Calendario delle proiezioni SESSO, BUGIE E…CHOCOLAT 22/11/2012 - Hysteria di Tanya Wexler 29/11/2012 - Cena tra amici di A. de La Patellière, M. Delaporte 06/12/2012 - Emotivi anonimi di Jean-Pierre Améris I VOLTI DELLA LUNA 13/12/2012 - Tomboy di Céline Sciamma 18-19-20/12/2012 PREMIO INTERNAZIONALE “MAURIZIO GRANDE” 10/1/2013 - Angèle e Tony di Alix Delaporte 17/1/2013 - Young Adult di Jason Reitman 24/1/2013 - Fill the Void di Rama Burshtein 31/1/2013 - Poetry di Lee Chang-dong STRADE DELL’EST 07/02/2013 - Almanya - La mia famiglia va in Germania di Yasemin Samdereli 14/02/2013 - C’era una volta in Anatolia di N. Bilge Celyan 21/02/2013 - Silent Soul di Aleksei Fedorchenko TRAINERS 28/02/2013 - Mosse Vincenti di Tom McCarthy 07/03/2013 - Detachment - Il distacco di Tony Kaye 14/03/2013 - Monsieur Lazhar di Philippe Falardeau FAMILY LIFE 21/03/2013 - Killer Joe di William Friedkin 28/03/2013 - Qualche Nuvola di Saverio Biagio 04/04/2013 - Animal Kingdom di David Michôd 11/04/2013 - Polisse di Maïwenn Le Besco COMING SOON 18/04/2013 02/05/2013 09/05/2013 I film e le date potrebbero subire delle variazioni che saranno comunicate durante il corso della rassegna. 45° Anno sociale 2012-2013 45 anni insieme 45anno Cari soci.. 45° anno di attività. Che dire di un periodo così lungo, di un traguardo importante? Per prima cosa un grazie a tutti i soci. A quelli “storici” che ci seguono fedelmente da molti anni, a quelli che ci seguono “quando possono” e ai “giovani” che da poco tempo si sono avvicinati alla nostra attività. Un grazie anche all’intero direttivo - cambiato e rinnovato nel corso degli anni - che con generosità ha praticato il cammino dell’impegno, in prima persona, per favorire la crescita della capacità critica del nostro pubblico. Capacità critica che vede nel cinema il terreno privilegiato di un incontro/confronto attivo, ricco ed articolato che apre orizzonti e stimola crescita e consapevolezza. Capacità che, lo ribadiamo, non rimane circoscritta all’arte cinematografica ma investe compiutamente l’essere cittadini del XXII secolo. Prima di addentrarci sul programma di quest’anno poche parole sull’esperienza “Siracusa”. La scelta, ci pare, sia stata condivisa dal nostro pubblico che, giustamente e puntualmente, ha segnalato alcune criticità: la qualità dell’audio e una sala talmente “areata” da scoraggiare ogni tentativo di “molle rilassamento”. Su questi specifici punti possiamo confermare che sono stati effettuati interventi atti a garantire un maggiore confort e una migliore qualità della visione. Il riassetto delle modalità distributive del cinema (tema ampio e complesso) e le conseguenze, anche strutturali, che questo determinerà nella quotidianità delle proiezioni in sala sono molte e, sicuramente, ne vedremo le ricadute. Per quanto ci riguarda possiamo affermare di essere in perfetta sintonia con il soggetto che ha l’onere della gestione del Teatro Siracusa per arrivare a questi appuntamenti preparati e, cosa ancora più importante, ben attrezzati. Ma l’esperienza “Siracusa” va ben oltre il problemi tecnici. È infatti, la prima esperienza reale di gestione diretta ed autonoma di un importantissimo spazio culturale; è anche la prima esperienza di collaborazione tra diverse realtà artistiche e culturali che operano in città. Anche qui ci sentiamo di rassicurare il nostro pubblico: l’esperienza, sino ad oggi, è feconda e efficace. Circolo del Cinema Charlie Chaplin 4 Il Premio Internazionale Maurizio Grande (il programma sarà disponibile a breve) verrà svolto all’interno di una più vasta manifestazione culturale, organizzata dalla Fondazione Horcynus Orca, che coinvolgerà molteplici discipline artistiche (cinema, teatro, arti performative etc etc) sul tema dei “confini”. Confini non solo geograficamente intesi ma anche territori di interscambio di esperienze, di ibridazione di forme e linguaggi. Confini come terreno di interessanti sperimentazioni artistiche. Una manifestazione ricca ed interessante che costituisce la prima reale forma di sinergia e di collaborazione che, lo auspichiamo, offrirà nuovi e stimolanti occasioni di incontro ai soci del circolo e alla città tutta. E’ proprio il caso di dire, imitando un Presidente da pochissimo rieletto “the best is yet to come” ovvero il meglio deve ancora arrivare. Veniamo ora alle programma proposto per l’anno 2012/2013. Come sempre la finestra sul mondo che apriamo, grazie ai film selezionati, spazia sull’intera produzione cinematografica disponibile sul mercato italiano e sulle più recenti produzioni. Come ogni anno non ci faremo mancare il genere commedia che tanto ci diverte ed affascina. Le commedie sono si raccolte nel primo ciclo Sesso, bugie e… chocolat ma, li troveremo anche nelle diverse sezioni tematiche che costituiscono l’intero programma proposto. In Sesso, bugie e… chocolat sono state raggruppate le opere che più hanno appassionato il pubblico d’oltrealpe con una predilezione per quelle che meglio evidenziano il carattere fondamentale del genere: l’inclusione del nuovo nel corpo della società. Inclusione che avviene attraverso la messa in evidenza, ironica ed intelligente, delle contraddizioni che si creano tra i desideri e le pulsioni dei protagonisti e le norme che regolano la società. Un disvelamento, leggero nel tono ma profondo nella sostanza, capace di far ridere nello momento stesso in cui evidenzia i problemi da risolvere. Lo vedremo nella Londra vittoriana di Hysteria e nella contemporaneità di Cena tra amici e Emotivi anonimi. Un confine tra volontà e realtà caratterizzato dalla leggerezza del tocco. Con I volti della luna ci soffermeremo su uno dei terreni più prolifici ed interessanti dell’ultimi anni: la condizione www.circolochaplin.it 5 femminile e i temi della reale parità di diritti tra i sessi. Spazieremo nel tempo, nello spazio geografico ma anche nella particolarità degli sguardi che daranno forma ai diversi mondi rappresentati. Inizieremo con una delicata storia adolescenziale della regista Céline Sciamma per finire con la maturità della protagonista dell’opera di Lee Chang-dong, spostandoci dall’Europa all’Asia attraverso la realtà americana. Tomboy ci racconterà una delicata storia adolescenziale in cui la scoperta della sessualità implicherà una più complessa azione di consapevolezza del proprio corpo e delle proprie aspettative; il tutto con lo sguardo innocente e trasparente dalle giovane protagonista. Angèle e Tony affronterà i temi della condizione femminile nell’europa contemporanea: l’ingannevole parità raggiunta e i problemi del sua reale praticabilità. In Young Adult sarà la realtà americana ad evidenziare uno stato delle cose complesso quanto contraddittorio; lo iato tra una condizione di apparente appagamento sociale ed economico e la sottostante insoddisfazione della protagonista sempre in bilico tra l’essere e l’apparire. Fill the Void ci condurrà all’interno di una comunità israeliana ortodossa. Il film, acclamato dalla critica a Venezia, si segnala per la coerenza con la quale l’autrice cerca di “gettare un ponte” tra i luoghi chiusi delle storie familiari e la necessita, della stessa autrice, di aprirsi ad una necessaria opera di reciproca comprensione ed interrelazione. Nessuna tesi precostituita da mostrare, piuttosto il coraggio di aprirsi mostrando, con sincerità e in assoluta buona fede, la complessità di una specifica situazione che, a ben guardare mostra le contraddizioni che accomunano ogni e qualsiasi forma di aggregazione sociale. Concluderà il ciclo Poetry. La scoperta dell’arte, della poesia e della bellezza quale risorsa vivificante - potente quanto illimitata - a cui ricorrere per un ritrovato equilibrio con il mondo e con se stessi. Con Strade dell’Est rivivremo l’esperienza del viaggio quale esperienza fondamentale della condizione umana. Viaggio alla scoperta dei territori geografici ma anche di spazi interiori e psicologici. C’era una volta in Anatolia e Silent Souls ci prenderanno per mano in una esplorazione di luoghi e di sentimenti, tipici dalle civiltà dell’est: l’Anatolia e le terre russe disveleranno, magistralmente, i sentimenti dei protagonisti profondamente intrisi della cultura natia. Almanya ci mostrerà, con grande leggiadria ed ironia, il Circolo del Cinema Charlie Chaplin 6 viaggio a ritroso verso la propria patria e le proprie radici: L’ineludibile necessità di un tempo per la riflessione, per un bilancio del proprio attraversare il mondo. Trainers, ovvero il nuovo termine con il quale si designano gli antichi precettori, i formatori, i maestri, i professori. Come sfuggire alla tentazione di soffermarci su questa particolare “etichetta” tanto in uso nella nostra contemporaneità nazionale. Mosse Vincenti ci introdurrà, in maniera scanzonata ed irriverente, nel mondo di chi, per mestiere, pratica la formazione; della pluralità di fini che una tale missione implica e, molte volte, cela e nasconde. Proprio di questa complessità di fini e di atteggiamenti ci racconteranno, con tono più serio e partecipato, Detachment e Monsieur Lazhard. Esperienze coinvolgenti. Di quelle che lasciano il segno in entrambi i protagonisti della formazione: docenti e discenti. Family Life. Le condizioni della famiglia d’oggi. Dall’Italia all’Australia per scoprire quanta violenza si esprime nel nucleo primario,nella cellula, costitutiva di tutte le forme sociali. Una violenza che, nostro malgrado, avvicina mondi lontanissimi uniformandoli ed assoggettandoli a regole primordiali quanto pervasive . Killer Joe, in maniera ironica e ammiccando alla rilettura di alcuni generi cinematografici, sarà la prima tappa di questa esplorazione. Qualche nuvola, sarà la tappa italiana di avvicinamento - in tutti i sensi verso le condizioni raccontate in Animal Kingdom dove non solo il contesto familiare e l’intera situazione sociale (quella australiana) rievoca e richiama alla mente i territori, a noi così prossimi, di San Luca e Plati. Coming Soon sarà, come sempre, lo spazio per recuperare quello che - come Cesare deve Morire (presentato nello scorso anno) - non trova spazio nelle nostre sale cittadine. Dunque una sorpresa. A presto a tutti Claudio Scarpelli Presidente Circolo Chaplin www.circolochaplin.it 7 22 novembre 2012 Sesso, bugie e…chocolat Hysteria Regia: Tanya Wexler;. Sceneggiatura: Jonah Lisa Dyer; Produttore: Informant Media, Beachfront Films; Fotografia: Jon Gregory ; Montaggio: Dana E. Glauberman; Scenografia: Sophie Becher; Interpreti;Maggie Gyllenhaal, Hugh Dancy, Jonathan Pryce, Rupert Everett, Ashley Jensen. Durata: