Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XVIII n° 1 / 2014
Rischiamo il coraggio
1
SOMMARIO
3
Primapagina
Il coraggio nasce dalla fame
6
Quella forza sottile che sostiene la vita
La libertà del rischio
10 La speranza bisogna conquistarsela
Il punto di innesto delle ali
14 La rivoluzione di Papa Francesco
Come un girasole
20 La storia ha bisogno di noi
Quindici anni di calore e fantasia
24 La domenica delle famiglie
Romena Incontri 2014
26 I nuovi spazi di Romena
Veglia di Romena - Prossime tappe
29 Pasqua a Romena
Graffiti
trimestrale
Anno XVIII - Numero 1 - Marzo 2014
REDAZIONE
località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)
tel. 0575/582060 - [email protected]
Il giornalino è anche online su
www.romena.it
DIRETTORE RESPONSABILE:
Massimo Orlandi
REDAZIONE e GRAFICA:
Raffaele Quadri, Massimo Schiavo
FOTO:
Piero Checcaglini, Raffaele Quadri, Paolo Dalle Nogare
Copertina: Paolo Dalle Nogare
Hanno collaborato:
Luigi Verdi, Pier Luigi Ricci,
Maria Teresa Marra Abignente, Giorgio Bonati
Filiale E.P.I. 52100 Arezzo
Aut. N. 14 del 8/10/1996
4
8
12
18
22
25
28
30
Vorrei seguire con voi la scia di questa cartolina per provare a dire qualcosa sul coraggio.
Mi aiuta una riflessione di Giovanni Vannucci. In un suo incontro il monaco delle Stinche utilizza
le leggi della fisica per spiegarci come si muove la vita.
Prendete una pietra, ci dice, e poi lasciatela. Cade a terra, naturalmente, per effetto della legge
di gravità.
Guardate invece una pianta. Ha un peso simile a quello di un solido, ma un movimento contrario:
Non scende giù, ma sale, indirizzando verso l’alto i rami e le foglie: è la vita che ha dentro che fa la
differenza. Ciò che è inanimato si muove verso il basso, ciò che è vivo segue direzioni diverse: “la
vita – ci dice Vannucci - consiste in una prodigiosa violazione di tutte le leggi del mondo fisico”.
Nella nostra realtà quotidiana la forza di gravità è rappresentata dai mille motivi che ciascuno
di noi ha per scivolare giù: pesantezze, limiti, paure, destini avversi. Un pool di forze che, con
concentrazioni diverse, ci invitano a mollare, a lasciarci cadere. Questa corrente dal pollice verso,
specie quando le cose non vanno, ci sembra la più naturale, inevitabile come una legge della fisica.
Eppure, se ci guardiamo intorno, ci accorgiamo che non è tutto così scontato: anzi notiamo spesso
che proprio dove il peso delle situazioni negative cresce, sale anche la spinta ad opporvisi, che
dove sembra inevitabile la disperazione, trova spazi imprevisti la speranza.
Ecco il coraggio: il coraggio consiste nell’ostinata scelta della direzione contraria a quella che
ci viene impacchettata dalla sorte, nell’opposizione coriacea alla forza di gravità dell’appiattimento, del realismo cupo, dell’apatia.
Il coraggio segue la vita sempre, anche quando farlo sembra inutile. A chi scrive quel biglietto
Etty, durante il trasferimento dal campo di Westerbork al lager polacco? Lo scrive a chiunque
possa raccoglierlo, lo scrive per piantarlo nella vita di chi resterà.
“Abbiamo lasciato il campo cantando” non sono le parole di un addio, è la frase di chi vuol far
presente che non si può arrestare mai il movimento di ascensione dell’uomo.
Non è una questione di eroismo. Al contrario: se notiamo poco coraggio intorno a noi è perché
il coraggio è così sparso nel nostro vivere quotidiano, che spesso non lo riconosciamo.
Il coraggio è quello di chi affronta a viso aperto una malattia sua o di un familiare, di chi ha
perso tutto ma ricomincia, di chi, se vede un’ingiustizia, la denuncia.
È un coraggio che opera forse di più in dimensioni intime che pubbliche, ma che c’è, esiste, tutti
ne possiamo disporre.
La radice etimologica della parola coraggio è ‘cor habeo’ ho cuore. Se ci pensate è proprio il
cuore l’organo che, primo, marca la differenza tra ciò che è inanimato e ciò che è vivo.
Davanti alle analisi più cupe del nostro presente e delle sue crisi, ricordiamoci che abbiamo a
disposizione una risorsa fatta di cuore, per questo capace da sola di ribaltare tutto. Persino la
forza di gravità.
Massimo Orlandi
PRIMAPAGINA
La cartolina trova spazio nell’unica fessura di quel vagone piombato.
Lo percorre all’inverso volando, quasi per salutarlo, poi scivola verso terra finché trova l’appoggio di un prato.
Qualche giorno dopo un contadino la intercetta per caso nella scia di una falce. La spedisce così
al mittente, pensando che l’abbia perduta. Ma Etty Hillesum non potrà rileggerla. Morirà ad
Auschwitz pochi giorni dopo aver affidato al vento quel suo ultimo pensiero: “Abbiamo lasciato
il campo cantando”.
Il coraggio nasce dalla fame
di Luigi Verdi
Non è un dono di natura. Il coraggio nasce dalla vita, dalle prove che offre.
Non è collegato all’eroismo. Il coraggio è una questione di creatività.
Don Abbondio diceva: “Se uno il coraggio
non ce l’ha, non se lo può dare”. Per me
non è così. Il coraggio vero non è quello
degli eroi, perché per me il coraggio vero
nasce dalla fame.
Vi racconto delle due figure che mi hanno insegnato il coraggio: la prima è Giosuè, questo vecchio monaco morto due
anni fa che mi ha insegnato a fare le icone con i metalli. Lui ha avuto il coraggio
di lasciarmi il suo laboratorio antico e tutti
gli arnesi. Si è accorto a 75 anni che gli
venivano i crampi alle mani e ha detto,
“Prendo solo un biro Gigi, ti lascio tutto!”.
Non ho mai trovato uno così grande da
lasciare le cose, prima che le cose lo lascino. Noi sempre appiccicati, finché si
campa, a tutto quello che abbiamo raggiunto. Che meraviglia andare oltre, e
non trattenere sempre tutto per noi.
La seconda persona coraggiosa è il mio
babbo. Lui, 5 figlioli, non aveva un lavoro,
e chiede agli amici un pezzo di terra, fa
un po’ d’orto da coltivare; poi prende un
carretto e va a cercare i cartoni, va a cercare i travi vecchi da rivendere per portare avanti la vita dei suoi figlioli.
Vedete queste due persone non sono
due eroi, sono due persone che semplicemente hanno fame, fame di oltrepassare un fosso.
Mi sono messo a leggere ultimamente il
libro “Carne e sangue”, di Michael Cunningham: parla di una famiglia di greci poveri, che va in America. Il babbo fa
un orto e il bambino di otto anni gli chiede “Babbo, fammi fare un pezzo d’orto
anche a me”. E il babbo gli dà un pezzo
4
di due metri per due di sabbia, e questo
bambino di notte va nel pezzo di campo buono del babbo, prende una zolla di
terra e se la mette in bocca, e la sputa
sul suo pezzo. Vedete dov’è il coraggio
di questo bambino? Non nell’aver chiesto un pezzo di orto, non nell’aver preso
in bocca quelle zolle. Il coraggio vero di
questo bambino è il coraggio della fantasia, quello di pensare che in due metri
per due di sabbia ci può venire un orto,
se ti dai da fare.
Nel Vangelo c’è il coraggio di Zaccheo,
esattore delle tasse, ricco, che desidera vedere Gesù, ma lui è basso. E allora
che fa? Invece di stare a lamentarsi, vede
che c’è un albero e ci sale sopra: usa la
creatività. Quell’albero era un sicomoro,
che in ebraico vuol dire l’albero della pazzia. Lui, esattore delle tasse che tutti conoscevano, non teme di passar da matto
e come un bambino sale su un albero.
Se noi abbiamo un problema o si usa la
creatività o il coraggio. Non c’è un altro
modo.
Vi ricordo che ognuno di noi ha bisogno
di tre sole cose: di un pezzo di pane, di un
po’ d’affetto e di sentirsi a casa da qualche parte; se uno non trova queste tre
cose impazzisce. E allora il coraggio non
è quello degli eroi, è quello della fame.
Coraggiosi sono un babbo e una mamma
che gli è morto un figlio, e la mattina provano a rialzarsi; è come Gesù con Lazzaro, quando con gli amici va e grida “esci
fuori, non sopporto che tu stia lì in quella
tomba, voglio continuare a portare la vita
avanti anche per te”.
