Anno 4- Numero 3– 15/03/2012 Periodico della parrocchia di S. Anselmo di Lucca 1 Milano 2012: famiglia, lavoro e festa VII Incontro Mondiale delle Famiglie: la natura dell’evento e la lettera del Papa LA LETTERA DI PAPA BENEDETTO XVI A conclusione del VI Incontro Mondiale delle Famiglie, svoltosi a Città del Messico nel gennaio 2009, annunciai che il successivo appuntamento delle famiglie cattoliche del mondo intero con il Successore di Pietro avrebbe avuto luogo a Milano, nel 2012, sul tema “La Famiglia: il lavoro e la festa”. Desiderando ora avviare la preparazion e di tale importante evento, sono lieto di precisare che esso, a Dio piacendo, si svolgerà dal 30 maggio al 3 giugno, e fornire al tempo stesso qualche indicazion e più dettagliata riguardo alla tematica e alle modalità di attuazione. Il lavoro e la festa sono intimamente colleg ati con la vita delle famiglie: ne condizionano le scelte, influenzano le relazioni tra i coniugi e tra i genitori e i figli, incidono sul rapporto della famiglia con la società e con la Chiesa. La Sacra Scrittura (cfr Gen 1-2) ci dice che famiglia, lavoro e giorno festivo sono doni e benedizioni di Dio per aiutarci a vivere un’esistenza pienament e umana. L’esperienza quotidiana attesta che lo sviluppo autentico della persona comprend e sia la dimensione individuale, familiare e comunitaria, sia le attività e le relazioni funzionali, come pure l’apertura alla speranza e al Bene senza limiti. Ai nostri giorni, purtroppo, l’organizzazione del lavoro, pensata e attuata in funzione della concorren za di mercato e del massimo profitto, e la concezione della festa come occasione di evasione e di consumo, contribuiscono a disgregare la famiglia e la comunità e a diffondere uno stile di vita individualistico. Occorre perciò promuovere una riflessione e un impegno rivolti a conciliare le esigenze e i tempi del lavoro con quelli della famiglia e a ricuperare il senso vero della festa, speci almente della domenica, pasqua s ettimanale, giorno del Signore e giorno dell’uomo, giorno della famiglia, della comunità e della solidarietà. Il prossimo Incontro Mondiale delle Famiglie costituisce un’occasione privilegiata per ripensare il lavoro e la festa nella prospettiva di una famiglia unita e aperta alla vita, ben inserita nella società e nella Chiesa, attenta alla qualità delle relazioni oltre che all’economia dello stesso nucleo familiare. L’evento, per riuscire d avvero fruttuoso, non dovrebbe però rimanere isolato, ma collocarsi entro un adegu ato perco rso di preparazion e eccl esiale e culturale. Auspico pertanto che già nel corso dell’anno 2011, XXX anniversario dell’Esortazione apostolica Familiaris con- sortio, “magna charta” della pastorale familiare, possa essere intrapreso un valido itinerario con iniziative a livello parrocchiale, diocesano e nazional e, mirate a mettere in luce esperienze di lavoro e di festa nei loro aspetti più veri e positivi, con particolare riguardo all’incidenza sul vissuto concreto delle famiglie. Famiglie cristiane e comunità ecclesiali di tutto il mondo si sentano perciò interpellate e coinvolte e si pongano sollecitamente in cammino verso “Milano 2012 ”. Il VII° In contro Mondiale avrà, come i precedenti, una durata di cinque giorni e culminerà - il sabato sera (2 giugno 2012) con la “Festa delle Testimonianze”- e domenica mattina (3 giugno 2012) con la Messa solenne. Queste due cel ebrazioni, da me presiedute, ci vedranno tutti riuniti come “famiglia di famiglie”. Lo svolgimento complessivo dell’evento sarà curato in modo da armonizzare compiutamente le varie dimensioni: preghiera comunitaria, riflessione teologica e pastorale, momenti di fraternità e di scambio fra le famiglie ospiti con quelle del territorio, risonanza mediatica. Il Signore ricompensi fin d’ora, con abbondanti favori celesti, l’Arcidiocesi ambrosiana p er la gen eros a disponibilità e l’impegno organizzativo messo al servizio della Chiesa Universale e delle famiglie appartenenti a tante nazioni. Mentre invoco l’intercessione della s anta Famiglia di Nazaret, dedita al lavoro quotidiano e assidua alle celebrazioni festive del suo popolo, imparto di cuore a Lei, venerato Fratello, ed ai Collaboratori la Benedizione Apostolica, che, con speciale affetto, estendo volentieri a tutte le famiglie impegnate nella preparazione del grande Incont ro di Milano. Benedetto XVI LE BEATITUDINI DELLA MAMMA Beata la mamma che sa sorridere an che quando tutt’intorno è nuvolo. Beata la mamma che sa parlare senza urlare. Beata la mamma che sa amare sen za strafare. Beata la mamma che sa essere ciò che vuole trasmettere. Beata la mamma che trova il tempo per mangiare con i figli e con papà. Beata la mamma che non insegna la vita facile ma la via giusta. Beata la mamma che non smette mai di essere mamma. Beata la mamma sa pregare: dal buon Dio sarà aiutata, dai suoi figli sarà ricordata. 2 3 Diffusi in Emilia Romagna dal 1471 in avanti per iniziativa dei francescani Al Ciel! Al Ciel! Al Ciel! Andrò a vederla un dì... MONTI DI PIETÀ E «MONTI FRUMENTARI» PER I POVERI N ei miei tanti anni di Assisten za Religios a (O.n.a.r.m.o.) alle Officine Reggiane, un operaio mi disse: “Caro don Gaetano, che freg ata lei prende se dopo 60 anni di Pater Noster, il Paradiso non ci fosse.” “Sì, hai ragione, è proprio una bella fregata, ma se poi il Paradiso c’è, tu ti prendi una freg ata che durerà un a eternità. Io vedrò il mio Dio, tu marcirai sotto terra”. Si sa, Celentano, va preso con le molle, infatti è detto il “Molleggiato”, ma bene ha fatto a rimproverare noi preti di parlare poco del Paradiso. È vero, lo infiliamo in tutte le prediche, ma raramente affrontiamo l’argomento direttamente. Mentre Celentano parlava del Paradiso pensavo: “Ma costui ci cred erà davv ero o specula sull’audience? O forse sente di avere lo sparviero sulla sponda del letto e sente il bisogno di Dio e comincia a p ensare al dopo di questa sua vita fatta di lustrini e di popolarità? Quando la morte incomincia a girare per casa è facile attaccarsi a Dio”. Ma allora perch é noi preti parliamo così poco del Paradiso privando i nostri buoni fedeli, che ci ascoltano pazientemente, della gioia di pregustarlo qui in terra? A discolpa rispondiamo che scriviamo tanto sul Paradiso. Facile scriverlo, difficile predicarlo dal pulpito, quando, mentre parli, ti sembra che ti puntino il dito e pensino: “Ma tu prete, ci credi verament e?”. Certo, vorrei rispondere, perch é il Paradiso a noi preti spetta di diritto essendo noi suoi Ministri, a parte quanto scrive Bern anos: “Dev e essere un bel buffone il vostro Dio se ha Ministri come voi!”. Per dimostrarlo dovrei ess ere l apidato come Santo Stefano, torturato come i 7 fratelli Maccab ei, decapitato come Tommaso Moro - che disse al carnefice: “Tu mi prendi la vita, ma mi apri le porte del Paradiso” - giacere sopra un letamaio e dire con Giobbe: “Questa mia carne ved rà il Salvatore”. Invece a malap ena posso dire con san Francesco: “È tanto il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto e temo di fare la fine dei figli del ricco Epulone”. Il catechismo mi dice che sono nato per conoscere, amare, servire Dio in questa vita per goderlo nell’altra in Paradiso. In Paradiso, ad un tizio, San Pietro indicò un bugigattolo per dimora. Al suo disappunto rispose: “Vedi, a quelli abbiamo costruito delle villette perché loro da terra, hanno mandato su tante pietre, tu non hai mai mandato su neppure un sasso”. Cristo ci indica la via del Cielo. Stiamo attenti a non camminare su di un tapis roulant. don Gaetano Incerti P er secoli, fin dal V secolo con papa Leone Magno, la posizione della Chiesa di Roma nei confronti dell’usura fu di esplicita condanna e assoluta proibizione per tutti i cristiani. Non a caso Dante pone gli usurai tra i “violenti contro Dio” nel diciassettesimo canto dell’Inferno. A fronte dell’impossibilità (teorica) per i cristiani di prestare ad interesse, stava invece la grande diffusione dei banchi di prestito gestiti da ebrei, che praticavano tassi assai elevati del 20 - 30%. Nel XV secolo, la necessità, da parte dei ceti meno abbienti, di potere disporre di fonti di credito su pegno a modico interesse, indusse i francescani a ricercare nuove soluzioni al secolare probl ema, acuito dal fatto che quello della povertà aveva assunto dimensioni abnormi. Predicatori come San Bernardino da Siena e soprattutto il Beato Bernardino da Feltre, superando l’opposizione dei teologi tradizionalisti, riuscirono a fondare un nuovo istituto: il “Monte di Pietà”, una vera e propria cassa di prestito su pegno a modico interesse (5 - 6%). Il primo Monte venne aperto a Perugia nel 1462 ed il successo fu immediato: nel primo secolo di attività (1462 - 1562) si contarono oltre 200 aperture. In Emilia-Romagna il primo fu a Montefiore Conca nel 1471, seguito da Bologna nel 1473, mentre a Reggio Emilia ciò avvenne pochi anni più tardi, nel 1494. Complessivamente in Regione si contano 68 località in cui furono presenti i Monti di Pietà, accanto ai quali, fin dagli ultimi anni del ’400, si affiancò anche un’altra istituzione assistenziale: il “Monte frumentario ”, anch’esso fo rtemente voluto dai frances cani (Osservanti e, dal Cinquecento, Cappuccini), il primo dei quali venne aperto a Foligno nel 1488. Finalità di questa istituzione era il prestito del grano soprattutto per le nuove semine. Nella nostra regione la fortuna dei Monti frumentari è stata più lenta rispetto a quella dei Monti di Pietà ed essi hanno conosciuto una diffusione tardiva (d al Seicento in poi) con molte fondazioni concentrate soprattutto fra XVIII e XIX secolo. La loro presenza è attestata in 46 località, mentre in 26 si registrano entrambi gli istituti, per un totale complessivo di 92 centri. I Cappuccini, vicinissimi per missione alle fasce economicamente più deboli del popolo, furono sempre molto attivi nella promozione tanto dei Monti di Pietà quanto - al Seicento in poi - dei Monti frumentari. 