Filippo Bonfiglietti
CONDIZIONATI A CREDERE
Persino Dio
potrebbe non essere come si crede
La fede e l’illusione di sapere
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Copyright © 2012 Filippo Bonfiglietti
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PRIMA PARTE
Abusi e manipolazioni
del Potere
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1. CREDO, FEDE E POTERE
1. LA CREDULITÀ, PRIMO STRUMENTO DEL POTERE
La nostra vita è condizionata da molti Credo. Ognuno dei quali capace di
limitare le libertà interiori a cui avremmo ogni diritto senza darci in cambio
nulla di buono, salvo forse il modo di pensare e di sentire tipico del gruppo
a cui apparteniamo. Ammesso che il nostro credo di gruppo (un termine da
usare in senso allargato, quindi anche etnia, popolo, religione, setta, casta,
famiglia, corporazione, associazione professionale e mille altri) sia davvero
buono a qualcosa, basato com’è solo su false certezze e su atti di fede in
opinioni prese per Verità, troppo spesso appoggiate dietro le quinte dell’inconscio e prive di basi ragionevoli.
L’influenza di questi Credo è così seria da indurci a mettere la credulità,
la devozione e almeno certi tipi di fede ai primi posti dei peccati umani. Una
conclusione tanto cruda da sembrare una bestemmia e tanto insolita da sembrare assurda.
Eppure, le credulità servono solo a fornirci robuste illusioni di potenza,
dovute al sentirci parte di un insieme di fedeli. Dunque sono inutili quando non sono dannose, visto che ci rendono schiavi di chi le diffonde, tutti
convinti di possedere il Sapere, tutti a sbandierare la loro credibilità, tutti
a criminalizzare ogni argomento contrario: banalizzato, deriso, chiamato
errore, sciocchezza o, peggio, eresia e tradimento.
Al punto da essere essi stessi suggestionati dal proprio successo nel condizionare i fedeli, dai quali ricevono in cambio persino conferme surrettizie di quanto affermano. Così profondo è il condizionamento a credere di
ognuno di noi, inclusi coloro che ci manipolano.
La conferma di quanto un Credo sia necessario agli esseri umani - ma anche
di quanto sia facile accontentarli con qualcosa del tutto privo di contenuto
razionale - si ha dall’impossibilità di trovare al mondo un qualunque grup4
po umano grande, evoluto e moderno quanto si vuole (ma anche piccolo,
arcaico e sperduto) che sia privo d’idee sull’essenza della vita, sui suoi
principi, sui suoi valori, sulla sua etica.
E ogni Credo ha un’origine molto etnica e molto poco divina. A riprova,
se i Credo non fossero dovuti al folclore locale, se davvero esprimessero una
verità, questa dovrebbe essere eguale dappertutto.
Qualcuno potrebbe obiettare che, in fondo, il cuore delle maggiori credenze religiose è simile per tutte: che a fare la differenza sono solo i dettagli, il folclore e le fantasie locali. Eppure, curiosamente, contano proprio
solo questi dettagli: quelli su cui si accaniscono le liti e le zuffe.
2. IL GIOCO DEI POTERI E DELLE IMPOTENZE
Ecco dunque introdotto il concetto-base del nostro lavoro: l’esistenza di
un’evidente devozione genetica dell’uomo a qualsiasi cosa in cui creda pur
senza conoscerne il valore, e di un’innata predisposizione a credere nell’autorità che l’avalla, insieme ad una conseguente autolimitazione della propria
libertà di spirito. Qualunque cosa significhi il termine spirito e qualunque sia
il riflesso negativo di quest’autolimitazione sul suo mondo interiore.
Il quale, naturalmente, ne approfitta: accetta il primato, si prende la paternità dei principi che gli servono e li impone, incominciando proprio da
chi lo ha eletto. Magari spiegandogli com’è fatto il creato, pur non avendo
nessuna ragione per saperlo. Oppure spedendo tutti in una guerra, a morire
per il suo tornaconto personale. Sempre cercando vantaggi pratici anche
quando, facendolo, prostituisce ogni sua pretesa di incarnare un ideale.
Chi non ci crede, provi a ricordare cos’hanno combinato i faraoni e i re
d’Israele con i loro sacerdoti. Senza trascurare gli imperatori romani, i re
europei dello scorso millennio, nonché i privilegiati chiamati nobili e pari.
Fino ai dittatori degli ultimi secoli.
3. CONDIZIONAMENTI DEL POTERE MORALE
Dall’aver potere sul prossimo, qualcuno ricava grandi soddisfazioni an5
che quando non frutta denaro ed anche quando procura soltanto discepoli,
fedeli, seguaci o semplici ammiratori.
• Perché gratifica, confermandogli il suo valore: se riusciamo a dominare
gli altri, vuol dire che siamo meglio di loro...
Non è vero, ma lo sembra: e tanto basta.
• Perché è fonte d’ulteriore potere.
E questo è vero perché gli altri contribuiscono al nostro potere in molti
modi: con l’intelligenza, la capacità, il denaro, l’appoggio.
Anche quando non vorrebbero.
Per chi cerca potere sul prossimo, l’obiettivo è dominare la sua mente diventando un punto di riferimento, un consigliere, un ispiratore, un maestro. E non è
difficile: basta averne voglia, basta saper criticare qualche aspetto della sua vita,
basta aiutarlo a trovarsi uno scopo e fornirgli qualche idea forte. Basta offrirgli
un Credo quando è in crisi. In altre parole, basta saperlo gestire, magari involontariamente. L’importante è intuire quando si sente pecora e quindi è disposto
a sottomettersi a qualcuno che abbia la vocazione del pastore.
Ma non tutte le manipolazioni della realtà, per diventare tragiche, devono
per forza condurre a guerre di sterminio o alle camere a gas. Perché sono già
tragiche se si limitano a portare confusione fra vero e falso, fra errore e inganno: poche false certezze sul Bene o sul Male bastano a produrre paranoie
collettive e poche rivelazioni d’ordine superiore possono confondere popoli
interi per secoli. Soprattutto quando sono fornite da una Religione vittoriosa
su tanti altri Credo e in grado di gestire la fede di milioni di persone.
E’ il caso della dannazione eterna, considerata verità di fede dai cattolici, pur
sembrando dovuta solo alla conclusione di un diverbio fra Padri della Chiesa in
disaccordo tra loro sul modo di interpretare il Vangelo dove si descrive il giudizio finale: “…e costoro andranno all’eterno supplizio, i giusti invece alla vita
eterna. E dove il Cristo dice “via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno”.
Chissà, forse il termine eterno non era scritto proprio così nei Vangeli
originali, forse le versioni attuali contengono qualche errore, magari la parola è dovuta a qualche trascrittore troppo zelante. In ogni modo, sembra
chiaro che certi Padri avessero buone ragioni per essere perplessi.
Hans Küng, il noto teologo cattolico controcorrente, a questo proposito
scrive: “Nel 543, dopo lunghe discussioni venne definito (con l’approvazione dello stesso papa Vigilio): la punizione dell’inferno non è inflitta soltanto
ad tempus; essa è piuttosto temporalmente illimitata, dura eternamente….
In tutte le religioni mondiali si hanno dottrine e pratiche diverse, quando
non contraddittorie…. La paura dell’inferno ha causato danni incalcola6
bili… qui entrano in gioco complessi sessuali e di colpa, meccanismi del
peccato e della confessione, e non per ultima l’autorità della Chiesa sulle
anime, che si riteneva di poter assicurare meglio con la paura della dannazione eterna… Per salvare se stessi e gli altri ogni mezzo sembrava lecito”.
LA DANNAZIONE ETERNA SECONDO DANTE
Dinnanzi a me non fuor cose create
Se non eterne e io eterna duro.
Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate
(Divina Commedia, Inferno, Canto III)
Rende perplessi che un concetto come la dannazione eterna, causa di danni
psicologic incalcolabili, oggetto di fede per uomini colti come Dante, non
pretenda neppure di essere una rivelazione. E’ interessante che sia solo la
conseguenza della decisione a maggioranza di un gruppo di teologi, “dopo
lunghe discussioni contro Origene, che aveva trovato seguaci in Padri della
Chiesa significativi come Gregorio Nisseno, Didimo, Diodoro di Tarso, Teodoro di Mopsuestia e per un certo periodo anche Gerolamo”. Beninteso, ammesso che Hans Küng dica la verità: ma non si capisce perché non dovrebbe.
E’ degno di nota che, a partire dal Sinodo del 543, per una quindicina di
secoli, legioni di preti abbiano atterrito i loro fedeli minacciando punizioni
eterne basate su un oggetto di fede creato solo per difendere l’autorità della
Chiesa sulle anime. E’ così incredibile da costringerci a ridiscutere ogni
altra pretesa verità, indipendentemente dalla fonte da cui proviene e qualunque essa sia, incluse le più autorevoli.
E, se ha funzionato, è stato solo per il nostro irragionevole, cieco bisogno
di credere. E’ questo il condizionamento alla devozione, capace di indurre
quasi tutti noi a prestar fede a chiunque predichi. E’ questo il condizionamento da cui, negli anni Sessanta, tanti studenti universitari sono stati spinti
ad adottare il libretto di Mao come se fosse l’essenza stessa della Verità.
4. I CONDIZIONAMENTI SUL POTERE DEI NORMALI
Quanto a noi comuni mortali, che del Potere non facciamo una ragione di
vita, non è per nulla vero che ne siamo insensibili, magari solo a livello d’istinto a difendere pasti e agi. E la nostra capacità di accettare limiti alla nostra potenza spesso non dipende tanto da una nostra particolare sensibilità
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quanto da un calcolo utilitaristico, simile a quello degli animali domestici.
Del tipo “subisco certi limiti e certe imposizioni in cambio dei vantaggi che
mi sono offerti”. Vantaggi pratici, ossia una forma di potere: basta accontentarsi. Tanto più che un equilibrio tra opposte tendenze è l’oggetto evidente dei nostri sistemi educativi: da una parte la soddisfazione dell’istinto
del potere e dall’altra la disponibilità ad accettare qualche limite in cambio
di un ragionevole potere che ci interessa di più, appunto.
Perché alla gloria e al successo spirituale - ben diversi dal successo pratico e materiale - siamo sensibili per natura: e questo è un evidente istinto
umano.
Mentre i sistemi educativi contribuiscono a stimolare le nostre ambizioni con i meccanismi del premio/punizione e della distinzione tra buoni
e cattivi. Trovando alimento in certe ambiguità di fondo - un po’ di scienza, un po’ di dogmi, un po’ di luoghi comuni, un po’ di moralismo - da
cui traspare una sconfinata ammirazione del potere in tutte le sue forme, a
incominciare da quella prodigata verso gli eroi di ogni disciplina.
Perché la letteratura e la storia danno più peso ai protagonisti che alle
loro opere. Le quali, agli occhi del popolo e di chi le descrive esaltandole,
finiscono per sembrare solo trampolini per la celebrità, ossia per entrare
nell’olimpo dei potenti. O, almeno, in quello di chi conta.
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2. L’ARTE DELLA MANIPOLAZIONE
1. CONFORMISMI, IDEE NUOVE, MANIPOLAZIONI
Le prime conclusioni sul nostro modo di confrontarci con i temi del potere sono semplici: salvo eccezioni, siamo tutti condizionati a vivere ogni
Potere nel modo che ci è stato insegnato. Con un appiattimento, sulla mentalità e sulle regole del nostro ambiente, dovuto al bisogno di riconoscersi
tra simili: per abitudini, per modo di pensare e per precetti da rispettare.
In più, siamo condizionati dall’intima convinzione che un’idea sia giusta
o sbagliata in quanto condivisa: una convinzione che ci permette di respingere ogni idea diversa senza porci dubbi. Così ogni idea nuova, non essendo
ancora condivisa, trova i maggiori ostacoli proprio nei migliori del nostro
gruppo, nei suoi saggi, nei suoi eruditi e nei suoi docenti, tutte espressioni
di una maggioranza.
Così, coloro che tentano di sperimentare idee, di battere nuove strade,
di capire qualche verità nascosta, spesso sono ostacolati proprio dal loro
stesso ambiente. La sfericità della Terra, i diritti dell’uomo, la non geocentricità dell’universo, la teoria della relatività, il cristianesimo, il principio
di Lavoisier e quelli della dinamica, la psicanalisi e la psicosintesi, oggi
sono tutte idee accettate e condivise, almeno da chi è dotato di una minima
cultura. Ma chi le ha elaborate ha dovuto faticare a comunicarle, di solito
scontrandosi con opinioni forti alle quali i condizionamenti dovuti alla tradizione davano un buon sapore di verità.