Coraggioso è chi non ha lavoro
e se lo inventa. Noi ci siamo accomodati troppo, pensiamo che
tutto ci sia dovuto; il coraggio è
quello di muoversi, non quello di
lamentarsi sempre. Il coraggio
vero è quello di togliere questo
maledetto egocentrismo che ci
ha avvelenato. Si può campare
come si vuole, o con l’egoismo
pieno o con il cuore che si apre
in un altro modo. Il coraggio è
anche quello di scegliere da che
parte vuoi stare.
Per finire, io amo molto il coraggio del pettirosso. A Romena abbiamo un caco, nel giardino. Noi
abbiamo colto i cachi bassi, e
lasciamo sempre quelli in cima,
perché se no d’inverno gli uccellini non sanno dove beccare da
mangiare, e vedi questi pettirossi
sempre lì in cima. Ma quando c’è
la neve e copre tutto, tante volte
ho visto questi pettirossi venire
alla finestrina dove sto io e picchiettare. Bello il pettirosso perché è coraggioso, per fame non
ha paura di niente, apparentemente.
Ma vedete, soprattutto il pettirosso è gioioso, danza, gioca. Michael Ende diceva: “Soltanto chi
esce dal labirinto sarà felice, ma
solo se sarai felice uscirai dal labirinto”.
Solo se esci da una crisi sarai
felice, ma se dentro quella crisi,
quella fatica, non trovi un punto
di gioia, non saprai uscirne. Coraggio, è anche questo. Trovare
la gioia dentro la fatica.
A volte vengono notti
che hanno fretta di partorire,
vengono giorni
che hanno voglia di cambiare.
Questa forma di coraggio
è un’ala che batte,
confusa, tenera,
ma che fiorirà.
Luigi Verdi
5
Quella forza sottile che sostiene la vita
di Pier Luigi Ricci
Dove nasce il coraggio? Come si attiva questa energia che ci permette di alzare
la testa quando invece vorremmo nasconderla? Con quali risorse sa smontare
i nostri castelli di paure e insicurezze?
Il coraggio nasce dall’essere veri. È un’energia
che non si compra ed è naturale nell’essere
umano quando riesce a toccarsi, a sentire il
proprio volto, a buttare via le maschere.
Mi vengono in mente, per esempio, i ragazzi
della Comunità, il Ceis di Arezzo, di cui mi occupo da tanto tempo, mentre cercano di uscire
dalla tossicodipendenza. Per anni hanno vissuto in fuga da se stessi e dalla vita, poi piano
piano rinasce in loro il coraggio. Ma nessuno
glielo ha insegnato!
Ho provato ad osservarli per capire da dove
venisse quella forza sottile, ma determinata
che a volte li porta a stare con le proprie paure
senza abbattersi e ad affrontare con semplicità
situazioni difficili. E sempre ho trovato la stessa
risposta: la sorgente del coraggio è nell’attaccamento a sé. Quando un essere umano impara a volersi bene e si accetta anche dentro
le proprie tristezze e le proprie fragilità non ha
più voglia di scappare o di far finta di niente.
Il coraggio è passione. Se stai con te, il giudizio degli altri ti potrebbe anche interessare,
ma non ha più la forza di distrarti da ciò che
desideri veramente. Tu senti l’insicurezza, ma
non ti va più di avere le stampelle. Senti che
l’ambiente si aspetta da te delle cose e che
assecondarlo ti converrebbe, ma preferisci
decidere diversamente, anche se forse questo
potrebbe non piacere.
Mi sono accorto che a volte le persone quando
parli di coraggio pensano alle grandi occasioni. Ma non funziona così. Nessuno nelle grandi
occasioni riesce ad improvvisare. In quelle rare
circostanze in cui la vita ti potrebbe chiedere
di compiere in solitudine un gesto grande e
significativo, farai ciò che hai sempre fatto.
Ognuno muore con lo stile in cui ha vissuto,
si butta per salvare qualcuno se si è sempre
6
curato degli altri, così come potrebbe arrivare a sparare a qualcuno, se quello è ciò che ha
coltivato nel suo cuore.
Le grandi decisioni sono il frutto dei piccoli gesti di coraggio che puoi compiere ogni giorno.
In fondo poi non c’è differenza se il tuo atto di
coraggio viene espresso in un momento straordinario o se è declinato nelle piccole occasioni quotidiane. È lo stesso movimento, è la
stessa energia che devi mettere in gioco.
La misura del tuo coraggio non è definita da
ciò che stai affrontando, ma dal modo con cui
lo fai. Sta nell’intensità del gesto, nella direzione che gli imponi. Si gioca tutto in una frazione
di secondo. È un atteggiamento significativo e
forte, ma estremamente rapido.
È come girare una chiave ed aprire una porta,
mentre avresti potuta tenerla chiusa.
È dire un sì, o anche un no, invece che far finta
di non aver capito.
Non è vero che la vita cambia anche per uno
solo di questi gesti, perché è ammesso l’errore,
il tornare sui nostri passi, il cambiare idea.
La vita cambia se c’è quel timbro e quella firma su qualcuna delle sue pagine. Cambia se
gli metti dentro l’energia e la vibrazione del
tuo essere, la passione del tuo voler scegliere,
l’autenticità del tuo volto.
Non so se ti arriva cosa ti voglio dire. Se tu ti
accorgessi che in certi periodi non riesci a scegliere e prendi le cose come sono, che il coraggio non ti viene e spesso è la paura che ti
gestisce, fermati. Non hai bisogno di diventare
più bravo o di aumentare l’impegno. O sei di
fronte a cose che non meritano i tuoi atti di coraggio, oppure hai bisogno di ritrovarti. Cerca
te, cerca il tuo cuore ed il tuo volto. Non lasciare che siano le circostanze o gli altri a definirti,
non scendere a compromessi. Il coraggio nasce dall’essere veri.
Immagine di Raffaele Quadri
I ragazzi sentono
il tempo nuovo che viene,
la stagione nuova che viene,
la primavera storica che viene
e fanno come le rondini:
si preparano ad uscire
verso queste frontiere
nuove della storia.
Giorgio La Pira
La libertà del rischio
di Angelo Casati*
Dio non ci vuole pavidi e sottomessi, ma creativi e liberi. Paura è ciò che
mortifica i nostri talenti, coraggio è la disponibilità a metterli in gioco per fare
della propria vita un capolavoro
Leggo da bastian contrario la parabola dei tre
che un giorno si trovarono nelle mani, e quasi non credevano ai loro occhi, una somma di
denaro da capogiro, una cifra smisurata, solo
che si pensi che un talento in quei tempi corrispondeva verosimilmente alla paga di sudore
di anni a anni di dura fatica. E uno di loro di talenti se ne trovò tra le mani cinque, uno tre, il
terzo un talento, e non era poco! Il loro signore era in partenza per un viaggio, consegnava
alla fantasia delle loro mani una parte ingente
dei suoi beni. Era uno che credeva nelle loro
capacità.
Così è Dio. È un generoso, ha fiducia. Non è di
quelli che ti stanno con il fiato sul collo, con
mille controlli, non è della razza sospettosa
dei sorveglianti, lui se ne va, si fida. Vuole che,
se tu ti dai da fare, non sia per occhi di padrone, ma per risposta a una fiducia.
Sappiamo anche che per i primi due quella fiducia fu come spinta, spinta di vento nelle vele
di una barca in rada. Il loro signore al ritorno li
vide arrivare con un lago di gioia negli occhi,
tenevano in mano l’attestato di un aumento,
di un raddoppio dei talenti. E, come fossero
riusciti a tanto, forse non sarebbe stato facile
nemmeno per loro spiegare. Che poi il loro
signore fosse un generoso ne ebbero la riprova appena lo sentirono reagire: non solo non
esigeva il ritorno dei talenti, che anzi li faceva
partecipi della gestione del suo patrimonio. E
non solo del patrimonio, anche della sua gioia. Ognuno dei due se lo sentì dire, le parole
erano queste: “prendi parte alla gioia del tuo
padrone”. Quelle parole cantavano nell’anima.
C’era da stropicciarsi gli occhi. Così fa Dio.
Ma il terzo? Lo videro quello stesso giorno
arrivare senza festa, aveva un lago buio negli
occhi, un buio che teneva il viso, da parte a
parte. Quando prese a parlare si accorse che
le parole gli uscivano come legate e precipitose insieme, aspre, aspre come il cuore che gli
martellava dentro, disse: “Signore, so che sei
un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto
paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra. Ecco ciò che è tuo!”.
Ho letto la parabola e ti confesso che mi sono
fermato qui, come ci fosse un inciampo, un inciampo di dolore. Quasi non mi interessasse,
più di tanto, proseguire. Erano parole che rovesciavano impudenti l’immagine, quella del
signore della parabola e quella di Dio. E tu ci rimani male, male da morire quando rovesciata
è la tua immagine, con un’accusa di durezza.