4 IL GOVERNO ''MARI E MONTI'' VUOLE ABOLIRE DIO: I MINISTRI (PSEUDO) CATTOLICI APPROVANO M onte Mario è una collinetta che sovrasta il Vaticano. Non vorrei che Monti Mario pretendesse di sovrastare Dio stesso, spazzando via, con un codicillo, quattromila anni di civiltà giudaico-cristiana (e pure islamica) imperniata sul giorno del Signore, "Dies Dominicus". Comandamento divino, nel Decalogo di Mosè, che è diventato il ritmo della civiltà anche laica, dappertutto. Perfino in Cina. Il codicillo del governo che "abolisce" Dio (o meglio abolisce il diritto di Dio che è stato il primo embrione dei diritti dell'uomo, come vedremo) è l'articolo 31 del "decreto salv a Italia". Dove praticam ente si decide che dovunque si possono aprire tutti gli esercizi commerciali 7 giorni su 7 e 24 ore al giorno. Norma che finirà per allargarsi anche all'industria nella quale già è presente questa spinta. Dunque produrre, vendere e comprare a ciclo continuo. Senza più distinzione fra giorni feriali e festivi (Natale compreso), fra giorno e notte, fra mattina e sera. Sembra una banale no rma amministrativa, invece è una svolta di (in)civiltà perché abolendo la festa comune – e i momenti comuni della giornata – distrugge non solo il fondamento della comunità religiosa, ma l'esperi enza stessa della comunità, qualunque comunità, dalla famiglia a quella amicale e ricreativa dello stadio. Distrugge la sincronia soci ale dei tempi comuni e quindi l'appartenen za a un gruppo, a un popolo. Per questo c'è l'opposizione indignata della Chiesa e dei sindacati (pure di associazioni di commercianti). La cosa infatti non riguarda solo chi – per motivi religiosi – vede praticam ente abolita la domenica, il giorno del Signore. Riguarda tutti, ci riguarda come famiglie, come comunità locali o particolari. Infatti è vero che ci sono lavori di necessità sociale ch e sempre sono stati fatti anche l a domenica (pure il commercio in località turistiche e in tempi di vacanza). Ma è proprio l'eccezione ch e conferma la regola. La regola di un giorno di festa comune, non individuale, ma comune, è infatti ciò che ci permette di riconoscerci. Ciò che consente di stare insieme ai figli, di vedere gli amici, di ritrovarsi con i parenti, di dar vita ai tanti momenti comuni o associativi. Se ai ritmi individuali già forsennati della vita si toglie anche l'unico momento comune della festa settimanale, le famiglie ne escono veramente a pezzi. Tutti diventano conviventi notturni casuali come i clienti di un albergo. Il giorno di festa comune ci ricorda infatti che non siamo solo individui, ma persone con relazioni e rapporti affettivi. Non siamo solo produttori/consumatori, ma siamo padri, madri, figli, fidanzati, siamo amici, siamo appassionati di questo o di quello, app art eni amo a gruppi, comuni tà, a un pop olo. Il "giorno del Signore" nasce quattromila anni fa per affermare che tutto appartiene a Dio. Ed è significativo che il comandamento del riposo che fu dato da Dio nella Sacra Scrittura riguardasse anch e servi, schiavi e animali: era il primo embrione in forma di legge di una liberazione, di un riconoscimento della dignità di tutti, che poi si sarebbe afferm ato col cristianesimo. Proclamare il diritto di Dio come diritto al riposo per tutti significava cominciare a far capire che niente e nessuno può arrog arsi un potere assoluto sulle creature. Perché tutti hanno una dignità e p erfino gli animali vanno ri spettati. Non a caso, proprio sul ritmo settenario della settimana, Dio, nella Sacra Scrittura, comanda al suo popolo quegli anni "sabbatici", che corrispondev ano al "giorno del Signore", per cui ogni sette, c'era un anno in cui si liberavano gli schiavi, si condonavano i debiti e si faceva riposare la terra. Fra l'altro la Corte Costituzionale tedesca ha dichiarato anticostituzionale l'apertura festiva p erch é lede l a libertà religiosa e il diritto al riposo: la vita dell'uomo non è solo comprare e vendere. Perché non siamo schiavi. La situazione italiana si annuncia come la più dura. Infatti "in nessun Paese europeo esiste che i negozi stanno aperti 24 ore al giorno e sette giorni su sette", dichiara ad "Avvenire" il sindacalista della Cisl Raineri. Oltretutto con una decisione piombata dall'alto. Vorrei chi ed ere pure ai cosidd etti "ministri cattolici" Riccardi, Passera e Ornaghi: com'è stato possibile approvare entusiasticamente una tale assurdità? Perché un a poltroncina v al bene un a messa? Speriamo di no. Ma se non è così si oppongano a questa norma. Si facciano sentire. È un Dio personale per quelli che hanno bisogno della Sua personale presenza. È un Dio in carne ed ossa per quelli che hanno bisogno della Sua carezza. È la più pura essenza. Egli semplicemente è per quelli che hanno fede. È tutte le cose per tutti gli uomini. È in noi e tuttavia al di sopra e al di là di noi... 5 La nostra esperienza a “Casa Bruna e& Dante” R ingraziamo di cuo re tutte le p ersone che in qu esto mese e mezzo dopo l’ap ertura hanno contribuito a rendere sempre più accoglient e e confortevol e Casa Bruna e Dante. In tanti, dalle 3 parrocchie, ci avete chiamati o siete passati di qua per conoscerci o per las ciare un reg alo: GRAZIE! Presen za preziosa è anch e chi si unisce a noi nel momento di preghiera “allarg ato” del giovedì mattina e condivide una parte di sé. Casa Bruna e Dante è VIVA anche grazie a tutte queste persone! Per noi che viviamo in casa, ogni nuovo giorno è un’occasione per confrontarci, metterci in gioco e crescere vivendo l e gioie e le fatich e comuni a qu alsiasi famiglia. Ma anch e la gioia di p rep arare con cura il letto e qualch e regalino di b envenuto a un a ragazza che attendi amo, la gioia di “ballare” (a volte nel vero senso della parol a!) insieme al ritmo di musiche multietniche e di scoprire sempre qualcosa di nuovo che ci rende sorelle. Non mancano le fatiche, soprattutto quelle legate alla non comprensione che in certi momenti si crea a causa d ella differenza della lingua, le fatiche d ell’ascolto e d elle con ciliazione d ei bisogni e dei desideri di ognuna, anche dei nostri che spesso passano in secondo piano. Per tutto questo e per molto altro Casa Bruna e Dante è per noi un dono grande perch é scuola di vita! Rinnoviamo l’invito rivolto a tutti a continuare a camminare con noi e con chi il Signore porterà a bussare alla nostra porta. In particolare invitiamo tutti i giovani, dalla 4° superiore in avanti, a passare una giornat a di servizio, fratellanza e preghiera il 25 aprile, giorno in cui sistemeremo la cancellata della cas a. Approfittiamo di questo spazio anch e per inform are ch e av remmo bisogno di un freezer (meglio a cassetti ma va bene anche a pozzo). A presto! Sara e Jessica 6 IN AUSTRALIA SI FA STRADA L'INFANTICIDIO: SE SI PUO' ABORTIRE, PERCHE' NON UCCIDERE I BAMBINI? di Mario Palmaro L 'infanticidio è un diritto delle donne. Lo sostiene, con qualche opportuna sfumatura dialettica, il Journal of Medical Ethics di Melbourne, che in un recente articolo spiega le buone ragioni che legittimano l'uccisione di un n e o n a to , q u an d o le s ue co n d i z i o n i di sa lu te s ia no co mp ro m es s e . L'articolo rilancia una vecchia idea del vecchio bioeticista australiano Peter Singer, e ne ripropone il ragionamento di fondo. La nostra società – scrivono in sostanza gli autori della rivista di Melbourne – ha ormai legittimato la soppressione del concepito con l'aborto volontario, giustificandolo con le più svariate motivazioni. Ora, proseguono, non esiste alcuna differenza davvero sostanziale tra un concepito di uomo e un neonato. Dunque, se è legittimo per le leggi uccidere un feto di tre mesi, non si vede perché lo Stato non debba permette di fare lo stesso con un neonato handicappato. Il caso australiano è un esempio perfetto di ragionamento che muove da premesse corrette per giungere a conclusioni coerenti, anche se aberranti. E' infatti sacrosanto che nascituro e neonato non sono dissimili nelle loro qualità essenziali; ed è altrettanto logico che questa identità umana deve comportare un giudizio di valore pressoché identico. Logico, per concludere, che aborto e infanticidio siano parenti stretti, e che sia contraddittorio disciplinarli in maniera opposta fra loro. L'errore sta nel teorizzare che la legittimazione diffusa dell'aborto dovrebbe allargarsi all'infanticidio, invece che invertire il percorso. E accorgersi che il rispetto della vita già nata dovrebbe essere estesa a tutela del non ancora nato. Ma per il resto, questi esponenti della cultura della morte contribuiscono, paradossalmente, a mostrare che "il re è nudo". Dicono cioè, un po' cinicamente, quello che talvolta gli stessi esponenti della cultura della vita si dimenticano: e cioè che l'aborto è uccidere un essere umano, tale quale lo si facesse morire dopo la nascita. Chi si straccia le vesti per la proposta choc degli australiani, farebbe bene a ragionare per un momento: e a rendersi conto che la brutalità dell'infanticidio è del tutto analoga alla brutalità di ogni aborto legale. E a riflettere intorno alla assurdità di essere contro l'infanticidio (cose che, per ora, accomuna la gran parte della gente), ma a favore dell'aborto e delle leggi che lo regolamentano. Di più: le società che accettano l'eliminazione eugenetica dei non ancora nati (e in questo, l'Italia non è seconda all'Australia), prima o poi sono costrette a scivolare verso l'infanticidio. Melbourne e Sparta non sono state mai così vicine: il Taigeto e le teorie eleganti e pulite sull'aborto praticato "per sconfiggere la talassemia" sono facce della stessa medaglia, smorfie della stessa Gorgone mostruosa. E' logico che l'idea di vedere davanti a sé un neonato, e di ammazzarlo sia pure "per motivi pietosi" disturba il sonno delle persone ben pensanti. Ma quello stesso sonno dovrebbe essere inquietato dal pensiero che già oggi, ogni giorno, con i soldi dei contribuenti e dello Stato, negli ospedali pubblici di mezzo mondo lo stesso trattamento viene riservato ai figli di donna non ancora nati. Solo dosi da cavallo di ipocrisia possono rendere opaca questa verità. Gli studiosi australiani – epigoni della Rupe Tarpea – ci dicono che ogni uomo non vale niente, se non ha una qualità della vita accettabile: che sia nascituro, neonato, adulto o vecchio, poco importa. O siamo disposti a ribaltare il tavolo sul quale si gioca questa vergognosa partita – fatta di embrioni prodotti, usati, selezionati e gettati via e di ammalati morti di fame e di sete – oppure dobbiamo rassegnarci a vedersi sviluppare, inesorabile, una coerente striscia di orrori che renderanno dilettanteschi i protocolli artigianali del dottor Mengele. E dovremo anche imparare a smetterla di dare lezioni di falsa moralità a cinesi, indiani, coreani che selezionano e uccidono prima della nascita i feti, solo perché sono femmine. Noi, gente per bene d'Europa e degli States, li selezioniamo e li uccidiamo, solo perché sono down. I BAMBINI IMPARANO CIO’ CHE VIVONO Se un Se un Se un Se un Se un Se un Se un Se un Se un bambino vive nella critica impara a condannare. bambino vive nell’ostilità impara ad aggredire. bambino vive nell’ironia impara ad essere timido. bambino vive nella vergogna impara ad essere timido. bambino vive nella tolleranza impara a sentirsi colpevole. bambino vive nell’incoraggiamento impara ad avere fiducia. bambino vive nella lealtà impara la giustizia. bambino vive nell’approvazione impara ad accettarsi. bambino vive nell’amicizia impara a trovare nel mondo l’amore. 