparato per quel momento uscirono, suo malgrado, ferme e ineluttabili. « Lascio il Movimento. Volevo dirtelo perché non so se ci incontreremo più. Vado a Tara. » Viridius lo ascoltò perplesso. « Non puoi lasciare il Movimento. » « Mi credono morto. Solo tu sai che non è vero. Puoi denunciarmi, e sarebbe giusto, faresti il tuo dovere. Ma non puoi fermarmi, perché ho fatto una scelta. » Viridius lo guardò a lungo, come per scoprire quel che si nascondeva dietro le sue parole. « Non ti denuncerò e so che non mi tradirai », disse. Karol trasalì. Allora sapeva, lo conosceva fino in fondo. Sfuggì il suo sguardo. « Prendi quest’atto di fiducia come ricompensa per averti rovinato la vita », proseguì Viridius. « Vai, fatti una 24 MARIALUISA AMODIO famiglia e sii felice », aggiunse impacciato. Karol lo abbracciò. Non l’aveva mai amato tanto e mai aveva tanto desiderato di restare con lui. Si allontanò a passo svelto, senza voltarsi, perché stava piangendo e non voleva che lui lo vedesse così. « Buona fortuna, Karol ». Il vento gli portò il saluto di Viridius, ma forse l’aveva solo immaginato. Continua in libreria e, direttamente sul sito de La Penna Blu Edizioni, su www.lapennablu.it/catalogo/...