Il fatto è che le idee originali partono sempre da un individuo, dai suoi
dubbi e da confronti tra individui. Sono faticose e costose perché partono
dall’implicito presupposto che le idee dominanti del momento possano essere sbagliate. Viceversa, chi si conforma a qualunque Credo religioso, politico o para-scientifico, lo applica senza riflettere, semplicemente sapendo
di fare la cosa giusta. Così facevano i brigatisti rossi, che sparavano a coloro
che consideravano simboli del male senza curarsi né della verità né del loro
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diritto di vivere e di pensare. Così fanno i kamikaze musulmani. Così fece,
durante la seconda guerra mondiale, quell’ufficiale tedesco che, riferendo
su qualcosa, scriveva: “Un subumano ungherese si è ribellato...”. Una delle
storture della malvagità si cela proprio dietro questa parola subumano, scritta
nell’idiota convinzione di chi considera inferiore chiunque non appartenga al
proprio ceppo, solo perché si è lasciato convincere che è giusto così.
2. IDEALI, RIFIUTO DI IDEALI E LIBERTÀ
La nostra predisposizione alla credulità permette a qualunque Potere di
condizionarci usando due strumenti, dei quali ha l’esclusiva da sempre: gli
ideali e le ideologie. Diffusi, insegnati e imposti facendo leva sul nostro senso etico, come se servissero a dare un maggior significato alla vita, mentre,
viceversa, di solito servono solo all’interesse di chi li diffonde.
Chi non ci crede, provi a fare un elenco dei marpioni capaci di guadagnare prestigio e ricchezze predicando meditazioni trascendentali e rinunce
ai beni materiali; e lo sommi a quello dei marpioni bravi a proporre ideali
politici a proprio vantaggio, inclusi i musulmani che stimolano i figli altrui
a fare da bomba umana contro nemici veri o presunti (onestamente, l’idea
non è male e, infatti, funziona). Tenendo presente che, per quanti nomi possa raccogliere, questi sono nulla rispetto alla realtà.
Il guaio è che gli ideali, quando funzionano, possono davvero riuscire a
rovinarci la vita. Eppure, questo è successo mille volte. Per esempio con gli
ideali di patria, sui quali tanti si sono fatti ammazzare ed altri quasi. Salvo
scoprire, più tardi, quanto fossero utili a giustificare le azioni più orrende.
E salvo scoprire quante volte il carisma dei capi celasse solo mancanza di
scrupoli e avidità: di potere, di primeggiare, di possedere, di soggiogare.
3. DEVOZIONI, MORALISMI E IPOCRISIE
Gli ideali sono una caratteristica davvero umana. E sono resi importanti
dalla predisposizione alla devozione. A causa della quale, una volta definiti
il Bene e il Male, il Giusto e lo Sbagliato, molti cercano di adeguarsi al primo e di evitare il secondo: almeno nelle apparenze. E, per questo motivo,
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la devozione - presente non solo nel DNA dell’uomo ma anche in quello di
molti animali domestici - è la caratteristica perfetta per spianare la strada
alle manipolazioni del Potere. Perché è una sorta di spontanea sottomissione aprioristica a chi sa dominare, con la rinuncia a ogni indipendenza interiore. Ed implica una fede cieca, con una totale adesione ad ogni aspetto di
culto - sia religioso che politico - e ai suoi riti, tale da farci respingere ogni
ipotesi di essere manipolati.
4. DOTTRINE DISCUTIBILI
Le dottrine in cui (ogni tanto) anneghiamo il nostro bisogno di vivere
in modo filosofico e spirituale sono davvero una faccenda strana. Perché
nascono, crescono e si sviluppano quasi come se avessero una vita propria,
finché qualcuno le usa come mezzo per dar valore al proprio potere privato.
Certe volte la dottrina si forma in modo elementare. Come nel caso del
fascismo, con la sua trovata di rinfrescare il mito dell’impero romano, facendo leva sulla mai abbandonata retorica delle antiche tradizioni italiche
(si pensi all’Elmo di Scipio dell’inno di Mameli e alle tirate sull’antica
Roma, nel libro “Minuzzolo” di Carlo Lorenzini detto Collodi, l’autore di
Pinocchio), costruendovi sopra un insieme così banale da non meritare neppure la definizione di dottrina. Una definizione che si applica meglio al programma del nazismo, per quanto bieco e inaccettabile fosse (si veda “Mein
Kampf”, di Adolf Hitler).
Ma le dottrine serie sono un’altra cosa. E spesso la loro pretesa di rivelarci qualche verità è articolata e complessa. In più, molte dottrine giocano
sull’entusiasmo e sulla scenografia, facendosi accettare per infatuazione.
Ed affascinano sempre qualcuno. Perché quando un Credo e la sua dottrina
fanno rima con certe tradizioni e sono appoggiati da maestri autorevoli, non
è difficile innamorarsene - per quanto siano fasulli - fino a diventarne promotori. In una specie di catena di Sant’Antonio della credulità, dove ognuno passa ad altri la dottrina ricevuta, senza sospettare di poterla mettere in
discussione, ma avallandola col mero gesto di passarla.
Per governare gli animi e manipolare le coscienze, le dottrine sono forze
potenti. E motivano tutti i pretesi salvatori del mondo, modellano le maschere degli impostori e manipolano i nostri istinti di potere.
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5. ORACOLI, SAPIENZE, CATASTROFISTI E SALVATORI
L’Oracolo è un personaggio capace di sembrare saggio, infallibile e profondamente convinto di sapere tutto quanto occorre su ciò che conta (per
lui, per noi, per tutti). Il suo peso non dipende dal suo valore vero, ma dalla
disponibilità altrui ad accettarlo, a credergli, a seguirlo. Dunque, poco importa se il nostro oracolo di riferimento sia un filosofo, un politico, un religioso oppure uno dei tanti dittatori prepotenti: basta che sia un qualunque
personaggio importante per noi.
Cronologicamente, i primi oracoli della nostra vita sono i genitori, i parenti e gli educatori. Ce ne viene un’abitudine all’oracolo, tale da segnarci
per sempre. Forse per questo, anche da adulti, continuiamo inconsciamente
a dar retta a chiunque cerchi di imporci il suo parere, la sua scienza e il suo
potere, purché sia più o meno in linea con il nostro modo di pensare e di
sentire. Ma, per far fronte alle nostre esigenze, gli oracoli prendono mille
forme diverse.
E’ il bisogno d’oracoli, a farci ascoltare gli psicologi e i sociologi più
pronti a darci una spiegazione per ogni cosa, pronti ad etichettare persone e
fatti, pronti ad interpretarli col rigore delle ricette di cucina: come se tutto
fosse chiaro, stabile e classificabile.
E’ il bisogno di oracoli, a renderci succubi di politici, manager, psicologi,
medici ed esperti d’ogni tipo, sempre pronti a raccontarci com’è il mondo
ed a interpretare ogni avvenimento a modo loro per conto nostro. Anche
quando parlano solo per aumentare il proprio potere, strumentalizzando
ogni argomento allo scopo. Così come sembra proprio che accada nei casi
dell’astrologia e di certe sette religiose.
Così ogni interpretazione di sogni, per quanto soggettiva, si trasforma in
pura Verità. Così ogni autorità morale si trasforma in sicurezza, offrendo
certezze tanto perentorie quanto discutibili nella sostanza. E intanto si crea
un’alleanza perversa fra chi gestisce il potere e chi lo subisce:
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3. IMPOTENZE NEL PROFONDO
1. IMPOTENZE VERE E VIRTUALI
Essere in balìa degli altri, degli eventi e della sorte senza poter reagire:
queste sono autentiche forme d’impotenza oggettiva, spesso gravi e prive di
rimedio. Non a caso, questa è la sostanza del lamento di Amleto, nel famoso
monologo, scritto più di quattrocento anni fa e ancora attuale.
Ma, per affliggerci, basta il puro timore di trovarci impotenti di fronte ad
una situazione sgradita. Mentre, per esaltarci, l’illusione di potere conta più
del potere stesso.
Il senso d’impotenza è alla base della noia, dell’ansia di attendere, della
disperazione di fronte all’inevitabile, dell’angoscia di dover subire il caso,
di non poter piegare le circostanze al nostro volere e di constatare la distanza tra realtà e desideri. Il cui effetto su di noi, peraltro, dipende più dalla
nostra natura che dalle situazioni.
Il senso d’impotenza è sempre in agguato per colpirci a tradimento: persino con i semafori, sempre rossi quando abbiamo fretta ma sempre verdi
quando abbiamo accanto il giornale con una notizia interessante che vorremmo sbirciare… al primo semaforo rosso.
Sul senso d’impotenza è basata la sfiducia verso gli altri, sui quali si teme
di non avere abbastanza potere. Sul senso d’impotenza sono basati i litigi
di coppia, quando ci si agita per paura di essere sottomessi dall’altro. Mentre le coppie affiatate sono caratterizzate proprio da una particolare assenza
d’inferiorità reciproca. Il senso d’impotenza è tipico dell’insonnia: perché ci
esaspera. Altrimenti avremmo solo il problema di decidere come occupare
il tempo lasciato libero dal sonno. Se l’immaginazione è fervida e l’atteggiamento è realista - o peggio, pessimista - il senso d’impotenza può farci
immaginare un futuro drammatico anche nel presente più roseo. E poiché la
nostra capacità di adattarci alle situazioni è tanto elevata quanto quella di pre13
occuparci per un nonnulla, può succederci di vivere meglio in un’impotenza
reale e conosciuta, piuttosto che nell’ansia dovuta a qualunque paranoia.
2. LA SUPERSTIZIONE, IMPOTENZA CHE SEMBRA POTENZA
La superstizione è un’impotenza che sembra potenza. E’ impotenza a percepire la realtà e ad afferrare correttamente i rapporti fra cause ed effetti. E’
incapacità di affrontare i fatti della vita con un minimo di razionalità. E sembra potenza perché, della razionalità, ha un disprezzo profondo: anzi, perché
se ne mette sprezzantemente al disopra.
La superstizione è un autoimbroglio, un auto-condizionamento a credere
dovuto a un tale bisogno di fede da farci regredire al livello di schiavi di rivelazioni divine, mentre condanna la mente a trarre conclusioni para-razionali
da premesse insensate, qualunque sia la cultura che sfoggiamo.
Ogni forma di superstizione ha sempre una base irrazionale, ma la più incredibile sembra quella che prende le mosse dalla folle equazione del “post
hoc = propter hoc” (ovvero “siccome viene dopo, allora ne è la causa”),
confondendo la successione temporale con un rapporto di causa ed effetto.
Prende le mosse da incidenti banali a cui attribuisce un valore di premonizione solo perché sono rari e casuali: tanto casuali da coglierci impotenti ad
evitarli e tanto rari da poter essere caricati di un significato simbolico. E li
associa ad ipotetici avvenimenti futuri - simili per timbro - considerandoli
premonizioni, sebbene l’unico collegamento tra il fatto accaduto e quello
previsto (o, meglio, temuto) sia il senso d’impotenza di fronte al caso.
3. L’AVIDITÀ, IMPOTENZA PSICOLOGICA CHE PRODUCE SUCCESSO
L’effetto dovuto all’orrore per l’impotenza è più che mai evidente nell’avidità: una stramberia più seria della superstizione perché fa danni molto maggiori, ma anche il modo più primordiale per fingere di eliminare l’insicurezza
dalla vita. Una stramberia, perché l’avidità è irragionevole fino ad essere una
vera e propria patologia, anche quando non è riconosciuta come tale. E, in
più, non essendo mai soddisfatta, provoca guai orrendi. Si pensi cos’hanno
fatto per avidità gli innumerevoli regnanti del mondo, gli infiniti capi della storia e, più recentemente, certi lestofanti dell’industria o della politica,
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dappertutto: ognuno pensando solo al proprio interesse, ognuno incapace di
trovare il senso della misura neppure dopo aver accumulato ricchezze e poteri
infinitamente superiori ad ogni bisogno ed a qualunque decenza. Si pensi a
Gardini, che per chissà quali ragioni contribuì a distruggere un’azienda immensa. Si pensi a Napoleone che, con doti e fortuna eccezionali, spinto da
un’avidità smisurata, creò un impero e poi lo perse, rovinando se stesso, la
Francia, mezza Europa e facendo ammazzare milioni di persone. Si pensi ai
finanzieri di mezzo mondo, che hanno provocato la recessione del 2009.
L’avidità è la più tragica forma d’impotenza umana perché, essendo
lo stimolo principale d’ogni corsa verso il successo, i suoi risultati sono
ammirati ed emulati. Per questo non è considerata un disturbo della psiche, quale viceversa è. Per questo è così difficile da curare.
