I poeti lavorano di notte Quando il tempo non urge su di loro, quando tace il rumore della folla e termina il linciaggio delle ore. I poeti lavorano nel buio Come falchi notturni od usignuooli Dal dolcissimo canto E temono di offendere Iddio. Ma i poeti, nel loro silenzio conFanno ben più rumore Di una dorata cupola di stelle Alda Merini 1 2 ANTOLOGIA III° CONCORSO LETTERARIO “MAESTRO RASA CALOGERO” 2007 A CURA DI SALVATORE IMBURGIA ANTONIO LEONE 3 UN ILLUSTRE E SAGGIO POETA POPOLARE MAESTRO RASA CALOGERO Nacque l’8 ottobre 1918 a S. Cristina Gela (PA), una delle cinque colonie albanesi di Sicilia. Perse il padre in tenera età e frequentò nel suo paese le scuole elementari. Notato dal Parroco per la sua vivace intelligenza, fu mandato a continuare gli studi presso il seminario “S.Maria dei Padri Brasiliani” a Mezzojuso (PA). Scoppiata la seconda guerra mondiale venne destinato a Rodi, nell’Egeo. Quando le sorti della guerra volsero a sfavore dell’alleata Germania, fu prigioniero dei tedeschi per due anni e dopo molteplici avversità riusci a ritornare in patria. Nel 1947 inizio a lavorare a Cerda dove conobbe e sposò Vincenza Anzalone dalla quale ebbe 4 figli. Nel febbraio 1948 vinse il concorso magistrale e iniziò il suo lavoro di maestro a Cerda. Diede inizio alla sua produzione poetica in dialetto con l’intento di salvaguardare dall’oblio i proverbi, espressioni di saggezza popolare. I suoi primi scritti(“L’Onorevuli mancanti”, e “Li cumizi di chiusura”) sono costituiti su di essi. I temi ricorrenti nela sua poesia sono: l’amore per il lavoro che svolgeva (Lu maestru , Addiu a la scola,); il ricordo accorato del terribile periodo di prigionia(Ricordu di la prigionia, Pani spartutu), il rifiuto di ogni forma di totalitarismo ed il rispetto per la democrazia (Li dui Napuliuna, lu guvernu semu nui, ); e ancora: L’attenzione verso i semplici oggetti della vita quotidiana (Lu chiovu, La zappa, La Pignata); la descrizione affettuosa ed attenta di quello che egli considerava il “suo paese” (Ministoria di Cerda, La chiazza, Malluta, Casteddazzu); cantò inoltre le glorie cerdesi: La Targa Florio Picchì l’ann’a livari ?, A cacocciula) Il maestro Rasa definì le sue poesie “spigolature umilissime” ma, in effetti, egli riusci non solo a parlare con cori di profonda umanità ed interiorità, ma anche di autentica poesia. 4 ZAPPA E FAUCI ZAPPA: sugnu jttata intra st’agnuni, Nuddu mi cerca, nudddu mi viri: l’omu mudernu e superbuni a chiddu chi voli travagghiari ci dici: unni vai cu ‘ssu zappuni? Chi-si pazzu? O di pocu vidiri? La machina fatti, oh zuccuni! Chidda ora ci voli: un c’è chi fari! FAUCI: E l’aiu a diri iu cummari? Li terri tutti abbannunati! Finiu lu metiri e pisari! Finiu la festa di l’estati! Tutti ora si nni vannu amari Pi farisi viriri e guardari, trebbi, metitrebi e tratturi, né zappa, né fauci: un ’nni parrari! RASA CALOGERO Per gentile concessione della famiglia Rasa 5 Associazione culturale “La Nuova Compagnia CITTA’ DI CERDA” GRUPPO FOLK I CARRITTIERI Aderente Federazione Italiana Tradizioni Popolari ENTE DI IV° CLASSE ACCREDITITATO PRESSO LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI UFFICIO NAZIONALE SERVIZIO CIVILE BREVE STORIA E CURRICULUM DELL’ ASS. CULTURALE “LA NUOVA COMPAGNIA CITTA’ DI CERDA” & GRUPPO FOLK “I CARRITTIERI” L’associazione Culturale folkloristica “LA NUOVA COMPAGNIA CITTA’ DI CERDA” ha una costituzione abbastanza recente essendo nata ufficialmente nel 1998 , anche se fino a quella data gli stessi soci fondatori si erano presi l’impegno dello studio folcloristico della nostra società cerdese, partecipando con successo a varie manifestazioni cittadine siciliane e internazionali. Ripropone nei suoi costumi, il vestiario festivo dei popolani fine settecento primi ottocento, risalendo fino alla dominazione spagnola di cui la società cerdese ne ha subito l’influsso. Cerda è nata direttamente dalla dominazione spagnola da cui ne prende il nome, essendo un marchesato del dominio spagnolo del XVI secolo. Le loro performances consistono in balli e tarantelle popolari che riproducono il lavoro dei campi e della primaria attività locale che fin dai primi secoli di vita della comunità cerdese è stata quella di viaggiatori o di “carrettieri” Cerda originariamente era denominata “FONDACO NUOVO” o “TAVERNA NUOVA”, perché era il punto d’incontro di tutti i carrettieri che viaggiavano verso Palermo o l’entroterra siciliano. Per questo motivo il gruppo Folk della Nuova Compagnia si chiama “I CARRITTIERI” Un ballo tipico del gruppo folk, è il ballo della cordella che è originario delle Madonie e viene riproposto dai soci in svariate figure. Esso rappresenta nella sua esibizione, il continuo evolversi della vita con le sue vicissitudini. nell’arco dell’anno; infatti vi sono 24 cordelle tenute da dodici coppie di ballerini a simboleggiare i dodici mesi dell’anno. Anticamente veniva rappresentato nelle cerimonie nuziali come rito propiziatorio, dove i ballerini, a ritmo della tarantella intrecciavano una cordella legata ad un palo, che poi con la stessa abilità dovevano sciogliere 6 L’associazione ha animato diverse manifestazioni della rinomata sagra del carciofo di Cerda, che ogni anno viene festeggiata il 25 aprile, organizzando per tale occasione un festival di gruppi folcloristici che ogni anno riscuote sempre maggiore successo e prestigio, In questa manifestazione si sono avvicendati diversi gruppi folcloristici di rilievo, diventando una tappa importante per ogni gruppo folk. Mensilmente pubblica un giornalino “L’OPINIONE” che tratta le cronache di Cerda e delle Basse Madonie, e articoli vari di cultura e vita dell’associazione. MANIFESTAZIONI DI MAGGIOR RILIEVO 98 Bivona: raduno folk “Sagra della Pesca” Maggio 98 e 99 Cerda: festa di San Giuseppe sagra della Sfincia. 99-2002: Ideazione e Realizzazione del Museo etno-storico del Comune di Cerda. . Il progetto realizzato con fondi comunali è stato interamente elaborato ed eseguito dall’associazione. Suo obbiettivo principale era fornire una testimonianza viva dei costumi, dell’artigianato e dei modi di vita dello scorso secolo. Il museo, inserito all’interno di una palazzina di tre piani lungo la via principale del paese, è stato strutturato prevedendo la realizzazione di tre spazi diversi ma ideologicamente collegati. Si sono ricostruiti all’interno dell’edificio le abitazioni di una famiglia borghese dell’ottocento, curando la struttura degli appartamenti, dalle pareti all’arredamento, al vestiario. Sono state ricostruite interamente una camera da letto, un salone. La seconda sezione dell’edificio è stata destinata a contenere tutti gli attrezzi da lavoro del secolo scorso, secondo precise coordinate: attrezzi da cucina, da lavoro nei campi, attrezzatura dei mestieri. L’ultimo piano dell’edificio e’ stato diviso: da un lato si e’ pensato di allestire mostre temporanee a ciclo continuato di arte contemporanea e artigianato artistico, cercando in tal modo di dare possibilità ai giovani artisti di avere uno spazio a loro disposizione e che permettesse loro la fruizione dei propri lavori. Parte dell’area dell’ultimo piano è stata dedicata alle mostre storiche. Sono state realizzate le seguenti mostre: Cerda: la sua storia attraverso le foto. I Florio: Storia di una famiglia. La targa Florio. Le emozioni, i ricordi, e la ricchezza di un mondo che fu… Info: http://www.comune.cerda.pa.it/ museo etno-storico. 25 aprile 98-99-00,01-02 Cerda: Organizzazione della “SAGRA DEL CARCIOFO”. 1999: Organizzazione corsi di tradizioni popolari alle scuole elementari di Cerda . 23.05.99 Trabia: “Sagra del Nespolo”. 29.05.99 Cerda: festa della Legalità 7 Agosto 99 Cerda: Realizzazione della commedia “L’Aria del Continente” di Martoglio, inserita all’interno del programma “Estate Cerdese” 27.08.99 Naso: Festival internazionale del folk 08.12.99 Cerda: festa dell’Immacolata 25.04.00: intervento alla trasmissione televisiva di RAI 2 “LA VITA IN DIRETTA” in occasione della XIX sagra del carciofo 28.07.00 Caltabellotta (AG): Festa di San Lorenzo 21 08.00 Cerda: Organizzazione “Estate Cerdese” 22.08.00 Cerda: Ideazione e Realizzazione dello Spettacolo “50 anni di musica italiana” I° edizione, inserito nella programmazione “Estate Cerdese”. 26.08.00 Cerda: Sagra della salsiccia 07.09.00 Cerda: Festa della Madonna dei Miracoli 16-17. 09.00 Monaco di Baviera (Germania): Partecipazione in qualità di rappresentanti dell’ Italia all’ “OCTOBER FEST” , sfilata per le vie del centro di Monaco ed esibizione ufficiale all’interno del “Circo Krone” 21.09.00 Termini Imerese: Estate degli anziani Settembre-Ottobre 2000: Festa della Provincia nei comuni di Sclafani Bagni – Borgetto – Campofelice di Roccella .- CerdaRoccapalumba “La Nuova Compagnia” viene inserita fra gli 8 gruppi del circuito dell’ A.A.P.I.T. di Palermo Agosto 2001Cerda: Ideazione e Realizzazione dello spettacolo “Polvere di Stelle” inserito nella programmazione “Estate Cerdese” 20.agosto 2001 fino al 30.agosto 2001 Polonia: Tournèe 05.11.2001 -Finale di Pollina: Sagra dell’olio Agosto 03: ideazione e realizzazione della I° “Fiera Mercato” del Comune di Cerda: la manifestazione, articolatasi in tre giornate, ha previsto la realizzazione di 50 stand occupati da artigiani provenienti da tutta la Sicilia. La fiera si è articolata in diverse sezione: Artigianato in ferro -legno- vetro ; Artigianato- artistico; eno-gastronomia- Arte e arredamento. Le giornate sono state scandite con la programmazione di tre serate musicali di tema diverso: jazz; afro-brasiliane con la partecipazione del gruppo di capoiera “Zumbì” di Palermo; musica leggera con il gruppo “Sturmuntruppen” di Palermo. Agosto 03: Organizzazione del I° Gemellaggio del Comune di Cerda con il gruppo folk portoghese della città di Lamego 19 -30 Agosto 2002 Portogallo: tournèe a Lamego Ottobre 2002 Piedimonte Etneo: Partecipazione al “GALA’ INTERNAZIONALE” di Piedimonte Etneo (CT) 2003-2005: Ideazione e Realizzazione del giornale “L’Opinione”, periodico di attualità, cultura e informazione. Registrato presso il tribunale di Termini Imerese n° 04/05 R.Per.: mensile culturale curato e finanziato interamente dall’associazione. Tiratura 5.000 copie. Il circuito entro cui avviene la diffusione gratuita e’ quello dei comuni aderenti all’ “Unione dei Comuni della Bassa Valle del Torto” 8 27 Maggio 2003 Collesano: Festa Maria SS. Dei Miracoli 03. Agosto 2003 Atina (Fr): partecipazione al XXV° festival internazionale del folklore. 04 – 12 Agosto. 2003 Romania: torunèe a Cluj Napoca 19. Agosto 2003: gemellaggio con il gruppo folk Katerinca di BRNO (rep. CEKA) con progetto finanziato dalla Comunità Europea sul tema: “Delinquenza. Cerchiamo di Capire”. 19 – 24 Agosto .2003: Ideazione e Realizzazione del 1° Festival Internazionale del folklore “BASSA VALLE DEL TORTO” 08.02.2004 Agrigento: Partecipazione alla 59° edizione della sagra del “Mandorlo in fiore”, in collaborazione con l’istituto Goethe di Palermo, nell’ambito del progetto “I CAVALIERI VIRTUALI” 25 APRILE 2004 Cerda: Partecipazione alla XXIII sagra del carciofo 29 MAGGIO - 01 GIUGNO 2004 Lussemburgo: Partecipazione alla manifestazione “I CAVALIERI VIRTUALI” in collaborazione con il “GOETHE INSTITUT” di Palermo Diretto dal Prof. Paul Eubel, tenutasi presso Wiltz (Lux). Aprile - Settembre 2004 : Collaborazione con l’ agenzia “Aereoviaggi” di Palermo per la realizzazione di una serie di spettacoli folk presso diverse strutture alberghiere. 08.10.04: Collaborazione con il museo “Pro Targa Florio” di Cerda, diretto da Antonio Catanzaro, per il 10° raduno del “Bugatti Club Italia” 26.DIC.2004: Ideazione e realizzazione del 1° Concorso Letterario nazionale “MAESTRO RASA CALOGERO” con il patrocinio, della Presidenza dell’A.R.S., dell’AAPIT e del C.N.A Dicembre 2004: Ideazione e Realizzazione del Libretto “Cerda, la sua Storia per le vie” a cura di Ermelinda Imburgia. Dicembre 2004: Ideazione e realizzazione del libretto “Storie, due anni di Opinione” in allegato al numero di Dicembre del periodico L’Opinione, a cura di Antonio Leone e Daniela Cappadonia. 2004: Accreditamento al Servizio Civile Nazionale come classe quarta per la realizzazione di attività culturali. 06.02.05 Agrigento: Partecipazione alla LX Sagra del “Mandorlo in Fiore” Aprile 2005: Ideazione e realizzazione del libretto “Carciofostory” in allegato al numero di Aprile del periodico l’Opinione, a cura di Antonio Leone e Daniela Cappadonia. 19.04.05- 23.04.05 : Stoccarda: realizzazione spettacolo folk in occasione dei festeggiamenti per i sessant’anni dell’azienda Wurth, incontro con Reinhold Wurth. Direzione del Goethe Institut di Palermo. 18.DICEMBRE.2005: Realizzazione II° CONCORSO LETTERARIO Maestro Rasa Calogero, con il patrocinio del Presidente A.R.S. dell’A.A.P.I.T. PALERMO E CGIL DI PALERMO 07.MAGGIO.2006 realizzazione del progetto “PRIMAVERA SICILIANA. TRA AUTO E FOLK” finanziato dall'assessorato al Turismo della Regione Sicilia, in occasione del centenario della TARGA FLORIO. 9 01.08.2006 viaggio in Francia nei paesi Baschi “ LA BASTIDE CLARENCE” per festival internazionale folkloristico. 20.agosto 2006 ospitalità e scambio culturale con gruppo basco della Francia ESPERANZA 22.agosto 2006 Aliminusa realizzazione festival folk internazionale 10 12.2006 partecipazione e realizzazione del progetto VIAGGIO NEL MONDO DELLA FANTASIA del comune di ROCCAPALUMBA finanziato dalla Regione Sicilia 18.12.2006 realizzazione III° concorso letterario MAESTRO RASA CALOGERO finanziato dall'Assessorato alla cultura della Regione Sicilia. 25.APRILE 2007 Realizzazione raduno folk ed esibizione nella XXVI sagra del carciofo di Cerda 25 APRILE 2008 GESTIONE GENERALE DELLA XXVII SAGRA DEL CARCIOFO *********************** ASSOCIAZIONE CULTURALE “LA NUOVA COMPAGNIA” & GRUPPO FOLK “I CARRITTIERI” 10 PRESENTAZIONE Il premio letterario dedicato al Maestro Rasa Calogero, giunto alla sua IV edizione, anche quest’anno, ha fatto scrivere una pagina indimenticabile e significativa per Cerda e la sua storia, conferendo alla nostra cittadina prestigio, credibilità e visibilità esterna, per il richiamo che ha suscitato non solo dalla Sicilia, ma da tutta l’Italia, e anche dall’estero. L’ Associazione Culturale, unica nel suo genere a Cerda, è soddisfatta dell’evento, riuscito anche grazie alle importanti sponsorizzazioni, come il patrocinio dell’Assessorato ai beni culturali dell’ARS e della Provincia di Palermo – Ci dispiace non potere mensionare tra i patrocini quello del comune di Cerda, quello a cui teniamo di più, ma per svariati motivi in nessuna edizione, è stato possibile apporre il logo del comune. Spero nella sensibilità delle future amministrazioni affinchè prendano in considerazione questo evento culturale, dando il giusto inquadramento tra le cose più importanti. Al 1° bando, nessuna credeva alla buona riuscita del concorso, in seguito, grazie all’impegno di alcuni soci a cui si deve dare merito, il concorso prendeva una piega di rilevanza nazionale. Tra i partecipanti vi sono stati numerosi personaggi di spicco nel mondo della cultura e non nuovi a questo tipo di concorso. Altrettanto importante è la pubblicazione di questa antologia che racchiude le opere dei partecipanti dell’edizione precedente che testimonia l’enorme successo ottenuto e la risonanza dell’evento. Un vivo ringraziamento va a tutti i partecipanti al concorso, e un arrivederci alla V° edizione. IL PRESIDENTE SALVATORE IMBURGIA 11 NARRATIVA 12 1°classificato IL VIAGGIATORE di FRANCESCO TROCCOLI Camminando lungo la spiaggia guardava il mare. Non riusciva a staccare lo sguardo da quella massa grigia increspata da sottili vene verdi che sembravano pulsare ad ogni incedere delle stanche onde dell’alba. Nei rari momenti in cui le resistenze della sua mente di navigatore galattico non erano sconfitte dall’ipnotica potenza dell’immagine di quel mondo, si chiedeva se sarebbe mai riuscito a tornare a casa. Quasi dubitava ormai di averla, una casa; nei dieci secoli terrestri di viaggi attraverso lo spazio non aveva trascorso in essa più che una minima frazione di quel tempo che aveva speso per la sua ricerca. E comunque di quella casa a milioni di anni luce da lì, non gli importava ormai più niente; da quel mondo solitario e pulito non se ne sarebbe andato mai, se solo avesse potuto decidere del proprio futuro senza doverne rendere conto al Comando di Viaggio. Ma il richiamo vocale automatico che gli risuonava internamente non aveva pietà: “Viaggiatore, la tua ricerca sarà fruttuosa. Abbiamo bisogno di nuovi mondi”. Né sarebbe servito implorare pietà a un trasmettitore iper-luce conficcato nella coscienza, che ogni giorno gli ricordava d’essere una delle infinite appendici di una centrale di comando collocata nella moribonda zona dell’Universo da cui proveniva, e il cui unico scopo era l’individuazione di pianeti da rendere idonei per la colonizzazione. Erdun partecipava così alla selezione di nuovi mondi abitabili, su cui trasferire i miliardi di suoi simili che vivevano nella massa di stelle morenti e pianeti congelati delle galassie più esterne dell’Universo. Era la prima volta dall’inizio dell’esplorazione del cosmo che non desiderava tornare indietro e fare rapporto al Signore Superiore. Era la prima volta che desiderava dimenticare la sua natura di essere plasmatico e rimanere per sempre nella dolce prigione di quel corpo solido di carne, sangue ed ossa, esemplare tipico di una in particolare tra le mille specie senzienti solide della galassia, la specie umana. Stava ancora guardando il mare e decise in un istante, all’improvviso, di infrangere le regole e muoversi in modo non razionale e non utile alla missione; si diresse in fretta verso l’acqua, il cui odore salmastro invadeva già da alcuni minuti le cavità nasali di quel corpo straordinariamente complesso e sensibile. Non poteva sottrarsi, non era in grado e non voleva resistere all’infinita gamma di impulsi che aggredivano quel fragile involucro di pelle e inebriavano la sua perfetta mente aliena fino a stordirla, drogandola di desiderio. 13 Sensazioni, emozioni, segnali elettrici intensissimi, cui non era in grado a quel tempo di dare un nome. Seguì un incerto sentiero erboso tra le dune verdi e scese fino alla riva; la raggiunse, si inchinò e toccò l’acqua. Per la prima volta prestò così attenzione al numero di estremità che si diramavano da una delle due lunghe appendici di cui era dotato il corpo che abitava da pochi minuti; erano cinque, e un indigeno di quel mondo, cui aveva chiesto dell’energia, gli aveva insegnato a produrre il suono con cui chiamare questa e quelle: “cibo” e “dita”. Erdun aveva sentito un segnale interno strano di fronte allo sguardo amichevole dell’indigeno disposto ad aiutarlo senza chiedere nulla in cambio, e gli era piaciuto. A dirla tutta, si era anche vergognato di non sapere rispondergli, di non sapere usare quella primitiva funzione materiale che produceva vibrazioni percepibili dell’etere, utilizzate per comunicare. Infilò quelle “dita” nell’acqua, e le portò poi verso l’orifizio centrale, mobile e sinuoso, della parte alta pensante di quel corpo, la parte in cui sentiva più potente la capacità di interagire con l’ambiente esterno, e in cui avvertiva di essere più presente in quell’involucro. Avvertì un altro segnale, una sensazione nuova, che all’inizio lo terrorizzò. Aveva già collaudato molti organismi solidi nei pianeti che aveva avuto occasione di conoscere, ma quello umano si rivelava senza ombra di dubbio il più incomprensibile e affascinante. Il contatto con l’acqua irruppe nel patrimonio delle sue conoscenze fisiche di essere etereo privo di sensi per natura, ma ai sensi adattato per necessità, ora sulla terra come in passato su decine di altri pianeti. Fu preso da convulsioni: sentì quelle che riconosceva come le parti interne di quel corpo contrarsi e poi dilatarsi, e poi ancora contrarsi, e distendersi nuovamente, e così ancora molte volte, fino a provare infine un senso di sollievo che gli era ignoto fino a quel momento. Il sapore, l’odore. Non poteva dare un nome a quelle sensazioni umane, tra le migliaia che aveva provato girovagando per il cosmo, ma iniziava ad avere ben chiara la differenza tra di esse. Imparava in fretta, come nelle precedenti missioni. Ma questa volta tutto era diverso; questa volta l’intensità dei segnali percepiti era straordinaria, e soprattutto, quei segnali sembravano sempre originarne altri. Si trasformavano. Come nel sistema di Aldebaran la luce dei pianeti più lontani dai due soli cessa d’esser rossa e diventa blu nell’arco dello stesso giorno, sulla terra le sensazioni dell’essere vivente umano cessavano di essere quel che erano state e cedevano il posto ad altri segnali, molto più complessi, ed apparentemente privi di una causa riconoscibile. 