Dio uomo duro?
Ma a fermarmi nella lettura, ti dirò, anche le
parole a seguire: «Ho avuto paura, sono andato a nascondere sotto terra… ». Mi riportavano d’istinto ad altre parole, quelle delle origini, quelle di Adamo di risposta a Dio quando
lui e la sua donna udirono il rumore dei passi
del Signore Dio che passeggiava nel giardino
alla brezza del giorno: «Ho udito la tua voce nel
giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e
mi sono nascosto» (Gn 3, 8). Sorprendenti assonanze. «Ho avuto paura e mi sono nascosto».
«Ho avuto paura e sono andato a nascondere
il tuo talento sotto terra».
La paura che ci fa nascondere, la paura che fa
nascondere i talenti! La paura fa nascondere,
*Il testo è parte della riflessione tenuta da Angelo Casati in autunno, durante l’incontro del gruppo “Romena a Milano”
8
sotterra, la nostra intelligenza. Quasi fosse attentato all’umiltà o arroganza dello spirito il
pensare con la propria testa.
La paura fa nascondere, sotterra il nostro talento. Siamo stati educati più a imitare che a
inventare. A osare noi stessi, in un modello
inedito.
E in questo senso vorrei dire, spero non scandalizzando nessuno, che a noi non tocca imitare i santi. Nessuno! Non si tratta di copiare.
Perché Dio è fantasia e non ama le fotocopie.
Non lasciarti dunque intimidire da modelli di santità di altri, a volte, poco
saggiamente, ingenuamente, gonfiati. Tu non sei
fotocopia. È tuo il capolavoro, e lo dico sottraendo
la parola “capolavoro” a
qualsiasi ombra di presunzione. Lasciati modellare
come argilla dalle mani
di Dio, dalla luce delle beatitudini, lasciale spirare
dentro di te. Poco importa, a te non interessa, se
non sarai mai celebrato
sugli altari, se non sarai
proclamato beato dagli
uomini. Ti sentirai felice tu
di aver vissuto la vita che
ti era stata donata, di aver
tenuto con passione il tuo
posto, di aver dato quello
che era nella tua misura, di
essere stato nascosto nella folla di quelli che
sul monte ascoltavano le parole nuove del
Maestro. Con il desiderio in cuore di dare loro
forma nella vita. Per la felicità tua, per la felicità e il bene di questa terra. In attesa fiduciosa
dell’altra terra, quella a venire.
Mettere dunque in azione la nostra creatività,
e nello stesso tempo sostenere la creatività
degli altri. Come? Regalando fiducia. Mi chiedo se, anziché allungare la serie delle lamentazioni sulla nequizia dei tempi, non potremmo
riconoscere in questa nuova situazione quasi
una opportunità per il nostro essere credenti:
sbenda la tua intelligenza! Qualcuno forse ricorderà come in un tempo di spada, di fame
e di peste, in un tempo di desolazione e di
assedio il profeta Geremia (Ger. 32) si sentì
rivolgere da Dio una parola che lo invitava
paradossalmente a comprare campi e case.
Proprio quando le macchine d’assedio avevano raggiunto la città per occuparla.
Ricordo l’emozione patita ritrovando l’immagine in una lettera scritta da Dietrich Bonhoeffer dal carcere militare di
Tegel-Berlino, il 12 agosto
1943. Il 9 aprile 1945, su
ordine di Hitler, sarebbe
stato giustiziato. La lettera è indirizzata a Maria
von Wedemeyer, una ragazza diciannovenne che
Dietrich, teologo e pastore della chiesa confessante tedesca, aveva da poco
fidanzata:
“Se poi penso alla situazione del mondo, alla totale
oscurità che avvolge il nostro destino personale e
alla mia attuale prigionia,
credo che la nostra unione – se non è stata una
leggerezza e sicuramente
non lo è stata – può essere soltanto un segno della
grazia e della bontà di Dio,
che ci chiama alla fede. Saremmo ciechi se non lo vedessimo. Geremia,
nel grave bisogno del suo popolo, dice che “in
questo paese si devono ancora comprare case
e campi”, come segno della fiducia del futuro.
Per far questo ci vuole fede; che Dio ce la doni
ogni giorno. Non intendo la fede che fugge
dal mondo, ma quella che resiste nel mondo e
ama e resta fedele alla terra malgrado tutte le
tribolazioni che essa ci procura. Il nostro matrimonio deve essere un sì alla terra di Dio, deve
rafforzare in noi il coraggio di operare e di
creare qualcosa sulla terra. Temo che i cristiani
che osano stare sulla terra con un piede solo,
saranno con un piede solo anche in cielo…”.
9
“La speranza bisogna conquistarsela”
Conversazione con don Giacomo Panizza
Da trent’anni in Calabria, dove ha fondato una comunità formata in gran parte
da persone disabili, don Giacomo ci racconta il coraggio ‘normale’ di chi vive
ogni giorno la piccola grande speranza di conquistare un pezzetto di dignità.
Come è cominciato il tuo cammino nel sud
d’Italia?
“Sono nato a Brescia e ho lavorato fin da
quando ero un ragazzino in una fabbrica. e
lì ho imparato la parola “speranza”, che allora
chiamavo “giustizia”: lottare e scioperare per
un mondo migliore, più giusto e più umano,
porta in sé infatti la luce della speranza.
A ventitré anni ho scelto di farmi prete e poi
sono arrivato in Calabria. e con
30 persone, molte disabili, ho
messo su una comunità autogestita.
Che obiettivi ti sei dato?
Ho cercato di lavorare insieme a
loro per scoprire il valore della
parola speranza. Solo così, muovendosi in relazione, dal basso, le
persone capiscono che sono proprio loro ad ottenere le cose, a
farle cambiare, che non c’è qualcun altro che te le regala. Perchè
la speranza, bisogna prendersela, bisogna conquistarsela.
Per poter realizzare un sogno, quello di dare
una casa e una dignità ai disabili, hai messo
in gioco la tua vita: come hai fatto a non aver
paura?
Io non sono un eroe, io faccio finta di non aver
paura, ma ho paura, eccome! Recitare, facendo finta di non aver paura quando c’è qualcuno che mi vuole uccidere, ecco, io questo lo
so fare. Ci sono dei metodi di sopravvivenza
che vanno imparati, perché la posta in gioco
è grande e le scommesse sono meravigliose.
Lamezia Terme, settantamila abitanti e una
10
lista di beni confiscati alla mafia che nessuna
giunta attribuiva mai, per paura dei mafiosi.
L’idea è venuta a quella gente in carrozzina: i
disabili mi dicono “Se tu ci sei, noi ci stiamo a
prendere le case confiscate, così facciamo un
regalo alla nostra gente e diamo meno paura
alla città”. Si può rischiare qualcosa per “dare
meno paura alla città”, no? Ecco da dove è nato
tutto, da un gruppo sgangherato di gente che
ha in mente cosa è la dignità ed è consapevole
che nella dignità e nella sua bellezza ci può star dentro anche la
paura. A questo punto, la paura
me la tengo, anzi, ce la teniamo.
Che cosa hai imparato, in questo contesto, sul coraggio e sulla
paura?
Ho capito che la paura è meglio
viverla. Non importa se la speranza è impastata alla paura,
perchè siamo davvero noi stessi
solo quando la paura e la speranza ce le viviamo.
Come puoi sintetizzare questi 30 anni di impegno al sud?
Con le parole di Emma, una disabile che ha
iniziato con noi la prima comunità: “Prima
di essere una disabile – ha detto – sono una
persona che ha diritti e doveri e che quindi
ha anche una responsabilità rispetto al suo
territorio, territorio con una grossa piaga, la
‘ndrangheta; e io non ci sto bene, soffoco.
Posso accettare la disabilità perchè è un fatto
naturale, ma non posso accettare la sofferenza
provocata dall’uomo. E questo è il motivo del
mio impegno”.
Il grande coraggio
lo si ottiene
con un continuo ricominciare.
Infatti coraggio è aver paura,
ma andare avanti lo stesso.
Foto Paolo Dalle Nogare
René Bazin
11
Il punto di innesto delle ali
di Maria Teresa Abignente
Quando si impara a volare nella vita? La storia di Carlotta Nobile ci parla di
questo. È la storia di chi, affrontando una terribile malattia, ha scoperto che
le ali per volare stavano spuntando proprio nei solchi delle sue cicatrici…
I bambini lo capiscono istintivamente, loro lo
sanno che per riuscire a non aver paura devono farci amicizia, con la paura. E li vedi giocare con risatine nervose ed eccitate, li senti discorrere tra loro con voci concitate, guardi nei
loro occhi il tremore e la voglia di addentrarsi
ancora un po’ più oltre. I bambini l’hanno capito che per trovare il coraggio di affrontare le
loro paure le devono corteggiare e misurare. E misurarsi
con esse.
