La somiglianza
del medico laico Canova
al papa gesuita Francesco
“
io non
mi vergogno
del vangelo
“
Luigi Accattoli
C
ristiani pronti a partire per soccorrere i
più bisognosi in semplicità e povertà, esercitando l’arte di
farsi accogliere e portando la gioia del
Signore: uno dirà che sono i motti di
papa Francesco, ma sono anche tutti
in Francesco Canova (1908-1990).
Persino la convinzione di non poter
giudicare un gay che cerchi Dio. «Da
Canova a Francesco» è il tema di questa puntata: per dire come papa Bergoglio non venga dal nulla e quanto
fosse anticipatore dell’oggi il fondatore del CUAMM di Padova.
Questo raffronto tra i due è un
omaggio agli amici del CUAMM, che
in un paio d’occasioni mi hanno sentito svolgerlo e mi hanno chiesto di scriverlo. Basandomi sui testi del Canova,
che ho scorso per il ritratto pubblicato nel 2013 (La radice di un grande albero. Francesco Canova medico, missionario, cosmopolita, San Paolo), ho trovato una quindicina di rispondenze
che segnalo con parole tematiche.
La prima è «partire»: la sentiamo
in continuità sulla bocca di Francesco,
unita spesso alla parola «uscire» e sta
a dire la disponibilità a raggiungere i
luoghi dove nessuno vorrebbe andare.
«Saresti disposto a partire nel giro
di una settimana per un lebbrosario
africano?» è la domanda che, nel luglio del 1955, Canova rivolge a Giovanni Baruffa, uno dei più di mille
medici che invia nel Sud del mondo.
In una lettera del 22 novembre 1971,
argomenta con radicalità sulla vocazione alla missione: «Tutto si ridurrebbe a poche o a tante chiacchiere se
non vi fosse chi ha il coraggio di rompere con i tanti legami che sono qui e
di partire».
«Ho rinunciato agli incarichi
e sono partito»
Nel testo autobiografico Vita con
vostra madre, parla del «sogno» di fare il «medico missionario» che animò
la sua giovinezza. In un’intervista del
1986, così rievoca la propria partenza nel 1935 per la Palestina dove resta
per dodici anni: «Sentivo che il mio
posto sarebbe stato lì, in quelle terre
lontane, tra quella gente. Ho rinunciato agli incarichi offertimi a Padova
e sono partito».
Papa Francesco: «L’ultima parola di Gesù ai discepoli è il comando
di partire: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19). (…)
La comunità cristiana è una comunità “in uscita”, “in partenza”» (1° giugno 2014). E c’è un risvolto personale
che avvicina i due: «Quello che mi ha
dato tanta forza per diventare gesuita
è la missionarietà: andare fuori, andare alle missioni ad annunziare Gesù Cristo» (7 giugno 2013).
Li avvicina anche la metafora dell’ospedale da campo amata da
Francesco e la concreta esperienza
degli ospedali da campo acquisita da
Canova in Palestina. «Fare il medico
significa aiutare il prossimo» afferma
Canova, indicando la professione medica come una «tra le più umane e le
più evangeliche» e invitando a vedere «l’esemplare più perfetto del medico» in Gesù che percorre città e paesi curando «connazionali e stranie-
ri, poveri e ricchi». Conclude che «il
medico cristiano ha l’obbligo di vedere Cristo sofferente in ogni malato» (citazioni rintracciabili nel capitolo 5 del mio libretto: «Medico missionario anticipatore del Concilio»). Potremmo richiamare le affermazioni di
papa Francesco sul «toccare la carne
di Cristo» e il paragone che ha svolto più volte di Gesù con l’operatore
medico: «A me, l’immagine che viene è quella dell’infermiere, dell’infermiera in un ospedale: guarisce le ferite a una a una, ma con le sue mani»
(22 ottobre 2013).
Per la ricorrenza delle parole speranza, ottimismo, letizia, sogno, semplicità, povertà non ci sarebbe bisogno di riscontri, tanto esse sono frequenti nel papa – le sentiamo ogni
giorno – e nel medico, come attestano in particolare i capitoli 8 e 9 del
mio libretto: «Scrittore in simpatia
con l’universo», «Sognatore alla conquista della semplicità».
Invita a sperimentare
la gioia della libertà
Ambedue parlano spesso di coraggio: «Una vocazione cristiana è
sempre una vocazione al coraggio»
(Canova); il «Signore (…) ci dà il coraggio di andare controcorrente» (il
papa, 28 aprile 2013). Una formula
di Francesco è la «grammatica della semplicità» e Canova tratta spesso della «virtù della semplicità e della
povertà» che creativamente congiunge. Nel papa troviamo «semplicità e
austerità» (21 giugno 2013).
«Gioia del Vangelo» è motto principe del papa. Nel volumetto Simpatia per Cristo Gesù (San Paolo, 1998),
Canova invita a diffondere «la gioia
del Signore nel mondo» (99) e deplora i «cristiani dal viso triste». Bergoglio depreca tuttodì la faccia lunga,
quella storta, quella brutta, quella triste, quella del «lutto perpetuo».
