Trekk urbano a Siena Siena: dove il passato risale a galla fino a noi Parte II Novembre 2015 INDICE GENERALE A) La via Francigena............................................................................4 B) I Templari.......................................................................................5 Lettura 1: La contrada dell'Istrice.......................................................5 Lettura 2: I ricordi di un ragazzo … di allora........................................6 Lettura 3 – La benedizione del cavallo ...............................................8 Lettura 4: Perè Golon, detto “Alì”, il fantino di colore (1927)..............9 Lettura 5: Francesco di angelo (o di Agnolo) detto Barbicone..........10 SCHEDA DELLA CHIESA DI SAN FRANCESCO.....................................11 C) Il Monte dei Paschi.......................................................................15 SCHEDA DELLA BASILICA DI SAN DOMENICO...................................15 Lettura 6: «Ricordati di me», il mistero di Pia de’ Tolomei................21 Lettura 7: L'anno del Palio maledetto ..............................................24 D) Siena nel 1300..............................................................................26 Lettura 8: S'i' fosse foco....................................................................28 SCHEDA COLLEGIATA DI SANTA MARIA IN PROVENZANO.................31 Lettura 9: Il Palio passione di popolo................................................33 Lettura 10: Visioni di Palio di Andrea Camilleri.................................35 Questo libretto è stato redatto in occasione del trekking urbano di novembre 2015. I testi che descrivono i luoghi sono tratti da "Wikipedia" Dove il passato risale a galla fino a noi SI PARTE DA VIA BIAGIO DI MONTLUC, 29. SI PASSA DA PORTA CAMOLLIA E SI ARRIVA A PIAZZA CHIGI SARACINI. Porta Camollìa Il nome della porta si lega alla leggenda della fondazione di Siena, secondo la quale nel VII secolo a.C. Romolo avrebbe inviato Camulio per catturare i nipoti Senio e Ascanio. Il condottiero Camulio si stabilì con il proprio accampamento nella zona dove sorge l'attuale Porta. Nel corso dei secoli Porta Camollia fu la porta più difesa della città di Siena, essendo la Porta cittadina d'ingresso per chi proveniva da Firenze. L'attuale costruzione risale al 1604: l'originale Porta costruita nel XIII secolo venne infatti distrutta durante l'assedio di Siena del 1555. Fu progettata da Alessandro Casolari, e decorata dallo scultore Domenico Cafaggi. A sostegno della sua funzione difensiva, nel 1270 le venne costruito poco distante l'Antiporto di Camollia, un'ulteriore protezione all'ingresso settentrionale della città. SULLA PIAZZA AFFACCIA L'EX MERCATO RIONALE. La costruzione dell’edificio addossato alle mura cittadine all’interno di Porta Camollia, destinato in futuro ad ospitare il Mercato Rionale, risale al 1907. Fu realizzato su iniziativa della Società Imprese Elettriche Senesi (SIES) che di lì a breve si trasformerà in (SAFS), ovvero la Società Anonima Filovie Senesi proprietaria dei mezzi “tramvai elettrici”. Siena fu una delle prime città a dotarsi di un sistema di tram elettrici denominati “trolley”, che costituirono il primo servizio pubblico di trasporti urbani senza cavalli. Tale società, una delle prime a costruire reti di trasporto in Italia, decise proprio in quell’anno di realizzare un deposito nell’attuale Piazza Chigi Saracini, iniziando quindi la sua attività il 24 marzo 1907. Purtroppo l’esperienza dei tram elettrici ebbe vita breve e quando nel 1920 la Società si sciolse, il fabbricato venne acquistato dal Comune che lo concesse per alcuni anni in affitto alla FIAT, trasformandolo nel “Garages Riuniti Fiat”. (...) Nel 1931 Siena era dotata di due mercati: uno di generi diversi che si teneva in Piazza del Campo, l’altro, il cosiddetto “mercato annonario” di soli generi alimentari, era adiacente al Palazzo Pubblico nello spazio denominato “Tartarugone”. I mercati esistenti erano però molto distanti dal Terzo di Camollia, per cui l’Amministrazione Podestarile, nell’ottica di fornire servizi anche alle zone periferiche, decise di realizzare un nuovo mercato in questa zona della città (...) Il luogo prescelto per questo progetto fu il fabbricato ex Garage Fiat, presto ristrutturato per renderlo idoneo alle nuove esigenze commerciali. 3 Dove il passato risale a galla fino a noi Il 22 dicembre 1932 il Mercato Rionale, ben presto ribattezzato “mercatino”, iniziò la sua attività e per oltre cinquant’anni rappresentò il luogo di lavoro per eccellenza della zona di Camollia. Il mercatino ha svolto la sua attività fino alla fine degli anni ottanta quando super ed ipermercati ne decretarono la cessazione. Nel corso della Seconda Guerra mondiale la zona fu oggetto di bombardamenti da parte delle truppe alleate ed i locali del mercato rionale furono utilizzati per accogliere feriti e sistemare i cadaveri. A partire dal 14 agosto 1992 il Mercatino rionale è stato concesso in gestione alla Contrada Sovrana dell’Istrice. SI PROSEGUE PER VIA CAMOLLIA. E’ IL PRIMO TRATTO DEL TRACCIATO URBANO DELL’ANTICA VIA FRANCIGENA, CHE UNIVA IL NORD EUROPA A ROMA. LUNGO LA STRADA FIORIRONO NUMEROSE BOTTEGHE, BANCHI DEI CAMBIAMONETE, TAVERNE, SCUDERIE E SPEDALI. A) LA VIA FRANCIGENA I PELLEGRINI DI PASSAGGIO A SIENA, STANCHI DEL VIAGGIO, POTEVANO RIPOSARE ALLA MAGIONE, MENTRE LA CHIESA DI S. PIETRO ALLA MAGIONE OFFRIVA LORO IL CONFORTO PER LO SPIRITO. LA CHIESA, (NOTIZIE DAL ‘998), CONSERVA ANCORA LA FACCIATA ROMANICA. S. Pietro alla Magione Attestata fin dal 998, la chiesa appartenne ai Cavalieri Templari sin dal XII secolo, come risulta da un documento del 1148. I templari vi tenevano un ospizio per pellegrini ("la Magione") da cui la chiesa prese il nome. Con la soppressione dei templari avvenuta nel 1312, la chiesa passò ai Cavalieri Ospitalieri che assunsero successivamente il titolo di Ordine dei Cavalieri di Malta. Con la soppressione dell'ordine cavalleresco, la chiesa passò alla Diocesi. Oggi è una parrocchia salesiana. Descrizione Edificio in pietra in stile romanico, è preceduto da una scalinata e mostra una facciata a capanna in pietra, anch'essa romanica, del XII o XIII secolo, con portale gotico del XIV secolo e con coronamento ad archetti rifatto in maniera arbitraria ad inizio del XX secolo. Nel retro, accanto all'abside, si può notare il caratteristico campanile a vela, tipico delle magioni templari. All'esterno, sul fianco, è possibile notare diverse croci templari scolpite nella muratura. Sulla destra è una cappella in mattoni, eretta nel 1523-1526 come ex voto per la peste. L'austero aspetto dell'interno, ad unica navata illuminata da finestrelle altre e strette, con presbiterio rialzato, abside e copertura a capriate, si deve ai ripristini del 1957. Tra le opere d'arte, un gotico tabernacolo dell'olio santo della seconda metà del Trecento a fianco dell'altare principale, frammenti di affreschi a monocromo 4 Dove il passato risale a galla fino a noi (Crocifissione e Storie bibliche) di Cristoforo di Bindoccio e Meo di Pero, databili alla fine del Trecento e provenienti da una stanza dell'ospizio. Nella cappella di destra una Madonna col Bambino di Bartolomeo Neroni detto il Riccio, del XVI secolo, la Madonna con i santi Giovanni Battista e Pietro di Diego Pesco (1760) e due tele seicentesche assai modeste di indubbia attribuzione raffiguranti sant'Ugo e il martirio di san Donnino, a sinistra e destra rispettivamente. B) I TEMPLARI LETTURA 1: LA CONTRADA DELL'ISTRICE Il Nuovo Corriere Senese pubblicò nel supplemento al n. 33 del 13 agosto 1989, un aneddoto di Fabio Sergardi Biringucci. Bisogna pertanto considerare i riferimenti temporali rapportati al 1989 e non ad oggi. (…) Ho un preciso ricordo della vittoria della mia Contrada nel 1935, anche se non ero a Siena. Mi trovavo in Etiopia per la guerra con il grado di Tenente. Seppi che ci era toccato in sorte Ruello, il cavallo più forte di piazza in quel periodo. Ci spostarono in un altro posto e seppi che l'Istrice aveva vinto solo dopo tre giorni quando mi arrivò un telegramma. Presi una sbornia che non ho più scordato, insieme ad altri due soldati di Siena, ovviamente anche loro dell'Istrice. Gli altri ci guardavano con curiosità perché, eccettuati i Toscani, non riuscivano a capire i motivi di una simile euforia. E dire che avrei dovuto aspettare fino al 1956 per vedere per la prima volta l'Istrice vittorioso. Un altro ricordo preciso ce l'ho di due anni dopo. Allora ero Capitano della mia Contrada. Me ne stavo alla Loggia della Mercanzia con mio zio e lo zio di mia moglie. (...) Passarono quelli dell'Oca con cui qualche giorno prima avevamo avuto da ridire. Ci fu qualche parola di troppo, tanto che non ebbi esitazioni. Detti un cazzotto ad un ocaiolo e ci fu una rissa che continuò fin dentro il caffè Greco e noi eravamo in minoranza netta. Ad un certo punto intervenne anche il prete Bani. Gli dissi con rabbia "vergognatevi per quello che fate". Mi ricordo che era ridotto davvero male. Bani, invece di mettere pace, prese uno di quei grossi vasi dove si trovavano le caramelle e stava per tirarmelo. Fortunatamente ci fu chi lo fermò. Aveva un caratterino quel prete! (…) Nel Palio sono stato molto popolano e molto passionale e non mi è mai riuscito a nascondere quello che avevo dentro. Tutto il contrario del Conte Chigi Saracini, uno che alla mia contrada ha dato molto, che guardava il Palio dall'alto, da vero aristocratico. Ricordo che ogni tanto andavo da lui a battere 5 Dove il passato risale a galla fino a noi cassa. Lui pagava con quei modi da gran signore che manteneva anche quando arrivava in Contrada. E alle cene spesso si presentava quando ormai era quasi tutto finito accompagnato da tutta la sua corte. ALL'INCROCIO CON VIA GARIBALDI LA SI IMBOCCA IN DIREZIONE DI PIAZZA DEL SALE. SI SVOLTA SULLA DX SU VIA DI STUFASECCA. SI SUPERA LA SEDE DELLA BANCA D'ITALIA. La costruzione della Banca d'Italia a Siena nasce a seguito di una lunga gestazione che ha inizio negli anni settanta quando già si discute sulla scelta dell'area. Nel 1977 la Banca decide di acquistare il lotto di terreno posto nel settore nord ovest della città, nella contrada della Lupa, rinunciando all'idea iniziale di realizzare la nuova sede in pieno centro storico recuperando un preesistente palazzo quattrocentesco. (...) Nel 1985 Zacchiroli presenta il progetto di massima, elaborato con la collaborazione di Robert Coath, Elena e Michele Zacchiroli, e nel febbraio 1986 il primo progetto esecutivo al quale seguirà una variante definitiva nel maggio dell'anno successivo. I lavori, durati circa cinque anni, sono preceduti da notevoli opere di sbancamento e di stabilizzazione del pendio rese necessarie data la complessa situazione geomorfologica del luogo. (...) Il tema del rapporto tra nuovo e antico, peraltro già affrontato in altre occasioni progettuali da Enzo Zacchiroli, costituisce il motivo basilare che sta alla radice di tutto il lavoro per la nuova banca senese. (...) SI IMBOCCA A SX VICOLO DI BORGOFRANCO E DOPO UNA SCALINATA SI GIUNGE ALLA FONTE NUOVA. La fonte risale