Noi adulti perdiamo con gli
anni questo istinto, e le nostre paure si trasformano in
nemici da sconfiggere invece
che in amici da capire; assumono le orrende forme di
draghi e mostri da scacciare
e respingere, in ogni modo.
Eppure diceva Rilke che i draghi stanno sempre a guardia
di meravigliosi tesori…
Carlotta tutto questo lo
aveva intuito e di fronte alla
paura più grande e terribile ha fatto come il
bambino curioso e tremante: ha guardato negli occhi la sua paura.
“Dunque ne parlo, ne parlo con chiunque mi
chieda di farlo, con chiunque sappia ascoltarmi anche solo per qualche istante. Ne parlo
perché voglio che queste cicatrici diventino la
mia forza, i trofei della mia vittoria, perché fin
dal primo istante ho capito che tutto in me sarebbe stato diverso dopo quella diagnosi, che
ogni cosa avrebbe acquisito una forma altra,
mai più incastrabile in quella che da sempre
avevo stabilito per me stessa.
Ne parlo perché so che l’unico modo per con-
12
vivere con questo peso è portarlo sulle spalle
come fosse un premio, un trofeo, un vanto, da
mostrare a testa alta senza paura di esserne
schiacciata o svilita o indebolita. Perché confido che anche questo dolore possa convertirsi
in energia, in forza, in passione e determinazione e diventare infine il mio più grande orgoglio, il mio più grande successo.
Ne parlo perché è la mia vita,
che in questa veste mi sembra ancora più meravigliosa.
Ne parlo perché sento che
siamo tutti uniti in un abbraccio.”
Carlotta, Carlotta Nobile:
forse qualcuno nell’estate
scorsa avrà sentito per radio o alla tv la notizia della
sua morte, perchè Carlotta
era una violinista affermata ed era Direttore Artistico
dell’Accademia di Santa Sofia. Perchè Carlotta aveva
scritto due libri ed era anche una appassionata di arte figurativa. Perchè Carlotta aveva
ventiquattro anni e da quando aveva saputo
di essere gravemente ammalata di cancro
aveva affidato ad un blog le sue riflessioni e le
sue domande. E le sue paure. Ma su quel blog
ciò che vince non è il terrore, non è lo sterile
lamento vittimistico, non è il vuoto autocompiangersi, ma la forza coraggiosa e lo slancio
temerario di chi sa che forse la sua battaglia
la perderà. Ma in quella battaglia e grazie ad
essa trova il sapore nuovo della sua vita.
“Eccomi qui, sospesa fra ciò che è facile e ciò
che è impossibile. E comunque sempre più
sedotta dall’impossibile che dal facile.
Sono come un fiume che per immettersi nel
mare sceglie sempre la strada più tortuosa, la
più lunga. La più difficile.
Forse perchè, in fondo, credo che vincere con
facilità sia come perdere.
E che perdere dinnanzi all’impossibile sia
come aver vinto. Per il solo fatto di averci provato…
Eccomi qui. Pronta a sprofondare pur di non
restare in superficie.
Pur di scoprire cosa c’è. Oltre.”
Fino in fondo, sugli scogli più scivolosi e aspri
Carlotta ha danzato la sua vita, accompagnata
dalle note del suo violino, ma anche dalle sue
cicatrici. “Non so più neanche quanti centimetri di cicatrici chirurgiche ho. Ma li amo tutti,
uno per uno, ogni centimetro di pelle incisa
che non sarà mai più risanata. Sono questi i
punti d’innesto delle mie ali.”
Sarebbe bello che anche noi trovassimo, nelle
paure nelle quali affoghiamo, il coraggio di un
battito d’ala, lo slancio per lasciarci trasportare un po’ più in alto, un po’ più liberi, in un
cielo reso più pulito dalla nostra lotta e anche
dalle nostre lacrime.
I bambini lo sanno bene, lo sentono a fior di
pelle che quel coraggio poi li farà crescere,
che quel brivido li prende per mano e li conduce più lontano. Oltre la paura.
Questa è Carlotta, un fiume assetato di acqua,
un desiderio costantemente vivo di non lasciarsi fermare, di trovare nella sua vita gli accordi giusti. Come sulla tastiera di un violino.
Poco importa allora se quella battaglia è stata
apparentemente persa in una notte di luglio:
i bambini lo sanno che sfidando le paure
possono anche piangere, ma resta in loro
l’ebbrezza di un coraggio che hanno sentito
possibile.
Carlotta ha trovato il suo meraviglioso tesoro:
il drago è diventato un cucciolo amico, o uno
strumento sul quale suonare un’altra e nuova
melodia. Il drago è stato addomesticato con
uno stratagemma che Carlotta ci trasmette
con la leggerezza di una nota che risuona nel
vento: “L’amore intorno e la disciplina dentro.
Solo così possiamo lottare. Solo così possiamo
vincere.”
Solo così dalle nostre paure possono spuntare
un paio di piccole ali.
Il suo blog si intitolava Il cancro…E poi.
Carlotta ha rischiato tutto il suo coraggio su
quell’e poi, su quel che ancora non si vede,
ma si avverte nella sua pura essenza. Un distillato di vita.
“E capisci che la vita non ti è mai sembrata
così straordinariamente meravigliosa, unica, imprevedibile, brillante, preziosa, piena,
ricca, che il tuo respiro non è mai stato così
consapevole, che ogni più piccola emozione
non ha mai avuto in te una tale grandissima
risonanza. E capisci che se davvero serviva
tutto questo per guarire nell’anima, allora le
tribolazioni del corpo saresti disposta a viverle altre mille volte!”
13
La rivoluzione
di Papa Francesco
Conversazione con Raffaele Luise*
Non è solo un cambiamento di stile. Papa Francesco sta cambiando la
chiesa dal di dentro. Una prova di amore, di fede. E anche di coraggio.
Papa Francesco e il coraggio. Cosa ti suggerisce questo accostamento?
Qual è stata la sua azione più coraggiosa
in questo primo anno?
Mi viene in mente un’immagine-simbolo, una foto scattata a Lampedusa che
lo ritrae come il condottiero di una barca che ha un timone fatto dai resti delle
barche degli ultimi. Francesco è così, un
condottiero il cui coraggio è enorme, è
il coraggio di rendere concreta la rivoluzione cristiana che consiste nel rimettere Cristo al centro, e di avere i poveri
come riferimento.
Il coraggio del papa è il coraggio del
concilio che finalmente trova una realizzazione. “La chiesa deve imparare
dal mondo” dice il papa, è una chiesa
aperta al mondo, a partire dalle sue periferie.
La prima apparizione è stata un po’ il
big bang del suo pontificato. Quella sera, va detto, è stata preparata dal
grandissimo atto di Papa Benedetto,
la cui rinuncia ha innescato dentro la
chiesa un dinamismo che Francesco ha
saputo subito far fiorire.
14
E così è stato possibile quel 13 marzo:
ricorderete il momento in cui il nuovo
Papa è apparso sulla loggia delle Benedizioni senza alcun orpello, e si è inchinato non solo alla piazza, ma al mondo, e
ha chiesto di essere benedetto: un gesto
geniale nel quale si è subito capita l’apertura immensa di questo Papa, la gran-
dezza e la profondità del suo percorso,
volto a far fiorire l’amore cristiano.
In cosa hai trovato il segnale di discontinuità più forte rispetto al passato?
Il segno più evidente e concreto è l’aver
rifiutato i palazzi apostolici. La sua casa è
in un albergo, Santa Marta, dove, come
in tutti gli alberghi si è ospiti, si hanno
due stanze e si condividono piani con gli
altri, dove si mangia con gli altri al selfservice; è una scelta emblematica: non
più la chiesa autoreferenziale che sta sul
monte, ma la chiesa che sta in mezzo alla
gente.
Francesco non è solo il Papa dei gesti,
o il papa della parola, è il papa che crea
eventi in cui gesto e parole si mettono in
comunicazione con noi, ci fanno partecipi. In fondo, lo dico con un po’ di timore,
ma è come faceva Gesù.
Tu lo segui costantemente per lavoro.
Come cristiano, come credente, quali
sono stati i momenti che ti hanno toccato di più?
Ne scelgo due, uno più pubblico, uno più
privato.
Per il primo aspetto la visita a Lampedusa. Quella è l’icona più grande di Papa
Francesco. Lui ha scelto di andare di
persona, praticamente da solo. È andato
per stare lì e incontrare quelle persone
sofferenti, e indicare alla politica, alle istituzioni, al cuore delle persone che se le
nostre vite non si convertono e trovano
una maniera di interagire con tutti i fratelli e le sorelle, a partire dagli ultimi, si
rischia di vivere in una bolla di sapone,
‘anestetizzati’ dalla vita. Mi ha trafitto
come credente, come uomo, questo suo
abbraccio diretto, questo messaggio fatto esplodere a Lampedusa, nel cuore del
dramma.