Il Regno -
attualità
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«Il cristiano non teme
di sporcarsi le mani»
«In casa nessuno doveva lamentarsi mai», attesta di Canova la figlia
Giordana: e conosciamo la ripetuta
deplorazione delle lamentele da parte di Francesco. «Imparare a guardare con ottimismo alle cose» è una delle consegne di Canova ai medici in
partenza, che ha il suo equivalente
negli inviti di Jorge Mario Bergoglio
alla «misericordia interpretativa»
e a non lasciarsi «rubare la speranza». Ancora Canova: «Non succede
nulla di tanto grande al mondo come quando avviene un cambiamento
nella speranza».
Ho lasciato per ultimi i due riscontri maggiori: l’invito ad andare
controcorrente e l’accoglienza degli
omosessuali. Qui la similitudine d’atteggiamento è straordinaria.
Un capitolo del citato volumetto
del Canova sulla simpatia è intitolato
«Andare controcorrente». In esso invita «sull’esempio di Cristo» a «non
temere di sporcarsi le mani occupandosi di situazioni esistenziali ritenute
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estranee alla vita buona e onesta: l’omosessualità, la droga, la contraccezione, il divorzio, l’aborto» al fine di
«rendersi conto di persona delle sofferenze» che le caratterizzano (70).
Ed ecco come parla Francesco ai giovani in cammino vocazionale: «Siate capaci di incontrare le persone,
specialmente quelle più disprezzate
e svantaggiate. Non abbiate paura di
uscire e andare controcorrente».
Nel volumetto La simpatia e il suo
linguaggio (San Paolo, 1990) Canova invita a non puntare il dito sulla
«infelice e tante volte incolpevole sorte» degli omosessuali, qualifica come
«un vero mistero» della biologia l’insorgenza dell’inclinazione omosessuale che in testi dei decenni precedenti aveva indicato come «patologia», scoraggia – con l’autorità del
medico – dall’insistere sulla curabilità clinica delle «forme genuine di
omosessualità»: «Se molti omosessuali hanno rinunciato a trattamenti e cure, è perché si sono resi conto
dell’inefficacia di essi e anche perché
una vera guarigione significherebbe
per loro perdere gran parte di quello
che essenzialmente sono e si sentono
di essere» (38).
«L’omosessuale è capace
di dare e ricevere amore»
Già dieci anni prima aveva proposto parole sapienti, rarissime in ambito cattolico: «Egli [l’omosessuale] è
capace di dare e di ricevere amore ed
è questo che soprattutto conta e qualifica l’uomo». In un testo del 1984 aveva affermato che gli omosessuali «non
sono estranei all’azione della grazia»
e – se sono credenti – amano sentir-
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io non
mi vergogno
del vangelo
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Canova invita a «sperimentare la
gioia della libertà», perché «Cristo fu
maestro di libertà» e «insegnò a liberarsi dai legami della lettera e a vivere nella libertà dello Spirito» (Simpatia e testimonianza cristiana, Edizioni Messaggero, 1983, 62s). Francesco nella Gioia del Vangelo: «Non
c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito» (Evangelii gaudium, n. 280; Regno-doc.
21,2013,692). Il 28 giugno 2013 polemizza con i cristiani rigidi: «Non
hanno libertà e non hanno gioia».
Ecco dunque che Canova e Francesco convergono anche sulla gioia della libertà, e non è poco.
«L’arte di farsi accogliere» è il titolo di un capitolo del volumetto di
Canova da cui sto citando: vi afferma
che «senza gentilezza, disponibilità,
fantasia e coraggio», nonché «senso di sorpresa e di stupore», il Vangelo potrà fare «ben pochi progressi nel mondo» (15s). Francesco: «Un
cristiano deve annunziare Gesù Cristo in una maniera che Gesù Cristo
venga accettato, ricevuto, non rifiutato» (8 maggio 2013).
si dire che «la loro vita di fronte a Dio
non è inutile, ma anzi preziosa». In
quel testo sostiene anche di averne conosciuti «alcuni» che erano «dei veri
santi» e conclude: «È indispensabile
che gli omosessuali si vedano e si accettino per quello che sono».
Le parole di Canova forse ci aiutano a interpretare quelle che Francesco ha detto il 19 settembre 2013
a La Civiltà cattolica: «A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali (…) [convinte che] la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma
la Chiesa non vuole fare questo. Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona
omosessuale è di buona volontà ed è
in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io
ho detto quel che dice il Catechismo.
(…) Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita
personale non è possibile (…). Bisogna sempre considerare la persona.
Qui entriamo nel mistero dell’uomo.
Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia. Quando questo accade, lo Spirito Santo ispira il sacerdote a dire la
cosa più giusta».
Ambedue fanno appello
al santo di Assisi
Canova cerca medici «anticonformisti e spregiudicati alla maniera caritativa e liberante di san Francesco» e
definisce il poverello un «campione di
cristiana libertà». Da cardinale, Bergoglio ebbe a sostenere (Relatio post disceptationem, X Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, 30.927.10.2001; Regno-doc. 21,2001,671s)
che la «semplicità e austerità di vita»
conferiscono «una completa libertà in
Dio» al vescovo che «imita Cristo povero». Da papa, ha fatto di tale convincimento un programma prendendo il
nome di Francesco. Che un medico di
Padova e un gesuita dell’Argentina abbiano preso a modello – prima e dopo
il Concilio – la povertà e la libertà del
santo di Assisi, è un segno del tempo
che viviamo.
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La somiglianza del medico laico Canova