Patrizia Maran1
Un giallo sempreverde
Caleidoscopico giallo
Il giallo è un colore intriso di gioiosa vitalità: è la primula che spicca sul verde dell’erba
nuova, è il sole che buca le nuvole, è il limone “tromba d’oro della solarità”, come dice
Montale.
Ma nella storia della letteratura italiana il giallo è il colore del delitto.
Tutta colpa di Lorenzo Montano, che nel 1929 fece nascere la prima collana
specializzata nella pubblicazione di tale genere narrativo, edita da Arnoldo Mondatori e
contraddistinta da una copertina gialla: di lì il nome italiano per un tipo di romanzo che i
Francesi chiamano roman policier, gli Inglesi detective story o crime novel, i tedeschi
Detektivliteratur o Kriminalroman … ma i nomi si sono via via moltiplicati, nel tentativo di
classificare una realtà multiforme e in continua espansione, individuando varianti specifiche
e sottogeneri.
Comunque lo si indichi, infatti, è innegabile che il genere poliziesco ha avuto enorme
diffusione e tuttora appassiona milioni di lettori; ma viene tradizionalmente relegato tra la
letteratura di serie B, quella di largo
consumo,
che
non
produce
capolavori.
Certo il severo giudizio è in
molti casi ampiamente giustificato… eppure a me i gialli sono
sempre piaciuti. Da ragazza li
divoravo, proprio quei Gialli
Mondadori che costavano poche lire
e che anche mia madre amava
leggere. E ancora ne leggo,
scegliendoli forse con più cura,
inseguendo qualche novità o
fidandomi di quell’istinto che mi
attira in libreria e mi impedisce di
uscirne a mani vuote.
Da questa mia passione ho allora pensato di trarre qualche riflessione, non tanto sul
valore letterario del genere giallo, quanto piuttosto sui motivi che ne determinano il
successo e sui cambiamenti in esso intervenuti, nella tipologia di detective, nella struttura e
ambientazione delle storie, nel modo in cui il pubblico può oggi fruire di esse.
1
Docente di Lettere italiane e latine al liceo scientifico G. Ferraris di Varese.
© PRISMI on line 2013
pagina 1
http://prismi.liceoferraris.it
Il detective eroe e la vittoria del Bene
Protagonista e dominatore del romanzo poliziesco tradizionale è un particolare eroe
cercatore: come un antico cavaliere egli conduce una queste, appunto una “inchiesta”, una
“ricerca” di verità.
La sua missione consiste nello scoprire il colpevole del crimine che apre il racconto, ed è
spesso seguito da altri eventi delittuosi, finché la catena del male viene spezzata da chi ha
ripercorso con pazienza, risalendo a ritroso nel tempo, le tappe della vicenda, così che
l’equilibrio narrativo viene ricostituito e giustizia è fatta.
La struttura del racconto giallo presenta infatti una sostanziale alterazione del rapporto
tra fabula e intreccio: l’ordine è invertito, la storia comincia dalla fine e risulta così
coinvolgente perché il lettore gareggia col detective, cerca come lui di ricostruire le mosse
dell’antagonista, l’assassino, svelandone l’identità grazie agli indizi che un narratore
reticente dissemina nel suo racconto come pezzi di un puzzle. Solo chi porta nel suo stesso
nome il marchio di cercatore – scopritore può condurre e termine l’arduo compito: detective
rimanda al latino detego un verbo che significa appunto “scoprire”, mentre inchiesta deriva
da quaero ovvero “chiedere per sapere, cercare”.
Proprio la sfida tra lettore e detective è una delle ragioni del successo del giallo,
soprattutto nella sua varietà classica, unitamente all’effetto consolatorio e rassicurante di un
racconto che si conclude con il trionfo della giustizia e con il ritorno alla normalità, perché
l’anomalia del delitto è stata eliminata da un microcosmo sociale che torna ad essere
ordinato e regolato.
Non è infatti un caso che tale tipologia narrativa si sviluppi a partire dalla metà
dell’Ottocento, epoca segnata da grandi cambiamenti sociali, economici, culturali:
l’urbanizzazione in atto favorisce anche la formazione di ambienti degradati e l’aumento
della criminalità; la rappresentazione della realtà, della società, dell’uomo stesso secondo
criteri scientifici è alla base del Naturalismo, che si impone in letteratura e oscura la linea
del fantastico, dell’avventuroso, del romanzesco.
Ecco che il romanzo poliziesco riesce però a conciliare esigenze e tendenze opposte:
l’avventura e il mistero vengono calati nella realtà quotidiana, spesso delle città annerite dai
fumi della produzione industriale; l’irrazionale e la malvagità che contaminano il mondo
vengono smascherati e sconfitti da chi applica al massimo grado un metodo di indagine
razionale e scientifico.
Questo filone della paraletteratura incontra dunque il favore di un’ampia fascia di
pubblico proprio perché riesce a rappresentare, contemporaneamente, ciò che si deve
reprimere, ma che risulta fortemente attrattivo, e la sua repressione: almeno nella finzione le
forze del Bene riportano una vittoria schiacciante.
© PRISMI on line 2013
pagina 2
http://prismi.liceoferraris.it
Il detective lavora in coppia
La prima generazione di investigatori è costituita da uomini di intelligenza superiore alla
media, sdegnosi e snob, dal carattere spesso impossibile e afflitti da assurde manie.
Auguste Dupin, che risolve l’enigma del cruento duplice delitto della Rue Morgue, nel
racconto scritto da Edgar Allan Poe nel 1841 e considerato il capostipite del genere giallo, è
un detective per diletto. Attratto dalla stranezza di un caso apparentemente insolubile,
mentre la polizia brancola nel buio, egli applica con rigore il suo metodo investigativo
basato su osservazione e ragionamento e polemizza con la superficialità e la dabbenaggine
delle forze dell’ordine. Lo affianca un giovane amico, la voce narrante della vicenda,
affascinato dalla straordinaria capacità deduttiva di Dupin e disposto a sopportare di buon
grado le sue bizzarrie, come l’odio per la luce del giorno; egli è l’interlocutore con cui il
detective discute dell’indagine, invitandolo a fare delle ipotesi sulla base degli indizi
raccolti, salvo poi demolirle con la sua logica stringente.
È un primo esempio di “spalla” del primo attore, situazione che diverrà piuttosto comune
nel genere poliziesco, con la formazione di celebri coppie: Sherlock Holmes e Watson,
Poirot e Hastings, Nero Wolfe e Archie Goodwin.
La presenza di questo personaggio è fondamentale per creare suspense e sottolineare la
superiorità intellettuale del detective: egli esprime infatti l’opinione dell’uomo comune e si
mostra spesso anche meno intuitivo del lettore stesso, tanto che si lascia fuorviare da piste
sbagliate e solo alla fine apprende quella verità che è ben nota all’investigatore da tempo,
ma di cui l’ha tenuto all’oscuro. Eppure egli rimane costantemente al suo fianco, agisce su
suo ordine anche senza capire, avvalorando con la sua inconsapevole fiducia la correttezza
delle deduzioni di quella mente eccelsa e superba.
