Anno 4- Numero 3– 15/03/2012
Periodico della parrocchia di S. Anselmo di Lucca
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Milano 2012: famiglia, lavoro e festa
VII Incontro Mondiale delle Famiglie: la natura dell’evento e la lettera del Papa
LA LETTERA DI PAPA BENEDETTO XVI
A
conclusione del VI Incontro Mondiale delle Famiglie,
svoltosi a Città del Messico nel gennaio 2009, annunciai
che il successivo appuntamento delle famiglie cattoliche del
mondo intero con il Successore di Pietro avrebbe avuto luogo
a Milano, nel 2012, sul tema “La Famiglia: il lavoro e la festa”.
Desiderando ora avviare la preparazion e di tale importante
evento, sono lieto di precisare che esso, a Dio piacendo, si
svolgerà dal 30 maggio al 3 giugno, e fornire al tempo stesso
qualche indicazion e più dettagliata riguardo alla tematica e
alle modalità di attuazione.
Il lavoro e la festa sono intimamente colleg ati con la vita delle famiglie: ne condizionano le scelte, influenzano le relazioni
tra i coniugi e tra i genitori e i figli, incidono sul rapporto
della famiglia con la società e con la Chiesa. La Sacra Scrittura (cfr Gen 1-2) ci dice che famiglia, lavoro e giorno festivo
sono doni e benedizioni di Dio per aiutarci a vivere un’esistenza pienament e umana.
L’esperienza quotidiana attesta che lo sviluppo autentico della persona comprend e sia la dimensione individuale, familiare
e comunitaria, sia le attività e le relazioni funzionali, come
pure l’apertura alla speranza e al Bene senza limiti.
Ai nostri giorni, purtroppo, l’organizzazione del lavoro, pensata e attuata in funzione della concorren za di mercato e del
massimo profitto, e la concezione della festa come occasione
di evasione e di consumo, contribuiscono a disgregare la famiglia e la comunità e a diffondere uno stile di vita individualistico.
Occorre perciò promuovere una riflessione e un impegno
rivolti a conciliare le esigenze e i tempi del lavoro con quelli
della famiglia e a ricuperare il senso vero della festa, speci almente della domenica, pasqua s ettimanale, giorno del
Signore e giorno dell’uomo, giorno della famiglia, della
comunità e della solidarietà.
Il prossimo Incontro Mondiale delle Famiglie costituisce un’occasione privilegiata per ripensare il lavoro e la
festa nella prospettiva di una famiglia unita e aperta alla
vita, ben inserita nella società e nella Chiesa, attenta alla
qualità delle
relazioni oltre che all’economia dello stesso nucleo familiare.
L’evento, per riuscire d avvero fruttuoso, non dovrebbe
però rimanere isolato, ma collocarsi entro un adegu ato
perco rso di
preparazion e eccl esiale e culturale.
Auspico pertanto che già nel corso dell’anno 2011, XXX
anniversario dell’Esortazione apostolica Familiaris con-
sortio, “magna charta” della pastorale familiare, possa essere
intrapreso un valido itinerario con iniziative a livello parrocchiale, diocesano e nazional e, mirate a mettere in luce esperienze di lavoro e di festa nei loro aspetti più veri e positivi,
con particolare riguardo all’incidenza sul vissuto concreto
delle famiglie.
Famiglie cristiane e comunità ecclesiali di tutto il mondo si
sentano perciò interpellate e coinvolte e si pongano sollecitamente in cammino verso “Milano 2012 ”. Il VII° In contro
Mondiale avrà, come i precedenti, una durata di cinque giorni
e culminerà - il sabato sera (2 giugno 2012) con la “Festa
delle Testimonianze”- e domenica mattina (3 giugno 2012)
con la Messa solenne.
Queste due cel ebrazioni, da me presiedute, ci vedranno tutti
riuniti come “famiglia di famiglie”. Lo svolgimento complessivo dell’evento sarà curato in modo da armonizzare compiutamente le varie dimensioni: preghiera comunitaria, riflessione teologica e pastorale, momenti di fraternità e di scambio
fra le famiglie ospiti con quelle del territorio, risonanza mediatica.
Il Signore ricompensi fin d’ora, con abbondanti favori celesti,
l’Arcidiocesi ambrosiana p er la gen eros a disponibilità e l’impegno organizzativo messo al servizio della Chiesa Universale e delle famiglie appartenenti a tante nazioni.
Mentre invoco l’intercessione della s anta Famiglia di Nazaret, dedita al lavoro quotidiano e assidua alle celebrazioni
festive del suo popolo, imparto di cuore a Lei, venerato Fratello, ed ai Collaboratori la Benedizione Apostolica, che, con
speciale affetto, estendo volentieri a tutte le famiglie impegnate nella preparazione del grande Incont ro di Milano.
Benedetto XVI
LE BEATITUDINI DELLA MAMMA
Beata la mamma che sa sorridere an che quando tutt’intorno è nuvolo.
Beata la mamma che sa parlare senza urlare.
Beata la mamma che sa amare sen za strafare.
Beata la mamma che sa essere ciò che vuole trasmettere.
Beata la mamma che trova il tempo per mangiare con i figli e con papà.
Beata la mamma che non insegna la vita facile ma la via giusta.
Beata la mamma che non smette mai di essere mamma.
Beata la mamma sa pregare: dal buon Dio sarà aiutata, dai suoi figli sarà ricordata.
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Diffusi in Emilia Romagna dal 1471
in avanti per iniziativa dei francescani
Al Ciel! Al Ciel! Al Ciel!
Andrò a vederla un dì...
MONTI DI PIETÀ E
«MONTI FRUMENTARI» PER I POVERI
N
ei miei tanti
anni di Assisten za Religios a
(O.n.a.r.m.o.) alle
Officine Reggiane,
un
operaio
mi
disse: “Caro don
Gaetano, che freg ata lei prende se dopo 60 anni di Pater
Noster, il Paradiso
non ci fosse.” “Sì,
hai ragione, è proprio una bella fregata, ma se poi il
Paradiso c’è, tu ti
prendi una freg ata
che durerà un a eternità. Io vedrò il mio
Dio, tu marcirai
sotto terra”.
Si sa, Celentano, va
preso con le molle,
infatti è detto il “Molleggiato”, ma bene ha fatto a rimproverare noi preti di parlare poco del Paradiso. È vero, lo infiliamo
in tutte le prediche, ma raramente affrontiamo l’argomento
direttamente.
Mentre Celentano parlava del Paradiso pensavo: “Ma costui ci
cred erà davv ero o specula sull’audience? O forse sente di
avere lo sparviero sulla sponda del letto e sente il bisogno
di Dio e comincia a p ensare al dopo di questa sua vita fatta di
lustrini e di popolarità? Quando la morte incomincia a girare
per casa è facile attaccarsi a Dio”.
Ma allora perch é noi preti parliamo così poco del Paradiso privando i nostri buoni fedeli, che ci ascoltano pazientemente,
della gioia di pregustarlo qui in terra?
A discolpa rispondiamo che scriviamo tanto sul Paradiso.
Facile scriverlo, difficile predicarlo dal pulpito, quando,
mentre parli, ti sembra che ti puntino il dito e pensino:
“Ma tu prete, ci credi verament e?”. Certo, vorrei rispondere,
perch é il Paradiso a noi preti spetta di diritto essendo noi
suoi Ministri, a parte quanto scrive Bern anos: “Dev e essere
un bel buffone il vostro Dio se ha Ministri come voi!”.
Per dimostrarlo dovrei ess ere l apidato come Santo Stefano, torturato come i 7 fratelli Maccab ei, decapitato come
Tommaso Moro - che disse al carnefice: “Tu mi prendi la vita,
ma mi apri le porte del Paradiso” - giacere sopra un letamaio e dire con Giobbe: “Questa mia carne ved rà il Salvatore”. Invece a malap ena posso dire con san Francesco:
“È tanto il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto e
temo di fare la fine dei figli del ricco Epulone”.
Il catechismo mi dice che sono nato per conoscere, amare,
servire Dio in questa vita per goderlo nell’altra in Paradiso.
In Paradiso, ad un tizio, San Pietro indicò un bugigattolo
per dimora.
Al suo disappunto rispose: “Vedi, a quelli abbiamo costruito delle villette perché loro da terra, hanno mandato su
tante pietre, tu non hai mai mandato su neppure un sasso”.
Cristo ci indica la via del Cielo. Stiamo attenti a non camminare su di un tapis roulant.
don Gaetano Incerti
P
er secoli, fin dal V secolo con papa Leone Magno, la
posizione della Chiesa di Roma nei confronti dell’usura
fu di esplicita condanna e assoluta proibizione per tutti i
cristiani. Non a caso Dante pone gli usurai tra i “violenti contro Dio” nel diciassettesimo canto dell’Inferno.
A fronte dell’impossibilità (teorica) per i cristiani di prestare ad interesse, stava invece la grande diffusione dei banchi di prestito gestiti da ebrei, che praticavano tassi assai
elevati del 20 - 30%.
Nel XV secolo, la necessità, da parte dei ceti meno abbienti,
di potere disporre di fonti di credito su pegno a modico
interesse, indusse i francescani a ricercare nuove soluzioni al secolare probl ema, acuito dal fatto che quello della
povertà aveva assunto dimensioni abnormi. Predicatori
come San Bernardino da Siena e soprattutto il Beato Bernardino da Feltre, superando l’opposizione dei teologi
tradizionalisti, riuscirono a fondare un nuovo istituto: il
“Monte di Pietà”, una vera e propria cassa di prestito su
pegno a modico interesse (5 - 6%). Il primo Monte venne
aperto a Perugia nel 1462 ed il successo fu immediato: nel
primo secolo di attività (1462 - 1562) si contarono oltre 200
aperture.
In Emilia-Romagna il primo fu a Montefiore Conca nel
1471, seguito da Bologna nel 1473, mentre a Reggio
Emilia ciò avvenne pochi anni più tardi, nel 1494.
Complessivamente in Regione si contano 68 località in cui
furono presenti i Monti di Pietà, accanto ai quali, fin dagli
ultimi anni del ’400, si affiancò anche un’altra istituzione
assistenziale: il “Monte frumentario ”, anch’esso fo rtemente voluto dai frances cani (Osservanti e, dal Cinquecento, Cappuccini), il primo dei quali venne aperto a
Foligno nel 1488. Finalità di questa istituzione era il prestito del grano soprattutto per le nuove semine. Nella nostra regione la fortuna dei Monti frumentari è stata più lenta
rispetto a quella dei Monti di Pietà ed essi hanno conosciuto una diffusione tardiva (d al Seicento in poi) con molte fondazioni concentrate soprattutto fra XVIII e XIX secolo.
La loro presenza è attestata in 46 località, mentre in 26 si
registrano entrambi gli istituti, per un totale complessivo di
92 centri.
I Cappuccini, vicinissimi per missione alle fasce economicamente più deboli del popolo, furono sempre molto
attivi nella promozione tanto dei Monti di Pietà quanto - al
Seicento in poi - dei Monti frumentari.
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IL GOVERNO ''MARI E MONTI'' VUOLE ABOLIRE DIO:
I MINISTRI (PSEUDO) CATTOLICI APPROVANO
M
onte Mario è una collinetta che sovrasta il Vaticano.
Non vorrei che Monti Mario pretendesse di sovrastare
Dio stesso, spazzando via, con un codicillo, quattromila anni
di civiltà giudaico-cristiana (e pure islamica) imperniata sul
giorno del Signore, "Dies Dominicus".
Comandamento divino, nel Decalogo di Mosè, che è diventato il ritmo della civiltà anche laica, dappertutto. Perfino in
Cina.
Il codicillo del governo che "abolisce" Dio (o meglio abolisce
il diritto di Dio che è stato il primo embrione dei diritti
dell'uomo, come vedremo) è l'articolo 31 del "decreto salv a
Italia".
Dove praticam ente si decide che dovunque si possono aprire
tutti gli esercizi commerciali 7 giorni su 7 e 24 ore al giorno.
Norma che finirà per allargarsi anche all'industria nella quale
già è presente questa spinta.