durata 100 min. - Gran Bretagna, Francia, Germania 2011 In piena epoca vittoriana, un medico (Hugh Dancy) e un suo amico (Rupert Everett) si propongono di porre fine a quella che considerano una vera tragedia, l’isterismo femminile che, di punto in bianco, cambia l’umore delle donne con cui hanno a che fare, rendendole piene di rabbia, nevrotiche e spesso anche depresse senza alcuna ragione. La repressione sessuale sta alla commedia inglese come le corna a quella all’italiana. Hysteria”, divertente commedia della regista statunitense Tanya Wexler, debutta, per la prima volta, nelle sale cinematografiche italiane dopo la partecipazione alla 6ª edizione del Festival Internazionale del Film di Roma tra i titoli in concorso. Dedicato all’invenzione del vibratore, strumento nato come strumento terapeutico per la cura dell’isteria negli ultimi anni dell’Ottocento, il film ha impiegato ben 7 anni per venire alla luce a causa della difficoltà nel reperire produttori e distributori disposti a partecipare al progetto . Tanya Wexler può ritenersi soddisfatta del risultato ottenuto: “Hysteria” si presenta al grande pubblico come una divertente e ironica commedia dai toni rosa, in grado di far ridere e sorridere il pubblico senza scadere nell’ovvio e nella volgarità che potrebbe portare alla mente un tema Circolo del Cinema Charlie Chaplin 8 che, a oltre un secolo di distanza dall’epoca vittoriana in cui è stato inventato l’oggetto della miracolosa cura, è ancora ritenuto scabroso dai più, un vero e proprio tabù del quale si fa fatica a parlare in pubblico come nel privato. Dagli sguardi stupiti e sconvolti dei due medici professionisti e del dandy incallito, ruolo che calza a pennello a un Everett esilarante, all’approccio scientifico delle pazienti che si sottopongono ai “trattamenti” per curare una malattia che, in molti casi, non è altro che una maschera del rapporto freddo e distaccato tra consorti – niente di nuovo ieri come oggi -, la pellicola si dipana tra l’ironia e la leggerezza che gli si addice e la rocambolesca storia d’amore tra Dancy e la Gyllenhaal; una relazione, quella tra i due, che oltre a comportarsi da vera protagonista sullo sfondo narrativo della vibrante invenzione mette in luce le doti dell’attrice di New York, capace di portare a galla tutto la grinta e il carattere combattivo della sua Charlotte Dalrymple, figlia ribelle del dottore. Vibratore o no, Hysteria è fedele al suo tono di commedia brillante dai risvolti romantici senza pretendere né più né meno di quanto gli spetti. Non aspira di certo a diventare la pellicola di rottura sul tema scottante della sessualità come potrebbe sembrare a prima vista ma, molto più semplicemente, vuole – e ci riesce – divertire il pubblico concedendogli poco più di un’ora e mezza di spensierata leggerezza che merita. www.circolochaplin.it 9 29 novembre 2012 Sesso, bugie e…chocolat Cena tra amici Regia: Alexandre de La Patellière, Matthieu Delaporte; Sceneggiatura: Matthieu Delaporte; Produttore: Chapter 2, Pathé, TF1 Films Prod; Montaggio: Célia Lafitedupont; Musiche: Jerôme Rebotier; Costumi: Anne Schotte; Interpreti: Patrick Bruel, Valérie Benguigui, Françoise Fabian, Charles Berling, Guillaume De Tonquedec; Titolo originale: Le Prénom; Durata: 109’; Nazionalità: Francia, Belgio 2012 Una casa confortevole in un quartiere elegante di Parigi. Amici e familiari: una coppia di docenti, un musicista, un agente immobiliare di successo che presto diventerà padre. Una cena insieme. Potrebbe essere la solita tranquilla serata, ma una banale domanda darà l’inizio a un catena di discussioni e dibattimenti serrati, con conseguenze tragicomiche inimmaginabili. Il film è la trasposizione cinematografica di un testo teatrale strepitoso di Bernard Murat , che porta in eredità più di 250 repliche in tutta la Francia tra il 2010 e il 2011. Più teatro fotografato che cinema; i registi usano come interpreti gli stessi attori che l’hanno replicata tante volte sul palcoscenico. E sebbene non sempre cinema e teatro facciano un buon matrimonio, bisogna pur riconoscere che dopo averla recitata due o trecento volte, un attore conosce bene la parte. E in un film tutto basato sulla parola il risultato è sublime, divertente, brillante, intelligente, perfetto nei tempi comici dai dialoghi sferzanti. Meglio avrebbe fatto la distribuzione italiana a tradurre letteralmente il titolo originale o, comunque, a rievocarne la specificità. È “il nome” (le prenome, appunto), non tanto la cena il perno attorno a cui ruota tutto il film. A partire dai curiosi titoli di testa, in cui i cognomi di chi ha Circolo del Cinema Charlie Chaplin 10 collaborato alla riuscita dell’operazione sono rigorosamente esclusi; proseguendo poi con un monologo in voceover su quanto sono macabri i toponimi parigini. Il resto del film è concentrato su un gruppo familiare in un interno. Vincent, immobiliarista sulla quarantina prossimo a diventare padre per la prima volta, rivela ai commensali il nome del bebé: un nome tabù che sconvolge tutti. È solo l’inizio di una resa dei conti tra amici con tanti sassolini nelle scarpe, una specie di Carnage, ma con protagonisti con un passato di relazioni e di non detto che finisce per prendere il centro della scena. Altra disparità con Carnage riguarda lo sviluppo dei caratteri: ed è proprio qui che il raffinato congegno narrativo di Cena tra amici subisce, forse, un intoppo. Al termine del film di Polansky infatti, quei personaggi educati, cortesi, ben vestiti e ben pettinati gettano la maschera, rivelando la natura violenta, ipocrita, facilmente corruttibile di un modello di vita asservito alla falsità delle convenzioni borghesi. Alla fine di Cena tra amici invece, risulta arduo affermare di sapere qualcosa di più sui protagonisti che hanno cercato di mettersi vicendevolmente a nudo le coscienze. Pierre si rivela un altezzoso e polemico intellettuale, tale e quale ci era apparso sin dalla prima scena; allo stesso modo i personaggi di Vincent, beffardo e arrogante, Babou, gentile e frustrata dalle incomprensioni del marito, Claude, mite e bonario e Anne, amorevole, ma determinata, non vengono demoliti da una regia pronta a svelare ciò che si nasconde oltre il perbenismo del vivere civile, ma, anzi, confermati nelle loro nature, negli atteggiamenti, persino nelle reciproche incomprensioni. E il finale, allegro ed accomodante, se consente di uscire dal cinema con la soddisfazione di chi vede riconciliati i torti ed appianati i contrasti, non nega un certo rammarico nel constatare l’immobilità dei protagonisti. Resta dunque allo spettatore la scelta della chiave di lettura più o meno amara da dare al film: amicizia come strumento per sopportare le meschinità della vita o per indulgere alle proprie? www.circolochaplin.it 11 6 dicembre 2012 Sesso, bugie e…chocolat Emotivi anonimi Regia: Jean-Pierre Améris Sceneggiatura:; Jean-Pierre Améris, Philippe Blasband Produttore: Pan Européenne Production, Studio Canal, France 3 Cinéma; Fotografia: Gérard Simon ; Montaggio: Philippe Bourgueil; Interpreti: Benoît Poelvoorde, Isabelle Carré, Lorella Cravotta, Lise Lamétrie, Swann Arlaud, Pierre Niney,Stéphan Wojtowicz, Jacques Boudet, Alice Pol, Céline Duhamel Durata: 80’; Nazionalità: Francia, Belgio 2010 Jean-René, direttore di una fabbrica di cioccolato e Angélique, cioccolataia di gran talento, sono due persone molto timide. E’ la loro passione per il cioccolato che li accomuna. La loro timidezza tende a tenerli lontani. Ma a poco a poco le cose cambieranno La commedia sentimentale scritta e diretta da Jean-Pierre Améris ha conquistato il pubblico francese, con oltre un milione di spettatori in patria Natale 2011). I protagonisti di Emotivi Anonimi sono due degli attori più popolari del cinema francese, Benoît Poelvoorde e Isabelle Carré, che in questi ultimi anni si sono affermati anche in Italia grazie ad una serie di film molto apprezzati dal pubblico nostrano. Ancora una volta Poelvoorde si conferma mattatore della commedia francese, grazie ad una comicità travolgente, che non si ferma alla battuta, ma si sprigiona anche dalla gestualità e dalla mimica facciale. La Carré, che interpreta un personaggio candido, innocente e ingenuo, si cala perfettamente nella parte della timida incallita, ancora poco abituata a gestire il rossore delle gote. Il regista gioca sulla tensione comica generata dall’ipertimidezza, che può creare delle situazioni assurde, lì per lì tragiche per la persona timida, ma, viste dall’esterno estremamente, comiche. Circolo del Cinema Charlie Chaplin 12 Améris ha dichiarato che, tra i suoi film, Emotivi Anonimi è sicuramente il più personale e autobiografico: “Ho sempre saputo che un giorno avrei raccontato una storia sulla mia iper-emotività, sul panico che talvolta mi prende fin da quando ero piccolo”. Una godibilissima commedia romantica, che scatena la risata al momento giusto, ed incentrata sulla timidezza, vista come limite comico, che può essere superato, aprendosi alle emozioni senza avere paura di mostrarsi per quello che si è. Un film che celebra la timidezza, l’emotività’ come il piu’ genuino dei sentimenti, così come puri, demodé e irresistibilmente teneri risultano i due fantastici protagonisti, che hanno il volto interessante, comico e buffo di Benoit Poelvoorde e ancora bello, etereo e rasserenante di Isabelle Carré, mai cosi’ convincente. L’emotività’ e’ tra l’altro un sentimento sempre più’ dimenticato e tenuto nascosto, proprio oggi che per stare a galla tra i flutti sempre più’ vorticosi di una società’ che non ammette tentennamenti e indecisioni, chi solo accenna a un moto di insicurezza e’ spacciato e sopraffatto. Proprio come i due splendidi protagonisti. Altro ingrediente fondamentale è costituito da quella festa per gli occhi e per le papille gustative che è la cioccolata: mille gusti e mille colori, che danno vita ad un’atmosfera calda e intima, giusta per il clima pre-natalizio. www.circolochaplin.it 13 13 dicembre 2012 I volti della Luna Tomboy Regia: Céline Sciamma; Sceneggiatura: Céline Sciamma; Produttore: Bénédicte Couvreur /Hold Up Films & Productions; Fotografia: Crystel Fournier; Montaggio: Julien Lacheray; Musiche: Para One; Scenografia: Thomas Grézaud; Interpreti: Zoé Héran: Laure/Michael, Jeanne Disson: Lisa, Malonn Lévana: Jeanne, Sophie Cattani: la madre, Mathieu Demy: il padre ;Durata: 82’; Nazionalità: Francia 2011; Distribuzione italiana: Teodora Film; FORMATO: Colore 35mm – 1.85:1 – Dolby SRD La decenne Laure. si è recentemente trasferita in una nuova zona di