Così Watson divide con l’amico Holmes l’appartamento di Baker Street, lo accompagna
in tutte le sue avventure e puntualmente ne lascia memoria scritta; non gliene vuole se
l’infallibile ed istrionico investigatore conclude
regolarmente i suoi discorsi con quella frase,
“Elementare, Watson!”, che sembra rinfacciargli la
sua inferiorità intellettuale.
David Suchet interpreta Hercule Poirot
© PRISMI on line 2013
Analogamente il piccolo investigatore belga
Hercule Poirot si avvale del buon senso e del braccio
di Hastings, un inglese impeccabile e corretto, non
geniale, ma certo disponibile e affidabile; le
eccezionali cellule grigie dell’ometto dal fisico non
erculeo e dai lunghi baffi impomatati con cura
maniacale hanno infatti bisogno della fedeltà e della
fisicità del capitano per condurre concretamente le
indagini, verificare le ipotesi e organizzare infine il
coup de théâtre che tanto spesso conclude i gialli di
Agatha Christie, ben trentatré, di cui Poirot è
protagonista.
pagina 3
http://prismi.liceoferraris.it
E se accanto a Nero Wolfe, creatura dello statunitense Rex Stout, non ci fosse Archie
Goodwin, come potrebbe risolvere i casi intricati che gli vengono sottoposti l’eccentrico
detective? Egli infatti non esce quasi mai dalla sua abitazione e scandisce i tempi della sua
giornata con una routine immutabile, che alterna la sacralità dei pasti luculliani preparati dal
fedelissimo Fritz alla cura amorosa per le orchidee: il mondo è bandito dallo studio di Wolfe
ed è Archie il tenue legame con la realtà esterna dove si commettono i crimini, è lui l’uomo
che agisce, raccoglie prove e contatta testimoni per il burattinaio che muoverà poi i fili e
metterà alle strette il colpevole, ancora una volta smascherato da un rigoroso percorso
logico che assembla tutti gli indizi.
La vitalità della coppia “detective / mente sublime – collaboratore / braccio attivo” è
testimoniata dalla sua persistenza nel percorso del giallo: se Poe scrive alla metà
dell’Ottocento, Arthur Conan Doyle crea la figura di Holmes alla fine del secolo, mentre la
Christie pubblica la prima avventura di Hercule Poirot nel 1920 e il primo romanzo che
vede Nero Wolfe protagonista è La traccia del serpente, del 1934.
Col passare del tempo i membri della coppia hanno subito qualche mutamento, ma
continuano ad essere presenti, soprattutto nella veste televisiva del racconto poliziesco, che
riscuote enorme successo di pubblico tanto quanto l’antenato cartaceo.
Nella recentissima serie The mentalist, per esempio, prodotta negli USA nel 2008 e
trasmessa in Italia a partire dall’anno successivo, il protagonista Patrick Jane collabora come
consulente mentalista (una sorta di psicologo – sensitivo) con la squadra del CBI coordinata
da Teresa Lisbon. Di fatto egli monopolizza le indagini, proprio perché è in grado di notare,
registrare e ricomporre in un quadro, coerente ed ineccepibile dal punto di vista logico,
particolari che invece sfuggono agli altri; è dunque una sorta di erede di Holmes, persino del
suo lato oscuro. Come Sherlock si deve misurare con lo sfuggente e irriducibile professor
Moriarty, anche Patrick ha un nemico, John il Rosso, che ha ucciso la sua famiglia segnando
per sempre la sua vita e facendo crescere in lui, dopo il primo sviamento, un inestinguibile
desiderio di vendetta. E, come Holmes, the mentalist spesso viola o ignora le regole per
conseguire i suoi obiettivi. Al suo fianco, però, non c’è un bonario Watson, ma una
affascinante ed energica donna poliziotto (tributo alle “quote rosa”), che lo protegge e ne
tollera l’indisponente tendenza a far pesare la propria superiorità. Non mancano le piccole
manie: un angolo tranquillo, con tanto di divano, ricavato per lui nel cuore degli uffici
anonimi del CBI; le tisane che egli sorseggia, anziché bere il tipico caffè americano.
Insomma, Patrick Jane non suona il violino… ma per il resto pare proprio un degno
discendente del mitico Holmes.
In molti altri telefilm agiscono coppie di investigatori e le loro caratteristiche si sono via
via diversificate, proprio perché la figura stessa del detective ha assunto volti nuovi.
Abbiamo così la variante “duro più duro” tipicamente americana e nella linea del giallo
d’azione: possiamo citare Starsky e Hutch (in onda dal 1975 al 1979) o i due protagonisti di
Miami vice, Sonny e Rico (1984 – 1990); entrambe le serie televisive sono state rivisitate e
sono divenute dei film in epoca più recente, rispettivamente nel 2004 e nel 2007.
Il rapporto “duro”/guardia del corpo e ragionatore/inerme è ben evidente negli episodi di
Bones, attualmente in programmazione su Rete Quattro e di matrice ancora una volta
statunitense (a partire dal 2005): in questo caso il personaggio femminile, Temperance
“Bones” Brennan, antropologa forense estremamente competente anche se un po’ gelida,
gode della protezione del personaggio maschile, Seeley Booth, agente FBI, secondo uno
© PRISMI on line 2013
pagina 4
http://prismi.liceoferraris.it
schema apparentemente più tradizionale. In realtà Bones è meno indifesa di quanto potrebbe
sembrare e i due compagni non sono subito in sintonia, anche se la loro collaborazione sarà
galeotta e le cose si evolveranno verso un legame sempre più a carattere sentimentale.
Attorno ai due protagonisti si muove inoltre un team di collaboratori, altro elemento
significativo di mutamento, poiché Bones è una scienziata e basa la sua tecnica di indagine
sull’osservazione, ma affiancata e potenziata da apparecchiature sofisticate e
ipertecnologiche, essendo figlia, appunto, della nostra epoca.
Interessante può essere anche qualche esempio europeo. Dall’area tedesca viene un duo
tradizionale, l’ispettore Derrick e il suo braccio destro Harry Klein. La serie fu prodotta in
Germania dal 1974 al 1998 e approdò in Italia su Rai 2 nel 1979; incontrò un successo
straordinario, forse proprio perché i due personaggi sono connotati assai diversamente
rispetto ai tipici detective americani. Se Klein appare abbastanza dinamico e deciso, ma non
propriamente un “duro”, Derrick è addirittura piuttosto anziano, dimesso nell’aspetto e nel
modo di vestire, quasi compassionevole e turbato dalla tragica realtà con cui entra in
contatto; la sua indagine non è focalizzata solo sulla ricerca del colpevole, ma coinvolge in
una profonda analisi psicologica anche le famiglie delle vittime e dei sospettati, l’humus
sociale da cui trae origine il delitto. Sotto osservazione è prevalentemente la media e alta
borghesia tedesca, le cui azioni, le cui idee e pregiudizi sono spesso concause del gesto
criminale del singolo. Ciò, naturalmente, non assolve dalle proprie responsabilità chi
commette un reato e Derrick ristabilisce l’ordine e la giustizia, come in ogni racconto
poliziesco classico; tuttavia rimane in lui, e nello spettatore, una certa amarezza, una
comprensione e un moto di pietosa umanità che fanno di questo commissario un erede di
Maigret, più che del superuomo Holmes.