14 Fu quel che accadde anche in quel momento; al sapore, dell’acqua, subentrò un senso di euforia incontrollata, mai provato in precedenza su nessuno dei pianeti esplorati. Questo mondo è incomprensibile. Cammino da ore e so di essere diverso, ad ogni passo. Cambio di continuo. Questo corpo solido si trasforma, sempre, anche quando è fermo. Non sono io a imporre all’esterno la mia volontà; è invece l’ambiente che influenza questo organismo. Sono come impotente. Sento di avere bisogno di ogni parte dell’immagine che vedo fuori di me. O meglio, sento di desiderarla. Nonostante questo corpo sia solido, sembra che la sua sensibilità alla luce sia persino superiore a quella che ho nella mia forma plasmatica, cui ho dovuto rinunciare ancora una volta, su questo mondo di pietra. Ogni parte di questo involucro di pelle è sensibile, comunica con l’aria che lo sfiora, la sente, e poi la rifiuta, o la prende. E per quanto io mi sforzi, su questi fenomeni non ho facoltà di controllo alcuno. Conosceva già le emozioni più elementari, le aveva apprese nei suoi viaggi ed anche in forma plasmatica, nel suo mondo. Ma sulla terra era diverso; lì, e in quell’organismo, esse nascevano all’improvviso, ed erano sconvolgenti. Sul suo pianeta non si usava parlare; la comunicazione tra individui avveniva solo in un modo, attraverso veloci onde elettromagnetiche di pensiero. Il suo pianeta, il nostro pianeta. Non sarebbe possibile dire di più, in questo testo scritto. La scrittura stessa è un nonsenso, nel nostro mondo, ed è solo grazie all’amicizia che ho instaurato con un umano nostro prigioniero, che mi ha insegnato ad usare questi segni che io non posso vedere, che riesco a permettere che tu, umano, possa leggere quanto sto ora scrivendo, con il suo aiuto, per raccontare la breve storia di mio fratello Erdun sul tuo pianeta, la Terra. Sento forte questa energia che mi assale; entra in me attraverso due vie parallele. “Occhi” li chiamano qui. Il suono che descrive questa parola si realizza con la stessa cavità che mi ha consentito questa particolare conoscenza dell’acqua. Conosco l’acqua, ne abbiamo sul mio pianeta, ma non ho mai avuto modo prima di toccarla con questi potenti organi sensoriali, né di percepire un immagine esterna come fosse dentro di me. Mio fratello Erdun continuò a camminare. A quei tempi la conoscenza del pianeta terra non era sviluppata come lo è oggi; ma lui, in preda all’euforia incontenibile che le sensazioni permesse da quel corpo gli regalavano, si illuse per un sol momento di essere ormai esperto del vostro mondo ed entrò in quella grande massa d’acqua. Ad un tratto capì. 15 Capì che l’aria espulsa dall’acqua che violentemente penetrava e invadeva i suoi polmoni era indispensabile per i processi vitali terrestri; capì che l’interazione tra viventi sul vostro pianeta è molto complessa, quando, dopo che lo avevano tirato fuori di lì, vide, poco prima di chiudere gli occhi, il volto di un essere diverso ma appartenente alla stessa specie che lo toccava e gridava, implorandolo di rimanere in vita. Forse un giorno, quando la pace sarà stata fatta, potremo permetterci di rivelare ai terrestri che il corpo di Erdun, che essi seppellirono nella sabbia di quel tratto di costa, fu per lui solo un veicolo, e che mio fratello è vivo e vegeto. Ma io non capisco più mio fratello. Erdun mi ha appena comunicato di voler tornare sulla terra ed io lo giudico un folle per questa decisione. Sostiene di voler tornare laggiù per cercare quell’essere diverso che gridava al suo corpo umano esanime… quella “donna”, è così che l’ha chiamato. 16 II° classificato INLEIS di FRANCESCO DONATO Logorati dall’inesorabile trascorrere del tempo, dei miei ricordi non restano che precarie visioni sospese, che non hanno né il coraggio di emergere limpidamente, né la disperazione di lasciarsi cadere irrimediabilmente nell’oblio. Ogni tanto la mia memoria ne lascia riaffiorare qualcuno, così come questa austera scogliera che si insinua nel mio mare, permette che un piccolo fiore delicato dai colori vivaci ogni tanto possa farsi breccia tra la scompiglio selvaggio della vegetazione che la riveste. Tanti uomini rischierebbero di cadere in acqua pur di raccoglierlo, ma per me non è così. So che è meglio lasciarlo lì dove sta, anche a non darsi pace. Tanto prima o poi arriverà l’inverno e se lo porterà via. E i miei ricordi restano lì, proprio come il piccolo fiore. Ma accolgo comunque con intensa commozione queste fugaci visioni che si liberano eteree dalla mia antica memoria. Perché, a parte quel giorno, esse sono le uniche cose che mi legano ancora al mio passato. Eppure, di esso, solo un sentimento ha sfidato e vinto l’avvicendarsi frenetico del giorno e della notte. E con immutata percezione ancora oggi consente a qualche malinconica lacrima che si sgancia dai miei occhi di confondersi con le acque che hanno saputo accogliermi. Non so più cosa significhi provare odio, amore, rabbia, felicità. Conosco solo il rimpianto. Rimpianto perché quel giorno oltre a perdere il senso della vita, persi la vita stessa. Perché poco importa che oggi sia una Sirena, un essere puro e maestoso, ricoperto di fascino e mistero quanto di delicate squame brillanti, questa non era la mia vita. E forse era meglio morire. Ma non seppi dire no. Rivivo quel giorno nella mia mente da quasi due secoli ormai. Il sole assalito da enormi nuvoloni neri, il mare di Chianalea che va in collera come un cane al quale viene pestata la coda, e quella barca che non vuole proprio saperne di spuntare all’orizzonte. Tutto è vivo e nitido dentro me. I bambini che correvano verso casa, i vecchi pescatori ai quali supplicavo parole di conforto, il sole scialbo dell’alba seguente. La barca fu ritrovata abbandonata nelle acque di Bagnara. 17 Così mi dissero e così persi il senso della vita. Proprio sul più bello. Non l’avrei più rivisto. In preda alla disperazione cercai aiuto, ma ero sola,sola più che mai e soprattutto non ero vista di buon occhio. Aspettavo un bambino dal mio uomo, ma non ero ancora sposata, e questo costituiva un peso troppo grande per la mia famiglia, per la sua famiglia, per il prete che non volle nemmeno aprirmi quando bussai a pugni chiusi contro la sua porta. Una sola via, quella estrema mi si aprì travolgendomi con impetuosa determinazione. Pensai al mio bambino, l’avrei fatto nascere in quei pochi passi che mi separavano dal baratro, se solo avessi potuto. Poi l’impatto violento con l’acqua. Il buio. Sentivo la morte sopraggiungere, ma era tutto estremamente dolce. Provai l’ineluttabile necessità di abbandonarmi. Compresi che qualcosa stava accadendo. Non so ancora oggi cosa di preciso, ma accadde e niente fu più lo stesso. Nel solenne silenzio dei fondali, percepii delle voci armoniose pronunciare il mio nome e il soave intercedere di centinaia di luccichii mi accompagnò verso quello che era un mondo del tutto fantastico. Di fronte a me danzavano, disegnando ammalianti figure nelle acque abissali, un numero imprecisato di sirene. La loro pelle era bianca come la neve, i loro capelli lisci e biondi come antiche divinità ed i loro seni rotondi come il sole d’agosto. Tra di esse, spiccava una per la particolare bellezza e per i lunghi capelli neri che arrivavano a sfiorare le squame dorate della sua coda. Mi si avvicinò mentre le altre continuavano a nuotarmi intorno e mi rivelò di chiamarsi Inleis. Mi implorò di non aver timore, perché anche se nessuno le aveva mai viste, loro abitavano quelle acque da molto tempo, ancor prima che le navi dei Calcidesi dell’isola di Eubea le solcassero. Mi disse che il mio uomo non era morto e che presto sarebbe tornato, ma che non mi avrebbe potuto più rivedere. Forse solo di un sogno si trattava, ma credetti alle sue parole e fui presa dallo sconforto. Mi chiese se io volessi ancora rivederlo, ed io risposi si. Fortemente si. Allora lo rivedrai mi disse, anche se lui non dovrà mai rivedere te. 18 Il mio cuore si riempì comunque di gioia ed il mio pensiero corse al bambino che portavo in grembo e del quale non sentivo più la presenza. Inleis mi lesse dentro e mi disse che per rivedere il mio bambino mi sarebbe bastato tirar fuori la testa dall’acqua, e lanciare uno sguardo a quel fiore delicato che germoglia ogni tanto tra le erbacce. Inleis sparì e da allora non la rividi più. Il silenzio degli abissi divenne da allora la mia unica compagnia e lo scintillio delle mie squame argentate l’unica fonte lucente che accompagna ancora oggi le mie notti. Qualche giorno dopo, mentre cominciavo a prendere coscienza della mia nuova condizione, da una delle barche che tagliavano la superficie, giunse una voce che riconobbi subito. Risalii velocemente a pochi metri dall’imbarcazione e, restando a pelo d’acqua, lo rividi. La sua espressione affranta e la consapevolezza di non poter far nulla fecero si che le mie lacrime silenziose tornassero a nutrire le acque del mio mare. Avrei voluto chiamarlo, saltargli tra le braccia, ma ero solo una Sirena, e il posto di una Sirena è tra le profonde acque del mare. Lo rividi per giorni e giorni, la sua visione valeva molto più di quell’assurdo compromesso al quale ero scesa. Il suo viso tornava a risplendere sotto il sole di primavera e non appariva più crucciato, ma io ne restavo rallegrata, perché così l’avrei sempre voluto vedere. Finchè sarebbe stato possibile. Ben presto mi sfuggì la percezione del tempo che scorreva spietato, ma presumo fossero passati una decina di anni quando il mio cuore fu ad un passo dallo spezzarsi definitivamente. Lo vidi nuovamente mentre sistemava le reti, come aveva sempre fatto, ma stavolta sulla barca non era solo, ma con un bambino. Un bambino con due occhi troppo azzurri per non essere suo figlio. Scoppiai a piangere ed il bimbo sembrò notare qualcosa dal momento che guardava fisso con la bocca aperta verso me e ad un certo punto alzò la manina per indicare qualcosa al papà. Fuggii via. Via per sempre. Avevo perso il senso della vita per la seconda volta, ma continuai a desiderare fortemente la sua visione, anche se sapevo che al di fuori di queste acque vi erano gli occhi di un’altra donna che sospiravano per lui. Ma lui era un pescatore, ed io avevo la fortuna di vederlo e di amarlo mentre faceva ciò per cui era nato. Poi cominciai a non vedere più la sua barca. Pensai stesse male, il mio animo si logorava lentamente. Avrei 19 pagato non so cosa per sapere, ma non fu difficile materializzare quell’orribile presentimento. E infatti non lo rividi mai più. Se proprio doveva morire, avrei preferito fosse successo in mare. Nel mio mare, nel suo mare. E anche lui forse lo avrebbe desiderato. L’ultima volta che versai lacrime di gioia, fu un mattino nel quale il sole era particolarmente lento a spuntare e un ragazzo dagli occhi immensamente azzurri remava sulla barca che portava il mio nome inciso sulle fiancate. Ho accompagnato con il mio canto il lavoro di suo figlio, dei suoi nipoti, dei nipoti dei suoi nipoti. Adesso la “Chiara” non solca più le mie acque. Ne resta solo lo scheletro abbandonato sotto la scogliera. Non è altro che un mucchio di legna ammuffita logorata dal tempo e dal sole, ma ogni tanto a guardarla mi si apre uno squarcio nella memoria, pressappoco come quando alzo gli occhi e sulla scogliera vedo il solito fiorellino delicato che trova sempre la forza di emergere tra gli arbusti. 20 III° classificato PUFF! E L’ONOMATOPEA. STORIA DI UN UOMO CHE DISPARVE di ANTONIO GIUSEPPE VALENTI Giuseppe Maria Messina, 46 anni, è scomparso. «Esattamente, dottor Profundi: svanito. Ora, sebbene le cronache si siano notevolmente interessate al caso Messina, è vero, dedicando qua e là occhielli e cornici e commenti, io credo» (a questo punto l’inflessione di Marzia Amoroso in Messina facendosi sottilmente insinuante), «egregio dottore, credo che la questione esiga un approfondimento, una più attenta analisi, ecco.» «Vale a dire, signora?» trasalì il luminare, scostando dalle labbra la tazza fumante. «Vede, dottore, e mi perdoni se trascuro i preamboli, io sono convinta che... insomma, saprà cos’è successo; cos’è successo realmente, intendo. Dico io: ha seguito mio marito per oltre sei mesi, no? Com’è possibile che proprio lei non sappia?» «In effetti, signora, qualcosa io so.» «E allora, perché ha taciuto?» Da qui, l’anziano oncologo trascinò il tempo nella pausa di silenzio più lunga mai intervenuta nella storia universale dei dialoghi. Durante l’inestimabile lasso, Marzia Amoroso, con le bellissime dita incrociate al bordo d’un tavolino del Caffè Consorti, regredì nei percorsi della propria adolescenza, tutti tappezzati di girasoli torpidi e pennichelle fra le campanule, all’ombra dei gelsi; pensò a Giuseppe Maria e al primo suo profilo, il loro matrimonio, d’autunno. Ecco, ecco ora una bambola senz’occhi posseduta chissà quando, e chissà poi dove, gli occhi; e i colori primari forse, un poco. Ricordi. (Durante quella stessa pausa, donne dalla bellezza disarmante, che a vederle vestite per strada coi cani al guinzaglio t’ispirano distanze impercorribili, nude stanno facendo l’amore in camere d’albergo. In Via Margutta un pittore vende il quadro. Parcheggiata da qualche parte, lontano, una vecchia “500” perde olio dalla coppa: plic!). Plic! nuovamente, e Profundi parlò. «Il governo.» «Come?» sobbalzò la donna (altrove, intanto, orgasmi, l’affare, plic!). «Il bene comune, la pace pubblica. Roma fermenta al solo sentir pronunciare “Messina”, signora mia. Pochi, pochissimi sanno che cosa è veramente accaduto a vostro marito il quale – mi consenta – non esito a definire naïf. Un mio sottosegretario ed altri tre fidatissimi collaboratori conoscono la verità: soltanto noi cinque, dunque. Oggi, lei capisce, è fin troppo semplice sparire: la malattia, il suicidio, l’incidente, il sequestro, la fine naturale; in un modo o 21 nell’altro così noi svaniamo, più o meno immediatamente, a causa di un processo decisionale, o attendendo comodamente che il corso si compia. » (Plic! Dissanguate cavità meccaniche. Gli occhi sgranati, un gatto che passa di là si volta di scatto). « Più o meno immediatamente, dico, ma quando il fatto ultimo avviene, perdio, avviene e basta; voglio dire, tutto in unica soluzione, senza dilazioni. E no, troppo comune! Giuseppe Messina ha dovuto per forza sbalordire. Lei sa perfettamente a cosa mi riferisco, vero? Altrimenti non avrebbe insistito tanto per quest’incontro.» «Mi ha tenuto nascosto il primo stadio, fin quando ha potuto. Una mattina, poi, mi accorsi che gli mancava il naso: allora m’ha detto tutto.» «Le ha parlato di come ha avuto inizio? Il medio, le ha raccontato del dito medio, di quando si accorse della prima sparizione?» «Sì. È successo di notte.» «Ecco. A detta di vostro marito, quella notte ha avvertito una sorta di pulsazione solleticante, lieve ma insistente, al medio della mano sinistra. Nulla di strano, avrà pensato, ma la mattina il dito non c’era più: assorbito, dissolto, imploso senza sporcare. Io le confesso che ho stentato a crederci, sebbene avessi immediatamente notato la atipicità della cicatrice, sa com’è, noi vecchi si pensa alle nuove tecniche... Va bene. Ora, il dato controverso consiste nella soddisfazione crescente che ha accompagnato le mutilazioni: piacere, l’ha definito lui, un piacere vorticoso, entusiasmante, come se ne valesse veramente la pena, in fin dei conti, assistere alla propria macellazione pezzo dopo pezzo. Lei ben intende quali ripercussioni potrebbe avere la vicenda, se diffusa, sugli equilibri sociali; se la chiave dell’orgasmo di sparire lentamente divenisse di pubblico dominio… destabilizzazione, mia cara, vorrebbe dire solo questo. Destabilizzazione.» «Guardi là» l’interruppe la donna. Sull’opposto marciapiede, proprio davanti la drogheria, Salvatore Violo, Giosuè Temerio e Maurizio Vita scendono da una vecchia Fiat. Tre cari amici dello scomparso, quelli che come lui sapevano quanto ne è passato e quanto ne resta, di tempo, a pochi giorni dal fatto portano in giro tra i palazzi le loro facce sorridenti e vive (durante il tragitto, ai semafori, tre zingari in un traffico di mille moti di gambe nude sforbicianti siamo, e guarda che bella la vita che corre sulle vetrine e noi qua che passiamo a tremila fumandocela tutta, bevendocela tutta, neanche una parola per Giuseppe Maria che manco oggi è venuto, a romper le palle con l’effe-emme, i finestrini, le sigarette, le bestemmie e le censure). «Li vede quelli là? Erano amici di Giuseppe. Li guardi: come se nulla fosse.» «Va bene, signora, ma non per questo…» 22 «No, no… è che anch’io mi sento strana. La prego, non mi fraintenda, è solo che… non so, è come se certe volte, per ricordare, io debba sforzarmi… un dovere, dottore, un dovere.» «Ah, cara mia, lo vede che non è poi così complicato far finta di niente? Piano piano…» «Ma non avrà sofferto? Sì, voglio dire, dottore, macellato…» (mamma mia che bell’espressione hanno ora gli occhi di Marzia: le sopracciglia s’inarcano a disegnare la faccia pubescente del vizio. Se non fosse così vecchio… ma quale vecchio! Si potrebbe andare su e giù fischiettando come sta facendo qualcuno là fuori, al sole che squaglia i palazzi. Si potrebbe ancora tanto peccare, caro mio). «Sofferto! Via, non esageriamo. Gliel’ho detto che gli è piaciuto. L’ha voluto, Marzia: l’ha voluto lui. Pensi che strana, la vita, uno che si vede dissolvere giorno dopo giorno, senza neppure sapere a quale brano di sé domani dovrà dire adieu, e non si fa problemi. Gode, pure.» «Dottore…» «No, è che se ci penso… ma dico io, si può essere così egoisti? Non ha pensato a lei suo marito? Che l’avrebbe lasciata sola?» (i tre amici risalgono in macchina, parlando tra loro, e coi finestrini abbassati se ne vanno fischiettando. Al tavolo, sei sette mozziconi nel portacenere, le palpebre di Marzia distesissime, morbide: oltre i peccaminosi lembi, l’invito? La fortuna? L’olocausto?). «Glielo dico io – continuò l’incalzante vecchietto – non ci ha pensato minimamente. Diceva, ma pensi che roba, diceva che aveva perfino imparato a “sentire” l’implosione, il solletico che s’avvicinava s’avvicinava fino a quando puff! via un altro pezzo. E le teorie che s’inventava! Era come se, quando una ulteriore porzione del suo corpo svaniva – mettiamo un piede fino alla caviglia – la percentuale di se stesso che in quel piede risiedeva si trasferisse, su per la gamba, nel corpo residuo. Osmosi misteriosa, e così per tutti gli annullamenti che l’hanno poi ridotto… oh be’, lo sa…» «Sì, un sedere.» «Ma diamine, quale modello per tanta stravaganza? Il sedere, solo il sedere è rimasto, e proprio nel mio studio, poi. Non avremmo certo potuto immaginare che dalla vita in su, per quello che ormai ne rimaneva, sì, insomma, il tronco e la testa, sarebbe svanito tutto in un colpo. Mediamente i pezzi erano sempre stati piccoli, e invece puff! solo il culo! Oh, perdoni…» Silenzio. La donna sbadigliò, soltanto «Quindi vostro marito era alfine tutto là concentrato, nei tessuti del suo stesso sedere tondo tondo seduto per terra. Se è vero ciò che ha detto, che aveva scoperto il meccanismo al punto da prevederne il decorso, allora avrà senz’altro sentito arrivare l’ultima sparizione: non è stato un caso che il sedere abbia defecato sul mio pavimento, 23 prima di assorbirsi definitivamente sotto i miei occhi. E sarà stato forse a causa della suggestione che certi fatti producono negli uomini di scienza, ma le assicuro che quei cento centocinquanta grammi di vostro marito là per terra, è come se anche in quella massa estrema lui si fosse trasferito nella sua interezza, avendo poco prima avvertito che il sedere stava per andarsene. E ho avuto la sensazione pazzesca che non fosse mai stato bene come in quel momento, là, sul pavimento. Lei capisce certamente come tutta questa faccenda sia priva di senso. È surrealismo, questo, non fa per noi. Le dirò di più: sono convinto che non sia nemmeno accaduto. È troppo sconclusionato, via, come una storia che finisce con la virgola, le pare?» Abbassando lentamente le palpebre, Marzia fece segno di sì. «Anzi – scattò in piedi Profundi con le articolazioni d’un ventenne – sa cosa le dico? Andiamocene, usciamo da qui. Guardi che splendido pomeriggio. Una passeggiata, ecco quel che ci vuole: una bella passeggiata», 24 IN ORDINE ALFABETICO AVANZATO AMBROGIO IL CAPPELLO «Porca miseria! Elvira, guarda cosa hai combinato al mio cappello!» Giovanni si era voltato per sistemare la valigia sopra il portapacchi, e la moglie sbadatamente, si era seduta sul suo cappello nuovo, conciandolo malamente. Erano appena saliti sul treno popolare che doveva portarli a Roma in viaggio di nozze, e la sposina aveva già fatto infuriare il marito. Lei scoppiò in lacrime, mentre Giovanni cercava di ridare una forma accettabile al suo Borsalino, prezioso regalo di nozze. Giovanni pareva veramente uno scapolo impenitente, ma quando si prese una cotta per la bella figlia del farmacista, non ci mise molto ad approdare all’altare; anche se agli amici raccontò poi, di averlo fatto per risparmiare i soldi dell’imposta sul celibato. Per non fare troppo spatuss (fasto), dato che il padre dello sposo era ammalato, i due decisero di sposarsi durante la messa prima di un giovedì mattina. Nonostante la mancanza di festeggiamenti, i parenti più prossimi si frugarono in tasca per il regalo di prammatica, che in molti casi si risolse in una busta con una piccola somma. Fece eccezione il padrino di Giovanni, che fu anche chiamato a fare il testimone, il quale regalò al figlioccio un bellissimo cappello Borsalino, con la raccomandazione di “tenerlo da conto”. Il motivo della scelta di un giovedì per la celebrazione del matrimonio, non era casuale, ma era legata al fatto che in quel giorno partiva dal capoluogo il treno popolare, che il regime aveva istituito per portare gli sposi in viaggio di nozze nella capitale. Giovanni ne avrebbe anche fatto a meno, però Elvira non voleva perdere un’occasione così a buon mercato, per andare a Roma e vedere il Papa. Il mattino del matrimonio un parente portò in chiesa la valigia dei due sposi che, terminata la cerimonia e salutato i pochi presenti, andarono alla stazione con gli abiti usati per le nozze che tuttavia non sfiguravano anche per il viaggio. Dopo la manipolazione di Giovanni, il cappello che era di buona qualità, divenne di nuovo un capo elegante, sì che l’uomo dimenticò la sfuriata. Anche Elvira, passata la nube del primo rimbrotto, si rasserenò, e non portò il broncio al marito, forse anche pensando alla prossima prima notte di nozze. Giovanni aveva pensato all’organizzazione del soggiorno romano, appoggiandosi ad Attilio, un vicino di casa che nella capitale svolgeva il servizio militare nei carabinieri. Il carabiniere aveva predisposto tutto per bene; li aveva sistemati in un albergo vicino alla stazione, inoltre aveva stilato l’itinerario per i tre giorni di permanenza, il cui punto centrale era l’udienza papale del sabato, riservata 25 agli sposi. Attilio, come promesso, li attendeva alla stazione, e li accompagnò al vicino albergo, lasciandoli poi soli con l’accordo che si sarebbero visti l’indomani mattina. Alle nove Attilio era già in attesa che gli sposini scendessero; erano in ritardo perché Giovanni non trovava il cappello, poi Elvira si ricordò che l’aveva lasciato appeso all’attaccapanni del locale dove aveva consumato la colazione. Finalmente i tre si avviarono per la programmata visita alla città. La prima tappa la fecero alla basilica di Santa Maria maggiore, poi al