al Trecento e fu costruita su progetto di Camaino di Crescentino e Sozzo di Rustichino. È caratterizzata da una doppia arcata ogivale in laterizi che introduce alla grande vasca, utilizzata per l'abbeveraggio e come lavatoio. L'archiettura risente dell'influenza del cosiddetto gotico cistercense. LETTURA 2: I RICORDI DI UN RAGAZZO … DI ALLORA Ore 21 del 4 maggio 1945. La campana maggiore chiama a raccolta il popolo della Contrada dopo un lungo periodo di silenzio. L’ultima assemblea si era tenuta il 26 giugno 1939. Era finita da poco una grande tragedia; macerie, distruzioni, lutti, fame e tanta paura. La gente si risvegliava da un incubo e la vita riprendeva con lentezza. (...) Si avvicinava il giorno fatidico del 29 giugno e i senesi vibravano nell'attesa di rivedere i cavalli in Piazza dopo sei lunghi anni di digiuno. E che digiuno! Riprendeva anche la vita contradaiola. Si preparavano le monture e le bandiere, i tamburi facevano nuovamente sentire il loro armonioso rullio. Per 6 Dove il passato risale a galla fino a noi chi, come noi, allora aveva vent'anni, tutto ciò riempiva l'animo di gioia, ma intorno c'era anche tanta tristezza; molti non erano ancora tornati e alcuni non sarebbero tornati più. Comunque la vita proseguiva. Si riaprivano le stanze della Contrada, ed alla sera, dopo cena, noi giovani eravamo chiamati ad imparare l'inno scritto da Ezio Felici e musicato da Leonida Botarelli il quale cercava di insegnarcelo con scarso successo, dato il nostro modesto impegno, anche perché senza musica ci risultava difficile e venivamo spesso, benevolmente, richiamati dal Priore Mazzeschi che assisteva con l'occhiale penzoloni all'orecchio. Il 29 Mughetto non fu accolto con molto entusiasmo, tanto che anche Tripolino sembra avesse declinato l'incarico di correre nella Lupa. La prova della sera fiaccò ancora di più gli entusiasmi. All'assemblea -a quei tempi usava riunire il popolo dopo la prima provac'erano tanti musi lunghi e mugugni. Prima di entrare nel vivo, la cosa venne presa alla larga; lettura del risultato delle elezioni tenutesi il 27 maggio, nomina dei revisori dei conti e nomina degli incarichi per la festa titolare. (...) Quasi al termine della riunione il prof. Mario Bracci propose di far correre alla prova della mattina successiva un suo dipendente, certo Renzo Provvedi. La proposta fu accolta dal Capitano e dai presenti “all'unanimita”! (…) La sera della terza prova, mentre eravamo intenti all'ascolto, fui chiamato nelle stanze della Contrada ed il Priore, alla presenza del Capitano e dei Mangini, mi consegnò una busta chiusa con il preciso incarico di recapitarla al Comanducci, gestore del bar all'angolo di Piazza Tolomei, dove attualmente c'e il negozio Sisley. Seguì la raccomandazione di tenere la bocca chiusa e di non perdere il plico. L'incarico mi riempì di orgoglio e, fra l'invidia degli altri ragazzi, feci di corsa Vallerozzi per assolvere al delicato compito. La sera successiva potei partecipare, fra i pochi contradaioli che vi presero parte, alla cena della prova generale grazie alla generosità del mio futuro suocero Nanni Pianigiani. Pensate che la cena si tenne con quelli della Contrada del Drago al ristorante "Il Biondo". Giungemmo al giorno del Palio, alla vestizione, facevo parte del "popolo". Sfilammo per le vie della città fino alla Prefettura con compostezza e sussiego, orgogliosi della montura che indossavamo. In via di Città si affiancò a Mughetto un soldato americano che propose a Gano la vendita del cavallo. Gano con la solita innata gentilezza e con molto garbo gli rispose che non era assolutamente il caso si trattenesse oltre nei paraggi! Poi la Piazza colma di gente, il corteo storico, la corsa. Dal palco delle comparse, al terzo giro, vedemmo la Lupa entrare al largo a S.Martino accoppiata con la Giraffa. La traiettoria e la velocità erano giuste per sbattere nei materassi. La Cappella ci nascose un tratto di pista e ciò che in quel momento accadeva. Fu un attimo. La Lupa era passata miracolosamente e vinse. Festa grande. Domenica 29 luglio tutti in gita a Pontignano con Palio, bandiere e tamburi. E tante sbornie.(...) di Amulio Bartalucci (http://www.contradadellalupa.it) 7 Dove il passato risale a galla fino a noi SI PASSA PER PIAZZETTA EZIO FELICI E SI RAGGIUNGE VIA VALLEROZZI LETTURA 3 – LA BENEDIZIONE DEL CAVALLO Don Sergio il Correttore: «Che gioia, quando perde l’Istrice» di PIERO NEGRI Non è nato "sulle lastre", ovvero entro la cerchia delle mura: nel 1945 c’era la guerra e i suoi si trovavano a Todi. «Ma ho imparato a camminare, a parlare, a stare al mondo nella contrada della Lupa». Don Sergio Volpi è un contradaiolo vero, un contradaiolo speciale. Della Lupa è Correttore (altrove si direbbe cappellano): «Non vuol dire», spiega, «che il mio compito è "correggere", ma che "reggo con" il Priore le sorti della contrada» (...) Il momento più importante della vita di un Correttore è la benedizione del cavallo. Più importante perché in grado, sostengono i contradaioli più scaramantici, di preannunciare come andrà a finire il Palio che si correrà da lì a poche ore. «In quella cerimonia», spiega don Sergio, «per mezzo del Correttore la contrada chiede al buon Dio di proteggere cavallo e fantino dai pericoli del Palio. Dopo la benedizione, la tradizione vuole che il Correttore dica, rivolgendosi più al cavallo che al fantino, "Va’ e torna vincitore". Si avverte una grande tensione emotiva, perché si ritiene che in quel preciso istante si colga un segno chiaro di quale sarà il risultato: da come si comporta il cavallo si capisce se vincerà o no». Fede e rivalità cittadina, tradizione e scaramanzia a Siena si fondono in una miscela unica: «Sì», dice don Volpi, «queste sono forme che rasentano una simpatica, non grave superstizione: c’è chi va a Lourdes e porta in contrada un po’ di acqua benedetta, chi tiene con sé un’immagine di san Rocco, il patrono della Lupa. Vede, a me vogliono un gran bene, sanno che sono un contradaiolo vero (e su diciassette contrade, i Correttori contradaioli oltre a me sono soltanto altri due), ma non mi riconoscono una grande capacità di benedizione: negli ultimi 28 anni, da quando sono io il Correttore, la Lupa ha vinto il Palio solo due volte». La contrada vive tutto l’anno, però, non soltanto nell’imminenza del Palio: «È questo il bello», dice don Sergio, «il legame è fortissimo, quasi feroce: oggi pochi senesi nascono sulle lastre, dentro le mura, e allora la loro contrada è quasi sempre quella dei genitori, o di uno dei due, se di contrade diverse. Bene, i casi di sradicamento sono rarissimi: l’attaccamento alla contrada è forte come una seconda cittadinanza. Ecco perché la contrada continua ad avere anche un valore sociale: al suo interno nascono gruppi di volontariato, e se un contradaiolo si trova in difficoltà, viene naturale aiutarlo». 8 Dove il passato risale a galla fino a noi E poi, quando si vince... «Eh sì», dice don Volpi, «quella è un’esaltazione incredibile, un trionfo. Ma non è male anche quando si riesce a far perdere il Palio alla contrada avversaria. (...) (Famiglia Cristiana – 9 agosto 1998) SI SCENDE PER VIA VALLEROZZI IN DIREZIONE DELLA PORTA D'OVILE. SI GIRA PER PASSARE IN PIAZZETTA D'OVILE. SI PERCORRE VIA DEGLI ORTI E SI GIRA A DX ENTRANDO NEI GIARDINI. SI RISALE IL PENDIO FINO A GIUNGERE DI FRONTE ALLA STALLA DEL BRUCO NEL VICOLO DEGLI ORBACHI. LETTURA 4: PERÈ GOLON, DETTO “ALÌ”, IL FANTINO DI COLORE (1927) Spigolature senesi – Palio a cura del Tesoro di Siena Perè Golon, detto “Alì” è stato il solo fantino di colore ad aver corso il Palio. Solo una Carriera, tuttavia, per i colori del Bruco nel Palio del 2 luglio 1927. Le sue origini non sono del tutto certe e solo recentemente si sono un po’ chiarite. Alì è nato, così pare, in Eritrea da genitori libici originari del Mali e che si dicevano discendenti da Alí Golon, grande personaggio storico del XIV secolo, fondatore della dinastia africana dei “Si” o “Sonni”. Già così un bel groviglio, direi … Se poi si volesse scoprire come e perché arrivò a Siena, il mistero si fa fitto: c’è chi dice come saltimbanco di un circo; altri lo danno titolare di una bancarella di Piazza … sia come Alì fece intendere di saper montare a pelo e partecipò alle batterie del Palio in questione destando, e questo è oltremodo verosimile, la curiosità dei senesi. Poiché al Bruco era toccata in sorte una brenna (un sauro di proprietà di M. Vannini) i dirigenti decisero di montare Alì con una missione specifica: parare il Nicchio, all'epoca contrada rivale. E ci riuscì anche bene, sia pure aiutato dalla sorte: al canape capitò al secondo posto proprio accanto al Nicchio, che fu inesorabilmente stretto allo steccato. Il Valdimontone vinse quella Carriera. Allo scoppio del mortaretto Alì, invece di fermarsi, non si sa se spaesato o impaurito dalla folla, continuò la sua corsa travolgendo e ferendo una guardia di pubblica sicurezza. Alì si ripresentò per il Palio di agosto del 1927, dove però corse solo la prima prova. Dopodiché, così come era apparso, fece perdere le sue tracce … ALLA FINE DEL VICOLO DEGLI ORBACHI CI SI TROVA DI FRONTE ALLA FONTANA DEL BRUCO. LA FONTE (...) l'8 luglio 1978 la Contrada restituì all'ammirazione dei cittadini senesi il secolare "Fontino di San Francesco" ripristinato sotto l'attenta direzione dell'Architetto Lorenzo Borgogni e di altri appassionati Brucaioli. Volutamente si evitarono orpelli di riferimento alla Contrada che avrebbero certamente 9 Dove il passato risale a galla fino a noi meglio qualificato l'appartenenza della fonte ma, con altrettanta certezza, avrebbero compromesso l'armonia e l'elegante semplicità della struttura. Ci si limitò, quindi, a collocare all'interno della fonte un bruco rozzamente scolpito nel travertino. Si volle però, e non tutti erano d'accordo, collocare nell'interno una statua in bronzo, opera dello scultore Angelo Canevari, raffigurante Francesco D'Agnolo detto Barbicone, intendendo con ciò ricordare un avvenimento storico di cui il popolo del Bruco fu primo attore, avvenimento lontano nel tempo ma sempre presente nella memoria del popolo oggi, come allora, determinato ad essere protagonista, con ben diverso fine, in quel campo verso il quale Barbicone tende la "ronca". Si volle, insomma, rinnovare memoria degli avvenimenti del 14 luglio 1371 quando la Compagnia del Bruco, che il popolo seguì come una vera forza dirigente, lanciò l'attacco supremo contro il Palazzo del Governo. La rivolta degli "scardassieri del Bruco" tesa ad ottenere per le proprie famiglie una vita quantomeno dignitosa fu "una delle prime sollevazioni degli operai salariati del Medioevo e scoppiò sette anni prima del tumulto dei ciompi di Firenze", come ricorda il Rutenburg, rappresentando nella storia di Siena un importante momento che il popolo del Bruco seppe ulteriormente esaltare con il proprio sangue sparso con crudeltà inaudita nella mattina del 30 luglio. (...) http://www.nobilcontradadelbruco.it/la-contrada/la-fontanina.html LETTURA 5: FRANCESCO DI ANGELO (O DI AGNOLO) DETTO BARBICONE Il 6 agosto 1370 avvenne a Siena una rivolta, causata dalle infime condizioni di vita in cui versava la popolazione cittadina, ma soprattutto dalle rivendicazioni dei Lanai del rione d'Ovile, che richiedevano di ricevere trattamenti pari a quelli dei propri maestri. Barbicone partecipò alla rivolta, rimanendo in questo caso tra le guide di secondo piano. Il fatto si spense sul nascere, grazie alle concessioni offerte dai magistrati del Governo comunale. Dopo alcuni mesi di relativa calma, in cui le fazioni in lotta lavoravano nell'oscurità, avvenne il fatto scatenante. Resi suscettibili dalle basse paghe e dalla carestia che aveva colpito la Repubblica in quel periodo, mentre a Palazzo Pubblico si discuteva della situazione, i Lanini corsero in gran numero sotto le finestre con fare minaccioso. (13 luglio 1371) Alcuni conciatori del popolo di San Pietro a Ovile di Sotto vennero alle mani con i propri padroni, armandosi ed assaltando le case di alcuni benestanti del quartiere, sotto la direzione di Barbicone. I Maestri, ovviamente contrari alle proposte dei brucaioli, fecero tre prigionieri tra i rivoltosi (Francesco di Angelo, detto Barbicone, insieme a Benedetto di Cecco delle Fornaci e Giovanni di Tessa), chiedendo per loro la pena di morte. 