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3. L’AGGRESSIVITÀ, UN’ENERGIA DA GESTIRE
L’aggressività è la nostra carica vitale anche se, per moralismo, fingiamo
sempre di vederla in negativo. Così, a volte trattiamo qualcuno da arrogante, violento o brutale, senza accorgerci che, quando invece diciamo che è
intraprendente, che ha grinta, volontà e perseveranza, ci riferiamo ancora
alla sua aggressività: solo che, questa volta, la vediamo in positivo.
L’aggressività è un’energia che, secondo i punti di vista, può essere usata
bene oppure male, può sembrare simpatica o antipatica, utile o dannosa.
Un’energia che può essere stimolata anche solo dall’ipoglicemia, che ci
rende irritabili prima dei pasti. Ma, di per sé, non è né positiva né negativa.
Senza aggressività non ci sarebbero arte, civiltà, creatività; qualunque impulso si perderebbe in un mare di mollezza, di pigrizia, di chi te lo fa fare, di
lascia perdere e di tira a campare. Senza aggressività non esisterebbe neppure il fuoco, dovuto a quel Prometeo che lo rubò agli Dei e per punizione fu
condannato proprio all’eterna impotenza.
L’aggressività ha una pessima reputazione solo perché tende a trasformarsi
in violenza e a scaricarsi su falsi bersagli, magari prendendosela con lo strumento invece che con l’attore, con il martello invece che con l’imperizia che
ha fatto pestare il dito. Muzio Scevola diventò celebre per essersi arrostito la
mano che aveva sbagliato: c’è stato propinato come fosse un eroe mentre era
solo un masochista.
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Comunque sia, l’essere umano non avrebbe mai raggiunto neppure l’età
della pietra, se non avesse imparato ad usare la propria aggressività in
modo migliore che sfogandola in parolacce. E senza voler approfondire i
mille modi in cui da sempre l’uomo cambia l’aggressività in qualcosa di
utile e di creativo, qui notiamo come la trasformazione passi di solito per
due strade principali, tanto diverse da sembrare una l’opposto dell’altra.
Queste sono la strada del fare concreto e quella dell’agitarsi apparentemente inutile, ossia del darsi da fare a vuoto.
• La prima delle due è di norma considerata la più utile e creativa perché il
suo risultato è grinta, impegno, lavoro intenso. E così produce quattrini e
successo.
• La seconda è spesso trattata da spreco di tempo perché, condizionati a
considerare il lavoro alla maniera di Charlot sulla catena di montaggio,
tendiamo a disprezzare il ragionare, gli approfondimenti e le agitazioni a
vuoto tipici di ogni modo d’essere che non sia solo rozzamente pratico.
Certo, da un punto di vista strettamente pratico, l’agitazione a vuoto - il
darsi da fare - è l’antitesi d’ogni idea d’efficienza.
4. L’ANSIA, AGGRESSIVITÀ MASCHERATA
L’ansia, come si sa, è uno stato di timore latente non dovuto a fatti
specifici ma capace - da solo - di sommergerci con un’energia stritolante, alimentata da bisogni mai appagati e da creatività mai trasformata in
creazioni. A scatenarla può bastare un nonnulla: una frase, un sogno, un
pensiero, un dettaglio che fa improvvisamente arrivare alla coscienza un
chissà cosa dimenticato da chissà quanto tempo. L’ansia aggredisce spesso di notte, provocando sensazioni di totale impotenza anche perché gli
altri riposano e non si può chiedere l’aiuto di nessuno.
L’ansia ritorce contro di noi alcuni dei nostri poteri fondamentali, di cui
essa stessa è uno stimolo: poteri come l’immaginazione, la fantasia, la sagacia e la prudenza. E sebbene ci infastidisca, costringendoci a rimuginare
su eventi tanto possibili quanto improbabili - basati solo su qualche spunto
di realtà - nel fondo è dovuta solo a quella consapevolezza e a quel contatto
col profondo che ci evitano i danni della cosiddetta incoscienza.
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4. L’ETICA DEL POTERE
1. I CONDIZIONAMENTI DELL’ETICA
L’etica dà l’illusione di essere una struttura morale mentre, di solito, è
poco più di una struttura utile a qualcuno per condizionare qualcun altro.
Ed è un condizionamento importante, visto che influisce sul bisogno umano
di dominare ogni cosa, incluso il resto dell’umanità: determinando la storia
del suo potere e della sua prepotenza.
E qui entra l’etica, la scienza della morale, quasi un rompicapo per quanto
è diversa tra una cultura e l’altra, tra un’epoca e un’altra. Weber distingue tra
etica assoluta (quella del Vangelo, del Discorso della Montagna, dell’amore
per il prossimo, del porgere l’altra guancia), etica della convinzione (secondo
cui si deve solo operare giustamente, senza curarsi delle conseguenze, rimettendo l’esito nelle mani di Dio) ed etica della responsabilità (secondo cui si
deve sempre rispondere delle conseguenze delle proprie azioni).
Comunque sia, l’etica è un’espressione della cultura e delle tradizioni
di ogni etnia, nonché dell’insieme di dottrine che la caratterizzano. Perché
sono queste a stabilire cosa sia bene oppure male. Non è un caso che l’atteggiamento verso i comportamenti sessuali e quello verso diversi reati cambi
col tempo, con i luoghi e con i popoli. A incominciare dall’idea di amare il
nostro prossimo come se stessi.
Il dilemma è se noi siamo guidati dalla voce della coscienza o se siamo
solo condizionati dall’ambiente, dalle sue leggi e dalle sue ubbìe. Ebbene,
secondo noi la risposta a questo dilemma non consente dubbi: noi ubbidiamo soprattutto ai nostri condizionamenti, tanto da non riuscire neppure ad individuare le basi etiche da questi cui derivano.
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2. REGOLE IMPOSTE DAI POTERI DOMINANTI
Ai nostri giorni la sacralità della Legge sembra fuori moda: per lo meno,
lo è nei nostri Stati democratici dove le leggi sono scritte dai Parlamenti.
Eppure la sacralità rappresenta tuttora il cemento di innumerevoli gruppi
forti. Dove le manifestazioni e le cerimonie del potere rassomigliano molto
a quelle religiose. E soprattutto vi rassomigliano quelle delle dittature in
genere: parate, trionfi, sfilate, bandiere, riunioni oceaniche, motti, slogan.
Dittature dove un concetto aberrante di Bene e di Male, finito nelle mani dei
nazisti, malgrado fosse il prodotto di un’etnia che vantava il massimo grado
di cultura umanistica, nella Germania degli anni Trenta produsse un’etica
criminale. Dove il Bene, essendo quello, preteso e assurdo, della Germania,
consisteva nello sterminio dei suoi nemici veri o presunti - incominciando dagli ebrei - e nella sottomissione degli altri popoli, considerati esseri
inferiori. Un’etica tanto insensata quanto suggestiva, perché basata su un
concetto di supremazia quasi religiosa del tipo Dio lo vuole da parte del
Superuomo (naturalmente tedesco) e quindi piacque ai tedeschi che l’accettarono per fede e arroganza, senza perdere tempo a discuterla.
3. ETICA IN EVOLUZIONE
Il fatto è che nella vita dell’umanità occidentale, da duemila anni a questa
parte, è avvenuto un cambiamento tanto positivo quanto graduale e profondo.
Forse solo perché nel passato molti - quasi tutti - dovevano scegliere brutalmente tra Spirito e Materia anche nelle classi più agiate. Tanto che il Cristo
disse: “Non potete servire a Dio e alle ricchezze”. Tutto giocato sul potere
dello Spirito e dell’amore cristiano, in antitesi verso quello della materia e
della brutalità. Mentre oggi la nostra sfida sembra quella di riuscire ad affrontare questi valori tutti insieme: per gestire un potere materiale crescente, non
più costituito solo da ricchezza personale, in un modo sempre più accorto.
Ai tempi del Cristo non c’erano dubbi: la ricchezza non aveva altri fini
che quelli personali, il sociale non esisteva. Oggi, nel mondo occidentale,
le tasse distribuiscono, a fini sociali, ricchezze infinitamente maggiori di
quanto fosse immaginabile da qualsiasi nostro antenato. E’ come se oggi
l’umanità, più che dover scegliere fra Dio e Mammona, avesse il compito
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di imparare a maneggiare Mammona - il vituperato denaro - per arrivare a qualche tipo di Bene.
Come se, più che fuggire il Male e la tentazione, dovesse trasfigurarli.
Come dire che il Male non è nel Potere e nemmeno nella ricchezza ma nel
modo in cui questi sono vissuti. Un modo che dipende solo da noi. Come dire
che la nostra grandezza potrebbe consistere proprio nel superare questo punto. Come dire che la prima sfida dell’umanità attuale potrebbe consistere
nel superare il Male combattendone le cause anziché l’apparenza.
5. QUANDO LA POTENZA MASCHERA L’IMPOTENZA
Peggio per noi se, quando abbiamo un obiettivo davvero ambizioso, lo
manchiamo solo per un’eccessiva consapevolezza della sua importanza.
Peggio per noi se c’impappiniamo nell’esame per il quale ci siamo preparati meglio o se soffriamo una cilecca sessuale al momento della grande
conquista. Sono solo fatti normali della vita.
Il peggio, casomai, viene quando i problemi dovuti al senso d’impotenza
affliggono chi ha un grande potere sugli altri.
L’ansia di dominio condizionò Hitler e gli fece confondere la realtà con
le proprie visioni paranoiche fino a fargli distruggere la Germania; e più o
meno la stessa cosa accadde a Napoleone.
Il senso d’inferiorità verso Hitler condizionò Mussolini fino a fargli
distruggere l’Italia; il terrore delle cospirazioni spinse Stalin ad uccidere
decine di milioni di concittadini innocenti. La smania del potere indusse
Saddam Hussein a rifiutare un onorevole, dorato esilio: l’unica possibilità,
visto che non aveva nessuna probabilità di vincere contro gli Stati Uniti. E
Nerone, tra i primi ubriachi di potere passati alla storia per le loro stramberie, era evidentemente in balìa di un folle senso d’impotenza verso la vita.
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5. CONOSCERE I PROPRI
CONDIZIONAMENTI
1. MODELLI DI COMPORTAMENTO VERSO L’AUTORITÀ
Liberarsi dai nostri condizionamenti è difficile. Ma prenderne coscienza
per migliorare la nostra libertà interiore è ampiamente possibile.
Per tutti gli animali - umanità compresa - le regole tecniche della vita costituiscono il know-how della specie, mentre il comportamento e i suoi modelli
ne determinano lo stile, l’arte di vivere: in un insieme così tipico da caratterizzare ogni razza, ben oltre l’aspetto fisico. Le regole tecniche dell’umanità
vanno dal modo di costruire una casa a quello di sopravvivere alla burocrazia,
da come sciare a come distinguere i funghi buoni da quelli velenosi, da come
lavorare in un’azienda a come usare un computer, da come guidare un’automobile a come curare una malattia.
Viceversa, i modelli di comportamento umani dipendono in parte da fatti
ambientali, in parte dalla cultura e dalla maturità degli individui e sono largamente dovuti alle tradizioni. Mentre di pari passo evolvono le dottrine politiche
e religiose che a loro volta determinano le nostre norme di comportamento.
2. LA SOGGEZIONE ALL’AUTORITÀ: LIBERARSENE ANCHE ATTRAVERSO L’INCONSCIO
La prerogativa di ricevere un’educazione da qualcun altro non è solo
umana: anche i cuccioli degli animali ne hanno bisogno. Ma, per loro, il
metodo è prestabilito dall’istinto e quindi è tanto ripetitivo quanto sicuro.
Viceversa, noi dobbiamo imparare un’infinità di cose con le quali l’istinto
ha poco a che fare e sulle quali anche i nostri educatori spesso hanno poco
da insegnarci e molto da confonderci.
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3. PRENDERE DISTANZA DAI TROPPI CONDIZIONAMENTI EREDITATI
Conquistare potere su se stessi può voler dire molte cose. Perché si conquista potere su se stessi anche semplicemente usando medicine adatte a
curare diverse malattie, ansia, aggressività e avidità incluse.
Ma, di solito, per “conquistare potere su se stessi” s’intende altro. Per
esempio può significare saper superare il senso d’inadeguatezza di fronte
alla vita: bravi se ci si riesce. E può anche significare saper prendere distanza dai condizionamenti dovuti al nostro ambiente, migliorando la nostra
autoconsapevolezza, magari dopo essere stati costretti a rifiutare certe regole di buon comportamento che sembrano l’ossatura della nostra società
mentre ne sono soltanto la prigione. E allora il discorso cambia.
Dunque, il nostro modo d’essere dipende da quanto è contenuto nel nostro codice
personale e dal rapporto tra quanto c’è già scritto e quanto resta ancora da scrivere. Un codice personale i cui contenuti e i cui messaggi sono affini a quelli
del super-Io di Freud, dalle cui rigidezze gli psicoterapeuti cercano di liberare
i loro pazienti, insieme alle nevrosi che ne derivano.