7 La «terapia della speranza» nello sguardo su noi malati I n questi giorni si è riparlato di eutanasia per «quei pazienti costretti a una sofferenza insopportabile e senza speranza», come ha scritto qualcuno. Tutto ciò mi porta sempre più a riflettere sulla realtà di persone che, anche in condizione di grave malattia o disabilità, desiderano vivere e affermare il valore della vita indipendentemente dalla condizione fisica. Un’esperienza – di questo si tratta – di speranza quotidiana, che si scontra in modo semplice ma irriducibile con la mentalità dei 'benpensanti', che non tengono conto del valore inestimabile della persona e della vita qualunque ne sia la condizione. Questo significa avallare l’idea che una persona con disabilità è un peso sociale e non sia in grado di dare il proprio contributo alla società e affermarsi. Chiunque, se messo nelle condizioni di poter scegliere liberamente, può realizzarsi. Il tema centrale riguarda quindi l’ambiente dove la persona malata sia libera di agire in una situazione di uguaglianza e di partecipazione alla vita della società. L’essere umano, che ha l’imperativo compito di fornire cura e assistenza a chi ne ha bisogno, deve poter esprimere tutta la propria ricchezza interiore – il meglio di sé – nel relazionarsi a chi soffre per il fatto di portare su di sé il peso, l’affanno, il malessere e la paura della malattia. Il dolore e la sofferenza (fisica, psicologica), in quanto tali, non sono né buoni né desiderabili, ma non per questo sono senza significato. Ed è qui che l’impegno della medicina e della scienza deve concretamente intervenire per eliminare o alleviare il dolore delle persone malate o con disabilità, e per migliorare la loro qualità di vita. Una certa corrente di pensiero ritiene che la vita in talune condizioni si trasformi in un accanimento e in un calvario inutile, dimenticando che un’efficace presa in carico e il continuo sviluppo della tecnologia consentono anche a chi è stato colpito da patologie altamente invalidanti di continuare a guardare alla vita come a un dono ricco di opportunità e di percorsi inesplorati prima della malattia. È inaccettabile avallare l’idea che alcune condizioni di salute rendano indegna la vita e trasformino il malato o la persona con disabilità in un 'fardello' passivo, un costo per la società. Si tratta di un’offesa per tutti, in particolare per chi vive una condizione di malattia: questa idea, infatti, aumenta la solitudine dei malati e delle loro famiglie, introducendo nei più fragili il dubbio di poter essere vittime di un programmato disinteresse della società, e favorendo decisioni rinunciatarie. Una società civile non si può costruire su falsi presupposti, perché l’amore vero non uccide e non chiede di morire. "Inguaribile" non è sinonimo di "incurabile". La vita umana è un mistero irriducibile che non può essere descritto dai soli elementi biologici, pertanto non è ammissibile l’idea che una vita sia degna di essere vissuta solo 'a' e "in" certe condizioni. Più di tutto vorrei però soffermarmi sulla speranza, perché è questo in fondo il cuore della sofferenza, ma ancora di più dell’esperienza umana. Non c’è uomo senza speranza, è insita in lui. La circostanza – qualunque essa sia – non è obiezione alla tua felicità ma ne è il tramite: chiunque, anche in una situazione di difficoltà o di malattia, può avere speranza ed essere felice. La speranza poggia sull’incontro con un altro che spera, in lui intravede una possibilità per sé di vivere ed essere felice. Per questo considero la speranza uno strumento di cura, e di vita, bidirezionale: la dai e la ricevi, puoi trasmetterla e averla da chi ti circonda. Nel rapporto tra il malato e chi lo cura la dignità sta nell’occhio del curante, quello sguardo che liberamente si pone sull’altro ci restituisce dignità, come scrive Benedetto XVI. Allo stesso modo lo sguardo di un malato pieno di speranza che guarda chi lo cura riempie di dignità l’altro e l’azione che sta compiendo. Questo ci ha spinto a desiderare e a concretizzare l’incontro con il Santo Padre, mercoledì 7 all’udienza generale, con il suo sguardo, il suo messaggio di speranza, in modo da continuare con tenacia e determinazione il nostro percorso di vita anche con la malattia, la disabilità, la sofferenza. Si tratta di fare memoria reciproca: l’altro c’è, è fonte di speranza, è un fatto presente che deve succedere ogni giorno, soprattutto nella difficoltà. La speranza è ciò che ti fa guardare al futuro poggiando sul presente e su quanto c’è di positivo. Un’idea espressa benissimo da Andrej Rublëv nell’omonimo film di Andrej Tarkovskij: «Lo sai anche tu, certi giorni non ti riesce nulla, oppure sei stanco, sfinito, e niente ti dà sollievo, e all’improvviso nella folla incontri uno sguardo semplice, uno sguardo umano, ed è come se avessi ricevuto la comunione e subito tutto è più facile». Casa Accoglienza di ragazze in difficoltà. Casa Bruna e Dante è una Casa Accoglien za di ragazze in difficoltà. Don Giancarlo ci ha fatto conoscere Sara e Jessica, le ragazze che hanno ap erto la casa. La loro scelta ci ha subito colpito e alla stesso tempo incuriosito. Abbiamo quindi deciso di andare a conoscere questa nuova realtà. Pensavamo di trovarci a disagio e di recare disturbo, ma poi le ragazze sono state talmente ospitali che sono riuscite a farci sentire come se fossimo a casa nostra. Si è creato un legame di amicizia sia con Sara e Jessica, ma anche con le ragazze ospitate. Quando abbiamo saputo che alcune ragazze av evano lasciato la cas a, ci è dispiaciuto non poterle salutare. Anche l’inaugurazione di questa casa, che si è svolta il 29 Febbraio 2012, ci ha coinvolto come se fossimo della famiglia. Queste righe vogliono invitare tutti, in particolare i giovani, a conoscere queste ragazze e come spendono la loro vita al servizio degli altri perché pensiamo che come sta aiutando noi. Possa AIUTARE ANCHE TUTTI VOI. Grazi e a Jennifer, Titti, Joy, Alexandra, Endurance, Sara, Jessica e Nilde per tutto quello che ci hanno donato e per tutto quello che ci doneranno. Benedetta e Sonia 8 Lucio Dalla, il poeta che cantava Nelle sue parole e musiche, una lettura sapienziale della vita L e volpi con le code incendiate non parlano ma gridano pazze/ fra gli alberi per il dolore”. Era vero. È vero. Il dolore non si può dire a p arole, non è più né poesia, né canzone, né retorica. Se mai, solo la condivisione può avvicinarsi all’ustionante dimensione della sofferen za, per sentire insieme. Altrimenti è inutile. Con un’eccezione: quei due versi di Roberto Roversi cantati da Lucio Dalla in un disco che finché il sole splenderà rimarrà uno dei più importanti della musica e della poesia italiana del Novecento, “Anidride solforosa”. Adesso che Lucio Dalla se ne è andato all’improvviso, mancando di 3 giorni all’ormai famoso 4 marzo (per via di una canzon e eseguita all’odiosoamato Sanremo) – quando avrebb e compiuto 69 anni – ci si rende conto che le sue “can zonette”, soprattutto quelle scritte insieme a Roversi tra il 1974 e il 1977, hanno fatto anche un pezzo di storia della letteratura contemporanea. Perché se è vero che finalmente le antologie letterarie si stanno adeguando inserendo le poesie – perché di poesie si tratta – di Cohen, Dylan, Brel, Brassens, De Andrè, Lennon, McCartney e altri, è altrettanto vero che in quell’irrip etibile periodo sono apparse alcun e tra le più belle can zoni d’autore: per riman ere a Dalla e Roversi, “Tu parlavi una lingua meravigliosa” (e si guardi alla semplice e spoglia bellezza dei titoli) – da cui abbiamo tratto i versi iniziali –, la stessa “Anidride solforosa”, e poi “L’auto targata TO” o “L’operaio Gerolamo”. Cinquant’anni di carriera piena, dal jazz dei primordi – con gli “Idoli” e i “Flippers” – alle canzoni più vicine all’impostazione dei suoi idoli (Ray Charles e James Brown) – come “Paff...bum!” e “Questa sera come sempre” – alla s emplicità, che non vuol dire minor impegno artistico, de “Il gigante e la bambina” (una canzone in cui si parlava della pedofilia) e “Piazza Grande” (con protagonista un senza tetto), o “La casa in riva al mare” (la storia di un carcerato), il periodo della denuncia sociale con Roversi e poi il ritorno a una concezione più popolare della canzon e, ed ecco il tour con De Gregori, “Bugie”, “Dall’Ameri caCaruso ” e tanti altri successi, oltre che vere e proprie “spedizioni di confine”, nella lirica, nel teatro nel cinema. Ma di lui rimane anche un’altra lezione: la sua indipendenza. Attaccava lo sfruttamento e la violenza del sistema senza mai essersi dichiarato marxista, e questo, ai suoi tempi, era un’eresia, a sinistra. È riuscito a dare voce a mendicanti, operai morti sul lavoro, pazzi, emarginati senza fare propaganda di partito, ma anzi, affermando sempre la sua identità di cattolico. E questo nel mondo della cultura non era una pass eggiata: erano i tempi in cui si faceva a gara nel dichiararsi più a sinistra di chi stava a sinistra del Pci e nello sventolare un brillante, intelligente, ipercritico materialismo ateo. Dalla non ha mai voluto sentir parlare di conversione, perché lui cristiano ci si è sempre sentito. Non è tanto per la sua partecipazione ad appuntam enti ufficiali, come “La notte d ell’Agorà” o per alcuni testi chiaramente riferiti a Dio, ad esempio “I.N.R.I” o “Come il vento” (ma tanti anni prima, nei Sessanta aveva cantato “Il cielo”), ma per una impressionante, anticonformista presen za di immagini sacrificali nella sua musica e nei suoi testi, fossero essi viaggiatori senza meta, uomini soli e apparentement e privi di uno scopo nella vita, abbandonati da tutto e da tutti. H a fatto più politica sociale (nel senso nobile del termine) lui che tutti i partiti dell’arco costituzionale, perch é milioni di persone, giovanissimi e attempati padri di famiglia, hanno amato – e talvolta capito – le ragioni dei clochard, dei carcerati, dei solitari, degli sfruttati e degli emarginati. Valga per questo nostro ultimo saluto quello che Roversi scrisse sulle note di “Anidride solfo rosa”: “Io ti segno a dito e tu segna pure me: sono felice”. Nonostante la tristezza dell’addio, rimane la felicità di quella lunga stagione in cui bellezza e autenticità hanno camminato insieme. Follia «gratta e vinci» È cresciuto del 106% Il gioco d’azzardo– la terza industria in Italia dopo Eni e Fiat – si va diffondendo tra i minorenni: un adolescente su dieci gioca d’azzardo per una spesa media mensile compresa tra 30 e 50 eu ro. Nello scorso mese di gennaio 2012 da lotto, lotterie e altre attività di gioco sono arrivati nelle casse dello Stato circa un miliardo e duecentomila euro. I dati sono forniti da Agipronews che cita il ministero delle Finanze: il settore giochi, spiega – con un aumento del gettito pari al 12,8% rispetto allo stesso mese del 2011, ha inciso per il 3,2% sul totale. Tra le entrate relative ai giochi, il bollettino evidenzia «l’andamento positivo delle lotterie istantanee, in crescita di 125 milioni di euro (+106,8%)». Il piatto, del resto, è ricchissimo: oggi, sarà estratto il SuperEnalotto con un jackpot da 72,9 milioni di euro, che fin dal 6 gennaio è il montepremi più alto d’Europa, e dalla settimana scorsa è in pectore la quinta vincita più alta mai fatta in Italia. L’importo complessivo delle vincite centrate al Lotto da inizio anno supera i 757 milioni di euro. Nell’estrazione di sabato sco rso, riferisce l’Agicos (l’Ag enzia giorn alistica concorsi e scommesse), le vincite complessive hanno sfiorato i 21,5 milioni: la versione classica del gioco ha regalato, infatti, oltre 8,7 milioni (di cui 6,7 con l’ambo e 1,3 con il terno) e il 10eLotto ha, invece, distribuito vincite per 12,7 milioni (di cui 11,6 con le estrazioni frequenti). La vincita più alta del concorso è stata regalata proprio dal 10eLotto, si tratta di un 9 da 31.900 euro centrato a Brandizzo, in provincia di Torino, con le estrazioni frequenti. La vincita più alta con la versione classica del gioco è stata, invece, una quaterna da 27.600 euro centrata a Tarquinia – nel Viterbese – con una giocata di un euro (80 centesimi sul terno e 20 sulla quaterna). 