Una ulteriore variante della coppia detective/spalla vede accanto all’uomo un cane
poliziotto: celeberrimo il “commissario” Rex, pastore tedesco, di razza e di origine. La serie
televisiva è infatti una coproduzione tedesca, austriaca e italiana, giunta alla sua sedicesima
edizione, a partire dal 1994. Ambientata a Vienna e, nell’ultima versione, a Roma, ha visto
alternarsi accanto allo straordinario cane parecchi partners umani, dopo l’uccisione del
primo ispettore, Richard Moser, ad opera di un evaso. In questo caso, dunque, la spalla
soppianta il detective e se, da un lato, continua a ricoprire il ruolo di difensore ed esecutore
dei suoi ordini, dall’altro esercita una sorta di indagine in proprio, condotta con sensibilità e
mezzi canini, che risulta spesso determinante per la soluzione del caso.
Detective improbabili
L’eccentrico Poirot non è l’unica creatura di Agatha Christie: alla sua penna si deve
anche l’invenzione di un tipo di investigatore del tutto diverso e assolutamente improbabile,
una innocua e arzilla vecchietta, Miss Marple, che compare in dodici romanzi e in alcuni
racconti. Dal suo piccolo osservatorio, il paesino di St. Mary Mead dove conosce tutti,
guarda scorrere la vita con estrema curiosità, e quando si imbatte nel delitto applica un
metodo di indagine che si basa sul confronto tra la sua esperienza nel microcosmo del suo
villaggio e un macrocosmo in cui uomini e donne agiscono spinti dalle stesse ragioni e sono
preda degli stessi sentimenti. Miss Marple, anche se un po’ pettegola e impicciona, si
preoccupa degli altri e mette al servizio del bene le sue doti di acuta osservatrice e
psicologa, risolvendo i casi più intricati, nonostante lo scetticismo del nipote, l’unico
© PRISMI on line 2013
pagina 5
http://prismi.liceoferraris.it
parente che in alcuni racconti la affianca. Più spesso, invece, a coadiuvarla sono amiche e
conoscenti, sempre numerosi nonostante l’anziana donna non sia sposata e viva da sola.
Le avventure di Miss Marple divennero film e telefilm e il ruolo della intrigante
vecchietta fu interpretato da grandi attrici; tra le più note Margaret Rutherford, non
particolarmente apprezzata dalla Christie, Joan Hickson e Geraldine McEwan; anche Angela
Lansbury fu Jane Marple nel film Assassinio allo specchio, una produzione statunitense del
1980.
Ma il pubblico televisivo italiano associa molto più
facilmente il volto della Lansbury ad un’altra sua
interpretazione: è infatti la “signora in giallo”, Jessica Fletcher,
insegnante di Inglese e autrice appunto di romanzi polizieschi,
nonché investigatrice suo malgrado, perché molto spesso
accadono atroci delitti a Cabot Cove, la piccola località costiera
del Maine dove ella risiede; oppure sono i suoi numerosi nipoti,
cugini o amici a chiederle aiuto, poiché l’energica signora è
vedova e sola, ma ha una intensa vita sociale e mantiene contatti
con tutti i parenti. Inoltre la sua professione di scrittrice la porta
a viaggiare negli Stati Uniti e le fornisce molteplici occasioni
Margaret Rutherford
per collaborare, oltre che con lo sceriffo Amos Tupper di Cabot
Cove, con molti altri ispettori di polizia, più o meno disponibili ad accettare la sua presenza
e a riconoscere la sua abilità di investigatrice, oltre che di giallista.
Jessica è dunque in parte Miss Marple e in parte Agatha Cristhie, e il cocktail di
personaggi ha assicurato grande successo alla serie televisiva, tanto che da essa, in un
percorso contrario rispetto a quello solito, sono poi nati romanzi e racconti che hanno come
protagonista, appunto, la “signora in giallo”.
Alcune recensioni hanno accostato al personaggio di Miss Marple un’altra detective al
femminile piuttosto particolare, la signora Precious Ramotswe, fondatrice della N1 Ladies’
Detective Agency a Gaborone, capitale del Botswana. I romanzi che la vedono protagonista
sono opera di Alexander McCall Smith, eminente professore di Medicina legale ad
Edimburgo e, contemporaneamente, apprezzato giallista. Egli è nato nel 1948 nello
Zimbawe, trasferendosi poi in Scozia dove tuttora risiede; i ricordi della sua infanzia e
adolescenza africana delineano per i suoi racconti uno sfondo fresco e colorato e fanno
vivere personaggi insoliti e però realistici, in una dimensione molto diversa da quella
europea.
In realtà la gioviale e rassicurante signora Ramotswe, affiancata dalla sua segretaria ed
amica, la signorina Makutsi, e dal rispettabile e stimato meccanico JLB Matekoni, suo
fidanzato, assomiglia molto poco alla sua anziana sorella inglese. Certo è intelligente ed
osservatrice, ma nelle sue indagini mette soprattutto il suo gran cuore, il suo desiderio di
portare ordine e serenità nella vita ingarbugliata di quei clienti che si affacciano alla porta
della sua agenzia e le sottopongono casi umani, non delitti truci. Così questa donna paffuta e
gentile, a bordo della sua scalcinata macchina bianca, ci porta con sé sulle strade polverose
di un’Africa fatta di costumi antichi e tradizioni, di valori e rispetto per il dolore e i
sentimenti altrui, in una dimensione che obbedisce, anche nel ritmo narrativo, al tempo
sospeso di quella terra, raccontata con amore e con ironica leggerezza.
© PRISMI on line 2013
pagina 6
http://prismi.liceoferraris.it
Detective con la tonaca
Il britannico G.K. Chesterton, giornalista, poeta e autore di romanzi gialli, è l’inventore
di un personaggio assai originale, padre Brown, protagonista di un ciclo di storie che
costituirono un corpus di cinque volumi, pubblicati tra il 1911 (L’innocenza di padre
Brown) e il 1935 (Lo scandalo di padre Brown). Il giallo fu per Chesterton un pretesto, un
contenitore nel quale calare un messaggio religioso; egli infatti aveva scritto saggi relativi
alla fede cattolica e annoverava tra i suoi amici un prete cattolico, John O’Connor, cui si
ispirò nella creazione del suo personaggio.