Colosseo, ed infine a palazzo Venezia. Verso le due, Attilio li portò in una trattoria, dove gli sposi fecero onore ad un ottimo pranzo, anche perché la sera precedente avevano solo consumato un frugale spuntino al sacco, prima di scendere dal treno. Nel pomeriggio, sempre scortati da Attilio, visitarono il Pantheon e, alla fine, ormai stanchi, ritornarono all’albergo. Il mattino successivo Attilio, che era puntuale come un orologio svizzero, dovette nuovamente attendere un bel po’ prima che gli sposini scendessero. Poi li fece salire su una carrozzella, ordinando al vetturino di portarli a San Pietro per l’udienza papale riservata agli sposi; lui sarebbe andato a recuperarli per l’ora di pranzo. Dopo qualche minuto di andatura al passo, il vetturino spronò il cavallo, che cambiò andatura in un piccolo trotto; la modesta variazione di velocità, forse abbinata ad un leggero colpo di vento, il cappello di Giovanni volò fuori dalla vettura. Dopo un attimo di smarrimento, Giovanni chiamò l’uomo a cassetta, dicendogli di fermarsi. Il vetturino lì per lì non capì, poi finalmente arrestò la carrozzella. Giovanni scese, e di corsa andò verso il cappello che era adagiato a tesa in su, proprio al centro della via. Recuperatolo, senza che avesse subito danni, lo scosse dalla polvere e con calma tornò alla carrozzella. Finalmente arrivarono nella piazza della basilica, il vetturino fermò il cavallo, e voltandosi spiegò che più avanti non poteva andare così, dopo aver pagato il trasporto, scesero senza sapere bene verso che parte muoversi. Elvira notò che più avanti, verso la gradinata che portava alla chiesa, c’era un bel gruppo di persone; fece notare al marito che sembravano sposini, si avviarono verso il crocchio, e quando furono vicini videro un prete che spiegava come comportarsi al cospetto del Santo Padre. Finita la breve predica, il prete li fece mettere in fila accoppiati, poi li invitò a seguirlo nella basilica. Giovanni ed Elvira erano gli ultimi del gruppo, e come furono nel pronao, un giovane prete sbarrò loro il passo, dicendo che non si poteva entrare col cappello. Elvira, che si era già messa un velo nero sul capo, rimproverò benevolmente il marito: «sei il solito sbadato, Giovanni, lo sai che in chiesa gli uomini devono entrare a capo scoperto!» Giovanni arrossì, si tolse il cappello e, balbettando una scusa, cercò di andare avanti; il prete però non accennava a dargli l’accesso in chiesa. «Per entrare, il cappello dovete posarlo nel guardaroba», sentenziò il prete indicando un 26 tavolo sulla sinistra sul quale erano posti alcuni copricapo, e dietro cui stava un vecchietto. «Va bene, acconsentì Giovanni, se c’è quel signore che lo guarda, sono tranquillo», e si voltò verso il tavolo per posare il cappello. «Si, però per la custodia si deve fare un’offerta di cinque lire, da versare in anticipo», disse il vecchietto. «Cinque lire?» Chiese con voce adirata Giovanni, aggiungendo. «Cinque lire le ho pagate ieri sera per la cena, ed ho mangiato da Papa.» Il vecchietto non parve per niente impressionato dalla reazione di Giovanni, ed insisté: «se non versate cinque lire io non posso tenervi il cappello, e voi non potete entrare.» Prese per mano Elvira, facendo il gesto di tornare sui suoi passi, ma la donna pur con le lacrime agli occhi, lo implorò: «dagli le cinque lire, quando torniamo in albergo te le do io.» «Ma neanche per sogno, piuttosto di farmi spennare, non vado a vedere il Papa», rispose alterato Giovanni. Intanto il prete che li aveva fermati era entrato in chiesa, e dietro di loro non c’erano altre coppie, così Giovanni pensò di poter entrare col suo cappello in mano. Non aveva ancora attraversato la soglia del portone, che due guardie gigantesche gli si pararono davanti. Elvira, vista la mala parata, era quasi sul punto di rinunciare quando Giovanni mise la mano sinistra nel risvolto della giacca ed estrasse il portafoglio, mettendo così fine alla discussione. Terminata la cerimonia, e recuperato il cappello, Giovanni disse scherzosamente alla moglie: «questo cappello mi ha già dato più problemi di tutti quelli che ho indossato finora, deve essere maledetto, se almeno lo avessi avuto quando il Papa ci ha benedetto, chissà…..» Dopo un po’ che aspettavano, arrivò Attilio che propose la visita al vicino Castel Sant’Angelo. Stavano percorrendo un tratto del lungotevere, quando Elvira fu attratta dal canto di un barcaiolo che remava lento sul fiume. Si avvicinarono alla balaustra per ammirarlo meglio, ed un colpo di vento fece volare il cappello in acqua. Dapprima Giovanni rimase ammutolito, poi incominciò a ridere a crepapelle, mentre Attilio guardava stupito non capendone il motivo. Ci pensò Elvira a spiegare all’amico: «lo so io perché ride, Giovanni è convinto che quel cappello sia maledetto. Da quando l’ha ricevuto in regalo non gli ha procurato che guai, ora finalmente se ne è liberato.» E quando Giovanni alfine smise di ridere, confermò quanto detto dalla moglie, aggiungendo il particolare delle cinque lire sborsate al guardarobiere del Vaticano. Questa volta fu Attilio a scoppiare in un riso irrefrenabile, poi sibillino gli disse: «se le cinque lire ti sembravano troppe, potevi dirlo direttamente al Papa, un’occasione così non ti capiterà più nella vita.» «Di questo puoi starne certo», rispose convinto Giovanni: «non andrò mai più ad una udienza Papale; cinque lire preferisco usarle per mangiare un desinare da Papa.» 27 SI FA SERA…. dI BONATO ALDO Benvenuto mato turista,tu,che sali con spirito naturalistico alla ricerca diarti & mestieri di una volta; alle prese con obiettivi e cineprese, intento ad immortalare angoli ameni tra cime svettanti ancora innevate, coi suoi ultimi ghiacciai ridotti a brandelli dal sostenuto fuoco nemico da quel distruttivo obice da 75/mm, e piu’… Dio,quante bombe, proiettili di morte simili a siluri: montagna contesa è tutt’ora, una gruviera di buche profonde a testimonianza di cruenta battaglia. Qui’ la “Dentona” con la falce, ha brindato a lungo col sangue di quei poveri cristi:umili alpini poco piu’ che svezzati, partiti e mai piu’ ritornati.Ancora ha sete e continua a seminare odio e morte!Cristo pietà…perdona se puoi._Io,_ vecchio alpino, Ti chiedo una prece,per quelle vedove, per quelle mamme; manco la forza hanno di piangere: ancora pregano in ilenzio e fanno Altare Sacro,il dolore per quello suo unico figlio della vita… Era un fiore di bondà! Ora è della Patria e, per una libertà negata ancora da raggiungere. Domani, forse… si vedrà|. Grandi occhi azzurri che nascondono il segreto di vita vissuta,sembrano di ghiaccio e, scrutano oltre quel martoriato colle –ahimè-, che dolore per quel canuto e vecchio fante Alpino… e, commosso, trema.Lui, un miracolato. E’sopravvissuto| Vive ora di ricordi, dignitosamente ma, senza il sorriso della vita. Era presente…. Osserva con una fitta al cuore quelle vecchie fortezze di guerra;ruderi di misere vestigia di una guerra già dimenticata.Là ,oltre quella cresta desolata di ardite cime innevate, ancora baciate dal sole che come vedette e, gridano al vento un eterno lamento e il tuo perdono, guarda:il Pasubio, l’Adamello, il possente Grappa conteso,-ultimo atto finale-, piange come un bambino…Sono le “sue” montagne, i fantasmi della ragione tra amore e odio con la sua storia di ordini e controordini, di Signorsi’…”Siortenente”, e, i suoi vent’anni andati in malora anno dopo anno ,combattendo in prima linea con topi da fogna nelle trincee fangose e umide: l’anticamera della tomba…Dice da sempre. E’ vivo per miracolo, ha una ferita alla spalla trapassata da una pallottola nemica ma, ancora dolorante di quando cambia il tempo e umidità, sopporta e basta: è come avere una spina conficcata da sempre. Lui è un “vecio Alpin”. Ci tiene a dirlo…E’ salito quassù per testimoniare la vita e la morte e, tutti quegli atiti eroici mai iscritti nelle pagine dorate della ‘vera’ storia vissuta umanamente in prima linea con abnegazione e odore d’incenso…rassegnato a morire. Ubbidire e morire.non ubbidire o morire, sembra una sottigliezza ma, queegli ordini dall”Alto Cmando”…Ho ancora il veleno addosso pieno di rabbia nel codificare questo giro di parole:una gran beffa a tutti i Militi in armi, Eroi compresi|-Pax Domini|. Lui, la guerra, più di una , l’ha combattuta con anima e corpo e sacrificio:altro che sentire dire stronzate nel dire che la guerra non fa storia… questo parafrasare è pura follia.-No-,lui non ci sta a questo gioco di parole blasfeme e, zac, ben ti maledice con una bestemmia secca. A piena ragione|.- Anzi-, in dialetto per essere recepita meglio… 28 Tutto attorno, cime sacre alla Patria, vette tempestose ed insanguinate, insignite d’Onore.-A chi la gloria?- A quale prezzo la libertà?-Dio-, che tristezza.Una guerra infinita, snervante , un immane olocausto e odio senza fine: guerra di nemici e guerra fratricida tra potere e menzogne… A quando il ritorno della bianca colomba della pace?. -Non trova risposta, quell’alpino: né gloria né onore.Uomo schivo ed incompreso,ancora ferito nel suo orgoglio. Chi erano quei fanti Alpini venuti da lontano? Ragazzi di solo 20 anni|. Decisamente ,giovani umili e forti;sicuramente di Milano ma, anche Siciliani: il paese del Gattopardo, delle profumate arance e dal sole d’oro e venti alisei ad increspare quel mare blu cosi’ romantico…-Poveri ragazzi quasi analfabeti dai cento ,mille dialetti;cosi’ di lontano.Chi erano quei prodi marinai:ora improvvisati alpini, dal dialetto confuso? Erano i figli della terra baciata dal sole e mare amico ove smemora sulla battaglia in ricordi infantili o della “morosa”|. Decisamente Vicentini,Veronesi,Torinesi e Friulani:gente veneta insomma e ,gente di mare.E ancora:Triestini, Livornesi, Genovesi, e di Napoli,paese del sole e del bel canto ai piedi di un Vesuvio romantico e distruttivo ai capricci dei suoi bollenti a riflettere del presente e credere nel destino. Per questo è amato e odiato. Tutti ragazzi di vent’anni che tingevano la neve di sangue; non erano fortunati turisti allora, ma, ignoti soldati che combattevano con onore oltre la ragione e, per quale libertà?... Forse, per un futuro di pace, di scambio culturale, di fede…forse!. Intanto gli aerei continuavano a bombardare a tappeto con accanimento e,seminare la morte: non erano quelle “ bombe amiche” e tanto meno fiori di pace. Erano i nostri migliori ragazzi appena “svezzati”, mandati in prima linea ancora tremanti e impauriti in quelle trincee da fogna; uno sporco gioco di morte con ancora il profumo del latte materno addosso e con la benedizione di un padre accorato…-Dio, che tristezza.Giovani baldanzosi e un po’ poeti arruolati in fretta e furia, partiti con lo zaino affardellato di soli ideali, fede e preghiere con il rosario in tasca, e nient’altro!.| La storia sia ora testimone di tanti “atti” eroici di combattere oltre l’impossibile tra la vita e la morte…Quanti ideali spezzati all’istante da una pallottola “assassina” di un cecchino invisibile… Vale una medaglia d’oro? Cento , mille?...-Oh, si!.- Loro,sono ancora li’, nei bochi di Vezzena e dell’Altopiano, campo di battaglia e testimoni di orrori e silenzi…Ecco, un nome sbiadito da un certosino lavoro ancora inciso in quel rosso marmo grezzo di Asiago, in Sacelli dimenticati.-Si-, sono ancora presenti: vivi nello spirito e, per voce del vento, gridano pietà “Basta guerre”!.Già l’eco di ritorno si è spento nel bosco da larici sventrati; un cumulo di terra sassosa e, quel che resta di un reticolato arrugginito a mò di croce… una “pietas” di misera tomba per quel ragazzo di soli 18 anni.Era di napoli, la bella Margellina “bene”, col sole mediterraneo nel cuore e, quel generoso sorriso di vita sulle labbra…colpito a morte tra i frddi ghiacci del nord lontano, coperto di rosso sangue, ancora col sorriso socchiuso di bontà: forse invocava sua madre, forese, chiedeva un po’ di tepore, di baci; occhi tristi cercavano la “ sua” terra, il suo mare azzurro screziato di tremoli riverberi al tramonto: 29 idilliaco abbraccio col cielo, una poesia infinita… Forse, è stato il destino fatale , non la guerra. Povero eroe dimenticato…Lontano , una mamma accorata ha lasciato l’uscio di cas aperto… aspetta e prega “San Gennaro, non piange però. La sua fede è piu’ grande del dolore.- Già sapeva…Se hai un po’ di cuore raccogli un fiore, -ti prego-, che sia bianco però-, quel giovane eroe senza nome è senza peccato, aveva solo 18 anni; amava la vita e sognava il ‘suo’ mare blù, invece, la tormenta gelida della montagna se l’è preso come un suo figlio: il migliore, col ventre squarciato d’improvviso, una bastarda granata nemica oltre il reticolato; un dono per la libertà si dice, - si- , di una Italia arrogante e zoppicante, stramaledettamente ferita e povera che mai… anni bui ma, per “Lui” non c’è più un oncia d’oro: offerto alla patria e, manco per coniare una misera medaglia d’Onore… Manco di bronzo – Amen!.-Ecco -, questi onesti eroi sconosciuti sono il vile prezzo della libertà. La VOSTRA LIBERTA’ e , per quelli che verranno, dopo scritta la storia: quella vera! . - Quella di tuo figlio mai tornato a casa. – Che sia un monito il tuo grido di dolere e rabbia, tu, baldo e fiero milite alpino, che ti aggrappia al bastone per un cedere incerto tra le tue montagne amiche – nemiche: “ Mai più guerre… Mai più” !.- Solo i tuoi ricordi sono la “vera” storia!.- Povero alpino, non hai più il fiato vigoroso d’ un tempo ma, il tuo silenzio è ancora un atto d’amore, di perdono a tali atrocità vissute… Perdonare? Si, certo: dimenticare mai però! Perché arrossire ora? Quelle umide lacrime sono perle di saggezza; il tuo è un pinto umano, liberatorio, di un milte vissuto e d’Onore, per testimoniare gli orrori e nefandezze di una guerra brutale, fratricida e ben oltre la ragione dell’uomo. – Tu, sopravvissuto, hai visto bee in faccia la morte e il nemico con gli occhi dilatati di terrore più volte: non cercavi la gloria, la libertà di ideali cristiani, per i figli dei figli e, portare a casa la “ghirba” per sentire nuovamente il calore di uomo e padre insieme alla tua famiglia, alla tua sposa, fin troppo amata oltre la ragione di una fede cristiana… con amore vero!. Ci sei riuscito ma, è stata pura fortuna tra la follia di tanto odio, troppo, oltre la sofferenza umana… Quanto basta per vergognarsi. –Ora, bella immagine!.- un’Italia pavesata dal tricolore, ridente e oasi felice con vento di libertà e, col sorriso sulle labbre come quel ragazzo napoletano: aveva 18 anni, ma chi era in realtà?... fante alpino N.N., un Milite Ignoto; manco il piastrino hanno trovato, quel giorno è stata una carneficina.- Amici e nemici: ultimo atto finale di terra bruciata simile ad paesaggio lunare. Tonezza è ancora incantata o forse stregata: l’aria mi accarezza fresca e pulita, è la brezza della sera, mi avvolge come seta; mi riporta alla ragione, gente curiosa mi sorride, l’orologio fa tic-tac, è una “cipolla” d’argento con catenella fine ottocento: il tempo dei ricordi è scaduto; attonito guardo in basso, sul nero asfalto il lungo serpentone del rientro. Macchine, moto, macchine… Dio mio…. Che confusione!.Vedo laggiù la signora animata da fantasmi, è una vita frenetica: oh si, vedo pure indifferenza, quale senso dare alla vita?- non trovo la risposta!.- un formicaio umano confus, un patto col diavolo: “Tutti matti par i schei. Serto non ghe xe più ragjonameno ne religion!?.” Dove sono i tuoi ideali e desideri?.8 settembre 1943…. Armistizio, è finita!- 30 Sono qui, tra silenzio e pace,ove spazia senza confini l’occhio e la mente confusa in un paese amico: una Tonezza viva e ricostruita, intrisa di colori, profumi silvestri di ciclamini e pini mughi, di turisti solitari e brava gente locale che “Vi” accoglie a braccia aperta. Gente alla buona, loquace e paziente.- Un tempo era un campo di battaglia conteso-, oggi, un ridente centro turistico di storia e folclore tutto da visitare. Senza fretta però!. Troppe sono le emozioni per voce narrante degli ultimi vecchi rimasti. Tale è la loro fierezza da sembrare ‘Saggi o Filosofi’!!. Così schivi e taciturni feriti dentro e mutilati fuori dalle cicatrici saturate maldestramente….. ah, la guerra….. ancora testimone!.- ovunque.E’ gente di montagna, fiera, che ama raccontare la “sua “ storia infinita; è come la voce del vento di fuoco e passione: ti entra dentro al cuore come scheggia impazzita e, pregusti il fascino del passato cosi intrigante di storie vere. Tristi o belle che siano, non le puoi dimenticare: sono vere e tali restanoanzi-, ti lasciano un dolce-amaro nel cupore e, la mente confusa ti riporta alla ragione. -E’ il generoso prezzo della LIBERTA’!.-Finalmente la Pace!!.Ama il cuore amico turista,ama con amore baldo Alpino queste Sacre montagne, -qui-, in ogni pietra c’è un ricordo umano del passato e presente, in ogni fiore c’è il profumo della vita, in ogni buca c’era iltuo destino e la morte… Solo l’aria pura qui è rimasta libera, senza reticolati, senza piu’ frontiere, è decisamente solo per te: il passato è già presente ,il presente ora è già il futuro; ove verdeggianti oasi e candide montagne,tra terra Benedetta e cielo ora si baciano abbacciati con la natura in un amplesso amoroso,idilliaco in emozioni e ricordi!. Anche i tuoi ,baldo Alpino, forestiero o turista chiunque tu sia!. Qui hai trovato la serenita’ che cercavi-peccato-, il tempo è volato così di fretta e, già si fa sera ma… tante sono ancora le emozioni da vivere e scoprire.-Sarà un sicuro ritorno!.Vorresti cogliere un ciclamino: lascialo vivere anora, non è la solitudine che cercavi, è la voce del Creato, il tuo destino, cogli invece l’ultimo tiepido raggio di sole e sorridi alla vita; mentre tu scendi, sogni e desideri salgono fino alle stelle, è la voce soffusa delle tue preghiere,-oh sì-, quella vera di un uomo fortunato. Piu’ che fortunato! Sei felice… non è stato un sogno,hai solo visitato un paese amico che ama raccontare poco di sé, ma, offre pace e tranquillità a quel turista esigente che ama essere “coccolato” e, scoprire ampi panorami mozzafiato.- Già!...- Qui’ c’è un po’ di tutto: il resto è solo vanità!. Tonezza è tutto questo: un giardino di grandi emozioni e aria frizzante di genuina cortesia!.Tante casette in fila come un rosario in sasso biancastro calcareo, dai tetti rossi con gerani variopinti alle finestre che offrono un delicato profumo e bòn-tòn di eleganza raffinata! Seduti in quel muretto appatrtato sul finire della via, due giovani dall’aria sognatrice, si baciano teneramente, incuranti da sguardi curiosi e allibiti perché sorpresi dall’ultima zitella del paesello che passa e và abbassando la testa e si fa il segno della croce allungando il passo e, diventa paonazza dalla vergogna, piu’ rossa di un papavero… Peccato mortale sussurra… Mon amour, riesce a sentire… sorride!! 31 Una rara terra del Vicentino!.-Sofferta e combattuta. E’ una terra generosa, come una famiglia patriarcale amica, che ama ascoltare e poco raccontare di sé.- Troppi sono stati gli orrori e i fantasmi del passato; troppe sono le croci arrugginite in fondo al bosco di quel cimitero di guerra quasi abbandonato dall’oblio della civiltà ricca e peccaminosa di troppa libertà.- La LIBERTA’ di quei giovani EROI senza nomi di soli vent’anni mandati al macello e, mai più ritornati!. E quando si dice-guarda il caso-: è a un “tiro di schioppo” da casa… A volte, così presi dal consumismo e benessere, manco ce ne rendiamo conto di queste oasi felici della porta accanto. -Sei un po’ depresso?!- Non lasciarti andare andare: accendi quel vecchio motore, fai salire moglie e bambini; basta un cesto in vimini con due-tre panini, un’aranciata e del vino se c’è, un buon bicchiere non fa male neanche a te e, vai…vai… sarà una giornata speciale tra amici, vai…vai tranquillo!!. Siamo in tempi di pace-oggi-, quel che più vale è la salute con un po’ di tranquillità… tutto al resto ci pensa Iddio.- Vai tranquillo ,amico mio!.-Come si chiama il paese?