9 RIFLESSIONI DELLA MAMMA DI MATTEO LUCA FONTANESI L unedì mattina (27 febbraio, ndr), mentre ero a scuola nella mia classe a insegnare, ho ricevuto la telefonata di mio fratello, che dalla Francia era stato raggiunto dalla telefonata di Claudio Campani (il datore di lavoro di Matteo): mi diceva che era successo un incidente, un incidente grave al mio bambino. A un certo punto l’ansia, la paura mi ha fatto chiedere l’auto a Silvia, la mia collega, e correre da mio figlio. Mentre guidavo, piangevo e chiedevo a Dio che se lo aveva preso… fosse morto subito, senza dolore. Sono arrivata là, dove c’era già mio marito che piangeva, inginocchiato sul corpo di Matteo. Quando l’ho visto, non una lacrima è uscita dal mio viso, perché Dio mi aveva esaudito: il suo viso era sereno, solo il segno della croce sulla fronte di Matte e le mie mani sul suo viso e sul suo petto a percepire per l’ultima volta il suo calore. Poi il sequestro del corpo per la Magistratura e fin almente, alle 16.00 di martedì, la visione del mio bambino vestito, risistemato e sereno come l’avevo la- sciato. Prima avevo detto a mio marito: “Non diciamo nulla a nessuno, così io, te ed Elena ce lo godiamo un po’ ”. Sbagliato! C’erano già tante person e intorno a lui. Questo però mi ha fatto piacere, tanto piacere. Poi l’arrivo dei suoi amici fedelissimi: si sono buttati su di lui a piangere, mostrando un dolore enorme. Da quel momento si è apert a una finestra sul mondo di mio figlio. Un mondo che, da bravo adolescente, tenev a per s e stesso, ma che in questi giorni ha condiviso con noi. Tanti, tantissimi ragazzi che sono stati lì a parlare, accarezzare, baciare il corpo del mio bambino… il freddo della morte non li fermava, cercav ano di scaldarlo con il loro amore. Una ricchezza infinita: in questi giorni mi sono cibata di tutti i racconti, gli aneddoti su di lui e questo mi ha riempito di grande gioia e di un amore immenso che veniva da Dio. Stavo aprendo finalmente il mio cuore alla Sua volontà e al suo progetto. Dopo, il funerale. Non lo si può chiamare tale, perch é è stata una festa, un momento di così grande gioia, partecip azione e amore che non si può descrivere. Le parole di Don Davide Fiori, il prete nostro amico che ha presieduto la celebrazione, sono arrivate al cuore di tanti ragazzi: parole di conforto, parole di speran za, parole dell’amore di Dio. Ho capito tante cose da questi giorni. Non so se sempre sono riuscita a fare il meglio per il mio bambino, a volte bisognerebbe contare fino a 10 prima di riprendere i propri figli e usare i linguaggi giusti a seconda delle età, ma quello che ho fatto, l’ho fatto con il cuore. Ho capito… che non si deve aspettare, si deve perdon are e dare un’altra possibilità. Ho capito… che Dio è grande e che p er mezzo di Matteo h a parlato al cuore delle persone, dei ragazzi, e gli ha dato la possibilità di una nuova vita. Ho capito…che io sono stata, insieme ai miei cari, strumento della mano di Dio, affinché il mio abbraccio fosse il Suo abbraccio, il mio bacio… il Suo bacio, il mio sorriso… il sorriso di un Dio che ci ama e ci ha dato una nuova possibilità. Un grazie a tutti, a tutti quelli che hanno condiviso con noi questa esperienza di grande gioia! Post-scriptum. Ai giornalisti mi permetto un suggerimento: cercate di non scrivere tutto quello che sentite o scoprite, per fare notizia. Mettetevi nei panni delle persone che sono le prime dirette coinvolte negli eventi della vita, pensate di essere loro, pens ate a come reagireste s e da quello che legg ete voi foste accusati di cose che a noi è dato di sapere e capire… La signora di 44 anni dell’incidente è venuta da me ad abbracciarmi, a dirmi che non avev a capito cos’era successo, lei aveva fatto tutto in modo prudente e io lo credo; era pien a di tristezza e di ango scia… Io l’ho conosciuta, anche lei è stata strumento della volontà di Dio: non responsabile, non indagata, no, solo un mezzo perché tutto questo accad esse nella sua pienezza! Marina Ghinolfi Funeral party La Cei ha espresso l'auspicio che ai funerali di Lucio Dalla non risuonino le canzoni di Lucio Dalla. Neanche quelle di De Gregori, in questo i vescovi sono stati assolutamente equanimi. Altro che i gorgheggi pagani (e struggenti) di Elton John alle esequie di Lady Diana. Nessuna «canzonetta» deve distrarre i fed eli dall’incontro con la morte che si celebra nel rito: salutare il feretro sulle note di «Futura» sarebbe una rimozione del problema. Mi infastidiscono gli applausi ai funerali: li ritengo una scorciatoia emotiva per non penetrare il mistero, scaricando fuori di noi l'angoscia che il suono del silenzio ci provoca dentro. Ma la bella musica non è un applauso e Dalla è Dalla, un poeta, un cuore pulsante, che poi è quanto di più sacro io riesca a immaginare. Certo, nessuno pensa di mettere un juke-box sull'altare di San Petronio o una pianola nel confessionale. Però fatico a comprendere quale danno produrrebbe alla dimensione spirituale dell'evento la presenza di un violinista che accogliesse l'ingresso della bara con gli accordi di «4 marzo 1943». E che ne direste, eminenze, se il coro dei bambini dell'Antoniano la cantasse tutta, quella canzone, che poi è la preghiera di un credente, quale Dalla era? La rigidità dei principi rimane un dono finché non si trasforma nell'incapacità di sintonizzarsi sul sentimento comune, su quella voce d'angelo che per s empre ci canterà «aspettiamo che ritorni la luce - di sentire una voce aspettiamo senza avere paura domani». 10 I Ammazzare il tempo l tempo è ciò che l'uomo è sempre intento a cercare d'ammazzare, ma che alla fine ammazza lui. Una manciata di ore, ed ecco il botto di fine anno con la tradizionale e un po' tribale e selvaggia chiassata della notte di S. Silvestro (un santo certamente infelice per l'associazion e a questa gazzarra notturna). A una certa distanza da quel momento, proviamo, invece, a interrogarci an cora una volta su questa realtà ch e aderisce alla nostra stessa pelle, il tempo, al quale ho assegnato una delle Definizioni elaborate dal filosofo positivista inglese Herbert Spencer (1820-1903). Egli ricorre a un'espressione ch e è in molte lingue, «ammazzare il tempo». Nella fras e si riflette l'angosciosa attesa di chi è immerso in un'esistenza infausta o di chi, annoiato, non trova più nessun sapore nel vivere. Alla fine, però, il tempo si trasforma in una mannaia che si chiama morte e, forse, in quel momento si recrimina perché il tempo è finito così presto. Vorrei, però, riprendere questa locuzione ma da un'altra angolatura che è suggeri ta dallo scrittore americano Henry David Thoreau che, nel suo Walden o la vita nei boschi (1854), obietta: «… come se si potesse ammazzare il tempo senza ferire l'eternità!».L'idea è profond amente cristian a: nel tempo, che è l'ambito in cui è chiamato a operare, l'uomo prepara il futuro che sta oltre la frontiera della morte. Quindi, sporcare, sciupare e dissolvere le nostre ore è predeterminare il nostro destino ultimo. È ciò che Cristo esprime col simbolo del «tesoro»: «Non accumulat e tesori sulla terra…, accumulate invece per voi tesori in cielo» (Matteo 6,19-20). E allora condividiamo la sapienza del Virgilio dantesco: «Perder tempo a chi più sa più spiace» (Purgatorio III, 78). Mons G.Ravasi 11 N EDUCARE CRISTIANAMENTE el 1963 vennero a visitare don Bosco due signori inglesi, uno di loro era ministro della regina Vittoria. Entrando nelle sala dove più di duecento giovani stavano studiando in perfetto silenzio, i due signori si meravigliarono e chiesero a don Bosco il segreto di quel magnifico comportamento. Don Bosco rispose che il segreto era non nei castighi o nella disciplina, ma nella Confessione e nella Comunione frequente. “ Peccato, rispose il ministro inglese, che noi non abbiamo questi strumenti ”. E don Bosco aggiunse: “ Se non si usano i sacramenti, allora bisogna usare la forza ”. “ E’ vero, concluse il ministro, o religione o bastone; lo dirò a Londra ”. Gioco d’azzardo, malattia da combattere IL “DECALOGO” DELLA DOMENICA DETTATO DALLA DOMENICA Io sono il giorno del Signore, Dio tuo. Io sono il signore dei tuoi giorni Non avrai altri giorni uguali a me. Non fare i giorni tutti uguali. La domenica sia per te, fratello o sorella cristiana, il giorno libero da tutto per diventare il giorno libero per Dio e per tutti. Non trascorrere la domenica invano, drogandoti di televisione, alienandoti nell’evasione, cari candoti di alta tensione. Ricordati di santificare la festa, non disertando mai l’assemblea eucaristica: la domenica è la Pasqua della tua settimana, il sole è l’Eucarestia e il cuore è Cristo risorto. Onora tu padre, e tu madre, il grande giorno con i tuoi figli! Ma non imporlo mai, neanche ai minori, e non ricattarli. Contagia loro la tua gioia di andare a Messa: questo vale molto più di cento predich e. Non ammazzare la domenica con il doppio lavoro, soprattutto se remunerativo: non violarla né svenderla, ma vivila “ gratis et amore Dei ” e dei fratelli. Considera il giorno del Signore “ il momento di intimità tra Cristo e la Chiesa sua sposa ”, come ha detto il Papa; se sei sposato, o sposata, coltiva l’intimità con il tuo coniuge. Non rubare la domenica a nessuno, né alle colf, né alle badanti, né ai tuoi dipendenti. E non fartela rubare da niente e da nessuno, né dal denaro, né dal culturismo, né dai tuoi datori di lavoro. Non dire falsa testimonianza contro il giorno del Signore. Non vergognarti di dire ai tuoi amici non credenti che non puoi andare da loro in campagna o con loro allo stadio perché non puoi rinunciare alla Messa. Non desiderare la domenica degli “ altri ”: i ricchi, i gaudenti, i bontemponi. Desidera di condividere la domenica con gli ultimi, i poveri, i malati. Non andare a Messa solo perch é è festa, ma fa festa perch é vai a Messa! Francesco Lambiasi C irca mezzo milione di italiani è avvinghiato dal demone del gioco, diventando onnivoro e aumentando la propria depressione con gravi crisi familiari. Intendiamo parlare di “gioco frenesia” con illusoria attesa di vincere. Una causa di tali comportamenti è certament e l’affievolirsi dei rapporti familiari con moglie, figli e parenti. Un vortice di miliardi spolpa molti individui ed il ritorno di questo denaro in veste pochi, che si ritengono fortunati e gratificati. L’Italia è il Paese al mondo dove si gioca di più, tra scommesse, quiz, concorsi e giochi online. Il