Parigi con i suoi genitori e la sua sorellina più piccola, Jeanne. E’ estate e tutti gli altri ragazzi del vicinato giocano all’aperto, ma Laure è sola perchè non conosce ancora nessuno dei suoi coetanei. Un po’ per gioco Laure decide di presentarsi ai nuovi amici come fosse un maschio, Mickaël: il modo in cui si veste e si pettina, l’impeto con cui si azzuffa e gioca a calcio, non sembrano lasciar dubbi sulla sua identità così Mickaël è accettato nella comitiva. Un giorno incontra Lisa, una ragazza che ha la sua stessa età. Laure lascia credere a Lisa di essere un ragazzo. Col passare dei giorni la relazione tra Laure e Lisa diventa sempre più intima, generando una serie di complicazioni... L’inizio della scuola però è dietro l’angolo e il gioco dei travestimenti si complica, tanto più che i genitori sono all’oscuro di tutto .... Laure è trattata dalla sua famiglia come una ragazza sebbene guardandosi allo specchio ella si renda conto che il suo aspetto non è come quello delle altre ragazze. In fondo è quel tipo di bambina alla quale non piacerebbe truccarsi o fare danza classica, come la sua sorellina, che è il suo opposto e si veste sempre di rosa. Con i nuovi amici gioca a calcio, nuota nel fiume vicino casa, parla con Lisa, la sua “ragazza”. Circolo del Cinema Charlie Chaplin 14 La sua famiglia si presenta unita, il rapporto con il papà e la mamma incinta è affettuoso, con la vezzosa sorellina, che aggiunge un tocco di humour con le sue battute, c’è complicità. Perché, allora, Laure sceglie di diventare Mickail e di partecipare ai giochi scatenati dei ragazzini, assumendosi il peso di ritoccare il proprio corpo e la propria gestualità per non tradire la sua identità femminile? La storia di Laure non è mai scontata, facendo leva più sui silenzi che sulle parole, ha un finale aperto che rispetta la capacità degli spettatori di immaginarsi un seguito e di decidere se l’inganno di Laure sia il prodromo di una futura omosessualità o la sperimentazione tipica dell’età in cui è ancora lecito giocare a «fare finta». In definitiva spetta a noi decidere se quell’estate sarà solo una parentesi nella vita della bambina oppure se ne segnerà il futuro. Céline Sciamma, alla seconda regia, si ripresenta, (dopo Water Lilies/ Naissance des pieuvres,), tornando ad affrontare le tematiche della scoperta della sessualità spostando l’attenzione dalla fase adolescenziale a quella preadolescenziale. Sciamma osserva il microcosmo dei bambini con tenerezza e acume ma senza facili semplificazioni. Maschi e femmine in formazione non sono quegli esseri asessuati che gli adulti vorrebbero che fossero. Natura e società impongono le loro leggi e i loro modelli con cui confrontarsi e scontrarsi. Così Laure, mentre decide di trasgredire facendosi passare per maschio, finisce inconsciamente per aderire a quelle che ritiene debbano essere necessariamente le caratteristiche dell’altro sesso. Céline Sciamma nulla spiega e ci immerge invece nel cuore di un contraddittorio universo infantile dove fra incosciente spensieratezza e inquiete pulsioni la sessualità assume confini ambigui lasciando lo spettatore con domande più ampie intorno alla definizione della sessualità propria di ogni individuo. La regista si rivela una naturale erede del cinema fenomenologico della Nouvelle-Vague, con i personaggi colti nel loro manifestarsi e raccontati attraverso il loro agire: non c’è giudizio! L’innocenza dei bambini che crescono con tanti dubbi e incertezze, soprattutto sulla loro identità sessuale, viene restituita nella sua intatta freschezza senza interpretazioni o psicologismi. Céline Sciamma ha realizzato Tomboy (come dire “ragazzo mancato”) con un minimo di mezzi: una telecamera Canon 5D, troupe ridotta all´osso, venti giorni di lavorazione, cinquanta scene in due-tre ambienti. Eppure il suo piccolo film , una parabola intelligente e affettuosa sui labili confini dell´identità sessuale, riesce ad appassionarti come si trattasse di un “suspenser”. www.circolochaplin.it 15 10 gennaio 2013 I volti della Luna Angèle e Tony Regia: Alix Delaporte; Sceneggiatura: Alix Delaporte; Produttore: Hélène Cases; Fotografia: Claire Mathon; Montaggio: Louise Decelle; Musiche: Mathieu Maestracci; Interpreti: Clotilde Hesme, Grégory Gadebois, Evelyne Didi, Jérôme Huguet, Antoine Couleau; Durata: 85’; Nazionalità: Francia 2010 Angèle è una ragazza allo sbando appena uscita di prigione perché ritenuta responsabile della morte del marito; suo figlio è affidato dal tribunale ai nonni paterni e la tratta con distacco. Per riaverne l’affidamento cerca un contratto di lavoro e un uomo da sposare se la prima non è cosa facile la seconda risulta ancora più complessa e soprattutto lenta, decide di ricorrere ad un annuncio sul giornale. A rispondere è Tony, un pescatore abituato al lavoro duro e alla vita solitaria che porta in cuore il dolore per la scomparsa in mare del padre. Al primo incontro i due non riescono a entrare in sintonia ma la posta in gioco per Angèle è troppo alta e continua ad insidiare Tony, e lentamente le due anime solitarie iniziano ad entrare in contatto a comprendersi e, forse, amarsi. Alix Delaporte esordisce dietro la macchina da presa con una scommessa infatti il film sulla carta rischia di chiudersi in se stesso dentro la tristezza e la povertà dei protagonisti. Si parte invece da uno spunto autobiografico, la Delaporte da bambina passava le sue vacanze in Normandia dove poteva osservare i pescatori al lavoro ed in giro per la città. Un fotogramma indelebile nella mente e forse nel cuore della regista di un mondo diverso, duro che ti mette sempre in gioco che ha altri tempi e modi rispetto a quello delle città, conosciuto solo da chi lo vive giorno per giorno Circolo del Cinema Charlie Chaplin 16 su una barca con la consapevolezza che il mare è generoso ma chiede sacrificio in cambio anche il più estremo. L’ occhio della regista rimane comunque oggettivo, i suoi movimenti di macchina minimi, necessari e sufficienti: tanto sono i suoi protagonisti che vivono di luce propria, e hanno abbastanza sfumature da far vibrare da soli il film. La semplicità registica con la quale la Delaporte riprende i suoi attori è spiazzante, soprattutto dal momento in cui ad una tale essenzialità corrisponde una sensibilità trapelante ad ogni inquadratura - dovuta, chissà, ad un talento naturale o a fortuita ingenuità della tropue. La macchina da presa compie movimenti minimi: non cerca forzatamente la drammaticità, si limita a mostrare il tutto con occhio oggettivo. Lo strano rapporto amoroso fra Angéle e Tony riflette il tormento interiore di persone che combattono contro la solitudine, bisognose di qualcuno in cui rifugiarsi e che per questo sono pronte a darsi e a innamorarsi istantaneamente. Angèle corre sulla sua bicicletta, metafora di una fatica di vivere; Tony è in mare, su un altro pianeta che lo plasma conferendogli un profondità tale che lo porta a respingere le immediate provocazioni sessuali della donna: vorrà il suo corpo solo quando potrà avere anche la sua mente. Più che i dialoghi, le stasi, le movenze, la semplice presenza dei personaggi creano sentimentalmente la storia; le situazioni in cui si trova Angèle (la colazione, il lavoro con la madre di Tony o la corsa in moto con il fratello, gli incontri con il figlio) raccontano con una naturalezza estrema i tanti sottotesti non sempre esplicitamente dichiarati. Nel buio gradualmente illuminato dei due protagonisti, la comparsa di Anabel (Lola Dueñas, attrice feticcio di Pedro Almodóvar) è come un raggio di sole per la sua convenzionale normalità, una normalità a cui aspira anche la coppia. Delaporte debutta ammirevolmente dietro la macchina da presa, con un film piccolo e senza pretese ma che rivela una profondità e una sensibilità che presagiscono ottimi risvolti futuri. Ma è ovviamente la splendida Clotilde Hesme (Les amants réguliers) ad avere la parte più forte. Forse perché aveva già collaborato in passato con la regista, che ha scritto il ruolo di Angèle pensando a lei, o forse semplicemente perché è ogni volta più brava, ci regala un’interpretazione magnifica. La sua iniziale schiettezza, che nasconde la fragilità di un’anima ferita che però non vuole arrendersi, conquista man mano che il film prosegue. Perché il pubblico partecipa alla sua lotta. La lotta di una donna che sa che questa è l’ultima possibilità per vivere. Ora o mai più. www.circolochaplin.it 17 17 gennaio 2013 I volti della Luna Young Adult Regia: Jason Reitman; Sceneggiatura: Diablo Cody; Produttore: Denver and Delilah Productions, Indian Paintbrush, Mandate Pictures; Fotografia: Eric Steelberg Andrew Dunn; Montaggio: Dana E. Glauberman; Scenografia: Roshelle Berliner; Interpreti: Charlize Theron, Patrick Wilson, J.K. Simmons, Elizabeth Reaser, Patton Oswalt, Emily Meade, Collette Wolfe, Louisa Krause Durata: 94’; Nazionalità: USA 2012 Mavis Gary è una bellissima trentasettenne, scrittrice della famosa collana Waverly Prep appartenente alla categoria Young Adult, di cui si appresta a pubblicare l’ultimo capitolo. La vita di Mavis non è però perfetta come sembrerebbe apparire: la donna non è soddisfatta del suo lavoro, in cui sente di non avere alcuna identità autoriale, e conduce un’esistenza molto travagliata, segnata da una dipendenza dall’alcool. Una mattina riceve una e-mail con allegata la foto del figlio dal suo ex ragazzo del liceo, Buddy Slade, e di sua moglie Beth. La donna interpreta l’accaduto come un segno e decide di ritornare nel suo paese di nascita, Mercury, in Minnesota, Il cinema americano, anche nelle sue forme più raffinate o in quelle più indipendenti che godono di maggiore libertà creativa, propone spesso dei percorsi di crescita dei personaggi che sfociano nella redenzione. La sceneggiatrice Diablo Cody, riprendendo il sodalizio con il regista Jason Reitman dopo lo straordinario e inaspettato successo commerciale di Juno (2007), in Young Adult decide invece di seguire, con audacia e intelligenza, una direzione decisamente differente. Il risultato è Young adult termine con il quale il marketing di prodotti culturali identifica quel pubblico che ruota Circolo del Cinema Charlie Chaplin 18 intorno ai 18 anni (in un lasso dai 14 ai 21 circa) ma anche, non incidentalmente, l’ossimoro del titolo che ben identifica il personaggio di Mavis Gary: bella, indipendente, di successo. Una wonderwoman moderna. Una femmina alfa. Peccato che sia solo facciata, apparenza, immagine. Su questo luccicante altare emergono crepe. La regia di Jason Reitman le