Dunque produrre, vendere e comprare a ciclo continuo. Senza
più distinzione fra giorni feriali e festivi (Natale compreso),
fra giorno e notte, fra mattina e sera.
Sembra una banale no rma amministrativa, invece è una svolta
di (in)civiltà perché abolendo la festa comune – e i momenti
comuni della giornata – distrugge non solo il fondamento
della comunità religiosa, ma l'esperi enza stessa della comunità, qualunque comunità, dalla famiglia a quella amicale e ricreativa dello stadio.
Distrugge la sincronia soci ale dei tempi comuni e quindi l'appartenen za a un gruppo, a un popolo. Per questo c'è l'opposizione indignata della Chiesa e dei sindacati (pure di associazioni di commercianti).
La cosa infatti non riguarda solo chi – per motivi religiosi –
vede praticam ente abolita la domenica, il giorno del Signore.
Riguarda tutti, ci riguarda come famiglie, come comunità
locali o particolari. Infatti è vero che ci sono lavori di necessità sociale ch e sempre sono stati fatti anche l a domenica (pure
il commercio in località turistiche e in tempi di vacanza).
Ma è proprio l'eccezione ch e conferma la regola.
La regola di un giorno di festa comune, non individuale, ma
comune, è infatti ciò che ci permette di riconoscerci.
Ciò che consente di stare insieme ai figli, di vedere gli amici, di
ritrovarsi con i parenti, di dar vita ai tanti momenti comuni o
associativi.
Se ai ritmi individuali già forsennati della vita si toglie anche
l'unico momento comune della festa settimanale, le famiglie ne
escono veramente a pezzi. Tutti diventano conviventi notturni
casuali come i clienti di un albergo.
Il giorno di festa comune ci ricorda infatti che non siamo solo
individui, ma persone con relazioni e rapporti affettivi. Non
siamo solo produttori/consumatori, ma siamo padri, madri, figli,
fidanzati, siamo amici, siamo appassionati di questo o di quello,
app art eni amo a gruppi, comuni tà, a un pop olo.
Il "giorno del Signore" nasce quattromila anni fa per affermare
che tutto appartiene a Dio. Ed è significativo che il comandamento del riposo che fu dato da Dio nella Sacra Scrittura riguardasse anch e servi, schiavi e animali: era il primo embrione in
forma di legge di una liberazione, di un riconoscimento della
dignità di tutti, che poi si sarebbe afferm ato col cristianesimo.
Proclamare il diritto di Dio come diritto al riposo per tutti significava cominciare a far capire che niente e nessuno può arrog arsi un potere assoluto sulle creature.
Perché tutti hanno una dignità e p erfino gli animali vanno ri spettati.
Non a caso, proprio sul ritmo settenario della settimana, Dio,
nella Sacra Scrittura, comanda al suo popolo quegli anni
"sabbatici", che corrispondev ano al "giorno del Signore", per
cui ogni sette, c'era un anno in cui si liberavano gli schiavi, si
condonavano i debiti e si faceva riposare la terra.
Fra l'altro la Corte Costituzionale tedesca ha dichiarato anticostituzionale l'apertura festiva p erch é lede l a libertà religiosa e il
diritto al riposo: la vita dell'uomo non è solo comprare e vendere.
Perché non siamo schiavi.
La situazione italiana si annuncia come
la più dura. Infatti "in nessun Paese europeo esiste che i negozi stanno aperti
24 ore al giorno e sette giorni su sette",
dichiara ad "Avvenire" il sindacalista
della Cisl Raineri. Oltretutto con una
decisione piombata dall'alto.
Vorrei chi ed ere pure ai cosidd etti
"ministri cattolici" Riccardi, Passera e
Ornaghi: com'è stato possibile approvare entusiasticamente una tale assurdità?
Perché un a poltroncina v al bene un a
messa? Speriamo di no. Ma se non è
così si oppongano a questa norma. Si
facciano sentire.
È un Dio personale per quelli che hanno bisogno della Sua personale presenza.
È un Dio in carne ed ossa per quelli che hanno bisogno della Sua carezza.
È la più pura essenza. Egli semplicemente è per quelli che hanno fede.
È tutte le cose per tutti gli uomini. È in noi e tuttavia al di sopra e al di là di noi...
5
La nostra esperienza a “Casa Bruna e& Dante”
R
ingraziamo di cuo re tutte le p ersone che in qu esto mese e mezzo dopo l’ap ertura hanno contribuito a rendere sempre più
accoglient e e confortevol e Casa Bruna e Dante. In tanti, dalle 3 parrocchie, ci avete chiamati o siete passati di qua per
conoscerci o per las ciare un reg alo: GRAZIE! Presen za preziosa è anch e chi si unisce a noi nel momento di preghiera
“allarg ato” del giovedì mattina e condivide una parte di sé. Casa Bruna e Dante è VIVA anche grazie a tutte queste persone!
Per noi che viviamo in casa, ogni nuovo giorno è un’occasione per confrontarci, metterci in gioco e crescere vivendo l e gioie e
le fatich e comuni a qu alsiasi famiglia. Ma anch e la gioia di p rep arare con cura il letto e qualch e regalino di b envenuto a un a
ragazza che attendi amo, la gioia di “ballare” (a volte nel vero senso della parol a!) insieme al ritmo di musiche multietniche e di
scoprire sempre qualcosa di nuovo che ci rende sorelle. Non mancano le fatiche, soprattutto quelle legate alla non comprensione
che in certi momenti si crea a causa d ella differenza della lingua, le
fatiche d ell’ascolto e d elle con ciliazione d ei bisogni e dei desideri di
ognuna, anche dei nostri che spesso passano in secondo piano. Per tutto
questo e per molto altro Casa Bruna e Dante è per noi un dono grande
perch é scuola di vita!
Rinnoviamo l’invito rivolto a tutti a continuare a camminare con noi e
con chi il Signore porterà a bussare alla nostra porta.
In particolare invitiamo tutti i giovani, dalla 4° superiore in avanti, a
passare una giornat a di servizio, fratellanza e preghiera il 25 aprile,
giorno in cui sistemeremo la cancellata della cas a. Approfittiamo di
questo spazio anch e per inform are ch e av remmo bisogno di un freezer
(meglio a cassetti ma va bene anche a pozzo). A presto!
Sara e Jessica
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IN AUSTRALIA SI FA STRADA L'INFANTICIDIO: SE SI PUO' ABORTIRE, PERCHE'
NON UCCIDERE I BAMBINI? di Mario Palmaro
L
'infanticidio è un diritto delle donne. Lo sostiene, con qualche opportuna sfumatura dialettica, il Journal of
Medical Ethics di Melbourne, che in un recente articolo spiega le buone ragioni che legittimano l'uccisione di
un
n e o n a to ,
q u an d o
le s ue
co n d i z i o n i
di
sa lu te s ia no
co mp ro m es s e .
L'articolo rilancia una vecchia idea del vecchio bioeticista australiano Peter Singer, e ne ripropone il ragionamento
di fondo. La nostra società – scrivono in sostanza gli autori della rivista di Melbourne – ha ormai legittimato la
soppressione del concepito con l'aborto volontario, giustificandolo con le più svariate motivazioni. Ora, proseguono, non esiste alcuna differenza davvero sostanziale tra un concepito di uomo e un neonato. Dunque, se è legittimo
per le leggi uccidere un feto di tre mesi, non si vede perché lo Stato non debba permette di fare lo stesso con un
neonato handicappato.
Il caso australiano è un esempio perfetto di ragionamento che muove da premesse corrette per giungere a conclusioni coerenti, anche se aberranti. E' infatti sacrosanto che nascituro e neonato non sono dissimili nelle loro qualità
essenziali; ed è altrettanto logico che questa identità umana deve comportare un giudizio di valore pressoché identico. Logico, per concludere, che aborto e infanticidio siano parenti stretti, e che sia contraddittorio disciplinarli in
maniera opposta fra loro.
L'errore sta nel teorizzare che la legittimazione diffusa dell'aborto dovrebbe allargarsi all'infanticidio, invece che
invertire il percorso. E accorgersi che il rispetto della vita già nata dovrebbe essere estesa a tutela del non ancora
nato. Ma per il resto, questi esponenti della cultura della morte contribuiscono, paradossalmente, a mostrare che "il
re è nudo". Dicono cioè, un po' cinicamente, quello che talvolta gli stessi esponenti della cultura della vita si dimenticano: e cioè che l'aborto è uccidere un essere umano, tale quale lo si facesse morire dopo la nascita.
Chi si straccia le vesti per la proposta choc degli australiani, farebbe bene a ragionare per un momento: e a rendersi conto che la brutalità dell'infanticidio è del tutto analoga alla brutalità di ogni aborto legale. E a riflettere intorno
alla assurdità di essere contro l'infanticidio (cose che, per ora, accomuna la gran parte della gente), ma a favore
dell'aborto e delle leggi che lo regolamentano.
Di più: le società che accettano l'eliminazione eugenetica dei non ancora nati (e in questo, l'Italia non è seconda
all'Australia), prima o poi sono costrette a scivolare verso l'infanticidio. Melbourne e Sparta non sono state mai
così vicine: il Taigeto e le teorie eleganti e pulite sull'aborto praticato "per sconfiggere la talassemia" sono facce
della stessa medaglia, smorfie della stessa Gorgone mostruosa.
E' logico che l'idea di vedere davanti a sé un neonato, e di ammazzarlo sia pure "per motivi pietosi" disturba il sonno delle persone ben pensanti. Ma quello stesso sonno dovrebbe essere inquietato dal pensiero che già oggi, ogni
giorno, con i soldi dei contribuenti e dello Stato, negli ospedali pubblici di mezzo mondo lo stesso trattamento viene riservato ai figli di donna non ancora nati.
Solo dosi da cavallo di ipocrisia possono rendere opaca questa verità. Gli studiosi
australiani – epigoni della Rupe Tarpea – ci dicono che ogni uomo non vale niente, se non ha una qualità della vita accettabile: che sia nascituro, neonato, adulto o
vecchio, poco importa. O siamo disposti a ribaltare il tavolo sul quale si gioca
questa vergognosa partita – fatta di embrioni prodotti, usati, selezionati e gettati
via e di ammalati morti di fame e di sete – oppure dobbiamo rassegnarci a vedersi
sviluppare, inesorabile, una coerente striscia di orrori che renderanno dilettanteschi i protocolli artigianali del dottor Mengele.
E dovremo anche imparare a smetterla di dare lezioni di falsa moralità a cinesi,
indiani, coreani che selezionano e uccidono prima della nascita i feti, solo perché
sono femmine. Noi, gente per bene d'Europa e degli States, li selezioniamo e li
uccidiamo, solo perché sono down.
I BAMBINI IMPARANO CIO’ CHE VIVONO
Se un
Se un
Se un
Se un
Se un
Se un
Se un
Se un
Se un
bambino vive nella critica impara a condannare.
bambino vive nell’ostilità impara ad aggredire.
bambino vive nell’ironia impara ad essere timido.
bambino vive nella vergogna impara ad essere timido.
bambino vive nella tolleranza impara a sentirsi colpevole.
bambino vive nell’incoraggiamento impara ad avere fiducia.
bambino vive nella lealtà impara la giustizia.
bambino vive nell’approvazione impara ad accettarsi.
bambino vive nell’amicizia impara a trovare nel mondo l’amore.
7
La «terapia della speranza» nello sguardo su noi malati
I
n questi giorni si è riparlato di
eutanasia per «quei pazienti costretti a una sofferenza insopportabile
e senza speranza», come ha scritto
qualcuno.
Tutto ciò mi porta sempre più a riflettere sulla realtà di persone che,
anche in condizione di grave malattia
o disabilità, desiderano vivere e affermare il valore della vita indipendentemente dalla condizione fisica.
Un’esperienza – di questo si tratta –
di speranza quotidiana, che si scontra
in modo semplice ma irriducibile con
la mentalità dei 'benpensanti', che
non tengono conto del valore inestimabile della persona e della vita qualunque ne sia la condizione. Questo significa avallare l’idea che
una persona con disabilità è un peso sociale e non sia in grado di
dare il proprio contributo alla società e affermarsi. Chiunque, se
messo nelle condizioni di poter scegliere liberamente, può realizzarsi. Il tema centrale riguarda quindi l’ambiente dove la persona
malata sia libera di agire in una situazione di uguaglianza e di
partecipazione alla vita della società.