giocatore compulsivo compromette se stesso, la sua famiglia, gli amici per questa insana eccitazione. Molti giochi e scommesse sono incentivati dallo Stato stesso: un business che supera qualsiasi manovra finanziaria. Il denaro realizzato nei giochi eccita anch e gli appetiti dei clan malavitosi che lo riciclano e moltiplicano i loro profitti. Si consulta la “smorfia” per rifarsi delle dolorose e v ergognos e perdite. Non rassegniamoci però al fatto che l’unità d’Italia sia rappresent ata – da Chivasso a Caltanissetta – soprattutto dal gioco d’azzardo! Bingo, Superenalotto, slotmachine, Gratta e vinci, Totocalcio… perfino di notte, sul web, lo scommettitore continua la sua insana corsa. Il giocatore accanito non conosce riposo, non ha tregua, per inseguire il miraggio di ricchezza ch e lo precipita in un esaurimento e stordimento grave. È una piaga che corrompe i costumi ed il modo di organizzare la vita, portando ad evitare gli impegni. Occorre una concentrazion e unitaria di tutte le agenzie educative e della stampa affinché questo tarlo del gioco “furibondo” non attivi una ricadut a negativa su tutta la società. I quattro casinò italiani sorridono stimolati da questo esuberante solletico. Si arriva a rubare dal portafoglio della moglie e dal salvadanaio del figlio per saziare questa fame irrazionale. Coltiviamo la speranza che con il nuovo anno molti giocatori e scommettitori decidano finalmente di “disintossicarsi” per non perdere, per sempre, il senso dell’esistenza. Au g u ri am o , nell’attuale momento di crisi, di attivare un forte controllo, per attribuire al den aro il “giusto valore”. don Achille Lumetti 12 DECALOGO PER LA SICUREZZA dei MINORI SU INTERNET 1. Dedicat e insieme a vostro figlio un po’ di tempo per imparare l’uso di Internet: è un investimento per la sua salute e sicurezza, inoltre resterete sorpresi di quanto possa essere divertente. Usate sempre l’accesso sicuro Davide.it 2. Non mettete il computer nella stanza dei ragazzi, ma in un luogo comune a tutti i membri della famiglia: non isolate i vostri figli e non lasciateli soli. 3. Incoraggiate i vostri figli a comunicarvi se si imbattono in siti sconvenienti e lodateli per avervelo detto; evitate reazioni esasperate per non intimidirli. 4. Date rilievo ai siti buoni e al materiale che offrono: incoraggiate l’uso positivo della rete. 5. Insegnare ai vostri figli a utilizzare responsabilmente la posta elettronica. State con i più piccoli durante la lettura dei messaggi, controllando eventuali allegati. 6. Insegnate ai vostri figli a non dare a nessuno su Internet informazioni personali (nome, indirizzo, numero di telefono, e-mail o foto) senza il vostro esplicito permesso. 7. Non permettete ai vostri figli di usare chat non sorvegliate o non adatte ai ragazzi. 8. Non consentite che i vostri figli abbiano incontri a tu per tu con persone conosciute su Internet, a meno che sia presente qualcuno di vostra fiducia. 9. Stabilite insieme ai vostri figli quanto tempo al giorno possono passare su Internet e , soprattutto, non considerate il computer un surrogato della baby-sitter. 10. Incoraggiate un sincero dialogo con i vostri figli riguardo ad Internet, informatevi sui loro interessi e sui siti che visitano abitualmente. La miglior protezione sono le buone relazioni familiari. IL DETTAGLIO U n sorriso di riconoscenza, uno sguardo assente, un tremore nella voce… Quanti piccoli dettagli ci perdiamo nella vita di tutti i giorni! E anche qui in Oratorio. Un bambino che vuole essere ascoltato, una frase di traverso, una preghiera detta sottovoce… Ma cos’è il dettaglio se non piccola cosa? Per molti trascurabile? Sr. Rosalina, assieme alla comunità Shalom, vive di dettagli. “Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?” È grazie ai gigli dei campi che sappiamo l’amore che Dio ha per noi. Perché Dio cura i dettagli: I colori dei fiori, le venature delle foglie, le piume degli uccelli, la precisione geometrica di ogni fiocco di neve, le sfumature del mare… “Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà gia le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.” La comunità di sr. Rosalina non si affanna per il domani, ma vive di provvidenza. Non riceve finan ziamenti da nessun ente statale. Non pensa al materiale. I ragazzi della comunità curano la propria anima, la vestono di dettagli, scoprendo così l’amore immenso di Dio Padre. E noi? Curiamo la nostra anima? Cerchiamo prima di ogni cosa il regno di Dio e la sua giustizia? Notiamo il dettaglio? Questa domenica sarà festa grand e in Oratorio. Una festa che durerà tutto il giorno, e che animerà la parrocchia intera di musica, canti e amicizia. Ma non dimentichiamoci dei dettagli. E, sul finire della festa, prima di rincasare, andiamo per i campi, nei prati, alla ricerca dei gigli…sono dettagli, appunto, ma fondamentali. Nicolò 13 Tanti auguri a … Vorremmo fa re tan auguri ai ragazzi della nos tra pa rrocchia che nel mese di Aprile compiranno gli anni Aguzzoli Alice Aguzzoli Anastasia Algeri Alessia Alla Daniele Amrani Jasmine Andreola Costa Daiani Appiah Asia Aracri Elena Aracri Salvatore Arati Matteo Baraldi Gaia Barbieri Alessio Bari Valentina Battistini Tommaso Bedogni Alice Ben Sassi David Benfenati Cristiano Bennici Rosaria Berselli Gabriele Bertolani Giada Bertoni Giulia Bianco Andrea Bianco Matteo Braglia Davide Brogio Arianna Caliumi Marco Caliumi Veronica Ceccardi Gloria Cecchel ani Caterina Cecchetto Ariann a Cecchetto Samuele Cellarosi Elisa Cellarosi Marco Chiarenza Claudia Cirillo Salvatore Colaninno Elisa Colasanti Silvia Contini Federica Costa Stefano Costi Martina Crucitti Manuela Cupello Francesco Cursio Matteo Davoli Marco Davolio Erik De Nuccio Francesca Denti Samui Di Giuseppe Stefano Di Maio Alessandro 24/apr 20/apr 14/apr 03/apr 07/apr 01/apr 07/apr 24/apr 07/apr 14/apr 24/apr 02/apr 07/apr 20/apr 05/apr 22/apr 27/apr 12/apr 24/apr 05/apr 28/apr 10/apr 08/apr 23/apr 08/apr 23/apr 29/apr 06/apr 28/apr 07/apr 07/apr 16/apr 05/apr 10/apr 20/apr 16/apr 04/apr 14/apr 30/apr 22/apr 18/apr 15/apr 13/apr 11/apr 15/apr 06/apr 29/apr 15/apr 30/apr Di Marzio Giacomo Michele 6/apr Di Tuoro Luisa 05/apr Diluca Davide 27/apr Diluca Silvia 16/apr Dipierro Luca 03/apr Dumitrache Cosmin Madalin 13/apr Duodu Elisa Yasmin Abena 10/apr El Khouly Naglaa Fathi Ahmed Mohamed 28/apr Errico Domenico 21/apr Ferrari Alex 28/apr Fila Alessandro 10/apr Fratti Enrico 13/apr Fretta Alessia 15/apr Fusoni Linda 14/apr Galli Nikos 17/apr Galloni Matteo 14/apr Gasparini Federico 05/apr Gatti Azzurra 12/apr Gentile Raffaele 21/apr Ghizzi Fabio 24/apr Gilioli Giulia 10/apr Gilioli Laura 26/apr Gjini Robert 26/apr Grisendi Eleonora 10/apr Guglielmi Tiziano 26/apr Hoxha Daniel 26/apr Hu Tian Xiang 24/apr Hu Tianci 24/apr Iori Mattia 05/apr Koci Adi 13/apr Labra Dani ele 16/apr Lombardi Silvia 28/apr Lombardo Fabrizio Giuseppe 24/apr Lozupone Lucrezia 08/apr Magnani Alessia 24/apr Manfredini Cristina 30/apr March etti Laura 28/apr Martin Tanita 03/apr Mascarell Garci a Carlos Ernesto 15/apr Masullo Simone 29/apr Medici Dario 09/apr Memetaj Shkelqim 17/apr Menozzi Davide 27/apr Menozzi Nicol 25/apr Merkohitoj Egli 06/apr Merli Tommaso 04/apr Messina Giulia 03/apr Milillo Giovanna 23/apr Miranda Francesco 03/apr Modica Camilla 20/apr Morbilli Ilenia 20/apr Muzzarelli Gaia 28/apr Nawri Adam 17/apr Nilo Giovanni Edoardo 30/apr 14 Nironi Chiara 12/apr Obreja Geanina 25/apr Onesti Filippo 07/apr Orlandini Edoardo 05/apr Pagliani Laura 05/apr Palladini Alberto 30/apr Pederzini Jacopo 04/apr Pellino Antonio 17/apr Pergjegaj Elona 02/apr Petrovici Denis Gheorghe 21/apr Piccinini Ilenia 28/apr Poti' Simone 30/apr Rabitti Andrea 20/apr Regnani Federica 04/apr Romita Giovanni 28/apr Rondini Francesco 18/apr Rossi Alessandra 12/apr Rossi Eduardo 29/apr Rossi Giulia 26/apr Rossi Mattia 27/apr Rossi Tommaso 22/apr Ruffini David 07/apr Schenetti Alessandro 11/apr Siciliano Lidia 21/apr Signoriello Federica 19/apr Solci Valentina 11/apr Soncini Tommaso Artem 08/apr Sorte Federico 16/apr Stefani Sara 05/apr Storchi Andrea 16/apr Stradini Eleonora 02/apr Tamelli Simone 06/apr Teggi Matilde 09/apr Tinica Ana 30/apr Torriero Fabio 24/apr Trizzino Davide 17/apr Vaccari Giulia 18/apr Valcavi Francesco 13/apr Vezzosi Simona 19/apr Vignali Emanuele 25/apr Wierzbi cka Natalia Oliwia 11/apr Zafferri Manuel 29/apr Zanardo Elettra 23/apr In Africa il coniglio è considerato l’animale più furbo. Questa volta però la sua furbizia non gli è d’aiuto. Quando si scherza con l’amicizia… Il coniglio e la scimmia erano molto amici. La scimmia aveva affetto vero, l’amicizia del coniglio era solo apparente, amicizia interessat a. Un giorno, il coniglio cucinò la sua bibita: sette vasi. Mandò un messaggero a chiamare la scimmia, dicendo: «Amica, qui ho preparato la bibita. VoIl coniglio e la scimmia erano molto amici. La scimmia aveva affetto vero, l’amicizia del coniglio era solo apparente, amicizia interessat a. Un giorno, il coniglio cucinò la sua bibita: sette vasi. Mandò un messaggero a chiamare la scimmia, dicendo: «Amica, qui ho preparato la bibita. Voglio che domenica prossima tu venga a bere. Porta tutti i tuoi amici che vogliono venire. Ci sarà festa con danze ch e neppure immagini». La scimmia al sentire questo, disse: «Questo discorso mi piace. Non posso mancare. Verrò senz’altro». Il sabato, il coniglio diede fuoco a tutto il bosco vicino alla sua casa, e così tutt’intorno rimase bruciato. E buttò via tutta l’acqua che av eva nei recipienti. Così non c’era più acqua in casa del coniglio. Il giorno seguente, le scimmie arrivarono con i campanelli alle gambe per ballare. Il coniglio, al vederle, disse: «Avete fatto bene a venire. Cominciamo subito, mangiando la carne che ho cucinato in onore delle anime dei miei antenati. Però questa carne va mangiata da chi ha le mani pulite… Così, lasciatemi vedere le vostre mani». Quando mostrarono le loro mani, tutte sporche di fuliggine, il coniglio esclamò: «Ah! ah! ah! Così non può essere. Avete le mani sporche. E noi qui non abbiamo acqua, neanche una goccia. Non c’è altro rimedio se non andare al fiume a lavarvi». Quelle scimmie se ne andarono al fiume a lavarsi le mani. E il coniglio fece fuori la carn e con i suoi amici. Fatto il bagno, le scimmie ritornarono passando un’altra volta nel bosco bruciato, e così le loro mani si sporcarono di nuovo. Al loro arrivo, il coniglio disse: «Vediamo adesso, come stanno le vostre mani… Niente, niente! Maledetto bosco! Siete troppo sporche. Andate di nuovo al fiume a lavarvi». Eccole che vanno a lavarsi di nuovo le mani… Quando, però, tornarono dal fiume la seconda volta, trovarono che la bibita era già finita. E il coniglio si rotolava per terra dalle risate. Le scimmie, per la fame, non poterono ballare. E così tornarono a casa con i loro attrezzi, e agitando moge moge la coda. La scimmia, amica del coniglio, cominciò a pensare: «Cosa devo fare?