“Tonezza” – certo-, non lo dimenticare… -Grazie , sei un vero amico…Grande amico!Le prime luci si accndono, ecco, già si fa sera… Una magnifica luna piena e rossastra mi indica la via del ritorno. -Dio mio ,quante emozioni oggi!E domani?... Si vedrà!. Forse, pregherò umilmente in quel Sacello in fondo al bosco, vicino al cimitero di quel Fante Alpino e Milite Ignoto ove riposano insieme gli Italiani e Tedeschi: prima nemici –ora-, amici di pace e LIBERTA! Con lei, cala il sipario degli affanni, per dare ascolto ai consigli della notte:-sì-, domani sarà un altro felice giorno . Buonanotte, anzi,arrivederci misteriosa Tonezza. Terra di EROI!. -Ah, dimenticavo il pensierino della notte…**”Italiani brava xénte però, non solo de Santi e Poeti ma, vera xente de bon còre ,de Onore; par ricordare la so storia e la giusta verità alla pòra xènte dei sacrifici dei so véci; come fosse ‘nà storia infinita coi so difetti ma, piena de umiltà…Italiani – da sempre-, brava xénte de civiltà e de bon còre” 32 IL PIU’ PURO DEI PECCATI DI BRUNO LAURA Le mani affondano piano nel fango, gli occhi troppo azzurri, troppo occupati a liberarsi delle lacrime per notare lo spettacolo che gli si prospetta davanti: un’aurora diluita dalla pioggia. Inestimabilmente fragile e bionda, nuda sotto quel vestito,nebioso, bianco, bagnato, dissolto nelle gocce celesti, piante dal cielo appena nato. Elegante, anche se spogliata, anche se immobile e misera, circondata dagli steli d’erba più verdi e zuccherati che la natura abbia mai saputo nutrire. Bella. E lo sguardo tanto triste, e le labbra tanto piccole, il viso tanto antico. Punita, tradita da un’innata perfezione che molesta e sacra irrora ogni ignoto atomo della sua essenza pallida. Disumanamente incantevole in ogni nota del suo profilo. I capelli lisci e colorati della più candida luce, raggruppati dall’acqua in ciocche, alcuni incolati al viso. Irrilevantemente donna o bambina o viva. Inscindibile tra incandescenza fredda o ghiaccio caldo. Il viso, ovale e morbito si alza, forse pensa, ma il pensiero immortale è irraggiungibile dalle umane brame, e scruta l’orizzonte interpretando trascurabile e consueta quell’alba di paradisiaco colore. Troppo poca divina, troppo poca terena, ignora il primo mattino in cui i suoi iridi azzurri assaggiano il cielo guardandolo da prospettive invertite, e non ha sapore perché forse non è importante. Solleva gli arti superiori dal fango, dai polsis’intravedono blu le vene, ancora cinta da un’aura d’argento che è cosciente di dover perdere da un momento all’altro, ma le sue dita sono protette, le unghie immacolate restano dieci mezzelune impeccabili. Il suo peccato è impresso su di lei, perché possiede un corpo e la pelle bianchissima è pur sempre tangibile. La sua condanna: perdita totale di una evanescenza sempre avuta, perché mai generata, né creata, né morta. E non sa se è estate o inverno, perché viene dall’eterna primavera. Non è evidente alcun segno: il suo precipitare è stato latente. Un immediato incondiscendente tribunale salvifico di grazia, ha condannato la sua colpa. Amare un uomo, fondersi insieme ad un mortale, amare al di la degli schemi dettati dalla suprema gerarchia raziale e…. precipitare. Un corpo: punizione ad uno sgarro non concesso all’intelligenza della sua razza. E la terra, sconosciuta alla personale esperienza tattile, era una sfera verde e bluastra da osservare e visitare come inadatta e soprannaturale ospite. Ma un letto, un desiderio, forti braccia, occhi verdi, e un familiare e traditore cielo stellato l’hanno condannata. Si alza, convinta di aver commesso il più puro e ingiustificatamente dolce peccato, che ricommetterebbe mille e mille altre volte ancora. Cessa la pioggia. Nuda, essenza corporea, cammina ed ha ancora le sue ali, l’angelo sporco, scalza ma senza paura, senza pudore. Cammina, e stagliato contro l’azzurro di quel cielo appoggiato sulla collina erbosa, riconosce il suo carnefice e lo ama, come ama la sua colpa, e lo abbraccia, perché si accorge di un dettaglio che il buio della notte le aveva celato: nota che non è la sola a possedere un paio di bianchissime, splendide, candide ali. 33 CONDANNA D’AFFETTO di CANETTO ALBERTO L’angusta e dispersiva periferia di una grande città, dove molti dei più giovani trascorrono i pomeriggi liberi da impegni scolastici giocando per la strada senza il controllo dei familiari mentre i più grandi si rifugiano nei bar sfogando, sempre, le loro frustrazioni tra qualche spinello e bicchieri di alcolici è il teatro dove Giuliano, figlio di un operario e di una madre casalinga, trascorre la sua adolescenza. Il dialogo con i genitori è pressoché inesistente e questo vuoto contribuisce a formare nel carattere del giovane una smania di protagonismo. Egli è infatti, il punto di riferimento della co mpagnia formata da amici e amiche. Giuliano nelle lunghe giornate passate al bar con loro, tra qualche avventura sentimentale con le ragazze, comprende presto le difficoltà che nascono da una mancata indipendenza economica. Così come è assente, completamente, la voglia di impegnarsi alla ricerca di un lavoro, crescono in lui, forti ambizioni incentivate, spesso dalle notizie dei massmedia, di alti gradimenti di popolarità raggiunti da personaggi, da un momento all’altro, riconducibili a circostanze per lo più tanto fortunate quanto effimere. I classici miti dai quali molte, confuse, menti vengono abbagliate. Anche lo scorazzare su auto di grossa cilindrata, la frequentazione di locali alla moda, e altre ostentazione di dolce vita da parte di qualche coetaneo più “fortunato”, dovuti dall’avere alle spalle una famiglia facoltosa, contribuiscono a far maturare nella mente di Giuliano la voglia di emulare se non superare questi traguardi. Così tra un boccale di birra e l’altro il giovane, architetta, insieme agli amici più fidati e succubi, di iniziare a fare alla sua maniera fondando una banda. I giovani dei quali qualcuno è ancora minorenne iniziano con piccoli furti ai supermercati, specializzandosi poi in scippi e quando iniziano ad ottenere più sostanze economiche riescono a procurarsi anche la cocaina, la quale fornisce loro una carica mentale talmente devastante da portarli anche ad architettare un primo colpo in banca. Così rubata un’autovettura, il comando capitanato da Giuliano, dopo aver sniffato un po’ di polvere bianca, svaliggia la prima banca e diventa, tremendamente, intraprendente con altre rapine, furti in appartamenti e numerosi metodi di estorsione di denaro al punto che Giuliano, al settimo cielo ed osannato non solo dai suoi complici ma anche da molte donne che identificano in lui un giovane di bello aspetto con il portafoglio pieno di denaro, si sente super realizzato nella vita. Ma con il passare del tempo non si accontenta, spostando la sua attenzione anche sui sequestri di persona a scopo di richiedere sempre più alte cifre di denaro. Il giovane è diventato un pericoloso boss che ha anche la pistola facile ed, ovviamente, il suo cambio di marcia di tenore di vita non rimane inosservato nel suo quartiere. La sua spavalderia lo porta anche ad essere conosciuto nei ritrovi socialmente elevati nei quali la sua fama di playboy cresce a dismisura. Una fredda mattina di novembre però viene fermato dai carabinieri per un controllo all’imbocco dell’autostrada ed il giovane, che aveva un cospicuo carico di cocaina e molto denaro sporco, quando si imbatte faccia a faccia con l’agente estrae una pistola e dal finistrino fa fuoco sul militare ferendolo gravemente. Inizia la sua fuga ma i carabinieri riescono a rintracciare la targa da cui desumono le generalità di Giuliano che diventa, da quel momento, un pericoloso latitante ed inoltre da un identikit, si risale anche all’immagine del 34 suo volto presto associato ai tanti fatti malavitosi di cui è stato protagonista. Ma questo nella mente del giovane invece che essere un campanello d’allarme lo carica ancora di più infatti, l’idea di essere diventato un inafferrabile gangster gli fa guadagnare ancora di più la stima dei suoi complici e le scorribande della gang si moltiplicano tra atti di sempre maggiore efferatezza nei quali rimangono ferite anche altre innocenti persone colpevole solo di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il caso inizia a diventare di rilevanza nazionale mentre Giuliano, sempre attorniato da bellisime donne ne frequenta una in particolare con la quale si sente più a suo agio, Luana è il suo nomo. La giovane è a conoscenza dell’attività criminale di Giuliano ma è accecata dal lusso sfrenato in cui il boss la fa vivere. Tuttavia, resasi conto che le cose non avrebbero potuto andare sempre così cercò, in atnte circostanze, di farlo riflettere consigliandogli di smettere con quel tipo di vita ma egli rispondeva che era l’unica cosa che sapeva fare incolpando i propri genitori di non averlo mai capito, negandogli ogni tipo di dialogo e considerazione. Luana era però in fondo, una giovane molto matura e passato quel momento di abbaglio mise Giuliano alle strette chiedendogli di fare una scelta precisa: o lei o la delinquenza. Ci fu una lite furiosa scatenata dallo stesso che le impose di rimanere al suo fianco in ogni caso, al che Luana fece finta di acconsentire ma nel corso della notte fuggi facendo perdere le sue tracce nell’immediato futuro. Giuliano ci rimase male e sfogò il suo nervosismo intensificando la sua attività criminale fino a quando, un giorno durante una rapina in una giolleria, venne distratto dal particolare improvviso rumore di un incidente tra due auto fuori del negozio e fu a quel punto che il titolare del negozio ne approfittò per ferirlo gravemente con un colpo di pistola allo stomaco. Giuliano si salvò per miracolo, dopo un lungo intervento chirugico, ma la sua carriera criminale si concluse infatti fu condannato, per tutte el sue malefatte a quindici anni di carcere e con lui anche i suoi complici. Nel primo periodo di carcerazione egli già progettava l’evasione ma un giorno, appresa la notizia della sua cattura, Luana chiese un colloquio con lo stesso il quale fu molto aspro nei suoi confronti addossandole la colpa di averlo lasciato. Passò qualche settimana e Luana si ripresentò al suo cospetto in presenza però anche della madre di lui. La reazione di Giuliano alla vista delle due fu durissima al che Luana gli urlò: “Ma non vedi niente di strano in me?” Giuliano non diede peso alla domanda ed a questo punto sua madre gli disse, per la prima volta, con voce molto pacata e affettuosa: “ figlio mio, Luana aspetta un figlio da te”. Il boss impallidì e rimase senza parole, d’un tratto la sua grande spavalderia sembrava essersi dissolta ma senza proferire alcuna parola fece un cenno alla guardia di accompagnarlo in cella. Qualche settimana dopo mandò a chiamare le due donne per un colloquio e con aria fredda e distaccata disse: “ Non fategli mancare niente pagherò io tutte le spese per la sua crescita”. Al che la madre gli rispose: “Giuliano, senza quel dialogo che io e tuo padre non ti abbiamo saputo dare tuo figlio non se ne farà niente di buono dei tuoi soldi”. Il grande boss fu colpito più da quella frase che non dal colpo d’arma da fuoco che lo aveva reso morente e dai suoi occhi colò una piccola lacrima. Quella frase proferita ancora una volta con un tono affettuoso fu una sferzata talmente potente per il suo animo che nei giorni seguenti chiese al direttore del carcere di poter continuare gli studi da dove aveva smesso e quando nacque Alba, quasi a ricordare l’avvento di un nuovo stile di vita, fece in modo di vederla il 35 più possibile incominciando con gli anni a dialogare e scriverle lettere cercando con gli anni a dialogare e scriverle lettere cercando di non farle mai mancare l’affetto ed il calore paterno. Giuliano si diplomò poi si laureò in giurisprudenza, in seguito, quando mancvano ancora pochi mesi all’uscita dal penitenziario, manifestò la voglia di iscriversi al concorso in Magistratura. Mentre con sua moglie Luana ed un’ormai adolescente Alba, già ben avviata al liceo, i rapporti erano improntati nella massima serenità e affetto, arrivò il giorno della scarcerazione. Quell’istituto aveva restituito alla società non un relitto ma un uomo nuovo che divenne un apprezzaro giudice. Ma Giuliano, in molti frangenti, quando si trovò a giudicare casi in cui capiva che nel profondo esisteva un forte problema umano, non assolveva di certo gli imputati che erano colpevoli del reato ma sempre, anche in casa di non condanna, chiamava insieme a loro i più vicini familiari ed amici e dopo la lettura della sentenza diceva, con lo stesso ultimo tono di sua madre ma fermo e deciso dall’alto del suo scranno: “Vi obbligo entrambi a dialogare tra voi, soprattutto quando non ne avete voglia”. 36 LA LIANA E IL MELOGRANO dI LEGGIO GIUSEPPE C’era un quadro sospeso nel muro della stanza da letto di mia nonna. Una giovane donna indio seminuda, i capelli neri, la frangetta alta, i seni piccoli e raccolti, tiene in mano una melagrana, pare ascoltare assorta un uomo che, di fronte a lei, sta leggendo. Lui ha tratti mediterranei, strette ma vigorose le narici, forse uno spagnolo, indossa una camicia bianca e sul comodino poggia una colt. “... eppure, tenebroso, il mio cuore ti cerca; amo il tuo corpo gaio, la tua voce svelta e lieve. Farfalla bruna, dolce e definitiva come il frumento e il sole, il papavero e l’acqua.” Ramìro chiuse il libro e i suoi occhi scuri si disciolsero nuovamente in quelli di Morìra, non sapeva perchè le aveva letto quella poesia, gliela aveva letta e basta. O forse no. Gli piaceva quello sguardo selvatico, l’odore di foresta misto alla delicata fragranza di calendula che il suo corpo emanava, e per il momento la ragazza lo distoglieva da quella strana malinconia che da tempo ormai era sua compagna di viaggio. “Ho preso questo libro da un vecchio venditore a Madrid quasi dieci anni fa, ho fatto la guerra con i franchisti e me ne son pentito, ma mi è rimasto questo ricordo ed oggi i miei pensieri sono anche i tuoi”. Morìra sentì freddo e una nuvola nera eran i tratti dello spagnolo, posò il frutto accanto alla pistola e baciò profondamente, avida quasi, l’uomo. Poi staccatasi da lui prese: “ Mio padre mi diceva sempre che la vita delle persone è uguale a quella delle liane, da piccole si legano al tronco di un albero forte e vigoroso in cerca di nutrimento, la linfa che, benevola, trovano in abbondanza. Ma similmente sono estranee ad esso e crescendo diventano pesanti per l’albero, quasi lo soffocano e sono costrette dunque a staccarsi per cercare nuove piante giovani e robuste. Rimangono però in parte legate a colui che le ha generate e nutrite per così tanto tempo.” “E tu ti senti una liana?” chiese ridendo Ramìro, esalando una nuvoletta di fumo biancastro dalla bocca . “Non saprei dire” rispose timida lei “sento di essere, ecco, sempre senza appiglio, sempre affamata.” Il tramonto di Bogotà era freddo e stranamente vitreo, passeggiarono tutta la sera, tra i mercati delle spezie dove si erano incontrati qualche ora prima e dove aveva ricevuto in dono quello strano frutto dallo straniero, fin dentro le viscere della città, videro vecchi, giovani donne, bambini, mendicanti e disperati e i masticatori di coca, operai delle miniere storditi o grottescamente sorridenti per effetto della droga. Fecero all’amore, ancora, ancora, fino allo sfinimento e la notte passò tra i sospiri. Ora anche lei aveva il suo albero. La pistola sul comodino scomparsa, sussultò allo scoppio, ebbe paura. 37 Steso sul pianerottolo Ramìro dormiva, un rivoletto di sangue si allungava per la scala di marmo rosa, fino alla strada, piangeva ora con lei tutto il cuore malato di Bogotà. C’era un quadro sospeso nel muro della stanza da letto di mia nonna... ...e un alberello di melograno, il ricordo di Ramìro. 38 RACCONTO DI GIACOMINO di LO DATO FRANCESCA Giacomino trovandosi a passeggio con papà Vide in fiera tanti acquari. Dice a papà: -voglio comprato un acquario- e papà lo comprò. Arrivò a casa contento e disse alla mamma: Vedi papi mi ha comprato un acquario. Un giorno Giacomino vedendo freddo, pensò di Mettere l’acqua calda nell’acquario, dicendo: Poverini, i pesci sentono freddo! E i pesci li trovò morti. Così disse alla mamma: Mamma c’è freddo e i pesci erano morti di freddo poverini, io per farli riscaldare ci ho messo l’acqua calda ma loro invece sono morti lo stesso. La mamma rispose: Allora sei stato tu a farli morire! E Giacomino si dispiaceva. 39 STANZA 106 DI LILIANO MAMO RENZINO Il pensieo umano, per prima cosa, vola ad una bella accogliente, allegra stanza in un luogo di svago, forse di un luminoso lbergo. Ad una stanza dove non si vede l’ora di entrare per potere mettere in atto quello che può essere il più bel gesto d’amore. Niente di tutto questo, la stanza n. 106 di cui parlo è una piccola squallida, triste sala d’attesa del S.E.R.T., dove giorno dopo giorno si alternano sempre più numerosi i tossicodipendenti che hanno deciso di uscire dal tunnel della droga. E’ una sala d’attesa triste dove non sipensa lontanamente di entrare e soprattutto di attendere. C’è purtroppo una madre che attende, ma cosa attende? Non è capace di dare lacuna risposta a quella che è stata una continua e frenetica attesa durata anni. Un’ attesa piena di ansia, di tormento, di angoscia, di speranza, di preghiera. Si, perché in momenti così tribolanti soltanto la preghiera è l’unico vero rifugio per non impazzire; è l’unica ancora di salvezza a cui aggrapparsi per sé e per gli altri, specie, quando per gli altri si intende il proprio figlio. Momenti di silenzio, di silenzio che piange, che grida, che prega, che spera, che anela al miracolo: al miracolo della rinascita, del ritorno alla vita e a quel sorriso radioso che illuminava quel giovane viso. Speranzosa nella divina misericordia di Dio, quel sorriso illuminerà ancora quel giovane viso. La preghiera di una madre suffragata da una profonda Fede deve essere rivolta a Dio sia per il proprio figlio, che per tutti i giovani che tanto hanno sofferto e continuano a soffrire. Affinché possano ricevere la grazia di uscire da quel terribile tunnel che spietatamente li distrugge e li annienta.Meraviglioso è pregare e sperare per il ritorno al prezioso dono della vita. 40 LA PRINCIPESSA TRISTE dI CRISTIAN SEPPI In una contrada lontana, quando ancora esistevano i reami e i castelli dalle spesse mura e dalle torri slanciate, viveva una bella principessa dai folti capelli color del rame e gli occhi verdi come due smeraldi, ricchi di riflessi d’oro. Ogni sera, non appena il re Teodolindo VIII riteneva che fosse ora di andare a dormire, la bella Roslinda non faceva mai i capricci: salutava con affetto l’anziano genitore e si ritirava nelle sue stanze, infilandosi subito a letto. Quello, per lei, era il momento migliore della giornata perché i suoi sogni erano sempre bellissimi: prati sconfinati, dove l’erba, dello stesso colore intenso dei suoi occhi, danzava pigra e mossa da un lieve venticello, migliaia di fiori profumati e dalle tonalità così intense che molte volte neanche Roslinda riusciva a dare un nome al colore che vedeva, migliaia di farfalle che danzavano leggere nell’aria solo per lei e, proprio al centro di quel prato, un castello di cristallo alto e slanciato verso il cielo e con torri leggere come soffi d’aria. Quello era il suo regno segreto, lì Roslinda si sentiva veramente viva; quando era sveglia, invece, le spesse mura di pietra della fortezza di suo padre la facevano soffocare e sentire in gabbia. Per questo motivo durante la giornata la giovane ragazza vagava triste e solitaria per il palazzo e a nulla serviva che suo padre la circondasse di sontuose feste, di giocolieri e menestrelli o di vivaci damigelle; ogni sera la principessa andava a dormire e tornava a rifugiarsi nel suo mondo incantato. Il giorno che il suo vecchio padre morì, Roslinda si ritrovò costretta a succedergli al trono, impreparata ad affrontare i problemi di un regno vasto e florido. Governare non era facile: c’erano leggi da elaborare e far rispettare, ponti e strade da costruire o riparare e questioni di ogni tipo da risolvere, come le dispute terriere o i tribunali e, peggio di tutto, doveva continuamente suggellare alleanza o rapporti di scambio con altri regni. La principessa sedeva con occhi spenti sul trono lasciando che la giornata le scivolasse addosso con tutti i suoi problemi in attesa che arrivasse la sera per poter finalmente tornare a rifugiarsi nei suoi sogni. Alla fine, il suo ciambellano di corte, dopo che per alcuni mesi dovette subire questo atteggiamento, esasperato dall’apatia della principessa, si chiuse nel suo studio e iniziò a consultare vecchi libroni e antiche pergamene alla ricerca di una soluzione. Dopo alcuni giorni di estenuante ricerca, si presentò a Roslinda e le chiese di trovare marito. Magari questo l’avrebbe riportata in sé e i problemi si sarebbero risolti, ma la principessa si oppose con tutte le forze: pianse, urlò e picchiò i pugni, ruppe anche alcuni vasi, ma il ciambellano rimase fermo nella sua posizione, forte anche dell’editto che aveva scovato in una polverosa pergamena che obbligava i reggenti a sposarsi entro il primo anno di regno. Quella sera la principessa si addormentò sfinita dopo un lungo pianto. Nel sogno cavalcò uno splendido unicorno bianco fin dentro i cortili del suo palazzo di cristallo, salì le scale fino alla sala del trono e si sedette sul suo scranno intagliato in un prisma che scomponeva la luce in mille colori su tutte le pareti; era pronta a ricevere i suoi fedeli sudditi per una festa in maschera e una cena ricca di prelibatezze. Al mattino Roslinda si risvegliò riposata e felice: nel sogno aveva trovato la risposta ai suoi problemi. Per la prima colta dopo molti anni si alzò dal letto con il sorriso sulle labbra, chiamò le serve e si fece portare il suo abito più bello e i gioielli più preziosi; si acconciò con cura i capelli e danzò dentro una nuvola di profumo, poi fece convocare il ciambellano brontolone e tutta la corte nella sala del trono per il primo pomeriggio. Quando si sedette sul trono, Roslinda osservò in silenzio tutte le persone che aspettavano nella stanza con un sorriso. Erano tutte lì per lei; aspettavano solo di sapere perché erano state chiamate a corte. Lei lasciò che il silenzio si facesse sentire nel cuore di tutti e poi, con un filo di voce, prese la parola. 41 - ieri notte ho sognato che cavalcavo felice in un prato a dorso di un unicorno. Mi ha condotto in un castello di cristallo dalle guglie esili e slanciate verso il cielo, nel fossato scorreva un torrente di miele che zampillava da una sorgene sulle montagne dietro il castello. A questo punto Roslinda interruppe il racconto e fissò tutti negli occhi, uno ad uno, con espressione severa; poi, ad un tratto, riprese a parlare con voce talmente alta che rimbombò minacciosa sulle alte volte della sala. - Ho deciso che sposerò il principe che riuscirà a progettare il castello dei miei sogni entro un mese; a lui donerò la mia mano e lo farò mio consorte nella conduzione del regno appena mi avrà condotta nel nuovo palazzo dove ci uniremo in matrimonio. – E detto questo lasciò la sala in uno svolazzare di seta rosa, inseguita dall’eco del ticchettio dei suoi tacchi. Tutti i principi presenti nella sala rimasero ammutoliti, poi, digerita la notizia, si affrettarono a lasciare la sala e a correre ai rispettivi castelli dove interpellarono i più famosi architetti per farsi aiutare a realizzare quell’opera. Esattamente un mese dopo la principessa riunì di nuovo la corte e si presentò per visionare i progetti. Dopo aver visto cento modellini in scala non era per nulla soddisfatta: il palazzo non era di cristallo, le torri non erano leggere o slanciate, l’erba non era della tonalità giusta e il fossato non aveva miele. Alla fine, quando tutti i principi ebbero presentato i loro lavori (o per meglio dire i lavori dei loro architetti, visto che come tutti i principi non capivano nulla di costruzioni), dal fondo della sala si fece avanti un giovane alto e magro, dal viso pallido come la luna e con gli occhi di un blu intenso come il cielo di notte. Era vestito di nero fino ai piedi, e dai polsini e dal colletto spuntava un pizzo raffinato e candido come la neve. Chiese alla principessa con un filo di voce se avesse potuto presentare anche lui il suo progetto. - Chi sei?