4. IL PROCESSO DI EMANCIPAZIONE DAL GRUPPO SOCIALE
La conclusione è che, sulla strada dell’autoconsapevolezza, il maggior
ostacolo sembra costituito dal gruppo sociale gerarchico a cui apparteniamo.
Si noti: lo abbiamo chiamato gruppo sociale per distinguerlo dal gruppo
creativo fatto di uguali, un gruppo del tutto diverso di cui parleremo più
avanti, che prende anche il nome di team in inglese (vuol dire squadra) o di
think tank ancora in inglese (letteralmente serbatoio di pensiero: un gruppo
di pensatori creativi che collaborano su un tema prestabilito).
Perché, comunque lo si guardi, un gruppo sociale è una via di mezzo tra una
caserma, una scuola, una famiglia, un convento, una prigione e un lavaggio di
cervello collettivo. Tale da aiutare il singolo fino ad un certo punto, plasmandolo, aiutandolo, ma sempre costringendolo all’adorazione delle sue icone.
Pretendere di sapere dove il mondo vada a parare non è ragionevole.
Qualcuno crede che stiamo tornando verso un nuovo Medioevo; qualcun altro, addirittura, profetizza che stiamo entrando in una Nuova Era.
Nessun’estrapolazione, nessuna previsione è sensata e ragionevole anche
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perché ogni processo di cambiamento può essere bloccato o addirittura invertito da un nonnulla: dieci anni dopo la Rivoluzione Francese c’è stato
l’impero di Napoleone e dopo altri venti anni la restaurazione dei Borbone.
La Rivoluzione russa, iniziata democratica nel 1917 è stata ribaltata dai bolscevichi in pochi mesi, causando un ritorno a un tragico dispotismo durato
poco meno di un secolo.
Ma, soprattutto, sono imprevedibili gli effetti distruttivi sui potenti della
terra, dovuti alla presa di potere da parte di individui molto meno potenti.
E’ probabile che nel prossimo futuro accadano innumerevoli rivolgimenti dovuti a minoranze colte, informate e più coscienti che nel passato: rivolgimenti di segno opposto rispetto a tanti altri di stampo fideistico che si
sono alternati causando altre, tragiche rivoluzioni nel recente passato, dalle
dittature europee alla presa di potere degli Ayatollah in Iran.
E tutto ciò malgrado l’impossibilità di conoscere davvero i fatti, le situazioni, gli altri e noi stessi e, peggio, le loro motivazioni. Ossia, malgrado la
sostanziale impossibilità di raggiungere una consapevolezza vera di ciò che
accade e del perché. Dove “consapevolezza” significa avere piena coscienza di qualcosa. Dove “coscienza”, a sua volta, significa facoltà di avvertire,
comprendere, valutare i fatti che si verificano nella sfera dell’esperienza individuale o si prospettano in un futuro più o meno vicino.
5. LA CONSAPEVOLEZZA CHE AIUTA A LIBERARCI
La difficoltà - a volte, la quasi impossibilità - di conoscere davvero i fatti e
gli avvenimenti del mondo per quello che sono stati è dimostrata nei processi
dei tribunali penali, gli unici procedimenti organizzati in modo da ottenere
una conoscenza della verità sufficiente a poter emettere un giudizio equo. E
particolarmente difficile è la conoscenza degli avvenimenti politici e storici,
spesso così intricati, così gravati da fantasie confuse, complicate e realistiche
da rendere impossibile capirne le ragioni, se non a grandi linee. Ragioni a
volte ignorate dagli stessi protagonisti e quindi inaccessibili tanto ai cronisti
quanto agli storici. Ragioni sulle quali, tuttavia, qualcuno è così convinto da
rendere impossibile qualunque discussione in proposito.
Di qui la necessità di usare molta circospezione nel credere di sapere e nel giudicare fatti e persone.
• Perché un conto è una scarsa consapevolezza, uno è la volontà di accrescerla, uno è unire la mancanza di consapevolezza alla certezza apriori22
stica delle proprie convinzioni.
• Perché un conto è cercar di capire come sono stati davvero certi fatti; uno
è farsi convincere che questi siano avvenuti in un certo modo, credendo in
qualcuno che ha interesse ad imbrogliarci o che semplicemente sbaglia.
• Perché un conto è porsi il problema di quale sia stata una certa realtà e districarsi tra risposte frammentarie, insoddisfacenti, contraddittorie; un conto
è non porsi il problema ed accettare risposte prefabbricate senza discuterle.
6. LE CRITICITÀ DELL’AUTOCONOSCENZA E DELL’AUTOCONSAPEVOLEZZA
Quanto alla conoscenza di noi stessi - l’autoconoscenza - solo questa
può aiutarci a capire entro quali limiti un certo sistema di valori sia davvero
nostro e fin dove possa condizionarci.
Solo l’autoconoscenza può rivelarci che anch’esso è una proprietà come
un’altra, così come lo sono un’automobile o una casa.
Solo l’autoconoscenza può permetterci di conoscere davvero i nostri
scopi più veri e di valutarne il senso, il valore e le priorità. E se non
abbiamo il coraggio di approfondire l’autoconoscenza, può voler dire che
soffriamo di qualche blocco interiore, magari dovuto ad un malinteso concetto di peccato. Magari per paura di mettere in discussione certe leggi che
vogliamo considerare al di sopra d’ogni critica: una paura così grande da
farci respingere qualunque ipotesi diversa.
Solo che conoscere e capire se stessi è quasi più difficile che conoscere
fatti che non ci riguardano, fatti di cronaca o di storia.
In più, conoscere e capire se stessi è la strada dell’autoconsapevolezza, di quel conoscerci per ciò che siamo senza considerarci strani solo
perché ci si sente unici e quindi diversi dagli altri. Una pretesa in altri tempi
limitata ai filosofi, mentre oggi dilaga.
Ma l’autoconsapevolezza significa percepire se stessi ed esserne percepiti
simultaneamente. Significa essere allo stesso tempo conoscenti e conosciuti,
giudici e giudicati. Quindi non è solo autoconoscenza, perché per questa
siamo solo oggetto mentre, in rapporto all’autoconsapevolezza, siamo anche
soggetto. E poiché il soggetto gestisce l’oggetto, così facendo lo modifica.
E, senza accorgersi, cambia anche se stesso. Non è un gioco di parole, è solo
logica: la stessa del potere di accettare se stessi e, quindi, anche gli altri.
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L’autoconsapevolezza apre uno spiraglio per arrivare senza troppe forzature
un po’ più vicini al senso del dovere, alla buona volontà e perfino al famoso
amore altruistico al quale continuiamo a restare così estranei, malgrado i
duemila anni trascorsi dalla predicazione del Cristo.
L’insieme di energie in cui viviamo e di cui siamo forniti si trova in una
perenne turbolenza che spesso le mette in contrasto tra loro. Sappiamo capire gli eventi e modificarli. Sembriamo avere un’acuta capacità di distinguere tra Bene e Male, anche prima di aver definito cosa siano l’uno e l’altro,
senza mai considerare che, di solito, tanto il Bene quanto il Male sono solo
opinioni personali prive di base scientifica. E riusciamo ad orientarci in
mezzo alle più incredibili difficoltà, spesso solo difficoltà concettuali ma
pur sempre incredibili.
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SECONDA PARTE
Dalle miserie dell’Io
al trascendente
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1. EGOCENTRISMO
1. L’EGOCENTRISMO, PRE-REQUISITO PER L’AUTOAFFERMAZIONE
L’Io è il soggetto dell’egocentrismo che, a sua volta, è il requisito indispensabile per l’autoaffermazione. Spontaneamente egocentrico, l’essere
umano tende davvero a vedere il mondo come se girasse intorno a lui. E, a
quanto pare, centrato su se stesso non è solo l’essere umano. Certo lo è il
mio gatto, convinto che ogni rumore annunci una minaccia, sicuro che si
torni a casa solo per nutrirlo, persuaso che nulla al mondo sia interessante
se non lo riguarda. D’altra parte, a tutti gli esseri viventi accade continuamente di evitare o di schiacciare ciò che li contrasta mentre badano al proprio interesse: il potere di vivere è centrico per definizione. Però, di solito,
il termine egocentrismo si usa solo per l’essere umano perché implica l’esistenza di un Io inteso come soggetto pensante e consapevole.
Dunque, il mio gatto sembra egocentrico perché è quasi umano. Ma forse, in quanto gatto, non possiede un Io capace di concentrare il suo interesse
su obiettivi scelti consapevolmente. Oppure possiede un Io-gatto fornito
d’obiettivi diversi da quelli di un Io-uomo. E’ difficile capirlo, perché non
parla la nostra lingua.
L’Io è uno dei nostri privilegi ed una delle nostre fonti d’illusione. Adamo, il primo Io al mondo, l’uomo della Bibbia, fu il privilegiato per definizione. Così i suoi successori, convinti di essere i più importanti sulla
Terra, misero questa naturalmente al centro dell’Universo: con gli astri che
le girano intorno, a incominciare dal Sole e dalla Luna. E considerarono
perfino la donna come un sottoprodotto dell’uomo: non foss’altro che per
essere nata dopo, da una sua costola.
2. L’EGOCENTRISMO, IL TORMENTO E LO STIMOLO AD EMERGERE
In compenso, la concentrazione sul nostro Io è anche uno dei nostri tor26
menti. Dunque, il termine egocentrismo indica non solo la concentrazione
sui bisogni e sui desideri dell’Io, ma anche la difficoltà che abbiamo ad
occuparci di qualcosa che non ci riguardi direttamente: perché l’egocentrismo implica una visione ristretta e, così come ci vieta di percepire il
nostro aspetto fisico con occhi altrui, c’impedisce di vedere i nostri limiti
personali. Inducendoci a credere che ognuno soffra delle nostre paure, ansie
ed ipocrisie e rendendoci difficile persino credere che qualcuno incontri
qualche problema nel fare qualcosa che per noi è facile.
L’egocentrismo tende a darci della vita una visione ottusa, un po’ come
succederebbe ad una formica che, camminando su una palla di colore uniforme, sospesa all’interno di un’altra palla identica, dal suo mondo a due
dimensioni concludesse di star vivendo nell’infinito. Mentre sarebbe solo
priva di punti di riferimento oggettivi.
..........
Qualcuno addirittura vorrebbe che il prossimo si occupasse di lui più
che di se stesso e, in questa sua pretesa d’amore a tutti i costi… lo accusa
d’egocentrismo perché non gli dà abbastanza. Così ci sentiamo prigionieri,
sfruttati e vittime anche quando non lo siamo; e intanto, ci comportiamo
da oppressori, manipolatori, sfruttatori senza neppure accorgercene, anche
quando potremmo evitarlo.
3. LA CIVILTÀ OCCIDENTALE, CONSEGUENZA DELL’EGOCENTRISMO INTELLIGENTE
A questo punto ci sembra interessante rilevare come ogni civiltà esprima
una vera e propria nota di fondo.
La civiltà greca è stata la culla della filosofia, quella egiziana era caratterizzata da una complessa visione dell’aldilà, quella israelita da un Dio
particolarmente duro e gruppocentrico, quella romana dall’imperialismo
organizzato, quella indiana da una singolare forma di spiritualità. La nostra civiltà euroccidentale invece è il distillato di uno sviluppo intellettuale
egocentrico che sposa una grande autonomia di pensiero ad una formidabile
concentrazione sulla tecnica e sugli aspetti pratici della vita in genere: lo
stesso ignobile uso attuale del termine consumatori per intendere esseri
umani la dice lunga su una certa visione del mondo.
I risultati non hanno precedenti, ad incominciare dalla capacità di sfruttare, a fini pratici, l’energia contenuta nella materia. Dovuta ad un piccolo
numero d’ingegneri britannici: tutti inventori, tutti autodidatti, tutti geniali,
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tutti motivati (forse) dalla loro passione ma (certamente) dalla voglia di
affermarsi e di far quattrini.
Soprattutto questa voglia, non solo l’ingegno, è stata la molla che ha portato
all’invenzione del motore, la più importante dell’umanità dopo quelle del fuoco, della scrittura, del bronzo, del ferro, della stampa e della polvere da sparo:
il motore, l’aggeggio capace di utilizzare un’energia prima impiegata solo per
cucinare e per riscaldarsi nella sua forma elementare di legna da ardere, di carbone e di olio di pietra, più volgarmente detto petrolio. Senza il motore non
conosceremmo né automobili, né aeroplani, né elettricità, né computer, né elettronica, né energia atomica. E il petrolio servirebbe soprattutto ad imbrattare i
piedi dei beduini e dei cammelli che attraversano certi deserti nei Paesi Arabi:
come è successo per millenni. Banale? Certo, tuttavia ricordarlo non guasta. So
no, rischiamo di tornare al somaro e al mulino a vento.
