Patrizia Maran1 Un giallo sempreverde Caleidoscopico giallo Il giallo è un colore intriso di gioiosa vitalità: è la primula che spicca sul verde dell’erba nuova, è il sole che buca le nuvole, è il limone “tromba d’oro della solarità”, come dice Montale. Ma nella storia della letteratura italiana il giallo è il colore del delitto. Tutta colpa di Lorenzo Montano, che nel 1929 fece nascere la prima collana specializzata nella pubblicazione di tale genere narrativo, edita da Arnoldo Mondatori e contraddistinta da una copertina gialla: di lì il nome italiano per un tipo di romanzo che i Francesi chiamano roman policier, gli Inglesi detective story o crime novel, i tedeschi Detektivliteratur o Kriminalroman … ma i nomi si sono via via moltiplicati, nel tentativo di classificare una realtà multiforme e in continua espansione, individuando varianti specifiche e sottogeneri. Comunque lo si indichi, infatti, è innegabile che il genere poliziesco ha avuto enorme diffusione e tuttora appassiona milioni di lettori; ma viene tradizionalmente relegato tra la letteratura di serie B, quella di largo consumo, che non produce capolavori. Certo il severo giudizio è in molti casi ampiamente giustificato… eppure a me i gialli sono sempre piaciuti. Da ragazza li divoravo, proprio quei Gialli Mondadori che costavano poche lire e che anche mia madre amava leggere. E ancora ne leggo, scegliendoli forse con più cura, inseguendo qualche novità o fidandomi di quell’istinto che mi attira in libreria e mi impedisce di uscirne a mani vuote. Da questa mia passione ho allora pensato di trarre qualche riflessione, non tanto sul valore letterario del genere giallo, quanto piuttosto sui motivi che ne determinano il successo e sui cambiamenti in esso intervenuti, nella tipologia di detective, nella struttura e ambientazione delle storie, nel modo in cui il pubblico può oggi fruire di esse. 1 Docente di Lettere italiane e latine al liceo scientifico G. Ferraris di Varese. © PRISMI on line 2013 pagina 1 http://prismi.liceoferraris.it Il detective eroe e la vittoria del Bene Protagonista e dominatore del romanzo poliziesco tradizionale è un particolare eroe cercatore: come un antico cavaliere egli conduce una queste, appunto una “inchiesta”, una “ricerca” di verità. La sua missione consiste nello scoprire il colpevole del crimine che apre il racconto, ed è spesso seguito da altri eventi delittuosi, finché la catena del male viene spezzata da chi ha ripercorso con pazienza, risalendo a ritroso nel tempo, le tappe della vicenda, così che l’equilibrio narrativo viene ricostituito e giustizia è fatta. La struttura del racconto giallo presenta infatti una sostanziale alterazione del rapporto tra fabula e intreccio: l’ordine è invertito, la storia comincia dalla fine e risulta così coinvolgente perché il lettore gareggia col detective, cerca come lui di ricostruire le mosse dell’antagonista, l’assassino, svelandone l’identità grazie agli indizi che un narratore reticente dissemina nel suo racconto come pezzi di un puzzle. Solo chi porta nel suo stesso nome il marchio di cercatore – scopritore può condurre e termine l’arduo compito: detective rimanda al latino detego un verbo che significa appunto “scoprire”, mentre inchiesta deriva da quaero ovvero “chiedere per sapere, cercare”. Proprio la sfida tra lettore e detective è una delle ragioni del successo del giallo, soprattutto nella sua varietà classica, unitamente all’effetto consolatorio e rassicurante di un racconto che si conclude con il trionfo della giustizia e con il ritorno alla normalità, perché l’anomalia del delitto è stata eliminata da un microcosmo sociale che torna ad essere ordinato e regolato. Non è infatti un caso che tale tipologia narrativa si sviluppi a partire dalla metà dell’Ottocento, epoca segnata da grandi cambiamenti sociali, economici, culturali: l’urbanizzazione in atto favorisce anche la formazione di ambienti degradati e l’aumento della criminalità; la rappresentazione della realtà, della società, dell’uomo stesso secondo criteri scientifici è alla base del Naturalismo, che si impone in letteratura e oscura la linea del fantastico, dell’avventuroso, del romanzesco. Ecco che il romanzo poliziesco riesce però a conciliare esigenze e tendenze opposte: l’avventura e il mistero vengono calati nella realtà quotidiana, spesso delle città annerite dai fumi della produzione industriale; l’irrazionale e la malvagità che contaminano il mondo vengono smascherati e sconfitti da chi applica al massimo grado un metodo di indagine razionale e scientifico. Questo filone della paraletteratura incontra dunque il favore di un’ampia fascia di pubblico proprio perché riesce a rappresentare, contemporaneamente, ciò che si deve reprimere, ma che risulta fortemente attrattivo, e la sua repressione: almeno nella finzione le forze del Bene riportano una vittoria schiacciante. © PRISMI on line 2013 pagina 2 http://prismi.liceoferraris.it Il detective lavora in coppia La prima generazione di investigatori è costituita da uomini di intelligenza superiore alla media, sdegnosi e snob, dal carattere spesso impossibile e afflitti da assurde manie. Auguste Dupin, che risolve l’enigma del cruento duplice delitto della Rue Morgue, nel racconto scritto da Edgar Allan Poe nel 1841 e considerato il capostipite del genere giallo, è un detective per diletto. Attratto dalla stranezza di un caso apparentemente insolubile, mentre la polizia brancola nel buio, egli applica con rigore il suo metodo investigativo basato su osservazione e ragionamento e polemizza con la superficialità e la dabbenaggine delle forze dell’ordine. Lo affianca un giovane amico, la voce narrante della vicenda, affascinato dalla straordinaria capacità deduttiva di Dupin e disposto a sopportare di buon grado le sue bizzarrie, come l’odio per la luce del giorno; egli è l’interlocutore con cui il detective discute dell’indagine, invitandolo a fare delle ipotesi sulla base degli indizi raccolti, salvo poi demolirle con la sua logica stringente. È un primo esempio di “spalla” del primo attore, situazione che diverrà piuttosto comune nel genere poliziesco, con la formazione di celebri coppie: Sherlock Holmes e Watson, Poirot e Hastings, Nero Wolfe e Archie Goodwin. La presenza di questo personaggio è fondamentale per creare suspense e sottolineare la superiorità intellettuale del detective: egli esprime infatti l’opinione dell’uomo comune e si mostra spesso anche meno intuitivo del lettore stesso, tanto che si