Padre Brown è dunque un investigatore che non si accosta al delitto per curiosità o per
mettere alla prova la propria intelligenza, quanto piuttosto per compassione, verso la vittima
ma anche verso il colpevole, un’anima da recuperare e redimere; egli è spinto dall’amore
della verità, agisce per riportare pace e serenità nel mondo sconvolto dal crimine, che è
prima di tutto infrazione alle regole divine, peccato. Così nella sua indagine si avvale della
ragione, ma con la piena consapevolezza che essa ci viene da Dio, e non deve mai essere
disgiunta dalla pietà: non è un caso che Flambeau “il grande mariuolo”, che tiene in scacco
le polizie di tre Stati, in un primo tempo antagonista di padre Brown, divenga poi un suo
prezioso e fedele collaboratore, conquistato e convertito da un tale avversario.
Eppure l’aspetto di questo religioso-detective, è del tutto comune: un “pretucolo” con
“una faccia tonda ed inespressiva come gli gnocchi di Norfolk, gli occhi incolori come il
mare del Nord”. È questa l’impressione che suscita nell’ispettore Aristide Valentin, capo
della polizia di Parigi ed in missione in Inghilterra proprio per arrestare lo sfuggente
Flambeau, maestro nei travestimenti. (Cfr. il racconto “La croce azzurra”, ne L’innocenza di
padre Brown). Se però il mite sacerdote non provvedesse a disseminare tracce atte a guidare
il poliziotto verso il malvivente, Valentin, emulo del ragionatore Holmes, fallirebbe
miseramente: dalla sua padre Brown ha infatti una saggezza che gli viene dal suo ministero,
dalla sua abituale frequentazione con il peccato che gli consente di apprendere le strategie
del male, e sulla conoscenza del cuore umano si fonda il suo metodo investigativo, non tanto
sulla ricerca di impronte o indizi. Nella sua umiltà e normalità, nel suo modo di fare
impacciato, nelle parole ingenue, egli è l’opposto del detective superuomo, ma, come lui, ha
dei punti fermi, delle certezze che non esita a rendere palesi in frasi perentorie: prima di
tutto la convinzione che nulla sfugge alle leggi della verità, manifestazione della presenza di
Dio sulla Terra.
A noi, generazione di video-dipendenti, la figura di padre Brown non può non ricordare
il nostrano don Matteo, interpretato dall’inossidabile Terence Hill nella fiction in onda su
Rai 1 dal 2000 e giunta ormai alla sua nona stagione, serie particolarmente apprezzata e che
ha vinto il premio per la miglior regia televisiva nello scorso 2012.
L’ambientazione del format, una volta tanto completamente italiano e non importato
dagli Usa, è certo molto diversa dal contesto inglese in cui si muove padre Brown; don
Matteo, missionario in America Latina, torna a Gubbio e diviene parroco della chiesa di San
Giovanni. Qui egli non si dedica solo alla cura delle anime, ma affianca nelle indagini il
nucleo locale dei carabinieri, anche se la sua collaborazione non è molto gradita dal
comandante, dapprima il capitano Flavio Anceschi, poi Giulio Tommasi. È soprattutto il
© PRISMI on line 2013
pagina 7
http://prismi.liceoferraris.it
maresciallo Nino Cecchini (Nino Frassica), invece, ad apprezzare e spesso a richiedere
l’aiuto di don Matteo, di cui è sincero amico. Così, attraverso suggerimenti e indicazioni
fornite al maresciallo, il parroco investigatore riesce ad orientare le inchieste ufficiali,
spesso rivolte in direzioni errate, con una tecnica piuttosto simile a quella del personaggio di
Chesterton. E anche don Matteo è un esperto del cuore umano, è particolarmente vicino a
chi vede la propria vita sconvolta dal delitto, cerca di comprendere anche le motivazioni del
colpevole, spesso lo raggiunge prima delle forze di polizia, gli parla, lo induce a confessare,
a pentirsi. Il personaggio è però modellato sulle caratteristiche dell’attore che lo interpreta, e
mantiene l’energia che era propria di un Terence Hill picaresco e facile alle scazzottature; e
se un prete non può certo più fare a pugni, può però pedalare vigorosamente per le vie di
Gubbio, con il fisico atletico fasciato dalla tonaca svolazzante.
Padre Brown, invece, fu magistralmente
interpretato da Renato Rascel, il “piccoletto”
della canzone italiana, in una miniserie
televisiva in sei puntate tratta dai racconti di
Chesterton e mandata in onda nel 1970 dalla
Rai.
La tradizione letteraria degli investigatori in
abito religioso ha vissuto una nuova stagione
in tempi più vicini a noi, a partire dal
bestseller di Umberto Eco Il nome della rosa
(1980), romanzo storico, filosofico e
quant’altro… ma anche giallo straordinario e
Renato Rascel interpreta Padre Brown
appassionante. E il nome stesso del
protagonista, il francescano Guglielmo da Baskerville, rimanda a Conan Doyle e alla
celeberrima avventura di Holmes nella brughiera inglese, alle prese con le apparizioni
fantasmatiche del mostruoso mastino persecutore dei Baskerville. Come Holmes, fra
Guglielmo dovrà combattere contro la superstizione, smascherando un assassino in carne ed
ossa che cerca di far attribuire all’azione del Maligno i delitti che funestano la vita
dell’Abbazia; e il suo metodo di indagine è scientifico, fatto di osservazioni, di esperimenti
e di deduzioni, condivise con il giovane discepolo Adso da Melk, immancabile spalla,
narratore della vicenda e sincero ammiratore della saggezza del suo maestro. Naturalmente
il romanzo di Eco non è solo questo e le tematiche che in esso vengono affrontate sono
complesse e profonde; ma è significativo che un autore dotto, una delle voci più interessanti
del Postmoderno, utilizzi l’impianto narrativo del giallo per veicolare contenuti non
propriamente popolari.
Indossano il saio monastico anche altri detective medievali, in romanzi che appartengono
alla tipologia del giallo storico per così dire “di consumo”, un filone che da qualche
decennio si è imposto all’attenzione del pubblico.
Viene dall’Inghilterra frate Matthew, creatura della milanese Valeria Montaldi, e
protagonista de Il signore del falco, che ha ottenuto il Premio Selezione Bancarella 2004. Il
monaco inglese (è questo il titolo di un altro romanzo della Montaldi) vive però in Italia e
viene incaricato dall’abate di San Simpliciano, Arnolfo da Sala, di rintracciare il figlio di
una giovane donna il cui cadavere era stato ritrovato diciassette anni prima nel canale della
Vertabbia. La ricerca del frate si snoda in una Milano sconvolta dalla caccia agli eretici e
dalla lotta contro l’imperatore Federico II, nella prima metà del XIII secolo; qui si
© PRISMI on line 2013
pagina 8
http://prismi.liceoferraris.it
incrociano le strade di molti personaggi costruiti secondo il criterio della verosimiglianza
proprio del romanzo storico, in un affresco che incornicia l’indagine e la rende ancor più
avvincente.