Il secondo episodio che mi ha profondamente toccato è stato quando ho accompagnato Arturo Paoli dal Papa. Arturo e
Papa Francesco si conoscevano: Arturo
era stato 14 anni missionario in Argentina, allora era già un teologo della liberazione ante litteram, perciò entrambi
avevano condiviso dai loro inizi la scelta
dei poveri. Alla fine del colloquio privato,
quando li ho raggiunti, Arturo, 101 anni e
un’immensa passione, salutandolo gli ha
detto “Santità, non ceda alla corte. Continui a girare con questo abito bianco, senza orpelli. Cosa c’è di più bello di questo
bianco?” E il Papa si è chinato su Arturo
con quella dolcezza semplice e gli ha risposto: “Sì, Arturo”, e lo ha abbracciato
baciandolo in testa tra i capelli come si
fa con i bambini.
È recentemente uscito un tuo libro dedicato alla primavera della chiesa di Papa
Francesco. Qual è il concetto di fondo
che hai voluto esprimere?
Con il libro ho voluto testimoniare la
grande rivoluzione spirituale e culturale
che stiamo vivendo. Questa non è semplicemente una riforma della chiesa, ma
un ritorno ai fondamenti vivi del cristianesimo. Non a caso Francesco è un gesuita che si è fatto francescano altrimenti
non ci sarebbe stato respiro possibile per
quest’impresa visionaria e anche un po’
pazzesca.
Francesco ci fa vedere il Vangelo: questa
è la rivoluzione che stiamo vivendo.
*Raffaele Luise è giornalista vaticanista del giornale Radio Rai. Nel suo ultimo
libro “Con le periferie nel cuore” racconta la nuova era della Chiesa di Francesco: il libro contiene anche un’intervista sul Papa al nostro don Luigi Verdi.
15
16
Immagine di Raffaele Quadri
Viandante
il sentiero
non è altro che le orme
dei tuoi passi.
Viandante non c’è sentiero.
Il sentiero si apre
camminando.
Antonio Machado
17
Come un girasole
di Massimo Orlandi
Simona è nata senza braccia. Ma si muove e danza leggera e libera come una
farfalla. Il suo coraggio è figlio di uno sguardo: lo sguardo di chi non ha voluto
cedere alle ombre, ma anche in mezzo alla tormenta, ha sempre cercato la
luce. Proprio come fa il suo fiore preferito…
“Quando ballo sento di sparire” dice il protagonista del film Billy Elliott. Simona Atzori
no: lei quando balla sente di esserci, con tutta se stessa. È un incanto degli occhi vederla
sprigionare tutta quella bellezza nei movimenti, nei salti, in quell’intarsio di traiettorie
che ti fanno subito dimenticare l’inciampo del limite. È così
armonica che le sue gambe
e i suoi piedi sembrano aver
totalmente sostituito gli arti
mancanti: aveva ragione quel
bambino di 7 anni che un
giorno le ha detto: “Simona
ha semplicemente le mani più
in basso”.
La serata in cui la incontro è
un incrocio di arte e di parole.
Quando arriva l’ora delle parole siamo ancora nel fiume di
emozioni della danza. Così la
prima domanda Simona se la
fa da sola.
“Come fai a danzare senza le braccia?” Mi
chiedono spesso. Io non lo so come faccio,
un po’ come il calabrone che non dovrebbe
volare secondo le leggi della fisica, ma lui
non le conosce e vola lo stesso. Se danzo è
per istinto, per la volontà, per l’amore, ingredienti che ci permettono di fare delle cose
che pensi non riuscirai a fare o che gli altri
giudicano impossibili.
Hai scritto che spesso i limiti non sono
reali, ma che sono solo negli occhi di chi
ci guarda. Come reagisci quando ti senti
guardata solo per il tuo handicap?
Sorrido. Ho trovato questo modo di difendermi. Il sorriso è l’ arma più bella che io
18
possa avere scoperto della mia vita perché
penso che se qualcuno, mentre mi guarda,
pensa di me che sono poverina e che la mia
vita sia difficile, e io di risposta sorrido, bene,
forse questa persona potrà magari farsi delle domande. Se nasce il germe del dubbio,
allora è possibile fare un passo
in più, conoscerci.
Nel tuo percorso di vita sei
stata sorretta anche dalla
fede?
Il mio percorso è sempre stato
nella fede, ma c’è stato un momento speciale in cui questa
fede è sbocciata. È stato nel
2000 per il Giubileo: mentre
danzavo in una chiesa meravigliosa a Roma, davanti a tanti
giovani, mi sono resa conto
che con la mia danza stavo
pregando. La danza era il mio
modo di pregare e di dire grazie al Signore, grazie per avermi dato la vita e di avermela data in questo
modo, con queste mani-piedi, grazie per
avermi fatto incontrare i miei genitori. Noi ci
siamo scelti, senza di loro non sarei assolutamente quella che sono e non li ringrazierò
mai abbastanza.
A proposito dei tuoi genitori, tu dici che
non ti hanno accettato, ma accolto. Qual
è la differenza?
La mia mamma mi raccontava sempre che
mi hanno scelta due volte: mi hanno scelta
nel momento in cui hanno deciso di avere
un altro figlio, e mi hanno scelta una seconda volta nel momento in cui io sono nata.
Mi hanno scelta, non solo accettata, con la
consapevolezza dell’accoglienza, dell’amore
che passa attraverso l’ amore. I miei genitori mi ha sempre fatto sentire che ero io che
dovevo arrivare, che ero io che loro stavano
aspettando anche se non lo sapevano.
Quando hai cominciato a ballare?
A sei anni, ma già a tre scalpitavo. Mi piaceva
così tanto che sono stata da subito una allieva molto seria, molto disciplinata: quando si
andava alla sbarra, per esempio, io dovevo
imparare a fare tutti gli esercizi senza potermi appoggiare. Il mio equilibrio l’ho sicuramente sviluppato in questo modo.
C’è stato un periodo durissimo della tua
vita, nel quale oltre alle protesi che stavi
sperimentando (per poi abbandonarle
in seguito), portavi anche il busto perchè
c’erano grossi rischi per il tuo sviluppo…
Cosa ti è rimasto di quella fase?
È stato uno dei periodi più difficili della mia
vita anche perché ero una ragazzina quindi era come se tutto mi crollasse in testa.
All’epoca avevo anche l’apparecchio per i
denti, sembravo un robot.
Allora però ho sperimentato una cosa importante: quando siamo dentro un tunnel
buio e lungo, se teniamo chiusi gli occhi
non possiamo vedere la luce quando arriva;
dentro quel tunnel la cosa che mi ripetevo
sempre era di non chiudere mai gli occhi e
andare avanti sempre con gli occhi aperti
perchè quando la luce sarebbe arrivata, sarebbe stata la prima cosa che avrei visto e lì
avrei capito che il tunnel era finito.
Qual è l’immagine che più ti rappresenta?
È legata a un episodio. Un giorno mi sono
affacciata dal mio balcone di casa e c’era
dell’ erba che spuntava tra il cemento .
Lo volevamo togliere e la mamma disse: “no
è un girasole”. L’ abbiamo guardata come
se avesse detto una cosa stranissima. Dopo
qualche tempo in realtà da lì è spuntato
davvero un girasole. È spuntato tra le mattonelle del cortile quindi un posto dove i
fiori non nascono e aveva messo la sua testa
cercando il sole perché il girasole va verso il
sole. Allora io mi sono sentita un po’ come
quel girasole che è nato un po’ così nella
difficoltà, ma che guardando sempre il sole,
cercando sempre il sorriso, cercando sempre la vita, va anche oltre le difficoltà che ci
sono, per cercare sempre il sole. Il girasole
mi ricorda sempre che è davvero bello credere nella vita.
Simona Atzori è una ballerina di fama internazionale e
una pittrice di successo. È stata ambasciatrice per la danza nel Giubileo del 2000 e protagonista della cerimonia di
apertura delle Paraolimpiadi di Torino nel 2006. Nel 2011 è
uscito il suo primo libro “Cosa ti manca per essere felice?”
(Mondadori). L’intervista completa a Simona Atzori apparirà nel libro “A regola d’arte” in uscita a maggio per le
Edizioni Romena.
19
La storia ha bisogno di noi
di Luigi Ciotti*
A conclusione di queste riflessioni sul coraggio, raccogliamo gli inviti di un uomo
che si è affidato al vento della vita per propagare ovunque fosse possibile segni
di giustizia, di amore, di libertà.
La rabbia e il coraggio
Sant’Agostino diceva che la speranza ha due
bei figli: la rabbia e il coraggio. La rabbia nel
vedere come vanno le cose, il coraggio di vedere come potrebbero andare.