lascia fuorviare da piste sbagliate e solo alla fine apprende quella verità che è ben nota all’investigatore da tempo, ma di cui l’ha tenuto all’oscuro. Eppure egli rimane costantemente al suo fianco, agisce su suo ordine anche senza capire, avvalorando con la sua inconsapevole fiducia la correttezza delle deduzioni di quella mente eccelsa e superba. Così Watson divide con l’amico Holmes l’appartamento di Baker Street, lo accompagna in tutte le sue avventure e puntualmente ne lascia memoria scritta; non gliene vuole se l’infallibile ed istrionico investigatore conclude regolarmente i suoi discorsi con quella frase, “Elementare, Watson!”, che sembra rinfacciargli la sua inferiorità intellettuale. David Suchet interpreta Hercule Poirot © PRISMI on line 2013 Analogamente il piccolo investigatore belga Hercule Poirot si avvale del buon senso e del braccio di Hastings, un inglese impeccabile e corretto, non geniale, ma certo disponibile e affidabile; le eccezionali cellule grigie dell’ometto dal fisico non erculeo e dai lunghi baffi impomatati con cura maniacale hanno infatti bisogno della fedeltà e della fisicità del capitano per condurre concretamente le indagini, verificare le ipotesi e organizzare infine il coup de théâtre che tanto spesso conclude i gialli di Agatha Christie, ben trentatré, di cui Poirot è protagonista. pagina 3 http://prismi.liceoferraris.it E se accanto a Nero Wolfe, creatura dello statunitense Rex Stout, non ci fosse Archie Goodwin, come potrebbe risolvere i casi intricati che gli vengono sottoposti l’eccentrico detective? Egli infatti non esce quasi mai dalla sua abitazione e scandisce i tempi della sua giornata con una routine immutabile, che alterna la sacralità dei pasti luculliani preparati dal fedelissimo Fritz alla cura amorosa per le orchidee: il mondo è bandito dallo studio di Wolfe ed è Archie il tenue legame con la realtà esterna dove si commettono i crimini, è lui l’uomo che agisce, raccoglie prove e contatta testimoni per il burattinaio che muoverà poi i fili e metterà alle strette il colpevole, ancora una volta smascherato da un rigoroso percorso logico che assembla tutti gli indizi. La vitalità della coppia “detective / mente sublime – collaboratore / braccio attivo” è testimoniata dalla sua persistenza nel percorso del giallo: se Poe scrive alla metà dell’Ottocento, Arthur Conan Doyle crea la figura di Holmes alla fine del secolo, mentre la Christie pubblica la prima avventura di Hercule Poirot nel 1920 e il primo romanzo che vede Nero Wolfe protagonista è La traccia del serpente, del 1934. Col passare del tempo i membri della coppia hanno subito qualche mutamento, ma continuano ad essere presenti, soprattutto nella veste televisiva del racconto poliziesco, che riscuote enorme successo di pubblico tanto quanto l’antenato cartaceo. Nella recentissima serie The mentalist, per esempio, prodotta negli USA nel 2008 e trasmessa in Italia a partire dall’anno successivo, il protagonista Patrick Jane collabora come consulente mentalista (una sorta di psicologo – sensitivo) con la squadra del CBI coordinata da Teresa Lisbon. Di fatto egli monopolizza le indagini, proprio perché è in grado di notare, registrare e ricomporre in un quadro, coerente ed ineccepibile dal punto di vista logico, particolari che invece sfuggono agli altri; è dunque una sorta di erede di Holmes, persino del suo lato oscuro. Come Sherlock si deve misurare con lo sfuggente e irriducibile professor Moriarty, anche Patrick ha un nemico, John il Rosso, che ha ucciso la sua famiglia segnando per sempre la sua vita e facendo crescere in lui, dopo il primo sviamento, un inestinguibile desiderio di vendetta. E, come Holmes, the mentalist spesso viola o ignora le regole per conseguire i suoi obiettivi. Al suo fianco, però, non c’è un bonario Watson, ma una affascinante ed energica donna poliziotto (tributo alle “quote rosa”), che lo protegge e ne tollera l’indisponente tendenza a far pesare la propria superiorità. Non mancano le piccole manie: un angolo tranquillo, con tanto di divano, ricavato per lui nel cuore degli uffici anonimi del CBI; le tisane che egli sorseggia, anziché bere il tipico caffè americano. Insomma, Patrick Jane non suona il violino… ma per il resto pare proprio un degno discendente del mitico Holmes. In molti altri telefilm agiscono coppie di investigatori e le loro caratteristiche si sono via via diversificate, proprio perché la figura stessa del detective ha assunto volti nuovi. Abbiamo così la variante “duro più duro” tipicamente americana e nella linea del giallo d’azione: possiamo citare Starsky e Hutch (in onda dal 1975 al 1979) o i due protagonisti di Miami vice, Sonny e Rico (1984 – 1990); entrambe le serie televisive sono state rivisitate e sono divenute dei film in epoca più recente, rispettivamente nel 2004 e nel 2007. Il rapporto “duro”/guardia del corpo e ragionatore/inerme è ben evidente negli episodi di Bones, attualmente in programmazione su Rete Quattro e di matrice ancora una volta statunitense (a partire dal 2005): in questo caso il personaggio femminile, Temperance “Bones” Brennan, antropologa forense estremamente competente anche se un po’ gelida, gode della protezione del personaggio maschile, Seeley Booth, agente FBI, secondo uno © PRISMI on line 2013 pagina 4 http://prismi.liceoferraris.it schema apparentemente più tradizionale. In realtà Bones è meno indifesa di quanto potrebbe sembrare e i due compagni non sono subito in sintonia, anche se la loro collaborazione sarà galeotta e le cose si evolveranno verso un legame sempre più a carattere sentimentale. Attorno ai due protagonisti si muove inoltre un team di collaboratori, altro elemento significativo di mutamento, poiché Bones è una scienziata e basa la sua tecnica di indagine sull’osservazione, ma affiancata e potenziata da apparecchiature sofisticate e ipertecnologiche, essendo figlia, appunto, della nostra epoca. Interessante può essere anche qualche esempio europeo. Dall’area tedesca viene un duo tradizionale, l’ispettore Derrick e il suo braccio destro Harry Klein. La serie fu prodotta in Germania dal 1974 al 1998 e approdò in Italia su Rai 2 nel 1979; incontrò un successo straordinario, forse proprio perché i due personaggi sono connotati assai diversamente rispetto ai tipici detective americani. Se Klein appare abbastanza dinamico e deciso, ma non propriamente un “duro”, Derrick è addirittura piuttosto anziano, dimesso nell’aspetto e nel modo di vestire, quasi compassionevole