Ancora la Gran Bretagna, ma del XII secolo, è la patria, e anche la sede, di un altro
monaco detective, fratello Cadfael, dell’abbazia benedettina di Shrewsbury, nel Galles.
Autrice della serie fortunatissima (ben 18 titoli sono stati tradotti e pubblicati in Italia) è
Ellis Peters, pseudonimo di Edith Pargeter (1913 – 1995), che esordì come scrittrice nel
1930 e si dedicò dapprima al romanzo storico, per poi passare al giallo medievale nel 1977,
con La bara d’argento, racconto in cui fa appunto la sua prima apparizione il personaggio di
fratello Cadfael, monaco erborista, che ha scelto la vita tranquilla del chiostro dopo aver
conosciuto la guerra, come crociato, e l’amore.
Gli investigatori privati
La figura dell’investigatore privato, spesso concorrente delle forze di polizia, è tipica
dell’hard boiled novel, un poliziesco realistico che si afferma in America negli anni
Trenta/Quaranta. Dopo la Grande Depressione e la conseguente trasformazione della società
statunitense, si diffonde la criminalità organizzata e il mondo si corrompe: il detective
diviene cinico e disperato, conduce le sue indagini non solo e non tanto con la proverbiale
acutezza d’ingegno, ma anche con metodi duri, simili a quelli della malavita che combatte e
che conosce molto bene, di cui utilizza addirittura il gergo. Il suo atteggiamento
disincantato, la sua vita disordinata, fatta di pasti freddi e whisky, esercitano un certo
fascino sui personaggi femminili che incrociano la sua strada, ma non restano certo al suo
fianco, poiché la solitudine è la sua condizione esistenziale. Egli è il difensore di un ordine
che non esiste più, poiché il cancro del crimine ha intaccato gran parte della società, spesso
gli stessi poliziotti o i politici; eppure, spinto da un animo profondamente onesto, non cessa
di lottare, novello Don Chisciotte, in un susseguirsi di colpi di scena che rendono incalzante
il ritmo del racconto e fanno emergere le
contraddizioni, i vizi, la violenza di una realtà entro
la quale la vittoria dell’eroe è solo temporanea.
Maestri del giallo d’azione furono Dashiell
Hammett, autore di classici come Il falcone
maltese (1930), La chiave di vetro (1931) e
L’uomo ombra (1934), e Raymond Chandler, padre
del celeberrimo Philip Marlowe, che fece la sua
comparsa ne Il grande sonno (1939). Attori molto
noti prestarono il loro volto a Marlowe in versioni
cinematografiche divenute dei veri cult movies: tra
di essi Humphrey Bogart, nel 1946, diretto da
Howard Hawks (Il grande sonno) e Robert
Mitchun, che nel 1975 interpretò il detective
invecchiato ne Marlowe, il poliziotto privato, tratto
dal romanzo di Chandler Addio mia amata.
Humphrey Bogart nei panni di Marlowe
© PRISMI on line 2013
pagina 9
http://prismi.liceoferraris.it
Si ispira alla figura di Marlowe lo scrittore spagnolo Manuel Vázquez Montalbán (1939
– 2003) per delineare Pepe Carvalho, personaggio assai interessante e controcorrente,
profondamente critico nei confronti dei suoi precedenti letterari e della produzione filmica
che fa capo al giallo. Egli infatti li cita esplicitamente proprio per negarli: quella “realtà
vera” in cui agisce Carvalho è modesta e poco entusiasmante, il detective si autodefinisce un
“annusapatte”, perlopiù pedina mogli per conto di mariti gelosi o cerca ragazzine fuggite da
casa; non è certo un eroe che si erge contro sanguinari assassini e conduce a termine
brillantemente indagini complesse, conquistandosi una meritata fama. Carvalho è un
Marlowe decaduto e sconfitto, che ha rinunciato a riflessioni troppo astratte e a sentimenti
troppo impegnativi, si è ridotto a cibo e sesso. È dunque divenuto un eccezionale gourmet,
un cultore della scienza culinaria: di qui le frequenti digressioni sull’argomento, che variano
lo schema tipico del giallo, racconto in genere serrato e privo di excursus. Si tratta di
descrizioni dettagliate di pasti, talvolta veri e propri cerimoniali; oppure vengono
narrativizzate le ricette, tanto che esse sono state anche raccolte in un libretto a parte (Le
ricette di Pepe Carvalho, pubblicato nel 1988); o ancora si inseriscono disquisizioni su temi
culinari, gli unici sui cui, secondo Carvalho, valga la pena di discutere. Per il resto, i libri
sono utili per accendere il fuoco nel caminetto, azione abituale per il nostro; quanto alle
relazioni sentimentali, al suo fianco c’è una ex prostituta, Charo.
Eppure Pepe non riesce a distruggere completamente il passato, conserva nel suo DNA
alcuni geni del detective tradizionale e risolve l’enigma, scopre il colpevole. Ciò tuttavia
non serve per sconfiggere il male, perché Carvalho si scontra non con il singolo criminale,
bensì con forze più sfuggenti e impersonali, per esempio i grandi poteri economici e
finanziari, come la multinazionale de La solitudine del manager. Contro tali nemici il
detective può solo godere di una vittoria morale, di una rivincita personale. La sua ribellione
sta nel rifiuto della corruzione, nella estraneità al sistema: non si è fatto comprare… ma
giustizia non è fatta, perché non è più possibile ottenere giustizia.
I tutori dell’ordine
Spesso, si è detto, la polizia non fa una bella figura nel romanzo giallo: brancola nel buio
o segue piste improbabili. Non mancano, però, abili commissari o team investigativi che
ottengono risultati concreti e costanti. Quest’ultima situazione è piuttosto frequente in molte
serie televisive, sia statunitensi sia europee. Possiamo citare la squadra superorganizzata del
capo della omicidi di Los Angeles Brenda Leigh Johnson, in The closer, attualmente in
programmazione su Rete Quattro e giunta alla sua settima stagione, o i detective scienziati
di CSI, o ancora i criminologi specialisti nell’individuare assassini seriali (Criminal minds).
La produzione di casa nostra ha proposto delle varianti tutte italiane di tale filone: gli
episodi di Distretto di polizia, le vicende dei carabinieri del RIS, la serie de La squadra,
ambientata a Napoli, nel regno della camorra; persino la guardia di finanza (Il capitano, due
stagioni, a partire dal 2005) e la guardia costiera (dopo Gente di mare, in onda nel 2005 e
2007, la recentissima fiction L’isola, trasmessa lo scorso dicembre su Rai Uno) sono state
poste sotto la luce dei riflettori.