- domandò il ciambellano che presiedeva alla presentazione. - Sono un principe mio signore, vengo da molto lontano, da un regno che è di tutti ma non è di nessuno: sono il principe dei sogni e ogni notte, a cavallo del mio asinello, spargo sul vostro letto la polvere dei desideri in modo che ognuno possa avere un dolce riposo cullato da pensieri e immagini da favola. E detto questo scoprì il suo plastico. Roslinda ebbe un sussulto e rimase senza parole: davanti a lei, in miniatura, si trovava il luogo dove per anni aveva vagato nei suoi sogni. - Per te, mia signora, ho preparato una polvere speciale. – Riprese il giovane principe con lo sguardo fisso a terra. – Ho catturato la luce delle stelle e ho estratto la purezza dei diamanti, ho sciolto i colori dell’arcobaleno e ho aggiunto l’amore del mio cuore per donarti il mondo più bello che una persona avesse mai visto. Roslinda era senza parole. - Perché? – riuscì a chiedere con un filo di voce, mentre una lacrima nera di mascara le segnava la guancia candida di cipria. - Perché ti amo! Ti ho sempre amata fin dalla prima volta che ti ho vista. So che posso farti felice e donarti ogni cosa tu mi chiederai. - Per anni mi hai fatto vivere in un mando falso! – riprese la principessa piangendo a dirotto e con la voce spezzata da continui singhiozzi. – Non sono mai riuscita a sentirmi bene nella mia casa a ho fatto soffrire mio padre non riuscendo ad apprezzare i piaceri di una vita normale e sentendomi sempre un’esclusa. Perché dovrei ringraziarti? – La principessa si alzò dal trono di scatto e fulminò il principe con occhi di fuoco. – Vattene, sparisci per sempre dalla mia vita e dal mio regno! Detto questo, scappò nelle sue stanze piangendo a dirotto e coprendosi il viso. Roslinda passò i mesi seguenti ad abituarsi a vivere nel mondo reale: organizzò feste e fiere per il suo popolo, cercò di instaurare rapporti commerciali con i regni vicini. Iniziò a costruire il palazzo dei suoi sogni dirigendo di persona i lavori e, appena fu finito, edificò tutto attorno un 42 paese con case si madreperla e tegole di giada per il suo popolo. Tutti i sudditi erano felici, ognuno ebbe un lavoro e la povertà scomparve dal suo regno. All’età di quarant’anni i sogni di Roslinda erano finalmente realtà: andò ad abitare nel suo nuovo palazzo e si sposò, ebbe tre eredi, un maschietto e due femminucce e regnò per altri quarant’anni ancora, diventando la regina più amata di tutti i tempi. Giovedì, 15 settembre 2005 43 VOLA, FARFALLA dI LENIO VALLATI Sono qui,nella mia cella, e ascolto il lento trascorrere del tempo. D’un tratto, nella grata in alto, vedo entrare una farfalla. Non me ne intendo molto, per me sono tutti uguali, ma questa ha le ali grandi e colori meravigliosi. La osservo con ammirazione. Come sei elegante! Vieni, farfalla, posati sulla mia mano. Parlami del mondo di fuori, che ho lasciato da ben otto anni, e dell’aria oltre le sbarre. Parlami del vento, che accarezza i capelli, e della libertà che ho perduto. Ero solo un ragazzo. Era difficile, allora, nel paesino del sud dove abitavo, trovare un lavoro. C’era solo una persona che poteva dartelo, e ti pagava anche bene. Bastava consegnare al tale un pacchetto, nient’altro, ma senza fare domande. Quello che c’era dentro non ti doveva interessare. Poi altre richieste, dovevi intimidire una persona, pestare il tale che non pagava il pizzo. Ogni volta una prova sempre pù difficile da superare per la mia coscienza, ma non potevo tornare indietro. Avevo i soldi per portare al cinema la mia ragazza, i soldi per pagare la moto nuova, i soldi da portare a casa dove non bastavano mai. Perché, padre, non mi hai avvertito allora di quanto sbagliata fosse quella strada che stava percorrendo? Perché, madre, anche tu non mi hai avvisato? Prendevi i soldi che ti davo senza fare domande. Eppure tu sapevi di quanto sangue grondavano! Io solo ero ignaro di tutto. Ero una vela in balia del vento. Un aquilone appeso al filo della giovinezza. In un giorno ho perso tutto, l’innocenza di chi non ha le mani ancora sporche di sangue, la mia ragazza ,la libertà. Ho lasciato dietro di me il profumo inconfondibile dei fichi d’india, delle zagare, delle arance. Il sole caldo della mia terra.L’azzurro del suo mare. Oltre le sbarre la mia vita si è dipanata lenta in questi otto anni, tra rimpianti e vane attese. I miei anni piu’ belli sono ormai passati. Ancora otto ne debbono trascorrere perché possa tornare libero. Ce la farò, farfalla? Riuscirò a resistere alla tentazione di lasciarmi andare, di rinunciare a lottare?E’ facile, sai, arrendersi al tempo, non contare più i giorni, gli anni, dimendicando chi sei.Qui dentro non esiste primavera,estate,inverno,c’è solo l’autunno con le sue monotone gradazioni dal bianco al grigio che ogni giorno ci annega l’anima. Scappa farfalla, scappa,vola via oltre le sbarre tu che ancora lo puoi, tu che sei libera e innocente come l’aria.Non lasciare che il grigio di questa stanza assorba i tuoi colori e la tua voglia di vita.Quando uscirò da qui non sarò piu’ un ragazzo. Sarò un uomo fatto.E sarò solo,solo come un cane,enza quella famiglia che da anni non viene piu’ a trovarmi e senza la ragazza che da qella tragica sera non ho piu’ rivisto.Riuscirò a tovare un lavoro,oppure mi rinfacceranno tutti di essere un assassino? Eppure fra otto anni avrò pagato tutti i miei conti fino all’ultimo, non avrò più debiti con la giustizia. Potrò affermare di non essere più la stessa persona che ero sedici anni prima. “Sono cambiato”, potrò urlare in faccia a chiunque. Ma nessuno mi darà fiducia. Nessuno mi aiuterà. Se hai sbagliato una volta puoi sbagliare altre cento volte, perché fidarsi di un ex carcerato? Tutte le porte si chiuderanno ai miei pugni vuoti, sarò costretto a rubare o a raccomandarmi di nuovo a quella gente. No, non ce la farò mai, farfalla mia. Vola, vola oltre le sbarre, tu che ancora lo puoi, lasciami solo al mio destino. Ma tu continua a volare per questa angusta stanza come se niente di qui dentro ti possa nuocere. I tuoi colori sono più vivi che mai. Forse tu sei la mia 44 speranza, forse sei il segno che si può sopravvivere al griggiore di questa vita che ti consuma ogni giorno. Forse sei venuta per portarmi fuori di qui. Grazie, farfalla mia. Non mi arrenderò. Conterò ogni minuto, ogni secondo che mi separa dalla libertà. Ce la farò a tornare di nuovo libero. Tu, intanto vola, vola di nuovo oltre la grata, tu che già da adesso lo puoi e aspettami al di là di quel grigio metallo. Non respirare l’aria chiusa di questo luogo di espiazione, tu che sei innocente come l’aria. Potresti assuefarti ad essa e non avere più la forza di volare via. Potresti perderti tra queste grigie mura. Stà tranquilla, un giorno ti raggiungerò. Mancano solo otto anni, che cosa sono in fondo otto anni rispetto alla vita che ancora mi resta? La farfalla intanto si è adagiata nel palmo della mia mano. Sembra che dorma. Il rosso e il giallo spiccano nel griggiore della stanza. Macchie scure sulle ali le donano eleganza. Mi guarda con quei suoi occhietti neri posti alle estremità delle antenne. Sembra fatichi a respirare. Vola, farfalla, vola, vola oltre quella grata, tu che ancora lo puoi, tu che sei innocente come l’aria. Ti raggiungerò un giorno, te lo prometto. Non mi arrenderò a questa vita grigia che mi consuma ogni giorno. Apro le mani e la lancio verso l’alto, come per darle la spinta per volare, vola, farfalla, vola mia sola speranza di libertà, ma l’insetto ricade mollemente a terra. La raccolgo e la riadagio nel palmo della mia mano. E’ morta. 45 POESIE IN ITALIANO 46 1° CLASSIFICATO MONTELEONE CARLO SI LEVA UN AQUILONE Si leva un aquilone Sulle tegole, a balzi, verso l’azzurro. Stupita l’osserva una lucertola al sole. Tubano rumorosi sotto il tetto i colombi e le lnzuola stese un alito di vento gonfia. sulla porta di casa nel vicoletto seduti, due anziani prendono un po’ d’aria. Stacca due foglie di menta la donna dà, poi , l’acqua al geranio. Racconta una vecchia favola al bimbo il nonno, ricorda di sé, quando piccolo era ed insieme,felici, guardano il cielo di maggio. 47 2° CLASSIFICATO INCUDINE ADA LA DOVE SCNDE IL FIUME Là dove scende il fiume e la valle si apre nel fulgore del sole che sbatte al cielo come un uccello in gabbia Là fra erbe selvatiche salici e felci e sassi verso il greto del fiume Là nel bacile di pietra scavato dall’acqua mio padre si radeva specchiandosi narciso La vita ruvida guizzante nei muscoli nella canottiera nei pantaloni di lana anche d’estate nella cintura di cuoio tirata stretta stretta e nelle scarpe con le suole alte un dito che duravano una vita la giovinezza l’ardore e la forza, una manciata di secondi. La pelle dorata il sapore di maschio sudore la mano a ravviare i capelli corvini e quel sorriso del sud così bianco da sbaragliare la notte tutta la vita nella barba che cresce rapida come l’ombra nei vicoli stretti ma così stretti che passa a stento l’asino e la fila delle donne con la cesta in equilibrio sulla testa Là in quella vita di pomodori seccati al sole di muretti bassi l’odore vivo del pane a legna e la ricotta tiepida nel vimini Là nelle corse polverose e nelle scazzottate dei giovanotti alle prese con i baffetti e la scoppola Là fra i pergolati d’uva fragola e le mani sotto le prime sottane Là nel bacile di pietra ti guardo e tu guardi la figlia che sarò Là nell’acqua fresca dove cade la luce ti vengo a cercare. 48 3° CLASSIFICATO MAGI SIMONE DISTACCO Calato è un oscuro sipario Su ciò che era candore. Sfumati sono ormai gli ardori, seppur corrotti dai ricordi, di ciò che era ed ora è sepolto nella indifferenza. Soprattutto le pagine non ancor scritte rappresentano un dolente rogo che non si estingue. Frantumata è ora la mia stabilità. Si è riaperta l’originale ferita, marciti sono i frutti ed avvizziti i fiori, in deperimento i miei sentimenti. Ma il mio spirito è ancora riarso di …infinito… Seppur colmo di tristezza per l’indifferenza che si annida nella tua coscienza. Svanito è l’incanto, che ora scorre assai arido. Funesta è stata questa passione. Vorrei ancora credere nella tua tenerezza, dimenticare il tuo esiziale addio, ostile, ribelle alla mia adorazione. Ignoravo i segreti latenti fra le tue spire, pensavo anzi di aver raggiunto la profondità dei tuoi abissi, credevo di sapere chi eri eppurer mi hai strppatoda te. Sono esiliato a nascondermi nella mia solitudine e costretto a nutrirmi di essa. Non mi resta che circondarmi di effimere fantasie, di sbiaditi sogni rincorsi, di immagini evanescenti. Spero un giorno di poter nuovamente raccogliere i brividi del tuo sguardo. 49 E IN ORDINE ALFABETICO BELLANCA GIUSEPPE SERA Sera, come sei nera. Sera di primavera, profumo di viole. Sera. Bisogno di solitudine. Mi siedo Col desiderio di imparare: lo sguardo cerca le righe, ma il pensiero vola nei ricordi del passato, E mi accorgo che il tempo È corso velocemente. Come avrei voluto Che tu fossi andato Piu’ lentamente, ma sordo non ti curavi di me. Ma anche adesso Sei rapido: è già notte, le mie palpebre si chiudono. Reclino il capo, Ed è già domani. 50 CARDILLO ANNA MARIA COME UN AQUILONE T’ho insegnato da subito quant'è bello volare da soli, ma, di nascosto, come un grande aquilone, ho legato te con un filo al mio polso: un filo che sparisse nell’aria ma che sapesse dirmi dov’eri, capace di far vibrare le dita al tuo solo tremare lontano. Un filo robusto e tenace ma docile al vento, sicura di poterti venire a cercare se ti perdi nel buio e nel tempo, per ovunque segnarti un ritorno, per parlare comunque al tuo orecchio con tocchi discreti e lontani. Un filo assai lungo che la vita dipana ogni giorno di un tratto e che io, di quel tratto, la notte riavvolgo… si chè il tuo aquilone mi appaia di nuovo volare nel cielo aprendo ogni giorno occhi e cuore di madre. 51 CATALANO PIETRO IL MONDO SCONOSCIUTO Che giorno è mai questo, quando vedi suonatori di flauto fra strade affollate e nomadi che chiedono qualcosa a passanti frettolosi che guardano l’orologio della vita correre piu’ veloce dei loro piedi? Dove andranno la sera questi uomini, quale casa li inghiottirà e chi li aspetterà ansioso di trovarli ancora vivi, nell’anima ciascuno consuma la giornata pensando a quella successiva, ma il tempo presente rintocca lo scorrere della vita. Chi saranno mai quegli uomini che incontri la mattina, quali problemi, quali sentimenti, quali speranze abitano nei loro cuori? Ognuno è solo dentro abiti fabbricati da altri sconosciuti, eppure siamo tutti così vicini, stretti negli aliti dei vetri appanati la mattina, ma così lontani come mondi sconosciuti. 52 CARLA CAVALLO CONFRONTI Gioia: di grida e schiamazzi, Dolore: tonfo sordo di ginocchia cadute al suolo, di lacrime salate, nel silenzio maledetto. 53 CERBONE GIUSEPPE XXVI . III Contorto e rannicchiato su di una sedia scomoda fra la violenta voce delle retoriche insulse. Lo specchio dorato Velato da un candido lenzuolo Il viso fra le mani Gli abbracci di persone dimenticate. Dall’eleganza del tuo letto Mi ascolti silenziosa Con l’ingenuo sorriso Dipinto cupo sul tuo volto. Tra le braccia composte Non hai piu’ caramelle Ma un rosario amaro Che non puoi regalare. Col capo chino Ti accompagno nel lento supplizio Fra lacrime aride. Né croci né incensi Risvegliano respiri Soltanto sinistri rintocchi Ti abbracciano indicandoti la via. Nel buio del legno Sommersa da pianti di terra Io vedo i tuoi occhi. Con le mani raccolte Nascondo il profumo Che hai appena indossato. Mi sorprendo a tenderti la mano Mentre cammini con fatica Per donarmi una carezza. 54 GIORDANO ANTONINO STOLIDANZA Ma sono io,rugoso e incanutito? Io sono riso,ardore e giventu’. Ma il tempo m’ ha corroso e sbalordito Mi guardo e non mi riconosco piu’. Ieri guidavo in macchina e impettito Stavo al volante e m’hai guardato tu. Poi m’hai detto:”Che fai,rincoglionito?”. Bella fanciulla, fiore di virtu’, m’illudevo d’averti il cuore infranto, credevo di piacerti ancor financo, della tua attenzione farmi un vanto. Volevo ancora un poco strti accanto, chiedevo stare ancora un po’al tuo fianco, cosi’ ho sbattuto al muro, Cristo santo! 55 GUGLIUZZA SALVATORE SENZA QUELLA POESIA… Io,uomo senza piu’ attese né speranze, senza quell’amore che nell’anima ha il colore dei tuoi occhi e la forma del tuo viso,senza quella poesia nel cuore che regala solo inganni e nostalgia, aspetto la notte ch non mi regala piu’ né sogni né sorrisi e la mia solitudine si perde fra il buio delle illusioni mentre la luna si immerge lentamente nelle mie lacrime tra polvere d’amore e stelle quasi spente. 56 INSERAUTO SALVO IO E TE Io e te E tutti i nostri anni, i palpiti,le vibrazioni, i trascendenti momenti dentro le emozioni. Io e te E i giorni tristi Quelle delle gioie spente Che si consegnano al dolore. Io e te Sempre li’,pronti a ripartire, a volare senza ali, ad accorciar distanze fra il vivere e il sognare. Io e te Contraccettivi dialoganti Fra i problemi degli umani, ombreggiati di vergogna per quella gente d’Africa morente o malandata, impotenti alla politica omicida senza alcun viagra. Io e te Nelle lunghe notti del silenzio d’oro, in quei concerti intensi pausati da latranti crome, distesi sull’accattivante pentagramma dove voluttuose note porgono fianco al partorir delle parole. Io e te Affascinanti e affascinati In quel goder mentale Così avvinghiati, con dolcezza, senza stuprare. Io e te E la nostra storia, innamorati e amanti verso il futuro, mia fedele poesia. 57 LAZZARA ANDREA COME UN FIUME Alle tue amate sponde, o argenteo fiume ove allora si specchiava il firmamento, affidai, turbato, ricordi e sensazioni della mia primavera di vita. Troppo siete rimaste nell’oblio, soli senza essere ricordati, consolati dallo scorrere instancabile e pacifico delle perenni acque. Sono tornato, ma non vi ho ritrovati. Quelle stesse acque in piena, tra vortici e correnti, come un turbine di vento, vi aveva trascinati, verso il mare, nel grande mare. Vi ho cercati, ma eravate lontani, vivevate confusi ad altri ricordi. Ricordi che non mi appartengono. Avevate solcato gli oceani, toccato terre lontane, senza trovare padroni, finchè siete approdati alle spiagge della mia vita. Vi ho riconosciuti tra tanti, avete saziato la mia nostalgia, dalla quale mi credevo libero in giovane età, ma che ha contagiato la mia mente negli anni della saggezza. 58 LEGGIO GIUSEPPE CHIQUITA La figlia di Paulo ha indosso un vestito turchese la pelle bianca, rosa il sorriso tenue, ed il nero, le trecce e scarpette pulite, profuma, piano, senza rumore ora conta, fino a dieci e il suo nome scrive sui muri, piange pure e mangia le more la figlia di Paulo ti guarda, ma sente freddo tra i morti di Rjo. 59 LILIANA MAMO RANZINO QUELLE DUE VUOTE BARCHETTE I verdi anni, gli amori,le gioie, le rosee terrne speranze sono svanite nel tempo, ma non naufragate nel tempestoso mare della vita. Sono rimasti,infatti, ricordi Che i permettono ai nostri i cuori solitari Di affrontare,imperterriti, marosi. Siamo come quelle due barchette vuote Che mute,silenziose, si lasciano cullare, ma non tavolgere dalle onde tempestose del mare. La nostra vita non resterà Del tutto vuota e priva di senso Perché piena di eterna, misericordiosa speranza. 60 LONARDO ANTONIO AUTSIDER Policromia dell’esistenza, incrollabile empireo di una vita vissuta a coniugare costantemente la forza delle idee con il turbinìo dei tempi… Caleidoscopica luce, venuta dall’Oriente, ha attraversato i deserti dei cuori induriti, scavalcando i muri, caduti con le ideologie. Desideroso di vita, ha baciato, estatico, le orchidee trasparenti, fecondate dall’amore e protese nel tempo a raggiungere il cielo. Strabilianti coincidenze, profeticamente scatenate, di pericolosi attacchi miracolosamente superati: eroismo decretato dalle masse festanti Coraggiosa volontà d’inginocchiarsi alla storia e chiedere perdono di macroscopici errori: costante paradosso di tempi ormai superati. Universale visione, ha valicato confini contratti, inchinandosi a qualsiasi terra, per avvicinare l’umanità alla radice comune di un’unica origine. 61 Incessante torre orante di visione geo-trascendente per disincantare i temuti silenzi di un Dio certamente offeso da insensati conflitti scatenati da supposti moventi. Dolorosa esistenza del corpo e dello spirito: assurda miopia di gruppi, provvidenzialmente sconfitti da miracolosa resistenza decantata dalla storia. 62 LO DATO FRANCESCA BELLEZZA IN CUCINA Oh che bellezza in cucina, con cipolla e cipollina, che sono le regine della cucina; l’aglio ha l’alito cattivino,ma il gusto carino la melenzana cheè un bel pranzetto la mangiamo volentieri che è gustosa e fina, la zucchina è leggerina nel nostro corpo tanto effetto fa carote e prezzemolo sa fare un bel piatto, chi li può mangiare si diverte e questo il fatto, patate,prosciutto,riempi il tuo piatto dappertutto, le carciofe pungono davvero ma è un frutto che non perderemo, e oggi tutti a tavola li porteremo, e quando non c’è né li li cerchiamo ma perché? Perché è il frutto piu’ gustoso che c’è. 63 MORTILLARO DANIELA I SEGRETI DEL’ANIMA I segreti dell’anima si inabissano nel nostro io e rendono questa vita altalenante tra il cielo e la terra. Trema sotto i piedi il cuore mentre un grido muore in gola… e trema, trema tutto il tuo corpo. I traditori sono qui, sono accanto a me e respirano la mia aria… la stessa aria inquinata dal loro dire e dalle gocce di sangue traboccanti da ogni fessura. Brandelli di carne e di vita ci abbandonano Settanta anni prima dell’ultimo respiro. 64 NOTO ALBERTO DEMETRIA E LA FALCE SMARRITA Partì subito Demetra, Dea della fertil terra, con uno sguardo mest ed una faccia tetra, alla ricerca della figlia tanto amata, rapita a sua insaputa, mentre sul suo trono era seduta. Con la falce tra le mani, simbol delle vestigia sue regali, il suo viaggio iniziò e in lungo e in largo la vergin figlia cercò. In Sicilia ormai era giunta stanca spossata e affranta, che la mente sua vacillava, mangiar e ber da tanto le mancava, e se chiudersi gli occhi suoi pur si sentiva, di quel dì d’esser partita mai si pentì! Presto le sue mani allentarono le prese ed attonita vide cader giù il regio arnese: “addio falce, scettro regnante”! il mio destino mi perseguita ogni istante! Questa è la storia che la leggenda ci tramandò che dove la falce, simbol delle messi si posò Trapani nacque ed ivi si fondò. 65 PASSAFIUME CLELIA SGUARDI RUBATI AL TEMPO Incroci di sguardi, rubati al tempo, si confondono, si alternano, come linguaggio espresso da un desiderio che incita al ravvicinamento, fuori dal divieto. Sguardi che si cercano, si scrutano, si eccitano, si provocano; gli stessi sguardi che si perdono, quando l’anima utilizza altro per esternarsi escludendo il silenzio. Sguardi che erano felici, di credere nella vittoria, di illudersi reciprocamente di volare a alta quota sopra ogni problematica dimora, alla vista di una evoluzione relazionale di una meta che le aspettative ha consumato. 