e turbato dalla tragica realtà con cui entra in contatto; la sua indagine non è focalizzata solo sulla ricerca del colpevole, ma coinvolge in una profonda analisi psicologica anche le famiglie delle vittime e dei sospettati, l’humus sociale da cui trae origine il delitto. Sotto osservazione è prevalentemente la media e alta borghesia tedesca, le cui azioni, le cui idee e pregiudizi sono spesso concause del gesto criminale del singolo. Ciò, naturalmente, non assolve dalle proprie responsabilità chi commette un reato e Derrick ristabilisce l’ordine e la giustizia, come in ogni racconto poliziesco classico; tuttavia rimane in lui, e nello spettatore, una certa amarezza, una comprensione e un moto di pietosa umanità che fanno di questo commissario un erede di Maigret, più che del superuomo Holmes. Una ulteriore variante della coppia detective/spalla vede accanto all’uomo un cane poliziotto: celeberrimo il “commissario” Rex, pastore tedesco, di razza e di origine. La serie televisiva è infatti una coproduzione tedesca, austriaca e italiana, giunta alla sua sedicesima edizione, a partire dal 1994. Ambientata a Vienna e, nell’ultima versione, a Roma, ha visto alternarsi accanto allo straordinario cane parecchi partners umani, dopo l’uccisione del primo ispettore, Richard Moser, ad opera di un evaso. In questo caso, dunque, la spalla soppianta il detective e se, da un lato, continua a ricoprire il ruolo di difensore ed esecutore dei suoi ordini, dall’altro esercita una sorta di indagine in proprio, condotta con sensibilità e mezzi canini, che risulta spesso determinante per la soluzione del caso. Detective improbabili L’eccentrico Poirot non è l’unica creatura di Agatha Christie: alla sua penna si deve anche l’invenzione di un tipo di investigatore del tutto diverso e assolutamente improbabile, una innocua e arzilla vecchietta, Miss Marple, che compare in dodici romanzi e in alcuni racconti. Dal suo piccolo osservatorio, il paesino di St. Mary Mead dove conosce tutti, guarda scorrere la vita con estrema curiosità, e quando si imbatte nel delitto applica un metodo di indagine che si basa sul confronto tra la sua esperienza nel microcosmo del suo villaggio e un macrocosmo in cui uomini e donne agiscono spinti dalle stesse ragioni e sono preda degli stessi sentimenti. Miss Marple, anche se un po’ pettegola e impicciona, si preoccupa degli altri e mette al servizio del bene le sue doti di acuta osservatrice e psicologa, risolvendo i casi più intricati, nonostante lo scetticismo del nipote, l’unico © PRISMI on line 2013 pagina 5 http://prismi.liceoferraris.it parente che in alcuni racconti la affianca. Più spesso, invece, a coadiuvarla sono amiche e conoscenti, sempre numerosi nonostante l’anziana donna non sia sposata e viva da sola. Le avventure di Miss Marple divennero film e telefilm e il ruolo della intrigante vecchietta fu interpretato da grandi attrici; tra le più note Margaret Rutherford, non particolarmente apprezzata dalla Christie, Joan Hickson e Geraldine McEwan; anche Angela Lansbury fu Jane Marple nel film Assassinio allo specchio, una produzione statunitense del 1980. Ma il pubblico televisivo italiano associa molto più facilmente il volto della Lansbury ad un’altra sua interpretazione: è infatti la “signora in giallo”, Jessica Fletcher, insegnante di Inglese e autrice appunto di romanzi polizieschi, nonché investigatrice suo malgrado, perché molto spesso accadono atroci delitti a Cabot Cove, la piccola località costiera del Maine dove ella risiede; oppure sono i suoi numerosi nipoti, cugini o amici a chiederle aiuto, poiché l’energica signora è vedova e sola, ma ha una intensa vita sociale e mantiene contatti con tutti i parenti. Inoltre la sua professione di scrittrice la porta a viaggiare negli Stati Uniti e le fornisce molteplici occasioni Margaret Rutherford per collaborare, oltre che con lo sceriffo Amos Tupper di Cabot Cove, con molti altri ispettori di polizia, più o meno disponibili ad accettare la sua presenza e a riconoscere la sua abilità di investigatrice, oltre che di giallista. Jessica è dunque in parte Miss Marple e in parte Agatha Cristhie, e il cocktail di personaggi ha assicurato grande successo alla serie televisiva, tanto che da essa, in un percorso contrario rispetto a quello solito, sono poi nati romanzi e racconti che hanno come protagonista, appunto, la “signora in giallo”. Alcune recensioni hanno accostato al personaggio di Miss Marple un’altra detective al femminile piuttosto particolare, la signora Precious Ramotswe, fondatrice della N1 Ladies’ Detective Agency a Gaborone, capitale del Botswana. I romanzi che la vedono protagonista sono opera di Alexander McCall Smith, eminente professore di Medicina legale ad Edimburgo e, contemporaneamente, apprezzato giallista. Egli è nato nel 1948 nello Zimbawe, trasferendosi poi in Scozia dove tuttora risiede; i ricordi della sua infanzia e adolescenza africana delineano per i suoi racconti uno sfondo fresco e colorato e fanno vivere personaggi insoliti e però realistici, in una dimensione molto diversa da quella europea. In realtà la gioviale e rassicurante signora Ramotswe, affiancata dalla sua segretaria ed amica, la signorina Makutsi, e dal rispettabile e stimato meccanico JLB Matekoni, suo fidanzato, assomiglia molto poco alla sua anziana sorella inglese. Certo è intelligente ed osservatrice, ma nelle sue indagini mette soprattutto il suo gran cuore, il suo desiderio di portare ordine e serenità nella vita ingarbugliata di quei clienti che si affacciano alla porta della sua agenzia e le sottopongono casi umani, non delitti truci. Così questa donna paffuta e gentile, a bordo della sua scalcinata macchina bianca, ci porta con sé sulle strade polverose di un’Africa fatta di costumi antichi e tradizioni, di valori e rispetto per il dolore e i sentimenti altrui, in una dimensione che obbedisce, anche nel ritmo narrativo, al tempo sospeso di quella terra, raccontata con amore e con ironica leggerezza. © PRISMI on line 2013 pagina 6 http://prismi.liceoferraris.it Detective con la tonaca Il britannico G.K. Chesterton, giornalista, poeta e autore di romanzi gialli, è l’inventore di un personaggio assai originale, padre Brown, protagonista di un ciclo di storie che costituirono un corpus di cinque volumi, pubblicati tra il 1911 (L’innocenza di padre Brown) e il 1935 (Lo scandalo di padre Brown). Il giallo fu per Chesterton un pretesto, un contenitore nel quale calare un messaggio religioso; egli infatti