Di rado riflettiamo che le macchine fanno per noi tutto ciò che un tempo
era fatto da servi, schiavi e animali, oltre ad infinite altre cose neppure immaginabili fino a pochi decenni fa: conservare sostanze deperibili in frigoriferi, parlarsi e vedersi a distanza, rinfrescare l’aria d’estate, fare operazioni
chirurgiche. Il risultato è l’attuale livello di benessere e, quindi, di avere.
4. MATURITÀ CULTURALE E CAPACITÀ GREGARIA, ALLEATI PER IL SUCCESSO
Ancora a proposito di gruppi, ci sembra interessante notare come l’attuale successo non solo economico dell’umanità sia il risultato di una curiosa
combinazione tra maturità culturale e capacità gregaria.
Nel passato, fino all’Ottocento, le aziende di solito erano piccole e di tipo
familiare, eccettuati i cantieri navali e le imprese di costruzione che, peraltro, anche per fabbricare le più grandi opere storiche - piramidi, acquedotti,
strade, palazzi, castelli, cattedrali - richiedevano pochi cervelli e molta forza
bruta. Poi, all’improvviso, la scoperta del motore, quella dei diritti dell’uomo
e lo sviluppo tecnologico: ovvero, il progressivo affrancamento dalla schiavitù - anche culturale - e dal lavoro muscolare più pesante; e il bisogno di un
numero sempre maggiore d’individui sempre più colti e scolarizzati.
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6. OLTRE L’EGOCENTRISMO, LA SECONDA SFIDA DELL’UMANITÀ
Tra le criticità più serie dell’egocentrismo c’è quella di dar valore soprattutto all’arraffare tutto ciò che si può senza pagare il conto, trasformando la
vita in una gara continua e inarrestabile. Non esiste film che non si occupi
della prevaricazione, del furto, dell’omicidio e d’ogni altro mezzo per avere
di più: tutte variazioni sul tema del rapporto fra individui motivati dall’egocentrismo.
D’altronde l’egocentrismo è davvero basato sul rifiuto di considerare gli
altri come prossimo. Per l’egocentrico brutale, l’altro è davvero solo uno
strumento, un alleato oppure un nemico.
Ma il momento più critico del processo d’autoindividuazione egocentrica
sembra quello in cui il sogno di potere entra in crisi e ci lascia nell’impotenza. Accade a tutti, anche agli egocentrici più puri, quelli che per affermarsi
non hanno avuto scrupoli verso nessuno, o così si dice.
Solo la fine della crisi sembra diversa. Perché l’egocentrico puro può
finire soltanto in catastrofe, una catastrofe proporzionale alla dimensione
della sua brutalità. Sebbene le tragedie interiori vissute dai dittatori sconfitti, da Nerone a Saddam Hussein al termine della loro avventura, non possano essere neppure immaginate.
Qualcuno teme addirittura che i nostri egocentrismi personali e di gruppo,
moltiplicati per la massa degli umani, possano condannare l’umanità alla distruzione.
Dunque, per non vedere tutto irrimediabilmente nero, bisogna immaginare che esista qualche possibilità di superamento. E, così, vale la pena di
analizzare i principali correttivi: per esempio l’accettazione del non-Io, il
decentramento dal proprio Io, il contatto con l’umanità altrui, il lavoro per
gruppi creativi.
In ogni caso, sappiamo tutti quanto sia difficile riuscire a mettere sullo
stesso piano l’interesse altrui e il proprio, riuscire a rifiutare ricatti sentimentali, condizionamenti inconsci o manipolazioni senza ribellarsi e continuando
a rispettare gli altri. E’ difficile perché consiste nel far convivere un ampliamento di coscienza con un’autolimitazione, un aumento di potenza con una
nuova impotenza. Ed ha a che fare con l’amore e la responsabilità, ma anche
con un altro nostro soggetto interiore che a volte chiamiamo Anima, per qualcuno ipotetico e per qualcun altro reale, più sensibile dell’Io a questi valori,
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per livello di coscienza, per modo di porsi e per gli impulsi che ci dà.
La differenza tra i livelli di coscienza dell’Io e dell’Anima è tale da poterli mettere in un contrasto tanto profondo da provocare ogni genere di
disturbi e di malanni.
Questa chiave di lettura dei rapporti tra Io ed Anima potrebbe portare non
solo ad una nuova interpretazione di ciò che sta succedendo nella società,
ma anche ad una vera nuova sfida della nostra vita, la possibile Seconda
Sfida dell’umanità: quella di risolvere il contrasto tra i due padroni
interiori in una vera e propria integrazione.
Dunque, due aspetti umani così caratteristici di ognuno di noi quanto lo
sono le impronte digitali. Dove alcuni impulsi che ne derivano - come quello dell’amore e quello del senso dello Scopo - possono essere considerati
solo autentici moti dell’Anima.
Due moti dell’Anima che, nella vita d’ogni giorno, condizionano ogni
nostra attività anche quando siamo dominati da istinti arcaici come il sesso
e come il bisogno di potere. Due moti dell’Anima condizionati da un’infinità di fattori, anch’essi tipici di ognuno di noi.
• Il primo di questi due moti dell’Anima, la capacità di amare, nella sua
forma più elementare è una forza di attrazione che, tra gli esseri umani,
esprime uno dei poteri più antichi: la voglia di possesso e quindi di dominio. Insieme al suo opposto, ossia la disponibilità a lasciarsi dominare.
E, nella sua forma più elevata, esprime la disponibilità a rinunciare ad
una parte del proprio potere sulla vita a favore di qualcun altro.
• Il secondo di questi due moti dell’Anima, il senso dello scopo, è la bussola preposta a dare un orienta mento alla nostra vita, spaziando dai disegni più ampi ad una miriade di obiettivi contingenti.
Due moti dell’Anima dunque, da comprendere e da gestire per evitare
che si ritorcano proprio contro di noi. Perché spesso l’amore si deforma
in schiavitù e in oppressione e il senso dello scopo diventa una camicia di
forza. Ne discuteremo più avanti.
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2. EQUIVOCI SULL’AMORE
1. AMORE, IL TERMINE PIÙ EQUIVOCO DELLA LINGUA ITALIANA
Amore: l’abbiamo definito un moto dell’Anima. Peccato solo che l’amore
sia una qualità troppo spesso strumentalizzata dal potere, sempre abile a far
leva sui buoni sentimenti e a provocare sensi di colpa, soprattutto se apparteniamo ad un gruppo dominato dal principio di dover amare il prossimo.
E, poi, il termine amore ci confonde: ha troppi significati e serve a troppi
scopi, dal romantico al cristiano, dall’esoterico al porno.
Eppure, d’altra parte, l’unica antitesi al bisogno di potere si trova proprio nell’area dell’amore.
Amore è attrazione. Si ama perché si è attratti. Si ama un gioiello, un quadro, una donna, un uomo; si amano il lusso, il denaro, la ricchezza, il potere.
2. L’ETERNA CONFUSIONE TRA AMORE, RESPONSABILITÀ E COLPA
La nostra percezione dell’amore non è distorta solo dagli equivoci dovuti al suo inquinamento col potere, ma anche da quello che ci trascina nel
curioso gioco chiamato responsabilità. Un gioco che ci distingue dagli animali più evoluti e che, sintetizzando potere, amore e conoscenza, trasforma
cultura e sagacia in attività remunerata.
Solo da poco tempo stiamo maturando idee nuove, quanto a capire chi
sia responsabile dei nostri stati d’animo. Perché, secondo la psicologia del
profondo, le cause di ciò che accade dentro di noi non sono quasi mai quelle
apparenti: però, in compenso, queste cause possono essere indagate. Quindi
non è insensato prenderci la briga di gestire noi stessi, se è vero che gli stati
d’animo, il loro carburante ed il meccanismo per governarli sono roba nostra.
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E questo è il modo di ragionare che ha esorcizzato la diabolicità del sesso, dopo aver ammesso che l’attrazione sessuale dipende solo dalla nostra
sensibilità. Dopo aver capito che i tasti del sesso appartengono a noi e che il
successo del seduttore dipende solo dalla sua abilità nel suonarli.
Un insieme dove la responsabilità - che, del potere, definisce in qualche modo compiti e modi d’essere - è regolarmente confusa con la finta
responsabilità che consente di prendere più potere in barba all’ingenuità o
alla malafede di chi confonde fatti con opinioni. Un insieme che consente
di emergere proprio a chiunque sia capace di caricarsi di certe responsabilità - meglio se sono soltanto apparenti - e a saperle gestire in modo tale
da potersi vendere bene: perché, se lo fa bene, spesso gli viene chiesto di
farlo a livelli sempre più ampi. Così si costruisce una fama ed entra in una
gerarchia, trasformandosi in un’autorità.
3. LA TRASFORMAZIONE DELL’AUTORITÀ DA RESPONSABILE A OPPRIMENTE
Autorità è chi esercita un potere sugli altri ottenendo in cambio onori,
fama e prestigio in rapporto alla sua importanza: tutti simboli del potere
trionfante. Ecco perché diventare un’autorità è così vitale per chi ha più
bisogno di impersonare un ruolo importante del potere. Ecco perché il successo inorgoglisce così tanto chi lo conquista. Ed ecco perché l’autorità difende accanitamente il potere conquistato: perché è tanto più tanto assillata
dal timore di perderlo, quanto più è consapevole della modestia dei propri
meriti reali, confrontati con quelli che sbandiera.
Ma tutti sono accomunati da una caratteristica comune: l’antipatia. O,
più spesso, l’odiosità. Anche quando sorridono, anche quando raccontano
barzellette, anche quando si tratta di autorità di quart’ordine, oppure solo di
ribelli all’autorità imperante del momento.
L’autorità, se ride, lo fa bonariamente affinché se ne possa apprezzarne
la clemenza e l’accondiscendenza: odiose qualità fasulle, tipiche del potere.
Ecco perché Dio non ride. Perché se ridesse perderebbe molti fedeli: perché non interpreterebbe il sommo potere al modo che piace a loro, a quelli
che attribuiscono a Dio certi aspetti a propria immagine e somiglianza.
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4. IL MORALISMO DI ADAMO E LE SORPRESE DEL SUO CREATORE
E’ così che la storia umana è diventata anche quella dei suoi tanti conflitti
tra autorità e governati. Il primo dei quali avviene quando Javhé, dopo aver
creato l’uomo, gli impone un obbligo tanto autoritario quanto incomprensibile: “Il Signore Dio prese adunque l’uomo e lo pose nel paradiso, affinché
lo coltivasse e lo custodisse. E gli diede questo comandamento: mangia pure
di ogni albero del paradiso, ma dell’albero della ricerca del Bene e del Male
non ne mangiare, perché nel giorno in cui ne mangerai, ne morirai”.
Dunque, Adamo ed Eva non devono mangiare i frutti dell’albero del
Bene e del Male. L’albero è lì, i frutti sono a portata di mano, ma non
vanno toccati. E’ strano un Paradiso Terrestre dove c’è tutto ciò che si può
volere, incluso un albero che diventerà causa d’infiniti guai.
Può darsi che Javhé abbia imposto a Adamo ed Eva un limite così strano solo perché non li ritiene ancora maturi. E, infatti, li tratta come se fossero un po’ tonti. Ma Javhé li ha creati a sua immagine e somiglianza; e,
mettendo in cortile l’albero vietato, li ha costretti a disubbidire: cos’altro
poteva aspettarsi? Dunque, il peccato originale è la prima ribellione alla
pretesa autoritaria che ogni ordine vada ubbidito ciecamente.
Probabilmente i potenti d’Israele crearono la leggenda d’Adamo per ribadire l’importanza dell’ubbidienza al proprio potere, ovviamente attribuito a Dio. Creando un precedente e una giustificazione a priori ai collaboratori di ogni potere autoritario, quasi per sollevarli dalle loro responsabilità.
Ed è curiosa che Adamo ed Eva siano stati più coraggiosi di come sarebbero molti di noi, al loro posto.
Adamo era in grande anticipo sui tempi, perché l’uomo ha incominciato
a mangiare i frutti dell’Albero della Vita solo ai tempi nostri. Fisica nucleare, ingegneria genetica, clonazioni, DNA, vita oltre la vita, bomba atomica,
viaggi interplanetari sono solo alcune delle indagini della scienza, ma non
molto tempo fa sarebbero state definite di magia nera.