Dobbiamo animare la speranza di rabbia e
di coraggio. Una rabbia sana, sia ben chiaro. La rabbia per me è un atto d’amore: ci si
arrabbia per le cose che ci stanno a cuore,
ci si arrabbia quando ci si sente impotenti
di fronte a certe ingiustizie, all’arroganza,
alla sopraffazione. Ma accanto alla rabbia,
per Sant’Agostino c’è anche il secondo figlio
della speranza, il coraggio. Coraggio deriva
da “cor habeo”, ho cuore. Avere coraggio significa avere cuore. Abbiamo bisogno oggi
di mettere più cuore, amici, di più! La prima
prova di coraggio è quindi guardare dentro
la propria coscienza, ribellandosi all’impotenza. Il Padreterno ci chiede di graffiare ancora di più la realtà perché le situazioni d’impoverimento, di sofferenza, di fatica intorno
a noi impongono uno scatto delle coscienze.
Il cambiamento, per potersi realizzare, ha
bisogno di un “di più” da parte di ciascuno
di noi.
Ho un sogno
Ho un sogno. Sogno che un giorno il volontariato diventi superfluo. La solidarietà
non può essere la virtù di qualcuno, non
può essere l’eccezione. Deve essere la regola di tutti. Nessuno può considerarsi un
vero cittadino se non si guarda attorno e se
non comincia a risolvere i piccoli problemi
che man mano gli si presentano. E nessuno
può considerarsi un vero cristiano se non è
solidale. Il cittadino è tale se è volontario: è
troppo comodo considerare il volontariato
come un’eccezione. Com’è ovvio, resta necessario mantenere delle forme organizzate
di solidarietà, in modo da poter affrontare le
questioni in maniera più efficace, ma il vero
obiettivo è quello di lavorare tutti assieme
in modo da migliorare il proprio quartiere, la
propria scuola e le condizioni di vita di coloro che ci circondano. Il volontariato non deve
essere confuso con l’impegno sociale in specifici settori. Il vero volontariato è dono, gratuità, spontaneità, passione, messa in gioco.
Dovrebbe essere prerogativa di tutti.
Non dobbiamo fermarci
“Se dovrai attraversare le acque sarò con te, i
fiumi non ti sommergeranno” dice un passo
del libro di Isaia” (XLIII,2). É un versetto che
ci conforta, ma non impedisce di sentirci, in
certi momenti, smarriti, in crisi, pieni di dubbi, di insicurezze. Questi momenti di sfiducia esistono per tutti. Spesso mi chiedo se i
18 anni di attività con Libera sono serviti, se
sono serviti i 48 anni di Gruppo Abele. Ma
se è vero che ci sono problemi che sembrano insuperabili, se è vero che ci sono tante
sofferenze che non siamo riusciti a evitare, è
anche vero che quei servizi, quelle comunità, quelle associazioni hanno aiutato molte
persone a essere meno schiacciate, più libere. Allora, anche se l’orizzonte di una mèta ci
appare lontano, anche se a volte è naturale
sentirsi scoraggiati, non dobbiamo fermarci.
La storia ha bisogno di noi. Nella storia c’è
una pagina bianca che siamo chiamati a scrivere. È nostra, ci è affidata. È Dio che ci dice:
“Scrivila tu”.
* Questi testi del fondatore del gruppo Abele e di Libera sono estratti dal libro “Il morso del più - Incontri con Luigi
Ciotti” di Massimo Orlandi (Edizioni Romena 2013)
20
foto Alexandra Calandrin
Si muore
per troppa prudenza.
Bisogna osare.
Luigi Ciotti
21
Quindici anni di calore e fantasia
Dal 1999 la Compagnia delle arti di Romena ha in corso una tournée speciale: porta in
giro per la Toscana e oltre il sorriso della festa e i colori della creatività. E lo fa dove ce
n’è più bisogno: nelle case di riposo, negli ospedali, nei centri per diversamente abili.
Cadevano rari fiocchi di neve, figli del gelo,
in quel pomeriggio d’inverno a Colfiorito.
Ma nel grande container che ospitava tutto,
dalle riunioni alle messe, erano rari anche i
bambini che erano accorsi per lo spettacolo
della Compagnia delle arti di Romena.
Eppure non c’era molto altro da fare in quel
luogo battuto dal vento e dalla sventura del
terremoto. Lo spettacolo si fece lo stesso per
una ventina di bimbi e per i loro genitori, e
fu comunque bellissimo, intenso, pieno di
calore.
Qualche tempo dopo, il parroco del paese
umbro scrisse alla Compagnia una breve
lettera riassumibile in poche parole: “Dal
vostro spettacolo, quel pomeriggio, abbiamo
ricominciato a essere una comunità”.
Il terremoto non solo aveva dissestato la
terra, ma anche le relazioni umane, piegate
dai disagi dai mesi duri vissuti nei container.
Quel giorno la Compagnia aveva riacceso
un lume. Non solo si potevano ricostruire le
22 22
case abbattute, ma anche ripristinare il valore smarrito dello stare insieme.
Di piccole e grandi storie come questa è intessuto l’ordito della Compagnia delle arti di
Romena.
Anche per questo è bello augurarle buon
compleanno, in occasione della sua quindicesima candelina.
È dalla primavera del 1999, infatti, che il
gruppo porta i suoi spettacoli e le sue animazioni in giro per la Toscana e, come abbiamo visto, anche oltre. Ed è Romena il
luogo dove tutto è iniziato.
In realtà l’onda di creatività e di calore che
negli anni la Compagnia ha cercato di portare nei luoghi dove ce n’è più bisogno (case
di riposo, centri per diversamente abili,
ospedali) esisteva già prima. Era però un’onda che scaricava i suoi benefici effetti in una
sera soltanto, la domenica di Pasqua.
Lo spettacolo della fraternità che andava in
scena al teatro Antei di Pratovecchio, proponeva un estroso mix di canzoni, sketch, balletti nei quali si mettevano in gioco tantissimi di coloro che erano passati per Romena.
Quel momento di festa zampillante, che si
ripeteva tradizionalmente ogni anno aveva
però fatto nascere alcune domande: perché
solo a Pasqua? E perchè solo qui?
Così era nata l’idea di riprodurre quell’atmosfera colorata anche in altri momenti e,
soprattutto, di portarla laddove ce ne fosse davvero necessità. E tutto questo sarebbe stato fatto nella più assoluta gratuità: la
Compagnia si sarebbe presentata in questi
luoghi ‘speciali’ con i colori del sorriso e la
libertà di non dipendere o far dipendere
da alcun compenso.
Il piccolo sogno costruito allora, pur nel
variare delle persone, dei tempi, delle
condizioni è andato
avanti rispettando
quello spirito: andare
non per portare uno
spettacolo, ma utilizzare lo spettacolo
come momento d’incontro, di conoscenza, di condivisione.
Così per ogni pubblico, la Compagnia delle arti ha inventato una modalità artistica
appropriata: negli anziani ha risvegliato i
ricordi riproponendo le canzoni, i balletti,
gli sketch di quando loro erano giovani, nei
bambini ha toccato le corde del gioco, ispirandosi ai loro personaggi preferiti, e utilizzando i burattini. E così in quindici anni sono
stati realizzati quasi 300 tra spettacoli, incontri, animazioni, tutti diversi ma uniti dallo stesso obiettivo: “portare un sorriso dove
ce n’è più bisogno”. “Non ci è mai interessato
perfezionarci dal punto di vista artistico – dicono i ragazzi della Compagnia – piuttosto ci
preme migliorarci invece nello stare insieme
tra di noi e con le persone a cui rivolgiamo i
nostri spettacoli”.
È un’esperienza unica trascorrere una giornata insieme alla Compagnia. Lo spettacolo
non è che espressione di uno stare insieme
corale la cui finalità è che chi si esibisce si
faccia tutt’uno con chi gli è davanti. Si crea
così in poche ore un’intimità speciale: nelle
case di riposo, dove gli anziani si sentono
spesso ai margini della loro vita e del mondo, è come se arrivassero tutti insieme figli
e nipotini: c’è tanta voglia di parlare, di tenersi per mano, di raccontare i propri stati
d’animo. E così accade con i ragazzi diversamente abili che
negli spettacoli della
compagnia diventano parte attiva dello
spettacolo.
Non si può raccontare quanta bellezza di
umanità nasca dalla
scintilla creativa di
questi incontri.
Si può solo viverla.
Anzi, forse è proprio
questo il modo migliore per festeggiare
i 15 anni della Compagnia: vedere quello
che fa, dove lo fa, e magari sentire la voglia
di mettersi in gioco. “La nostra porta è aperta, anzi spalancata per accogliere chiunque
voglia fare un pezzo di strada con noi. Non serve saper fare nulla – ci tengono a dire – conta
solo la voglia di stare insieme e di andare verso
gli altri”.