aveva scritto saggi relativi alla fede cattolica e annoverava tra i suoi amici un prete cattolico, John O’Connor, cui si ispirò nella creazione del suo personaggio. Padre Brown è dunque un investigatore che non si accosta al delitto per curiosità o per mettere alla prova la propria intelligenza, quanto piuttosto per compassione, verso la vittima ma anche verso il colpevole, un’anima da recuperare e redimere; egli è spinto dall’amore della verità, agisce per riportare pace e serenità nel mondo sconvolto dal crimine, che è prima di tutto infrazione alle regole divine, peccato. Così nella sua indagine si avvale della ragione, ma con la piena consapevolezza che essa ci viene da Dio, e non deve mai essere disgiunta dalla pietà: non è un caso che Flambeau “il grande mariuolo”, che tiene in scacco le polizie di tre Stati, in un primo tempo antagonista di padre Brown, divenga poi un suo prezioso e fedele collaboratore, conquistato e convertito da un tale avversario. Eppure l’aspetto di questo religioso-detective, è del tutto comune: un “pretucolo” con “una faccia tonda ed inespressiva come gli gnocchi di Norfolk, gli occhi incolori come il mare del Nord”. È questa l’impressione che suscita nell’ispettore Aristide Valentin, capo della polizia di Parigi ed in missione in Inghilterra proprio per arrestare lo sfuggente Flambeau, maestro nei travestimenti. (Cfr. il racconto “La croce azzurra”, ne L’innocenza di padre Brown). Se però il mite sacerdote non provvedesse a disseminare tracce atte a guidare il poliziotto verso il malvivente, Valentin, emulo del ragionatore Holmes, fallirebbe miseramente: dalla sua padre Brown ha infatti una saggezza che gli viene dal suo ministero, dalla sua abituale frequentazione con il peccato che gli consente di apprendere le strategie del male, e sulla conoscenza del cuore umano si fonda il suo metodo investigativo, non tanto sulla ricerca di impronte o indizi. Nella sua umiltà e normalità, nel suo modo di fare impacciato, nelle parole ingenue, egli è l’opposto del detective superuomo, ma, come lui, ha dei punti fermi, delle certezze che non esita a rendere palesi in frasi perentorie: prima di tutto la convinzione che nulla sfugge alle leggi della verità, manifestazione della presenza di Dio sulla Terra. A noi, generazione di video-dipendenti, la figura di padre Brown non può non ricordare il nostrano don Matteo, interpretato dall’inossidabile Terence Hill nella fiction in onda su Rai 1 dal 2000 e giunta ormai alla sua nona stagione, serie particolarmente apprezzata e che ha vinto il premio per la miglior regia televisiva nello scorso 2012. L’ambientazione del format, una volta tanto completamente italiano e non importato dagli Usa, è certo molto diversa dal contesto inglese in cui si muove padre Brown; don Matteo, missionario in America Latina, torna a Gubbio e diviene parroco della chiesa di San Giovanni. Qui egli non si dedica solo alla cura delle anime, ma affianca nelle indagini il nucleo locale dei carabinieri, anche se la sua collaborazione non è molto gradita dal comandante, dapprima il capitano Flavio Anceschi, poi Giulio Tommasi. È soprattutto il © PRISMI on line 2013 pagina 7 http://prismi.liceoferraris.it maresciallo Nino Cecchini (Nino Frassica), invece, ad apprezzare e spesso a richiedere l’aiuto di don Matteo, di cui è sincero amico. Così, attraverso suggerimenti e indicazioni fornite al maresciallo, il parroco investigatore riesce ad orientare le inchieste ufficiali, spesso rivolte in direzioni errate, con una tecnica piuttosto simile a quella del personaggio di Chesterton. E anche don Matteo è un esperto del cuore umano, è particolarmente vicino a chi vede la propria vita sconvolta dal delitto, cerca di comprendere anche le motivazioni del colpevole, spesso lo raggiunge prima delle forze di polizia, gli parla, lo induce a confessare, a pentirsi. Il personaggio è però modellato sulle caratteristiche dell’attore che lo interpreta, e mantiene l’energia che era propria di un Terence Hill picaresco e facile alle scazzottature; e se un prete non può certo più fare a pugni, può però pedalare vigorosamente per le vie di Gubbio, con il fisico atletico fasciato dalla tonaca svolazzante. Padre Brown, invece, fu magistralmente interpretato da Renato Rascel, il “piccoletto” della canzone italiana, in una miniserie televisiva in sei puntate tratta dai racconti di Chesterton e mandata in onda nel 1970 dalla Rai. La tradizione letteraria degli investigatori in abito religioso ha vissuto una nuova stagione in tempi più vicini a noi, a partire dal bestseller di Umberto Eco Il nome della rosa (1980), romanzo storico, filosofico e quant’altro… ma anche giallo straordinario e Renato Rascel interpreta Padre Brown appassionante. E il nome stesso del protagonista, il francescano Guglielmo da Baskerville, rimanda a Conan Doyle e alla celeberrima avventura di Holmes nella brughiera inglese, alle prese con le apparizioni fantasmatiche del mostruoso mastino persecutore dei Baskerville. Come Holmes, fra Guglielmo dovrà combattere contro la superstizione, smascherando un assassino in carne ed ossa che cerca di far attribuire all’azione del Maligno i delitti che funestano la vita dell’Abbazia; e il suo metodo di indagine è scientifico, fatto di osservazioni, di esperimenti e di deduzioni, condivise con il giovane discepolo Adso da Melk, immancabile spalla, narratore della vicenda e sincero ammiratore della saggezza del suo maestro. Naturalmente il romanzo di Eco non è solo questo e le tematiche che in esso vengono affrontate sono complesse e profonde; ma è significativo che un autore dotto, una delle voci più interessanti del Postmoderno, utilizzi l’impianto narrativo del giallo per veicolare contenuti non propriamente popolari. Indossano il saio monastico anche altri detective medievali, in romanzi che appartengono alla tipologia del giallo storico per così dire “di consumo”, un filone che da qualche decennio si è imposto all’attenzione del pubblico. Viene dall’Inghilterra frate Matthew, creatura della milanese Valeria Montaldi, e protagonista de Il signore del falco, che ha ottenuto il Premio Selezione Bancarella 2004. Il monaco inglese (è questo il titolo di un altro romanzo della Montaldi) vive però in Italia e viene incaricato dall’abate di San Simpliciano, Arnolfo da Sala, di rintracciare il figlio di una giovane donna il cui cadavere era stato ritrovato diciassette anni prima nel canale della Vertabbia. La ricerca del frate si snoda in una Milano