66 PERCIACCANTE ALFREDO VITA….. NON VISSUTA Andare verso il mare… come un poeta alla ricerca della sua Musa ispiratrice nel ricordo di un passato non lontano… di una musica che si disperde nel vento, simile ad un gabbiano nell’immenso. Sedersi sulla riva… davanti al silenzio ascoltando il dolce sciabordio dell’acqua, che lambisce i piedi ormai nudi. L’attimo d’un ricordo… fa ritornare il panico, poi tutto passa… rimane solo il rammarico per una vita… non vissuta. E’ la mia vita! 67 RUNFOLA CRUCIANO LA PRINCIPESSA DI VIA MERLO E cosi’ te sei andata ,amore mio Mia principessa,mia regina,mio angelo Di fronte ad un destino crudele, Ad tremenda malattia niente È possibile. Ti ricordo rinchiusa nella stanza Piu’ remota, nella casa piu’ alta Di via Merlo, ed io Shrek Ti liberavo al suono di un campanello E nella notte fuggivamo Col cuore colmo di gioia. Infine con la Birilulmina a mille Superate hai le spondine del talamo ultimo E mentre ti trattenevo ho sentito Il bacio piu’ dolce della mia vita Come se Diostesso si fosse Su di me chinato. Mi laci i tuoi geni scorazzanti Che vivono nel tuo amore,Mamma, Ed un cuore colmo della tua assenza Mentremi attardo fissando Dal piazzale della scuola La mia montagna e il cielo Sperando di vedrti,amore mio Cosi’ come tu certamente vedi me. 68 SANCES SALVATORE TERRA Notte! Notte come tante! Non solo in una notte, ma in tutte quelle andate, tu terra, hai rivisto sempre la luce! Polvere e gas, ruotavi attorno a stella mirando ad una unione che volge a progetto di uomini oggi. Una molecola nata chissà come venuta chissà da dove ha riprodotto finalmente, se stessa! E’ Vita! Ma Vita brevissima E contorta nel cammino! Che sei Vita al cospetto del tempo? Pari a staffetta, tu, Vita, mentre in uno lasci in altro compari. E così, sempre! E con intervalli cortissimi! Ho visto un ficus, campa mille anni! Perché io, uomo, ho un passaggio più breve? Ha una pianta Un pensiero, una morale Ed un compito cui assolvere Più nobile o complesso del mio? Se nulla ci crea, nulla si distrugge, tutto è e si trasforma cosa sarà stato di me? Cosa sarò? 69 E tu terra che ti muovi attorno al sole E con il sole nella galassia E con la galassia nell’universo Sfidando le leggi del tempo cosa sarà di te? E della VITA dancerina, beffarda e puttana, quando tu, sole, non darai alimento quando anche tu, sole, cadrai nell’eterno riposo, cosa sarà di Lei? Lui sa! 70 SANGERVASIO ANTONIO COME BLOCCATI Siamo inganni Metamorfosi di immagini Intaglite nei ricordi, ferite non chiuse di un amore oscurato dall’autunno, chiodi in un muro maestro, fermi immagine del sempre continuo incessante sperare, l’ingresso vietato per chi non sa desinare vizi e virtu’ scomposta in tasselli, bloccati dal vento nelle eclissi di ogni promessa sfumata. 71 VALLATI LENIO ALBA E TRAMONTO Tu sei l’alba I vestiti Ancora aspersi di rugiada Nel cuore i misteri della notte E negli occhi luccichii di stelle Io sono il tramonto Foglie secche nell’anima E negli occhi Rosastri bagliori Di un sole cadente Ma dentro sento Tanta voglia d’amare Com se io e te No fossimo poi Cosi’ diversi In fondo Soltanto il giorno ci divide. 72 POESIA IN DIALETTO SICILIANO 73 1° CLASSIFICATO GIORDANO ANTONINO BALLATA DI LIBERO GRASSO Iu vi cuntu la storia di chistu E di tutta a so povera genti Ca si misi, stu poveru cristu, n’testa di non pavari tangenti. Viria fimmini senza manciari, iddu avia n’anticchia di sordi e vuliva li fari fruttari senza fari cu l’autri accordi. Una fabbrica sennza pritisi, cu na pocu di bravi operai che facianu beddi cammisi ca speranza di un chiuriri mai. Li negozzi accattavano a robba, iddu buonu pagava la genti, la famigghia cu i picciuli addobba ed aviva i so boni clienti. Ma ‘un si pò travagghiari in Palermo, un ti po’ sulu rumpiri i rini; si un vò stari immobili e fermo a’ trattari cu li malandrini. E l’industria e u commerciu? Minchiati! Ci su tanti persuni sfriggiusi Ca proteggiunu essendo pavati E s’un paghi ti fannu i pirtusi. Si nun paghi, si si abbutatizzu, ti rialano i testi i craprettu. Ca vordiri”si un paghi lu pizzu Ti sparamu n’to mezzu du pettu”. “Sugnu onestu, picchi’ ma scantari? Iu non l’aiu vagnatu u carbuni Sugnu libero ed a’travagghiari, senza aviri cavigghi e patruni”. 74 Ma la notti lu cori si schianta, l’arma sua ridiva e chianciva, ca ddu jornu a nu pezzu i novanta ci avia fattu una gran negativa. L’omi giustu s’avà ribelari E lu scantu nun movi giustizia Cu si scanta si fa supraffari Ci av’a esseri unu ca inizia. Puvireddu, st santu cristianu Ca cririva di smuoveri l’armi Ca rifiuta cu appara la manu Cu risorvi li casi cu l’armi. Sona a sbegghia e si susi du lettu, accussi scinni prestu a matina. Un curnutu ci spara n’to pettu. Iddu soffri, però si trascina Nuddu viri e poi nuddu s’affaccia. Li curnuti ci sparanu n’testa. N’to cimentu iddu sbatti la faccia. Lettu i morti a cu fici protesta. Tuttu chianci ma fabrica chiui, iddu puru si nchiui n’to tabutu. Nienti cancia s’un vulemu nui; puru tu caru miu si futtutu. Lu cantavi, facennu un duviri D’omu apertu ca parra n’ta chiazza E cu vuli mi da dà centu liri, pi la storia d’un omu di razza. 75 2° CLASSIFICATO BARONE NINO ALLURA SCAPPU Lu dicu a tutti beddu chiaru e forti, chi ‘nta sta vita cchiù nun si fatica. Li gnuni chini avemu darrè li porti, nun manca nudda cosa, granni o nica. Ni lamintamu poi d’a malasorti, chiancemu sempri comu li nuddica. La virità?- Di dintra semu morti, nun semu degni di la storia antica. Chi ‘nzignamentu damu e nostri figghi, chi sunnu sazzi, nun fannu preu a nenti. E cchiù ci duni, cchiù ti li cattigghi, mi pari a mia c’arrestanu scuntenti. Quantu sprecu chi c’è ‘nta li famigghi, ci pinzamu a cu pati veramenti? Avemu ‘n tàula, si, li megghiu trigghi, avemu tuttu, ma un canuscemu stenti. Persi gustu, la vita, ‘u sò valuri, di sti tempi è facili campari. Ma nun senti cchiù l’aroma, lu sapuri, paremu pupi senza li pupari. Allura scappu, sta vita mi distruri, ‘nta dda vanedda mi vaiu a cunzulari. Dunni li petri ni parìanu ciuri, dunni virìa li strummali firriari. 76 3° CLASSIFICATO AIELLO VINCENZO CARRETTU SICILIANU Chiddu ca pi mè nannu Petru era prima nicissità p’ù sò travagghiu addivintò pi nuatri ‘na bannera e opira d’arti ‘n’ ogni sò dittagghiu. La rota ‘un scrusci cchiù nta la pirrera ma musica li canti ‘i carrittera. Li vidinu sfilari ammàarati li furasteri e tutti ‘i paisani comu giuielli rari sù ammirati p’ì festi d’ì citati Siciliani. Supra ‘i barruna li testi ‘ntagghiati e nto sidduni giumma culurati. Li masciddara sunnu quatri fini pittati d’ì Ducatu ‘i Bagarioti Orlannu cu Rinaldu spadaccini si movinu ch’i mossi di li roti. Di sita svintulìanu li nastrini specchi e giummidda ‘i lana a pallini. C’è lu rituni misu a pinnuliari sutta d’ù tavulazzu di davanti pi mantinìri all’ummira ‘u manciari l’alivi e un vastidduni p’ì viaggianti. Vacìli pi l’armalu abbivirari bùmmulu e varrileddu pi tummàri. A pinnuluni sutta d’’u casciuni p’ì notti ca nun c’er’a luna china ncucciat’on croccu c’era lu lampiuni e p’attaccari ‘u cani la catina. Splenni lu giallu d’’u nostru lumiuni e di li sangunelli l’aranciuni. L’asti sunnu du vrazza d’alligria c’abballanu ‘na bella tarantella cu musica ‘i cianciani c’arricrìa e lu cavaddu abbrazzanu d’à bella. E ogni tantu all’aria si sintìa lu scrùsciu di la zotta chi scattìa. 77 Comu na cosa di granni valuri cu nn’avi unu strittu si lu teni si lu mmizzigghia e ‘allustra a tutti l’uri com’a nu figghiu ad’iddu voli beni. E di li nostri nanni lu suduri scinni e abbivìr’ad’iddu com’un çiuri. 78 E, in ordine alfabeto, tutti gli altri che hanno partecipato a questa sezione del concorso. GIUSEPPE BELLANCA LU MO PAISI Stasira ti staju taliannu. Vistu di cca mi pari u presepi O paisiddu mi. Terra di viddani e di miniatura Ca lu duru pani sanu scuttatu. Sangu nustru a datu A li paisi frusteri. Lacrimi e dulura ppi sti dipartiti. Ma stasira ti vju biddu. Ci joca anchi a luna. E lu me cori batti forti. 79 DI GAETANO ENZO SIGNURI PENSACI TU Ringraziu u Signuri e la Maronna Si la me penna ancora scurri linna Quannu nta menti cosa bbona abbunna. Ma su sempri cchiù picca sti mumenti Sintennu a comu si cumporta a genti. Ma su tutti mpazzuti? U ranni ca t’ammazza u picciriddu, e u pedofilu ca s’approfitta di iddu, u Kamikazi ca si fa satari, purtannu luttu e morti tra la genti ca sunnu da e un centrinu pi nenti, a fimmina ca mbagnu partorisci, possibili ca chista nun capisci ca cu è chi nasci si lav’addivari? E invece nzoccu fa? Lu va a ghittari. Tant’anni ziti si vannu a spusari E dopu pocu tempu si vonnu divorziari. Ma è a fini ru munnu? Oh Signuruzzu misericurdiusu ca tu sti cosi Certu li po’ fari, v’acchiappali pa manu a tutti chisti e portali a to casa a meditari, picchì si si cuntinua cu sti cosi, cugghiemu tanti spini e picca rrosi, na grazia l’addumannu a tutti i santi, pi la me testa fari addurmentari, ettu la penna e mi vaiu a ripusari. 80 GAGLIANO MICHELE L’EMIGRANTI Lassava tutti li so cosi a lu paisi: la casa cu la famigghia; l’abbitudini e tuttu lu munnu so. Era siddiatu assai, si taliava ‘ntunnu ‘ntunnu caminannu dintra ddà stazione, si sinteva nicu nicu, si macinava di dintra e dintra dumannannusi pirchì?, Pirchì sta pinitenza? Si sinteva comu ‘n’arvulu stradicatu di la so terra, avia l’occhi lustri e nun si fidava mancu a diri ‘na parola. Attaccatu cu ‘nu pezzu di rumaneddu, avia ‘nu cartuni pi valigia, partia pi nautru munnu chiù riccu, chiù modernu. Acchianava supra ‘nu trenu ca centu voti ‘nta li so sonni avia incutu di spiranzi. Di ‘nu finistrinu di lu trenu, ora vidia l’occhi di cu già aspittava lu so ritornu: mugghieri, matri e picciriddi so. Partennu si purtava li so spiranzi, lassava lu cori e l’anima so. 81 GATTO CONCETTA U MARITU LAMINTUSU Mi susu a matina E mi fazzu la cruci Spirannu ca jurnata Passari duci duci. Pinsannu a me maritu Mi mettu lu falaru E cu tanta pazienza Mi mettu a travagliari. Ci lavu a cammisa Ci stiru u pantaluni Pi fallu caminari Pulitu comu un baruni. A menzujornu poi Priparu lu manciari Arriva u mariteddu E si po’ sazziari. S’assetta o tavulinu E si metti a manciari E poi adagiu adagiu Si metti a lamintari. Mi dici ca è salatu Cu assai pipareddu Ma giuru ca c’occhi journu Ci tiru lu tianeddu. Tra murmuri e lamenti Finisci la jurnata Ma prima di durmiri Mi duna ‘na vasata. 82 IMBURGIA SALVATORE ONOREVULI Onorevuli illustre si tu, ca li me voti iavi circannu chiancennu comu vanniannu p’acchianari ‘nto Parlamentu. Ora ca puru acchianari facisti , po diri sempri a li to parenti, ca surari facisti e grannhi stenti p’aiutu dari a cu tu prumittisti. Ma na vota ca ‘dda t’assittasti Nun pensi a chiddi ca pi ttia vutaru. Ma sempri iu sugnu chi votu e parru: susiri t’hai unni u culu affunnasti 83 SALVO INSERAUTO ALIVOTI Era di sabaturia, di prima sira avia scinnutu p’accattari ‘u pani, quannu vitti a punta ‘i cantunera du’ picciuttazzi ca, sutta li me’ occhi, s’abbiavanu a scippari n’anzianedda; d’istintu, fici n’tempu a tirarimilla a mia versu lu muru, jttò vuci la fimmina scantata e li scagnuttazzi supra li muturi accilliraru e nun li vitti chiù. Grazii!Dissi abbrazzannumi ‘ vicchiaredda, lu Signuruzzu t’avi a binidiri, e vidennu ca s’avia arripigghiatu l’accumpagnai ansina a la sò casa. Fici pi riturnariminni dintra Quannu ‘n facci a mia, vitti arreri li malacarni ‘ i primaù cu autri beddi ‘ mpigni di cumpari puntari drittu versu di mia; lestu lestu, cu li peri n’culu, scappaiu currennu a tuttu ciatu assicutatu d’iddi, semri darreri, io cu lu me cori ‘ mmucca mi vutava e chisti sempri chiu vicini,quasi a tuccari, finu a quannu ‘tisi ddi manazzi ‘i supra; era già n’terra, m’avaianu pigghiatu. Cuminciaru a fetiri ‘i lignati, quantu cavuci scippava mentri dicianu: “accussì t’insigni a ‘un t’ammiscari” E cafuddavanu comu m’pazzuti. Iu, cu li me vrazza circava di pararimi, a mè cammisa rea ‘nchiappata ‘i sanguùe iddi, sempri ‘na frasi: “accussì t’insigni a ‘un t’ammiscari”. Nun si vidia nuddu e nuddu s’ammiscava, li vrazza chiù nun li putia isari e quannu ormai p’arennimi mi stava, ‘ntisi un gran rumuri, mi taliau ‘ntornu Ed era sulu, comu un allallatu. Ma ci criditi vuatri? M’avia sulu ‘nsunnatu! Viditi? Alivoti campari È chiù bellu di sunnari. 84 LEGGIO GIUSEPPE VI CUNTU LA PACI CU L’OCCHI APERTI Un gniornu di frivaru furturusu bianca na palumma circava lu riparu puvuredda, un truvannu a destra e a mancusa ne cornici e finistruna, ne purtusa nta lu muru. Di luntanu, mmenzu la bufera s’addunau d’un nidazzu di sparveri autu, spinusu supra n’ilici quartara “comu purtarisi o cippu” pinsò “megliu un ci iri”. Ma a lu stremu di li forzi ormai arrivata cu putittu puru ora scummiglienti turnari appi, arreri pi dda strata e tuppiannu addumannau di questanti. “Sugnu palummedda già spirduta, e ora preu a vossia, d’ascutari appizzu lu me secutu e vi sugnu ubbligata di quattru muddichi m’accuntentu vulinteri”. “Cummari palumma” rispunniu lu sparveri “Ata a sapiri ca lu munnu eni tirchiu a lu dari e di chiddu chi duna voli sempri n’arreri, a porta iò va rapu ma du restu a vinìri”. Misirazza, capennu la sunata, misi avanti lu stentu a la so vita e di lena misa e curaggiu armata furriau li spaddi a ddu nimicu senza pìeta. Furtunata fui pirò ntà la svintura attruvannu, vidi i cosi, dda vicinu na littiglia pi li cani cummigliata e dda dintra pot’aviri un pocu ì leviu. Ora senti senti, ddu vintuni pirmintiru purmunaru accurrenti a mala annata allivanca lu furtinu du carnaru di l’agiu o disìu tutta ntà na vota! Si truvau ‘ccussi alla limosina lu superbu sparveri rucculiatu di nuddu però, puru iddu appi lesina e a dda arripizzata chesi l’aiutu. “Pi mia m’abbasta solu n’agnuni” 85 dissi ‘ccuglienti a puvuredda “se vossia s’accuntenta, megliu un c’eni”. “Vabbeni, vabbeni” s’accoffa lu sbruffanti. Ma si sapi, cu fa beni mali aspetta chista fu la sorti di dda criatura ca lu sparveru niannucci la porta si l’ammucca allampatu nnò un muccuni. Povira fini, chistu u ringraziu? Di tantu, macari troppu, benvuliri di la paci bedda stidda a palummedda simulacru distinatu a un s’avverari. Picchì li così s’arripetunu jennu jennu lu sparveri sbintricatu da lu cani natura e lotta ‘nsemmula vannu lordi di sangu, dirigiunu lu munnu. 86 LILIANA MAMO RANZINO L’OMU E L’ARMALI Sem una lu dumila E l’omu sfida li stiddi E li profunnità di lu mari Ma, ancora avi tantu d’apprenniri Speci da l’armali. E’ tuttu scienziatu È tuttu sapienti, ma chiddu ca un navi su li sentimenti si senti cristianu e bonu ma,sulu iddu sapi fari lu mali a nautru omu. L’armali puru sivastuni E li calpesti Ti vennu incontru E ti fannu li festi. Li so nicareddi criscinu cu cura E li protegginu senza paura Sulu lìomu è capaci Di fari lu mali chiù ranni ca c’è Ammazzanu pi nienti, lu simili a se. 87 LO DATO FRANCESCA OH, CHE BEDDU STU MUNNU! Oh, che beddu stu munnu! E? veru beddu e popolatu. Li so biddizzi sunnu infiniti, oh, si fussi na palumma, lu visitassi e vidissi tanti cosi chi fannu istruiri la me menti. Eppoi quantu genti chi ci sunnu, di tanti facci e lunghizzi di tanti razzi. Su cosi veru beddi di pinsaricci. E quantu armali chi ci su Di tanti razzi Ca nun si ponnu cuntari E ognunu cu lu so nomu su chiamati. Ma chi scienza chi ci fù, vulennucci pinsari, chi fu criatu beddu stu munnu, cu tanta terra e tantu mari ca pi davveru cu un sapi natari si ni va a lu funnu; e chi cummirità chi c’è, ce u suli pi scaldari a nuatri criautura e pi nutririni cu li cosi di la terra; li stiddi e la luna pi fari luci a tuttu lu munnu; l’acqua di lu cielu pi fari saziari tutti li essiri di la terra; li valinci, li vadduna e li sciumi chi n’aiutanu tantu pi abbrivi rari terra e frutti, e a mari l’acqua si ni và e si nutriscinu li pisci chi criau la natura! Pi daveru bonu fu criatu lu munnu 88 NERI MARGHERITA LU RITRATTU L’autru jornu arrizzittannu Mi va capita ppi manu Lu ritrattu di me nanna, du culuri di l’argentu li capiddi ccu la scrima ‘ntornu o coddu la trinetta E a chiusura du bustinu na gran fila da pumetta. Lu so sguardu accattivanti E la vucca risulenti, li so vrazza prutittivi mi facianu di riparu quannu quarchi sgridatedda di me matri m’accanzava. Taliannu du ritrattu Tanti cosi ‘nta la menti D’improvvisu mi turnaru: mi rivitti carusedda ‘nta la stratac a iucava Ccu la palla e ammucciaredda. Vitti i manu di me matri ca ‘mpastavanu lu pani E ppi farimi cuntenta mi facia la cudduredda, e ogni sira ‘ mmernu està prima ca calava u suli ‘nta la nanna mi purtava e aspittavumu ‘ncuppagnia lu ritornu du papà. Vitti ancora taliannu comu a vita scinnicava, mentri matri addivintava era nanna già me matri, e da nanna mi ristava sul una fotografia chiusa dintra na curnici, nu ritrattu senza tempu ammucciatu ‘nton casciuni sculurutu e tacchiatu ca cuntava ‘ndifferenti lu passatu e leu presenti. 89 NOTO ALBERTO VENTU FAI PRESTU Ventu, a tia cercu! Ciucia paroli Nta st’anima sicca China di duluri e di patimenti. Ventu, dunami forza, dunami ciatu, fammi vulari sempre chiu autu! Ventu, scunvorgi cu la tò putenza l’animo di stù munnu accussì afflittu, chi da li guerri marvagi nesci scunfittu. Ventu! Tu chi giri pi tuttu lu munnu E chi viri qyanta genti soffri e mori, curi e cuntaci tutti sti cosi a lu Diu ‘nvinturi di lu lunnu chi beddu assai lu fici, dicci chi veni ‘nterra n’autra vota quannu ni pirduna e binirici. Ventu, fai prestu però! Chi d’aspittari Nun cè chiù tempu! 90 PICIONE MARFINO GIUSEPPE LU TRAGUARDU Semu ancora prisenti Fermi a lu traguardu; friddu è lu surrisu e lu sguardu dila genti. Dintra sti camma runa Camminamu a quattru peri, facemu passi di cufuruna. Fermi a lu traguardu Paremu liama sicchi caliati, misi di latu comu cutedda azzannati. Luntanu di li figghioli Si stringi lu cori, màncanu li paroli. Scavamu lu passatu Cu l’occhi pintuti Spersi comu negghia E pi sustegnu attruvamu Vastuna di pagghia. 91 SEZIONE “G” ITALIANI ALL’ESTERO LA MEMORIA. RICORDI DELLA MIA TERRA 1° CLASSIFICATO ZAPPERI ZUCKER ADA LA MANTENUTA Un pomeriggio d’estate, quando il tempo sembra essersi fermato e tutto resta in attesa di qualcosa che poi non accade, e questo qualcosa potrebbe essere anche solo un filo di aria fresca, mia madre prese l’eroica decisione di andare a fare quattro chiacchiere con una sua vecchia amica d’infanzia. Io ero costretta ad accompagnare mia madre: nella Sicilia degli anni cinquanta non era ancora lecito per una donna perbene uscire da sola! Una legge cui si sottomettevano quasi tutti per un abitudine ormai secolare: credo nessuna si fosse mai posta domande. L’accettavano supinamente, come un dato di fatto. Già dalle scale sentimmo l’aria surriscaldata, la solita agitazione, lo stesso strepito cui ormai eravamo abituate, con la sola differenza che questa volta si trattava solo di voci femminili. Ma non litigavano, anzi qualche risata stridente risuonava qua e là: che si festeggiasse qualcosa? Non eravamo neanche entrate che subito mia madre venne circondata dalle donne, figlie, nuore e chissà quali altre parenti o vicine di casa, più una quantità di bambini che sgusciavano da tutte le parti: sembrava si fossero date appuntamento per discutere su un argomento scottante, di grandissima attualità. Si stava commentando il fatto del giorno:una”malafemmina” era venuta ad abitare un basso proprio di fronte alla loro casa! Io non potei fare a meno di drizzare le orecchie. Una parola, della quale non potevo afferrare il significato, mi incuriosì. La parola che passava di bocca in bocca, l’intersse smisurato, morboso per la persona cui si riferiva, il modo di pronunciare” quella” parola, il disprezzo, la meraviglia, lo stupore e anche l’invidia che in una confusione di sentimenti contrastanti traspariva, era “mantenuta”. Ma stranamente si alternava a un'altra, a me nota per via di una canzone napoletana, “Malafemmina…” conoscevo il significato del verbo mantenere, ma il suo participio acquistava ora un qualcosa di ecquivico, di oscuro: si trattava forse di un nuovo uso di questa parola, oppure nascondeva un doppio senso… un oscenità? E che relazione poteva avere una mantenuta con una malafemmina? Da pezzi di frase, esclamazioni, parole sconnesse che si sovrapponevano in una atmosfera sempre più eccitata, riuscì a cucire insieme la storia, del tutto romanzesca, della così detta mantenuta. Trasalendo, dalla descrizione che riuscii ad afferrare di volata, mi sembrò di riconoscere una persona che già da tempo aveva attirato la mia curiosità per il suo essere diversa dalle altre: la vedevo passare sotto i balconi di casa mia, sempre sola, fermarsi un momento per scambiare qualche parola frizzante con un giovane cocchiere, anch’esso una mia vecchia conoscenza dato che parcheggiava la sua carrozzella proprio accanto al marciapiede di fronte, per proseguire poi in direzione centro città. Notavo sempre che al suo avvicinarsi, gli altri cocchieri, ridacchiando fra di loro, si scostavano per lasciarli soli. Il giovane cocchiere, un bell’uomo dai capelli neri ricci, sovraccarichi di brillantina, due bafetti alla Clarke Cable, borioso e 92 attaccabrighe, aveva il fascino tipico del maschio prepotente che allora mi turbava. Più di una volta lo avevo visto coinvolto in duello rusticano e spesso ripeteva una frase con la fierezza che lo distingueva: “u ggiaccu mi scuddai,’ncacciri…”. Io la vedevo scendere dal fondo della Via del Velo, allora quasi sempre deserta, e la riconoscevo subito da lontano: al contrario di ogni donna perbene, infatti, camminava in mezzo alla strada, ancheggiando con spavalderia come una che non ha più niente da perdere. Forse voleva soltanto imitare l’andatura di Rita Hayworth, alias Gilda, film che in quel periodo furoreggiava all’Arena Grande, un cinema rionale dove la sera si riuniva un pubblico misto di gente “onorata” e no. Lei però non aveva i capelli rossi sciolti sulle spalle, e tanto meno le forme prorompenti tipiche delle dive del dopoguerra: eccettuato il suo modo di camminare, il suo aspetto sobrio, la severità che emanava da tutta la persona mai avrebbe lasciato supporre in lei quello che, secondo l’opinione comune, caratterizza una donna disonorata. Di media statura, magra ma ben costruita, sempre vestita di nero, evidentemente in lutto, i capelli scuri, lucidi, tirati in un nodo dietro la nuca, non era truccata. Neanche un filo di rossetto. Le sopracciglia del tutto depilate ridotte a un segno sottilissimo di matita nera. Una grande cicatrice attraversava per lungo tutta la guancia sinistra; una linea rossa che sfregiava il viso scavato, divorato come da una febbre antica. Teneva la testa alta, in segno di sfida e guardava dritto davanti a se… anche questo aveva notato, dato che mia madre non si stancava di predicare che una donna perbene deve tenere sempre gli occhi bassi, soprattutto per strada. Non era una belezza, ma c’era in lei qualcosa di inquietante, di sprezzante, come di chi sta al disopra. Al di sopra di che? Delle convenzioni sociali? Della morale bigotta? Delle stupide donne curiose? Io consideravo quell’atteggiamento come una affermazione di libertà e di superiorità: lei aveva tagliato i ponti con quelle tradizioni ammuffite cui tutte le donne, senza protestare, si sottomettevano; lei camminava in mezzo alla strada e sola e a testa alta, e io, nella mia estrema ingenuità, l’ammiravo. E ora venivo a sapere che era una ….. cosa? Una mantenuta… una