illustra con tecnica misurata e minimalista, sempre al servizio dell’azione all’insegna della tradizione più classica. Fino al paradigmatico finale. Mavis è figlia del post-femminismo, dell’esperimento drogato del self made woman, del mito dell’emancipazione affettiva e professionale. Il suo psicodramma, non risolto, forse insolubile, è quello di chi non può più essere quel che vuole (il tempo è passato) e non sa diventare ciò che deve. Né Young né Adult, ibrida nella terra di mezzo. Ma é davvero così semplice, nella vita di tutti i giorni, imparare dagli errori o analizzare il nostro vissuto per poi cambiare e, di conseguenza, modificare i nostri comportamenti? Il film sembra avere le idee chiare a riguardo e la risposta non è quella che ci si potrebbe facilmente aspettare da un film hollywoodiano. La confessione è delle più amare e coraggiose tra quelle portate al cinema negli ultimi anni. Facile scorgere dietro questo atroce ritratto di signora la stessa sceneggiatrice, Diablo Cody, ma anche il coinvolgimento della Theron strepitosa e respingente oltre misura - appare sospetto. www.circolochaplin.it 19 24 gennaio 2013 I volti della Luna Fill the Void Regia: Rama Burshtein; Sceneggiatura: Rama Burshtein; Produttore: Assaf Amir; Fotografia: Asaf Sudri; Montaggio: Sharon Elovic ; Musiche: Yitzhak Azulay ; Scenografia: Roshelle Berliner; Interpreti: Hila Feldman, Razia israeliano, Yiftach Klein, Renana Raz , Ido Samuel ; Durata: 90 min. Israele 2012 Tel Aviv. Shira è promessa sposa ad un giovane della sua stessa età e della stessa estrazione sociale. Durante la festività del Purim, la sorella maggiore Esther, muore di parto mettendo al mondo il suo primogenito. Quando la suocera scopre che Yochay potrebbe lasciare il paese con il suo unico nipote, propone un’unione tra Shira e il vedovo. Shira dovrà dunque scegliere se ascoltare il suo cuore o seguire la volontà della famiglia… Shira ha 18 anni e non vede l’ora di sposarsi. Spia nel reparto latticini del supermercato il promesso sposo, poi guarda sua madre con un sorriso soddisfatto: il ragazzo le piace, le trattative per il matrimonio possono continuare. Con questa scena si apre Fill the Void di Rama Burshtein, unico film israeliano in concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2012. E si apre così allo spettatore il mondo della comunità ebrea ultraortodossa degli Hassidim. Un mondo chiusissimo, avverso a qualsiasi forma di modernità, niente tv e niente cinema. Dall’aspetto riconoscibilissimo, gli uomini vestono in abiti scuri, cappelli neri e boccoli, le donne copricapi e abiti castigatissimi. Non hanno quasi contatti con l’esterno e seguono rigidi precetti. Quasi nessuno, prima di oggi, era riuscito a raccontare la vita degli Hassidim. A farlo in questo film che è una delle sorprese del Festival, è la regista newyorkese Rama Burshtein, che fa parte della comunità. Circolo del Cinema Charlie Chaplin 20 «Sentivo che la comunità ultraortodossa, che fa sentire la propria voce con forza sul piano politico, è praticamente muta su quello culturale», racconta la regista. «Fill the Void apre una piccola finestra su una realtà molto speciale e complessa. Forse può costruire un ponte tra noi e “gli altri”». Da questa piccola finestra, si osserva la storia di Shira, interpretata dalla giovane e talentuosa Hadas Yaron. Le sue nozze vanno a monte quando la sorella maggiore muore dando alla luce un bambino. Shira è indecisa se sposare o no il vedovo, se seguire la volontà della famiglia o i propri desideri. I matrimoni ultraortodossi non sono mai obbligati: si combinano assieme ai figli, si decide insieme. Ma l’ultima parola spetta sempre agli sposi», spiega Burshtein. Per chi guarda dall’esterno, le abitudini e il modo di vivere restano comunque integraliste. Uomini e donne non si possono sfiorare, i fidanzati si incontrano solo in casa con la mamma dietro la porta, chi non riesce a sposarsi soffre la vergogna e l’umiliazione. «Le donne hanno un grande ruolo: governano la casa, lavorano, curano i figli. Sono superdonne. Non mi sento per niente discriminata. Anzi, penso che il nostro modo di esprimere la femminilità sia molto sexy». Fill the Void (che, per inciso, ha come voce narrante un membro effettivo della comunità) descrive in maniera perfetta i riti solenni e arcaici della comunità, non prendendo posizione ma esaltando efficacemente il contrasto tra una realtà molto viva e politicamente ben schierata, eppure così tremendamente ignorante in ambito culturale. La scommessa (vinta) dell’esordiente Rama Burshtein è stata quella di osservare e riferire allo spettatore quanto visto, seguendo uno stile rigoroso ed equidistante e lasciandolo libero di giudicare senza condizionamenti. Girato tutto in interni, come un intenso melodramma da camera, questo film d’esordio dellaBurshtein ha il merito di fotografare concretamente la dimensione sociale ed umana della giovane protagonista e di tutta la struttura familiare (sia la propria che quella della nazione i generale). Lo fa con un taglio deciso ma mai eccessivo, che vale come monito nei confronti del mondo intero. Occorre con occhi sgombri da pregiudizi, con la voglia di accostarsi a un prodotto ben diretto e socialmente utilissimo. www.circolochaplin.it 21 31 gennaio 2013 I volti della Luna Poetry Regia: Lee Chang-dong; Sceneggiatura: Lee Chang-dong; Produttore: Pine House Film; Fotografia: Hyun Seok Kim; Montaggio:Hyun Jim; Scenografia: Sihn Jeomhui; Interpreti: Da-wit Lee, Yong-taek Kim, Jeong-hee Yoon, Yun Junghee; Durata: 135’; Nazionalità: Corea del Sud 2010 Mija, a 66 anni, fa la badante e vive con un nipote liceale in una piccola città di provincia sulla riva del fiume Han. Per caso scopre l’amore per la poesia e una sensibilità da scrittore, contemporaneamente a degli spiacevoli vuoti di memoria ed a un episodio di violenza che la coinvolge molto da vicino. La realtà l’aggredisce ma Mija, paradossalmente, trova nella ricerca della bellezza gli strumenti, o gli anticorpi necessari per affrontare l’orrore come merita. Poetry, in originale Shi (che suona come “lei” in inglese), è un’opera che fa sorridere, turbare, commuovere, con una mano delicata e tremenda. Premiato a Cannes 2010 per la migliore sceneggiatura (scritta dallo stesso regista), è imbastito con un candore poetico trasparente che parla all’anima, ma che parla di vita, come la poesia fa, e dell’atrocità della vita, come la vita sa essere. Protagonista del film è un personaggio femminile, che gli spettatori di tutto il mondo potranno riconoscere e amare per la sua forza e per le sue debolezze. Attraverso gli accadimenti che segnano l’età matura di questa donna, Poetry parla delle stagioni del corpo e dello spirito, del sesso e della memoria, della violenza e della bellezza del mondo, e lo fa in modo molto ispirato ma anche piuttosto diretto, riuscendo a mostrare come la poesia (l’arte) possa essere una terapia e come la vera poesia (arte) nasca da una sofferenza autentica. Dove si trovi poi, e se abbia senso (nella vita), Lee Changdong Circolo del Cinema Charlie Chaplin 22 pare volerlo lasciar decidere al suo pubblico, attraverso un film carico di elissi e di omissioni, di spazi bianchi - o rossi - da riempire a piacere, secondo le proprie capacità e la propria sensibilità. Ma quel che pare più chiaro, o più probabile, attraverso i contrasti di cui si nutrono il film e il suo personaggio principale, è che la chiave per una vita di poesia, per il recupero della purezza dello sguardo, risieda nella rinuncia a una visione del mondo e di sé fatta di negazione e apparenze e nel recupero di dimensioni empatiche e di verità anche quando sono scomode o dolorose. Ma raggiungere una consapevolezza del genere non basta, ricorre nel film anche un bisogno quasi famelico di comunicazione, una necessità di linguaggi utili alla condivisione, una continua sinestesia percettiva che cerca una forma di restituzione e comunione col mondo. Da quando la figlia ha divorziato e si è trasferita, Mija le è legata dal solo telefonino, strumento molto presente nel film, inoltre la donna si trova costretta a rendersi conto di non riuscire più a penetrare il muro di incomunicabilità del nipote adolescente. Deriva da questo disagio il tentativo vissuto come un’impresa, di scrivere la sua prima poesia. “Credo di avere una vena poetica: mi piacciono i fiori e dico cose strane” , sorride al telefono parlando con la figlia lontana. Ed è al corso di poesia poi che l’insegnante le spiega che “per scrivere bisogna vedere”, che il foglio bianco è una sorta di “mondo di prima della conoscenza” per capire il quale bisogna guardare e scrivere il mondo. La pellicola è costruita in modo circolare, con le bellissime scene d’apertura e di chiusura dedicate alle acque, al fiume e alla campagna che circondano la città (non una metropoli) dove Mija vive. È quindi un’opera curata sin nei minimi dettagli, dove tutto torna e dove nulla è mostrato a caso, sorretta da un impianto visivo attento ma non ostico, che affronta temi non facili ma universali e vuole essere esso stesso un linguaggio. Purtroppo la parola non ha una grande resa visiva, soprattutto a un occhio occidentale, e ciò che è poetico nella vita reale non lo è automaticamente al cinema, dove il filtro della finzione può fare apparire tanti passaggi come furbi. E’ ciò può capitare guardando questo film, che paga anche una durata forse eccessiva per tenere il cuore tra le nuvole, dondolando tra cielo ed inferi. www.circolochaplin.it 23 7 febbraio 2013 Strade dell’Est Almanya - La mia famiglia va in Germania Regia: Yasemin Sandereli; Soggetto: Yasemin Sandereli e Nesrin Sandereli; Musiche: Gerd Baumann; Produzione: Roy Film; Distribuzione: Teodora Film; Interpreti: Vedat Erincin; Aylin Tezel; Aylin Tezel; Trystan Win Puetter; Rafael Koussouris Durata :101’; Nazionalita’: Germania 2011 L’anziano Huseyn Ylmaz vive con la sua famiglia in Germania da tre generazioni,dopo essersi trasferito dalla Turchia, per motivi di lavoro, negli anni sessanta.Durante un pranzo, comunica ai suoi familiari l’acquisto di una casa per le vacanze in Anatolia e li invita a seguirlo per aiutarlo nei lavori di sistemazione.Pur tra lo scetticismo generale, la famiglia si aggreghera’ al patriarca in un viaggio che segnera’ l’occasione per tracciare un bilancio familiare degli ultimi 50 anni e per prendere coscienza degli effetti di straniamento psicologico e culturale che l’emigrazione ha prodotto su tutti i componenti della famiglia dai piu’ anziani ai piu’ giovani. Nonostante le tensioni,alla