10 Dove il passato risale a galla fino a noi Giunta la notizia dell'arresto, il popolo del Bruco si armò, gettandosi poi sulla Guardia Pubblica ed abbattendo ogni resistenza delle forze di sicurezza. I rivoltosi fecero irruzione nella casa del Senatore Conteguido e liberarono Barbicone e gli altri arrestati. Barbicone adesso capeggiava la sommossa. La voce dei disordini si era nel frattempo sparsa negli altri rioni ed una folla fomentata ed al tempo stesso entusiasta si riversava nelle strade, armata di lance ma anche di semplici bastoni e falcetti. Giunti sotto Palazzo Pubblico, i rivoltosi incontrarono un gruppo di nobili, tra cui Tolomei, Malavolti e Rinaldini, con i quali si accese una violenta rissa nella quale morì uno di essi. Dopo questo episodio calò la notte e le ostilità cessarono temporaneamente. I tumulti ripresero con ancor maggiore violenza il mattino successivo, quando Barbicone riunì nuovamente il popolo d'Ovile. Questa volta l'assalto fu diretto: i popolani travolsero gli armigeri comunali e riuscirono ad entrare all'interno del Palazzo Pubblico. I Nove ed i Dodici vennero quindi presi dalla folla e massacrati, Barbicone fu il più indemoniato, preso da una furia cieca scaraventò alcuni governanti dalle finestre e dal Loggione del Palazzo Comunale. I membri sopravvissuti dei Dodici si allearono quindi con la famiglia Salimbeni e ottennero l'appoggio dell'imperatore Carlo IV, facendo credere di voler cacciare dal governo della Repubblica i ricchi e gli sfruttatori. Carlo IV entrò quindi in città con l'esercito imperiale, che venne sorprendentemente sconfitto dal popolo senese alla Croce del Travaglio. L'imperatore si nascose nel Castellare dei Salimbeni! Barbicone ed il popolo ottennero la riforma del governo cittadino, con la creazione dei Quindici Difensori della Città e dello Stato di Siena, tutti appartenenti al Monte del Popolo. In considerazione dei gloriosi fatti d'arme contro l'esercito imperiale, Barbicone ottenne anche il titolo di nobiltà per la propria Contrada (che solo nel 1841 poté però fregiarsi della corona imperiale sullo stemma) e la rinominazione della maggior strada del rione col nome di "Via del Comune", grazie alle sue gesta ed al ruolo rivestito. Com'era assurto ai fasti cittadini e divenuto anima e cuore della maggiore rivolta popolare avvenuta a Siena, Barbicone sparì nuovamente nel nulla e niente si sa del prosieguo della sua vita né quando e come avvenne la sua morte. SI PERCORRE VIA DE' ROSSI E SI ARRIVA IN PIAZZA S.FRANCESCO, OSSERVIAMO LA CHIESA FRANCESCANA (SEC. XIII) ALL’INTERNO DELLA QUALE SONO CONSERVATE LE SACRE PARTICOLE, CHE SI MANTENGONO INTATTE DA QUASI TRE SECOLI. SCHEDA DELLA CHIESA DI SAN FRANCESCO 11 Dove il passato risale a galla fino a noi I francescani arrivarono a Siena immediatamente dopo la morte di san Francesco d'Assisi, avvenuta nel 1226. Tra il 1228 e il 1255 si registra la costruzione di una prima chiesetta nel sito in cui ora sorge la basilica. L’edificio attuale fu costruito tra il 1326 e il 1475 in forme gotiche, ingrandendo una chiesetta preesistente. Nel Quattrocento prese parte al progetto forse Francesco di Giorgio Martini. Nel 1655 un incendio rovinò la chiesa, lasciandola malridotta per oltre due secoli: vennero infatti attuati pessimi restauri e aggiunte barocche poco amalgamate. Nel 1763-1765 si provvide alla costruzione del campanile attuale, su progetto di Paolo Posi. Le operazioni di restauro iniziarono alla fine del XIX secolo, quando Giuseppe Partini ripristinò l’interno (1885-1892) e Vittorio Mariani e Gaetano Ceccarelli sostituirono la malridotta facciata medievale con quella attuale (1894-1913). Sulla piazza si affaccia anche l’Oratorio di San Bernardino, costruito nel luogo dove il Santo (1380-1446) predicava ai fedeli mostrando la tavoletta col sole raggiato e le lettere “IHS” (abbreviazione del nome di Gesù in greco). Divenne allora usanza mettere questo simbolo sopra le porte delle case, delle chiese e degli edifici pubblici per ottenere la protezione di Cristo. L’oratorio ospita anche il Museo Diocesano di Arte Sacra. La confraternita, già detta di Santa Maria e San Francesco (1273) e della Madonna della Veste Nera di San Francesco (XIV secolo), assunse il titolo di San Bernardino nel 1450, dopo la canonizzazione del religioso senese. Qui il santo era solito predicare, come ricorda anche un dipinto nel Museo dell'Opera del Duomo di Siena. Fu proprio nella seconda metà del XV secolo che la confraternita decise di intraprendere la costruzione dell'oratorio. Entro la fine del secolo i lavori di innalzamento dell'edificio erano già terminati e si procedette alla realizzazione di stucchi e decorazioni lignee (fine del XV secolo), alla decorazione a fresco del piano superiore (prima metà del XVI secolo) e del piano inferiore (fine del XVI secolo - inizi del XVII secolo). Descrizione L'oratorio presenta una facciata a capanna in mattoni, abbellita da un portale in travertino datato 1574 e, in alto, da un disco raggiato con il trigramma bernardiniano. È organizzato su due livelli: quello superiore ha il soffitto a cassettoni, decorato da teste con cherubini, e le pareti in legno con decorazioni a stucco di Ventura Turapilli (1496). Tra i pilastri inoltre si trova un celebre ciclo di affreschi con Storie della Vergine, del Sodoma, di Girolamo del Pacchia e del Beccafumi, realizzato tra il 1518 e il 1532. Evidenti sono nel ciclo le memorie delle opere 12 Dove il passato risale a galla fino a noi romane di Michelangelo e Raffaello, in particolare la volta della Cappella Sistina e le Stanze Vaticane. Nel vestibolo un gonfalone dipinto su entrambi i lati di Francesco Vanni e un rilievo di Giovanni d'Agostino (Madonna col Bambino e due angeli, 1341), unica sua opera firmata e datata. Da questo ambiente si scende all'oratorio inferiore, dove sul soffitto è presente la Madonna che protegge Siena, San Bernardino e Santa Caterina, affresco di Arcangelo Salimbeni portato a termine da Francesco Vanni (1580). Le lunette presentano scene della vita di san Bernardino cui parteciparono Ventura Salimbeni, Rutilio Manetti, e molti altri artisti della prima metà del Seicento. All'altare si trova una quattrocentesca Madonna col Bambino di Sano di Pietro. Museo diocesano Il Museo diocesano permette di ammirare una panoramica della pittura senese a cavallo tra il XIII e il XVII secolo. L'opera più antica è la Madonna di Tressa (1235 circa), opera eponima del Maestro di Tressa. Alcuni affreschi, provenienti dalla chiesa di San Francesco, sono opera di Pietro Lorenzetti e Ambrogio Lorenzetti, quest'ultimo autore anche della Madonna del Latte. Il Vecchietta dipinse nel XV secolo una pala del Cristo in pietà, completato da un gruppo in legno policromo dello stesso autore. Al Cinque-Seicento risalgono le pale nella piccola quadreria detta la "Soffitta": un Cristo portacroce di Domenico Beccafumi, alcune piccole tavole del Sodoma e del Riccio, oltre ad opere di Ventura Salimbeni, Alessandro Casolani, Rutilio Manetti e Bernardino Mei. SI PROSEGUE SU VIA DE' ROSSI E SI SBUCA SU VIA DEI BANCHI DI SOPRA CHE SI PRENDE A DX. SI PERCORRE VIA DEI BANCHI DI SOPRA. Banchi di Sopra, chiamata dai Senesi comunemente il Corso, si distende verso Piazza Salimbeni, verso il nuovo centro commerciale. E quando la strada, curvando leggermente, si allarga, lascia intravedere, voltandosi indietro, al di sopra dei palazzi, la parte terminale della Torre del Mangia, che si staglia sul fondo. SIAMO ARRIVATI NELLA PIAZZA FAMILIARMENTE DETTA DAI SENESI “PIAZZA DEL MONTE”, PER ESSERE INTERAMENTE OCCUPATA DAGLI EDIFICI DEL MONTE DEI PASCHI DI SIENA. NEL 1472 NASCE UN MONTE DI PIETÀ, UN ISTITUTO PER IL PRESTITO DEI SOLDI, CHE NEL SEICENTO DIVENTA LA BANCA FAMOSA OGGI IN TUTTO IL MONDO. ALL’INIZIO DELLA SUA ATTIVITÀ QUESTO ISTITUTO RICAVAVA SOLDI DAGLI AFFITTI DEI “PASCOLI” IN MAREMMA. PALAZZO SALIMBENI Il palazzo fu edificato nel XIV secolo, ampliando un castellare della famiglia Salimbeni preesistente del XII o XIII secolo, appoggiato alle 13 Dove il passato risale a galla fino a noi mura altomedievali nei pressi della chiesa di San Donato. La parte posteriore del palazzo mostra i segni più vistosi della sua edificazione medievale. Delle due torri originarie ne è rimasta una sola e si è conservato anche l'originario Fondaco dei Salimbeni. Nel 1419 fu confiscato dalla Repubblica senese e in parte adibito a Dogana del Sale e ufficio di Gabella. Dal 1472 vi ebbe sede anche il Monte Pio (Monte di Pietà), istituito per porre un freno alla diffusa pratica dell'usura. Nel 1866 il Monte Pio fu incorporato da un'altra istituzione, il Monte dei Paschi (cioè dei pascoli), che concedeva prestiti tenendo a garanzia delle sue operazioni le rendite pubbliche annue dei pascoli di Maremma, controllati appunto dal demanio senese. Nel 1866 il palazzo fu acquistato dal Monte dei Paschi, che ne fece la sua sede centrale. Fu quindi restaurato e rimaneggiato in stile neogotico dal 1877, ad opera di Giuseppe Partini, che demolì alcuni corpi e ne sopraelevò altri, aggiungendo strutture e paramenti in stile antico. Ancora nel Novecento fu condotto un restauro da Carlo Ariotti e Vittorio Mariani, quando furono rimaneggiati anche i palazzi laterali della piazza, che assunsero l’aspetto attuale. Nel 1959 il Monte dei Paschi di Siena decise di dare un nuovo assetto alla sua sede storica, ipotizzando anche la costruzione di un nuovo edificio alla Lizza nel quale trasferire parte dei servizi. Pierluigi Spadolini viene incaricato di questo 'progetto generale di restauro e riordino'. Il palazzo è in stile gotico senese. I rimaneggiamenti ottocenteschi e novecenteschi in stile neogotico hanno cercato di riprodurre lo stile della Siena del Trecento, con le trifore sotto archi a sesto acuto, la merlatura in alto e la fila ininterrotta di archi ciechi sotto di essa, tutti elementi che ricordano quelli del trecentesco palazzo Pubblico della stessa città. La facciata posteriore del palazzo, raggiungibile da via dell'Abbadia, è in cotto e serrata tra due poderosi torrioni. PIAZZA SALIMBENI La piazza è costeggiata su un lato dalla rinomata via Banchi di Sopra, che rappresenta anche l’unica via di accesso. Sul lato opposto si trova appunto il Palazzo Salimbeni, mentre a sinistra e a destra si trovano, rispettivamente, il Palazzo Tantucci, originariamente progettato alla metà del 1500 dal Riccio, e il Palazzo Spannocchi, originariamente |quattrocentesco (1470) e progettato da Giuliano da Maiano. Tutti e tre i palazzi furono rimaneggiati e restaurati nell’ottocento da Giuseppe Partini che dette all’intera piazza l’aspetto attuale. Al centro della piazza svetta la statua di Sallustio Bandini, opera di Tito Sarrocchi del 1882. 