Subito dopo, ecco il sub-peccato originale: Caino agricoltore contro Abele
pastore. Uno offre a Javhé i prodotti della terra e del lavoro; l’altro i più bei
primogeniti del gregge. “Il Signore guardò benignamente Abele e i suoi doni,
ma non volse lo sguardo a Caino e ai suoi doni. E Caino ne fu molto irato,
e il suo volto fu abbattuto. E il Signore gli disse: Perché sei irritato e perché
hai il viso abbattuto? Non è vero che se farai bene avrai bene e se farai male
il peccato sarà subito alla tua porta? Ma sotto di te sarà il desiderio di esso
e tu lo devi dominare. Ora Caino disse ad Abele suo fratello: Andiamo fuori;
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e quando furono nei campi, Caino saltò addosso al suo fratello Abele e lo
uccise”.
La storia di Caino e Abele mostra che i problemi dell’umanità non sono
cambiati granché. Caino è l’uomo moderno, Abele è il colonizzato, l’indigeno dell’Africa, dell’America, dell’Oceania: tutti sterminati o strumentalizzati dal Caino civile che non conosce Dio, nonostante creda il contrario e
pretenda di parlare in suo nome.
5. IL MODELLO DELL’EVOLUZIONE, DA ADAMO A CAINO
Dunque l’avventura di Adamo, Eva, Caino e Abele non è storia ma visione del futuro. O meglio è un modello dell’evoluzione umana, dall’infanzia
alla maturità.
Nella Genesi, di fronte alla confusione d’Adamo dopo la cacciata dal Paradiso, Javhé sembra tra il perplesso, il divertito e il sarcastico: adesso ha la conoscenza del Bene e del Male, quindi è eguale a uno di noi. Perché Adamo ed
Eva diventano umani in modo tragicomico. Hanno subìto la punizione, hanno
sentito sulla propria pelle che il Male esiste, hanno concluso che ne devono
prendere le distanze, ma non hanno capito di che cosa sia fatto né dove sia.
Quindi, dopo aver mangiato il frutto proibito, il loro primo tentativo di autoconsapevolezza consiste nel cercare il Male da qualche parte. Fino trovarlo
nel sesso, capro espiatorio della prima cantonata moralista dell’umanità.
6. AMORE E POTERE
Nella storia umana, il conflitto tra amore e potere si ripete fin da quando
Adamo, creato da un atto d’amore, fu scacciato dai giardini dell’Eden con
un atto di potere. Perché in noi la forza attrattiva si oppone al bisogno di
potere. In un gioco dove l’amore è unitivo mentre il potere è separativo e
vuole tutto per sé; dove l’amore tende a farci identificare col suo oggetto
mentre il potere tende a farci sentire diversi.
Senza amore non esisterebbero neppure il bisogno di potere né l’ambizione, entrambe forme d’amore: per il potere, naturalmente. Dunque non è un
caso che, nell’attuale società umana - sempre la solita umanità occidentale,
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di educazione europea ecc. - una delle cose in più rapida evoluzione sia
proprio l’atteggiamento verso l’amore.
Dunque è evidente che, nell’ottica del Potere - del bisogno e dell’orgoglio per la propria potenza e della smania di scalata sociale - il tipo d’amore
più arduo da capire, da attuare e da gestire sia proprio l’Amore Cristiano.
Sempre utilizzato e sbandierato dal Potere fino ad esibirlo in quell’esercitazione di machiavellismo che suggeriva ai Re di Francia e di Spagna di farsi
chiamare rispettivamente Maestà Cristianissima e Cattolicissima… Oddio.
Sebbene all’amore, in questi casi, di cristiano restasse solo l’etichetta.
7. IMPERVIETÀ DELL’AMORE CRISTIANO
Il fatto è che l’amore cristiano, spirituale, altruistico, è davvero singolare
e difficile da praticare: concentrato com’è sul dare, sul trascendente, ossia
su obiettivi d’ordine superiore così irraggiungibili da condannarci a inevitabili insuccessi, tanto più carichi di conseguenze quando, sbagliando, li
addebitiamo alla nostra inadeguatezza. Subendo frustrazioni tanto più gravi
quanto maggiore è stato l’impegno profuso.
Col risultato che i tentativi di amore altruistico finiscono spesso col produrre uno strano tipo d’idealista frustrato che finge di non voler nulla per sé,
addestrato a considerare un male l’egoismo, l’egocentrismo e l’ambizione.
Mentre, pieno di desideri insoddisfatti, è in perenne attesa che qualcuno si
accorga spontaneamente del suo valore.
8. AMORE CRISTIANO E RISPETTO PER IL PROSSIMO
Il dramma di chi non riesce a superare questo paradosso - ossia, più o
meno, il dramma di tutti noi - potrebbe trovare una rappresentazione nella
storia di Caino e Abele se si provasse ad interpretarla in un modo un po’
diverso dal solito. Ossia, come se i due fratelli, anziché due persone diverse, fossero due parti di un unico individuo. E come se il fratricidio fosse
solo simbolico e significasse un gesto di rifiuto opposto dall’Io (Caino), ad
accettare la propria parte spirituale (Abele, l’Anima?) fino a volerla sopprimere per paura di perdere se stesso. O anche solo per paura di trascendere
se stesso, rischiando di non riuscire più dedicarsi allo scopo, forse fasullo
ma pur sempre scopo personale a cui ha dedicato tutta la vita.
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9. I GOFFI TENTATIVI DI GIOCARE ALL’AMORE CRISTIANO
Dunque, il messaggio dell’amore è un’inutile, sciocca, banale sovrastruttura in una società che non se ne cura? Che lo considera noioso e superato?
Probabilmente nessuno di noi appartiene solo ad uno dei due gruppi di cui sopra: perché tutti sembriamo avere comportamenti di entrambi i tipi, in misura
variabile secondo i momenti e le occasioni. Però, anche nelle persone più dotate di buona volontà e di disponibilità, i valori primordiali innati dell’umanità,
dettati dall’istinto del potere, con l’amore cristiano non vanno d’accordo. E’
questa la ragione che ci rende l’amore cristiano così estraneo ed ostico: perché
la rinuncia a mettere la nostra persona al centro dei nostri interessi viene vissuta
da tutti come un serio indebolimento dell’Io. Il quale, per sua natura, si sente
molto più vicino all’etica dell’occhio per occhio e del dente per dente. Con
questa premessa, difficile capire come si possa considerare “prossimo” il nostro nemico. Perché la rinuncia ad un diritto elementare come quello di trattare
amici e nemici in modo diverso, oltre a toglierci precisi vantaggi pratici, ci è
inaccettabile per istinto. Non è un caso che, su questo punto, dopo due millenni
di predicazione cristiana, sembri cambiato ancora così poco.
10. LA CONSAPEVOLEZZA DEL PROSSIMO E L’AUTOLIMITAZIONE DELL’IO
L’idea di poter correggere l’istinto di potere e ridurne gli effetti distruttivi
facendo leva sull’amore altruistico come stile di vita, come si sa non era
entrata nella logica umana prima del Cristo.
Nessuno, prima di lui, aveva mai usato l’idea dell’amore per il prossimo
quale perno di una filosofia dell’essere, sacrificandoci sopra la vita a garanzia
di coerenza. Tanto innovative che gli equivoci e i malintesi sorsero già durante
e dopo la predicazione del Cristo, in misura ben maggiore dell’attuale: perché,
nonostante ogni pessimismo, è difficile negare che negli ultimi tempi ci sia stata
una maturazione crescente e che sia successo davvero qualcosa di nuovo.
E questo qualcosa di nuovo è una sorta di valenza intermedia tra amore
e conoscenza: ossia, è la capacità d’essere un po’ consapevoli degli altri e
dei loro diritti. O, almeno, il tentativo di riuscirci. Una valenza che è andata
gradualmente affermandosi negli ultimi decenni e che, pur non essendo ancora autorealizzazione, si trova sulla strada per arrivarci.
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3. SCOPI
1. SCOPI PERSONALI E COLLETTIVI, SERI E DANNOSI
Il senso dello scopo è, con l’amore e l’etica, un altro dei moti dell’Anima.
Entrambi così tipici da essere l’eterno cavallo di Troia per chiunque cerchi
di manipolarci. Prova ne sia che, di solito, il meglio dei nostri scopi ci viene
sempre più o meno indicato da qualcun altro. E così una delle rivoluzioni
più serie dei nostri tempi, nel mondo euroccidentale, potrebbe consistere
nella sfida a scoprire liberamente i nostri scopi più autentici. Per evitare la
regolare, periodica, continua ricaduta in scopi che nostri non sono.
Siamo dotati di una gerarchia di scopi spesso contrastanti. Scopi a breve
e a lungo termine, scopi passeggeri, scopi-guida.
E poi c’è la felicità: lo scopo d’ogni nostro cercare agi, piacere e benessere. La felicità o, meglio, quel particolare tipo di felicità che consiste nel
rendere piacevole la vita circondandosi d’oggetti, abiti, gioielli e beni di
consumo più o meno pregiati e costosi.
Il guaio è che la felicità, in astratto, è uno scopo troppo vago. Dire la
felicità è lo scopo della mia vita significa non sapere ciò che si vuole. Per
questo la si identifica con tanti scopi secondari: perché, di volta in volta,
la felicità può voler dire sesso, amore, ricchezza, autorealizzazione e mille
altre cose, insieme o separate, in accordo o in contrasto tra loro.
2. SCOPI MAGICI
Scopo è prospettiva di una meta, di una potenzialità, di un futuro. Averne
uno equivale ad avere un potere sulla vita. Del resto, tutti gli scopi citati fin
qui sono sistemi per aver più potere sulla vita. Lo è il lavoro: potere di sopravvivere, di guadagnare, di essere qualcuno. Lo è la felicità: potere di go37
dere la vita. Lo sono le ambizioni spirituali: potere sulla vita dello Spirito e
sulla vita oltre la vita, per non parlare dei riconoscimenti che i cultori dello
Spirito riescono ad ottenere da ammiratori e da emulatori. Lo è l’innamoramento: potere su un altro essere, oppure potere di un altro essere su di noi.
3. LA RIVOLUZIONE DEGLI SCOPI: DAL SACRO AL PROFANO E VICEVERSA
Gli scopi base dei nostri antenati sono rivelati proprio dalla magia delle
loro opere, che mostrano pendolamenti assidui dal sacro al profano e poi
ancora al sacro e di nuovo al profano: e sembrano tutti tentativi di prendere
potere tanto sulla vita quanto sulla morte.
Le prime testimonianze di questi scopi sono opere per difendersi dai nemici, siano essi umani oppure trascendenti: quindi fortificazioni, templi, tombe.
Ma altrettanto singolare è che quest’evoluzione si sia scatenata e concentrata in alcuni Paesi, gli stessi dove sono nati gli scopi dominanti attuali.
Gli stessi dove la creatività intellettuale, l’ambizione personale, il desiderio
d’autorealizzazione, il bisogno di indagare e di conoscere, la spinta ad esprimere se stessi sembrano tutt’ora più intensi. Scopi di dominio, in ogni caso.
Dal punto di vista del Bene e del Male, in questi scopi un asceta vedrebbe
l’affermazione dell’orgoglio intellettuale più satanico.
Mentre noi ci vediamo solo la voglia di conoscenza, di libertà intellettuale
e di autoaffermazione. Ma ancora più bizzarro è che ci sia stata un’analoga
evoluzione dei più avanzati esperimenti politici e sociali. E che questi abbiano origine ancora nella stessa parte di mondo. Mentre dietro a questi scopi si
stanno manifestando nuovi obiettivi di potere. Come se, dopo la riscossa rinascimentale e dopo l’Illuminismo, ci stessimo ribellando contro l’idea stessa
d’autorità, più che contro l’obbligo di ubbidire all’autorità del momento.
E allora c’è da chiedersi: Perché tutto ciò accade proprio ora e perché
è è stato così a lungo concentrato proprio dalle nostre parti? Forse perché siamo più liberi di pensare?
4. GLI ARCHETIPI DEGLI SCOPI-BASE COLLETTIVI
Ogni civiltà umana è come l’espressione di un preciso scopo-base collettivo che la caratterizza, col quale i nostri scopi personali sono più o meno in
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sintonia. Ossia, è una specie d’archetipo in grado di condizionare tutti coloro che vivono in quel tempo e in quell’area, determinando l’orientamento
generale degli umori e delle opere, fino a quando il suo scopo-base non si
esaurisce: e allora la civiltà cambia, sulla spinta di un nuovo scopo-base
altrettanto preciso e coattivo.
Ed ogni scopo-base, a sua volta, curiosamente sembra come dovuto
all’influsso combinato di tre archetipi fondamentali. Come se il predominare di certi archetipi facesse prevalere alcuni scopi-base e ne facesse decadere altri, in un modo che varia da zona a zona e da tempo a tempo. Questi
archetipi sono in realtà tre coppie di opposti: quello del sapere contrapposto al fideismo, quello dello spiritualismo contrapposto al materialismo e
quello del collettivismo contrapposto all’individualismo.