fine, l’unita’ sara’ salvata. Scintillante esordio per le sorelle Sandereli, Yasemin, la regista e Nesrin, la sceneggiatrice,due giovani cineaste di Dortmund, che riversano nel film la personale esperienza della emigrazione della propria famiglia turca in Germania. Il film, giustamente premiato al Festival di Berlino del 2011, per la migliore sceneggiatura,si inserisce nel filone della cosiddetta commedia sull’integrazione, genere inaugurato, anni fa dalla pellicola “ East is East” e proseguito da “ La sposa turca” di Fatih Hakin, che gia’ nel 2004 aveva focalizzato l’attenzione sulla comunita’ turca di Germania. Per inciso,rammentiamo che l’emigrazione di lavoratori turchi verso il paese teutonico, iniziata negli anni 60, e’ risultata di ampie proporzioni, al punto che oggi la Circolo del Cinema Charlie Chaplin 24 comunita’ turca ammonta a circa 1800000 unita’, ma essa ha generato problemi di integrazione ben piu’ ardui rispetto all’inserimento di immigrati di origine latina.Se la pellicola di Hakin presentava un alto tasso di drammaticita’, Almanya invece adotta due registri ora quello drammatico ora quello divertente, inserendo nel racconto episodi di sicura comicita’ che allentano la tensione e lo rendono particolarmente gradevole.Inoltre il meccanismo narrativo fa largo uso del flashback con continui salti tra il passato e il presente, tra le vicende dei piu’ anziani e quelle dei piu’ giovani e tale taglio impresso al racconto, ben evidenzia l’evoluzione avvenuta nel corso del tempo nei costumi e nella visione di vita della comunita’ turca.Da notare che il congegno del flashback e’ innescato dal racconto che la nipote di Husseyn fa al piccolino della famiglia, raccontando l’intera storia del trasferimento dei nonni dall’oriente all’occidente. Proprio questo stile altalenante tra serio e comico, tra rievocazione del passato e descrizione del presente e’ all’origine dell’ottima accoglienza riservata dal pubblico alla pellicola. Si pensi che il film costato quattro milioni, ha incassato nella sola Germania 15 milioni di euro, registrando ben 2 milioni di spettatori, a riprova che con idee intelligenti si possono ottenere ottimi incassi pur avendo a disposizione un budget ristretto. I critici piu’ malevoli hanno sostenuto che Almanya altro non e’ che una lunga sequela di consunti stereotipi sul tema dell’emigrazione, ma in prevalenza la critica piu’ autorevole ha riconosciuto i meriti delle sorelle Samdereli che in maniera brillante fanno intuire allo spettatore come al di la’ dei sacrifici e delle ristrettezze di tanti lavoratori turchi, l’effetto piu’ doloroso della emigrazione e’ stato quello di produrre una profonda crisi di identita’ non solo nei piu’ anziani sradicati dalla propria patria e catapultati in una realta’ profondamente diversa, ma soprattutto nei piu’ giovani che nati in Germania avvertono di essere estranei alla terra dei padri, ma percepiscono anche la loro diversita’ rispetto alla popolazione autoctona che li discrimina in ragione della loro origine. La regista sembra volere indicare nella saldezza della famiglia, l’ancora di salvezza per superare le difficolta’ quotidiane e trovare un equilibrio in una realta’ ostile e tale appare essere il segreto e consolante messaggio del film. www.circolochaplin.it 25 14 febbraio 2013 Strade dell’Est C’era una volta in Anatolia Regia: Nuri Bilge Ceylan; Sceneggiatura: Ebru Ceylan, Nuri Bilge Ceylan, Ercan Kesa; Produttore: Fida Film, Zeynofilm, Production 2006, Turkish Radio & Television (TRT), Imaj, NBC Film, 1000 Volt; Fotografia: Gokhan Tityak; Montaggio: Bora Goksingol; Scenografia: Dilek Yapkuoz; Interpreti: Muhammet Uzuner, Yilmaz Erdogan, Taner Birsel, Ahmet Mümtaz Taylan, Firat Tanis, Ercan Kesal.; Durata: 150’; Nazionalità: Turchia, 2011 Tre auto vagano nella notte nel cuore delle steppe dell’Anatolia. A bordo ci sono il medico Cemal (Muhammet Uzuner), il commissario Naci (Yilmaz Erdogan), il procuratore Nusret (Taner Birsel), pochi poliziotti e soldati, un assassino Kenan (Firat Tanis),e il fratello complice, accusati dell’omicidio di un loro amico. Cercano il cadavere dell’ uomo ucciso, ma vagano durante tutta la notte senza risultato. I ricordi dei fratelli sono infatti annebbiati e vaghi. La ricerca continuerà fino all’alba del giorno dopo. A metà percorso gli uomini si fermeranno a mangiare a casa del sindaco del villaggio, alle prime luci dell’alba le macchine riprenderanno il loro cammino e, finalmente, dopo aver ritrovato il cadavere, dovranno ingegnarsi per trasportarlo (privi dell’attrezzatura adeguata). A quel punto, per la sua ultima tappa, l’indagine si sposterà nella sala dell’autopsia dove avverrà anche il riconoscimento del cadavere da parte della moglie del defunto. Il film, racconta di una lunga, faticosa e dolorosa notte, durante la quale si svolge un’indagine che non serve tanto a dare risposte sul crimine, quanto, per i personaggi, a guardarsi intorno e dentro. Nell’infinita ricerca del cadavere i protagonisti, si svelano, si raccontano, concedendo Circolo del Cinema Charlie Chaplin 26 allo spettatore un’interiorità tormentata, affranta, se non addirittura dilaniata. Il regista esplora l’animo dei suoi personaggi facendone uscire passato e sentimenti particolari. Personaggi che per stessa ammissione di Ceylan sono scaturiti da quattro novelle di Checov ma nei quali ha anche usato echi di I Fratelli Karamàzov. Mano a mano che si va avanti con la storia la ricerca in atto si intreccia con una graduale messa a fuoco dei singoli protagonisti, che mostrano allo spettatore le loro peculiarità attraverso i dialoghi. Durante il percorso narrativo, il personaggio del dottore da marginale diventa cruciale, il regista mette la macchina da presa sempre nelle vicinanze del suo sguardo e il dottore diventerà il punto di riferimento per gli altri protagonisti, è a lui che si confesseranno cercando una sorta di assoluzione. Il film si svolge quasi totalmente di notte, in zone di selvaggia bellezza resa per lo più invisibile dalle tenebre, la riuscita del racconto è legata a filo doppio alla fotografia, che Tiryaki, abituale direttore della fotografia nei lavori di Ceylan, cura in modo ineccepibile avvolgendo le meravigliose colline dell’Anatolia in un bagliore soffuso che non diventa mai luce, regalandoci un’Anatolia cupa, infinita, illuminata dalla luce dalla luna o dal caldo fuoco di una lanterna. Un panorama sempre uguale a se stesso eppure cosi diverso che fa da sfondo alle piccole e grandi vicissitudini di quegli esseri umani. I lunghi dialoghi sono serrati e qua e là estenuanti, molte scene che sembrano non voler dire nulla, trovano poi un punto d’incontro nell’atteso finale. Non sono contemplati né inseguimenti né sparatorie, nessun effetto speciale, il film rifugge dai movimenti di macchina complessi , dagli espedienti di montaggio e da una colonna sonora importante. Il film ci regala una scena di intensa bellezza quando il ricevimento del sindaco viene interrotto da un black –out e nel buio compare di colpo una figura femminile, con un vassoio per gli ospiti, una lampada illumina un viso di ragazza dalla bellezza assoluta, angelica, senza tempo, la ragazza s’intravvede appena, illuminata dalla luce fioca di una candela, ma la cinepresa racconta la sua bellezza attraverso lo sguardo levato degli uomini. www.circolochaplin.it 27 21 febbraio 2013 Strade dell’Est Silent Souls Regia: Aleksei Fedorchenko; Sceneggiatura: Denis Osokin; Produttore: MIG Pictures Film Company:; Fotografia: Mikhail Krichman; Montaggio: Sergey Ivanov ; Musiche:Andrei Karasyov; Scenografia:Andrej Ponckratov; Interpreti: Igor Sergeyev, Yuriy Tsurilo, Yuliya Aug, Viktor Sukhorukov. Durata: 75’; Nazionalità: Russia 2010 Alla morte dell’amata moglie Tanya, Miron, proprietario di una cartiera, chiede ad un suo fidato dipendente, Aist, fotografo e scrittore, di accompagnarlo per compiere il rito di addio, secondo le tradizioni della cultura dei Merja, un’antica etnia ugro-finnica di una remota regione del centro-ovest della Russia, scomparsa circa quattrocento anni fa e di cui, come ricorda il regista, le sole tracce rimaste, sono i nomi dei fiumi. Il cadavere di Tanja verrà bruciato su una pira e le sue ceneri saranno disperse nell’acqua. I due uomini partono per un viaggio che li porterà per migliaia di chilometri attraverso terre sconfinate, paesaggi spettacolari, freddi e silenziosi. “Silent Soul – Soltanto l’amore non ha fine” prende spunto da un racconto di Aist Sergeyev, “The Buntings”. Il titolo originale “Ovsyanki”, significa zigoli, il nome della coppia di uccellini, piccoli passerotti, che accompagna le due ‘anime silenti’ durante il loro viaggio. Il regista, Aleksei Fedorchenko, già premiato a Venezia nella sezione Orizzonti nel 2005 con il suo primo documentario “First on the moon” affronta nel film diversi temi: l’elaborazione del lutto, il sopravvivere delle antiche tradizioni, la magnificenza della natura, il viaggio come metafora del mutare della vita, tutto avvolto da un’intensa tenerezza. In realtà, le usanze dei Meja, citate nel film sono usanze inventate dal regista, ma attraverso di esse Fedorchenko, crea un mondo parallelo in cui i due Circolo del Cinema Charlie Chaplin 28 protagonisti si muovono e riesce a rende poetica la vita di persone comuni, ordinarie e “invisibili” come gli zigoli che il protagonista acquista nella prima scena. Per l’assetto formale del film il regista sceglie la struttura road movie, il viaggio è circolare, il tempo è sospeso ciclico ed eterno. Un racconto delicato, poetico, di un viaggio durante il quale Miron tiene vivo il ricordo della moglie lasciandosi andare ad intime confessioni, svelando i dettagli della loro vita intima, quasi per voler ancora assaporare la viva fisicità dell’amata. L’amico Aist si abbandona, invece, al ricordo della sua infanzia e di suo padre, poeta del paese. Assistiamo così, lungo tutto il viaggio, ad una riflessione sulla vita e sulla morte. E’ un film che ci parla d’amore pur raccontando di morte, poetico pur parlando di cose molto semplici e comuni. Una vicenda dal sapore antico, anche se si svolge ai giorni nostri. Il paesaggio intenso e sconfinato diventa coprotagonista delle vicende, e la fotografia (premiata alla 67a Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia con l’Osella per il Miglior Contributo Tecnico alla Fotografia) gli rende giustizia. Fedorchenko è riuscito, attraverso una storia semplice, ad accedere a temi universali, a suscitare nello spettatore sensazioni e pensieri che accomunano tutti