14 Dove il passato risale a galla fino a noi C) IL MONTE DEI PASCHI SI SCENDE PER LA COSTA DELL'INCROCIATA E SI PROSEGUE SU VIA DELLA SAPIENZA. SI IMBOCCA VIA DEL PARADISO. ARRIVIAMO A PIAZZA SAN DOMENICO. CI TROVIAMO DAVANTI ALLA CHIESA DOMENICANA (SEC. XIII), RICCA DI CAPOLAVORI ARTISTICI, DOVE È CONSERVATA LA RELIQUIA DELLA TESTA DI SANTA CATERINA DA SIENA. PROSEGUIAMO FINO AD UNA “ TERRAZZA” DA CUI POSSIAMO GODERE DI UN VASTO PANORAMA: A SINISTRA DOMINA L’IMPONENZA DEL CONVENTO E DELLA BASILICA DI SAN DOMENICO MENTRE SULLO SFONDO SPICCA IL DUOMO. SCHEDA DELLA BASILICA DI SAN DOMENICO La Basilica Gran parte della vita mistica di Santa Caterina si è svolta tra le mura di questa stupenda Basilica che è una delle prime dedicate al suo Santo Fondatore fu cominciata dai domenicani nel 1226 sul colle di Camporegio donato all'ordine dalla famiglia Malavolti. E' da attribuirsi a quest'epoca gran parte dell'attuale navata a pianta rettangolare con tetto a travature scoperte di stile gotico cistercense. Nella chiesa è conservata una magnifica maestà di Guido da Siena (maestro di Duccio di Boninsegna) datata 1221. Insieme alla Chiesa furono edificati il Capitolo, la Sagrestia Vecchia, il Refettorio e il Dormitorio. Il Chiostro fu affrescato da Lippo Memmi e Lippo Vanni. All'inizio del 1300, e per molti anni si lavorò nel dirupo scosceso di Fontebranda per fondare e tirare su i muri di quella che fu detta la Chiesa nuova (cripta e transetto). Quando Santa Caterina cominciò a frequentare San Domenico, si era già a buon punto coi lavori di ampliamento. Nella Cripta fu accolta la salma del padre della Santa. Nel transetto furono costruite sei cappelle che fanno ala all'abside. Dopo la canonizzazione della Santa nel 1461 la Basilica accolse i più preziosi codici cateriniani e molte reliquie. (I dodici codici, che nel 1700 furono posti dietro una tela del Sodoma nell'altare della Sacrestia formavano la cosiddetta "biblioteca verginale", oggi sono passati alla biblioteca comunale). La reliquia più insigne, la Sacra Testa, era stata portata da Roma a Siena dal Beato Raimondo da Capua nel 1383. Messa da prima in un busto di rame fu poi collocata in un busto d'argento (a breve visibile in Basilica). Nel 1711 si pensò di renderla più visibile e fu collocata in un'urna a forma di lampione, eseguita da Giovanni Piamontini (recentemente restaurata), nella quale rimase fino al 1947, quando i domenicani decisero di collocarla nell'attuale urna in argento e smalti a forma di tempietto gotico. Completati tutti i lavori, durati quasi due secoli, la Basilica fu dedicata interamente alla Santa. 15 Dove il passato risale a galla fino a noi Anche sull'altissima guglia del campanile fu issata una statua di Santa Caterina. Durante i secoli la Basilica ha subito vari danni, nel 1798 un terremoto devastò la struttura che fu prontamente restaurata, poi la Basilica fu lasciata a se stessa e restaurata anche male, finalmente si iniziarono i restauri nel 1940 che si conclusero nel 1962. Durante questi anni la Basilica fu sottoposta ad un radicale ripristino. (http://www.basilicacateriniana.com/storia.htm) CATERINA DA SIENA Caterina nasce a Siena il 25.3.1347, dal tintore Jacopo Benincasa e da Lapa di Puccio de’ Piacenti. E’ la 24.ma, gemella, di 25 fratelli e sorelle. All’età di sei anni (1353) ha la prima visione (via del Costone) di Cristo Pontefice, accompagnato dagli apostoli Pietro e Paolo e dall’evangelista Giovanni; è un’esperienza fondamentale per tutta la sua vita, infatti intuisce che deve rivolgere cuore e mente a Dio facendo sempre la Sua volontà. A sette anni fa voto di verginità perpetua; ma la famiglia ostacola la vocazione e la vorrebbe maritare. Le impediscono di avere una camera per sé e la costringono a servire in casa. Un giorno il padre la sorprende in preghiera con una colomba aleggiante sul capo. Decide allora di lasciare libera la giovane di scegliere la propria strada. Dopo anni di preghiere e penitenze, riceve (1363) l’abito domenicano del Terz’ordine (Mantellate, laiche). Nella sua cameretta, molto spoglia, conduce per alcuni anni vita di penitenza. A venti anni (1367) impara a leggere, riceve l’anello delle mistiche nozze con Gesù, detta le prime lettere, ha inizio la sua attività caritativa: poveri, malati, carcerati, spesso ripagata da ingratitudine e calunnie. Nel 1368 muore il padre. Nel 1370 avviene lo scambio dei cuori tra Caterina e Gesù. Nel 1371 si aggiungono a Caterina i primi discepoli, chiamati per scherno “caterinati”. Nel 1373 Caterina comincia ad indirizzare lettere a personalità di rilievo del mondo politico. Nel maggio del 1374 è a Firenze, dove acquista nuovi amici e discepoli. In questo stesso periodo le è dato come direttore spirituale fra Raimondo da Capua (suo biografo postumo). Nell’estate si prodiga a Siena per assistere gli appestati. Nell’autunno è a Montepulciano. Nel 1375 viaggia a Pisa ed a Lucca, per dissuadere i capi delle due città dall’aderire alla lega antipapale. Il 1° aprile (in S.Cristina, Pisa) riceve le stimmate (invisibili). Si colloca in quest’anno l’eccezionale vicenda di Niccolò di Toldo, assistito da Caterina fin sul palco dell’esecuzione capitale. Nel 1376, a maggio, parte per Avignone, arrivando il 18 giugno; il 20 vede Gregorio XI, che si decide a partire per l’Italia il 13 16 Dove il passato risale a galla fino a noi settembre, passando da Genova, dove Caterina lo convince di nuovo a proseguire il viaggio per Roma (dove arriva il 17.1.1377). Tornata a Siena, Caterina fonda il monastero di S.Maria degli Angeli, nel castello di Belcaro. In estate si reca in Val d’Orcia per pacificare due rami rivali dei Salimbeni e qui riceve quella straordinaria illuminazione sulla Verità che sta alla base del Dialogo; impara anche a scrivere. Nel 1378, su incarico del Papa, va a Firenze per trattare la pace (ottenuta il 18 luglio). Frattanto Gregorio XI è morto (27 marzo) e gli succede Urbano VI (8 aprile), osteggiato nel collegio dei cardinali che (20 settembre) eleggono Clemente VII (Roberto di Ginevra): è l’inizio dello scisma d’occidente. Caterina, chiamata a Roma da Urbano VI (28 novembre), nel concistoro incoraggia fervorosamente il Pontefice ed i cardinali rimasti fedeli. Nel 1379 è intensa l’attività epistolare per dimostrare a prìncipi, uomini politici ed ecclesiastici, la legittimità dell’elezione di Urbano VI. Caterina si consuma nel dolore per la Chiesa divisa: se ne trova un’eco nelle Orazioni che i discepoli colsero dalle sua labbra. La rivolta dei romani (1380) contro Urbano VI è per Caterina nuovo motivo di sofferenza. Quasi allo strenuo delle sue forze riesce ancora, sotto l’impeto della volontà, ad andare ogni mattina a S.Pietro e trascorrervi l’intera giornata in preghiera. Ma dalla metà di febbraio è immobilizzata a letto. Muore il 29 aprile 1380 sul mezzogiorno (da circa un mese ha compiuto 33 anni). E’ sepolta in S. Maria sopra Minerva. Successivamente Raimondo da Capua soddisferà il desiderio dei senesi portando a Siena il capo della Santa, tuttora in San Domenico. Il corpo, dal 1855, si trova sotto l’altare maggiore della Basilica minerviana a Roma.Nel 1461 (29 giugno) Pio II (Enea Silvio Piccolomini, senese e già vescovo di Siena) proclama Caterina santa (festa: prima domenica di maggio; successivamente 30 aprile, ed oggi il 29 aprile, giorno del transito). Nel 1866 (8 marzo) Pio IX proclama Caterina compatrona di Roma. Nel 1939 (18 giugno) Caterina da Siena e S.Francesco d’Assisi sono proclamati da Pio XII patroni primari d’Italia. Nel 1970 (4 ottobre) Paolo VI riconosce a Caterina il titolo di Dottore della Chiesa Universale. Il 1.10.1999 Giovanni Paolo II proclama Caterina compatrona d’Europa. (http://www.caterinati.org/vitaeopere.htm) CATERINA E IL PAPA / CATERINA E L'EPISODIO DELL'ESECUZIONE CAPITALE Un giovane gentiluomo perugino, Niccolò di Toldo, reo soltanto di avere criticato il senatore che reggeva la repubblica di Siena, fu processato e condannato a morte. Ritenendosi vittima di una grave ingiustizia, lo sventurato cominciò a inveire contro il verdetto e rifiutò di ricevere i Sacramenti.Il caso destò infinita pietà tra gli abitanti della città, che invano si adoperarono perché la condanna venisse revocata. Allora, non volendo che il giovane morisse disperato, si rivolsero a Caterina, che in quel momento si trovava a Pisa. La Santa rispose subito all'appello: raggiunse Siena e andò a trovare nel carcere il 17 Dove il passato risale a galla fino a noi povero giovane. Dopo avere parlato con lei, Niccolò divenne un altro: calmo, sereno, accettò di confessarsi e di comunicarsi, perdonò i suoi giudici, si disse pronto a subire il supplizio. Caterina lo accompagnò fin sul palco dell’esecuzione. Quando il boia fece cadere la sua mannaia, ella accolse pietosamente nelle proprie mani la testa mozza del condannato e la tenne stretta come quella di un martire, come quella di un’ennesima vittima delle fazioni contro le quali si batteva continuamente in nome dì Gesù. SCENDIAMO PER VIA CAMPOREGIO. In passato il Vicolo di Camporegio era un semplice viottolo sterrato detto Costa del Serpe, probabilmente dalla presenza dei serpenti tra la vegetazione spontanea che ricopriva la scoscesa. PRENDIAMO LA SCALINATA A DESTRA FINO A FONTEBRANDA FONTEBRANDA – PARCO DELLE RIMEMBRANZE Fontebranda è l’antica fonte celebrata da Dante (XXX canto Inferno). Fin dal medioevo questa zona è stata la sede di insediamenti artigiani e successivamente dei macelli pubblici. Aperta sulle mura edificate nella metà del secolo XIII e all’interno del quartiere abitato sin dal primo Medioevo dagli artigiani dell'Arte della Lana, la cui organizzazione produttiva necessitava di un copioso approvvigionamento idrico. La fonte è caratterizzata da tre ampie arcate gotiche ogivali sormontate da merli e una fila di archi ciechi con motivi triangolari. Il frontale è ornato da quattro zampilli leonini con al centro lo stemma di Siena. All’interno, oltre la vasca di contenimento dell’acqua, si snodano nel sottosuolo di (arenaria oltre 25 kilometri di condutture, in parte scavate ed in parte murate denominate "bottini" per la particolare forma delle gallerie con volta a botte alte circa 1,75 m e larghe 0,90 m. Oggi è possibile percorrere a piedi questi cunicoli dove l’acqua piovana, raccolta in un piccolo canale intagliato nel camminamento denominato "gorello" scorre con una inclinazione di un metro per ogni kilometro fino a raggiungere le fonti cittadine dalle sorgenti collocate nella campagna senese. Tali condutture in uso fin dal secolo XII sono state in grado di soddisfare l’approvvigionamento idrico della città raccogliendo le infiltrazioni delle acque piovane fino all’avvento del moderno acquedotto agli inizi del Novecento: oggi riforniscono ancora le fonti pubbliche cittadine. Uno dei due rami principali dei bottini ed il più antico è quello maestro di Fontebranda, lungo 7,5 km. che da Fontebecci e dal ramo di Chiarenna nella zona nord di Siena scorre a notevole profondità. L’altro ramo maestro lungo 15,7 km. e più superficiale è quello di Fonte Gaia che alimenta la nota fonte in piazza del Campo e altre poste a quote minori. 