Meno diffuso questo motivo nella produzione cartacea, anche perché il lettore del giallo
ha bisogno di identificarsi in un personaggio principale e di seguire una trama poco
© PRISMI on line 2013
pagina 10
http://prismi.liceoferraris.it
dispersiva per poter gustare il percorso dell’indagine; al contrario lo spettatore di una serie
televisiva può essere attratto proprio dalla varietà dei caratteri che compongono il team degli
investigatori, dall’intreccio delle loro storie personali, delle relazioni che si stabiliscono tra
loro e che corrono parallele alla trattazione dello specifico caso che li vede di volta in volta
impegnati. Si può però individuare qualche eccezione, ad esempio l’87° distretto in cui si
ambientano molti polizieschi dello statunitense Ed Mc Bain. Ad Isola, quartiere di una città
immaginaria (riconducibile però a Manhattan), gli agenti del locale distretto di polizia
conducono la loro quotidiana lotta contro il crimine, alcuni soccombono, altri subentrano al
loro posto, poco per volta si delinea anche una figura più importante rispetto alle altre, Steve
Carella; il tempo scorre, la società cambia, ma puntualmente i nostri si ripresentano per una
successiva storia, quasi una puntata di un serial che si prolunga per cinquant’anni, dal 1956
(L’assassino ha lasciato la firma) al 2005, anno della scomparsa dell’autore, scrittore ben
noto anche per altre tipologie di opere, pubblicate sotto diversi pseudonimi, e sceneggiatore
di fama (a lui si deve la sceneggiatura originale del celeberrimo film di Hitchcock Gli
uccelli).
Più spesso nel romanzo giallo il commissariato fa da sfondo, con i suoi uomini e le sue
risorse, all’azione di un unico personaggio, colui che dirige le indagini e, come nella miglior
tradizione del detective eroe, ha uno sguardo sulla realtà più consapevole e più profondo di
quello degli altri.
L’esempio forse più noto è la creatura di George Simenon, il commissario Maigret,
protagonista di una ottantina di romanzi e ventotto racconti, a partire dagli anni Trenta
(1931, Pietro il Lettone), e più volte portato sullo schermo, in film e sceneggiati televisivi,
da grandi attori come Jean Gabin o l’italiano Gino Cervi.
Maigret è molto diverso dai suoi eccentrici
colleghi inglesi, Holmes e Poirot: il giallo di
Simenon è infatti lontano dagli schemi classici
del genere, in esso acquistano grande rilievo i
ritratti psicologici e si delinea magistralmente
l’atmosfera grigia delle periferie parigine o
della provincia francese. È qui che si muove
Maigret, con la sua aria pacata e l’immancabile
pipa, un uomo semplice, tranquillo e del tutto
normale, anche nei suoi affetti familiari,
rispettoso e fedele alla sua “signora Maigret”.
Questo antieroe non indaga per il piacere di
mettere alla prova le sue doti intellettuali, ma
per compiere il suo dovere di buon poliziotto,
tentando anche di comprendere le cause sottese
al delitto. Con la sua indagine porta dunque
alla luce un intero mondo, un frammento di
vita, non soltanto l’identità dell’assassino; ed
emerge l’inquietudine dei tempi moderni,
Jean Gabin nei panni di Maigret
escono dall’anonimato personaggi che vivono
nei quartieri più squallidi e di cui nessuno mai
si occuperebbe se il commissario non scavasse nelle loro esistenze, ricostruendo la loro
storia. Ma la scoperta della verità non è consolante, Maigret combatte il crimine per
© PRISMI on line 2013
pagina 11
http://prismi.liceoferraris.it
mestiere ma non si abitua ad esso, è tormentato e perplesso di fronte alla brutalità del male,
pur essendo convinto della sua ineluttabilità. Così la malinconia è la cifra che lo segna, e lo
rende profondamente umano.
Italian detectives
Riconducibili al tipo Maigret sono molti commissari italiani, uomini con i loro difetti, i
loro dubbi, le loro debolezze, non macchine da azione, non infallibili geni, semplicemente
uomini.
La lista è piuttosto lunga e varia, soprattutto a livello di ambientazioni.
Una Milano ambigua e sfuggente, come la nebbia che così spesso la avvolge, è il campo
d’azione del commissario Ambrosio nei polizieschi di Renato Olivieri, scomparso lo scorso
febbraio; dopo l’esordio nel giallo con Il caso Kodra, nel 1978, ha continuato a pubblicare
per un ventennio le sue storie milanesi (ad esempio Largo Richini o Maledetto ferragosto) e
Ugo Tognazzi, diretto da Sergio Corbucci, ha interpretato lo scettico poliziotto, sensibile
alla bellezza e all’arte, ne I giorni del commissario Ambrosio (1988).
Sarti Antonio, invece, sergente bolognese, è il protagonista dei romanzi di Loriano
Macchiavelli, che ha al suo attivo anche interessanti pubblicazioni a quattro mani con
Francesco Guccini (ad esempio Questo sangue che impasta la terra, ambientato a Bologna e
dintorni nel 1970, quando inizia a serpeggiare la strategia della tensione, così che le indagini
dell’ex maresciallo Santovito ricostruiscono anche uno spaccato di storia italiana). Accanto
a questo poliziotto onesto e tenace, ma non particolarmente intuitivo, sta una spalla atipica,
Rosas, extraparlamentare di sinistra ed eterno studente universitario, che appare molto
dotato sotto il profilo logico – deduttivo.
L’ultima avventura di Sarti Antonio è L’ironia della scimmia, pubblicata nel novembre
2012.
Alla penna di Carlo Lucarelli si deve il personaggio del commissario De Luca; nei tre
romanzi Carta bianca, L’estate torbida e Via delle Oche, che segnano in successione, a
partire dal 1990, il progressivo affermarsi nel panorama del giallo italiano dello scrittore
emiliano, viene a delinearsi un’immaginaria biografia di De Luca, la cui prima inchiesta si
svolge nel pieno del regime fascista, la seconda negli ultimi giorni della Repubblica di Salò,
la terza nel 1948, quando il funzionario è appena sfuggito all’epurazione post regime.
Lucarelli, esperto di storia della polizia fascista, distilla nell’atmosfera torbida di un mondo
minato da corruzione e ideologie la figura di un uomo onesto e retto, un commissario alla
Ingravallo del Pasticciaccio di Gadda, che intuisce il grumo profondo da cui scaturisce il
delitto e coglie per un attimo quella verità, triste e inaspettata, che viene poi inghiottita dalla
storia. Molto diverso è l’altro detective di Lucarelli, l’ispettore Coliandro, un poliziotto non
propriamente brillante e sempre sopra le righe, “machista, rambista e anche un po’ razzista”,
come spiega lo stesso autore nella prefazione a Falange armata, sul modello americano di
Clint Eastwood nell’ispettore Callaghan; in realtà Coliandro è un imbranato un po’ tonto,
con la delicatezza di un caterpillar e predestinato a brutte figure tutte le volte che pensa,
dice o fa una delle sue cose “machiste, rambiste o razziste”. Proprio per questo, e anche
perché è tutto fuorché corrotto o corruttibile, alla fine risulta simpatico, suscita tenerezza,
soprattutto in quella pallidissima ragazza, sicura di sé, alternativa e praticamente punk,
© PRISMI on line 2013
pagina 12
http://prismi.liceoferraris.it
Nikita, che diventa una sorta di sua salvatrice: ancora una volta una spalla, molto più
intelligente del detective.