malafemmina. A quanto potei capire, quel cocchiere la manteneva, nonostante non fossero sposati. E questo è disonorevole, vociavano le donne all’unisono. Lei non voleva impegnarsi legalmente, non voleva nello stato di donna maritata. Con tutto ciò viveva con lui, nella stessa casa e si faceva mantenere da lui: uno scandalo! Non potei non fare delle riflessioni sul valore di certi legami, sulla loro onorabilità, sul significato del matrimonio che permetteva ad una donna di farsi “mantenere” da un uomo senza alcuna riserva morale o sociale solo per un diritto di contratto… in cambio di che cosa? Dovetti concludere che anche mia madre era una mantenuta, così pure tutte le donne sposate che conoscevo. Questa sì che fu una scoperta! Intanto che le donne continuavano a strapparsi le parole di bocca, cercando di soverchiare le altre con espressioni sempre più concitate, io prendevo una decisione molto importante: mai avrei permesso a un uomo di mantenermi. Mai mi sarei sposata. La cosiddetta “mantenuta” era vedova, e secondo l’opinione generale, non superava i trent’anni. Portava il lutto, un ultima concessione agli usi della società nella quale viveva, per il marito morto ammazzato in circostanze misteriose. Nessun testimone né prove sufficienti erano state trovate per incolpare qualcuno: ma c’era chi sosteneva che lei o l’amante, il cocchiere imbrillantinato, ne erano gli autori. Si chiamava Santina Uggeri o Uzzeri, (in quella confusione non riuscii ad afferrare il nome), e alcuni anni prima la sua fotografia era apparsa sulla cronaca nera dei giornali cittadini per un fatto di sangue, rimasto non chiarito, si diceva, per la 93 caparbietà della donna. A ogni domanda rispondeva solo: “sono affari miei. Non devo rendere conto a nessuno”. Non servirono le minacce né qualche mese di prigione. L’amico del marito, appunto il cocchiere di mia conoscenza, ammise di essersi trovato per caso in compagnia di Santina: era venuto solo a salutarla, trovandosi da quelle parti. Il marito, sopraggiunto in ora insolita, in un attacco di gelosia, secondo lui del tutto ingiustificata, si era slanciato contro la moglie con l’intenzione di ucciderla: solo la pronta reazione dell’amico aveva evitato il peggio. Il giorno dopo fu trovato il suo cadavere vicino casa. Non si seppe mai altro. Da un incjiesta della polizia, che del resto lo conosceva molto bene, vennero alla luce altri precedenti dell’ucciso, storie di violenze e affari loschi in cui era stato coinvolto più di una volta. Si conobbero anche alcuni particolari sulla vita di Santina: dagli atti della polizia risultò che la ragazza, non ancora tredicenne, aveva denunciato il padre per violenza carnale. Si è mai sentita una simile enormità? Protestavano le donne. Una figlia che denuncia il padre! (io non sapendo cosa fosse la violenza carnale, trovai la storia del tutto incomprensibile). Affidata a una vecchia zia, essendo orfana di madre, era andata al servizio per una decina d’anni presso una signora che viveva da sola. Che donna sarà mai stata e… sapeva dei suoi precedenti? Tutte domande cui solo lei avrebbe potuto dare una risposta. La sera, dopo il lavoro, tornava a casa, dalla zia, a quanto pare una megera, alla quale doveva consegnare tutto il suo magro salario fino all’ultimo centesimo. Una sera, tornando dal lavoro, fu afferrata da un braccio d’uomo apparso come dal nulla, che con violenza l’attirò dentro un androne. Paralizzata dalla sorpresa e dal terrore non seppe reagire: due mani la brancicarono tutta, mentre col corpo la premeva contro il muro, impedendole di scappare. Dopo brevissima lotta gli riuscì di “infilare la lingua nella bocca, quello schifoso.” (inutile dire che non capì un bel niente di quella storia della lingua. Solo che era un atto schifoso e che era bene stare in guardia dagli androni bui). A forza di pugni, morsi e calci riuscì a liberarsi. A casa non osò raccontare nulla alla zia, tanto non le avrebbe creduto. Semmai avrebbe detto che era stata lei a provocarlo. Qualche settimana dopo la zia le annunciò la prossima visita del suo futuro sposo. Santina vide davanti a se l’uomo che l’aveva offesa dentro quel portone buio e che da allora la seguiva ogni sera fino a casa…. Sembrava proprio una storia da romanzo a fumetti, tipo “Grand Hotel”, una rivista che in quel periodo appassionava un vasto pubblico femminile. Che le donne stessero inventando una storia, così come avrebbero voluto che fosse stata, non potei mai appurarlo: era chiaro che la vicinanza di quella donna accendeva la loro fantasia. Senza contare che si sentivano minacciate più o meno da vicino: i loro uomini reagivano già al fascino di quella malafemmina. Ne erano attratti e perchè no, stimolati. Mi sembrava di aver sentito abbastanza e approfittando di un momento di particolare confusione uscì sulla strada. Vidi subito il basso di fronte, la porta spalancata: una quartara e un secchio pieni d’acqua erano stati lasciati lì davanti. Mi sembrò un buon segno, forse la padrona era uscita. Decisa attraversai correndo il breve tratto di strada polverosa e di slancio salii sull’unico scalino che introduceva nella casa. Qui mi fermai di colpo, col cuore in tumulto, spaventata dalla mia improvvisa audacia: abbagliata dalla estrema lucidità del sole, nonostante il pomeriggio inoltrato, rimasi un momento istupidita, non sapendo io stessa cosa volevo. Man mano i miei occhi si abituarono all’oscurità di quella casa. In mezzo alla stamza vidi un tavolo quadrato, coperto da una tovaglia scura. Quattro sedie lo circondavano. Lungo la parete di destra troneggiava un gran letto matrimoniale, alto, severo, anch’esso ricoperto di 94 damasco a fiori scuri, uguale alla tovaglia del tavolo. Una grande bambola, vestita di rosa confetto, se ne stava seduta nel bel mezzo del letto. Il pavimento a mattonelle, scuro, era pulitissimo: tutta la casa brillava di pulizia. Un ordine meticoloso denunciava la cura e l’amore per quelle piccole cose. I colori scuri dei mobili, un armadio e un alto comò, le coperte, e il pavimento, evocavano un’atmosfera di rispettabilità, una severità di costumi, e anche una sorta di drammaticità che in ogn caso rispecchiavano il carattere della padrona di casa. Devo aggiungere che tutte le case siciliane, almeno quelle di mia conoscenza, avevano le stesse caratteristiche: mobili scuri, tappeti scuri, quadri scuri. In quel basso si respirava un’aria densa di significati: la dimostrazione che nonostante l’apparente rifiuto per la morale vigente, restava in lei un fondo di perbenismo, anche di rispetto per certe convenzioni sociali. Forse col tempo le sarebbe riuscito di reinserirsi in quella stessa società che ora, a motivo di uno sfreggio, ma anche di una certa libertà di costumi, la emarginava, considerandola una donna perduta. Ne rimasi assai colpita. 95 CATEGORIA BAMBINI E RAGAZZI 96 SEZ F POESIA DIALETTALE 1° CLASSIFICATO SEZ F POESIA DIALETTALE PASSAFIUME DEMETRIO U PAPA POLACCU U Signuri Dio pi lu tronu di San Pietro, ‘nta li sacri palazzi Vaticani Distino ‘pi’chiossà Di cinqu lustri N’apuostulu speciali Ca’arrivò di un paisi Tantu luntanu:Karol Woytila. Tuttu lu munnu Ti cunusciu,ti circò, t’ammirò e ti chianciu. Fusti un Papa eccezionali, truoppu acculturatu e tantu viaggiaturi, cu li to granni sofferenzi isti a purtari a to paruola u to cunfuortu, a to priera, a tua santa binirizioni a tuttu lu munni speci, a li tani puoviri, a li malati a cchiddi abbannunati all’affamati e a tutti chiddi discriminati. A tutti predicasti u pirduni, l’amuri e carità, accussi facisti puru cu lu to scelleratu attentaturi. Caru papa nuddu , si scorderù mai di tia, fusti, sii e sarai pi siempri ne nuostri cuori: KAROL MAGNO 97 SEZ E “POESIA IN ITALIANO ” 1° CLASSIFICATA SEZ E POESIA IN ITALIANO MARIA GUZZO SOGNO…. AMORE Cos’è Quel tenue tepore Che solo il tacito zefiro Può darmi, quell’impeto che con il cedere del tempo diviene solo ardente dolcezza perché io possa ricevere misericordia divina. Sostanza desiderabile E sfuggentee dei vivi Degli eterni Dell’anima che di essa arde. Quando rosa e lillà Sono uno Perché entrambi Bramano le tiepidi ali del sole. Quando negli uomini Il suo messaggio interiore Non ne annuncia l’arrivo. Quando sognando E poetando Scopro di amare. 98 SCIORTINO GIUSY L’AMORE L’amore, sentimento d’onore, timidezza, passione che come in un leone fa batter forte il cuore. Ti senti contento Non è un dubbio Si, me lo sento! Il bacio Eccolo, il mezzo con cui l’amore si rivela con cui il sussurro della timidezza balza fuori dal cuore, lasciando la freddezza fuori dalla finestra. 99 PASSAFIUME AMEDEO FURTO DI SOGNI Oh spensierata gioventù illusa! Attenta e fedele seguace Del dio pallone, ormai catapultata nell’anno zero del nostro calcio così marcio e tanto malato, dove sono i tuoi sogni inocenti, speranzosi e genuini? La tua buona fede Umiliata e ingannata Il tuo vergineo entusiasmo Calpestato e scioccato, le tue lunghe e appassionate domeniche di trepidante tifo e di sincero affetto, stravolte da una piovra, che coi suoi tentacoli, ha distrutto e derubato ogni onesta e giovane speranza. O mondo dorato del pallone, la nostra rabbia, la nostra amarezza il nostro sconcerto ti diano forza e coraggio in nome della coppa che ci ha fatto diventare campioni del mondo. 100 SEZ D “NARRATIVA” 1° CLASSIFICATA ALLA SEZ D “NARRATIVA BAMBINI” MARIA GUZZO: LA VERITA’ DEL CUORE Nella luce che declina, un ultimo raggio di sole sfiora le rocce affilate e nere in primo piano; più in lontananza l’immobilità del tempo attinto di un alone rossastro quella superficie indistinta che continuiamo a chiamare mare, e adesso che tutto appare nella chiarezza delle cose: sia pace per coloro che ne bramano la benevolenza ma per chi è come me, sia solo il tormento, quest’effimero istante, che tanto percuote le immortali sembianze. Mi chiedo da quando ho perso il colore nel corpo, nell’anima, nelle parole che credevo mie; da quando amor più mi giova, ne il prodigio che a me sia lieto e caro. Ah! Che possa la gioia ahimè quando è gioia, indugiare dinnanzi alla sorte, affinchè almeno il cuore non si imbastardisca, come il mio ibrido essere inaridito dal dissesto. In questo tempo… In questo luogo… Non ha importanza quale sia, le cose non cambierebbero in ogni caso; io che ho sempre atteso l’inizio adesso non attendo altro che la fine; che abbiano il medesimo valore? Si questa volta è diverso. Invoco la pioggia (so bene quanto ne siete infastiditi voi intorno) e maledico me stessa a quando colsi la voce in petto, a quando strinsi l’elsa del mio orgoglio ferito perche questi fosse la prima e vera forza a bruciare i miei muscoli, a gonfiare i polmoni; quella stessa che mi fece credere in una meta in un senno. E ancora una volta il fuoco è desto, quel desiderio istintivo e violento, come il bisogno di sangue ma infinitamente più dolce; una necessita un urgenza muove le mie gambe indolenzite nel dì ormai che cessa, tale è il suo corso, tale è il mio e l’imbrunir della sera quasi a cancellare i miei contorni sinuosi di predatore, nel vento che sa di gelo, nitido contro il mio fuoco. Sono e non sono: la lacuna ha preso il sopravvento. Con la sola certezza di aver abbandonato tutto per l’incertezza, con al solitudine mia unica compagna, l’indifferenza mia unica saggezza, continua ad avanzare tra le rovine di antichi idoli e miti, tra le macerie di un palcoscenico dalle tende rosse e dei suoi racconti di vita umana. Oh Dio! Quanto mai è dolce il tuo nome sulle mie labbra screpolate; unica melodia che affabile sfonda il marcio fino all’anima, quasi a far male e così sanguinante di vergogna mi ritraggo. E adesso che ho cominciato a vivere quella mia stessa indifferenza sa or di disprezzo: qui per me non vi è ove placare la rabbia, sottrarmi per un solo istante alla mia bestia, alla ricerca del vano, dell’ ade. Possibile che voi uomini (che trovate conforto in quel fantasma che è l’amore) tutto abbiate imparato ciò che veramente meritava di essere?! Tuttavia non desidero tanto più tornare alle mie valle native, quanto poter vivere. Era da tanto che la luna piena non splendeva in quel modo attraente come un miraggio, distante e irraggiungibile. Mi fermo di colpo, piantando più che posso gambe a terra. Lasciando che per un istante gli occhi si perdano nel bagliore della luna; poi prostrato il viso al cielo, le chiedo: - è il paradiso…? – con voce mozzata dal pianto (ora poteva osare) e attendo con riverenza. Lei mi “risponde” come una voce interiore: - il Paradiso… sicuramente non esiste in nessun posto. Ai confini del mondo, non c’è nulla… e per quanto si cammini non si fa che proseguire sulla stessa strada. – 101 - Ma allora perché… un così forte impeto mi pervade?!- sento risuonare le mie parole come cantate, un canto di malinconia e fierezza che trafigge l’aria gelida. Ancora quella voce: - non hai paura?-. In cuor mio l’ho sempre saputa la risposta fin dall’inizio: - sia vivere che morire, sono entrambe cose naturali, e più innaturale vivere senza uno scopo!- Mi stacco nuovamente da terra prima che la nostalgia giunga, e continuo a correre in questa fuga piatta tra cielo e terra che è mia vita. 102 INDICE DEGLI AUTORI AIELLO VINCENZO Nasce a Bagheria il 24 Marzo del 1957 da padre bracciante e madre casalinga. Sin da giovane si dedica all’apprendimento dell’ebanisteria, che coltiva fino all’età di ventuno anni, allorché è assunto dalle Ferrovie dello Stato. Dal felice matrimonio con Mariella Buglisi nascono Salvatore, Fabio e Federico. Attualmente in servizio, dedica il proprio tempo libero alla famiglia e alla poesia. Dal 2004, desideroso di far conoscere i propri componimenti poetici ad una più vasta e qualificata critica, inizia a partecipare a concorsi nazionali ed internazionali di poesia, ottenendo soddisfacenti risultati: 1° posto assoluto alla 3^ edizione del premio nazionale “Giacomo Giardina” città di Bagheria anno 2004. Premio speciale della giuria al “Concorso nazionale di Poesia Circolo Empedocleo anno 2004”di Agrigento. 1° posto assoluto al “II° Premio Nazionale L’Anima in Versi”anno 2005 Lazzate (MI). 2° posto al Premio Nazionale “La notte delle Muse” città di Balestrate anno 2005. Diploma d’onore alla VII^ edizione del premio internazionale di poesia “L’Acaljpha” anno 2005. 3° posto al premio ”Poesia prosa e arti figurative” Accademia internazionale de Il Convivio,Giardini Naxos 2005. 3° posto alla XIII^ edizione del premio nazionale di poesia “Elvezio Petix”città di Casteldaccia anno 2005. 1° posto alla II^ edizione del premio di poesia”Calogero Rasa” città di Cerda anno 2005. 2° posto alla IV^ edizione del premio “S. Valentino” in Calatabiano anno 2006. 4° posto al XVI° Trofeo “Turiddu Bella” città di Siracusa anno 2006. 2° posto alla IX^ edizione del Premio” Giovanni Meli” città di Palermo anno 2006. Menzione di merito alla XII^ ed. del premio Internazionale di poesia “Poseidonia Paestum”Città di Paestum 2006. 1° posto alla III^ ed. del Premio “Alimena sotto le stelle della letteratura” anno 2006. 3° posto alla 1^ ed. Premio nazionale di Poesia “LiberArte” Mattinata (FG) anno 2006. 3° posto al Premio Maria S.S. di Custonaci Trappeto di Fraginesi anno 2006 2° posto alla 5^ ed. Premio Nazionale di Poesia “Giulio Palumbo” Ficarazzi (PA) anno 2006. Le sue liriche sono presenti in diverse antologie letterarie come: “Fiorivano girasoli alla finestra” Centro Culturale Giacomo Giardina edizione 2004. “Sikania 2005” 8° Raduno poetico. “La costanza dei grilli” Federico editore 2005. “L’orchestra colorata dei panni” Centro Culturale Giacomo Giardina edizione 2005. “Poetilando nel web”antologia del premio omonimo edizione 2005.. “Premio Empedocleo”Studio Media edizioni 2005. “L’Anima in versi “ Informazona edizioni 2005. Antologia poetica accademica“Il Convivio 2005”. “Alimena sotto le stelle della letteratura”antologia della II^ ed. del premio omonimo. “Momenti” (1996-2006) antologia del decennale del Circolo Culturale Giacomo Giardina. Segretario del “Circolo Culturale Giacomo Giardina” di Bagheria. Testo a pag. 77 AVANZATO AMBROGIO è nato a Chivasso (TO) nel 1938, dove tutt’ora vive. Ha iniziato a lavorare giovanissimo, con lo studio, riuscì poi a crescere professionalmente, ottenendo una posizione soddisfacente. Ad un certo punto qualcuno gli fece osservare che tendeva a romanzare le relazioni tecniche che redigeva; si era ammalato di grafomania. Quando lasciò il lavoro, diede sfogo alla sua mania, privilegiando nei racconti i ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza. Testo pag. 25 BARONE NINO NASCE AD ERICE CASA SANTA IL 21 AGOSTO 1972 E SIN DA PICCOLO MOSTRA UNA SPICCATA PREDISPOSIZIONE ALLA POESIA SOPRATTUTTO QUELLA IN RIMA. ATTRATTO DA OGNI FORMA DI ESIBIZIONE TEATRALE, SCRIVE POESIE DA QUANDO AVEVA DIECI ANNI. SPOSATO CON RITA DAL 1998, VIVE ATRAPANI , HA UN 103 FIGLIO, MARIO DI 6 ANNI. E’ PRESENTE IN DIVERSE ANTOLOGIE ED HA OTTENUTO PREMI E RICONOSCIMENTI , ANCHE DI PRESTIGIO, IN VARIE ZONE DELLA SICILIA. IL SUO SOGNO ATTUALE E’ QUELLO DI PUBBLICARE UNA RACCOLTA CON TUTTE LE SUE POESIE. Testo pag.76 BELLANCA GIUSEPPE nato a S.Cataldo (CL) dove risiede Testo a pag. 50 -79 BONATO ALDO nato a Marostica e risiede Novi Testo a pag. 28 BRUNO LAURA . Nata a eggio Calabria. Ha frequentato il Liceo a Palmi dove vive con la sua famiglia. Scrive poesie dall’età di sette anni, infatti ha scritto la sua prima poesia quando frequentava la seconda elementare. Nel 2003 si è classificata seconda al Trofeo Nazionale di Poesia e narrativa del ragazzo, sez. poesia, a Scafati (SA).Nel 2004 è stata prima al Premio Nazionale Ruba un raggio di sole per l’inverno indetto dall’Associazione ARTEA a città di Castello(PG) ed al premio Nazionale Cavallari di Pizzoli (AQ) Tra il 2003 e il 2005 ha partecipato a svariati premi nazionale (Olindo Dini a Volando, Verona concorso Romeo e Giulietta, Quadrifoglio di Pontecorvo, premio Giuseppe Sunseri) Nel 2004 ha partecipato al Premio Nazionale Giuseppe Bertelli a Pontedera, nel 2005 al Premio Nazionale di Ischia L’isola dei sogni dove ha conseguito il trofeo d’argento classificandosi seconda. Pubblicazioni: L’isola dei sogni, Attimi e didascalie lunari. Ha partecipato alla giornata europea del patrimonio dal titolo: “Il patrimonio. Una cultura da vivere” Pesia, compagna di vita in ogni tempo. 2006: 1° classificata al premio internazionale “il molinello” (Rapolano Terme SI) Argento per la narrativa. E’ stata finalista al premio Citta’ di Poggioomarino; segnalata al concorso Amelia Earthart “Quando le donne osano”. Recentemente le è stata riconosciuta una menzione di merito per contenuto e originalità al 2° concorso in lingua italiana e sarda “Poesie di Solidarietà… per ricordare Tiziana.”Testi pag. 33 CANETTO ALBERTO. Laureato in Sociologia esercita l’attività di imprenditore. E’ stato Assessore alla cultura alla pubblica istruzione del comune di Massafiscaglia ed ha promosso svariate manifestazioni culturali tra cui il concorso letterario “BRUNO PASINI” E’ stato Vice Presidente del comitato Provinciale di Ferrara della F.I Tennis in qualità di istruttore. Nel 2000 e 2001 ha vinto il premio giornalistico “Il personaggio dell’Anno” promosso dal quotidiano locale “la nuova Ferrara”. Seganalato nel 2006 al concorso letterario Nazionale “San Maurelio” di Malborghetto (FE) con l’opera La droga”. Sempre nel 2006 riceve il diploma d’onore del concorso letterario Internazionale “Amico Rom” di Lanciano (CH) con l’opera “Intimo Tesoro” Testo a pag. 34 CARDILLO ANNA MARIA. Anna Maria CARDILLO, nata a Roma il 20 maggio 1947. Donna serena e realizzata nella famiglia, nel lavoro e nell'attività di volontariato ospedaliero, ottimista e positiva. Scrive versi dai tempi ormai lontani dell'adolescenza, ma i suoi testi sono sempre rimasti chiusi nel cassetto. Solo da poco li ha resi disponibili alla lettura e ne ha avuto apprezzamenti e numerosi riconoscimenti in concorsi nazionali e internazionali con liriche singole e sillogi, classificandosi spesso ai primi tre posti. Molti suoi componimenti sono stati pubblicati in volumi antologici. Testo a pag. 51 CAVALLA CARLA nata a Modica dove vive con la sua famiglia, si dedica alla Poesia partecipando a svariati concorsi.Testo a pag. 53 CATALANO PIETRO Nato a Palermo risiede a Roma. Testi pag. 52 CERBONE GIUSEPPE nato a Napoli risiede a Palermo.testo pag. 54 DI GAETANO ENZO Nativo di Termini Imerese nel 1942 ove risiede. Pensionato della Fiat, da qualche anno si dedica alla poesia Testi pag.. 22 – 80 DONATO FRANCESCO nato e abita a Reggio Calabria. testo pag. 17 GATTO CONCETTA Nata Roccapalumba e risiede a Altofonte. Testo a pag. 82 104 GIORDANO PROF. ANTONINO detto Antonio, Vincitore del III° concorso letterario “Maestro Rasa Calogero” nel 2006 per la sez poesie dialettali con il brano “LA BALLATA DI LIBERO GRASSO”. nato a Palermo dove risiede. Laureato in Giurisprudenza . E’ stato dirigente scolastico presso il liceo Galilei di Palermo. Docente di Drmmaturgia applicata presso l’università U.E.t.l. di PalermoPreidente dell’Ass. Culturale “scene Aperte” di Palermo. Scrittore, Drammaturgo, giornalista e critico teatrale, socio onorario SIAE. Diploma di benemerito di 1° classe e medaglio d’oro per la scuola, per la cultura e per l’arte, conferita dal Presidente della Repubblica. In qualità di drammaturgo, ha scritto diverse come: La Pace e la Guerra, Morte a Palermo viva, Theomafia, e altre opere di particolare interesse culturale. Come attività di attore ha avuto parecchi ruoli principali in commedie teatrali in Italia e all’estero (in lingua francesce), vincendo “ Maschera di legno” come attore emergente nel 1961. Attualmente è impegnato nell’opera “Il borghese gentiluomo” di Moliere. Pubblicazioni: Occhi nella notte nel 1978, l’Assurdo in teatro del 1973, Puro spirito nel 1984, L’insegnamento del teatro 1987, Anche noi facemmo la guerra – 1999, teatro informazione – 2001(presentazione di Glauco Mauri). Premi vinti: 2005: poesia “il Declamautore” , premio letterario “Angelo Perugini” città di Macerata, premio drammaturgia storica “Palcoscenico per la storia”. Nel 2006 finalista Premio “Penna d’Autore” Torino; Premio letterario “Spicchi” Monza; Premio Lett. “Città di Misilmeri”¸ premio lett. “AVIS” Pisa: Premio “M. Kolbe” Svigliano; premio “città di Potenza”; premio “città di Turi” Bari; premio intern. “Cava de’ Tirreni”; premio “Città di Eboli”; Premio “ Il Convivio” Viareggio 2006; premio teatrale “Ischia 2006”. Ha organizzato a parecchi convegni con grandi nomi ( Costa, Jacobbi, Camilleri, Salerno, Mauri, Musati, etc…). I più recenti: “Le avanguardie a Palermo 40 anni dopo” – Samule Beckett e Antonio Giordano, 2001. “Palermo : Teatro si Teatro no” nel 2003. “Palermo e il teatro sperimentale” – 2004. “Il teatro Siciliano nel XX secolo” – 2005. Inoltre ha ottenuto la Benemerenza Civica per meriti culturali e artistici, conferita dalla Regione Sicilia di Palermo, inoltre è socio onorario ed osponente di chiara fama dell’Unione Nazionale Scrittori ed Artisti. Scrittore, drammaturgo-esponente Ass. Naz. Critici di Teatro e Ass Internazionale des Critiques de Théatre. opere Testo pag. 55 -74 GAGLIANO MICHELE di anni 45, risiedo da sempre a Bagheria, il mio titolo di studio é di licenza media inferiore, come attività lavorativa sono impiegato. Sono sposato è ho due figlie. Da circa quindici anni mi diletto a scrivere poesia sia in lingua italiana, che in dialetto siciliano. Da un paio di mesi ho incominciato a partecipare a qualche concorso di poesie. Testo pag. 81 GUGLIUZZA SALVATORE, nato a Cefalù dove risiede. testo pag. 56 GUZZO MARIA testo pag.98 – 101 IMBURGIA SALVATORE Nato a Cerda nel 1946 vi abita fin dalla nascita. Occupa la carica di vice comandante la Polizia Municipale. E’ Presidente dell’associazione La Nuova Compagnia città di Cerda gruppo folk i Carrettieri con il quale ha girato quasi tutta l’Europa. Testo pag. 83 INZERAUTO SALVO Nato a Palermo nel 1949, risiede a Santa Flavia (PA). Testi pag 57 -84 INCUDINE ADA nata a Roma nel 1951, laureata in Sociologia, ha lavorato come assistente presso la Cattedra di Antropologia Culturale Iª dell'Università “La Sapienza” di Roma, occupandosi prevalentemente di Antropologia Economica, in particolare delle società africane e del colonialismo, con pubblicazioni nel settore. Attualmente insegna la disciplina dello Yoga, praticata fin dall'età di venti anni. Si dedica da sempre alla poesia ma, solo a partire dal 2004, partecipa a dei Concorsi Letterari, ottenendo vari riconoscimenti : (Menzione e segnalazione - Premio Internazionale di Poesia “Nosside” , Reggio Calabria (RC), XXIIª Edizione 2006 ed XXIª Edizione 2005 (Centro Studi Bosio) vincendo numerosi premi, tra i quali: Premio Internazionale di Poesia e Letteratura “Nuove Lettere”, Napoli XIVª Edizione 2004 (Istituto Italiano di Cultura di Napoli) - 1º Premio Speciale della Giuria , Sezione silloge inedita, con “Segni di Sogni ”; Premio Letterario “Alberto Tallone”, Alpignano Torino IVª Edizione 2005, (Comitato Cittadino per il Centro Storico di Alpignano) 1º Premio, Sezione poesia in lingua italiana, con “Ti guardo di spalle”; Premio “Circe - Una donna tante culture”, Monterotondo Roma Iª Edizione 2005 (Associazione Opera 105 dei Pupi) - 1º Premio, Sezione poesia inedita con “Passaggio in tre tempi ”; Premio Internazionale di Poesia e Letteratura “Nuove Lettere”, Napoli XVIª Edizione 2005 (Istituto Italiano di Cultura di Napoli) 1º Premio, Sezione poesia singola inedita, con “Androide”; Premio Biennale di Poesia “Ugo Carreca”, Chiavari (GE), 5ª Edizione 2006 (Associazione Il Mosaico), Premio Speciale della Giuria per l'Originalità Tematica ("Il Secolo XIX") con “Danzante suggestione. Premio Letterario Internazionale “Mondolibro”, Roma VIIIª Edizione 2006 (Agenzia Letteraria Mondolibro) - 1º Premio, Sezione silloge inedita, con “Pescatore di Stelle”;Concorso Letterario Nazionale, Grosseto 1º Edizione 2006 (Ente Nazionale Protezione Animali) - 1º Premio, Sezione Poesia inedita a tema “Gli Animali” con “Randagio , un Angelo”; Premio Nazionale di Poesia e Letteratura “Il Litorale” , Ronchi - Massa VIIIª Edizione 2006 (Associazione Culturale “Ronchi Apuana” ) - 1º Premio, Sezione silloge inedita con “Pescatore di Stelle ; Premio Letterario Nazionale “Mario Luzi” , San Cipriano d'Aversa (Na) IªEdizione 2006 (Accademia Nazionale d'Arte e Cultura “Il Rombo”) – Premio Speciale della Giuria , Sezione Poesia Edita con “Segni di Sogni”; Premio Nazionale Ennepilibri “Poesie in Notes” a tema “L'uomo e il Mare” Imperia, 1ª Edizione 2006 ( Ennepilibri ) - 1º Premio ex aequo con “Musica liquida”, “Acqua sapiente”, “Brezza”; Concorso Letterario Multiculturale “Lune di Primavera”, Perugia 10ª Edizione 2005 (Comitato Internazionale Multietnico 8 Marzo di Perugia) - 2º Premio ex aequo , Sezione poesia inedita, con “A mio padre” e “Pescatore di Stelle” ; Concorso Letterario Multiculturale “Lune di Primavera”, Perugia 11ª Edizione 2006 (Comitato Internazionale Multietnico 8 Marzo di Perugia) - 2º Premio ex aequo , Sezione poesia inedita, con “Tutta la vita in uno sguardo”, “Onirica”; Certamen di Poesia Latina, “Premio Catullo”, Acerra (Na), IVª Edizione 2006 (Centro Studi Agorà) 2º Premio, - Poesia in Lingua Latina – con “De vitae nostrae sensu”, “Ad Lucem”, “Fortuna coniucti”; Premio Letterario di Poesia “Artenuova”, Propata (GE), 3ª Edizione 2006 (Associazione d'Arte & Cultura ARTENUOVA) 2° Premio, - Sezione Poesia edita – con “Segni di Sogni”; Concorso Letterario “Decathlon della Letteratura” 2006, Torino (Associazione Culturale Carta e Penna), 2° Premio, - Sezione Silloge poetica, con “Pescatore di Stelle”. Concorso Nazionale di Poesia, Narrativa, Critica Musicale e Letteratura “Premio Pegasus” , Busto Arstizio (Va), 1ª Edizione 2006 (Associazione Pegasus Musica Arte Cultura) 2º Premio, Sezione Poesia cat. C - con “Umida Rovente Rumba”. Premio di Poesia “Ercole Labrone – Yorick” , Reggio Emilia ,(RE) VIIª Edizione 2005 (Rivista Yorick ed Associazione Ercole Labrone), sezione poesia inedita - 2º Premio, con “Che bella sei”. Concorso Letterario Internazionale “Le parole dell'anima”, Quartu Sant'Elena (CA), 2ª Edizione 2006 (Centro Teatrale Il Teatro dell'Anima), 2º Premio, Sezione poesia inedita - con “Alle sette della sera”. Concorso Letterario “Prof. Calogero Rasa”, Cerda (PA), 3ª Edizione 2006 (La nuova Compagnia di Cerda e il Gruppo Folk “I Carrettieri”), - 2ºPremio Sezione B poesia inedita, con “Là dove scende il fiume”. Premio Nazionale di Poesia Teramo 2005 “Gino Recchiuti”, Teramo IIª Edizione 2005 (Associazione Culturale “La Luna”), - 3º Premio, Sezione poesia edita, con “Viandanti senza patria”. Concorso Letterario “Decathlon della Letteratura” 2006, Torino (Associazione Culturale Carta e Penna), 3° Premio – Sezione poesia a tema libero, con “Passaggio in tre tempi”. Concorso Internazionale di Poesia “Premio Vittorio Bodini”, Vitruvio (LE) 1ª Edizione 2006 (Associazione Culturale Salentina), 3º Premio, Categoria A, Libro Edito di Poesia con “Segni di Sogni”. 1º Premio di Poesia “Albigaunum” dedicato alla memoria di “Eugenia Botto”, Albenga (SV), (Dopolavoro Ferroviario di Albenga), 1ª Edizione 2006, 3ºPremio , Sezione A poesia in lingua – con “Memorie di sassi”. Premio Letterario “Letizia Isaia”, Concorso Nazionale di Narrativa, Saggistica Poesia e Poesia Napoletana per autori ed editori Italiani, Napoli (Na) 4ª Edizione 2006 (Associazione Pianeta Donna) , sezione poesia italiana 3º Premio ex aequo – con “Là dove scende il fiume”. Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa “Guido Gozzano” , Terzo (AL), VIIª Edizione 2006 (Biblioteca Civica di Terzo), 4º Premio, Sezione B poesia inedita, con “Non c'è”. Poesie singole in varie antologie. Libri :“Segni di Sogni” , Edizioni Istituto Italiano di Cultura, Napoli, 2005. “Ritratti di Parole”, Edizioni Istituto Italiano di Cultura, Napoli, 2006. Testo pag. 48 LAZZARA ANDREA nato a Pisa risiede a Marsala (TP). testo pag. 58 LEGGIO GIUSEPPE è un giovane autore siciliano, formatosi poeticamente presso la grande scuola delle tradizioni popolari di cui da sempre è un grande appassionato. Da queste frequentazioni è nata la voglia di metter su carta le proprie emozioni, le sensazioni di un mondo lontano eppur presente. Ha esordito nell’2005 alla seconda edizione del concorso letterario “Calogero Rasa” classificandosi secondo nella sezione poesie in dialetto con “U teatru di lu tempu”. Ha partecipato inoltre alla terza edizione del 106 premio letterario “Alimena sotto le stelle della letteratura” classificandosi terzo nella sezione poesie a tema libero in dialetto. Nella vita studia all’Università di Palermo, ama le letture “impegnate”, la musica e lo sport. Testi a pag. 59 LILIANA MAMO RANZINO è nata a Nardò (LE) il 04.09.1934. Risiede a Cefalù dove ha insegnato alle scuole elementari, ora in pensione. Ha pubblicato diversi libri tra i quali: QUEL CHE RESTA, ed ETERNA CONTEMPLAZIONE. Ha vinto innumerevoli concorsi di poesie. Testi pag. 40 – 60 -87 LO DATO FRANCESCA nata a Montemaggiore Belsito, è residente a Cerda. Ama la musica, la poesia, il teatro, e si diletta nel partecipare a svariati cocorsi letterali.Testi a pag. 39 -63- 88 LONARDO ANTONIO nato a Taurasi (AV) e residente a Modica (RG). Laureato in Pedagogia presso l’università di Salermo, insegna materie letterarie nell’ITCS “Archimede” di Modica. In seguito ad un lutto, nel febbraio del 1997, inizia a scrivere poesie, partecipando a svariati concorsi, e avendo successi importanti come: secondo premio per il concorso organizzato dal centro culturale “A. Kuliscioff” chiamato poi “Cultura e Società di Torino”. 2003 segnalazione di merito ad Alcamo (TP). Primo premio nazionale “Pensieri Vivi” a Bitetto (BA) nel 2005; Nel 2006 3° premio per la lirica “Invano” a Viterbo; sempre nel 2006 riceve due premi per il libro edito “desiderio di luce” a Forlì e a San Marco In Lamis; ancora nel 2006, due secondi premi per la lirica “Sussurro” a San Pietro Vernotico e a Monte Rosso Almo (RG); Secondo premio a Castel Morrone (CE) per la poesia amici. Classificato settimo posto a piedi luco (Terni) con la poesia “Shalom!”; Ottava posto ad Albissola Superiore (SV) per il libro “Desiderio di Luce”, per lo stesso libro ha conseguito il settimo posto a Bardineto (SV); secondo posto a Luino (VA) per il concorso internazionale per la pace. Come docente ha preparato i suoi studenti alla partecipazione a vari concorsi letterali, con ottimi risultati. Alcune sue liriche hanno fatto di varie pubblicazione. E’ stata pubblicata un opera prima, una silloge, di 56 liriche intitolata “Desiderio di Luce” Testo pag. 61 MAGI SIMONE nato ad Amelia e residente ad Amelia Fornole.Testo a pag. 49 MONTELEONE CARLO Vincitore del premio “Maestro rasa Calogero” del 2006 nella sez. in lingua italiana con il testo “Si leva un aquilone, è nato a Palmi ove risiede. testo pag 48 MORTILLARO DANIELA ,Vincitrice I° Premio di Poesia “Le Mond Club” di Padova 2005 con le poesie: “ Io e il mio cuore” e “ Il burattino”. Selezionata per l’Antologia al concorso “ San Valentino” di Quartu Sant’Elena. Classificata nei primi dieci del concorso letterario Maestro Rasa Calogero 2005 (Pa) Premiata al 4° posto nel 1° Premio Letterario di Poesia e Narrativa AVIS di Capannoli ( Pisa ). Selezionata per l’Antologia di 2 concorsi letterari organizzati dal Club degli Autori. Presente nell’edizione 2006 dell’Antologia “Poeti in Galleria”. Pubblica nell’Agosto 2006 la sua prima raccolta di poesie dal titolo “Fili invisibili” per la casa editrice Il Filo. Testo pag. 64 NERI MARGHERITA nata a Ganci e residente a Cefalù.Testo pa. 15- 89 NOTO ALBERTO nato e residente a Trapani. testo pag. 65 -90 PASSAFIUME AMEDEO nato a Palermo, risiede a Cerda con la famiglia. Studente. testo pag.100 PASSAFIUME CLELIA nata a Palermo é residente a Cerda. Stundentessa universitaria. Partecpa a diversi concorsi letterali e collabra con giornali e riviste scrivendo articoli di attualità sul giornale ESPERO. testo pag. 66 PASSAFIUME DEMETRIO natoa Palermo é residente a Cerda. Studente. testo pag.97 PICCIONE MARFINO GIUSEPPE nato e residente a Custonaci (TP).testo pag.91 107 PERCIACCANTE ALFREDO nato a Cassano Ionio (CS) il 13/08/1946, diplomato all’età di 17 anni in Ragioneria presso l’Istituto Tecnico Commerciale “Pitagora” di Castrovillari (CS); ha conseguito le lauree in:Economia e Commercio presso l’Università Statale di Napoli; Scienze economiche e sociali presso la Libera Università Internazionale di Studi Superiori “PRO DEO” in Roma; Philosophy Political Science Sociali presso la Kensington University; Ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione di Dottore Commercialista presso la Università Statale di Salerno;Ha ricoperto l’incarico di assistente volontario, prima e di cultore della materia, poi presso le cattedre di Diritto del Lavoro e della Previdenza Sociale delle Università Statali di Napoli e di Catanzaro; Ha militato nell’Azione Cattolica Italiana ricoprendo vari incarichi a livello Diocesano (Presidente del Consiglio Diocesano), Regionale (Responsabile del settore Seniores), Nazionale (Membro del Consiglio Nazionale); E’ stato eletto, ininterrottamente, dal 1969 al 1992 Consigliere Comunale nel proprio Comune di residenza (Cassano all’Ionio) ricoprendo più volte la carica di Assessore alla Cultura e di altri settori operativi, nonchè quella di Sindaco; E’ stato direttore del periodico Gioventù Nuova edito dalla Diocesi di Cassano all’Ionio, membro della redazione del Bollettino Diocesano e collaboratore di RadioTeleDonBosco negli anni dal 1970 al 1980; E’ stato Dirigente presso un Ente Previdenziale; Dal 1992, a seguito di alcune traversie causategli da “personaggi” della sua zona, ha trovato nella poesia, oltre che nell’Amore in Dio, l’ancora di salvezza per la sua esistenza, riuscendo, così, a riprendere una vita di normalità, sempre segnata, però, dalla “rabbia” per ciò che incolpevolmente gli era capitato. “Rabbia”, traspirante quasi sempre dalle sue modeste opere, che si trasforma alla fine in perdono e speranza. Recentemente è stato premiato con diploma di merito e targa del Parlamento Europeo al 46° Concorso letterario – settore poesie – “Arnaldo DI MATTEO” in Salerno. Alcune sue poesie sono state premiate segnalate: con diploma e targa nel premio letterario “Il Fuoco” patrocinato dal Comune di Roma ed indetto dall’Associazione Culturale “I Giardini dell’anima” con Sede in Roma; con menzione d’onore, diploma e targa nel premio letterario Città di Cerchiara di Calabria patrocinato dal Comune di Cerchiara, dalla Comunità Montana dell’Alto Ionio, dalla Provincia di Cosenza ed indetto dalla Pro-loco di Cerchiara di Calabria. Testo pag. 67 RUNFOLA LUCIANO E’ nato ad Aliminusa il 22.04.1967 Vive a Cerda dove insegna Lettere alla scuola Media di Cerda .Vincitore del Concorso Maestro Rasa Calogero sez “B” della prima edizione. Testo a pag. 68 SANCES SALVATORE nato a Palermo e residente a Palermo.testo pag. 69 SANGERVASIO ANTONIO è nato a Roma il 10 Settembre 1970. Lavora come tecnico di laboratorio presso la Galileo Avionica, ma da sempre scrive poesie per passione. Ha iniziato scrivendo rime per gli amici, per gioco; si diletta a comporre piccole rime per Radio Italia Network prima e per Play Radio adesso con Stefano Gallarini. Le sue poesie hanno una musicalità che si richiama al ritmo incisivo della musica con un sapiente e particolare uso dell’allitterazione per creare il suono ossessivo e incessante di un fiume in piena.. La necessità di scrivere ciò che sente dentro gli nasce spontanea dall’animo, “soprattutto quando sono solo”, come lui stesso dichiara. “In quei momenti la mia mano diventa un fiume in piena e scrivo, perché ne sento il bisogno. Gli stati d’animo appaiono e scompaiono, con improvvisa velocità, e lì avverto la necessità di scrivere. E so che questa voglia non mi abbandonerà mai”..(concorso Mentana rivista nomentanum). Poesie pubblicate sul mensile Amicizia di Roma e su diversi siti internet. Partecipa alla trasmissione POETI E POESIA sulla emittente laziale TELEVITA come ospite di poesia. Da sempre attratto dalla poesia partecipa grazie ad una amica ad un concorso nazionale di poesia inedita nel 2005 a febbraio e vince il primo premio assoluto. Premi e riconoscimenti: primo posto assoluto poesia inedita OMNES ARTES Mentana 2005;menzione speciale premio Romano di Lombardia (pubblicazione antologia La citta') 2005; finale premio Il Faro Brindisi 2005; menzione speciale concorso IL FUOCO di Roma (antologia il fuoco)2005; menzione speciale concorso I COLORI di Cesena(antologia i colori)2005; vincitore concorso HABERE ARTEM 2005(antologia habere artem vol.7)2005; 108 selezionato per antologia i poeti del lazio 2005; 0ttava posizione concorso Calogero Rasa di Palermo (ottiene anche la 17a posizione) 2006; Ottava posizione concorso S.Vincenzo in Tivoli 2006; Seconda posizione assoluta poesia inedita concorso i fiori di campo 2005 Landriano Pavia 2006; vincitore ex-equo poesia inedita a tema l'uomo e il mare concorso poesia in notes 2006; quinta posizione assoluta poesia inedita concorso LE NUVOLE Peter Russell di Napoli 2006. Presente nelle antologie: La città (ed 47), itinerario poesia 2 (accademia barbanera), internauti (ed aletti), il fuoco (ed giardini), i colori (ed farnedi), poesie per ricordare (ed aletti), emozioni (ed pagine), tra un fiore colto e l'altro donato (ed aletti), habere artem (ed aletti), i poeti del lazio (ed aletti), panza nel mondo 2005, io scrivo poesia 2005 (ed giulio perrone), cuorediafano 2006 (ed.emma), club degli autori 2006 (ed. Montedit), poesie per la vita (ed.Universum), gran premio d'autore 2006 (ed.Universum), i fiori di campo 2005 (ed.fiori di campo), paroleinfuga2 (ed.Aletti), verrà il mattino ed avrà un tuo verso III 2006 (ed.Aletti), poesie italiane 2006 ( ). Nel maggio 2005 pubblica una sua raccolta di poesia con la casa editrice IL FILO intitolata BATTITI PRIMORDIALI. Testo pag. 71 SEPPI CHRISTIAN nato e residente a Bellusco (MI) testo pag. 41 SCIORTINO GIUSY testo pag.99 VALLATI LENIO è nato a Gavorrano (GR) il 21/09/53 e risiede a Sesto Fiorentino. Esordisce nel 2003 con il libro di narrativa Soggiorno a Bip-Bop, Aut. Libri Firenze. Del 2004 è Un criceto al computer, tre racconti, edito dalla Ibiskos Ed. con il quale ha conseguito nel 2005 il 1° posto al Premio Internaz. Mondolibro e al premio A. da Pontedera. Del 2006 Desiderio di volare, ed. Bastogi, che riunisce ventitre racconti molti dei quali vincitori di diciotto primi premi per la narrativa. Numerosi e di prestigio sono i riconoscimenti anche per la poesia. E' stato finalista nel 2005 al Rhegium Julii e al Domenico Rea. E'stato eletto, al Belmoro di Reggio C. poetascrittore dell'anno 2005. E' presente in numerose antologie tra le quali Poesie d'amore per il 3° millennio e Letteratura Italiana - Poesia e narrativa dal 2° Novecento ad oggi 2007 ed. Bastogi. Nel corrente anno 2007 ha ottenuto il 1° premio al Molinello per la narrativa inedita. Di recente pubblicazione il volume di poesie Alba e tramonto ed. Bastogi. Testo a pag. 44 – 72 TROCCOLI FRANCESCO nato e residente a Roma. E’ stato segnalato nel 2005 come finalista al concorso Narrativa di Fantascienza “Tabula Fati” e nella raccolta “I racconti del Prione” con il racconto “Il Pianeta dei Giganti”; ancora come finalista nel concorso “ Nuovi autori di fantascienza” con il racconto “Viaggio su Marte”; Finalista al concorso “ Interrete Shorts” con il racconto “Alka Seltzer”; Sesto classificato al concorso “Citta di Melegnao” del 2005 con lo stesso racconto; Nel 2006 ancora con il racconto “Viaggio su Marte” è stato segnalato al concorso “Racconti in viaggio”; Nel marzo 2006 finalista con “Essere Umano” al concorso “Apuliacon 2006”; Giugno 2006 con il racconto “Viaggio su Marte” si è classificato al settimo posto al concorso “Racconti dall’oltrecoscmo; Giugno 2006 con il racconto “ La Teoria” si è classificato terzo al mconcorso “Red Pill”; Vincitore del concorso letterario “Marco Majella con la raccolta di racconti “Fantasie di mondi possibili” Nell’agosto 2006 si è classificato 4° al conorso “insieme nel Mondo” con la medesima raccolta. Vincitore del concorso letterario del 2006 “Maestro Rasa Calogero con il Racconto “Il Viaggiatore. Testo a pag. 13 ZAPPERI ZUCKER ADA è nata a Catania ma vive da molti anni in Germania. Dopo aver studiato pianoforte con il maestro Sergio Perticaroli e canto con Alice Jmmelen, si è diplomata e laureata alla “Musikhochschule” di Vienna. Ha collaborato al Dizionario Biografico degli Italiani dell’Istituto Treccani, all’Enciclopedia dello Spettacolo e all’Enciclopedia Universo della De Agostini. 109 Cantante lirica molto affermata soprattutto in campo internazionale, ha studiato anche pittura con Gotthard Bonell, allestendo diverse mostre. Nel 2006 ha vinto il concorso “Calogero Rasa” di Cerda e nel 2007 il premio “Gaetano Cingari” di Reggio Calabria. Attualmente insegna canto in Germania e Sudtirolo. La scuola delle catacombe è la sua prima pubblicazione. Testo pag. 92 110 Un ringraziamento particolare va alla commissione giudicatrice che per diversi giorni si è impegnata nella lettura delle opere e poterle giudicare e alle ragazze che hanno coadiuvato i giudici nelle operazioni per la buona riuscita del lavoro. LA COMMISSIONE GIUDICATRICE PROF. FAUSTO CLEMENTE PRESIDENTE PROF. MOSCATO AGOSTINO GIURATO PROF. CIRO CARDINALE GIURATO DOTT.SSA RASA STEFANIA GIURATO PROF.SSA NINA CARDACI GIURATO SEGRETARIA DELLA COMMISSIONE GIUSY MUSCARELLA COLLABORATRICE FRANCESCA IMBURGIA – CICERO ROSITA 111 Un ringraziamento particolare all Assessore ai beni culturali dell’A.R.S. che ha voluto onorarci del Patrocino Un ringraziamento alla Provincia Regionale di Palermo. che ha fornito le coppe. A tutte le ragazze e ragazzi che si sono impegnati per la buona riuscita della manifestazione di premiazione. Per la realizzazione di questo volume hanno collaborato: Francesca Castagna Maria Assunta D’Avolio Francesco Dioguardi Ermelinda Imburgia 112 Indice Un illustre saggio poeta pag. 4 Zappa e fauci di Rasa Calogero pag. 5 Breve storia e curriculum pag. 6 Presentazione pag. 11 Narrativa pag. 13 Poesia in italiano pag. 47 Poesia dialettale pag. 73 Cat. “G” italiani all’estero pag. 91 Categoria bambini pag. 97 Indice degli autori pag. 103 Commissione pag. 111 Ringraziamenti pag. 112 113