18 Dove il passato risale a galla fino a noi Fontebranda era originariamente formata da un susseguirsi di tre vasche di cui la prima era destinata a contenere l’acqua potabile e la seconda, oggi interrata alimentata tramite il trabocco dalla precedente era utilizzata per l’abbeveraggio degli animali e la terza era utilizzata come lavatoio. Infine le acque di risulta venivano usate dai conciatori e nei laboratori dell’Arte dei Tintori e dai mugnai come forza motrice nei mulini dislocati lungo il suo corso. GIRIAMO PER IL VICOLO DEL TIRATOIO. E' in fondo a Via della Galluzza, accanto al Santuario di Santa Caterina. Qui aveva sede la più importante manifattura dell'Arte della Lana ed avevano luogo le operazioni più importanti per la produzione della stoffa, come la tintura e la gualcatura o pestaggio dei panni per dare morbidezza ai tessuti. ARRIVIAMO AL SANTUARIO DI SANTA CATERINA. Il santuario incorpora l'antica dimora dei Benincasa, casa natale di santa Caterina e si articola in vari portici, loggiati, chiese e oratori. La casa della santa affaccia ancora oggi sul vicolo del Tiratoio, ed è riconoscibile per il portale rinascimentale in pietra con l'iscrizione "Sponsae Kristi Catherine Domus" e per la loggetta soprastante, con colonnine in cotto. Al complesso si accede dal neorinascimentale portico dei Comuni d'Italia, voluto dall'arcivescovo di Siena Mario Toccabelli per festeggiare la proclamazione di santa Caterina a Patrona d'Italia da parte di papa Pio XII nel 1939, proclamazione chiesta a gran voce dall'arcivescovo stesso (l'evento è ricordato da una targa). Il portico fu iniziato nel 1941, anno in cui ogni comune d'Italia contribuì alle spese della sua costruzione con una cifra simbolica equivalente al costo di un mattone. Da questo fatto curioso deriva il nome del portico. I lavori furono subito interrotti a causa della guerra, e furono terminati solo nel 1947. Il portico riporta anche i busti dei vari papi che riconobbero la santità e l'importanza di santa Caterina nella storia della chiesa. Questi includono Pio II, che la proclamò santa nel 1461, Pio XIII, che la proclamò patrona d'Italia, Paolo VI, che la nominò Dottore della Chiesa nel 1970, e Giovanni Paolo II, che la proclamò patrona d'Europa nel 1999. Il portico include anche un pozzo rinascimentale, progettato forse da Baldassarre Peruzzi nella prima metà del Cinquecento. Si accede quindi ad altri due loggiati, di cui il primo, più antico, fu eretto nel 1530-1550 da Giovan Battista Pelori, allievo del più famoso Baldassarre Peruzzi. Il secondo loggiato è moderno e reca una statua in stucco di grosse dimensioni, raffigurante Santa Caterina e progettata come modello della statua che si trova sulla fortezza. La chiesa del Crocifisso Accessibile dal terzo portico, la chiesa del Crocifisso fu costruita tra il 1614 e il 1623, sul terreno che secondo la tradizione ospitava l'orto della famiglia 19 Dove il passato risale a galla fino a noi Benincasa. Scopo della sua costruzione era quello di ospitare il "Crocifisso" miracoloso dal quale Caterina ricevette le stimmate nel 1375. Il crocifisso, di scuola pisana e risalente alla seconda metà del XII secolo, proviene dalla chiesa di Santa Cristina a Pisa, teatro dell'evento miracoloso. Fino al 1623, anno di consacrazione della chiesa, il crocifisso si trovava nel sottostante oratorio della Camera ed è ora collocato nell'altare maggiore entro una cornice dorata e fiancheggiato da sportelli cinquecenteschi dipinti da Bartolomeo Neroni, con le figure di Santa Caterina e San Girolamo. L'altare di marmo è invece del fiorentino Tommaso Redi e risale al 1649. La chiesa contiene varie tele seicentesche, dipinte da vari autori e raffiguranti scene della vita di santa Caterina. L'oratorio della cucina Di fronte alla chiesa del Crocifisso si trova l'oratorio Superiore o "della Cucina". Questo locale era in origine la cucina della famiglia Benincasa (famiglia della santa) e contiene ancora oggi, sotto l'altare, i resti del focolare, sui cui tizzoni ardenti Caterina cadde in estasi rimanendo illesa. Oratorio della Camera Scendendo le scale dallo stesso loggiato si accede ad un altro oratorio con tele ottocentesche di Alessandro Franchi e Gaetano Marinelli, descriventi ancora scene della vita della santa. L'oratorio contiene anche una tela antica sull'altare, le Stimmate di santa Caterina di Girolamo di Benvenuto (inizio XVI secolo). Dall'interno dell'oratorio si può osservare il cubicolo in cui riposava Caterina. Qui si conservano varie reliquie ed è visibile sul pavimento la sporgenza in pietra usata dalla santa come cuscino per dormire in terra. Dentro un armadio sono conservati molti ex voto e i libri con i nomi dei componenti l'Associazione internazionale dei Caterinati. Scendendo ancora le scale si raggiunge l'oratorio di Santa Caterina in Fontebranda, o "della Tintoria", un locale corrispondente al luogo in cui sorgeva la tintoria del padre di Caterina, trasformato in chiesa nel 1465-1474. SI PROSEGUE SU VIA SANTA CATERINA , SI SUPERA L'INCROCIO CON VIA DELLE TERME. SI CONTINUA SUL VICOLO DELLA ROSA: SI PERCORRE UN BREVE TRATTO DI VIA DEI TERMINI PER GIRARE SUBITO A SINISTRA SU VICOLO DELLA TORRE. SI RAGGIUNGE PIAZZA TOLOMEI. TRA I VICOLI DELLA TORRE E DEL COLTELLINAIO DOMINA L’ELEGANTE PALAZZO TOLOMEI COSTRUITO IN PIETRA GRIGIA E INGENTILITO DA BIFORE. DAVANTI AL NOBILE PALAZZO C ’È LA CHIESA DI SAN CRISTOFORO (XI SECOLO). Palazzo Tolomei La nota famiglia senese si insediò in Italia a seguito della venuta di Carlo Magno e, nella città toscana, fu tra le prime a distinguersi nell'arte del cambio, divenendo una potente famiglia di banchieri, proprietari di torri e castelli nei territori tra la Montagnola Senese e la Maremma. Appartenente a questa famiglia fu Pia dei Tolomei, citata da Dante nel V Canto del Purgatorio, in cui si racconta la sua 20 Dove il passato risale a galla fino a noi morte ad opera del marito, che gettò la donna da una finestra del suo castello, in Maremma. In questa zona di Siena, all'epoca fuori dalle mura, la famiglia possedeva nell'XI e XII secolo un castellare, che ne testimonia la già raggiunta ricchezza. Il palazzo attuale fu edificato a partire prima del 1205, data che ne fa la più antica residenza privata sopravvissuta a Siena, sebbene poi venne rifatto nei soli piani superiori dopo il 1267, dopo la quasi distruzione dell'edificio ad opera dei Ghibellini. Nel 1277 la residenza dei Tolomei subì un incendio che però non compromise la bellezza del palazzo, oggi frutto di un'abile restaurazione del 1971 e sede della Cassa di Risparmio di Firenze. La facciata in pietra grigia del palazzo rivela le sue linee tipicamente duecentesche, con due piani molto distanziati divisi da cordoni di ricorso e alleggeriti da due file di cinque eleganti bifore, sormontate da archetti acuti e occhi trilobi. LETTURA 6: «RICORDATI DI ME», IL MISTERO DI PIA DE’ TOLOMEI (...) Ed ecco una nuova schiera. Sono gli spiriti «già per forza morti / e peccatori a l' ultima ora». Camminano in processione cantando il Miserere. Parleranno Jacopo del Cassero, Bonconte da Montefeltro, prima che si alzi la voce mite di Pia de' Tolomei. Un' Accusa Precisa «Deh, quando tu sarai tornato al mondo, / e riposato della lunga via», / seguitò il terzo spirito al secondo, // «ricorditi di me che son la Pia: / Siena mi fé; disfecemi Maremma: / salsi colui che ' nnanellata, pria, // disposando m' avea con la sua gemma» Purgatorio, Canto V, vv. «Ricordati di me», il mistero di Pia de’ Tolomei Dante indaga su un triangolo d’ amore con omicidio: il mandante è il marito, innamorato di un’ altra «Abbiamo poco tempo ». Dante guardò Virgilio che già si stava allontanando nella folla, ma gli volgeva le spalle e quindi, forse, qualche secondo ce l’ aveva ancora. «Sei Pia de’ Tolomei» disse, e la ragazza sorrise, un sorriso pallido, evanescente e rapido, ma sì, era un sorriso. «Lo ero» disse. «Adesso sono qui». Dante lanciò un’ occhiata a Virgilio, un altro passo da solo, in mezzo alla folla, e il maestro si sarebbe voltato a cercarlo. «Perché?» le chiese. «Perché ti ha ucciso?». «Perché me lo chiedi? Perché a me e non agli altri?». Virgilio, ancora di spalle, un po’ più avanti. Dante si avvicinò alla ragazza, premendosi nella calca che gli si stringeva attorno, cercando di ignorare tutte quelle mani che lo sfioravano, tutti quei bisbigli. «Non lo so» disse, veloce. «Perché sei l’ ultima che ha parlato. Perché non hai detto quasi niente e mi hai incuriosito. No, non è 21 Dove il passato risale a galla fino a noi vero ». Dov’ era Virgilio? Avanti, ancora avanti, nella folla. «Non, non è vero , è perché hai detto ricordati, l’ hai sospirato, con tanta passione e tanta malinconia che mi ha colpito. Ti ho riconosciuto ». La ragazza abbassò gli occhi e sorrise ancora. Dante pensò che fosse quello che le faceva piacere, essere riconosciuta, essere nominata, come se ci fosse, se ci fosse ancora. «Sei Pia de’ Tolomei, la moglie di Nello d’ Inghirano, signore del castello della Pietra». Il sorriso si fece un po’ più forte, più vivo, quando lui nominò il castello. «Lo ero» ripetè lei, ma Dante non l’ ascoltò. Scosse la testa, tutti quei bisbigli attorno, quelle mani sulle spalle e sulle braccia, aggrappate a lui per attirare la sua attenzione. Dov’ era Virgilio? Dante si infilò ancora più dentro, nella calca. «Ti ha fatto uccidere tuo marito, lo so, lo sappiamo. Ma perché? Ci deve essere un motivo! Tu lo sai, puoi dirmelo!». La ragazza non smise di sorridere, solo il sorriso si appannò appena, come se sul viso le fosse passata un’ ombra. Ma non era possibile, perché di ombre, a parte quella di Dante, lì non ce n’ erano. «Perché ti ha ucciso?». «Perché lo vuoi sapere?». «Non lo so» disse Dante. «Non lo so» ripetè, pensando, «forse perché hai detto ricordati in quel modo o forse perché sono un uomo e non mi piacciono i misteri, non quelli del mio mondo, almeno. Perché ti ha ucciso?». Dov’ era Virgilio? Più avanti, nella folla. Ma si era fermato. Poteva vederlo anche senza voltare la testa, con la coda dell’ occhio. Poteva sentirlo. Aspetta, pensò, aspetta ancora solo un secondo, per favore, non ti voltare «Ho perdonato» disse la ragazza. «Lo so. Non saresti qui se non l’ avessi fatto. Ma non importa, per me non è questo il punto». Virgilio aveva irrigidito le spalle. Come se stesse per voltarsi. Dante non lo guardò. Sguardo attira sguardo. Guardò la ragazza, il suo sorriso