… Voglio dare una lezione a quel mio amico. Vedrà! Bisogna finirla con questa malcreanza». Dopo qualche tempo, la scimmia pensò anche lei di dare una festa. Mandò il messaggero al suo amico coniglio, dicendo: «Amico coniglio, ho cucinato la bibita in ricordo dell’anima del mio papà. Ho pensato che non sarebbe giusto fare questa cerimonia lasciando in disparte il mio miglior amico. E questo senz’altro sei tu, coniglio mio! Vieni con tutti gli amici e colleghi, almeno per bere un bicchierino! Ci sarà posto per tutti voi. La bibita incomincia ad essere pronta venerdì; e il giorno seguente, sabato, ci sarà il sacrificio e il grande pranzo». Il sabato, dunque, il coniglio con i suoi amici arrivò a casa della scimmia. Vide i recipienti pieni straripanti. La bibita bolliva: «Uè, uè, uè; tu, tu tu». Il coniglio pensò: «Ah! oggi, dunque, qui berremo sul serio, mangeremo a crepap elle, e ci sazieremo!…». E diceva ai compagni: «Ragazzi, sedetevi per terra, e aspettiamo che ci indichino il nostro posto». Da un’altra parte, la scimmia chiamò quelli della casa e disse: «Portate i recipienti della bibita sugli alberi. Presto! Fate in fretta!». Lavoro fatto, la scimmia andò dal coniglio, e disse: «Sai, amico? Il mio papà, sul punto di morire, mi disse che non voleva che il sacrificio venisse fatto per terra, perch é, come sai, la nostra vita la viviamo appese agli alberi. Dato che anche lui faceva sempre così, volle che il sacrificio del suo ricordo venisse fatto su in alto. Tutti voi, dunque, che siete arrivati qui, venite, saliamo a bere lassù!». Tutte le scimmie salirono, e i conigli rimasero a terra, alzando la testa e guardando in su… Provarono a saltare, ad aggrapp arsi agli alberi… Niente! Cercarono dapp ertutto una maniera di salire… Non c’era verso! Frattanto, le scimmie stavano godendosi la loro bibita… Dopo un po’, cominciarono a saltare da un albero all’altro. Alcune con gli ornamenti da ballo, campanelli alle gambe, abbigliate sfarzos amente, facevano ogni specie di danza, mentre altre suonavano una varietà di strumenti, cose tutte che i conigli non avevano a casa loro. E così le scimmie finirono tutta la loro bibita, senza lasciare niente. I conigli per terra prendevano sugli occhi i resti solidi della bibita; e le scimmie se ne facevano beffe. Quando finirono, le scimmie scesero a terra. I conigli, vedendo che non c’era più niente per loro, tornarono a casa pieni di fame e sete. E da quel giorno finì l’amicizia del coniglio con la scimmia. 15 16 Convegno sull’accoglienza D ne incidono su ciò che vogliamo essere, e su ciò che ci circonda. Ma non abbiamo nessuna intenzione di immolarci eroicament e in esperienze dolorose e drammatich e che possano mettere a rep entaglio la nostra emotività ed i nostri affetti. Abbiamo però scoperto che a ccettando un po’ di quel rischio (soprattutto sorvegliandoci a vicenda ), si possono conoscere emozioni straordinarie, e soprattutto si può imparare molto di se e d elle persone che amiamo. Il cammino di tante famiglie sull’accoglienza, ha fatto nascere la cons apevolezza che accogliere è fare spazio all’altro ma anche uscire dagli ambienti del nostro vivere domestico e privato per affacciarsi verso l’est erno, verso chi ci vive a fianco. Ecco perché qu est’anno il Convegno vuole essere l ’occasione di riflettere sullo “spirito del cortile”. E’ il tentativo di andare oltre, di creare un co rtile ch e non cl assifichi le famiglie in accoglienti da una p arte e in bisognose di accoglien za dall’altra, ma che permetta a tutte di essere sé stesse. Un cortile che sappia valorizzare il poco che ognuno sa dare e non debba nascond ere il tanto di cui tutti hanno bisogno, così come testimonia questa altra famiglia: Siamo contenti di avere vissuto l’accoglienza di Fatima, per ché ci ha aiutato ad aprire gli occhi sulla realtà che ci circonda. I bambini abbandonati esistono nella realtà, al di fuori dal mondo della TV, e se per Fatima è stata trovata una famiglia, sappiamo che per tantissimi altri bambini questo non succed erà. Questa esperienza farebbe b ene a tutte le famiglie per aiutarle a diventare più disponibili e per ricordare che bisogna aiutarsi senza discriminare nessuno. In cambio di un piccolo sforzo ci si può arricchire tanto. omenica 25 marzo, presso l’Orato rio “Don Bosco” a Reggio Emilia in Via Adua, si svolgerà il Convegno sull’accoglienza dal titolo “Dalle querce di Mamre al cortile di casa”. L’appuntamento è proposto dalle Case della Carità (Famiglie del Gelso), insieme all’Ufficio di Pastorale Familiare e alla Caritas diocesana e vuole essere occasione per tutti di fermarsi a riflettere sul tema dell’accoglienza in famiglia e tra famiglie. Perché dedi care spazio al tema d ell’accoglienza? Semplicemente perché è la via indicata d al Vangelo per vivere alla p resen za del Signore: “Chi accoglie uno di questi piccoli nel mio nome accoglie me”. Accogliamo, dunque, prima di tutto, per rispondere alla chiamata del Vangelo. Accogliere è lasciare entrare il Signore, lasciare che Lui ci trasfo rmi; è accettare che emerg a palesemente la nostra claudicanza come sposi, come singoli, come genitori e figli; è l’occasione di accogliere Cristo che entra nella nostra casa (“Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza sap erlo hanno accolto degli angeli” - Eb. 13, 2) e ci rivela la Verità. Accogliamo perché la premura per i nostri fratelli che si trovano in situazioni di bisogno è a fondamento di un a societ à più giusta e più in pace. Non possiamo continuare a difenderci e a chiuderci n ei nostri “appartamenti”. La p rossimità e la solidarietà nei confronti di chi h a bisogno deve essere il modo “normale” del nostro vivere le nostre relazioni. Una famiglia, al termine della su a esperienza di affido in emergen za, riflette: Per noi non è un optional la coerenza, ed i valori con cui cerchiamo di viver e sono parte d el nostro quotidiano. La scelta di aprire la nostra casa appartiene ad una riflessione che da sempre cerchiamo di s eguire e di far scorg ere an che alle no stre figlie; si è parte di una comunità, e anche le piccole azio- Famiglie del Gelso 21 marzo: arriva la Primavera: la leggenda della Primula Q uel anno la Primavera sembrava non dover più arrivare; gli animali del bosco la attendevano con impazienza; l'Inverno era stato molto freddo e tutti, dalla lepre, allo scoiattolo, agli uccelli non vedevano l'ora che se ne andasse, lasciando il posto al primo tiepido sole che potesse scaldar loro le pellicce e le piume. Ma l'Inverno, ormai vecchio e un po' sordo, non voleva proprio levare il disturbo, tanto che tutti gli animali iniziarono a dirgli: "Insomma, vuoi andartene si o no ?" "Non è ora che lasci arrivare la Primavera?". Insomma, tanto fecero e tanto dissero che l'Inverno si arrabbiò davvero e disse tra se e se : "Ah si eh ? volete mandarmi via... ma io ve la farò pagare"; chiamò i suoi due fidi alleati, il gelo e la tempesta e disse loro : "Nascondetevi dietro quel cespuglio e quando vedrete arrivare la Primavera spingetela in quella grotta; io penserò al resto". Quando la Primavera, puntuale come ogni anno, fece capolino al limitare del bosco, la tempesta saltò fuori dal cespuglio dietro il quale era nascosta e soffiando un vento gelido la spinse fin verso la grotta dove il gelo costruì una barriera di ghiaccio per non lasciarla uscire. La lepre avev a assistito a tutta la scena e corse subito dagli altri animali del bosco per chiedere che cosa fare; ma nessuno sapeva come liberare la Primavera rinchiusa nella grotta. "Andiamo a chiedere consiglio al Sole " disse il pettirosso, che sapeva che il Sole era amico della Primavera. "E' una brutta situazione " - disse il Sole - "ma io so come aiutarvi"; accompagnato da un corteo di candide nuvolette si avvicinò ad un ruscello vicino alla grotta e, al suo passaggio spuntarono dei piccoli fiori, le primule. "Prendete una di queste primule" - disse il Sole - "e andate subito alla grotta; sono fiori magici, ed il ghiaccio si scioglierà". La lepre, senza farselo dire due volte, strappò una primula con i suoi denti aguzzi e corse alla grotta, dove i tre compari si erano addormentati dopo aver festeggiato la cattura della Primavera, e, come aveva detto il Sole, il ghiaccio si sciolse, lasciandola finalmente uscire. 17 18 POSSO TORNARE A CASA MESSO COSÍ? G iuro che non l’ho fato apposta, per provocare. È venuto così, senza cercarlo, senza doppi fini. Sono giunto sul posto della messa e ho aperto lo zainetto dove metto gli indumenti e gli oggetti della messa. Ho notato che non c’era il camice. Probabilmente la signora che lava gli indumenti della chiesa, ha pensato bene di aprire lo zainetto per vedere le condizioni in cui si trovava il camice e la stola viola del tempo di quaresima e ha pensato bene di lavare il tutto. Dal canto mio non ho provveduto a guardare dentro, per verificare se tutto era a posto prima di partire per tre giorni in una regione della parrocchi a. Sono giunto così, sul punto della messa senza camice e stola viola, come la liturgia di quaresima esige, ma solo con una stola verde, tipica del tempo comune. Appena ho notato che non c’era il camice mi sono accorto che addosso avevo la maglia rossa di Che Guevara. Anche questo fatto non è voluto: era una delle ultime rimaste nell’armadio. A questo punto mi rimanevano due alternative: o tornare a casa (20 km) per prend ere il camice e la stola viola, o celebrare messa così, normale, mettendomi la stola verde sulla maglia rossa di Che Guevara. E così è andata. Nessuno mi ha detto assolutamente nulla. Nessuno si è avvicinato per dirmi qualcosa né sul camice, nel sul colore della stola, né tanto meno sulla mia maglietta rossa di Che Guevara. É stato in questo momento che sono diventato triste, perché il mio pensiero é andato immediatamente all’Italia, al fatto che fra pochi mesi tornerò in Italia definitivamente (an cora faccio fatica a crederci: vedremo). Senza dubbio lì in Italia non sarei passato inosservato e vari laici mi avrebbero criticato, richiamato, insultato. Certamente se fossero stati presenti sacerdoti e suore in un contesto simile sarei stato richiamato dalla curia, come minimo. E poi la gente si chiede perché noi missionari facci amo così fatica a tornare! Perché le persone della comunità di Taboa no mi hanno detto nulla? A questo inquietante interrogativo posso dare alcune risposte. La prima è che n elle comunità di base il prete appare poche volte all’anno. Nella parrocchia di Ipirá, per esempio, formata da più di 100 Comunità di base, la gente vede il prete tre o quattro volte all’anno. Senza dubbio i liders di comunità incontrano spesso il sacerdote, sia negli incontri formativi, che in altri momenti. Per la maggior parte delle persone, però, l’incontro con il sacerdote, nelle nostre parrocchie formate di molte comunità, è un fatto non molto frequente. Forse è per questo che le p ersone non h anno tempo d’interessarsi molto dei vestiti e delle maglie del prete. Guardano e pens ano ad altre cose. Al t ro motivo. Per le p ers o n e p res en t i alla messa di s a b at o pomeriggio nella