sconvolta dalla caccia agli eretici e dalla lotta contro l’imperatore Federico II, nella prima metà del XIII secolo; qui si © PRISMI on line 2013 pagina 8 http://prismi.liceoferraris.it incrociano le strade di molti personaggi costruiti secondo il criterio della verosimiglianza proprio del romanzo storico, in un affresco che incornicia l’indagine e la rende ancor più avvincente. Ancora la Gran Bretagna, ma del XII secolo, è la patria, e anche la sede, di un altro monaco detective, fratello Cadfael, dell’abbazia benedettina di Shrewsbury, nel Galles. Autrice della serie fortunatissima (ben 18 titoli sono stati tradotti e pubblicati in Italia) è Ellis Peters, pseudonimo di Edith Pargeter (1913 – 1995), che esordì come scrittrice nel 1930 e si dedicò dapprima al romanzo storico, per poi passare al giallo medievale nel 1977, con La bara d’argento, racconto in cui fa appunto la sua prima apparizione il personaggio di fratello Cadfael, monaco erborista, che ha scelto la vita tranquilla del chiostro dopo aver conosciuto la guerra, come crociato, e l’amore. Gli investigatori privati La figura dell’investigatore privato, spesso concorrente delle forze di polizia, è tipica dell’hard boiled novel, un poliziesco realistico che si afferma in America negli anni Trenta/Quaranta. Dopo la Grande Depressione e la conseguente trasformazione della società statunitense, si diffonde la criminalità organizzata e il mondo si corrompe: il detective diviene cinico e disperato, conduce le sue indagini non solo e non tanto con la proverbiale acutezza d’ingegno, ma anche con metodi duri, simili a quelli della malavita che combatte e che conosce molto bene, di cui utilizza addirittura il gergo. Il suo atteggiamento disincantato, la sua vita disordinata, fatta di pasti freddi e whisky, esercitano un certo fascino sui personaggi femminili che incrociano la sua strada, ma non restano certo al suo fianco, poiché la solitudine è la sua condizione esistenziale. Egli è il difensore di un ordine che non esiste più, poiché il cancro del crimine ha intaccato gran parte della società, spesso gli stessi poliziotti o i politici; eppure, spinto da un animo profondamente onesto, non cessa di lottare, novello Don Chisciotte, in un susseguirsi di colpi di scena che rendono incalzante il ritmo del racconto e fanno emergere le contraddizioni, i vizi, la violenza di una realtà entro la quale la vittoria dell’eroe è solo temporanea. Maestri del giallo d’azione furono Dashiell Hammett, autore di classici come Il falcone maltese (1930), La chiave di vetro (1931) e L’uomo ombra (1934), e Raymond Chandler, padre del celeberrimo Philip Marlowe, che fece la sua comparsa ne Il grande sonno (1939). Attori molto noti prestarono il loro volto a Marlowe in versioni cinematografiche divenute dei veri cult movies: tra di essi Humphrey Bogart, nel 1946, diretto da Howard Hawks (Il grande sonno) e Robert Mitchun, che nel 1975 interpretò il detective invecchiato ne Marlowe, il poliziotto privato, tratto dal romanzo di Chandler Addio mia amata. Humphrey Bogart nei panni di Marlowe © PRISMI on line 2013 pagina 9 http://prismi.liceoferraris.it Si ispira alla figura di Marlowe lo scrittore spagnolo Manuel Vázquez Montalbán (1939 – 2003) per delineare Pepe Carvalho, personaggio assai interessante e controcorrente, profondamente critico nei confronti dei suoi precedenti letterari e della produzione filmica che fa capo al giallo. Egli infatti li cita esplicitamente proprio per negarli: quella “realtà vera” in cui agisce Carvalho è modesta e poco entusiasmante, il detective si autodefinisce un “annusapatte”, perlopiù pedina mogli per conto di mariti gelosi o cerca ragazzine fuggite da casa; non è certo un eroe che si erge contro sanguinari assassini e conduce a termine brillantemente indagini complesse, conquistandosi una meritata fama. Carvalho è un Marlowe decaduto e sconfitto, che ha rinunciato a riflessioni troppo astratte e a sentimenti troppo impegnativi, si è ridotto a cibo e sesso. È dunque divenuto un eccezionale gourmet, un cultore della scienza culinaria: di qui le frequenti digressioni sull’argomento, che variano lo schema tipico del giallo, racconto in genere serrato e privo di excursus. Si tratta di descrizioni dettagliate di pasti, talvolta veri e propri cerimoniali; oppure vengono narrativizzate le ricette, tanto che esse sono state anche raccolte in un libretto a parte (Le ricette di Pepe Carvalho, pubblicato nel 1988); o ancora si inseriscono disquisizioni su temi culinari, gli unici sui cui, secondo Carvalho, valga la pena di discutere. Per il resto, i libri sono utili per accendere il fuoco nel caminetto, azione abituale per il nostro; quanto alle relazioni sentimentali, al suo fianco c’è una ex prostituta, Charo. Eppure Pepe non riesce a distruggere completamente il passato, conserva nel suo DNA alcuni geni del detective tradizionale e risolve l’enigma, scopre il colpevole. Ciò tuttavia non serve per sconfiggere il male, perché Carvalho si scontra non con il singolo criminale, bensì con forze più sfuggenti e impersonali, per esempio i grandi poteri economici e finanziari, come la multinazionale de La solitudine del manager. Contro tali nemici il detective può solo godere di una vittoria morale, di una rivincita personale. La sua ribellione sta nel rifiuto della corruzione, nella estraneità al sistema: non si è fatto comprare… ma giustizia non è fatta, perché non è più possibile ottenere giustizia. I tutori dell’ordine Spesso, si è detto, la polizia non fa una bella figura nel romanzo giallo: brancola nel buio o segue piste improbabili. Non mancano, però, abili commissari o team investigativi che ottengono risultati concreti e costanti. Quest’ultima situazione è piuttosto frequente in molte serie televisive, sia statunitensi sia europee. Possiamo citare la squadra superorganizzata del capo della omicidi di Los Angeles Brenda Leigh Johnson, in The closer, attualmente in programmazione su Rete Quattro e giunta alla sua settima stagione, o i detective scienziati di CSI, o ancora i criminologi specialisti nell’individuare assassini seriali (Criminal minds). La produzione di casa nostra ha proposto delle varianti tutte italiane di tale filone: gli episodi di Distretto di polizia, le vicende dei carabinieri del RIS, la serie de La squadra, ambientata a Napoli, nel regno della camorra; persino la guardia di finanza (Il capitano, due stagioni, a partire dal 2005) e la guardia costiera (dopo Gente di mare, in onda nel 2005 e 2007, la