5. PERCHÉ LA RIVOLUZIONE DEGLI SCOPI, PROPRIO ORA E DALLE NOSTRE PARTI
La civiltà Romana, meno caratterizzata di quella Greca dal desiderio di
sapere e dalla speculazione filosofica, in compenso ha espresso una maggior
quantità e qualità di tecnologia pratica. Il suo scopo-base era il predominio
e i suoi principali archetipi erano quelli del sapere pratico e dell’edonismo.
Non era vaccinata contro il modello dello spiritualismo e manteneva latente
quello del fideismo. Infatti, alla fine si è lasciata soggiogare dal cristianesimo. Più tardi, col decadere dell’impero, man mano che gli archetipi dello
spiritualismo e del fideismo prevalevano su quello del sapere, lo scopo-base
del predominio si è atrofizzato mentre si è imposto quello della conquista
dell’aldilà attraverso il rispetto di una certa Legge. Ne sono derivati i malintesi sulla dottrina cristiana, insieme allo spiritualismo intransigente ed alla
speculazione teologica che hanno poi dominato per quindici secoli.
La reazione contro tutto ciò inizia nel tardo Medioevo, quando i commerci internazionali, mescolati ad un po’ di sviluppo tecnologico, incominciano
a produrre nuova cultura e ricchezza: sufficienti a ridare all’individuo quella fiducia in sé che aveva smarrito. Così si è ridestato l’archetipo del sapere,
lasciato in letargo per quasi un millennio. Il successo di Shakespeare e di
Molière dipende certo più dalla maturità dei tempi che dalla loro genialità.
E’ singolare che, per trovare la stessa profondità d’indagine introspettiva
di questi autori, si debba retrocedere di due millenni, all’antica Grecia. Ma
a questo punto gli effetti dell’archetipo del sapere sono sempre più evidenti
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e ne deriva un nuovo scopo-base, l’esplorazione del conoscibile. Che, a sua
volta, stimola l’indipendenza mentale e lo studio dell’ignoto, prima in senso geografico e poi scientifico e psicologico: un interesse mai visto prima,
con obiettivi originali basati su metodi sperimentali davvero nuovi. Intanto
che, come reazione al passato, si sviluppa una forte componente d’individualismo insieme ad un crescente edonismo.
Ecco dunque la prima risposta alla domanda “perché proprio ora e solo
dalle nostre parti : forse perché siamo gli eredi del nostro passato, proprio
quello che caratterizzava i greci e i romani. Forse perché, a un certo punto,
si è aperta una breccia attraverso cui si è infilata tutta la curiosità e la voglia
di sperimentare represse per oltre un millennio.
8. LA RICERCA DEI PROPRI SCOPI PIÙ VERI, ATTRAVERSO L’ANALISI DELL’INCONSCIO
L’Io, non avendo padroni, ha il diritto di cercarsi gli scopi che più gli convengono. L’importante è che riesca a trovarli, questi scopi. E potrà farlo solo
se saprà conquistare un certo grado di consapevolezza di se stesso. La famosa
autoconsapevolezza di cui abbiamo già parlato tanto e che ai nostri tempi
- più che nel passato - cerchiamo di raggiungere attraverso un rapporto di
comunicazione con l’inconscio, la nostra miniera interiore. E, quindi, con il
flusso d’informazioni che ne proviene, in modo da poterlo gestire.
Il flusso dell’inconscio si vede scorrere come un torrente in piena nei
sogni. Ma anche nello stato di veglia fornisce spunti continui, a volte tanto
espliciti da essere percepiti più nettamente della stessa realtà esterna. Per
questo, ogni tanto rischiamo di far confusione tra realtà oggettiva e contenuti interiori, cadendo vittime del fenomeno chiamato paranoia.
Eppure non abbiamo il diritto di temere la paranoia. perché è un aspetto
normale della vita, un aspetto dal quale si entra e si esce.
Viceversa l’unica autorità a cui rispondere siamo sempre noi, anche
quando ci limitiamo a cercare qualche scopo autentico.
9. L’ETERNA CONFUSIONE TRA SCOPI REALI E ILLUSORI
Così entra di nuovo in gioco la capacità di approfondire, un potere che
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aiuta a rivedere princìpi già accettati ed archiviati, fino a confermarne il
valore o fino a demolirli.
L’arte d’approfondire è difficile perché obbliga a prendere coscienza
di innumerevoli elementi, valutandoli e analizzandoli per non rischiare
conclusioni banalmente conformiste. In più, serve solo se lo si fa in modo
serio, un modo che può essere lento per via dei ripensamenti e delle maturazioni che impone. In compenso, può farci giungere a conclusioni impreviste, persino sui nostri scopi. Benché, in qualche caso, possa creare essa
stessa disorientamento, a causa della confusione nel modo di valutare.
10. LA SCOPERTA DEI NOSTRI OSTACOLI INVALICABILI
Poi, ogni tanto, s’incontra qualcuno convinto che i computer possano
finire per dominarci. Senza accorgersi che questo significa travisare l’idea
stessa di scopo. Perché il computer, privo di consapevolezza, di volontà, di
bisogno del potere, d’istinti e di sentimenti - cose che non gli servono - non
può avere il senso dello scopo. E, se non ha il senso dello scopo, non può
avere nessuna voglia di dominare nessuno.
Tutte le macchine fanno qualcosa meglio di noi, non solo i computer. Chi
non ci crede, provi a serrare un bullone con i denti. Ma quando scoprirà che
la chiave inglese è meglio, non dovrà per forza concludere che l’umanità
verrà sottomessa dalle chiavi inglesi. Ed è tanto più assurdo tentare un paragone tra computer e uomo, quando è chiaro che il computer non avrà mai
neppure le qualità più elementari della pulce. La quale non fa le radici quadrate, che non le servono (ma non servono nemmeno al computer, che pure
le fa, a conferma di non possedere il minimo concetto di volontà). Però, nel
suo piccolo, fa ciò che vuole. Ha uno scopo e cerca di soddisfarlo. E questo
è vivere. E’ vivere da pulci, ma è pur sempre vivere.
Il computer sta ad una radice quadrata come la chiave inglese sta ad un
bullone. In più, può persino guidarci fino alla chiave inglese. Purché sia al
suo posto, altrimenti il computer si perde.
Quanto a noi, se non siamo soddisfatti dei nostri scopi e se vogliamo
arricchirli senza perderci in complicate indagini dell’inconscio, possiamo
tentare qualche scorciatoia.
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4. BENE, MALE, OTTIMISMO,
PESSIMISMO
1. I MOLTI CRITERI DEL BENE E DEL MALE
Stabilire cosa sia Bene oppure Male è difficile: a confermarlo potrebbero
bastare le distinzioni di Weber sull’etica. Solo che noi, nonostante le tragedie dei nazismi, dei kamikaze e degli infiniti altri orrori dei nostri tempi,
sembriamo ancora convinti di poter avere certezze. Mentre, probabilmente,
esistono almeno tante conclusioni quanti sono i criteri usati: tutti indiscussi
e tutti arbitrari, perché dovuti ad abitudini e costumi opinabili ancorché
presi da molti per leggi morali indiscutibili.
Ai nostri tempi la confusione tra bene e male è accresciuta proprio dalla
maggior cultura che ha paradossalmente aumentato il conflitto tra buon senso,
dottrine religiose, sociologia e psicologia. Perché il buon senso vuole il divorzio, l’eutanasia, l’aborto, il controllo delle nascite ed il preservativo, mentre
certe religioni respingono persino l’aborto terapeutico e pretendono che la castità sia un sistema sensato per combattere l’AIDS e per controllare le nascite.
In più, le religioni e l’etica forniscono idee chiare e canoni giusti per
ogni cosa, mentre la psicologia manifesta perplessità proprio sulle idee più
tradizionali ed accettate, tanto da declassarle a preconcetti.
Peccato che troppi insegnamenti sul Bene e sul Male riguardino solo disdicevolezze. Mentre gli unici due valori etici davvero essenziali - il rispetto per il
prossimo e per la verità - finiscono per diventare dettagli in mezzo a mille altri.
Dettagli trasmessi, in sordina, da persone che spesso non ne sono convinte neppure loro. Così il rispetto per il prossimo viene passato come buon’educazione
mentre la sua assenza viene considerata solo maleducata. Quanto, poi, all’amore ed al rispetto della verità, siamo immersi in un tale oceano di mezze verità
e di frottole, siano esse di tipo para-religioso, para-spirituale, para-politico o
para-scientifico, da non valer neppure la pena di fare esempi.
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2. LE REALTÀ SPICCIOLE DEL BENE E DEL MALE
La nostra carrellata sui criteri del Bene e del Male sembra terminata e
potrebbe sembrare esaustiva. E invece non lo è, se non viene integrata almeno dalle regole principali e dai condizionamenti più spiccioli in cui ci
imbattiamo ogni giorno.
(1) IL BENE VIENE IDENTIFICATO TROPPO SPESSO CON IL PROPRIO POTERE
Ognuno di noi tende a identificare il Bene con il proprio potere, ossia
con il proprio interesse, perlomeno quando il Bene consiste in piccoli
poteri considerati vitali, quali il possesso di una casa, di una famiglia, di
un amore, di un lavoro, di un certo grado di felicità: poteri modesti, come
modesto è chi si accontenta. Ma si tratta pur sempre di poteri.
(2) IL BENE NON SEMPRE EQUIVALE SOLO AL NOSTRO BENE
Identificare il Bene solo con il nostro Bene è naturale nella vita d’ogni
giorno e nelle regole d’ogni gioco, politica e lavoro inclusi. Ma quando
il Bene viene identificato nel Male altrui - e quando il Male viene identificato nel Bene altrui - allora vuol dire che siamo davvero pronti ad
estendere il nostro Bene a spese di chiunque altro.
(3) NESSUN POTERE HA IL DIRITTO DI IMPORRE I SUOI CRITERI DEL BENE E DEL MALE
Non esiste Potere privo del vizio di imporre agli altri i propri criteri del
Bene e del Male.
(4) CHI SEMBRA INCARNARE IL BENE, SPESSO FA SOLO AUTOVENDITA
Presentarsi come un’espressione del puro Bene è tipico di chi vuol vendersi: un’arte simile a quella di recitare, di dissimulare e di imbrogliare.
Come ben sapeva il Machiavelli, ammiratore della canaglieria in politica.
(5) DISTINGUERE IL BENE DAL MALE È UNA RESPONSABILITÀ PERSONALE
Non c’è scampo: la responsabilità di decidere cosa sia Bene oppure Male
è proprio nostra.
(6) LE SCORCIATOIE PER IL BENE SONO SPESSO UN IMBROGLIO E SEMPRE UN AZZARDO
Dunque le molte scorciatoie per il Bene vanno affrontate con attenzione:
anche perché, spesso, non sono scorciatoie ma imbrogli.
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E intanto, chiamando Bene il proprio potere e Male la propria impotenza
(nonché l’oppressione altrui), un certo tipo d’essere umano cerca di accrescere il suo Bene e di diminuire il suo Male in una commedia del potere di
cui è autore, regista e attore.
E’ tanto vero, tutto questo, da sembrare la trama di un romanzo dell’Ottocento. E, invece, è solo il dramma dell’umanità, sempre in bilico fra sfida e
ricerca di sicurezza, fra tracotanza e vittimismo, fra ruggito e guaito. Non
sorprende che il Padre Nostro termini invocando: “Liberaci dal Male”.
3. I TERRORI PER LE PROSSIME CATASTROFI (FORSE) CAUSATE DALL’UOMO
In base ai criteri con cui abbiamo iniziato questo capitolo, il Novecento
sembra proprio il secolo in cui il Bene e il Male hanno avuto il loro apice.
Tuttavia, nel Novecento, i concetti del Bene sono stati applicati soprattutto
nel benessere pratico, mai diffuso prima (beninteso, nel solito mondo Euroccidentale) in modo così vasto e profondo: nel sociale, nella sicurezza,
nell’assistenza, nell’istruzione. Viceversa, i concetti del Male sono stati applicati soprattutto verso uomini considerati diversi: nell’intolleranza, nella
mancanza di rispetto dell’altro, nell’incapacità di vederne i diritti.
A questo punto, in base ai nostri criteri del bene e del male, i molti che si
chiedono cosa succederà quando (non più se) le risorse della Terra diventeranno davvero critiche, si trovano di fronte a profezie fosche, elaborate su
modelli di previsione tanto saccenti quanto tendenziosi. Mentre le azioni
correttive proposte si moltiplicano con risultati scarsi ed ansie crescenti.