L’essere umano, che ha l’imperativo compito di fornire cura e
assistenza a chi ne ha bisogno, deve poter esprimere tutta la propria ricchezza interiore – il meglio di sé – nel relazionarsi a chi
soffre per il fatto di portare su di sé il peso, l’affanno, il malessere
e la paura della malattia. Il dolore e la sofferenza (fisica, psicologica), in quanto tali, non sono né buoni né desiderabili, ma non
per questo sono senza significato. Ed è qui che l’impegno della
medicina e della scienza deve concretamente intervenire per eliminare o alleviare il dolore delle persone malate o con disabilità,
e per migliorare la loro qualità di vita.
Una certa corrente di pensiero ritiene che la vita in talune condizioni si trasformi in un accanimento e in un calvario inutile, dimenticando che un’efficace presa in carico e il continuo sviluppo
della tecnologia consentono anche a chi è stato colpito da patologie altamente invalidanti di continuare a guardare alla vita come a
un dono ricco di opportunità e di percorsi inesplorati prima della
malattia.
È inaccettabile avallare l’idea che alcune condizioni di salute
rendano indegna la vita e trasformino il malato o la persona con
disabilità in un 'fardello' passivo, un costo per la società. Si tratta
di un’offesa per tutti, in particolare per chi vive una condizione di
malattia: questa idea, infatti, aumenta la solitudine dei malati e
delle loro famiglie, introducendo
nei più fragili il dubbio di poter
essere vittime di un programmato
disinteresse della società, e favorendo decisioni rinunciatarie.
Una società civile non si può
costruire su falsi presupposti,
perché l’amore vero non uccide e
non chiede di morire.
"Inguaribile" non è sinonimo di
"incurabile". La vita umana è un
mistero irriducibile che non può
essere descritto dai soli elementi
biologici, pertanto non è ammissibile l’idea che una vita sia degna di essere vissuta solo 'a' e
"in" certe condizioni. Più di tutto
vorrei però soffermarmi sulla speranza, perché è questo in fondo
il cuore della sofferenza, ma ancora di più dell’esperienza umana.
Non c’è uomo senza speranza, è insita in lui. La circostanza –
qualunque essa sia – non è obiezione alla tua felicità ma ne è il
tramite: chiunque, anche in una situazione di difficoltà o di malattia, può avere speranza ed essere felice. La speranza poggia
sull’incontro con un altro che spera, in lui intravede una possibilità per sé di vivere ed essere felice. Per questo considero la speranza uno strumento di cura, e di vita, bidirezionale: la dai e la
ricevi, puoi trasmetterla e averla da chi ti circonda. Nel rapporto
tra il malato e chi lo cura la dignità sta nell’occhio del curante,
quello sguardo che liberamente si pone sull’altro ci restituisce
dignità, come scrive Benedetto XVI. Allo stesso modo lo sguardo
di un malato pieno di speranza che guarda chi lo cura riempie di
dignità l’altro e l’azione che sta compiendo. Questo ci ha spinto a
desiderare e a concretizzare l’incontro con il Santo Padre, mercoledì 7 all’udienza generale, con il suo sguardo, il suo messaggio
di speranza, in modo da continuare con tenacia e determinazione
il nostro percorso di vita anche con la malattia, la disabilità, la
sofferenza. Si tratta di fare memoria reciproca: l’altro c’è, è fonte
di speranza, è un fatto presente che deve succedere ogni giorno,
soprattutto nella difficoltà. La speranza è ciò che ti fa guardare al
futuro poggiando sul presente e su quanto c’è di positivo.
Un’idea espressa benissimo da Andrej Rublëv nell’omonimo film
di Andrej Tarkovskij: «Lo sai anche tu, certi giorni non ti riesce
nulla, oppure sei stanco, sfinito, e niente ti dà sollievo, e all’improvviso nella folla incontri uno sguardo semplice, uno sguardo
umano, ed è come se avessi ricevuto la comunione e subito tutto
è più facile».
Casa Accoglienza di ragazze in difficoltà.
Casa Bruna e Dante è una Casa Accoglien za di ragazze in difficoltà. Don
Giancarlo ci ha fatto conoscere Sara e Jessica, le ragazze che hanno ap erto la
casa. La loro scelta ci ha subito colpito e alla stesso tempo incuriosito. Abbiamo quindi deciso di andare a conoscere questa nuova realtà. Pensavamo di
trovarci a disagio e di recare disturbo, ma poi le ragazze sono state talmente
ospitali che sono riuscite a farci sentire come se fossimo a casa nostra. Si è
creato un legame di amicizia sia con Sara e Jessica, ma anche con le ragazze
ospitate. Quando abbiamo saputo che alcune ragazze av evano lasciato la cas a,
ci è dispiaciuto non poterle salutare. Anche l’inaugurazione di questa casa, che
si è svolta il 29 Febbraio 2012, ci ha coinvolto come se fossimo della famiglia.
Queste righe vogliono invitare tutti, in particolare i giovani, a conoscere queste ragazze e come spendono la loro vita al servizio degli altri perché pensiamo che come sta aiutando noi. Possa AIUTARE ANCHE TUTTI VOI.
Grazi e a Jennifer, Titti, Joy, Alexandra, Endurance, Sara, Jessica e Nilde per tutto quello che ci hanno donato e per tutto quello
che ci doneranno.
Benedetta e Sonia
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Lucio Dalla, il poeta che cantava
Nelle sue parole e musiche, una lettura sapienziale della vita
L
e volpi con le code incendiate non parlano ma gridano
pazze/ fra gli alberi per il dolore”.
Era vero. È vero. Il dolore non si può dire a p arole, non è
più né poesia, né canzone, né retorica. Se mai, solo la
condivisione può avvicinarsi all’ustionante dimensione
della sofferen za, per sentire insieme. Altrimenti è inutile.
Con un’eccezione: quei due versi di Roberto Roversi cantati da Lucio Dalla in un disco che finché il sole splenderà
rimarrà uno dei più importanti della musica e della poesia
italiana del Novecento, “Anidride solforosa”.
Adesso che Lucio Dalla se ne è andato all’improvviso, mancando di 3 giorni all’ormai famoso 4 marzo (per via di una
canzon e eseguita all’odiosoamato Sanremo) – quando
avrebb e compiuto 69 anni – ci si rende conto che le sue
“can zonette”, soprattutto quelle scritte insieme a Roversi
tra il 1974 e il 1977, hanno fatto anche un pezzo di storia
della letteratura contemporanea.
Perché se è vero che finalmente le antologie letterarie si
stanno adeguando inserendo le poesie – perché di poesie si
tratta – di Cohen, Dylan, Brel, Brassens, De Andrè, Lennon,
McCartney e altri, è altrettanto vero che in quell’irrip etibile
periodo sono apparse alcun e tra le più belle can zoni d’autore: per riman ere a Dalla e Roversi, “Tu parlavi una lingua meravigliosa” (e si guardi alla semplice e spoglia bellezza dei
titoli) – da cui abbiamo tratto i versi iniziali –, la stessa
“Anidride solforosa”, e poi “L’auto targata TO” o “L’operaio Gerolamo”.
Cinquant’anni di carriera piena, dal jazz dei primordi – con
gli “Idoli” e i “Flippers” – alle canzoni più
vicine
all’impostazione dei suoi idoli (Ray Charles e James
Brown) – come “Paff...bum!” e “Questa sera come sempre” – alla s emplicità, che non vuol dire minor impegno
artistico, de “Il gigante e la bambina” (una canzone in cui
si parlava della pedofilia) e “Piazza Grande” (con protagonista un senza tetto), o “La casa in riva al mare” (la
storia di un carcerato), il periodo della denuncia sociale
con Roversi e poi il ritorno a una concezione più popolare della canzon e, ed ecco il tour con De Gregori,
“Bugie”, “Dall’Ameri caCaruso ” e tanti altri successi, oltre
che vere
e proprie “spedizioni di confine”, nella lirica, nel teatro
nel cinema. Ma
di lui rimane
anche
un’altra
lezione: la sua
indipendenza.
Attaccava
lo
sfruttamento e la
violenza
del
sistema
senza
mai
essersi
dichiarato
marxista, e questo, ai suoi tempi,
era un’eresia, a sinistra.
È riuscito a dare voce a mendicanti, operai morti sul lavoro,
pazzi, emarginati senza fare propaganda di partito, ma
anzi, affermando sempre la sua identità di cattolico.
E questo nel mondo della cultura non era una pass eggiata: erano i tempi in cui si faceva a gara nel dichiararsi più a sinistra
di chi stava a sinistra del Pci e nello sventolare un brillante,
intelligente, ipercritico materialismo ateo.
Dalla non ha mai voluto sentir parlare di conversione, perché
lui cristiano ci si è sempre sentito. Non è tanto per la sua partecipazione ad appuntam enti ufficiali, come “La notte d ell’Agorà” o per alcuni testi chiaramente riferiti a Dio, ad esempio “I.N.R.I” o “Come il vento” (ma tanti anni prima, nei Sessanta aveva cantato “Il cielo”), ma per una impressionante,
anticonformista presen za di immagini sacrificali nella sua
musica e nei suoi testi, fossero essi viaggiatori senza meta,
uomini soli e apparentement e privi di uno scopo nella vita,
abbandonati da tutto e da tutti.
H a fatto più politica sociale (nel senso nobile del
termine) lui che tutti i partiti dell’arco costituzionale,
perch é milioni di persone, giovanissimi e attempati padri
di famiglia, hanno amato – e talvolta capito – le ragioni
dei clochard, dei carcerati, dei solitari, degli sfruttati e degli
emarginati.
Valga per questo nostro ultimo saluto quello che Roversi
scrisse sulle note di “Anidride solfo rosa”: “Io ti segno a dito e
tu segna pure me: sono felice”. Nonostante la tristezza dell’addio, rimane la felicità di quella lunga stagione in cui bellezza e
autenticità hanno camminato insieme.
Follia «gratta e vinci»
È cresciuto del 106%
Il gioco d’azzardo– la terza industria in Italia dopo Eni e Fiat – si va diffondendo tra i minorenni: un adolescente su dieci gioca d’azzardo per una spesa media mensile compresa tra 30 e 50 eu ro. Nello scorso mese
di gennaio 2012 da lotto, lotterie e altre attività di gioco sono arrivati nelle casse dello Stato circa un miliardo e duecentomila euro. I dati sono forniti da Agipronews che cita il ministero delle Finanze: il settore
giochi, spiega – con un aumento del gettito pari al 12,8% rispetto allo stesso mese del 2011, ha inciso per il 3,2% sul totale. Tra
le entrate relative ai giochi, il bollettino evidenzia «l’andamento positivo delle lotterie istantanee, in crescita di 125 milioni di
euro (+106,8%)».
Il piatto, del resto, è ricchissimo: oggi, sarà estratto il SuperEnalotto con un jackpot da 72,9 milioni di euro, che fin dal 6 gennaio
è il montepremi più alto d’Europa, e dalla settimana scorsa è in pectore la quinta vincita più alta mai fatta in Italia.
L’importo complessivo delle vincite centrate al Lotto da inizio anno supera i 757 milioni di euro. Nell’estrazione di sabato sco rso, riferisce l’Agicos (l’Ag enzia giorn alistica concorsi e scommesse), le vincite complessive hanno sfiorato i 21,5 milioni: la
versione classica del gioco ha regalato, infatti, oltre 8,7 milioni (di cui 6,7 con l’ambo e 1,3 con il terno) e il 10eLotto ha, invece,
distribuito vincite per 12,7 milioni (di cui 11,6 con le estrazioni frequenti).
La vincita più alta del concorso è stata regalata proprio dal 10eLotto, si tratta di un 9 da 31.900 euro centrato a Brandizzo, in
provincia di Torino, con le estrazioni frequenti. La vincita più alta con la versione classica del gioco è stata, invece, una quaterna
da 27.600 euro centrata a Tarquinia – nel Viterbese – con una giocata di un euro (80 centesimi sul terno e 20 sulla quaterna).