pallido. «È stata colpa tua» disse Dante. «Lo avevi tradito e lui ti ha punito come ha ritenuto giusto fare. Ha mandato un sicario e ti ha fatto uccidere». Un’ altra ombra sul sorriso. Veloce, appena appena. Virgilio si stava voltando. Allargava le braccia per farsi strada nella folla, e si stava girando. «Oppure no, non è stata colpa tua ma sua, di Nello. Voleva un’ altra moglie, più giovane, più bella, più ricca, un’ altra moglie e si è sbarazzato di te come ha potuto. Ha mandato un sicario e ti ha fatto uccidere». «E che differenza fa? Io sono morta». «La fa per me. Voglio sapere ». Virgilio si era voltato. Aveva anche fatto un passo indietro, e allungato il collo per guardare oltre le teste. Dante si protese ancora in avanti, immerso nelle mani e nelle voci, così vicino alla ragazza, quasi da toccarla. «Ho perdonato» sussurrò lei, con la stessa passione e la stessa malinconia di quando aveva detto ricordati. «Colpa mia, colpa sua perché mi ha ucciso non importa. E poi ». Eccolo, Virgilio. Lo aveva visto. Forse aveva notato un lembo della sua veste o aveva scorto il riflesso dei suoi capelli. Oppure la sua ombra, l’ unica. Comunque lo aveva visto e stava arrivando. Dante si spinse ancora più avanti. Ancora qualche bisbiglio e qualche mano a fare da barriera, ancora qualche secondo. La ragazza alzò una mano. Toccò il viso di Dante con la punta delle dita ed era un tocco fresco e sottile, come un alito di vento. «E poi » sussurrò, «se adesso te lo dico, dopo non sarò più niente. Un fatto, una notizia, 22 Dove il passato risale a galla fino a noi qualcosa che riguarda Nello, la sua colpevolezza, la sua innocenza, qualcosa per lui quando tornerai nel mondo. E io? Io?». Virgilio si era fatto strada nella folla. La mano che lo toccava sulla spalla era la sua. La voce decisa e forte che si apriva tra le altre e lo chiamava. Non c’ era più tempo. Non c’ era più tempo. «Ti prego» disse Dante nell’ ultimo secondo. «Perché ti sei fermato?» stava dicendo Virgilio. «Non dare retta a questi bisbigli. Abbiamo ancora molta strada da fare e di gente ne incontrerai anche altra». Dante alzò gli occhi in quelli della ragazza. Per un momento non sentì nient’ altro, niente folla, niente mani e niente bisbigli, neanche le dita di Virgilio sulla sua spalla. Per un momento rimasero soltanto lui e lei, e lei schiuse le labbra. Sorrideva, sempre, ma non era solo un sorriso, era anche qualcos’ altro. Stava per dire qualcosa. «Andiamo» disse Virgilio. Tirò indietro Dante stringendolo per un lembo della veste e lo fece così forte che Dante vacillò sulla gambe e quasi stava per cadere. Voltò le spalle alla ragazza ma anche se non la vedeva sentiva che stava ancora schiudendo le labbra, e non era solo un sorriso. Sì, stava per parlare. Virgilio trascinò Dante nella folla. Mani e bisbigli si chiudevano come acqua alle sue spalle, tanti, troppi, tra lui e la ragazza. Fece uno sforzo per voltarsi, quasi strappandosi da sotto alla mano del maestro, per guadagnare un secondo, un secondo ancora. Lei aprì la bocca e la sua voce arrivò fino a lui in un sussurro, forte appena da farsi sentire. «Ricordati di me» gli disse, e poi scomparve. Lucarelli Carlo CHIESA DI SAN CRISTOFORO L'edificio, con pianta a croce latina, risale all'XI-XII secolo e nel Medioevo fu utilizzato anche per le riunioni del Consiglio Generale del Comune. A successivi rimaneggiamenti si devono le volte ei i pilastri aggiunti nel 1711. La chiesa fu gravemente danneggiata dal terremoto del 1798, dopo di ché fu ridotta di lunghezza e, nel 1800, dotata di una nuova facciata in laterizio di forme neoclassiche, scandita da quattro colonne sovrastate da un timpano con trabeazione, opera di Tommaso e Francesco Paccagnini. Le due statue nelle nicchie raffigurano il Beato Bernardo Tolomei e Beata Nera Tolomei, opere di Giuseppe Silini del 1802. La chiesa venne inoltre interessata da pesanti ripristini nel Novecento, soprattutto nella zona presbiteriale. Nell'interno, a navata unica e dotato di cupola, spiccano la Madonna col Bambino e i santi Luca e Romualdo di Girolamo del Pacchia (1508 circa), l'affresco con la Pietà e i simboli della Passione di Martino di Bartolomeo, e il gruppo marmoreo del Transito di san Benedetto di Giovanni Antonio Mazzuoli (1693). Il piccolo chiostro, accessibile da via del Moro, è un suggestivo ambiente romanico risalente al XII secolo e ripristinato nel 1921. Secondo la tradizione vi è sepolto il poeta senese Cecco Angiolieri. 23 Dove il passato risale a galla fino a noi LETTURA 7: L'ANNO DEL PALIO MALEDETTO Nella piazza del Campo, è un rumore sordo quello che ti prende. La Tartuca ha tagliato il traguardo. Ha vinto Istriceddu, guidato dal re dei fantini, Gigi Bruschelli detto Trecciolino, il più vecchio della piazza, il più duro di tutti: l’hanno chiamato così perché era il soprannome di uno che non mollava mai. Ma alla fine della corsa fanno la conta delle disgrazie. Hanno ricoverato una operaia che non sapeva quel che le era successo: aveva perso la memoria. Un fantino aveva una frattura alla gamba. E a una signora belga di 50 anni stanno facendo la tac: è stata colpita dalla bandiera della Civetta, volata tra il pubblico durante la sfilata. La sera prima c’era stato un morto, alla cena della Civetta. Sembra una maledizione. La maledizione del Palio delle contrade verdi, dicono da queste parti. Ce ne sono quattro che hanno questo colore nelle loro bandiere, e ieri, come capita di rado, erano tutte in piazza, Bruco, Oca, Selva e Drago. A Siena dicono che il Palio è come la vita. Nella vita c’è tutto, ci sono anche i conti da pagare. E il destino non ha tempo per fermarsi, proprio come il Palio. Nella notte della vigilia, alle due e mezzo, una pietra caduta da un balcone aveva ucciso Alain Enfaux, il capo delegazione della città di Avignone ospite del Comune di Siena: era stato invitato alla cena della Civetta (...) Il Palio non ha potuto fermarsi, perché, come s’affretta a spiegare il sindaco Maurizio Cenni, «questa tragica fatalità non ha nessun collegamento diretto con il Palio. Siamo tornati a casa alle 4 e 40 stanotte, e abbiamo cercato tutti di stare vicini al nostro amico: questa è una città fatta più di anima e sentimenti che di altre cose. Abbiamo anche deciso di fare un minuto di raccoglimento prima della prova, una dimostrazione che noi di solito riserviamo solo alle grandi figure del Palio. I vigili hanno deciso di non mettere l’alta uniforme, in segno di cordoglio». (…) (La Stampa 17 agosto 2010) PASSIAMO DAVANTI ALLA PASTICCERIA NANNINI E SI GIRA A SX IN VIA BANCHI DI SOTTO. ARRIVATI ALL'ANGOLO CON LA SEDE DELL'UNIVERSITÀ DI SIENA SI GIRA IN VIA SAN VIGILIO. La Via di S. Vigilio incontra VIA SALLUSTIO BANDINI dinanzi al bel palazzo rinascimentale Bandini Piccolomini (n.c. 25), opera di Antonio Federighi (1465 circa), oggi adibita a segreteria dell’Università. Una lapide commemorativa attesta che vi ebbe i natali l’economista senese, a cui, dal 1871, è intitolata la via. La strada unisce Via del Refe Nero a Via di Follonica con due tratti ben distinti: il primo è pianeggiante e nel Seicento fu chiamato Via dei Miracoli; l’altro, quello che lascia S. Vigilio, è tutto in discesa e in 24 Dove il passato risale a galla fino a noi passato i Senesi si riferivano ad esso con il popolare appellativo di Via della Staffa. Il tratto che ebbe nome Via dei Miracoli (nel solo lato adiacente al Castellare ed al complesso di S. Cristoforo) appartiene alla Contrada Priora della Civetta. Il toponimo di Via dei Miracoli nacque perché in questa strada avvenne il maggior numero dei prodigi operati dalla Madonna di Provenzano. Questo appellativo popolare non piacque agli amministratori comunali che redassero lo “Stradario Mazzi”; pertanto il toponimo fu fatto scomparire e tutta la strada, da S. Giovannino in Pantaneto fino all’incrocio di Via del Moro, fu dedicata all’economista Sallustio Antonio Bandini (1677-1760). L’illustre personaggio nacque da Caterina Piccolomini di Modanella sposata Bandini. Intraprese la carriera ecclesiastica ed acquisì vasta cultura: s’interessò di economia, di agricoltura, di letteratura e persino di problemi di assistenza sociale. Il Bandini fu assertore della libertà di scambio e di una maggiore giustizia sociale e tributaria. La sua opera più famosa fu il “Discorso economico sulla Maremma Senese” (1737), che ispirò la politica riformistica del granduca Pietro Leopoldo, il quale però volle dare alle stampe l’opera soltanto quindici anni dopo la morte dell’economista senese. Sallustio Bandini rivestì anche importanti cariche pubbliche e fu presidente dell’Accademia dei Fisiocritici. Sallustio Bandini è ritenuto l'inventore della Cambiale, ma quest'invenzione da alcuni è anche attribuita a Francesco Datini. Nel 1785 donò alla Sapienza senese la sua ricchissima collezione libraria, che divenne il nucleo originario della Biblioteca degli Intronati. La statua di Sallustio Antonio Bandini, opera di Tito Sarrocchi (1880), orna Piazza Salimbeni davanti all’Istituto Bancario simbolo dell’economia senese nel mondo. Via Sallustio Bandini è una delle strade più tipiche di Siena. Si formò nel Duecento lungo la cinta murata, che andava dalla Porta di S. Cristoforo a quella di Follonica, appena interrotta dalla porticciola di S. Vigilio. http://www.contradadellacivetta.it/angiolieri-cecco/ SI GIRA SU VIA ANGIOLERI E SI GIRA A DX SU VICO DEL CASTELLARE. CASTELLARE DEGLI UGURGIERI 25 Dove il passato risale a galla fino a noi Il Castellare degli Ugurgieri è una struttura medievale situata tra via San Vigilio e via Angiolieri. Unico e intatto ambiente del genere conservatisi nella città, è un nucleo fortificato medievale, risalente all'inizio del XIII secolo e oggi inglobato nelle cortine murarie degli edifici residenziali circostanti. Si trattava dell'abitazione fortificata già a ridosso delle mura, appartenente alla famiglia Ugurgieri, ricchi feudatari inurbati e organizzati in consorteria con altre famiglie, che si trovava strategicamente prossima al passaggio della via Francigena (attuali via Banchi di Sotto/via di Pantaneto). Da un angusto passaggio si accede alla corte del castellare, serrata tra alti paramenti murari ingentiliti da aperture gotiche che rappresentano il retro dell'antica casa-torre familiare (il fronte è su via Angiolieri). Oggi negli edifici del castellare ha sede la contrada priora della Civetta, che vi tiene anche un museo dotato di pregevoli maioliche medievali rinascimentali. D) SIENA NEL 1300 SI ESCE SU VIA VIGILIO CHE SI PRENDE A SX. QUINDI SI GIRA A SX SU VIA BANDINI FINO AD INCROCIARE VIA DEL MORO. DA QUI SI PUÒ ACCEDERE AL CHIOSTRO DELLA CHIESA DI SAN CRISTOFORO DOVE SI DICE SIA SEPOLTO CECCO ANGIOLIERI. CECCO ANGIOLIERI (Siena, 1260 circa – Siena, 1312) è stato un poeta e scrittore italiano, contemporaneo di Dante Alighieri e appartenente alla storica casata nobiliare degli Angiolieri. La critica contemporanea sostiene che Cecco fu meno ribelle di come lo presentarono i romantici, i quali lo rivendicarono con forza ai loro ideali. È fuori di dubbio, comunque, che visse una vita perlomeno avventurosa. Cecco Angiolieri nacque a Siena nel 1260, nella