recentissima fiction L’isola, trasmessa lo scorso dicembre su Rai Uno) sono state poste sotto la luce dei riflettori. Meno diffuso questo motivo nella produzione cartacea, anche perché il lettore del giallo ha bisogno di identificarsi in un personaggio principale e di seguire una trama poco © PRISMI on line 2013 pagina 10 http://prismi.liceoferraris.it dispersiva per poter gustare il percorso dell’indagine; al contrario lo spettatore di una serie televisiva può essere attratto proprio dalla varietà dei caratteri che compongono il team degli investigatori, dall’intreccio delle loro storie personali, delle relazioni che si stabiliscono tra loro e che corrono parallele alla trattazione dello specifico caso che li vede di volta in volta impegnati. Si può però individuare qualche eccezione, ad esempio l’87° distretto in cui si ambientano molti polizieschi dello statunitense Ed Mc Bain. Ad Isola, quartiere di una città immaginaria (riconducibile però a Manhattan), gli agenti del locale distretto di polizia conducono la loro quotidiana lotta contro il crimine, alcuni soccombono, altri subentrano al loro posto, poco per volta si delinea anche una figura più importante rispetto alle altre, Steve Carella; il tempo scorre, la società cambia, ma puntualmente i nostri si ripresentano per una successiva storia, quasi una puntata di un serial che si prolunga per cinquant’anni, dal 1956 (L’assassino ha lasciato la firma) al 2005, anno della scomparsa dell’autore, scrittore ben noto anche per altre tipologie di opere, pubblicate sotto diversi pseudonimi, e sceneggiatore di fama (a lui si deve la sceneggiatura originale del celeberrimo film di Hitchcock Gli uccelli). Più spesso nel romanzo giallo il commissariato fa da sfondo, con i suoi uomini e le sue risorse, all’azione di un unico personaggio, colui che dirige le indagini e, come nella miglior tradizione del detective eroe, ha uno sguardo sulla realtà più consapevole e più profondo di quello degli altri. L’esempio forse più noto è la creatura di George Simenon, il commissario Maigret, protagonista di una ottantina di romanzi e ventotto racconti, a partire dagli anni Trenta (1931, Pietro il Lettone), e più volte portato sullo schermo, in film e sceneggiati televisivi, da grandi attori come Jean Gabin o l’italiano Gino Cervi. Maigret è molto diverso dai suoi eccentrici colleghi inglesi, Holmes e Poirot: il giallo di Simenon è infatti lontano dagli schemi classici del genere, in esso acquistano grande rilievo i ritratti psicologici e si delinea magistralmente l’atmosfera grigia delle periferie parigine o della provincia francese. È qui che si muove Maigret, con la sua aria pacata e l’immancabile pipa, un uomo semplice, tranquillo e del tutto normale, anche nei suoi affetti familiari, rispettoso e fedele alla sua “signora Maigret”. Questo antieroe non indaga per il piacere di mettere alla prova le sue doti intellettuali, ma per compiere il suo dovere di buon poliziotto, tentando anche di comprendere le cause sottese al delitto. Con la sua indagine porta dunque alla luce un intero mondo, un frammento di vita, non soltanto l’identità dell’assassino; ed emerge l’inquietudine dei tempi moderni, Jean Gabin nei panni di Maigret escono dall’anonimato personaggi che vivono nei quartieri più squallidi e di cui nessuno mai si occuperebbe se il commissario non scavasse nelle loro esistenze, ricostruendo la loro storia. Ma la scoperta della verità non è consolante, Maigret combatte il crimine per © PRISMI on line 2013 pagina 11 http://prismi.liceoferraris.it mestiere ma non si abitua ad esso, è tormentato e perplesso di fronte alla brutalità del male, pur essendo convinto della sua ineluttabilità. Così la malinconia è la cifra che lo segna, e lo rende profondamente umano. Italian detectives Riconducibili al tipo Maigret sono molti commissari italiani, uomini con i loro difetti, i loro dubbi, le loro debolezze, non macchine da azione, non infallibili geni, semplicemente uomini. La lista è piuttosto lunga e varia, soprattutto a livello di ambientazioni. Una Milano ambigua e sfuggente, come la nebbia che così spesso la avvolge, è il campo d’azione del commissario Ambrosio nei polizieschi di Renato Olivieri, scomparso lo scorso febbraio; dopo l’esordio nel giallo con Il caso Kodra, nel 1978, ha continuato a pubblicare per un ventennio le sue storie milanesi (ad esempio Largo Richini o Maledetto ferragosto) e Ugo Tognazzi, diretto da Sergio Corbucci, ha interpretato lo scettico poliziotto, sensibile alla bellezza e all’arte, ne I giorni del commissario Ambrosio (1988). Sarti Antonio, invece, sergente bolognese, è il protagonista dei romanzi di Loriano Macchiavelli, che ha al suo attivo anche interessanti pubblicazioni a quattro mani con Francesco Guccini (ad esempio Questo sangue che impasta la terra, ambientato a Bologna e dintorni nel 1970, quando inizia a serpeggiare la strategia della tensione, così che le indagini dell’ex maresciallo Santovito ricostruiscono anche uno spaccato di storia italiana). Accanto a questo poliziotto onesto e tenace, ma non particolarmente intuitivo, sta una spalla atipica, Rosas, extraparlamentare di sinistra ed eterno studente universitario, che appare molto dotato sotto il profilo logico – deduttivo. L’ultima avventura di Sarti Antonio è L’ironia della scimmia, pubblicata nel novembre 2012. Alla penna di Carlo Lucarelli si deve il personaggio del commissario De Luca; nei tre romanzi Carta bianca, L’estate torbida e Via delle Oche, che segnano in successione, a partire dal 1990, il progressivo affermarsi nel panorama del giallo italiano dello scrittore emiliano, viene a delinearsi un’immaginaria biografia di De Luca, la cui prima inchiesta si svolge nel pieno del regime fascista, la seconda negli ultimi giorni della Repubblica di Salò, la terza nel 1948, quando il funzionario è appena sfuggito all’epurazione post regime. Lucarelli, esperto di storia della polizia fascista, distilla nell’atmosfera torbida di un mondo minato da corruzione e ideologie la figura di un uomo onesto e retto, un commissario alla Ingravallo del Pasticciaccio di Gadda, che intuisce il grumo profondo da cui scaturisce il delitto e coglie per un attimo quella verità, triste e inaspettata, che viene poi inghiottita dalla storia. Molto diverso è l’altro detective di Lucarelli, l’ispettore Coliandro, un poliziotto non propriamente brillante e sempre sopra le righe, “machista, rambista e anche un po’ razzista”, come spiega lo stesso autore nella