9
RIFLESSIONI DELLA MAMMA DI MATTEO LUCA FONTANESI
L
unedì mattina (27 febbraio, ndr),
mentre ero a scuola nella mia classe
a insegnare, ho ricevuto la telefonata di
mio fratello, che dalla Francia era stato
raggiunto dalla telefonata di Claudio
Campani (il datore di lavoro di Matteo): mi diceva che era successo un
incidente, un incidente grave al mio bambino.
A un certo punto l’ansia, la paura mi ha
fatto chiedere l’auto a Silvia, la mia collega, e correre da mio figlio.
Mentre guidavo, piangevo e chiedevo a
Dio che se lo aveva preso… fosse morto
subito, senza dolore.
Sono arrivata là, dove c’era già mio
marito che piangeva, inginocchiato sul
corpo di Matteo. Quando l’ho visto, non
una lacrima è uscita dal mio viso, perché
Dio mi aveva esaudito: il suo viso era
sereno, solo il segno della croce sulla
fronte di Matte e le mie mani sul suo
viso e sul suo petto a percepire per l’ultima volta il suo calore.
Poi il sequestro del corpo per la Magistratura e fin almente, alle 16.00 di martedì, la visione del mio bambino vestito,
risistemato e sereno come l’avevo la-
sciato. Prima avevo detto a mio marito:
“Non diciamo nulla a nessuno, così
io, te ed Elena ce lo godiamo un po’
”. Sbagliato! C’erano già tante person e
intorno a lui. Questo però mi ha fatto
piacere, tanto piacere.
Poi l’arrivo dei suoi amici fedelissimi:
si sono buttati su di lui a piangere, mostrando un dolore enorme.
Da quel momento si è apert a una finestra sul mondo di mio figlio. Un mondo
che, da bravo adolescente, tenev a per s e
stesso, ma che in questi giorni ha condiviso con noi. Tanti, tantissimi ragazzi
che sono stati lì a parlare, accarezzare,
baciare il corpo del mio bambino…
il freddo della morte non li fermava,
cercav ano di scaldarlo con il loro amore.
Una ricchezza infinita: in questi giorni mi sono cibata di tutti i racconti, gli
aneddoti su di lui e questo mi ha riempito di grande gioia e di un amore immenso che veniva da Dio. Stavo aprendo
finalmente il mio cuore alla Sua volontà
e al suo progetto.
Dopo, il funerale. Non lo si può chiamare tale, perch é è stata una festa, un
momento di così grande gioia,
partecip azione e amore che non si
può descrivere.
Le parole di Don Davide Fiori,
il prete nostro amico che ha presieduto la celebrazione, sono arrivate al cuore di tanti ragazzi:
parole di conforto, parole di
speran za, parole dell’amore di
Dio. Ho capito tante cose da
questi giorni.
Non so se sempre sono riuscita a
fare il meglio per il mio bambino,
a volte bisognerebbe contare fino a 10
prima di riprendere i propri figli e usare i
linguaggi giusti a seconda delle età, ma
quello che ho fatto, l’ho fatto con il
cuore. Ho capito… che non si deve
aspettare, si deve perdon are e dare un’altra possibilità. Ho capito… che Dio è
grande e che p er mezzo di Matteo h a
parlato al cuore delle persone, dei ragazzi, e gli ha dato la possibilità di una
nuova vita. Ho capito…che io sono
stata, insieme ai miei cari, strumento
della mano di Dio, affinché il mio abbraccio fosse il Suo abbraccio, il mio bacio… il Suo bacio, il mio sorriso… il
sorriso di un Dio che ci ama e ci ha dato
una nuova possibilità.
Un grazie a tutti, a tutti quelli che hanno
condiviso con noi questa esperienza di
grande gioia!
Post-scriptum. Ai giornalisti mi permetto un suggerimento: cercate di non scrivere tutto quello che sentite o scoprite,
per fare notizia. Mettetevi nei panni delle
persone che sono le prime dirette coinvolte negli eventi della vita, pensate di
essere loro, pens ate a come reagireste s e
da quello che legg ete voi foste accusati di
cose che a noi è dato di sapere e capire…
La signora di 44 anni dell’incidente è
venuta da me ad abbracciarmi, a dirmi
che non avev a capito cos’era successo, lei
aveva fatto tutto in modo prudente e io lo
credo; era pien a di tristezza e di ango scia… Io l’ho conosciuta, anche lei è stata
strumento della volontà di Dio: non
responsabile, non indagata, no, solo un
mezzo perché tutto questo accad esse
nella sua pienezza!
Marina Ghinolfi
Funeral party
La Cei ha espresso l'auspicio che ai funerali di Lucio Dalla non risuonino le canzoni di Lucio
Dalla. Neanche quelle di De Gregori, in questo i vescovi sono stati assolutamente equanimi. Altro che i gorgheggi pagani (e struggenti) di Elton John alle esequie di Lady Diana. Nessuna
«canzonetta» deve distrarre i fed eli dall’incontro con la morte che si celebra nel rito: salutare il
feretro sulle note di «Futura» sarebbe una rimozione del problema. Mi infastidiscono gli applausi
ai funerali: li ritengo una scorciatoia emotiva per non penetrare il mistero, scaricando fuori di noi
l'angoscia che il suono del silenzio ci provoca dentro. Ma la bella musica non è un applauso e
Dalla è Dalla, un poeta, un cuore pulsante, che poi è quanto di più sacro io riesca a immaginare.
Certo, nessuno pensa di mettere un juke-box sull'altare di San Petronio o una pianola nel confessionale. Però fatico a comprendere quale danno produrrebbe alla dimensione spirituale dell'evento la presenza di un violinista che accogliesse l'ingresso della bara con gli accordi di «4 marzo
1943». E che ne direste, eminenze, se il coro dei bambini dell'Antoniano la cantasse tutta, quella
canzone, che poi è la preghiera di un credente, quale Dalla era? La rigidità dei principi rimane un
dono finché non si trasforma nell'incapacità di sintonizzarsi sul sentimento comune, su quella
voce d'angelo che per s empre ci canterà «aspettiamo che ritorni la luce - di sentire una voce aspettiamo senza avere paura domani».
10
I
Ammazzare il tempo
l tempo è ciò che l'uomo è sempre intento a cercare d'ammazzare, ma che alla fine ammazza lui.
Una manciata di ore, ed ecco il botto di fine anno con la tradizionale e un po' tribale e selvaggia chiassata della notte di S.
Silvestro (un santo certamente infelice per l'associazion e a questa gazzarra notturna). A una certa distanza da quel momento,
proviamo, invece, a interrogarci an cora una volta su questa realtà ch e aderisce alla nostra stessa pelle, il tempo, al quale ho assegnato una delle Definizioni elaborate dal filosofo positivista inglese Herbert Spencer (1820-1903).
Egli ricorre a un'espressione ch e è in molte lingue, «ammazzare il tempo».
Nella fras e si riflette l'angosciosa attesa di chi è immerso in un'esistenza infausta o di chi, annoiato, non trova più nessun sapore
nel vivere. Alla fine, però, il tempo si trasforma in una mannaia che si chiama morte e, forse, in quel momento si recrimina perché il tempo è finito così presto.
Vorrei, però, riprendere questa locuzione ma da un'altra angolatura che è suggeri ta dallo scrittore americano Henry David Thoreau che, nel suo Walden o la vita
nei boschi (1854), obietta: «… come se si potesse ammazzare il tempo senza
ferire l'eternità!».L'idea è profond amente cristian a: nel tempo, che è l'ambito in
cui è chiamato a operare, l'uomo prepara il futuro che sta oltre la frontiera della
morte.
Quindi, sporcare, sciupare e dissolvere le nostre ore è predeterminare il nostro
destino ultimo.
È ciò che Cristo esprime col simbolo del «tesoro»: «Non accumulat e tesori sulla
terra…, accumulate invece per voi tesori in cielo» (Matteo 6,19-20).
E allora condividiamo la sapienza del Virgilio dantesco: «Perder tempo a chi più
sa più spiace» (Purgatorio III, 78).
Mons G.Ravasi
11
N
EDUCARE CRISTIANAMENTE
el 1963 vennero a visitare don Bosco due signori inglesi, uno di loro era ministro della regina
Vittoria. Entrando nelle sala dove più di duecento giovani stavano studiando in perfetto silenzio, i
due signori si meravigliarono e chiesero a don Bosco il segreto di quel magnifico comportamento. Don
Bosco rispose che il segreto era non nei castighi o nella disciplina, ma nella Confessione e nella Comunione frequente.
“ Peccato, rispose il ministro inglese, che noi non abbiamo questi strumenti ”.
E don Bosco aggiunse:
“ Se non si usano i sacramenti, allora bisogna usare la forza ”.
“ E’ vero, concluse il ministro, o religione o bastone; lo dirò a Londra ”.
Gioco d’azzardo, malattia da combattere
IL “DECALOGO” DELLA DOMENICA
DETTATO DALLA DOMENICA
Io sono il giorno del Signore, Dio tuo. Io sono il signore dei tuoi
giorni
Non avrai altri giorni uguali a me. Non fare i giorni tutti uguali.
La domenica sia per te, fratello o sorella cristiana, il giorno libero da tutto per diventare il giorno libero per
Dio e per tutti.
Non trascorrere la domenica invano, drogandoti di televisione,
alienandoti nell’evasione, cari candoti di alta tensione.
Ricordati di santificare la festa, non disertando mai l’assemblea
eucaristica: la domenica è la Pasqua della tua settimana, il sole
è l’Eucarestia e il cuore è Cristo risorto.
Onora tu padre, e tu madre, il grande giorno con i tuoi figli! Ma
non imporlo mai, neanche ai minori, e non ricattarli. Contagia
loro la tua gioia di andare a Messa: questo vale molto più di
cento predich e.
Non ammazzare la domenica con il doppio lavoro, soprattutto
se remunerativo: non violarla né svenderla, ma vivila “ gratis et
amore Dei ” e dei fratelli.
Considera il giorno del Signore “ il momento di intimità tra
Cristo e la Chiesa sua sposa ”, come ha detto il Papa; se sei sposato, o sposata, coltiva l’intimità con il tuo coniuge.
Non rubare la domenica a nessuno, né alle colf, né alle badanti,
né ai tuoi dipendenti. E non fartela rubare da niente e da nessuno, né dal denaro, né dal culturismo, né dai tuoi datori di lavoro.
Non dire falsa testimonianza contro il giorno del Signore. Non
vergognarti di dire ai tuoi amici non credenti che non puoi andare da loro in campagna o con loro allo stadio perché non puoi
rinunciare alla Messa.
Non desiderare la domenica degli “ altri ”: i ricchi, i
gaudenti, i bontemponi.
Desidera di condividere la
domenica con gli ultimi, i
poveri, i malati.
Non andare a Messa solo
perch é è festa, ma fa festa
perch é vai a Messa!
Francesco Lambiasi
C
irca mezzo milione di italiani è avvinghiato dal
demone del gioco, diventando onnivoro e aumentando la propria depressione con gravi crisi familiari.
Intendiamo parlare di “gioco frenesia” con illusoria attesa
di vincere. Una causa di tali comportamenti è certament e
l’affievolirsi dei rapporti familiari con moglie, figli e parenti.
Un vortice di miliardi spolpa molti individui ed il ritorno di
questo denaro in veste pochi, che si ritengono fortunati e
gratificati.
L’Italia è il Paese al mondo dove si gioca di più, tra scommesse, quiz, concorsi e giochi online.
Il giocatore compulsivo compromette se stesso, la sua
famiglia, gli amici per questa insana eccitazione.
Molti giochi e scommesse sono incentivati dallo Stato stesso: un business che supera qualsiasi manovra finanziaria. Il
denaro realizzato nei giochi eccita anch e gli appetiti dei clan
malavitosi che lo riciclano e moltiplicano i loro profitti. Si
consulta la “smorfia” per rifarsi delle dolorose e v ergognos e
perdite. Non rassegniamoci però al fatto che l’unità d’Italia
sia rappresent ata – da Chivasso a Caltanissetta – soprattutto dal gioco d’azzardo! Bingo,
Superenalotto,
slotmachine, Gratta e vinci, Totocalcio… perfino di notte, sul
web, lo scommettitore continua la sua insana corsa. Il giocatore accanito non conosce riposo, non ha tregua, per inseguire il miraggio di ricchezza ch e lo precipita in un esaurimento e stordimento
grave. È una piaga che corrompe i costumi ed il modo di
organizzare la vita, portando ad evitare gli impegni.