ricchezza più totale e muore con molti debiti nel 1312 circa. Il padre era il ricco banchiere Angioliero degli Angiolieri. Quest'ultimo era anche cavaliere, fece parte dei Signori del Comune nel 1257 e nel 1273 e appartenne all'ordine dei Frati della Beata Gloriosa Vergine Maria, i cosiddetti "Frati gaudenti", e partecipò col figlio alla guerra di Arezzo del 1288. La madre era Lisa de' Salimbeni, appartenente alla potente famiglia senese. Nel 1281 era fra i Guelfi senesi all'assedio dei concittadini ghibellini asserragliati nel castello di Torri di Maremma nei pressi di Roccastrada (la famiglia di Cecco aveva infatti tradizioni guelfe), e fu 26 Dove il passato risale a galla fino a noi più volte multato per essersi allontanato dal campo senza la dovuta licenza. Da altre multe fu colpito a Siena l'anno successivo, l'11 luglio 1282, per essere stato trovato nuovamente in giro di notte dopo il terzo suono della campana del Comune. Un ulteriore provvedimento lo colpì nel 1291 in circostanze analoghe. Oltretutto, nel 1291 fu implicato nel ferimento di Dino di Bernardo da Monteluco, pare con la complicità del calzolaio Biccio di Ranuccio, ma solo quest'ultimo fu condannato. Militò come alleato dei fiorentini contro Arezzo nel 1289 ed è possibile che qui abbia conosciuto Dante Alighieri. Il sonetto 100, datato tra il 1289 e il 1294, sembra confermare che i due si conoscessero, in quanto Cecco si riferisce a un personaggio (un mariscalco) che entrambi dovevano conoscere di persona (Lassar vo’ lo trovare di Becchina, / Dante Alighieri, e dir del mariscalco). Intorno al 1296 fu allontanato da Siena, a causa di un bando politico. Si desume dal sonetto 102 (del 1302-1303), indirizzato a Dante allora già a Verona, che in quel periodo Cecco si trovasse a Roma (s'eo so’ fatto romano, e tu lombardo). Non sappiamo se la lontananza da Siena dal 1296 al 1303 fu ininterrotta. Il sonetto testimonierebbe anche della definitiva rottura tra Cecco e Dante (Dante Alighier, i’ t’averò a stancare / ch'eo so’ lo pungiglion, e tu se’ ’l bue). Tuttavia non sono attestate risposte (tantomeno proposte) dantesche, per cui, se tenzone fra i due vi fu, ci rimane solo la parte composta da Cecco (e non sappiamo nemmeno se è tutta, peraltro). Inoltre, nelle opere di Dante, Cecco non è mai nominato, né suoi componimenti sono citati. Nel 1302 Cecco svendette per bisogno una sua vigna a tale Neri Perini del Popolo di Sant'Andrea per settecento lire ed è questa l'ultima notizia disponibile sull'Angiolieri in vita. Proprio per questa ragione si oppose a ogni forma di politica proclamandosi una persona libera e indipendente. Si ritiene che questa sua imposizione sia dovuta al bando politico che lo allontanò da Siena. Dopo il 1303 fu a Roma, sotto la protezione del cardinale senese Riccardo Petroni. Da un documento del 25 febbraio 1313 sappiamo che i cinque figli (Meo, Deo, Angioliero, Arbolina e Sinione - un'altra figlia, Tessa, era già emancipata) - rinunciarono all'eredità perché troppo gravata dai debiti. Si può quindi presupporre che Cecco Angiolieri sia morto intorno al 1310, forse tra il 1312 e i primi giorni del 1313. La tradizione lo vuole sepolto nel chiostro romanico della Chiesa di San Cristoforo a Siena. "S'I' FOSSE FOCO" 27 Dove il passato risale a galla fino a noi All'inizio del Trecento, epoca in cui la poesia era dominata dal "Dolce stil novo", che rappresentava l'amore con immagini di grande delicatezza e ricercata eleganza, l'irriverente Cecco Angiolieri compose versi di forte provocazione e che tessevano l'elogio delle passioni terrene. Il celebre sonetto "S'i' fosse foco, " appartiene a una secolare tradizione letteraria goliardica improntata all'improperio e alla dissacrazione delle convenzioni. L'Angiolieri si colloca all'interno, e sulla vetta di una "scuola" poetica parodistica che è quella dei poeti giocosi; fra i quali si annoverano Rustico di Filippo, Meo de' Tolomei, Folgore da San Gimignano, Pieraccio Tedaldi, Pietro dei Faitinelli. Lo stile "giocoso" lascia spazio in questo componimento a una disperazione immortale. LETTURA 8: S'I' FOSSE FOCO S'i' fosse foco, ardere' il mondo; s'i' fosse vento, lo tempestarei; s'i' fosse acqua, i' l'annegherei; s'i' fosse Dio, mandereil'en profondo; s'i' fosse papa, serei allor giocondo, ché tutti cristïani embrigarei; s'i' fosse 'mperator, sa' che farei? a tutti mozzarei lo capo a tondo. S'i' fosse morte, andarei da mio padre; s'i' fosse vita, fuggirei da lui: similemente faria da mi' madre, S'i' fosse Cecco, com'i' sono e fui, torrei le donne giovani e leggiadre: le vecchie e laide lasserei altrui. » (Cecco Angiolieri) SI SCENDE PER VIA DEL MORO E SI GIUNGE A PIAZZA PROVENZANO. BASILICA DI PROVENZANO La Basilica di Provenzano fu solennemente consacrata il 23 ottobre 1611, con la collocazione della terracotta della Vergine sull’altare maggiore. Il Palio del 2 Luglio viene corso in onore della Madonna di Provenzano. 28 Dove il passato risale a galla fino a noi PROVENZANO SALVANI (Siena, 1220 circa – Colle di Val d'Elsa, 17 giugno 1269) è stato un condottiero italiano. Nobile comandante, nipote della nobildonna senese Sapia Salvani, con la quale non condivideva le idee politiche durante la lotta tra Guelfi e Ghibellini, fu a capo della parte ghibellina della Repubblica di Siena che era maggioritaria in città. Nel 1260 ebbe un ruolo di primo piano nella Battaglia di Montaperti dove i senesi, con l'appoggio delle truppe guidate da Farinata degli Uberti, fuoriuscito fiorentino, riuscirono a sconfiggere le truppe guelfe di Firenze. In occasione del Convegno di Empoli, si scontrò duramente con Farinata degli Uberti, in quanto propugnava la distruzione di Firenze. Fu nominato Podestà di Montepulciano nel 1262 e, successivamente, Cavaliere per poi assumere il titolo di dominus di Siena. Dove sorgeva la sua residenza a Siena e dove secondo la tradizione si verificò un miracolo della Vergine, fu poi costruita una chiesa, che divenne la Chiesa della Madonna di Provenzano. Trovò la morte nella battaglia di Colle di Val d'Elsa del 16-17 giugno 1269, ucciso dal suo nemico personale Regolino Tolomei. La sua testa fu staccata dal corpo e, issata su una lancia, fu portata, come un trofeo, a giro per il campo di battaglia. La Divina Commedia Provenzano Salvani è stato citato da Dante nella Divina Commedia dove lo troviamo tra i superbi dal momento che si credette tanto potente e prestigioso da nominarsi Signore di Siena. Anziché approdare nell'Antipurgatorio, Provenzano si trova nel Purgatorio in virtù di un atto di umiltà: all'apice del potere si era ridotto a chiedere l'elemosina ai suoi concittadini per poter riscattare un amico prigioniero di Carlo d'Angiò. La sua storia non viene narrata direttamente, ma da un altro personaggio della Commedia dantesca Oderisi da Gubbio. Nella Divina Commedia è indirettamente protagonista anche di un altro canto, il tredicesimo del Purgatorio, quando a parlare è Sapia Salvani, sua zia da parte di padre, rievocando la vittoria dei guelfi e di Firenze nella battaglia di Colle di Val d'Elsa. L'Insigne Collegiata di Santa Maria in Provenzano si trova a Siena, in piazza Provenzano Salvani. È intitolata al mistero della Visitazione della Beata Vergine Maria a Santa Elisabetta ed è il Santuario nel quale si conserva l'immagine della Madonna di Provenzano, venerata sotto il titolo di Advocata nostra e in onore della quale ogni anno, il 2 luglio, si corre il celebre Palio. 29 Dove il passato risale a galla fino a noi In stile manierista, è uno dei primi edifici costruiti a Siena all'indomani del Concilio di Trento. L'impianto liturgico e architettonico rispecchiano infatti i moduli richiesti dalla Controriforma. Sorge nel rione chiamato Provenzano, dal nome del celebre condottiero militare senese del sec. XIII Provenzano Salvani, citato da Dante Alighieri nella Divina Commedia (Purgatorio) al canto XI, 109-142. In quest'area vi erano le case appartenenti alla sua famiglia. La leggenda che si è tramandata narra che sul muro esterno di una delle case del rione fosse collocata un'immagine in terracotta smaltata raffigurante il tema della Pietà, lì collocata secondo la tradizione popolare da Santa Caterina da Siena. Nel 1552 accadde che un archibugiere spagnolo, forse per una bravata, tentò di sparare contro l'immagine sacra, ma il suo archibugio scoppiò e, secondo il racconto popolare, finì per uccidere il soldato stesso, lasciando integro il busto della Madonna, distruggendone però le braccia e il resto dell'immagine. La scultura divenne subito un simbolo: fu oggetto di grande venerazione da parte del popolo, inizialmente in riparazione al gesto sacrilego e in seguito perché alla Madonna vennero attribuiti diversi miracoli, riconosciuti nel 1594, chiamato proprio l'"anno dei miracoli". Proprio in quella data, grazie all'approvazione della Santa Sede e delle Magistrature civiche senesi, si decise di costruire un nuovo grande santuario, all'interno del quale si potesse custodire la sacra immagine: i lavori di costruzione iniziarono il 24 ottobre 1595, quando vennero murate le fondamenta. Ferdinando I de' Medici, Granduca di Toscana, affidò i lavori a Damiano Schifardini, senese, monaco alla Certosa di Firenze che coordinò inizialmente i lavori, realizzando il disegno. Ma, vista anche la lontananza di Schifardini, fu l'architetto Flaminio del Turco ad occuparsi immediatamente dei lavori, assistito anche dal rampollo della Casa granducale Don Giovanni de' Medici per la realizzazione della cupola. I lavori terminarono nel 1604. La chiesa fu dedicata con sacro rito e aperta al culto il 16 ottobre 1611 dall'Arcivescovo di Siena Camillo Borghesi. Il 23 ottobre successivo, con una solenne processione che attraversò tutte le vie di Siena, venne traslata all'interno del nuovo santuario la venerata immagine della Madonna di Provenzano. Nel 1614, con decreto granducale, venne istituita l'Opera di Santa Maria in Provenzano, presieduta da un Rettore laico, con il compito di amministrare i beni del santuario e provvedere alle necessità di culto. 