comunità di Taboa l ’im p o rtante è la celebrazion e, la Parola di Dio, l’Eucaresti a, il cantare e pregare assieme: il contorno non è molto importante. Abbiamo celebrato a casa di una signore di 94 anni che vive da sola e alla quale tutti vogliono molto bene. Me lo diceva il signor Dori dopo la messa: siamo venuti in tanti perché vogliamo molto bene alla signora Binha. Siccome la casa è molto piccola abbiamo deciso di celebrare fuori, come molto spesso succede, anche perché si sono presentate per la messa una quarantina di persone. Nessuno dei presenti arrivati aveva un volto triste, nonostante la siccità stia castigando questa terra. Per le persone d elle comunità di base partecipare alla messa mensile o bimensile è un piacere, una cosa bella e non un dovere o un precetto. Ci si trova non solo per preg are, ma anche per aggiornare la situazione, rivedere gli amici che da tempo non s’incontravano. Dopo la messa, infatti, c'è sempre il classico cafezinho con un pezzo di torta o biscotti. La messa che celebro n elle comunità di bas e è sempre avvolta d a molta umanità, dando così sapore e significato alla stessa celebrazione. In 13 anni di Brasile non ho mai celebrato una messa s enza che ci fosse qualcuno a cantare. Anche nella più piccola Comunità Ecclesiale di Base, c’è sempre chi prepara la messa o la celebrazione. Ben diverso è il quadro in Italia. Il prete è sempre presente nella parrocchi a, formata da un’unica comunità. Forse è per questo che si ha il tempo di osservare i suoi abiti liturgici e non. Oltre a ciò è significativo anche il modo di celebrare la liturgia. Quante messe domenicali ho cel ebrato sen za ch e nessuno cantasse? Quante volte nella fatidica messa delle 11,30 nessuno si presentava a leggere? Importante è che ci sia il prete con il camice e con la stola giusta: il resto non c’entra. Se nessuno canta o se si recitano il gloria e l’alleluia invece di cantarli (cos a che non è mai successo nella mia esperienza brasiliana!) nessuno dice nulla; se il prete si presentasse s enza camice, con la semplice stola sulla maglietta sarebbe l’argomento prediletto per settimane! E se poi questa maglietta fosse rossa con l’immagine di Che Guev ara stampata sopra: apriti cielo! Sono contraddizioni. Mi chiedo dove stia il senso di tutto questo ‘malessere’ religioso. Che cos’ è successo per cadere in un formalismo così pietoso, sterile e ipocrita? Perché siamo arrivati al punto da non farci ribrezzo una m essa domenicale senza vita? O peggio: perché nonostante tutto, la gente continua a frequ entare questi riti funebri che sono diventate le messe della domenica, in molte chiese italiane? Io continuerò, finché potrò, a celebrare le messe nelle comunità di Base, per trovare ispirazione e forza a celebrare anche nella mia amata terra. Nella speranza di essere accolto (spero bene). Pe Paolo Cugini 19 Intervista a Osvaldo Poli «L’adolescenza è il trionfo del padre» Incoraggia i figli ma non li assedia, La madre stanca e sgomenta deve fare un passo indietro. L’autonomia? Una conquista lenta» O In questo secondo tempo della partita, la linea deve esser maschile e patern a, questo indipendentemente che i figli siano maschi o femmine. Il padre incoraggia e non protegge, li assiste quando si sono fatti del male ma li tratta da grandi: usa il metro della respon sabilizzazion e invece che romp ere le s catole. Il padre conosce il potere sulla loro vita: tratta il figlio come uno che è capace di capire e si prende la responsabilità della sua vita, gli fa gli auguri, lo vede fuori di sè ma non gli impedisce di sbagliare, di conoscere il prezzo dell’erro re. svaldo Poli accompagna an cora una volta i genitori vicentini nella crescita di Aristide, il “tatone” mantovano che è di-ventato nelle sue conferen ze il prototipo dei vizi e delle virtù dei figli d’oggi. Aristide affront a l’adoles cenza. Anzi: i genitori di Aristide fanno i conti con l’adolescen za, e lo psicologo e psicoterapeu ta di Castel Goffredo (pubblica con Edb e San Paolo edizioni, l’ultimo libro si intitola “Né asino, né re”, ) fa loro coraggio ieri in Fiera - coniugando nei suoi interventi competenza aqui sita e simpatia genetica. Adolescenza non è sinonimo di malattia. Ma non si può nemmeno dire che sia una fase lieve della vita. Il nostro Aristide cresce ma non va incontro a quella ch e comunemente viene ritenuto il periodo cattivo: io credo da sempre che l’adolescen za sia una fase piacevole, interessante, con soddisfazioni non da poco contrari amente a come vien e sempre dipinta. In genere viene mal capita e male interpretata. Non è il tempo della ribellione: non c’è legge psicologica ch e stabilisca che per essere grandi e liberi bisogna correre rischi e rifiutare l’eredità valoriale della famiglia. Anzi, l’adolescenza è il luogo dell’internalizzazione del valore, della libera e personale ad esione al valore. Un ragazzo in questo periodo dice i suoi sì, ritiene giuste alcune cose che mag ari coincidono con quanto gli hanno insegnato e altre volte no. Mentre le madri invece... Il padre accetta la su a rel ativa impotenza a salvare il figlio ad ogni costo, mentre la madre si dispera, lotta per anni e fatica ad accettare che non può studiare al suo posto, fare le cose giuste al suo posto. Gli adolescenti preferiscono il padre perch é gli sta meno addosso e si sentono trattati da grandi. Le madri arrivano all’adolescen za sgomente, naturalment e stufe, sull’orlo di una crisi di nervi, perché il figlio non le ascolta più. Quando un figlio non ti ascolta sei al capolinea, le cose sfuggono di mano, significa che non c’è più autorevolezza. E allora subentra il padre. E come si fanno i conti con l’esterno su cui si perde il controllo: la rete degli amici, la scuola, le esperienze? Che abbiano amici, compagnie, gruppi è una benedizion e non una fonte di pericoli. L’esterno v a govern ato con misura ma è scritto che l’adolescente si debba sottoporre alla sguardo altrui che non è prevenuto, è lucido, spietato: se gli amici devono dire a tuo figlio che è ciccione glielo dicono senza problemi. È più facile che i ragazzi si ritrovino nello sguardo canaglia degli amici che in quello tenero della mamma. Il bagno nella realtà aiuta a capire chi sei, al di là dell’immagine consegnata dalla famiglia: una madre dice “poverino”; amici, professori e conoscenti invece non tollerano i difetti, non li scusano. Anche il web, un’altra relazion e che non si governa, va gestito con saggezza: inutile cercare di resistere, bisogna accettare emotivamente che il figlio cres ce e divent a autonomo, gestendo per la prima volta le redini della propria vita. Altrimenti quello con i genitori diventa un rapporto di odioamore. Allora quando si capisce che Aristide sta diventando grande? Quando un genitore lo ved e studiare da solo, senza star lì a ripeterglielo. Quando sceglie cosa è giusto e cosa è sbagliato seguendo la voce d ella sua coscien za. In questo senso l’adolescenza non è malattia ma una benedizione: segna l’uscita dall’infanzi a. Il problema oggi è che anche dai 15 ai 20 anni gli stili restano ancora infantili e a cres cere non si comincia nemmeno. I conflitti e i dissapori che accompagnano i rapporti tra geni tori e figli sono dovuti a questo? La conflittualità non è colpa del periodo di crescita ma del fatto che i genitori non accettano più comportamenti immaturi. La ribellione è dei genitori che dicono “non ne posso più di te”: un bambino di 20 anni è insostenibile. Perché non crescono? Colpa spesso della nostra educazione esclusivament e ispirata al codice materno, che risparmia ai ragazzi fatiche e rinunce, termini impronunciabili....ma che sono invece le cose che li fanno diventare grandi, liberi e forti. Come favorire allora l’autonomia degli adolescenti? Facendoli ad esempio partecipare a gruppi sociali, dagli scout in su, dove assumono delle responsabilità già da ragazzini. Mandarli all’estero? Farli lavorare? Ma non vanno via d a cas a nean che con le can nonate. Sono sostanzialmente impreparati ad affront are la vita perch é il nido caldo è invitante. L’autonomia è un processo che si costruisce fin da piccoli, non impedendo l’esperienza del dolore e delle conseguenze dei loro gesti. La paura maggiore dei genitori è che si facciano male, che se non studian non andranno alle sup eriori e poi all’università, che se es cono in strada incontrino brutte compagnie o che qual cosa dan neggi la loro vita. Così non li si salva: non li si fa diventare grandi. L’adolescenza, lei scrive, è il tempo del padre. Perché il padre li schioda dalle strutture psicologiche dell’immaturità. Nel cambio di stagione la madre se è normale fa un passo indietro e consegna il figlio al padre, si adatta ad un sentire che è più maschile altrimenti i figli non crescono. 20 Il tempo P erch é gli uomini possano guadagnare l'eternità beata, Iddio ha dato loro un mezzo: il tempo. Il tempo è un dono prezioso del Creatore, il quale, secondo i suoi fini provvidenziali, lo dà in diversa misura, a chi più ed a chi meno, raccomandando di non sprecarlo. Si legge nel Libro dell'Ecclesiastico: Figlio, custodisci il tempo! (Eccl. IV, 23). - Viene la notte, dice Gesù Cristo, quando nessuno può operare. (S. Giovanni, IX, 4). - La notte indica la morte; soltanto nel giorno della vita si può operare per il Paradiso. L'operaio che spreca nell'oziosità una sola ora lavorativa, non sa fare il suo interesse. Eppure nel mondo quale uso si fa del tempo? Un terzo della vita si dedica al sonno; è una necessità e la necessità è volontà di Dio. Una parte notevole è dedicata alla ricerca del pane quotidiano. Ma quante ore giornaliere si rendono inutili! Si cerca il passatempo! Non si sa cosa fare per ammazzare il tempo! ... San Domenico Savio, morto a quindici anni, lavorava indefessam ente per arricchirsi di meriti per il Paradiso. Prima che si ammalasse gravemente, un compagno gli disse: Ma riposati! Tutto il bene quest'anno vuoi fare? E gli altri anni cosa ti resterà a fare? - Rispose il Santo: Opero il bene ora, che ne ho il tempo! Il tempo più utile per l'eternità è quello che s'impiega a compiere opere buone: pregare, soddisfare al proprio dovere, esercitare la carità, lottare contro le cattive tendenze.. .. Per i mondani il tempo migliore è quello dei divertimenti. Usciva una donna dalla Chiesa, dopo avere ascoltata la Messa. Fu fermat a da una conoscente, ch'era di passaggio. - Quanto tempo tu sprechi in questa Chiesa! Ma cosa ne guadagni? I Preti ti danno forse denaro? Cosa porti a casa? ... La mattina vai a Messa, al pomeriggio alla Benedizione ed alla sera dici il Rosario! Si vede che sei sfaccendat a! Almeno a questa età impara ad impiegare ben e il tempo! Se comandassi io a casa tua! ... La pia donna lasciava dire; poi rispose: Comincia tu a non sprecare il tempo, col dirmi ciò che non hai diritto di dirmi e col piantarmi qui sulla strada! ... Io devo dare conto a Dio e non a te! A casa rendo certament e più di te! ... Perché non pensi al tempo che perdi quando stai allo specchio, con i