Sia Coliandro che De Luca hanno trovato spazio nella produzione televisiva e li hanno
interpretati, rispettivamente, Giampaolo Morelli e Alessandro Preziosi.
Piccoli gioielli sono infine altri due romanzi di Lucarelli. Ne L’isola dell’angelo caduto
un giovane commissario, approdato con la moglie in un’isola sperduta ove Mussolini
confina prigionieri politici e delinquenti comuni, indaga sulla morte di un miliziano fascista,
in una atmosfera sospesa in cui il tempo pare pietrificato e il resto del mondo
irraggiungibile. In Almost blue un crudele assassino, che assume l’identità e l’aspetto delle
sue vittime terrorizzando una livida Bologna, viene catturato grazie alla collaborazione tra
l’ispettrice Grazia e il giovane non vedente Simone.
Il più famoso tra gli investigatori di casa nostra è però Salvo
Montalbano, nato dalla penna di Andrea Camilleri e portato sullo
schermo dal bravissimo Luca Zingaretti, a partire dalla fine degli
anni Novanta. Nei romanzi che lo vedono protagonista la trama
poliziesca, che pure è fondamentale e caratterizzante, è tuttavia
un pretesto per delineare uno spaccato della realtà siciliana
contemporanea. Infatti Porto Empedocle e Agrigento, patria di
Camilleri, sono ben riconoscibili nell’immaginario paesino di
Vigata, provincia di Montelusa, dove si muovono il commissario
Montalbano e la sua squadra, da Mimì Augello, impenitente
donnaiolo, a Fazio, efficace e attivo collaboratore, a Catarella,
buffo e sprovveduto centralinista. Non manca una fidanzata,
Carlo Lucarelli
Livia, eterna fidanzata del nostro Salvo: il loro legame è
travagliato, sia per la distanza fisica (lei vive a Genova), sia per
le incomprensioni dovute al desiderio di indipendenza che caratterizza entrambi. E se
Montalbano, che nel nome omaggia lo spagnolo Montalbàn, ricorda Pepe Carvalho nella sua
passione per la buona tavola, nella dirittura morale e nell’acutezza d’ingegno, è però
italianissimo, sicilianissimo, nella sua profonda umanità e nell’attaccamento alla sua terra,
terra di straordinarie bellezze naturali e di grande cultura.
Camilleri è infatti figlio di una tradizione letteraria che va da Pirandello, suo
concittadino, a Sciascia, che usò la struttura del giallo per denunciare i delitti di mafia in
tempi, gli anni Sessanta, in cui si negava l’esistenza stessa della mafia. E il linguaggio che
egli crea, così particolare ed espressivo, una felicissima mescolanza di italiano e dialetto
siciliano, ricorda lo sperimentalismo linguistico, il pastiche di Gadda, un altro autore, questa
volta milanese, che calò contenuti innovativi nel genere giallo, ne fece la storia di
un’indagine che non porta a verità certe, ma fa emergere, al contrario, tutti i dubbi che
attanagliano l’essere umano, prima di tutto il detective, quel commissario Ingravallo,
molisano d’origine, che sul punto di chiudere l’indagine, nel momento culminante
dell’interrogatorio decisivo e… all’ultima riga del testo, “si paralizzò, tornò a riflettere e si
ripentì, quasi”. Così il Pasticciaccio brutto de Via Merulana non ha soluzione, come del
resto nei gialli di mafia di Sciascia, ad esempio Il giorno della civetta o A ciascuno il suo, il
colpevole non viene assicurato alla giustizia; questi, però, sono romanzi che trovano posto
nella “letteratura alta”, tanto più che mettono in discussione i meccanismi e gli automatismi
del genere letterario per porre sotto accusa la società stessa che da tali strutture vuole essere
rassicurata e non vuol vedere la realtà, certo inquietante, sulla quale tuttavia bisogna agire.
© PRISMI on line 2013
pagina 13
http://prismi.liceoferraris.it
Montalbano, invece, i casi li risolve: ma il suo modo di indagare e di osservare il mondo
certamente risente di questi suoi predecessori, anche se il messaggio è positivo e i tempi
sono cambiati, almeno per alcuni aspetti. Si può dunque ottenere giustizia, attraverso un
percorso paziente e grazie ad un uomo che non si lasci fuorviare da pregiudizi, che sia
efficiente e capace di comprendere le ragioni del crimine, portando alla luce l’humus dal
quale esso germina.
Analogie con l’assolata Sicilia di Camilleri si possono riscontrare nell’ambientazione
pugliese del giallo di Gianrico Carofiglio, magistrato barese che ha oggi all’attivo numerosi
polizieschi il cui protagonista è l’avvocato Guido Guerrieri. Entriamo così nei meandri del
sistema processuale italiano, assistiamo alle inchieste giudiziarie e ai dibattiti in aula,
seguendo i pensieri, le emozioni, i dubbi e le azioni di un personaggio, ancora una volta,
tutto italiano, un eroe riluttante e schivo, malinconico e non privo di autoironia, che pare un
vero paladino delle cause perse e assume la difesa di colpevoli perfetti: Fabio Raybàn,
picchiatore fascista e conoscenza liceale di Guido, che giace in carcere per traffico di droga
e continua a dichiararsi innocente (Ragionevoli dubbi, 2006); l’ambulante senegalese Abdou
Thiam, inchiodato da indizi e testimonianze che l’accusano di un delitto atroce, l’uccisione
di un bimbo di nove anni (Testimone inconsapevole, 2002). Guerrieri, che non ha nulla della
sicurezza e della travolgente oratoria del celeberrimo Perry Mason di E. Stanley Gardner,
conduce però le sue indagini con tenacia e amore della giustizia, ben deciso a combattere
quei vizi che segnano fin dal principio alcuni procedimenti giudiziari, e va oltre l’ipocrisia
dei benpensanti o la facilità con cui l’opinione comune condanna chi non può difendersi.
Quello di Carofiglio è allora una sorta di “giallo militante”, vuole esortare a guardare la
realtà con occhi liberi da pregiudizi, recuperando il senso più profondo della parola
giustizia, che affonda le sue radici etimologiche nel latino ius, il diritto, un diritto che si basa
sulla legge e deve essere garantito a tutti.
Il panorama della produzione italiana si è dunque
arricchito di voci molto interessanti nel corso degli ultimi
decenni e non ha nulla da invidiare ai romanzieri stranieri;
anzi, questi nostri autori caricano il giallo di sfumature
originali, che ne variano le ambientazioni e creano delle
tipologie, per così dire, regionali.