prefazione a Falange armata, sul modello americano di Clint Eastwood nell’ispettore Callaghan; in realtà Coliandro è un imbranato un po’ tonto, con la delicatezza di un caterpillar e predestinato a brutte figure tutte le volte che pensa, dice o fa una delle sue cose “machiste, rambiste o razziste”. Proprio per questo, e anche perché è tutto fuorché corrotto o corruttibile, alla fine risulta simpatico, suscita tenerezza, soprattutto in quella pallidissima ragazza, sicura di sé, alternativa e praticamente punk, © PRISMI on line 2013 pagina 12 http://prismi.liceoferraris.it Nikita, che diventa una sorta di sua salvatrice: ancora una volta una spalla, molto più intelligente del detective. Sia Coliandro che De Luca hanno trovato spazio nella produzione televisiva e li hanno interpretati, rispettivamente, Giampaolo Morelli e Alessandro Preziosi. Piccoli gioielli sono infine altri due romanzi di Lucarelli. Ne L’isola dell’angelo caduto un giovane commissario, approdato con la moglie in un’isola sperduta ove Mussolini confina prigionieri politici e delinquenti comuni, indaga sulla morte di un miliziano fascista, in una atmosfera sospesa in cui il tempo pare pietrificato e il resto del mondo irraggiungibile. In Almost blue un crudele assassino, che assume l’identità e l’aspetto delle sue vittime terrorizzando una livida Bologna, viene catturato grazie alla collaborazione tra l’ispettrice Grazia e il giovane non vedente Simone. Il più famoso tra gli investigatori di casa nostra è però Salvo Montalbano, nato dalla penna di Andrea Camilleri e portato sullo schermo dal bravissimo Luca Zingaretti, a partire dalla fine degli anni Novanta. Nei romanzi che lo vedono protagonista la trama poliziesca, che pure è fondamentale e caratterizzante, è tuttavia un pretesto per delineare uno spaccato della realtà siciliana contemporanea. Infatti Porto Empedocle e Agrigento, patria di Camilleri, sono ben riconoscibili nell’immaginario paesino di Vigata, provincia di Montelusa, dove si muovono il commissario Montalbano e la sua squadra, da Mimì Augello, impenitente donnaiolo, a Fazio, efficace e attivo collaboratore, a Catarella, buffo e sprovveduto centralinista. Non manca una fidanzata, Carlo Lucarelli Livia, eterna fidanzata del nostro Salvo: il loro legame è travagliato, sia per la distanza fisica (lei vive a Genova), sia per le incomprensioni dovute al desiderio di indipendenza che caratterizza entrambi. E se Montalbano, che nel nome omaggia lo spagnolo Montalbàn, ricorda Pepe Carvalho nella sua passione per la buona tavola, nella dirittura morale e nell’acutezza d’ingegno, è però italianissimo, sicilianissimo, nella sua profonda umanità e nell’attaccamento alla sua terra, terra di straordinarie bellezze naturali e di grande cultura. Camilleri è infatti figlio di una tradizione letteraria che va da Pirandello, suo concittadino, a Sciascia, che usò la struttura del giallo per denunciare i delitti di mafia in tempi, gli anni Sessanta, in cui si negava l’esistenza stessa della mafia. E il linguaggio che egli crea, così particolare ed espressivo, una felicissima mescolanza di italiano e dialetto siciliano, ricorda lo sperimentalismo linguistico, il pastiche di Gadda, un altro autore, questa volta milanese, che calò contenuti innovativi nel genere giallo, ne fece la storia di un’indagine che non porta a verità certe, ma fa emergere, al contrario, tutti i dubbi che attanagliano l’essere umano, prima di tutto il detective, quel commissario Ingravallo, molisano d’origine, che sul punto di chiudere l’indagine, nel momento culminante dell’interrogatorio decisivo e… all’ultima riga del testo, “si paralizzò, tornò a riflettere e si ripentì, quasi”. Così il Pasticciaccio brutto de Via Merulana non ha soluzione, come del resto nei gialli di mafia di Sciascia, ad esempio Il giorno della civetta o A ciascuno il suo, il colpevole non viene assicurato alla giustizia; questi, però, sono romanzi che trovano posto nella “letteratura alta”, tanto più che mettono in discussione i meccanismi e gli automatismi del genere letterario per porre sotto accusa la società stessa che da tali strutture vuole essere rassicurata e non vuol vedere la realtà, certo inquietante, sulla quale tuttavia bisogna agire. © PRISMI on line 2013 pagina 13 http://prismi.liceoferraris.it Montalbano, invece, i casi li risolve: ma il suo modo di indagare e di osservare il mondo certamente risente di questi suoi predecessori, anche se il messaggio è positivo e i tempi sono cambiati, almeno per alcuni aspetti. Si può dunque ottenere giustizia, attraverso un percorso paziente e grazie ad un uomo che non si lasci fuorviare da pregiudizi, che sia efficiente e capace di comprendere le ragioni del crimine, portando alla luce l’humus dal quale esso germina. Analogie con l’assolata Sicilia di Camilleri si possono riscontrare nell’ambientazione pugliese del giallo di Gianrico Carofiglio, magistrato barese che ha oggi all’attivo numerosi polizieschi il cui protagonista è l’avvocato Guido Guerrieri. Entriamo così nei meandri del sistema processuale italiano, assistiamo alle inchieste giudiziarie e ai dibattiti in aula, seguendo i pensieri, le emozioni, i dubbi e le azioni di un personaggio, ancora una volta, tutto italiano, un eroe riluttante e schivo, malinconico e non privo di autoironia, che pare un vero paladino delle cause perse e assume la difesa di colpevoli perfetti: Fabio Raybàn, picchiatore fascista e conoscenza liceale di Guido, che giace in carcere per traffico di droga e continua a dichiararsi innocente (Ragionevoli dubbi, 2006); l’ambulante senegalese Abdou Thiam, inchiodato da indizi e testimonianze che l’accusano di un delitto atroce, l’uccisione di un bimbo di nove anni (Testimone inconsapevole, 2002). Guerrieri, che non ha nulla della sicurezza e della travolgente oratoria del celeberrimo Perry Mason di E. Stanley Gardner, conduce però le sue indagini con tenacia e amore della giustizia, ben deciso a combattere quei vizi che segnano fin dal principio alcuni procedimenti giudiziari, e va oltre l’ipocrisia dei benpensanti o la facilità con cui l’opinione comune condanna chi non può difendersi. Quello di Carofiglio è allora una sorta di “giallo militante”, vuole esortare a guardare la realtà con occhi liberi da pregiudizi, recuperando il senso più profondo della parola giustizia, che affonda le sue radici etimologiche nel latino ius, il diritto, un diritto che si basa sulla legge e deve essere garantito a tutti. Il panorama della produzione