continui passeggi, con l'andare ogni sera al cinema? ... - Quello non è tempo perduto, perché mi diverto! - Tu ti diverti con queste sciocchezze, io invece con cose più serie. Ricordati però che il tempo passato non ritorna più; arriverà l'ultimo giorno per me e per te. Quando entreremo nell'eternità, mi saprai dire chi di noi due ha sprecato il tempo! . . Calendario liturgico valido fino ad agosto 2012 21 22 In Paradiso non ci saranno né scontenti, né invidiosi I n Paradiso ogni Beato occuperà felice il posto assegnatogli dalla giustizia divina secondo i meriti acquistati sulla terra. L’amor prop rio, l’incontentabilità e l’invidia sono stati inceneriti dalle fiamme del Purgatorio e dall’amore di Dio, e nelle anime non ne rimane neppure un atomo. In Paradiso la volontà di ogni Beato si identifica con quella di Dio. Ognuno è contento del posto assegnato a sé e agli altri, e non desidera altro perché quello che Dio ha assegnato a ci ascuno è giustissimo e non poteva essere diversamente. Quantunque in Paradiso tutti siano pienamente felici, non tutti però godono dello stesso grado di felicità. Più meriti l’anima porta nell’eternità, più grande sarà la sua felicità, come nell’In ferno chi più peccati ha fatto, più ha da soffrire, chi ha fatto meno peccati, meno soffrirà. In Paradiso quindi non ha la stessa gloria, la stessa felicità il bambino morto piccolino e il Martire che ha sparso il sangue per Gesù Cristo. I Santi, che hanno esercitato le virtù in grado eroico, godono immensamente di più del semplice cristiano, o di colui che si è convertito e si è rimesso in grazia di Dio in punto di morte. Dice Gesù (Giov. 14,2): «Nella casa del Padre mio ci sono molti posti». Con queste parole il Signore ci vuol dire che in Paradiso ci sono molti posti, molta varietà di felicità. I Beati quindi godono in misura diversa. Però, nonostante la differenza di felicità, in Paradiso non ci può essere invidia e gelosia tra i Beati, perché l’invidia e la gelosia appo rtano dispiacere, malcontento, rabbia, ecc., ed allora il Paradiso non sarebbe più Paradiso. In Paradiso tutti sono felici, pienamente felici e non invidiano la gloria e la felicità altrui. Un esempio chiarificatore. In una famiglia si fanno indossare gli abiti nuovi a tutti i figli. Il bambino di cinque anni è contento del suo abitino e non invidia e non desidera il vestito del fratello di venti anni, perché non sarebb e adatto per lui. Così sopra un tavolo stanno diversi bicchieri di differente capacita Si riempiono di acqua Il bicchiere più piccolo non può conten ere l'acqua di quello più grande Tutti pero restano perfettamente pieni Cosi in Paradiso la disparità di merito e di premio non suscita invidia e gelosia non crea distanze. Ognuno guard a con tranquillo compiacimento la porzione di felicita altrui e ne e sinceram ente conten to. Quale gioia grandissima proverà in Paradiso il Beato nel ricevere cumuli di beni e di favori e vedersi guardato dagli altri Beati con occhi di sincerissima compiacenza, stima, rispetto e amore, sempre circond ato da volti felici della sua felicità; avere la certezza ch e la sua felicità produce soltanto aumento di gioia! Perciò ogni Beato occuperà gioiosamente il proprio posto, incastonandosi nella rosa dei Beati con la propria perfezione e specifica bellezza. Le relazioni di parentela e di amicizia P. Blot, nel suo libretto 'Ci riconosceremo in Cielo', appoggiandosi su autorevoli Teologi, dimostra che le attuali relazioni di parent ela e amicizia non sono d estinate a scomparire, ma a compie tarsi e perfezionarsi in una vita migliore. E Dio stesso che ci comanda l’amore fraterno, e vuole che in esso si conservi un certo ordine. E Lui che crea i vincoli della carne e del sangue, e noi non dobbiamo sottrarci al dovere di carità ch e questi vincoli importano. La convivenza dei Beati, pur rimanendo una immensa comunione di cuori, conosce diversi gradi di intimità, e questa, contenuta in una piccola cerchia di cari, non disturba né impedisce la familiarità più cordiale con tutti quanti gli altri Beati, perché la capacità di amarci viene immensament e amplificata e potenziata nei cuo ri: in Paradiso i nostri cuori raggiungono il loro completo sviluppo. Il Paradiso non è la tomba d elle cose più b elle e più care d ella vita, cioè degli affetti familiari e delle amicizie sbocciate sulla terra sotto il sorriso compiacente di Dio. Le persone che si sono volute bene sulla terra, si ricongiungeranno nella gioia dell’amore eterno. Gli affetti dei Beati dovranno essere certamente purificati da tutto ciò che le rende meno sante, e dovranno essere ridimensionati secondo le proporzioni molto più vaste della vita del Paradiso. Perciò, appunto perché diventate più genuine, saranno anche più evidenti verso coloro con cui ci siamo amati di più sulla terra. Un difficoltà Di due persone, che tanto si sono amate sulla terra, una si salva e va in Paradiso, l’altra si danna e va all’inferno. Quella che si è salvata come potrà essere felice con la separazione etern a dalla persona che ha tanto amata? Ciascun dannato è stato evident emente membro di una famiglia. Nonostante le colpe gravi, per le quali si è dannato, può aver mostrato an che delle buon e qualità umane ch e lo resero molto amato da congiunti e amici. A costoro sembra che neppure tutta la gioia del Cielo potrà far loro dimenticare quel loro caro e ch e la sua perdita continuerà ad am areggi arli per sempre. Non è così! Un esempio illustrativo. A una persona, nata e vissuta sempre nel buio di un sotterraneo senza aver mai visto la luce del sole, la luce di una fiammella, che illumini fiocamente la sua prigione, è tutta la consolazione dei suoi occhi. Senza quella piccola fiammella la vita le parrebbe insopportabile. E vero. A questa persona però se, liberata dal sotterran eo, viene portata per sempre alla superficie, alla luce del sole, che cosa le parrà ancora la sua fiammella custodita e amata tanto gelosamente? Nella pienezza dello splendore solare ch e bisogno avrà più di quella briciola di luce fumosa? Proverà anco ra pena a separarsi da essa? Certamente no. Allo stesso modo, su questa povera terra, la fiammella d’amore di una persona cara ci è di grande consolazione e ci sembra d’essere indispensabile al nostro cuore. Ma quando, liberati dall’esilio terreno, ci troveremo in Paradiso immersi nelle fiamme dell’amore infinito di Dio, che pena potremo avere d’aver perduta quella piccola fiammella? L’amore infinito di Dio certamente sarà in grado di sostituire più che abbondantemente l’affetto di quella persona cara, che, per essersi ostinata fino all’ultimo istante della sua vita nell’offesa di Dio, nel rifiuto della sua grazia e della sua misericordia, si è voluta dannare. In Paradiso, oltre all’amore infinito di Dio, nostra felicità essenziale, noi per tutta l’eternità godremo dell’amore immenso degli innumerevoli Beati. Può essere mai che tale in cendio d’amore non possa sostituire al nostro cuore la piccolissima scintilla, che momentaneamente ci aveva consolato sulla terra? 23 Lettera di un bambino al papà ultrà che lo vuole campione L o sai, papà, che quasi mi mettevo a piangere dalla rabbia quando ti sei arrampicato sulla rete di recinzione urlando contro l’arbitro? Io non ti avevo mai visto così arrabbiato. Forse sarà an che vero che l’arbitro aveva sbagliato, ma quante volA Mio Padre te io ho fatto degli errori senza che tu mi dicessi niente? Ciao papà, ti vedo stanco Anche se abbiamo perso la parsarà la sera ch e ti cade addosso, tita per colpa dell’arbitro, come tu dici, mi sono divertito lo oppure gli anni che si fan sentire. stesso. E' strano come le montagne, Ho ancora molte gare da giocare e sono sicuro che, se non gri- si inchinino al passaggio della vita, derai più, l’arbitro sbaglierà moltomeno. lasciando cad ere a valle, Papà, capisci, io voglio solo giocare. Ti prego, lasciamela que- le sue rocce sgretolatosi nel tempo. sta gioia, non darmi suggerimenti che mi fanno solo innervosi- Li hai passati tutti i tuoi momenti, re: tira, passa, buttalo giù. Se buttassero giù me, quante paro- restando sempre attento ai tuoi presenti, lacce diresti? un’altra cosa: quando il mister mi sostituisce o e restare con lo sguardo al tuo passato non mi fa giocare, non arrabbiarti, io mi diverto ugualmente, di cui a noi figli molto hai dedicato. anche seduto in panchina. Siamo in tanti ed è giusto che giochi- Mi hai fatto grande ma non solo fuori, no tutti. E poi, quante parolacce, urla ed imprecazioni si sento- io di te ho molto dentro. no in campo mentre si gioca: non solo da te, ma anche da altri Quel che è stata la tua vita genitori. Non si agisce così, a me hanno detto che le brutte pa- per contarla non bastan le dita role non salgono in cielo perché non trovano posto, là stanno di tutta quella gente che ti ha visto crescere solo gli angeli. e lottare contro la tua sorte. E scusami, papà, non dire alla mamma, di ritorno dalla partita: Starei una vita a raccontarmi di te, “ha vinto ed indossa la maglia numero dieci”. Dille che mi che oggi mi guardi con lo sguardo di un bambino sono divertito tanto e basta. Non raccontare che ho fatto un gol e con il coraggio di darebbe la sua vita, bellissimo, non è vero. per farti vivere, la tua, un po di più. Ho messo il pallone dentro la porta perché un mio compagno grazie pap à. mi ha fatto un bel passaggio e tutti insieme abbiamo lottato pervincere. E poi che tormento dalla televisione ho capito che quel numero è una leggenda: tutti i “grandi” l’hanno indossato: Sivori, Rivera, Platani; Maradona, Ronaldo, Baggio, Del Piero. Ma loro sono nati artisti con dei cervelli carichi di idee, con la fantasia come la pittura di Van Gogh o la musica di Beethoven. E qui mi viene da ridere, papà, perché io non conosco la musica e sono pure stonato. E allora? Ascoltami, papà, non venire nello spogliatoio al termine della partita per v edere se faccio bene la doccia o se so vestirmi. Che importanza ha se metto la maglietta storta? Devo imparare da solo. Orario S. Messe Stai sicuro che diventerò grande e sarò bravo a scuola, anche se avrò la maglietta roves ciata. E Giorni feriali lascia portare a me il borsone. Guarda, c’è Ore 07:00 recita delle Lodi stampato il nome della squadra e mi fa piacere Ore 18:30 S. Messa far vedere a tutti che gioco a pallone. E sai, non volevo dirtelo perché sono an cora piccolo, Giorni festivi ma a scuola la fidanzatine sono in aumento. Ore 09:00 S. Messa Non prendertela, papà, se ti ho detto queste Ore 11:00 S. Messa cose. Lo sai che ti voglio bene, ma adesso è già tardi, devo correre all’allenamento. Se arrivo in ritardo il mister non mi farà giocare. An- Sabato che se ho capito che non sarò mai un cam- CONFESSIONI: Ore 9/10.15 -11.15/12.30 – 15.30/18.30 pionissimo. A me piace allenarmi e giocare la Ore 10:30 S. Messa a Villa Primula Ore 18:30 S. Messa prefestiva partita. Sono sereno e felice quando co rro nel campo, mi sento libero, libero come il vento e l’acqua ch e scorre! Avvisi della Parrocchia S. Anselmo 24