Buon cammino, allora, Compagnia delle arti
di Romena, piccolo germoglio di creatività che sa illuminare di gioia luoghi troppo
spesso in ombra.
E buon cammino a voi, amici, messaggeri di
una fantasia semplice. Che tocca il cuore.
L’associazione onlus Compagnia delle arti di Romena si riunisce a Firenze ogni martedì sera dalle 21.30
presso il Kantiere, in via del Cavallaccio 1/Q (zona Isolotto).
Questi i recapiti: E-mail: [email protected] Telefono: 380-5118607,
sito internet: www.lacompagniadellearti.org
23
La domenica delle famiglie
È la novità più rilevante nel nuovo calendario della Fraternità: da quest’anno
una domenica al mese Romena dedicherà una attenzione speciale alle famiglie
con un percorso di incontri, di condivisione e uno spazio ad hoc per i bambini…
Arrivano sempre più numerosi i bambini a
Romena: li vedi nei prati correre e giocare,
li senti ridere e chiacchierare e guardare curiosi questi spazi che ai loro occhi devono
sembrare infiniti. Li vedi teneramente abbracciati ai loro genitori, sostenuti nei loro
passi, guidati nelle loro scoperte, a volte
sgridati…
Oppure vedi vagare lo sguardo assorto di un
adolescente, in quella faticosa età in cui tutto si stravolge e ogni cosa può diventare una
ferita o una vittoria…e i genitori a inseguire,
a cercare di interpretare quello sguardo, con
la paura lancinante di non capire.
Li vedi innamorati, pronti a spiccare il volo,
con il bagaglio tutto pronto… e leggi nel
cuore delle mamme e dei papà la fatica di
lasciarli andare.
Insomma, famiglie…
A loro quest’anno abbiamo voluto dedicare
una serie di incontri mensili, per tentare di
capire insieme le mille piccole insidie che
possono ostacolare il nostro cammino di fa-
24
miglia; per cercare le tante risorse alle quali
possiamo attingere nei momenti di crisi; per
riscoprire i compiti, a volte difficili e verso i
quali ci sentiamo impreparati, che siamo
chiamati a svolgere.
Gli incontri saranno coordinati da un’amica
di Romena, la dott. Stefania Ermini; ci ritroveremo ogni mese nei nuovi spazi della Fraternità, seguendo le tracce di un percorso
che cerca di abbracciare gran parte della
dimensione familiare. I bambini avranno un
loro spazio e una adeguata animazione e
questo ci permetterà di lavorare in coppia
prima, ma poi anche tutti insieme. Mangeremo insieme, semplicemente, portando
ognuno qualcosa e poi condividendo. Perché siamo famiglia ed è bello così.
Sarà un prendersi cura in modo diverso della nostra famiglia, rintracciando quelle radici
da cui è nato il nostro amore per giungere a
quelle ali che dobbiamo dare ai nostri figli…
perchè possano “volare alti, liberi e sicuri”.
Romena incontri 2014
I due incontri del 2013 – “Perchè avete paura?” e “Una fede nuda” – ci hanno fatto
sperimentare un nuovo modo di stare insieme. Anche nel 2014, negli stessi periodi
organizzeremo altri due grandi momenti corali di incontro.
Il tema del primo incontro - da venerdì 18 a domenica 20 luglio - sarà “Rischiamo il
coraggio” proprio come la veglia di quest’anno. L’idea è di centrare il percorso su come ‘riattivare’ il coraggio che abbiamo dentro, e affrontare così le difficoltà personali, esistenziali,
economiche della fase che stiamo vivendo.
Il secondo incontro - da venerdì 19 a domenica 21 settembre - avrà per titolo “Osare
nuovi passi”: una volta capito come risvegliare il coraggio cercheremo di individuare quali
potranno essere i primi passi di cambiamento da compiere nell’educazione e nella società,
nell’economia e nella politica, nella chiesa e nel rapporto con l’ambiente.
Stiamo predisponendo i programmi dei due incontri (le iscrizioni si apriranno a maggio).
Tra gli ospiti che attendiamo quest’anno: don Luigi Ciotti, Roberto Mancini, Vito Mancuso,
Gabriella Caramore, Antonietta Potente, Eraldo Affinati, Grazia Francescato.
25
25
I nuovi spazi di Romena
di Massimo Orlandi
Fare casa, creando nuove opportunità accoglienti per stare insieme, per sviluppare
i nostri percorsi, per condividere momenti di riflessione, di preghiera, di festa.
È questo lo spirito con cui mese dopo mese stiamo ristrutturando, sistemando,
abbellendo i nuovi spazi offerti dalla fattoria e dall’ex stalla. Cerchiamo di
avvicinarci con cura a ogni luogo, perché respiri della sua storia, anzi la esprima
ancor meglio, offrendo quel calore e quel senso di bellezza che è necessario perché
diventi ‘casa’, la casa di tutti i viandanti di Romena.
A tre anni di distanza dall’inizio dei lavori, ci piace ricordare e ricordarci quanto è
stato realizzato sin qui e quanto ci accingiamo a realizzare.
La fattoria
Appena oltre la strada che fiancheggia la pieve
c’è il nostro nuovo spazio di ospitalità. La casa
del fattore che amministrava i terreni intorno
alla pieve, dalle radici settecentesche, è stata
ristrutturata e messa a disposizione degli ospiti
che qui trovano una piccola cucina, una saletta
da pranzo, alcune camere e la sala del focolare,
dove possono ritrovarsi piccoli gruppi.
La cappella di Nazareth
Nel cuore della fattoria abbiamo realizzato una
piccola cappella, riscaldata da manufatti di legno
che don Luigi ha trovato nelle campagne vicine e
restaurato: “Gesù era un falegname - spiega – e
volevo ricreare un ambiente di preghiera che gli
assomigliasse”. Attualmente stiamo sistemando
una nuova via d’accesso alla cappella. Sarà pronta per Pasqua.
L’ex stalla
La stalla, che ospitava negli anni Sessanta un al-
26
levamento di mucche da latte dell’allora azienda
agricola di Romena è un cantiere che, pian piano,
rilascia nuovi spazi abitabili. È qui che è stato ricavato il punto ristoro, per condividere una sosta,
un pasto, una piccola merenda e fermarsi a parlare con un amico assaporando prodotti di qualità e biologici, ed è qui che si può trovare la libreria
nella quale sono disponibili le pubblicazioni delle
Edizioni Romena (la sede della casa editrice è al
primo piano dell’ex stalla) e alcuni oggetti di artigianato espressione della creatività degli amici
di Romena. A fianco della libreria un portico che è
funzionale a realizzare incontri e momenti comunitari, di fronte il cortile con un bellissimo prato
che si apre come finestra sul Casentino: una scultura moderna occupa il centro di questo spazio,
ricordando il gesto che è al cuore di ogni incontro
di Romena: l’abbraccio.
L’arca
È lo spazio che abbiamo pensato per i gruppi che
si vogliono ritrovare a Romena: un grande ambiente
dove incontrarsi, stare insieme e magari condividere un pasto (c’è anche una spaziosa cucina). L’arca
si trova sempre nell’area dell’ex stalla: sarà pronta a
essere utilizzata a partire da Pasqua 2014.
L’orto
Nel 2013 abbiamo cominciato a arricchire i nostri pasti con i prodotti dell’orto di Romena. Questo spazio
di terra coltivato lo sentiamo in sintonia con il nostro
cammino di riscoperta dei valori di autenticità e di
bellezza che ci vengono dalla terra.
La via resurrectionis
È una camminata meditativa che si sviluppa intorno
alla Fraternità, toccando i campi, il bosco, sfiorando il
fiumiciattolo (Fosso delle Pillozze) che scorre a pochi
passi dalla pieve. Una camminata scandita da otto
soste, rese visibili dalle icone di don Luigi. Ciascuna
è dedicata a soffermarci sulle parole che possono
aiutare ciascuno di noi a rinascere: umiltà, fiducia,
libertà, leggerezza, perdono, fedeltà, tenerezza, amore. Ogni sosta è resa visibile da un’icona. Un libretto
di pensieri e preghiere accompagna il cammino.
L’auditorium
Al centro dell’ex stalla c’è un grande spazio che diventerà un auditorium per incontri. Avrà una capienza di
300 posti. È il prossimo grande obiettivo che speriamo di poter realizzare tra non molto tempo.
5x1000… Grazie!
Tutti questi lavori li abbiamo realizzati
utilizzando i nostri risparmi e l’aiuto quotidiano
di tanti amici. Dobbiamo ancora far molto, e
dobbiamo anche far sì che questi spazi una volta
realizzati siano curati, vissuti, tenuti con amore.