Anche dalle nostre parti si è sviluppato un filone locale,
con atmosfere lacustri e un po’ spente, fredde ed umide,
oppure sonnolente ed immobili, com’è il clima di queste
zone.
Possiamo citare i gialli di Marco Polillo e il suo
vicecommissario Enea Zottia, infelice e solitario, che non
Gianrico Carofiglio
sa risolvere i dubbi sulla propria vita, ma sa ben guardare
oltre le apparenze e i tentativi di dissimulazione quando si
tratta di smascherare un assassino. Una delle sue ultime indagini, ne Il pontile sul lago, si
svolge sul Lago d’Orta e particolarmente interessante è proprio la ricostruzione
dell’ambiente, modellato sul paese reale di Orta San Giulio e su una villa divenuta, per
concessione della proprietaria, “scena del crimine”: il delitto sconvolge la monotona routine
dei caffè affollati dai turisti solo nei weekend, delle stradine, delle botteghe, degli uffici di
stimati professionisti e porta in superficie un sommerso di segreti, bugie e interessi in
contrasto con quella calma piatta che il lago sembra suggerire con il ritmo cadenzato delle
© PRISMI on line 2013
pagina 14
http://prismi.liceoferraris.it
sue onde, un lago peraltro turbato, a partire da un certo punto della storia, da una pioggia
violenta e battente.
Testimonia l’interesse per il poliziesco anche la collana, pubblicata dall’editore varesino
Macchione, che ospita giallisti autoctoni: mi è capitato di leggere l’opera prima di Sergio
Cova, Tutti colpevoli, e questa volta è il Verbano a restituire il cadavere di turno.
Recentissimi sono L’amore è morto, di Patrizia Emilitri Ruspa, di Vedano Olona, che vinse
un’edizione del Premio Chiara, sezione racconti, ed è autrice già nota nel circuito varesino,
e L’icona del lago, del dicembre 2012, che segna il debutto nel giallo di Barbara Zanetti,
apprezzata cronista del quotidiano La Prealpina. Suggestivo è infine il giallo storico
L’ultimo treno per Ganna, di Guido Borgini, ambientato nel 1934, che fa rivivere le
atmosfere della nostra provincia durante il periodo fascista, seguendo l’indagine
dell’appuntato dei Carabinieri Musocco, alle prese coll’omicidio di una donna ritrovata
lungo i binari della ferrovia.
Una conclusione… che non conclude
Occorre mettere la parola fine a questa lunga conversazione, anche se i nomi di autori
più o meno noti, i volti di attori di film e telefilm continuano a presentarsi davanti a me e
alcuni protestano perché sono stati ignorati, altri perché se ne è appena accennato… ma la
brevità è una virtù, che io, per altro, non possiedo.
E allora che fare? Troncare, finirla qui e pensare a una prossima puntata, forse.
È davvero difficile tirare le fila del discorso, dare una soluzione convincente di questo
enigma che fa del giallo uno dei generi più vitali, per quanto si sia ad certo punto parlato
della sua “morte”, dopo che alcuni scrittori ne demolirono le caratteristiche di genere.
Certo, ha mutato pelle, in alcuni casi ha fatto implodere la sua stessa struttura, e dai
frammenti è venuto fuori il detective divenuto folle de La promessa, di Dürrenmatt, o il
mondo euforico in cui si muove Malaussene, di professione capro espiatorio, nei romanzi di
Pennac. E proprio da questa crisi del poliziesco tradizionale, o da autori che anche in
precedenza ne avevano utilizzato lo schema per introdurvi contenuti e messaggi ben più
profondi, come Gadda o Sciascia, vengono le prove più interessanti, i capolavori.
Ma ad un livello più popolare è innegabile che il giallo ha continuato a riprodursi,
ramificandosi in una serie infinita di sottogeneri, variando la figura del detective, spaziando
in ambienti sempre diversi, attingendo anche dalla cronaca e proponendo in TV
ricostruzioni di delitti realmente commessi, condotte con la tecnica, e la voce, di un giallista,
Lucarelli appunto.
Perché questo interesse?
Forse perché l’uomo ha bisogno di vedere rappresentati gli orrori di cui è capace per
esorcizzarli.
Forse perché c’è un morboso compiacimento nell’essere spettatori della sofferenza altrui.
O forse perché c’è esigenza di giustizia, desiderio di sapere che chi commette il male
viene punito e si può continuare a vivere con fiducia, nelle istituzioni, nell’umanità.
© PRISMI on line 2013
pagina 15
http://prismi.liceoferraris.it
E quel tipico commissario italiano, non sempre aitante e bello, non così duro e non così
sicuro di sé, magari anche un po’ in crisi nella sua vita privata, malinconico e persino con
qualche difetto di troppo… è così simile a noi che ci rassicura.
Siamo certi che farà comunque del suo meglio, che metterà da parte i suoi problemi per
compiere il suo dovere, ma non agirà come un freddo supereroe, saprà comprendere e
compatire, un uomo tra gli uomini che porta a termine una missione ancora possibile,
distinguere il bene dal male, l’onesto dal disonesto, ciò che è legale da ciò che non lo è.
Una missione che è anche la nostra.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
Per i romanzi citati paiono sufficienti le indicazioni inserite nel testo: le osservazioni su personaggi,
temi, strutture nascono in gran parte da una lettura personale e da un gusto soggettivo.
Per la ricostruzione del contesto e le informazioni sugli autori preziosa è stata una conferenza,
tenuta dalla dott.ssa Marina Polacco presso il Liceo Classico E. Cairoli nel 1997, dal titolo “Giallo
postmoderno”.
Si sono inoltre consultati i seguenti testi:
G. Barberi Squarotti, G. Greco, V. Milesi, Incontro con il testo – Racconto e romanzo, Atlas
Bergamo, 2008
R. Alfieri, P. Ardizzone, M.G. Baruffaldi, V. Campo, G. Lozio, A. Matranga, Paesaggio con figure,
Morano, Napoli, 1992
M. Biagioni, F. Caprilli, L. Cepparrone, L. Corsi, A. Pecoraro, Interpretare il mondo- Il mondo
della letteratura, Palumbo, Firenze, 2001
S. Cardini, F. Onorato, Intrecci, trame e canti- Narrativa, Le Monnier, Milano, 2007
Per la parte relativa a serie televisive e versioni cinematografiche, nonché per le immagini e per
ulteriori notizie e aggiornamenti su alcuni autori si è attinto a siti internet :
www.wikipedia.it
www.fiction.rai.it
www.film.it/
www.loriano-macchiavelli.it
www.carlolucarelli.net
www.macchionepietroeditore.it
© PRISMI on line 2013
pagina 16
http://prismi.liceoferraris.it
Scarica

Un giallo sempreverde