Occorre una concentrazion e unitaria di tutte le agenzie
educative e della stampa affinché questo tarlo del gioco
“furibondo” non attivi una ricadut a negativa su tutta la società. I quattro casinò italiani sorridono stimolati da questo esuberante solletico.
Si arriva a rubare dal portafoglio della moglie e dal
salvadanaio del figlio per saziare questa fame irrazionale.
Coltiviamo la speranza che con il nuovo anno molti
giocatori e scommettitori
decidano
finalmente di
“disintossicarsi” per non perdere, per sempre, il senso
dell’esistenza.
Au g u ri am o ,
nell’attuale
momento di crisi, di
attivare un forte
controllo, per attribuire al den aro il
“giusto valore”.
don Achille Lumetti
12
DECALOGO PER LA SICUREZZA dei MINORI SU INTERNET
1. Dedicat e insieme a vostro figlio un po’ di tempo per imparare l’uso di Internet: è un investimento per la sua salute e sicurezza, inoltre resterete sorpresi di quanto possa essere divertente. Usate sempre l’accesso sicuro Davide.it
2. Non mettete il computer nella stanza dei ragazzi, ma in un luogo comune a tutti i membri della famiglia: non isolate i vostri
figli e non lasciateli soli.
3. Incoraggiate i vostri figli a comunicarvi se si imbattono in siti sconvenienti e lodateli per avervelo detto; evitate reazioni
esasperate per non intimidirli.
4. Date rilievo ai siti buoni e al materiale che offrono: incoraggiate l’uso positivo della rete.
5. Insegnare ai vostri figli a utilizzare responsabilmente la posta elettronica. State con i più piccoli durante la lettura dei messaggi, controllando eventuali allegati.
6. Insegnate ai vostri figli a non dare a nessuno su Internet informazioni personali (nome, indirizzo, numero di telefono, e-mail
o foto) senza il vostro esplicito permesso.
7. Non permettete ai vostri figli di usare chat non sorvegliate o non adatte ai ragazzi.
8. Non consentite che i vostri figli abbiano incontri a tu per tu con persone conosciute su Internet, a meno che sia presente qualcuno di vostra fiducia.
9. Stabilite insieme ai vostri figli quanto tempo al giorno possono passare su Internet e , soprattutto, non considerate il computer un surrogato della baby-sitter.
10. Incoraggiate un sincero dialogo con i vostri figli riguardo ad Internet, informatevi sui loro interessi e sui siti che visitano abitualmente. La miglior protezione
sono le buone relazioni familiari.
IL DETTAGLIO
U
n sorriso di riconoscenza, uno sguardo assente, un tremore nella voce…
Quanti piccoli dettagli ci perdiamo nella vita di tutti i giorni! E anche qui in Oratorio.
Un bambino che vuole essere ascoltato, una frase di traverso, una preghiera
detta sottovoce…
Ma cos’è il dettaglio se non piccola cosa? Per molti trascurabile?
Sr. Rosalina, assieme alla comunità Shalom, vive di dettagli.
“Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano.
Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva
come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e
domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca
fede?”
È grazie ai gigli dei campi che sappiamo l’amore che Dio ha per noi.
Perché Dio cura i dettagli:
I colori dei fiori, le venature delle foglie, le piume degli uccelli, la precisione
geometrica di ogni fiocco di neve, le sfumature del mare…
“Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di
tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate
prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi
dunque per il domani, perché il domani avrà gia le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.”
La comunità di sr. Rosalina non si affanna per il domani, ma vive di provvidenza.
Non riceve finan ziamenti da nessun ente statale. Non pensa al materiale.
I ragazzi della comunità curano la propria anima, la vestono di dettagli, scoprendo così l’amore immenso di Dio Padre.
E noi? Curiamo la nostra anima? Cerchiamo prima di ogni cosa il regno di Dio e la sua giustizia? Notiamo il dettaglio?
Questa domenica sarà festa grand e in Oratorio.
Una festa che durerà tutto il giorno, e che animerà la parrocchia intera di musica, canti e amicizia.
Ma non dimentichiamoci dei dettagli.
E, sul finire della festa, prima di rincasare, andiamo per i campi, nei prati, alla ricerca dei gigli…sono dettagli, appunto, ma fondamentali.
Nicolò
13
Tanti auguri a …
Vorremmo fa re tan auguri ai ragazzi
della nos tra pa rrocchia che nel mese di
Aprile compiranno gli anni
Aguzzoli Alice
Aguzzoli Anastasia
Algeri Alessia
Alla Daniele
Amrani Jasmine
Andreola Costa Daiani
Appiah Asia
Aracri Elena
Aracri Salvatore
Arati Matteo
Baraldi Gaia
Barbieri Alessio
Bari Valentina
Battistini Tommaso
Bedogni Alice
Ben Sassi David
Benfenati Cristiano
Bennici Rosaria
Berselli Gabriele
Bertolani Giada
Bertoni Giulia
Bianco Andrea
Bianco Matteo
Braglia Davide
Brogio Arianna
Caliumi Marco
Caliumi Veronica
Ceccardi Gloria
Cecchel ani Caterina
Cecchetto Ariann a
Cecchetto Samuele
Cellarosi Elisa
Cellarosi Marco
Chiarenza Claudia
Cirillo Salvatore
Colaninno Elisa
Colasanti Silvia
Contini Federica
Costa Stefano
Costi Martina
Crucitti Manuela
Cupello Francesco
Cursio Matteo
Davoli Marco
Davolio Erik
De Nuccio Francesca
Denti Samui
Di Giuseppe Stefano
Di Maio Alessandro
24/apr
20/apr
14/apr
03/apr
07/apr
01/apr
07/apr
24/apr
07/apr
14/apr
24/apr
02/apr
07/apr
20/apr
05/apr
22/apr
27/apr
12/apr
24/apr
05/apr
28/apr
10/apr
08/apr
23/apr
08/apr
23/apr
29/apr
06/apr
28/apr
07/apr
07/apr
16/apr
05/apr
10/apr
20/apr
16/apr
04/apr
14/apr
30/apr
22/apr
18/apr
15/apr
13/apr
11/apr
15/apr
06/apr
29/apr
15/apr
30/apr
Di Marzio Giacomo
Michele
6/apr
Di Tuoro Luisa
05/apr
Diluca Davide
27/apr
Diluca Silvia
16/apr
Dipierro Luca
03/apr
Dumitrache Cosmin
Madalin
13/apr
Duodu Elisa Yasmin
Abena
10/apr
El Khouly Naglaa
Fathi Ahmed Mohamed 28/apr
Errico Domenico
21/apr
Ferrari Alex
28/apr
Fila Alessandro
10/apr
Fratti Enrico
13/apr
Fretta Alessia
15/apr
Fusoni Linda
14/apr
Galli Nikos
17/apr
Galloni Matteo
14/apr
Gasparini Federico
05/apr
Gatti Azzurra
12/apr
Gentile Raffaele
21/apr
Ghizzi Fabio
24/apr
Gilioli Giulia
10/apr
Gilioli Laura
26/apr
Gjini Robert
26/apr
Grisendi Eleonora
10/apr
Guglielmi Tiziano
26/apr
Hoxha Daniel
26/apr
Hu Tian Xiang
24/apr
Hu Tianci
24/apr
Iori Mattia
05/apr
Koci Adi
13/apr
Labra Dani ele
16/apr
Lombardi Silvia
28/apr
Lombardo Fabrizio Giuseppe 24/apr
Lozupone Lucrezia
08/apr
Magnani Alessia
24/apr
Manfredini Cristina
30/apr
March etti Laura
28/apr
Martin Tanita
03/apr
Mascarell Garci a
Carlos Ernesto 15/apr
Masullo Simone
29/apr
Medici Dario
09/apr
Memetaj Shkelqim
17/apr
Menozzi Davide
27/apr
Menozzi Nicol
25/apr
Merkohitoj Egli
06/apr
Merli Tommaso
04/apr
Messina Giulia
03/apr
Milillo Giovanna
23/apr
Miranda Francesco
03/apr
Modica Camilla
20/apr
Morbilli Ilenia
20/apr
Muzzarelli Gaia
28/apr
Nawri Adam
17/apr
Nilo Giovanni Edoardo 30/apr
14
Nironi Chiara
12/apr
Obreja Geanina
25/apr
Onesti Filippo
07/apr
Orlandini Edoardo
05/apr
Pagliani Laura
05/apr
Palladini Alberto
30/apr
Pederzini Jacopo
04/apr
Pellino Antonio
17/apr
Pergjegaj Elona
02/apr
Petrovici Denis Gheorghe 21/apr
Piccinini Ilenia
28/apr
Poti' Simone
30/apr
Rabitti Andrea
20/apr
Regnani Federica
04/apr
Romita Giovanni
28/apr
Rondini Francesco
18/apr
Rossi Alessandra
12/apr
Rossi Eduardo
29/apr
Rossi Giulia
26/apr
Rossi Mattia
27/apr
Rossi Tommaso
22/apr
Ruffini David
07/apr
Schenetti Alessandro
11/apr
Siciliano Lidia
21/apr
Signoriello Federica
19/apr
Solci Valentina
11/apr
Soncini Tommaso Artem 08/apr
Sorte Federico
16/apr
Stefani Sara
05/apr
Storchi Andrea
16/apr
Stradini Eleonora
02/apr
Tamelli Simone
06/apr
Teggi Matilde
09/apr
Tinica Ana
30/apr
Torriero Fabio
24/apr
Trizzino Davide
17/apr
Vaccari Giulia
18/apr
Valcavi Francesco
13/apr
Vezzosi Simona
19/apr
Vignali Emanuele
25/apr
Wierzbi cka Natalia Oliwia 11/apr
Zafferri Manuel
29/apr
Zanardo Elettra
23/apr
In Africa il coniglio è considerato l’animale più furbo.
Questa volta però la sua furbizia non gli è d’aiuto.
Quando si scherza con l’amicizia…
Il coniglio e la scimmia erano molto amici. La scimmia aveva affetto vero, l’amicizia del coniglio era
solo apparente, amicizia interessat a. Un giorno, il coniglio cucinò la sua bibita: sette vasi. Mandò un messaggero a chiamare la scimmia, dicendo:
«Amica, qui ho preparato la bibita. VoIl coniglio e la scimmia erano molto
amici. La scimmia aveva affetto vero, l’amicizia del coniglio era solo apparente, amicizia interessat a. Un giorno, il coniglio cucinò la sua bibita: sette
vasi. Mandò un messaggero a chiamare la scimmia, dicendo: «Amica, qui ho
preparato la bibita. Voglio che domenica prossima tu venga a bere. Porta
tutti i tuoi amici che vogliono venire. Ci sarà festa con danze ch e neppure
immagini». La scimmia al sentire questo, disse: «Questo discorso mi piace. Non posso mancare. Verrò senz’altro».
Il sabato, il coniglio diede fuoco a tutto il bosco vicino alla sua casa, e così tutt’intorno rimase bruciato. E buttò via tutta l’acqua che av eva nei recipienti. Così non c’era più acqua in casa del coniglio.
Il giorno seguente, le scimmie arrivarono con i campanelli alle gambe per ballare. Il coniglio, al vederle, disse: «Avete fatto bene a venire. Cominciamo subito, mangiando la carne che ho cucinato in
onore delle anime dei miei antenati. Però questa carne va mangiata da chi ha le mani pulite… Così,
lasciatemi vedere le vostre mani».
Quando mostrarono le loro mani, tutte sporche di fuliggine, il coniglio esclamò: «Ah! ah! ah! Così
non può essere. Avete le mani sporche. E noi qui non abbiamo acqua, neanche una goccia. Non c’è
altro rimedio se non andare al fiume a lavarvi».