italiana si è dunque arricchito di voci molto interessanti nel corso degli ultimi decenni e non ha nulla da invidiare ai romanzieri stranieri; anzi, questi nostri autori caricano il giallo di sfumature originali, che ne variano le ambientazioni e creano delle tipologie, per così dire, regionali. Anche dalle nostre parti si è sviluppato un filone locale, con atmosfere lacustri e un po’ spente, fredde ed umide, oppure sonnolente ed immobili, com’è il clima di queste zone. Possiamo citare i gialli di Marco Polillo e il suo vicecommissario Enea Zottia, infelice e solitario, che non Gianrico Carofiglio sa risolvere i dubbi sulla propria vita, ma sa ben guardare oltre le apparenze e i tentativi di dissimulazione quando si tratta di smascherare un assassino. Una delle sue ultime indagini, ne Il pontile sul lago, si svolge sul Lago d’Orta e particolarmente interessante è proprio la ricostruzione dell’ambiente, modellato sul paese reale di Orta San Giulio e su una villa divenuta, per concessione della proprietaria, “scena del crimine”: il delitto sconvolge la monotona routine dei caffè affollati dai turisti solo nei weekend, delle stradine, delle botteghe, degli uffici di stimati professionisti e porta in superficie un sommerso di segreti, bugie e interessi in contrasto con quella calma piatta che il lago sembra suggerire con il ritmo cadenzato delle © PRISMI on line 2013 pagina 14 http://prismi.liceoferraris.it sue onde, un lago peraltro turbato, a partire da un certo punto della storia, da una pioggia violenta e battente. Testimonia l’interesse per il poliziesco anche la collana, pubblicata dall’editore varesino Macchione, che ospita giallisti autoctoni: mi è capitato di leggere l’opera prima di Sergio Cova, Tutti colpevoli, e questa volta è il Verbano a restituire il cadavere di turno. Recentissimi sono L’amore è morto, di Patrizia Emilitri Ruspa, di Vedano Olona, che vinse un’edizione del Premio Chiara, sezione racconti, ed è autrice già nota nel circuito varesino, e L’icona del lago, del dicembre 2012, che segna il debutto nel giallo di Barbara Zanetti, apprezzata cronista del quotidiano La Prealpina. Suggestivo è infine il giallo storico L’ultimo treno per Ganna, di Guido Borgini, ambientato nel 1934, che fa rivivere le atmosfere della nostra provincia durante il periodo fascista, seguendo l’indagine dell’appuntato dei Carabinieri Musocco, alle prese coll’omicidio di una donna ritrovata lungo i binari della ferrovia. Una conclusione… che non conclude Occorre mettere la parola fine a questa lunga conversazione, anche se i nomi di autori più o meno noti, i volti di attori di film e telefilm continuano a presentarsi davanti a me e alcuni protestano perché sono stati ignorati, altri perché se ne è appena accennato… ma la brevità è una virtù, che io, per altro, non possiedo. E allora che fare? Troncare, finirla qui e pensare a una prossima puntata, forse. È davvero difficile tirare le fila del discorso, dare una soluzione convincente di questo enigma che fa del giallo uno dei generi più vitali, per quanto si sia ad certo punto parlato della sua “morte”, dopo che alcuni scrittori ne demolirono le caratteristiche di genere. Certo, ha mutato pelle, in alcuni casi ha fatto implodere la sua stessa struttura, e dai frammenti è venuto fuori il detective divenuto folle de La promessa, di Dürrenmatt, o il mondo euforico in cui si muove Malaussene, di professione capro espiatorio, nei romanzi di Pennac. E proprio da questa crisi del poliziesco tradizionale, o da autori che anche in precedenza ne avevano utilizzato lo schema per introdurvi contenuti e messaggi ben più profondi, come Gadda o Sciascia, vengono le prove più interessanti, i capolavori. Ma ad un livello più popolare è innegabile che il giallo ha continuato a riprodursi, ramificandosi in una serie infinita di sottogeneri, variando la figura del detective, spaziando in ambienti sempre diversi, attingendo anche dalla cronaca e proponendo in TV ricostruzioni di delitti realmente commessi, condotte con la tecnica, e la voce, di un giallista, Lucarelli appunto. Perché questo interesse? Forse perché l’uomo ha bisogno di vedere rappresentati gli orrori di cui è capace per esorcizzarli. Forse perché c’è un morboso compiacimento nell’essere spettatori della sofferenza altrui. O forse perché c’è esigenza di giustizia, desiderio di sapere che chi commette il male viene punito e si può continuare a vivere con fiducia, nelle istituzioni, nell’umanità. © PRISMI on line 2013 pagina 15 http://prismi.liceoferraris.it E quel tipico commissario italiano, non sempre aitante e bello, non così duro e non così sicuro di sé, magari anche un po’ in crisi nella sua vita privata, malinconico e persino con qualche difetto di troppo… è così simile a noi che ci rassicura. Siamo certi che farà comunque del suo meglio, che metterà da parte i suoi problemi per compiere il suo dovere, ma non agirà come un freddo supereroe, saprà comprendere e compatire, un uomo tra gli uomini che porta a termine una missione ancora possibile, distinguere il bene dal male, l’onesto dal disonesto, ciò che è legale da ciò che non lo è. Una missione che è anche la nostra. BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA Per i romanzi citati paiono sufficienti le indicazioni inserite nel testo: le osservazioni su personaggi, temi, strutture nascono in gran parte da una lettura personale e da un gusto soggettivo. Per la ricostruzione del contesto e le informazioni sugli autori preziosa è stata una conferenza, tenuta dalla dott.ssa Marina Polacco presso il Liceo Classico E. Cairoli nel 1997, dal titolo “Giallo postmoderno”. Si sono inoltre consultati i seguenti testi: G. Barberi Squarotti, G. Greco, V. Milesi, Incontro con il testo – Racconto e romanzo, Atlas Bergamo, 2008 R. Alfieri, P. Ardizzone, M.G. Baruffaldi, V. Campo, G. Lozio, A. Matranga, Paesaggio con figure, Morano, Napoli, 1992 M. Biagioni, F. Caprilli, L. Cepparrone, L. Corsi, A. Pecoraro, Interpretare il mondo- Il mondo della letteratura, Palumbo, Firenze, 2001 S. Cardini, F. Onorato, Intrecci, trame e canti- Narrativa, Le Monnier, Milano, 2007 Per la parte relativa a serie televisive e versioni cinematografiche, nonché per le immagini e per ulteriori notizie e aggiornamenti su alcuni autori si è attinto a siti internet : www.wikipedia.it www.fiction.rai.it www.film.it/ www.loriano-macchiavelli.it www.carlolucarelli.net www.macchionepietroeditore.it © PRISMI on line 2013 pagina 16 http://prismi.liceoferraris.it