gli esseri umani. E’ stato capace di creare un equilibrio tra parole ed immagini, alcune bellissime scene restano impresse per la loro forza evocativa: il flashback della sposa “senza volto”, con la veste alzata, che permette alle damigelle di ornarla; le ombre di Aist ragazzo e suo padre Vesa che si allungano sul Neya ghiacciato, lo slittino che trasporta la macchina da scrivere, la splendida sequenza di immagini che descrivono la città di Molochai. www.circolochaplin.it 29 28 febbraio 2013 Trainers Mosse Vincenti Regia: Tom McCarthy; Sceneggiatura: TomMcCarthy; Interpreti: Paul Giamatti, Alex Shaffer, Amy Ryan, Bobby Cannavale, Jeffrey Tombor, Burt Young, Margo Martindale, David Thompson, Mike Dilello, Nina Arianda, Sharon Walkins, Penelope Kindred, Sophia Kindred, Clare Foley, Marcia Haufrecht; Musica: Lyle Workman; Produzione: Twentieth Century Fox; Distribuzione: Fox Italia; Durata 106’; USA 2011. Mike Flaherty, modesto avvocato e coach di una squadra liceale di lotta libera, per risolvere i vieppiù pressanti problemi economici della sua famiglia,decide di farsi affidare dal giudice, la tutela di un suo anziano cliente che relegherà in una casa di riposo, per intascarne la pensione di $ 1500. Ma il vecchietto viene cercato dal nipote Kyle, un adolescente problematico, in fuga dalla madre, tossicodipendente. L’avvocato ospiterà il ragazzo nella propria abitazione al fine di inserirlo nella squadra di lotta, viste le sue innate doti di lottatore. Ma presto, il rapporto umano tra il giovane e la famiglia di Mike si approfondirà, aprendo nuovi scenari esistenziali a tutti. L’equilibrio raggiunto rischierà di essere compromesso dalla irruzione della madre di Kyle, che reclama il ragazzo e la pensione e Mike sarà chiamato ad una difficile scelta, per salvare gli affetti appena consolidati. Dopo il sorprendente esordio nel 2003 con il film ”The station argent”, bissato nel 2007 dall’acclamato “L’ospite inatteso”, il regista indipendente Tom McCarthy, si riconferma con questa terza convincente prova, in cui peraltro privilegia il suo tema preferito, quello delle relazioni umane nate casualmente tra persone profondamente diverse, ma comunque tormentate da problematicità esistenziali, che approfondendo il rapporto umano si aprono a nuovi orizzonti di vita in virtù Circolo del Cinema Charlie Chaplin 30 di una reciproca maturazione. In ”Mosse vincenti”, i termini del binomio sono rappresentati da Mike, l’avvocato pronto a calpestare ogni scrupolo morale e deontologico, pur di risolvere i problemi economici della propria famiglia e Kyle, un ragazzo introverso e sensibile, bisognoso di affetto( negatogli dalla madre scapestrata e tossicodipendente), che nella sua purezza sembra essere l’esatto contrario del cinico legale. Da questa situazione di partenza, il rapporto gradualmente evolve verso un nuovo equilibrio in cui le parti si avvicineranno e si influenzeranno in maniera sempre più netta. Così Kyle troverà nella famiglia di Mike quel calore umano che gli era stato fino ad allora negato e l’avvocato capirà che accanto alle esigenze materiali vi sono valori, più alti di cui non si può fare a meno. Mike alla fine, posto dinanzi ad una scelta definitiva, preferirà privilegiare i sentimenti, anche se questa scelta comporterà per lui notevoli sacrifici. Il film in generale ha avuto una positiva accoglienza, anche se si è levata qualche voce fuori dal coro a rimarcare che l’opera si riduce in sostanza ad una favoletta edificante, interessata solo a fare trionfare i buoni sentimenti, per approdare verso un consolatorio happy end. Tuttavia, non si può negare che il lavoro di McCarthy sollecita nello spettatore una riflessione di fondo circa il modo più appropriato di affrontare la crisi economica che sembra non avere mai fine e che crea in tante persone innumerevoli affanni. La vicenda narrata sembra volerci dire che nella soluzione dei problemi economici, è opportuno non perdere di vista le esigenze morali e i valori affettivi ed infatti è lo stesso regista a definire il suo film come un apologo morale ai tempi della crisi. In ragione di questo suo significato non appare molto legittimo sminuire i meriti dell’opera che invece riconferma le doti di Tom McCarty già evidenziate nell’opere precedenti. Si tenga presente poi che il film appare ben costruito sia per la vivacità dei dialoghi che per l’interpretazione dei protagonisti e cioè il collaudato Paul Giamatti ed il giovane Alex Sheffer, un talento in erba destinato secondo molti ad un radioso avvenire di attore. Le scene di sport assicurano infine al film un corredo spettacolare atto ad aumentare il gradimento del pubblico. www.circolochaplin.it 31 7 marzo 2013 Trainers Detachment - Il distacco Regia: Tony Kaye; Sceneggiatura: Carl Lund; Produttore: Paper Street Films, Appian Way, Kingsgate Films; Montaggio: Michelle Botticelli, Barry Alexander Brown, Geoffrey Richman; Scenografia: Jade Healy; Trucco: Mary Cooke, Musiche: The Newton Brothers Interpreti: Adrien Brody, Lucy Liu, Bryan Cranston, Christina Hendricks, James Caan, Renée Felice Smith, Blythe Danner, Marcia Gay Harden, Tim Blake Nelson, Sami Gayle, Doug E. Doug, Isiah Whitlock Jr.; Durata: 100’; Nazionalità: USA 2012. Henry Barthes è un insegnante di letteratura con un passato dolente che sceglie di proteggersi dalle difficoltà delle relazioni sfuggendole e mantenendosi “distaccato”. Ma un incarico da supplente in un quartiere degradato di una periferia americana lo costringe a fare i conti con la realtà, ed il dolore travolgente dei suoi studenti rompe gli argini, azzerando quella distanza tra lui e il mondo che lo protegge dalla propria angoscia. La storia si svolge in tre settimane in un liceo statunitense di una delle tante aeree periferiche degli Stati Uniti, in progressivo degrado culturale e sociale prima che economico: adolescenti violenti e senza speranza predestinati al fallimento e all’emarginazione sociale sono la scoria prodotta da una società in cui i genitori hanno perso cognizione del pur minimo senso della vita. Laddove la scuola è l’unico punto di riferimento nei microcosmi di adolescenti che affrontano il faticoso cammino della crescita, il lavoro/missione dell’insegnante rischia di infrangersi al cospetto dei fallimenti quotidiani. Allora il senso di impotenza e frustrazione polverizzano ogni traccia dei primi entusiasmi e idealismi, giungendo a infettare anche vite private in lenta e inesorabile dissoluzione. Così, il desiderio di fare la differenza diventa vana velleità e lascia il posto alla resa. Circolo del Cinema Charlie Chaplin 32 Forse è per questo che il protagonista del film sceglie di continuare a fare il supplente, tentando, nel poco tempo di cui dispone, di impartire insegnamenti significativi agli studenti. Henry fa della precarietà emotiva la sua bandiera. In qualità di supplente ha a che fare con alunni di tutti i ceti sociali, ma in ogni caso non modifica il suo atteggiamento distaccato. Già in American History X, Tony Kaye aveva rivelato la sua idea di responsabilità dell’esempio come inevitabile fardello dell’essere umano, ma mentre nei legami di parentela tale responsabilità è in una certa parte attribuibile dal fato, il professor Barthes sceglie di farne il suo mestiere, pur non riuscendo, per motivi personali, ad abbracciare del tutto questo aspetto importante del suo compito. A fare la differenza nella vita del protagonista sono due studentesse in particolare, l’inquieta e sovrappeso Meredith, e soprattutto la baby-prostituta Erica. L’evolversi delle vicende legate alle due ragazze accompagnerà e rappresenterà simbolicamente l’evoluzione interiore del protagonista. L’ambientazione scolastica non deve fuorviare, perchè Detachment non è un film di genere scolastico, non solo. E’ un’analisi malinconica e struggente dell’esperienza umana, un caleidoscopio di emozioni scarne, estreme, vibranti, un viaggio nei fallimenti e nelle speranze più sincere che appartengono anche a chi è costretto ai margini della società. Se da un lato però Kaye con coraggio cerca spietato di colpire allo stomaco lo spettatore, non addolcendo la pillola nei dettagli: crudezza diffusa, dialoghi rabbiosi, decadimento fisico e persino il veloce dettaglio di una gonorrea (!). Dall’altro sembra che spesso incanali tutta la volontà sovversiva in luoghi comuni antitetici a queste intenzioni di freschezza: la prostituta bambina ingenua e senza affetto richiama sin troppo l’analoga suggestione di Taxi Driver, così come le peregrinazioni notturne del protagonista. Schematici sembrano poi i traumi alcolici e sessuali di un passato insostenibile, e meccanico il tragitto interiore della complessata alunna con chili di troppo e padre insensibile e sordo come nell’Attimo fuggente. Nonostante questo la capacità di scavare nei volti e negli sguardi silenziosi dei protagonisti fanno di Detachment un film solido, emozionante, toccante ma anche ruvido e spigoloso, senza facili vie d’uscita, senza redenzioni o rivincite. Non c’è messaggio facile o consolatorio, ma c’è tutta la umana pietas, opposta al distacco, tutto il coraggio di guardare nell’abisso dell’animo umano senza pregiudizio nè indulgenza. www.circolochaplin.it 33 14 marzo 2013 Trainers Monsieur Lazhar Regia: Philippe Falardeau; Sceneggiatura: Philippe Falardeau; Produttore: Microscope Production, Les Films Seville Pictures; Fotografia: Ronald Plante; Montaggio: Stéphane Lafleur; Musiche: Martin Léon; Cosumi: Francesca Chamberland; Interpreti: Mohamed Fellag, Sophie Nélisse, Émilien Néron, Brigitte Poupart, Danielle Proulx, Louis Champagne, Francine Ruel, Jules Philip, Sophie Sanscartier, Seddik Benslimane; Durata: 94’; Nazionalità: Canada 2012 In Canada, nella città di Montreal, una giovane insegnante si toglie la vita nella sua classe. A sostituirla sarà un signore un po’ strano, un immigrato algerino, che si offre di accompagnare i piccoli alunni nell’elaborazione del loro lutto mentre ancora ne sta elaborando uno suo, familiare e appartenente a un tempo e un luogo lontani. Il tempo frutterà un legame forte tra Lazhar e i suoi scolari, un legame che avrà un forte effetto sulle vite di entrambi, porterà ad un affetto frutto della voglia di vivere e di andare avanti, attraverso un percorso non semplice di accettazione dell’ineluttabilità della morte, non solo come evento in sè, ma come parte imprescindibile della vita stessa. A ispirare il regista canadese è il dramma teatrale “Bashir Lazhar” di Évelyne de la Chenelière. La sua trasposizione cinematografica è stata un trionfo al Festival