Quelle scimmie se ne andarono al fiume a lavarsi le mani. E il coniglio fece fuori la carn e con i suoi amici. Fatto il bagno, le
scimmie ritornarono passando un’altra volta nel bosco bruciato, e così le loro mani si sporcarono di nuovo. Al loro arrivo, il
coniglio disse: «Vediamo adesso, come stanno le vostre mani… Niente, niente! Maledetto bosco! Siete troppo sporche. Andate
di nuovo al fiume a lavarvi». Eccole che vanno a lavarsi di nuovo le mani…
Quando, però, tornarono dal fiume la seconda volta, trovarono che la bibita era già finita. E il coniglio si rotolava per terra dalle
risate.
Le scimmie, per la fame, non poterono ballare. E così tornarono a casa con i loro attrezzi, e
agitando moge moge la coda. La scimmia, amica del coniglio, cominciò a pensare: «Cosa devo
fare?… Voglio dare una lezione a quel mio amico. Vedrà! Bisogna finirla con questa malcreanza».
Dopo qualche tempo, la scimmia pensò anche lei di dare una festa. Mandò il messaggero al suo
amico coniglio, dicendo: «Amico coniglio, ho cucinato la bibita in ricordo dell’anima del mio
papà. Ho pensato che non sarebbe giusto fare questa cerimonia lasciando
in disparte il mio miglior amico. E questo senz’altro sei tu, coniglio mio!
Vieni con tutti gli amici e colleghi, almeno per bere un bicchierino! Ci
sarà posto per tutti voi. La bibita incomincia ad essere pronta venerdì; e il giorno seguente, sabato, ci sarà
il sacrificio e il grande pranzo».
Il sabato, dunque, il coniglio con i suoi amici arrivò a casa della scimmia. Vide i recipienti pieni straripanti. La bibita bolliva: «Uè, uè, uè; tu, tu tu». Il coniglio pensò: «Ah! oggi, dunque, qui berremo sul serio,
mangeremo a crepap elle, e ci sazieremo!…». E diceva ai compagni: «Ragazzi, sedetevi per terra, e aspettiamo che ci indichino il nostro posto».
Da un’altra parte, la scimmia chiamò quelli della casa e disse: «Portate i recipienti della bibita sugli alberi.
Presto! Fate in fretta!».
Lavoro fatto, la scimmia andò dal coniglio, e disse: «Sai, amico? Il mio papà, sul punto di morire, mi disse che non voleva che il
sacrificio venisse fatto per terra, perch é, come sai, la nostra vita la viviamo appese agli alberi. Dato che anche lui faceva sempre
così, volle che il sacrificio del suo ricordo venisse fatto su in alto. Tutti voi, dunque, che siete arrivati qui, venite, saliamo a bere
lassù!».
Tutte le scimmie salirono, e i conigli rimasero a terra, alzando la testa e guardando in su…
Provarono a saltare, ad aggrapp arsi agli alberi… Niente! Cercarono dapp ertutto una maniera di salire… Non c’era verso! Frattanto, le scimmie stavano godendosi la loro bibita…
Dopo un po’, cominciarono a saltare da un albero all’altro. Alcune con gli ornamenti da ballo, campanelli alle gambe, abbigliate
sfarzos amente, facevano ogni specie di danza, mentre altre suonavano una varietà di strumenti, cose tutte che i conigli non avevano a casa loro.
E così le scimmie finirono tutta la loro bibita, senza lasciare niente. I conigli per terra prendevano sugli occhi i resti solidi della
bibita; e le scimmie se ne facevano beffe.
Quando finirono, le scimmie scesero a terra. I conigli, vedendo che non c’era più niente per loro, tornarono a casa pieni di fame
e sete. E da quel giorno finì l’amicizia del coniglio con la scimmia.
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Convegno sull’accoglienza
D
ne incidono su ciò che vogliamo essere, e su
ciò che ci circonda. Ma non abbiamo nessuna
intenzione di immolarci eroicament e in esperienze dolorose e drammatich e che possano
mettere a rep entaglio la nostra emotività ed i
nostri affetti. Abbiamo però scoperto che a ccettando un po’ di quel rischio (soprattutto
sorvegliandoci a vicenda ), si possono conoscere emozioni straordinarie, e soprattutto si
può imparare molto di se e d elle persone che
amiamo.
Il cammino di tante famiglie sull’accoglienza,
ha fatto nascere la cons apevolezza che accogliere è fare spazio all’altro ma anche uscire dagli ambienti del nostro vivere
domestico e privato per affacciarsi verso l’est erno, verso chi
ci vive a fianco. Ecco perché qu est’anno il Convegno vuole
essere l ’occasione di riflettere sullo “spirito del cortile”. E’ il
tentativo di andare oltre, di creare un co rtile ch e non cl assifichi le famiglie in accoglienti da una p arte e in bisognose di
accoglien za dall’altra, ma che permetta a tutte di essere sé
stesse. Un cortile che sappia valorizzare il poco che ognuno sa
dare e non debba nascond ere il tanto di cui tutti hanno bisogno, così come testimonia questa altra famiglia:
Siamo contenti di avere vissuto l’accoglienza di Fatima, per ché ci ha aiutato ad aprire gli occhi sulla realtà che ci circonda. I bambini abbandonati esistono nella realtà, al di fuori
dal mondo della TV, e se per Fatima è stata trovata una famiglia, sappiamo che per tantissimi altri bambini questo non
succed erà.
Questa esperienza farebbe b ene a tutte le famiglie per aiutarle a diventare più disponibili e per ricordare che bisogna aiutarsi senza discriminare nessuno.
In cambio di un piccolo sforzo ci si può arricchire tanto.
omenica 25 marzo, presso l’Orato rio
“Don Bosco” a Reggio Emilia in Via
Adua, si svolgerà il Convegno sull’accoglienza dal titolo “Dalle querce di Mamre al cortile
di casa”.
L’appuntamento è proposto dalle Case della
Carità (Famiglie del Gelso), insieme all’Ufficio di Pastorale Familiare e alla Caritas diocesana e vuole essere occasione per tutti di fermarsi a riflettere sul tema dell’accoglienza in
famiglia e tra famiglie.
Perché dedi care spazio al tema d ell’accoglienza? Semplicemente perché è la via indicata d al Vangelo per
vivere alla p resen za del Signore: “Chi accoglie uno di questi
piccoli nel mio nome accoglie me”.
Accogliamo, dunque, prima di tutto, per rispondere alla chiamata del Vangelo. Accogliere è lasciare entrare il Signore,
lasciare che Lui ci trasfo rmi; è accettare che emerg a palesemente la nostra claudicanza come sposi, come singoli, come
genitori e figli; è l’occasione di accogliere Cristo che entra
nella nostra casa (“Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza sap erlo hanno accolto degli angeli” - Eb. 13, 2)
e ci rivela la Verità.
Accogliamo perché la premura per i nostri fratelli che si trovano in situazioni di bisogno è a fondamento di un a societ à più
giusta e più in pace. Non possiamo continuare a difenderci e a
chiuderci n ei nostri “appartamenti”. La p rossimità e la solidarietà nei confronti di chi h a bisogno deve essere il modo
“normale” del nostro vivere le nostre relazioni.
Una famiglia, al termine della su a esperienza di affido in
emergen za, riflette:
Per noi non è un optional la coerenza, ed i valori con cui cerchiamo di viver e sono parte d el nostro quotidiano. La scelta
di aprire la nostra casa appartiene ad una riflessione che da
sempre cerchiamo di s eguire e di far scorg ere an che alle no stre figlie; si è parte di una comunità, e anche le piccole azio-
Famiglie del Gelso
21 marzo: arriva la Primavera: la leggenda della Primula
Q
uel anno la Primavera sembrava non dover più arrivare; gli animali del bosco la attendevano con impazienza; l'Inverno era
stato molto freddo e tutti, dalla lepre, allo scoiattolo, agli uccelli non vedevano l'ora che se ne andasse, lasciando il posto al primo tiepido sole che potesse scaldar loro le pellicce e le piume.
Ma l'Inverno, ormai vecchio e un po' sordo, non voleva proprio levare il disturbo, tanto che tutti gli animali iniziarono a dirgli:
"Insomma, vuoi andartene si o no ?" "Non è ora che lasci arrivare la Primavera?".
Insomma, tanto fecero e tanto dissero che l'Inverno si arrabbiò davvero e disse tra se e se : "Ah si eh ? volete mandarmi via...
ma io ve la farò pagare"; chiamò i suoi due fidi alleati, il gelo e la tempesta e disse loro : "Nascondetevi dietro quel cespuglio
e quando vedrete arrivare la Primavera spingetela in quella grotta; io penserò al resto".
Quando la Primavera, puntuale come ogni anno, fece capolino al limitare del bosco, la tempesta saltò fuori dal cespuglio dietro
il quale era nascosta e soffiando un vento gelido la spinse fin verso la grotta dove il gelo costruì una barriera di ghiaccio per
non lasciarla uscire.
La lepre avev a assistito a tutta la scena e corse subito dagli altri animali del bosco per chiedere
che cosa fare; ma nessuno sapeva come liberare la Primavera rinchiusa nella grotta.
"Andiamo a chiedere consiglio al Sole " disse il pettirosso, che sapeva che il Sole era amico
della Primavera.
"E' una brutta situazione " - disse il Sole - "ma io so come aiutarvi"; accompagnato da un corteo
di candide nuvolette si avvicinò ad un ruscello vicino alla grotta e, al suo passaggio spuntarono dei piccoli fiori, le primule.
"Prendete una di queste primule" - disse il Sole - "e andate subito alla grotta; sono fiori magici,
ed il ghiaccio si scioglierà".
La lepre, senza farselo dire due volte, strappò una primula con i suoi denti aguzzi e corse alla
grotta, dove i tre compari si erano addormentati dopo aver festeggiato la cattura della Primavera, e, come aveva detto il Sole, il ghiaccio si sciolse, lasciandola finalmente uscire.
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POSSO TORNARE A CASA MESSO COSÍ?
G
iuro che non l’ho fato apposta, per provocare.
È venuto così, senza cercarlo, senza doppi fini.
Sono giunto sul posto della messa e ho aperto lo zainetto dove
metto gli indumenti e gli oggetti della messa.
Ho notato che non c’era il camice.
Probabilmente la signora che lava gli indumenti della chiesa,
ha pensato bene di aprire lo zainetto per vedere le condizioni
in cui si trovava il camice e la stola viola del tempo di quaresima e ha pensato bene di lavare il tutto.
Dal canto mio non ho provveduto a guardare dentro, per verificare se tutto era a posto prima di partire per tre giorni in una
regione della parrocchi a.
Sono giunto così, sul punto della messa senza camice e stola
viola, come la liturgia di quaresima esige, ma solo con una
stola verde, tipica del tempo comune.
Appena ho notato che non c’era il camice mi sono accorto che
addosso avevo la maglia rossa di Che Guevara. Anche questo
fatto non è voluto: era una delle ultime rimaste nell’armadio.
A questo punto mi rimanevano due alternative: o tornare a
casa (20 km) per prend ere il camice e la stola viola, o celebrare messa così, normale, mettendomi la stola verde sulla maglia
rossa di Che Guevara.
E così è andata. Nessuno mi ha detto assolutamente nulla.
Nessuno si è avvicinato per dirmi qualcosa né sul camice, nel
sul colore della stola, né tanto meno sulla mia maglietta rossa
di Che Guevara. É stato in questo momento che sono diventato triste, perché il mio pensiero é andato immediatamente
all’Italia, al fatto che fra pochi mesi tornerò in Italia definitivamente (an cora faccio fatica a crederci: vedremo).
Senza dubbio lì in Italia non sarei passato inosservato e vari
laici mi avrebbero criticato, richiamato, insultato.
Certamente se fossero stati presenti sacerdoti e suore in un
contesto simile sarei stato richiamato dalla curia, come minimo. E poi la gente si chiede perché noi missionari facci amo
così fatica a tornare!
Perché le persone della comunità di Taboa no mi hanno detto
nulla? A questo inquietante interrogativo posso dare alcune
risposte.