Se potete vi chiediamo di sostenere questo
cammino: un modo immediato è la destinazione
del 5 per mille nella vostra dichiarazione dei
redditi alla Fraternità che ha il codice
92 04 02 00 518
Anche negli anni passati il vostro aiuto è stato
preziosissimo. La destinazione del vostro 5
per mille ci aiuterà in maniera fondamentale
nel proseguimento delle attività e nei lavori di
ristrutturazione della fattoria, e in particolare,
adesso, nella realizzazione dell’auditorium.
27
Rischiamo il Coraggio
Roma
05 maggio 2014
Grosseto
06 maggio 2014
LIVORNO
07 maggio 2014
MARINA DI CARRARA
08 maggio 2014
PERUGIA
20 maggio 2014
BRINDISI
26 maggio 2014
GALATONE (LE)
27 maggio 2014
NOCI (BA)
28 maggio 2014
BARI
29 maggio 2014
ALTAMURA
30 maggio 2014
ANDRIA
31 maggio 2014
Parrocchia San Frumenzio - via Cavriglia 8
Seminario Vescovile-Via Ferrucci,11
Parrocchia Sant’ Agostino - via Aldo Moro, 2
Parr. Santissima Annunziata-loc. Bassagrande
Chiesa di Santo Spirito - via Parione,17
Chiesa San Vito Martire, via Sicilia 10
Chiesa di San Francesco d’Assisi-via Metello
Parr.Maria SS. Della Natività – Chiesa Madre
Chiesa di San Marcello - L.go D. F. Ricci, 1
Chiesa San Sabino - Loc. Fornello
Chiesa S. Agostino - P.zza S. Agostino 2
28
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
ore 21.00
ore 20.30
ore 21.00
ore 20.30
ore 20.30
ore 20.30
ore 20.30
Pasqua a Romena
Vivere insieme i giorni di Pasqua e la festa della fraternità: anche quest’anno vi proponiamo un percorso di incontri, di preghiera, di riflessioni e di festa durante la settimana
santa. Un programma nel solco della tradizione cui si aggiungono però alcune novità come
lo spettacolo teatrale in programma domenica sera, ore 21: un monologo su una santa
(Caterina da Siena) e una poetessa (la rimatrice analfabeta Beatrice di Pian degli Ontani)
di una grande attrice come Elisabetta Salvatori. Vi aspettiamo!
Per informazioni tel. 0575-582060
Programma
Giovedì 17 ore 21 lavanda dei piedi
Venerdì 18 ore 21 Veglia al ‘crocifisso’
Sabato 19 ore 22.30 messa di Pasqua
Domenica 20 ore 17 Messa
ore 21 spettacolo “Piantate in terra come un faggio o una croce”
con Elisabetta Salvatori (al violino Matteo Ceramelli)
Lunedì 21 festa della fraternità
ore 10 camminata lungo la via resurrectionis
ore 11.30 Messa col Vescovo di Fiesole Mario Meini
ore 13 pranzo
ore 15 spettacolo-animazione per bambini
a cura della Compagnia delle arti di Romena
ore 16 Camminando s’apre cammino, canzoni, letture,
interventi dei collaboratori di Romena
ore 17.30 intervento di don Luigi Verdi
29
graffiti
C
he vorrà dire “rischiare il coraggio”? Mi viene in mente il don Abbondio di manzoniana
memoria: se il coraggio uno non ce l’ha non se lo può dare! Ed aveva ragione, poverino, mi scapperebbe da dire. Anche io non mi sento di avere il coraggio di atti grandi, eroici.
Usciamo (spero) da un periodo sciatto per la società civile e per la chiesa, che della società
fa parte, dove chi criticava era a rischio di emarginazione, di essere classificato come “comunista” o contestatore. Devo dire che un po’ mi sono adagiato a questo clima conformistico, anche se con un certo fastidio e mal di stomaco.
Oggi la politica sembra in fermento e la vita della chiesa è scossa dalle continue provocazioni, positive, di Papa Francesco: è tempo di buttare via il conformismo, che fa solo male
a chi lo vive, e anche a chi lo richiede o lo vorrebbe, alla società e alla chiesa. Bisogna
“rischiare il coraggio”: ma che vuol dire realmente?
Io ho tanti limiti, tante paure e irrequietezze che sono racchiuse nella mia interiorità, come
faccio a rischiare questo coraggio!?
Ma forse il mio vero coraggio è di accogliere questa mia complessità interiore, questi miei
limiti e queste mie paure. Il vero coraggio è accogliermi e volermi bene come sono: solo in
questo modo mi metto in condizione di riprendere il cammino della vita, di darmi la possibilità di cambiare, di diventare una persona più “bella”. Solo con questo coraggio di volermi
bene, io posso voler bene all’altro, senza la pretesa che diventi come lo voglio io.
Per me cristiano e prete a monte c’è l’amore di Dio, che mi ama come sono, fin da ora,
subito: “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo
siamo realmente” scrive l’apostolo Giovanni, che se ne intendeva, nella sua prima lettera e
30
riafferma poco dopo che “noi fin d’ora siamo
figli di Dio” (3,1-2).
Gesù ha accolto tutte le persone che incontrava come erano e il suo camminare con
loro ha aperto la strada alla conversione,
al ritornare in se stessi per scoprirsi amati
da Dio in modo unico. Zaccheo, capo degli esattori delle tasse per conto dei romani, collaborazionista e ladro, lo chiama per
nome e si invita a casa sua: e Zaccheo si
converte alla solidarietà con i poveri donando molto delle sue ricchezze (Luca 19,1-10).
E a proposito di pubblicani, Gesù aveva già
chiamato Matteo a far parte dei suoi collaboratori più stretti: e Matteo lo aveva seguito ed aveva fatto festa a casa sua (Matteo
9,9-13).
Allora il vero coraggio è non prendersi in
giro, scoprirsi come siamo veramente e
volersi bene, dandosi la possibilità di andare avanti e di cambiare. Il vero coraggio è
accogliere la quotidianità della vita, con le
sue povertà e le sue ricchezze e impegnarsi
perché la mia quotidianità sia coerente con
le mie scelte di vita.
E il vero coraggio però è anche ribellarsi,
denunciare con forza le offese alla dignità dell’uomo e le offese all’ambiente, i più
grandi peccati dell’umanità del Terzo Millennio dell’era cristiana.
R
Carlo Prezzolini
omena, pieve dalle porte aperte,
percorse da venti di idee e noi,
assetati, siamo venuti ad abbeverarci.
Abbiamo ascoltato parole nuove delle
Scritture, parole che la nostra ragione finalmente condivideva. Si è aperta un strada che non immaginavamo,un terreno per
noi inesplorato che stiamo attraversando
con fatica ma con l’entusiasmo dei neofiti.
Dalle Scritture ma anche dall’uomo e dalla
donna e dalla loro storia prendiamo spunti
che ci accompagnano. Noi non cerchiamo
la pace:il nostro è un percorso di tensione,
una ricerca di verità, ma con spirito libero.
Per ora il trascendente resta in un angolo.
Non siamo tra gli atei ma neppure tra i credenti tout court. Ci piace Meister Eckhart
che diceva: “Ti prego Dio, tienimi lontano
da dio.” Il dio totem non fà per noi. Non
tutte le domande hanno risposte, ci sono
zone d’ombra, ma ormai il cammino è cominciato e non si può tornare indietro, nè lo
vorremmo. L’avventura dello spirito è il più
bel viaggio che abbiamo la grazia di intraprendere.
Ercole Ciampo
Per articoli, pubblicazioni delle Edizioni
Romena, foto, audio degli incontri e
altro ancora seguici su:
www.romena.it
Iscriviti alla nostra newsletter per essere aggiornato
su tutti gli eventi organizzati dalla Fraternità.
UN CONTRIBUTO: il giornalino è una
pubblicazione gratuita e viene inviato a
tutte le persone che hanno partecipato
ai corsi di Romena o ne abbiano fatto
richiesta. Aiutateci a sostenere le spese
di realizzazione e spedizione inviando il
vostro contributo col bollettino allegato,
oppure effettuare un’offerta ai seguenti conti
correnti intestati a Fraternità di Romena
ONLUS, Pratovecchio (Arezzo):
postale IBAN:
IT 58 O 07601 14100 000038366340
bancario IBAN:
IT 25 G 05390 71590 000000003260
PASSAPAROLA: se sai di qualcuno a cui
non è arrivato il giornale o ha cambiato indirizzo, se desideri farlo avere a qualche altra
persona scrivi a [email protected] o collegati
a www.romena.it.
SEGRETERIA: per iscriversi ai corsi è
necessario telefonare al nostro numero
0575.582060.
Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo giorno del mese precedente al corso stesso.
31
R
isorgi,
e donaci parole coraggiose
e spighe di calore,
affinché questa generazione
spezzi le catene
e prepari la ricostruzione.
foto Paolo Dalle Nogare
Luigi Verdi
32
Scarica

2014/1-Rischiamo il coraggio