di Locarno 2011 dove ha conquistato il Premio del Pubblico ed il premio Variety Piazza Grande Award. Dopo l’indimenticabile “L’attimo fuggente” e il più recente “La classe - Entre les murs” e varie serie televisive italiane e straniere incentrate sulle esperienze docenti-alunni, era da tanto tempo che non si vedeva una bella pellicola girata tra Circolo del Cinema Charlie Chaplin 34 i banchi di scuola. Felaurdeau senza troppa presunzione ha cercato di creare un’immagine fruibile da qualsiasi tipo di pubblico ma che attirasse per l’eleganza e l’immediatezza; la sua è una regia apparentemente molto semplice ma in realtà assai curata e ricercata. I protagonisti principali sono tre figure di tutto rispetto: Bachir Lazar, rifugiato algerino con alle spalle una dura tragedia familiare. Improvvisato professore “un po’ all’antica”, che ha molto da insegnare a quelli moderni, capace di arrivare al cuore dei suoi giovanissimi studenti, porta dolcemente con sé il ricordo della moglie scomparsa precocemente; Simon, pervaso dalla sofferenza e dal senso di colpa che provocano attacchi di rabbia spesso diretti contro la “preferita” di Lazhar, la piccola Alice, colei che affronta di petto il dolore della perdita in una matura composizione in prosa, dove “la prof.ssa dà un calcio alla sedia per poi scomparire”. Bachir è interpretato in maniera davvero splendida da Mohamed Fellag, un attore e comico teatrale algerino. Una figura di enorme dignità ed eleganza, che diventa un albero solido su cui far sbocciare la crisalide in cui sono rinchiusi i suoi alunni e lasciarli diventare delle farfalle, ancora più reali per aver capito le dure leggi della morte e della violenza. Un punto di vista diverso, quello di un esiliato, un po’ fuori dal tempo, come il suo francese cristallino (“parla come Balzac”), che pone una società matura e ossessionata dal politicamente corretto di fronte alle proprie forzate contraddizioni. Accanto al personaggio principale spiccano i due “piccoli” protagonisti Sophie Nélisse (Alice) ed Émilien Néron (Simon). È un film commovente, non pietistico né moraleggiante, che riflette sulla perdita ma fa riflettere anche noi su cosa ci siamo persi per strada. Le istanze sociali, quali il rischio di espulsione del maestro dal paese o la solitudine famigliare di molti bambini, contribuiscono al clima del film ma non sgomitano per emergere là dove non servono. Il cuore del film resta la relazione. www.circolochaplin.it 35 21 marzo 2013 Family Life Killer Joe Regia: William Friedkin; Produzione: Voltage Pictures/ Ana Media, Worldview Entertainment, Picture Perfect Corporation; Distribuzione: Bolero Film; Interpreti: Matthew McConaughey, Emile Hirsch, Juno Temple, Thomas Haden Church, Gina Gershon, Marc Macaulay; Durata: 102’; Nazionalità: U.S.A.; Anno: 2011. Per liberarsi della madre che gli ha causato un grave danno, e oltretutto intestataria di una polizza assicurativa sulla vita, il giovane spacciatore Chris e suo padre Ansel si rivolgono a “Killer” Joe Cooper, un assassino prezzolato, ma con maniere da gentiluomo, che si dimostra disponibile a risolvere la faccenda dietro lauto compenso anticipato. I due committenti sono a corto di denaro, ma Joe accetta come ‘caparra’ la compagnia di Dottie, l’innocente sorellina di Chris. Tuttavia, al momento di riscuotere il premio dell’assicurazione, Chris scoprirà che la madre gli ha giocato un brutto tiro e lo stesso Joe dovrà usare la sua abilità di investigatore per arrivare alla verità e far pagare a tutti il prezzo dovuto. Grande attacco: saranno passati sì e no 5 minuti ma ‘Killer Joe’ ci ha già catapultato in un mondo dove il sordido sconfina nell’abietto e la rapacità emana bagliori di pura idiozia. Grande regista d’azione, ma del tutto a suo agio anche con drammi e horror «domestici», Friedkin sa come spremere il massimo di emozioni da un minimo di dettagli, lasciando lo spettatore nel dubbio che tante sconcezze e atrocità siano più un ghignante sfoggio di bravura che una reale necessità. Adattamento del testo omonimo di Tracy Letts, ‘Killer Joe’ è un capolavoro di humour nero - basato su un campione di degenerati che rappresentano, nel loro piccolo, tutta l’America - che esaspera la propria natura Circolo del Cinema Charlie Chaplin 36 tra pulp e white trash (cultura sottoproletaria dei bianchi). Chi detesta il pulp storcerà il naso, chi lo ama pure. Friedkin prende le distanze dagli uni e dagli altri facendo di quella violenza instupidita un’apologia a tratti compassionevole e ribaltando consapevolmente tutti gli stereotipi, a partire dallo stesso personaggio ‘Killer Joe’, dalle buone maniere. William Friedkin ci aveva terrorizzati con ‘L’esorcista’, aggrediti con ‘Cruising’, mandati i nervi in tilt col ‘Il braccio violento della legge’, ma mai era stato crudele come in ‘Killer Joe’, pur definendolo una rivisitazione di Cenerentola in cui il principe fa il serial killer (e la fanciulla più che la scarpetta, perde ben altro). Scegliendo la tinta grottesca e una violenza non solo morale, Friedkin non esclude che la vicenda possa anche essere divertente nei suoi eccessi, ma è più che altro un massacro a porte semichiuse in cui, scena già cult, si mostra l’uso più piacevolmente improprio che sia mai stato fatto di una coscia di pollo. Dentro l’atmosfera elettrica, nella sua traiettoria sghemba, senza pause, nella dinamica moralmente amorale, c’è tutta la cultura e lo squallore dell’infelice provincia americana. In un’altalena di emozioni contraddittorie, l’autore sfodera il tragico umorismo di una ballata triste in cui si anticipa che l’America non è un Paese, bensì un business e Matthew McConaughey, per la prima volta davvero bravo, anticipa i suoi glutei poi star di ‘Magic Mike’. Il cast è straordinario, da Emile Hirsch a Juno Temple che esprime con tante sfumature la tragedia adolescenziale, fino ai genitori (Thomas Haden Church, uomo invisibile che soffre e la grande Gina Gershon, ex showgirl di massima innocente volgarità). Il finale lascia aperte tutte le possibilità, comprese le più folli visto che quello sceriffo dal grilletto facile, estremo paradosso, sembra l’unico a possedere un qualche barlume di senso morale. Per i cultori del sordido, la black comedy del decennio. Gli altri si accostino con cautela. Tutto è esagerato e strabordante, dalla recitazione ai pestaggi fino alle ‘perversioni’ sessuali, tutto è falso e artificioso ma soprattutto tutto sembra fatto per essere programmaticamente cool e cult insieme. Piacerà a chi ha un debole per i thriller imbevuti di grottesco che sono la specialità dei fratelli Coen. Ma qui i fratellacci hanno il fatto loro. E chi impartisce la lezione è nientemeno che un ragazzo del 1939. Fonti: Maurizio Porro (Corriere della Sera), Fabio Ferzetti (Il Messaggero), Dario Zonta (L’Unità), Giorgio Carbone (Libero), Paolo Mereghetti (Il Corriere della Sera). www.circolochaplin.it 37 28 marzo 2013 Family Life Qualche Nuvola Regia: Saverio Di Biagio; Produzione: Minollo Film, Bartleby Film, Relief, Dap Italy, Rai Cinema; Distribuzione: Fandango; Interpreti: Michele Alhaique, Greta Scarano, Aylin Prandi, Primo Reggiani, Giorgio Colangeli, Pietro Sermonti, Michele Riondino; Durata: 99’; Nazionalità: Italia; Anno: 2011. Diego è nato e cresciuto in un quartiere della periferia di Roma, lavora in un cantiere edile ed è da sempre fidanzato con Cinzia, che conosce da una vita e che a sua volta ha ben chiaro cosa il destino ha riservato per lei: un futuro di moglie e madre. Intorno a Diego e Cinzia, ruota una schiera di amici e parenti, tutti sempre pronti ad aiutare e consigliare. Poi, un giorno, Diego incontra Viola, la nipote del capo, tanto bella e così diversa dalle persone che lui ha sempre frequentato e tutto, improvvisamente, prende una piega diversa. Ecco un buon debutto italiano che recupera i modelli della commedia di buoni ma non ovvi sentimenti e che non sembra - è un complimento - un film italiano, bensì europeo. Saverio Di Biagio (classe 1970), regista con una buona esperienza sia nel campo del cinema militante sia in quello dei documentari, dei cortometraggi e delle sceneggiature, fa attenzione alle parole, racconta una Roma invisibile, senza dimanticare la semplicità che esprime la verità con un filo di poesia povera. Presentata alla 68a Mostra di Venezia (Sezione “Controcampo italiano”), la commedia di Saverio Di Biagio ha un tocco lieve e uno sguardo non banale sulla realtà che descrive (il quartiere romano del Quadraro, periferia romana ancora non “sdoganata” dai trend cinematografici). L’affetto verso i personaggi che descrive non scade mai nel manicheismo o nel facile abbozzo: non c’è torto o ragione, tra un protagonista in bilico tra due mondi lontanissimi e un’umanità convinta che la Circolo del Cinema Charlie Chaplin 38 vita si esaurisca all’interno dei propri confini di appartenenza, in appartamenti ristrutturati poco distanti dai propri genitori, questi ultimi specchio di una storia che sembra ripetersi senza appello. Il cast è ispirato e in parte, dai bravi protagonisti fino ai contributi di Michele Riondino (l’amico sacerdote), Primo Reggiani (amico “traffichino” di Diego ed ex fiamma di Cinzia), Pietro Sermonti (un cinico, disincantato costruttore) ed Elio Germano (per lui un ironico cameo, nei panni di un venditore di mobili), all’apporto di caratteristi come Giorgio Colangeli e Paola Tiziana Cruciani, abili prosecutori della tradizione della commedia all’italiana. Non ci sono i soliti nomi, ma i protagonisti non li fanno rimpiangere, anzi; la guerra dei sessi non ha le facezie e le iperboli caciarone di Brizzi & Co., ma veritiere dinamiche di genere e un retrogusto - a ben vedere - amarissimo. Tutti rendono alla perfezione quella vena agrodolce, quel senso di frustrazione che a un tratto, da individuale, sembra farsi collettivo, per poi stemperarsi felicemente nell’ironico finale: un invito a provare sempre e comunque a vivere un’esistenza diversa dalle altre e assieme, un’accettazione della vita per quella che è. Disastrosa, lontana anni luce dai propri sogni, ma concreta e reale. Al punto tale da volerle bene, perché è l’unica che si possiede davvero. La novità sta nell’occhio abbastanza diverso con cui Di Biagio guarda ai suoi personaggi, alla loro storia, agli ambienti in cui si muovono. Questi dilemmi, questi turbamenti Di Biagio li analizza con disinvoltura, evitando con tocchi precisi il sentimentalismo e sostituendolo, appunto, con un approccio insolito e quasi critico nei confronti di quelle situazioni che si dipanano in un contesto