La prima è che n elle comunità di base il prete appare poche
volte all’anno. Nella parrocchia di Ipirá, per esempio, formata
da più di 100 Comunità di base, la gente vede il prete tre o
quattro volte all’anno. Senza dubbio i liders di comunità incontrano spesso il sacerdote, sia negli incontri formativi, che
in altri momenti. Per la maggior parte delle persone, però,
l’incontro con il sacerdote, nelle nostre parrocchie formate di
molte comunità, è un fatto non molto frequente. Forse è per
questo che le p ersone non h anno tempo d’interessarsi molto
dei vestiti e delle maglie del prete.
Guardano e pens ano ad altre cose.
Al t ro
motivo.
Per
le
p ers o n e
p res en t i
alla messa
di
s a b at o
pomeriggio nella
comunità
di Taboa
l ’im p o rtante è la
celebrazion e, la
Parola di Dio,
l’Eucaresti a,
il
cantare e pregare
assieme: il contorno non è molto
importante.
Abbiamo celebrato a casa di una
signore di 94 anni
che vive da sola e
alla quale tutti
vogliono molto
bene. Me lo diceva il signor Dori
dopo la messa:
siamo venuti in
tanti perché vogliamo molto bene alla signora Binha. Siccome la casa è molto piccola abbiamo deciso di celebrare fuori, come molto spesso succede, anche perché si sono presentate per la messa una
quarantina di persone. Nessuno dei presenti arrivati aveva un
volto triste, nonostante la siccità stia castigando questa terra.
Per le persone d elle comunità di base partecipare alla messa
mensile o bimensile è un piacere, una cosa bella e non un dovere o un precetto. Ci si trova non solo per preg are, ma anche
per aggiornare la situazione, rivedere gli amici che da tempo
non s’incontravano. Dopo la messa, infatti, c'è sempre il classico cafezinho con un pezzo di torta o biscotti. La messa che
celebro n elle comunità di bas e è sempre avvolta d a molta
umanità, dando così sapore e significato alla stessa celebrazione.
In 13 anni di Brasile non ho mai celebrato una messa s enza
che ci fosse qualcuno a cantare. Anche nella più piccola Comunità Ecclesiale di Base, c’è sempre chi prepara la messa o
la celebrazione.
Ben diverso è il quadro in Italia. Il prete è sempre presente
nella parrocchi a, formata da un’unica comunità. Forse è per
questo che si ha il tempo di osservare i suoi abiti liturgici e
non. Oltre a ciò è significativo anche il modo di celebrare la
liturgia. Quante messe domenicali ho cel ebrato sen za ch e nessuno cantasse? Quante volte nella fatidica messa delle 11,30
nessuno si presentava a leggere? Importante è che ci sia il
prete con il camice e con la stola giusta: il resto non c’entra.
Se nessuno canta o se si recitano il gloria e l’alleluia invece di
cantarli (cos a che non è mai successo nella mia esperienza
brasiliana!) nessuno dice nulla; se il prete si presentasse s enza
camice, con la semplice stola sulla maglietta sarebbe l’argomento prediletto per settimane! E se poi questa maglietta fosse
rossa con l’immagine di Che Guev ara stampata sopra: apriti
cielo!
Sono contraddizioni. Mi chiedo dove stia il senso di tutto questo ‘malessere’ religioso. Che cos’ è successo per cadere in un
formalismo così pietoso, sterile e ipocrita? Perché siamo arrivati al punto da non farci ribrezzo una m essa domenicale senza vita? O peggio: perché nonostante tutto, la gente continua a
frequ entare questi riti funebri che sono diventate le messe
della domenica, in molte chiese italiane?
Io continuerò, finché potrò, a celebrare le messe nelle comunità di Base, per trovare ispirazione e forza a celebrare anche
nella mia amata terra. Nella speranza di essere accolto (spero
bene).
Pe Paolo Cugini
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Intervista a Osvaldo Poli
«L’adolescenza è il trionfo del padre»
Incoraggia i figli ma non li assedia,
La madre stanca e sgomenta deve fare un passo indietro. L’autonomia? Una conquista lenta»
O
In questo secondo tempo
della partita, la linea deve
esser maschile e patern a, questo indipendentemente che i
figli siano maschi o femmine.
Il padre incoraggia e non protegge, li assiste quando si sono
fatti del male ma li tratta da grandi: usa il metro della respon sabilizzazion e invece che romp ere le s catole. Il padre conosce
il potere sulla loro vita: tratta il figlio come uno che è capace
di capire e si prende la responsabilità della sua vita, gli fa gli
auguri, lo vede fuori di sè ma non gli impedisce di sbagliare,
di conoscere il prezzo dell’erro re.
svaldo Poli accompagna an cora una volta i genitori vicentini nella crescita di Aristide, il “tatone” mantovano
che è di-ventato nelle sue conferen ze il prototipo dei vizi e
delle virtù dei figli d’oggi.
Aristide affront a l’adoles cenza. Anzi: i genitori di Aristide
fanno i conti con l’adolescen za, e lo psicologo e psicoterapeu ta di Castel Goffredo (pubblica con Edb e San Paolo edizioni,
l’ultimo libro si intitola “Né asino, né re”, ) fa loro coraggio
ieri in Fiera - coniugando nei suoi interventi competenza aqui sita e simpatia genetica.
Adolescenza non è sinonimo di malattia. Ma non si può
nemmeno dire che sia una fase lieve della vita.
Il nostro Aristide cresce ma non va incontro a quella ch e
comunemente viene ritenuto il periodo cattivo: io credo da
sempre che l’adolescen za sia una fase piacevole, interessante,
con soddisfazioni non da poco contrari amente a come vien e
sempre dipinta. In genere viene mal capita e male interpretata.
Non è il tempo della ribellione: non c’è legge psicologica ch e
stabilisca che per essere grandi e liberi bisogna correre rischi e
rifiutare l’eredità valoriale della famiglia.
Anzi, l’adolescenza è il luogo dell’internalizzazione del valore, della libera e personale ad esione al valore.
Un ragazzo in questo periodo dice i suoi sì, ritiene giuste alcune cose che mag ari coincidono con quanto gli hanno insegnato e altre volte no.
Mentre le madri invece...
Il padre accetta la su a rel ativa impotenza a salvare il figlio ad
ogni costo, mentre la madre si dispera, lotta per anni e fatica
ad accettare che non può studiare al suo posto, fare le cose
giuste al suo posto. Gli adolescenti preferiscono il padre
perch é gli sta meno addosso e si sentono trattati da grandi.
Le madri arrivano all’adolescen za sgomente, naturalment e
stufe, sull’orlo di una crisi di nervi, perché il figlio non le
ascolta più. Quando un figlio non ti ascolta sei al capolinea, le
cose sfuggono di mano, significa che non c’è più autorevolezza. E allora subentra il padre.
E come si fanno i conti con l’esterno su cui si perde il controllo: la rete degli amici, la scuola, le esperienze?
Che abbiano amici, compagnie, gruppi è una benedizion e
non una fonte di pericoli.
L’esterno v a govern ato con misura ma è scritto che l’adolescente si debba sottoporre alla sguardo altrui che non è prevenuto, è lucido, spietato: se gli amici devono dire a tuo figlio
che è ciccione glielo dicono senza problemi. È più facile
che i ragazzi si ritrovino nello sguardo canaglia degli amici
che in quello tenero della mamma. Il bagno nella realtà
aiuta a capire chi sei, al di là dell’immagine consegnata dalla
famiglia: una madre dice “poverino”; amici, professori e
conoscenti invece non tollerano i difetti, non li scusano.
Anche il web, un’altra relazion e che non si governa, va gestito
con saggezza: inutile cercare di resistere, bisogna accettare
emotivamente che il figlio cres ce e divent a autonomo, gestendo per la prima volta le redini della propria vita.
Altrimenti quello con i genitori diventa un rapporto di odioamore.
Allora quando si capisce che Aristide sta diventando grande?
Quando un genitore lo ved e studiare da solo, senza star lì a
ripeterglielo. Quando sceglie cosa è giusto e cosa è sbagliato
seguendo la voce d ella sua coscien za. In questo senso l’adolescenza non è malattia ma una benedizione: segna l’uscita
dall’infanzi a. Il problema oggi è che anche dai 15 ai 20 anni
gli stili restano ancora infantili e a cres cere non si comincia
nemmeno.
I conflitti e i dissapori che accompagnano i rapporti tra
geni tori e figli sono dovuti a questo?
La conflittualità non è colpa del periodo di crescita ma del
fatto che i genitori non accettano più comportamenti immaturi.
La ribellione è dei genitori che dicono “non ne posso più di
te”: un bambino di 20 anni è insostenibile.
Perché non crescono?
Colpa spesso della nostra educazione esclusivament e ispirata
al codice materno, che risparmia ai ragazzi fatiche e rinunce,
termini impronunciabili....ma che sono invece le cose che li
fanno diventare grandi, liberi e forti.
Come favorire allora l’autonomia degli adolescenti?
Facendoli ad esempio partecipare a gruppi sociali, dagli
scout in su, dove assumono delle responsabilità già da ragazzini. Mandarli all’estero?
Farli lavorare? Ma non vanno via d a cas a nean che con le can nonate. Sono sostanzialmente impreparati ad affront are la vita perch é il nido caldo è invitante. L’autonomia è un processo
che si costruisce fin da piccoli, non impedendo l’esperienza
del dolore e delle conseguenze dei loro gesti. La paura maggiore dei genitori è che si facciano male, che se non studian
non andranno alle sup eriori e poi all’università, che se es cono
in strada incontrino brutte compagnie o che qual cosa dan neggi la loro vita. Così non li si salva: non li si fa diventare
grandi.
L’adolescenza, lei scrive,
è il tempo del padre.
Perché il padre li schioda
dalle strutture psicologiche dell’immaturità. Nel
cambio di stagione la madre se è normale fa un
passo indietro e consegna
il figlio al padre, si adatta
ad un sentire che è più
maschile altrimenti i figli
non crescono.
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Il tempo
P
erch é gli uomini possano guadagnare l'eternità beata, Iddio ha dato loro un mezzo: il tempo. Il
tempo è un dono prezioso del Creatore, il quale, secondo i suoi fini provvidenziali, lo dà in diversa
misura, a chi più ed a chi meno, raccomandando di non sprecarlo. Si legge nel Libro dell'Ecclesiastico:
Figlio, custodisci il tempo! (Eccl. IV, 23). - Viene la notte, dice Gesù Cristo, quando nessuno può operare. (S. Giovanni, IX, 4). - La notte indica la morte; soltanto nel giorno della vita si può operare per il
Paradiso. L'operaio che spreca nell'oziosità una sola ora lavorativa, non sa fare il suo interesse. Eppure
nel mondo quale uso si fa del tempo? Un terzo della vita si dedica al sonno; è una necessità e la necessità è volontà di Dio. Una parte notevole è dedicata alla ricerca del pane quotidiano. Ma quante ore giornaliere si rendono inutili! Si cerca il passatempo! Non si sa cosa fare per ammazzare il tempo! ...
San Domenico Savio, morto a quindici anni, lavorava indefessam ente per arricchirsi di meriti per il
Paradiso. Prima che si ammalasse gravemente, un compagno gli disse: Ma riposati! Tutto il bene quest'anno vuoi fare? E gli altri anni cosa ti
resterà a fare? - Rispose il Santo: Opero il bene ora, che ne ho il tempo! Il tempo più utile per l'eternità è quello che s'impiega a compiere opere buone: pregare, soddisfare al proprio dovere, esercitare
la carità, lottare contro le cattive tendenze.. ..
Per i mondani il tempo migliore è quello dei divertimenti. Usciva una donna dalla Chiesa, dopo avere ascoltata la Messa. Fu
fermat a da una conoscente, ch'era di passaggio.
- Quanto tempo tu sprechi in questa Chiesa! Ma cosa ne guadagni? I Preti ti danno forse denaro? Cosa porti a casa? ... La mattina vai a Messa, al pomeriggio alla Benedizione ed alla sera dici il Rosario! Si vede che sei sfaccendat a! Almeno a questa età
impara ad impiegare ben e il tempo! Se comandassi io a casa tua! ... La pia donna lasciava dire; poi rispose: Comincia tu a non sprecare il tempo, col dirmi ciò che non hai diritto di dirmi e col piantarmi qui sulla strada! ... Io devo dare conto a Dio e non a te! A casa rendo certament e più di te! ... Perché non pensi al tempo
che perdi quando stai allo specchio, con i continui passeggi, con l'andare ogni sera al cinema? ...