30 Dove il passato risale a galla fino a noi La grande devozione alla Madonna di Provenzano fece del santuario il vero e proprio cuore della fede cittadina. Nel 1634 Papa Urbano VIII concede al santuario il titolo di "Insigne Collegiata", officiata da un Capitolo di Canonici, presieduto da un Proposto, secondo in dignità solo al Capitolo della Metropolitana. Nel 1656 viene deciso di correre ogni anno un Palio in onore della Madonna di Provenzano il giorno 2 luglio, nell'antico calendario liturgico festa della Visitazione, titolare della Collegiata; tradizione che si è mantenuta fino ai giorni nostri. SCHEDA COLLEGIATA DI SANTA MARIA IN PROVENZANO Oggi l'Insigne Collegiata di Santa Maria in Provenzano è sede anche dell'omonima Parrocchia, eretta nel 1986 dall'Arcivescovo Mario Ismaele Castellano. Architettura L'edificio ha pianta a croce latina, unica navata con cupola ottagonale con tamburo all'incrocio del transetto, e facciata in travertino tripartita da lesene, divisa in due piani da un cornicione molto sporgente e culminante in un timpano centrale e due volute laterali. Al centro, il portale è sormontato da un timpano arcuato e da una finestra rettangolare, mentre ai lati si aprono quattro nicchie con le statue dei santi Ansano, Vittore, Caterina e Bernardino. L'impianto architettonico risponde in tutto ai criteri del manierismo cinquecentesco romano, immediatamente successivi al Concilio di Trento, che aveva dettato precise norme in merito alla costruzione delle chiese e alla disposizione degli arredi sacri. Opere d'arte All'interno sono conservate numerose opere d'arte. Tre dei quattro altari laterali conservano dipinti di notevole valore: il primo di destra è la Messa di San Cerbone di Rutilio Manetti, che riporta un episodio celebre della vita del santo vescovo patrono della chiesa di Populonia (oggi Massa Marittima). Il vescovo Cerbone era stato accusato di celebrare la Messa troppo presto al mattino, e per questo motivo era stato convocato a Roma da papa Vigilio; il Pontefice volle assistere alla messa celebrata dal santo e poté contemplare i cori angelici che apparvero al momento della consacrazione del pane e del vino, tanto da scagionare Cerbone da ogni accusa. L'altare e la tela furono commissionati dal vescovo di Massa Marittima Fabio Piccolomini poco oltre il 1630. Nel primo altare a sinistra si contempla invece la Visione di Santa Caterina del martirio di San Lorenzo di Dionisio Montorselli (1653-1712 circa), 31 Dove il passato risale a galla fino a noi collocato in Provenzano nel 1685 e proveniente dalla demolita chiesa senese di San Lorenzo. L'altare fu commissionato da Ippolito Borghesi, vescovo di Montalcino. Il secondo altare laterale di destra, sul fondo del transetto, conserva una tela raffigurante Santa Caterina da Siena e Santa Caterina d'Alessandria di Francesco Rustici, detto il Rustichino, con al centro l'Annunciazione di Giandomenico Manenti. L'altare era di pertinenza della famiglia Venturi. Il secondo altare di sinistra (altare Petrucci), sul fondo del transetto sinistro, conserva un monumentale crocifisso ligneo del XIX secolo, accompagnato dalle statue dei tre dolenti. I pennacchi della cupola furono affrescati a partire dagli inizi del Settecento e raffigurano i quattro santi Patroni di Siena: Ansano, Savino, Crescenzio e Vittore. Fra gli artisti che hanno provveduto a realizzare gli affreschi spicca Giuseppe Nicola Nasini, che nel 1715 realizzò il pennacchio di Sant'Ansano. Interessanti anche lungo le pareti le tele monocrome raffiguranti il Sogno di san Giovanni Evangelista e la Messa di san Gregorio Magno, opere seicentesche di Bernardino Mei e Deifebo Burbarini. Sempre lungo le pareti della navata centrale si possono ammirare quattro grandi tele ottocentesche opera dei pittori puristi Luigi Boschi e Giovanni Bruni, raffiguranti episodi della vita della Vergine: la Natività di Maria, la Visitazione, la Presentazione di Gesù al Tempio e l'Incoronazione. Nei transetti destro e sinistro si possono ammirare anche le moderne tele del pittore Francesco Mori (Siena, 1975), realizzate nel 2013 e raffiguranti rispettivamente San Bernardo Tolomei e la Beata Savina Petrilli, santi senesi che hanno vissuto nel territorio della Parrocchia di S. Maria in Provenzano. Degna di nota è la decorazione in marmi policromi del pavimento sotto la cupola, raffigurante al centro i blasoni dei Granduchi di Toscana Cosimo III de' Medici e Margherita Luisa d'Orléans, affiancati dagli stemmi dello Stato senese e dello Stato fiorentino e circondati in senso orario da quelli delle città sedi vescovili presenti nel territorio dell'antica Repubblica di Siena: Grosseto, Sovana, Pienza, Montalcino, Massa Marittima e Chiusi. L'altare maggiore è opera di Flaminio del Turco, ed è stato realizzato nell'arco di ventiquattro anni, tra il 1617 ed il 1631. Esso ospita in alto al centro il busto quattrocentesco in terracotta della Madonna di Provenzano, circondato da una gloria di angeli in argento di Giovan Battista Querci. Sempre in argento, ai piedi del simulacro della Madonna sono state realizzate le statue di Santa Caterina e San Bernardino. Sopra all'altare maggiore, nell'abside alta, è esposto un preziosissimo drappo di velluto rosso, ricamato a filo oro, riportante le insegne di papa Alessandro VII, morto nel 1667 e 32 Dove il passato risale a galla fino a noi ultimo dei papi senesi. Nella sagrestia, ornata di un complesso ligneo seicentesco, è il Compianto sul Cristo morto di Alessandro Casolani, una Madonna ad affresco di scuola senese del trecento, detta Madonna della staffa, e un dipinto cinquecentesco rappresentante la Processione per la traslazione della Madonna all'interno del Santuario (1611), interessante testimonianza topografica della città di allora. All'interno della navata sono esposte due bandiere: quella in abside in alto a sinistra venne presa ai Turchi dal cavaliere senese Paolo Amerighi durante la battaglia di Vienna del 1683, quella nella controfacciata, in alto a sinistra dell'ingresso, che riporta lo stemma dei Medici al centro, era il vessillo militare delle truppe granducali issato sulla Fortezza medicea, portato come segno di devozione alla Madonna dopo la smilitarizzazione della città al tempo del Granduca Pietro Leopoldo. Palio di Siena Secondo quanto stabilisce il Regolamento del Palio di Siena, «Il Drappellone è solennemente trasportato, per il Palio del 2 luglio nella chiesa di Santa Maria in Provenzano dopo la prova generale [...] e vi rimane esposto fino a quando deve venire issato sul Carroccio, per il Corteo Storico». Attualmente, nel pomeriggio del 1º luglio, alla vigilia della festa, le Autorità cittadine e le Contrade vengono a rendere omaggio alla Madonna di Provenzano, portando in corteo il Drappellone, che vi rimane esposto fino alla mattina del 2 luglio. Dopo aver vinto il Palio, i contradaioli vittoriosi si recano presso la chiesa, portando il Drappellone in segno di ringraziamento alla Madonna, e intonano l'inno Maria mater gratiae, popolarmente chiamato Te Deum. LETTURA 9: IL PALIO PASSIONE DI POPOLO (…) Vuole la tradizione che il 2 luglio dell’anno 1594 un soldato del presidio mediceo si aggirasse, in furioso stato di ubriachezza, lungo le strade del rione di Provenzano, così chiamato perché in quella parte della città aveva avuto dimora Provenzano Salvani, il fiero condottiero delle milizie senesi alla battaglia di Monteaperti del 1260. A un tratto quel soldato ubriaco, lasciandosi andare a una bravata sacrilega, puntò il suo archibugio contro una statuetta della Madonna, collocata sul muro esterno di una casa. Fece partire il colpo e centrò la sacra immagine, ma in quello stesso istante l’archibugio scoppiò nelle mani dell’autore del sacrilegio che ci rimise la pelle. 33 Dove il passato risale a galla fino a noi Personalmente non oso credere che a ucciderlo sia stata la Madonna, Madre di misericordia. Ma il popolo senese di quel tempo, memore dei soprusi delle truppe medicee che quarant’anni prima avevano privato Siena della sua libertà, volle vedere in quell’episodio, scambiando una sbornia per un miracolo, un segno dell’alleanza della Madonna con la città a lei dedicata, contro i blasfemi nemici dell’antica Repubblica. Le cronache raccontano che l’episodio suscitò un grande fervore religioso e che una grande moltitudine di cittadini e le stesse contrade si recarono nei giorni successivi in pellegrinaggio a venerare l’immagine "miracolosa", tanto che alla fine di quello stesso anno ne fu decretato il culto con bolla pontificia dal papa Clemente VII. Negli anni seguenti sul luogo del "miracolo" fu edificata la basilica di Santa Maria in Provenzano, e ogni anno, il 2 luglio, vi si svolgevano solenni festeggiamenti in onore della Madonna. Fu proprio nel programma di quelle feste che alla metà del XVII secolo si inserì il Palio "alla tonda", corso sull’anello di piazza del Campo, con la partecipazione delle contrade. Prima di allora, e fin da tempi assai più remoti, si correva a Siena, in occasione della festa dell’Assunta, festa religiosa e politica insieme, il Palio "alla lunga", che era una corsa di cavalli attraverso le vie principali della città, alla quale, almeno inizialmente, non partecipavano le contrade. Soltanto più tardi, nel Settecento inoltrato, si cominciò a correre il Palio dell’Assunta in piazza del Campo, con la partecipazione delle contrade, dapprima saltuariamente e poi sempre più spesso fino a quando non fu istituzionalizzato, nel 1802. Sono trascorsi oltre quattrocento anni dall’episodio del soldato sacrilego e trecentocinquanta dal primo Palio in onore della Madonna di Provenzano e ancor oggi il 2 luglio di ogni anno, appena terminata la corsa del Palio, almeno una diciassettesima parte del popolo di Siena torna in Provenzano, come il 16 agosto va in Duomo a ringraziare la Madonna con il canto del Maria mater gratiae. È un ringraziamento, forse scomposto e becero, reso fra canti, abbracci, pianti di gioia, rullo dei tamburi e sventolare delle bandiere, ma per noi senesi è davvero difficile vivere un momento più felice e commovente. Fra i miei concittadini, come del resto fra gli abitanti di ogni parte del mondo, si trovano persone pie e miscredenti, ma se un sentimento accomuna tutti i senesi è l’intransigenza nel rispetto della liturgia del Palio e della vita delle contrade, ricca per la sua origine di momenti religiosi.(...) Malgrado tutto ciò, sembra a noi senesi che la Madonna, a cui da tre secoli e mezzo dedichiamo il nostro palio, accetti ogni volta il nostro omaggio con un grande sorriso e lo gradisca per quanto è bello e radicato nella nostra umanità, tanto da volere che rimanga sempre tale e quale. Sembra, a noi senesi, che anche di fronte alle nostre preghiere interessate, ai nostri tradimenti, alle nostre meschinità, alla passione, all’esultanza, alla rabbia, alle nostre scazzottate, la madre di Dio sia sempre pronta a intercedere per noi presso il 34 Dove il passato risale a galla fino a noi suo Figlio divino, rivolgendosi a lui con le stesse parole che vorrebbe usare ciascuno di noi: «I senesi, io li conosco bene, sono sempre stati così: passionali e scanzonati, tradizionalisti e trasgressivi, ma in fondo in tutto ciò che fanno, che cosa c’è di male? E poi il Palio è questo e se non fosse così, che Palio sarebbe?». Emilio Giannelli (Famiglia Cristiana n.31 del 9-8-98) LETTURA 10: VISIONI DI PALIO DI ANDREA CAMILLERI Se prendiamo le contrade e le consideriamo come delle regioni, o come potevano essere gli stati italiani prima dell'unità fra di loro, se noi pensiamo a quanta abilità agonistica è necessaria, ma nello stesso tempo quale e quanto lavorìo di furberia, di accordi sottobanco, di piccole corruzioni, di genialità di trovate, cominci ad avere un ritratto dell'Italia e dell'Italiano estremamente concentrato, che culmina, in quei minuti strepitosi della corsa, nella bellezza. Altra componente italiana. Si dice: ma questo attaccamento a un evento in fondo provinciale, che addirittura spezzetta una piccola città come Siena in tante contrade – le piccole patrie ancora più ridotte in piccolissime patrie – oggi che siamo davanti all'Europa, non è anacronistico? Non credo. (Andrea Camilleri)AA.VV. - VISIONI DI PALIO - ED. ALSABA - SIENA - 2004 35