sociale, a cominciare dal condominio, tratteggiato con accenti di cronaca quotidiana sostenuti per lo più da modi di rappresentazione frutto di tecniche sicure. L’opera prima di Saverio Di Biagio è un dramedy sentimentale che gioca tra Roma periferia e Roma centro, manovalanza e borghesia, coppia e scoppia, matrimonio e fuga. Lo fa senza lirismo né surrealismo, accontentandosi del realismo ‘de noantri’: non è Loach, ma i mattoni - protagonista il muratore Michele Alhaique e la promessa sposa Greta Scarano, con Aylin Prandi a triangolare - sono solidi, ben giustapposti tra scontro di classe e affinità elettive, pragmatismo e desiderio. Appunto, nulla di trascendentale, ma “Qualche nuvola” ha buone fondamenta drammaturgiche e una discreta architettura di piani sequenza. Fonti: Maurizio Porro (Corriere della Sera), Gian Luigi Rondi (Il Tempo), Federico Pontiggia, (Il Fatto Quotidiano). www.circolochaplin.it 39 4 aprile 2013 Family Life Animal Kingdom Regia: David Michôd; Sceneggiatura: David Michôd ; Produttore: Liz Watts ; Fotografia: Adam Arkapaw; Montaggio: Luke Doolan; Musiche: ; Anthony Partos Scenografia: Jo Ford ; Interpreti: Gabourey ‘Gabby’ Sidibe, Mo’Nique Imes, Paula Patton, Mariah Carey, Lenny KravitzJames Frecheville, Guy Pearce, Ben Mendelsohn, Luke Ford, Joel Edgerton, Jacki Weaver, Sullivan Stapleton, Anthony Hayes,; Durata: 112 min’; Nazionalità: Australia 2010 A Melbourne, dopo la morte della madre, Joshua “J” Cody, un ragazzo di 17 anni, rimasto solo, è costretto a trasferirsi da sua nonna e dai suoi zii. E’ il violento ingresso di Josh nella vita adulta, che per lui sarà la vita del clan familiare. Josh è ancora giovane e debole, e cerca di mantenersi ai margini. Ma quando la polizia, per vendetta, uccide il più vulnerabile dei sui zii, Josh si ritrova nel bel mezzo del conflitto, costretto a scegliere tra la propria famiglia e il rischio di doverla tradire, per fare la cosa giusta. Debutto come regista di un lungometraggio per il trentottenne regista e sceneggiatore australiano David Michôd. Animal Kingdom è stato presentato con successo al Sundance Film Festival e al Festival di Roma. Sentiamo qualche sua dichiarazione: <<…Gli anni ’80 e 90 in Australia, si sono caratterizzati come un periodo di forte criminalità che è culminato in un evento che si può vedere in Animal Kingdom: la vendetta a sangue freddo con l’uccisione di alcuni giovani poliziotti da parte di una banda criminale. È stato un attacco netto all’establishment che ha scioccato Melbourne. Da quel momento, fino ai giorni nostri c’è stata una continua guerra di territorio tra le gang per spaccio di droga... Quando ho iniziato a scrivere Animal Kingdom non sapevo come scrivere Circolo del Cinema Charlie Chaplin 40 una sceneggiatura. Ma quando la mia scrittura è migliorata, maturata, ho iniziato a lavorare su cosa volessi raccontare: fare un film su una banda in declino... Ho deciso di scrivere questo film per capire come vivono quelle persone in un mondo in cui la posta in gioco è altissima e dove c’è un intero strato della società che opera al di sotto di quello che noi consideriamo morale e corretto. Avevo voglia di dirigere un film sul crimine organizzato in Australia che fosse complesso e sfaccettato, un film corale che raccontasse fedelmente come i criminali si infiltrano nella nostra società e ci sono costantemente accanto, anche se non ce ne rendiamo conto.. Desideravo filmare Melbourne in una maniera totalmente diversa. … Desideravo inoltre realizzare un film che a differenza delle opere di Tarantino o Ritchie, si prendesse sul serio e fosse ambientato in un mondo buio, brutto e pericoloso che fosse però al contempo anche poetico e bello...>>. Nell’opera di esordio di Michôd, emerge su tutti la figura di una madre produttrice e divoratrice di vita e affetti, agghiacciante dispensatrice di amore e di morte. Il giovane Joshua si trova ad interpretare un romanzo di formazione nei meandri di una famiglia stretta da legami di sangue dove il sangue stesso si conserva e si versa. Nessuno ha la forza di opporsi a mamma Janine, né i figli, che sanno benissimo d’incontrare la morte ogni mattina, né le nuore, che sanno benissimo di diventare vedove da un momento all’altro. Nemmeno un buon poliziotto. I personaggi, più che a regole sociali sembrano obbedire a leggi d’eternità, regole archetipiche, scolpite nella crosta tellurica del pianeta. Nessuno dei folli e sanguinari, sia killer che vittime, manifesta infatti soprassalti di tensione, scariche di energia, irruenze del carattere: tutti piuttosto, sembrano docilmente piegarsi al battito di un cuore che pulsa nelle viscere della terra. Animal Kingdom è un reportage e un sogno: una cronaca nera e un incubo abbacinante. La primissima inquadratura, bella e potente, è esplicita in tale direzione: il giovane Joshua guarda la televisione telecomando in pugno, seduto comodamente sul divano con il cadavere della madre riverso al suo fianco. Il giovane regista non giudica, però nulla risparmia della catena di sangue. Catena che non s’interrompe alla fine del film e nemmeno, presumibilmente, oltre i titoli di coda. L’effetto di straniamento, come deve essere, coinvolge il pubblico anche fuori della sala cinematografica. Una bella lezione per un qualsiasi regista esordiente di qualsiasi angolo del pianeta. Italia compresa. www.circolochaplin.it 41 11 aprile 2013 Family Life Polisse Regia: Maiwenn Le Besco; Sceneggiatura: Maïwenn, Emmanuelle Bercot; Fotografia: Pierre Aïm; Montaggio: Laure Gardette, Yann Dedet; Musiche: Gabriel Yared ,Stephen Warbeck Mario Grigorov; Scenografia: Nicolas de Boiscuillé; Costumi: Marité Coutard; Interpreti: Karin Viard, Joeystarr, Marina Foïs, Nicolas Duvauchelle, Maïwenn Le Besco, Karole Rocher, Emmanuelle Bercot e Riccardo Scamarcio; Distribuzione: Lucky Red; Durata: 127; Francia 2011 Il Ministero dell’Interno incarica la foto-reporter Melissa di realizzare un libro sulla ‘Brigade de Protection des Mineurs’ (Squadra di protezione dei minori). Attraverso il suo obiettivo conosciamo le giornate dei poliziotti dell’affiatatissima squadra, costantemente impegnati in casi spesso simili ma ognuno con una sua specificità. Bambini abusati, ladruncoli, ragazzine dalla sessualità fuori controllo, interrogatori a padri molestatori, sfruttatori, retate notturne per liberare piccoli schiavi: questa la routine di ogni agente! Le quotidiane violenze che devono fronteggiare minano il loro equilibrio al punto che, spesso, non riescono a vivere serenamente neanche le personali relazioni familiari e sociali. Il lavoro di squadra gratifica riservando, momenti di vero cameratismo, spazi per riflettere sui rapporti interpersonali e irrefrenabili risate nei momenti più inaspettati. Polisse, terzo lungometraggio di Maïwenn, attrice e regista 35enne che, nel film, si ritaglia il ruolo della fotografa, nasce dalla suggestione scaturita dopo aver visto un documentario trasmesso dalla tv francese. Il titolo “Polisse”, storpiatura infantile della parola “police”, risulta essere perfetto per un film che guarda in faccia la routine di una violenza che convive con le grida di bambini strappati alle madri, il silenzio Circolo del Cinema Charlie Chaplin 42 delle vittime e le bugie dei colpevoli. Film di finzione, girato con stile documentaristico, è basato su casi di cui la stessa regista ha avuto diretta esperienza, su indagini e azioni reali, sulle testimonianze raccolte o vissute in prima persona durante il periodo di sopralluoghi trascorso a stretto contatto con i veri poliziotti. La sceneggiatura, scritta dalla regista con Emmanuelle Bercot, ci immerge da subito in un inferno da cui bambini e bambine cercano di sfuggire temendo però le conseguenze che questo tentativo di fuga può loro procurare. Abilmente la regia mette loro di fronte uomini e donne umanamente incapaci di trasformare in routine contatti umani nei quali la delicatezza è elemento fondamentale. La regista riesce nell’intento di mostrare lo spaccato di un gruppo solido, concentrato sull’obiettivo, e le contraddizioni che ne animano la quotidianità, tanto nei rapporti interpersonali quanto nella frustrazione di non poter aiutare tutti i bambini nello stesso modo. Così come è abile nel presentarceli come esseri umani che formano un’èquipe in cui le individualità sono spiccate e al cui interno si sviluppano relazioni e contrasti come in qualsiasi altro luogo di lavoro. Rendendo chiaro sin dalle prime inquadrature il taglio estetico dell’opera (a metà strada tra fiction e documentario), Maïwenn ci propone un film che si colloca di diritto nell’ambito di quel settore della cinematografia francese interessato a portare sullo schermo la realtà pur rispettando le convenzioni della fiction cinematografica. Si tratta di un complesso gioco di equilibri in cui il risultato positivo può essere raggiunto solo grazie a una sceneggiatura che tenga costantemente conto del livello di verosimiglianza e di attori che sappiano ‘dire’ e ‘agire’ senza recitare. Gli attori sono convincenti ma si riscontra qualche esitazione nell’intrecciare le scene ritagliate dal vero e gli psicodrammi personali. ‘Polisse’, con il suo il ritmo, la tensione, la sensibilità a fior di pelle, la velocità travolgente e senza soste mette in circolo un disagio vero, un malessere palpabile. E si distacca in modo deciso da tutti i modelli che il cinema europeo ha finora adottato per mettere in scena la polizia. Premio della giuria al Festival di Cannes, poche settimane di girato, pochi soldi, esiguo incasso in Francia (soltanto 2.000.000 di Euro), per un progetto nato nella testa di Maiwenn che, come dice lei stessa, voleva fare un film sulla polizia, “senza rappresentarli come eroi e senza sminuirli”. www.circolochaplin.it 43 Ciclo Coming soon L’ultimo ciclo di questa 45° rassegna 2012-2013 è dedicata alle prime visioni. I titoli dei film scelti saranno comunicati nel corso della rassegna. Il prezzo della tessera include la proiezione di questo ciclo. 18 aprile 2013 Film anteprima 2 maggio 2013 Film anteprima 9 maggio 2013 Film anteprima Circolo del Cinema Charlie Chaplin 44 Schede a cura di Claudio Scarpelli, Fabio Comi, Rosa Camera, Silvia Raschillà, Giampiero Logoteta, Chiara Labate, Francesco Mancini. Libretto a cura di Saso Pippia I materiali sono tratti da: Rivista Cineforum, cinematografo.it, mymovies.it, cineblog.it, filmup.it, comingsoon.it. Circolo del Cinema Charlie Chaplin Via Acri 7, 89128 Reggio Calabria Tel. Fax. 0965.895818 Codice Fiscale: 80002690800 [email protected] WWW.CIRCOLOCHAPLIN.IT