- Quello non è tempo perduto, perché mi diverto!
- Tu ti diverti con queste sciocchezze, io invece con cose più serie. Ricordati però che il tempo passato non ritorna più; arriverà
l'ultimo giorno per me e per te. Quando entreremo nell'eternità, mi saprai dire chi di noi due ha sprecato il tempo! . .
Calendario liturgico valido fino ad agosto 2012
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22
In Paradiso non ci saranno né scontenti, né invidiosi
I
n Paradiso ogni Beato occuperà felice il posto assegnatogli
dalla giustizia divina secondo i meriti acquistati sulla terra.
L’amor prop rio, l’incontentabilità e l’invidia sono stati inceneriti dalle fiamme del Purgatorio e dall’amore di Dio, e nelle
anime non ne rimane neppure un atomo. In Paradiso la volontà
di ogni Beato si identifica con quella di Dio. Ognuno è contento del posto assegnato a sé e agli altri, e non desidera altro perché quello che Dio ha assegnato a ci ascuno è giustissimo e non
poteva essere diversamente.
Quantunque in Paradiso tutti siano pienamente felici, non tutti
però godono dello stesso grado di felicità. Più meriti l’anima
porta nell’eternità, più grande sarà la sua felicità, come nell’In ferno chi più peccati ha fatto, più ha da soffrire, chi ha fatto
meno peccati, meno soffrirà.
In Paradiso quindi non ha la stessa gloria, la stessa felicità il
bambino morto piccolino e il Martire che ha sparso il sangue
per Gesù Cristo. I Santi, che hanno esercitato le virtù in grado
eroico, godono immensamente di più del semplice cristiano, o
di colui che si è convertito e si è rimesso in grazia di Dio in
punto di morte.
Dice Gesù (Giov. 14,2): «Nella casa del Padre mio ci sono
molti posti». Con queste parole il Signore ci vuol dire che in
Paradiso ci sono molti posti, molta varietà di felicità. I Beati
quindi godono in misura diversa. Però, nonostante la differenza di felicità, in Paradiso non ci può essere invidia e gelosia tra
i Beati, perché l’invidia e la gelosia appo rtano dispiacere, malcontento, rabbia, ecc., ed allora il Paradiso non sarebbe più
Paradiso. In Paradiso tutti sono felici, pienamente felici e non
invidiano la gloria e la felicità altrui. Un esempio chiarificatore.
In una famiglia si fanno indossare gli abiti nuovi a tutti i figli.
Il bambino di cinque anni è contento del suo abitino e non invidia e non desidera il vestito del fratello di venti anni, perché
non sarebb e adatto per lui. Così sopra un tavolo stanno diversi
bicchieri di differente capacita Si riempiono di acqua Il bicchiere più piccolo non può conten ere l'acqua di quello più
grande Tutti pero restano perfettamente pieni Cosi in Paradiso
la disparità di merito e di premio non suscita invidia e gelosia
non crea distanze. Ognuno guard a con tranquillo compiacimento la porzione di felicita altrui e ne e sinceram ente conten to. Quale gioia grandissima proverà in Paradiso il Beato nel
ricevere cumuli di beni e di favori e vedersi guardato dagli altri
Beati con occhi di sincerissima compiacenza, stima, rispetto e
amore, sempre circond ato da volti felici della sua felicità; avere la certezza ch e la sua felicità produce soltanto aumento di
gioia! Perciò ogni Beato
occuperà gioiosamente il
proprio posto, incastonandosi nella rosa dei Beati
con la propria perfezione e
specifica bellezza.
Le relazioni di parentela e
di amicizia
P. Blot, nel suo libretto 'Ci
riconosceremo in Cielo',
appoggiandosi su autorevoli Teologi, dimostra che le
attuali relazioni di parent ela e amicizia non sono d estinate a scomparire, ma a
compie tarsi e perfezionarsi
in una vita migliore. E Dio
stesso che ci comanda l’amore fraterno, e vuole che in esso si
conservi un certo ordine. E Lui che crea i vincoli della carne e
del sangue, e noi non dobbiamo sottrarci al dovere di carità ch e
questi vincoli importano.
La convivenza dei Beati, pur rimanendo una immensa comunione di cuori, conosce diversi gradi di intimità, e questa, contenuta in una piccola cerchia di cari, non disturba né impedisce
la familiarità più cordiale con tutti quanti gli altri Beati, perché
la capacità di amarci viene immensament e amplificata e potenziata nei cuo ri: in Paradiso i nostri cuori raggiungono il loro
completo sviluppo.
Il Paradiso non è la tomba d elle cose più b elle e più care d ella
vita, cioè degli affetti familiari e delle amicizie sbocciate sulla
terra sotto il sorriso compiacente di Dio. Le persone che si
sono volute bene sulla terra, si ricongiungeranno nella gioia
dell’amore eterno. Gli affetti dei Beati dovranno essere certamente purificati da tutto ciò che le rende meno sante, e dovranno essere ridimensionati secondo le proporzioni molto più vaste della vita del Paradiso. Perciò, appunto perché diventate più
genuine, saranno anche più evidenti verso coloro con cui ci
siamo amati di più sulla terra.
Un difficoltà
Di due persone, che tanto si sono amate sulla terra, una si salva
e va in Paradiso, l’altra si danna e va all’inferno. Quella che si
è salvata come potrà essere felice con la separazione etern a
dalla persona che ha tanto amata?
Ciascun dannato è stato evident emente membro di una famiglia. Nonostante le colpe gravi, per le quali si è dannato, può
aver mostrato an che delle buon e qualità umane ch e lo resero
molto amato da congiunti e amici. A costoro sembra che neppure tutta la gioia del Cielo potrà far loro dimenticare quel loro
caro e ch e la sua perdita continuerà ad am areggi arli per sempre. Non è così! Un esempio illustrativo.
A una persona, nata e vissuta sempre nel buio di un sotterraneo
senza aver mai visto la luce del sole, la luce di una fiammella,
che illumini fiocamente la sua prigione, è tutta la consolazione
dei suoi occhi. Senza quella piccola fiammella la vita le parrebbe insopportabile. E vero.
A questa persona però se, liberata dal sotterran eo, viene portata
per sempre alla superficie, alla luce del sole, che cosa le parrà
ancora la sua fiammella custodita e amata tanto gelosamente?
Nella pienezza dello splendore solare ch e bisogno avrà più di
quella briciola di luce fumosa? Proverà anco ra pena a separarsi
da essa? Certamente no.
Allo stesso modo, su questa povera terra, la fiammella d’amore
di una persona cara ci è di grande consolazione e ci sembra
d’essere indispensabile al nostro cuore. Ma quando, liberati
dall’esilio terreno, ci troveremo in Paradiso immersi nelle
fiamme dell’amore infinito di Dio, che pena potremo avere
d’aver perduta quella piccola fiammella?
L’amore infinito di Dio certamente sarà in grado di sostituire
più che abbondantemente l’affetto di quella persona cara, che,
per essersi ostinata fino all’ultimo istante della sua vita nell’offesa di Dio, nel rifiuto della sua grazia e della sua misericordia,
si è voluta dannare.
In Paradiso, oltre all’amore infinito di Dio, nostra felicità essenziale, noi per tutta l’eternità godremo dell’amore immenso
degli innumerevoli Beati. Può essere mai che tale in cendio
d’amore non possa sostituire al nostro cuore la piccolissima
scintilla, che momentaneamente ci aveva consolato sulla terra?
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Lettera di un bambino al papà ultrà che lo
vuole campione
L
o sai, papà, che quasi mi
mettevo a piangere dalla
rabbia quando ti sei arrampicato
sulla rete di recinzione urlando
contro l’arbitro? Io non ti avevo
mai visto così arrabbiato. Forse
sarà an che vero che l’arbitro
aveva sbagliato, ma quante volA Mio Padre
te io ho fatto degli errori senza
che tu mi dicessi niente?
Ciao papà, ti vedo stanco
Anche se abbiamo perso la parsarà la sera ch e ti cade addosso,
tita per colpa dell’arbitro, come tu dici, mi sono divertito lo oppure gli anni che si fan sentire.
stesso.
E' strano come le montagne,
Ho ancora molte gare da giocare e sono sicuro che, se non gri- si inchinino al passaggio della vita,
derai più, l’arbitro sbaglierà moltomeno.
lasciando cad ere a valle,
Papà, capisci, io voglio solo giocare. Ti prego, lasciamela que- le sue rocce sgretolatosi nel tempo.
sta gioia, non darmi suggerimenti che mi fanno solo innervosi- Li hai passati tutti i tuoi momenti,
re: tira, passa, buttalo giù. Se buttassero giù me, quante paro- restando sempre attento ai tuoi presenti,
lacce diresti? un’altra cosa: quando il mister mi sostituisce o e restare con lo sguardo al tuo passato
non mi fa giocare, non arrabbiarti, io mi diverto ugualmente, di cui a noi figli molto hai dedicato.
anche seduto in panchina. Siamo in tanti ed è giusto che giochi- Mi hai fatto grande ma non solo fuori,
no tutti. E poi, quante parolacce, urla ed imprecazioni si sento- io di te ho molto dentro.
no in campo mentre si gioca: non solo da te, ma anche da altri Quel che è stata la tua vita
genitori. Non si agisce così, a me hanno detto che le brutte pa- per contarla non bastan le dita
role non salgono in cielo perché non trovano posto, là stanno di tutta quella gente che ti ha visto crescere
solo gli angeli.
e lottare contro la tua sorte.
E scusami, papà, non dire alla mamma, di ritorno dalla partita:
Starei una vita a raccontarmi di te,
“ha vinto ed indossa la maglia numero dieci”. Dille che mi che oggi mi guardi con lo sguardo di un bambino
sono divertito tanto e basta. Non raccontare che ho fatto un gol e con il coraggio di darebbe la sua vita,
bellissimo, non è vero.
per farti vivere, la tua, un po di più.
Ho messo il pallone dentro la porta perché un mio compagno grazie pap à.
mi ha fatto un bel passaggio e tutti insieme abbiamo lottato
pervincere. E poi che tormento dalla televisione ho capito che
quel numero è una leggenda: tutti i “grandi” l’hanno indossato: Sivori, Rivera, Platani; Maradona, Ronaldo, Baggio, Del
Piero. Ma loro sono nati artisti con dei cervelli
carichi di idee, con la fantasia come la pittura di Van Gogh o la
musica di Beethoven. E qui mi viene da ridere, papà, perché io
non conosco la musica e sono pure stonato.
E allora?
Ascoltami, papà, non venire nello spogliatoio
al termine della partita per v edere se faccio
bene la doccia o se so vestirmi. Che importanza ha se metto la maglietta storta? Devo imparare da solo.
Orario S. Messe
Stai sicuro che diventerò grande e sarò bravo a
scuola, anche se avrò la maglietta roves ciata. E Giorni feriali
lascia portare a me il borsone. Guarda, c’è Ore 07:00 recita delle Lodi
stampato il nome della squadra e mi fa piacere Ore 18:30 S. Messa
far vedere a tutti che gioco a pallone. E sai,
non volevo dirtelo perché sono an cora piccolo, Giorni festivi
ma a scuola la fidanzatine sono in aumento.
Ore 09:00
S. Messa
Non prendertela, papà, se ti ho detto queste
Ore
11:00
S.
Messa
cose. Lo sai che ti voglio bene, ma adesso è
già tardi, devo correre all’allenamento. Se arrivo in ritardo il mister non mi farà giocare. An- Sabato
che se ho capito che non sarò mai un cam- CONFESSIONI: Ore 9/10.15 -11.15/12.30 – 15.30/18.30
pionissimo. A me piace allenarmi e giocare la Ore 10:30 S. Messa a Villa Primula
Ore 18:30
S. Messa prefestiva
partita. Sono sereno e felice quando co rro nel
campo, mi sento libero, libero come il vento
e l’acqua ch e scorre!
Avvisi della Parrocchia
S. Anselmo
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