Dunque, nulla di buono e nulla di nuovo, visto che analoghe paure hanno
fatto da terreno di coltura al nazismo e da innesco alla seconda guerra mondiale. E le alternative future immaginabili, pratiche, sembrano solo due:
l’intervento correttivo e le catastrofi.
• Alla prima alternativa, l’intervento correttivo, appartengono le attività
per trovare nuove soluzioni. E qui, a parte l’equazione tra civiltà e sprechi, la difficoltà sta nei pregiudizi correnti.
• Alla seconda alternativa appartengono le catastrofi più probabili. Ne abbiamo anticipazioni a volontà: Fukushima, Chernobyl, Seveso, Bophal,
la Exxon Valdez; il Lago Aral ridotto a pozzanghera per aver deviato il
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corso degli immissari; le piogge acide, la distruzione delle foreste, l’eutrofizzazione delle acque, l’incendio dei pozzi di petrolio in Kuwait; e,
prima, il Vietnam, l’Iran, la Corea, le guerre mondiali.
4. IL PESSIMISMO, L’ATTEGGIAMENTO PIÙ INUTILMENTE DISTRUTTIVO
Comunque stiano queste faccende, a noi le indagini sul futuro interessano solo come spunti da cui trarre qualche conclusione sui nostri
modi di ragionare e sulle loro cause: perché desideri, speranze e paure
causano interpretazioni capaci di stravolgere ogni tecnica di previsione,
anche la più ragionevole. E a noi interessano solo i motivi che influenzano queste interpretazioni.
La differenza fra i risultati delle varie previsioni dipende soprattutto dal
prevalere dell’ottimismo o del pessimismo. Perché la logica imporrebbe che
le previsioni prendano le mosse dalla conoscenza della realtà mentre, invece, spesso è proprio questa conoscenza a venir distorta: secondo che venga
affrontata con atteggiamento ottimistico oppure pessimistico.
Dove ottimismo e pessimismo s’incrociano continuamente, influenzando
la percezione del futuro indipendentemente dai dati di partenza.
Dove, da un punto di vista pessimista, ogni prospettiva futura è ovviamente tragica: non è qualche catastrofe ad incombere sull’umanità, è la
catastrofe totale. Dunque, per il pessimista, l’umanità non troverà mai nessuna soluzione ragionevole, imbrigliata com’è da cinismi, idealismi, irrazionalità e bisogno di cavalcare la tigre.
5. L’OTTIMISMO, L’ATTEGGIAMENTO PIÙ POSITIVO, PIÙ CREATIVO E PIÙ SCIOCCO
Da un punto di vista ottimista, viceversa, nessun futuro può essere immaginato senza tener conto delle risorse umane positive, creative, costruttive,
amichevoli, amorevoli. Cosicché gli aspetti negativi vanno considerati solo
alla stregua di alcuni elementi tra tanti altri. Anche se l’ottimismo ha innumerevoli motivi per essere considerato ingenuo, sciocco e strumentale ad
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ogni forma di potere. A incominciare dal Candido di Voltaire che, vittima
del suo maestro Pangloss - la caricatura di Leibnitz - passava da una testimonianza di orrore all’altra restando, appunto, stolidamente ottimista.
Ma la differenza fra pessimista e ottimista dipende anche dal fatto che a pari conoscenza della realtà - le previsioni dell’ottimista tengono conto
d’aspetti come l’immaginazione, la generosità, l’adattabilità, la creatività e
la capacità di dedicarsi ad uno scopo, la capacità di valutare i rischi, cose
che il pessimismo ignora. E, soprattutto, della capacità umana di autocorreggersi e di limitarsi,
In fondo, dunque, la forza del pessimismo sta nel farci sentire migliori
degli altri in modo facile e banale.
Il punto principale è che il pessimismo è un atteggiamento negativo dovuto ad un sostanziale disprezzo per l’umanità. Un disprezzo che dubita
persino della capacità di imparare dai nostri errori. E il pessimista produce
cattivo umore e catastrofismo perché non riesce a percepire nulla oltre il
Male presente, passato e futuro.
Mentre l’ottimismo dipende dal saper credere anche nelle qualità umane
più elevate. Tanto elevate da chiedersi se non travalichino i limiti dell’Io, al
punto da supporre qualche sua parentela più o meno lontana con il soprannaturale. Che a sua volta è sinonimo di trascendente.
E, così, viene da domandarsi se quello del trascendente, avendo a che
fare con qualità così umane da sembrare sovrumane, non sia davvero un
mondo reale dotato di vita propria, oggettiva, proprio come quella del mondo dei sensi.
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5. LE QUASI DIMOSTRAZIONI DEL
TRASCENDENTE
1. TENTATIVI DI UN APPROCCIO RAZIONALE AL TRASCENDENTE
Ed eccoci ad una conclusione inattesa: è possibile che, dietro le qualità
capaci di rendere possibile l’ottimismo, si celi perfino il segreto del trascendente e della sua esistenza. E così, studiando il perché di queste qualità
e la loro origine, si finirebbe per scoprire qualcosa su uno dei misteri del
nostro mondo: quello di Dio. Perché indagare il trascendente equivale a
indagare surrettiziamente anche qualche aspetto di Dio.
A favore dell’esistenza di un trascendente ci sono almeno tre ragioni,
naturalmente opinabili, ma impossibili da trascurare.
• La prima ragione è quella che ci ha indotti ad affermare che certe qualità
umane sembrano tanto elevate da chiedersi se non travalichino i limiti
dell’Io, tanto da supporre un “oltre-Io” transpersonale, imparentato con
il soprannaturale.
• La seconda è relativa all’Io e all’esaltazione dei suoi obiettivi, ne abbiamo
innumerevoli esempi.
• Per contro ci sono le azioni e i pensieri nobili, quelli della generosità e
del disinteresse. E sono queste a far pensare che l’Io possa essere trasceso in un qualcosa a cui appartengono le qualità come l’altruismo, l’abnegazione, la bontà e il senso del sublime.
Naturalmente, chi respinge l’idea dell’esistenza di un transpersonale trova,
per gli aspetti più elevati della vita e del nostro modo d’essere, altre spiegazioni più o meno scientifiche, quali il “carattere” e l’educazione.
L’idea che si possa conoscere qualcosa in più del trascendente offre una
prospettiva e una sfida: non è granché, ma è molto più di nulla. Anche perché migliorare la conoscenza del trascendente può essere l’unica strada per
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sapere qualcosa di Dio, di cui per ora - se si escludono i dogmi delle fedi abbiamo solo indizi vaghi e contraddittori. E in proposito possiamo portare
qualche argomento non privo di valore.
• Una “dimostrazione di Dio”, quella di Voltaire detta anche dell’orologiaio.
• Alcune considerazioni conseguenti agli incredibili risultati della scienza.
• Altre considerazioni legate al modo di evolvere della nostra vita.
2. IL TRASCENDENTE, IL PARANORMALE E L’ATTEGGIAMENTO SCIENTIFICO
Ciò che crediamo di sapere sul trascendente metafisico ci arriva solo
dalle religioni, da chi pretende di conoscere qualcosa del paranormale e da
chi pretende di essere in diretto contatto con Dio. Le uniche informazioni
semi-scientifiche le abbiamo sul nostro transpersonale e dipendono dalle
intuizioni di alcuni famosi psicologi del profondo.
• I fenomeni del paranormale, testimoniato da una minoranza di idealisti,
di sensitivi e di imbroglioni, in un paio di secoli non sono stati dimostrati
da nessuna prova buona per la scienza.
• Quanto ai contatti diretti con Dio, i personaggi storici che li hanno vantati
sono innumerevoli, da Giovanna d’Arco a Carl Gustav Jung.
Resta il fatto che il trascendente - salvo la sua parte psicologica con le
intuizioni di Freud, di Jung, di Assagioli e degli altri psicologi del profondo - è caratterizzato da una curiosa criticità: chiunque ne sappia qualcosa
può trasmettere la sua conoscenza solo a chi è disposto a credergli o a chi
la pensa come lui.
Dunque, l’unico atteggiamento scientifico possibile verso il trascendente
resta quello di cercare di bilanciare intelletto e intuizione. Dove l’intuizione
propone i suoi colpi d’ala, mentre l’intelletto critica, smonta, crea dubbi,
razionalizza.
3. EVOLUZIONE O CREAZIONE
Negli ultimi centocinquant’anni sono arrivate almeno due novità scientifiche capaci di influenzare le nostre idee sul trascendente: sono la teoria dell’e48
voluzionismo dovuta a Darwin, e quella del Big Bang dedotta dalle equazioni
della relatività generale di Albert Einstein.
L’evoluzionismo, spiegandoci che tutte le specie presenti in natura sono
dovute all’evoluzione di altre precedenti, ha demolito l’illusione che alcune
o tutte le specie siano state create. Così ci ha suggerito che non essendoci più
creazioni non serve più il creatore, dando un appoggio quasi scientifico all’ateismo. Però è rimasta almeno una lacuna importante, relativa al momento in
cui è nato l’universo: ma come è nato? E’ nato con il “Big Bang”, ossia ha
avuto un inizio da cui si è messa in moto ogni cosa? Ma, ammesso che sia
così, siamo sicuri che il Big Bang non sia stato un immenso atto di creazione?
E, allora, perché non supporre che dietro il “Big Bang”, dietro l’inizio di tutto
non ci sia proprio quello a cui qualcuno dà il nome di Dio?
E poi anche l’uomo crea, pur essendo stato creato. E, una volta ammessa
la creazione iniziale, è difficile immaginare perché mai un ipotetico creatore
avrebbe deciso di non creare mai più nulla, di non lasciarsi mai più tentare da
qualche nuova creazione, qualche cosina magari un po’ meno importante e
rumorosa di quella iniziale.
Tanto più che l’evoluzionismo offre qualche aspetto davvero interessante.
Per esempio, lo scheletro dei mammiferi è concettualmente eguale per tutti.
Da due a trecento ossa che, combinate in innumerevoli modi diversi, si adattano a tutti i mammiferi, uomo incluso. ..........
Tutto ciò, solo per affermare che lo scheletro originale dei mammiferi sembra disegnato per usi molto ampi, come se fosse stato progettato da qualcuno
che voleva costruire, fin dall’inizio, un macchinario infinitamente adattabile:
un macchinario che, con un po’ di ritocchi, secondo i casi permettesse a qualcuno di camminare a quattro zampe e a qualcun altro in posizione eretta.
4. LA TERZA SFIDA DELL’UMANITÀ ATTUALE
Se quanto sopra ha un senso, si direbbe proprio che l’umanità dei nostri
giorni sia di fronte a una terza sfida: quella di arrivare a qualche nuova
scoperta importante nel mondo trascendente, tale da modificare il nostro
modo di guardare alla vita e ai suoi scopi. Anche perché mai, prima d’ora,
l’umanità è sembrata così matura per una sfida tanto impegnativa, com’è
paradossalmente confermato perfino dall’esplosione dei fondamentalismi
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religiosi. Dalle nostre parti lo si vede nella disponibilità verso gli altri, verso
l’ambiente e nell’aumento dell’apertura mentale. Un’apertura mentale fatta
di tolleranza, di attenzione al sociale e di crescente rifiuto della violenza.
Intanto, a noi, dopo un così lungo meditare e ragionare, resta una conclusione: il nodo centrale del nostro modo di vivere potrebbe consistere
proprio nel costruire un nuovo rapporto tra noi e il trascendente. Anche se non lo vogliamo, anche se non sappiamo neppure se esista, anche se
lo rifiutiamo. Perché non basta negarlo, per impedire che esista e che sia
importante. Perché la Verità è quella che è, indipendente dalle nostre
opinioni e dalla nostra percezione. E non è influenzata dalle nostre convenienze. E lo stesso vale per il trascendente, piaccia o non piaccia.
La Terra era rotonda anche quando si credeva che fosse piatta. E anche
questa verità è stata dimostrata solo per indizi. Ma soltanto dopo aver incominciato a sospettare che la Terra fosse rotonda, si è imparato a navigare, si
è scoperta l’America e si è trasformato il mondo. Con conseguenze positive
e negative, certo: ma è improbabile che siano in molti, ai giorni nostri e
dalle nostre parti, a preferire la vita del Medioevo.
5. IL TRASCENDENTE E L’ANIMA: IL “DOPPIO” NOBILE DELL’IO
Ragionare del trascendente implica cercare di saperne qualcosa in più. E
non sembra impossibile, se ci si limita ad affrontarne solo qualche frammento che ci riguardi direttamente. Perché, mentre sembra assurda la pretesa di
avvicinarsi davvero al concetto di Dio, troppo ampio e inclusivo persino per
poterlo solo immaginare, va tenuto presente che anche su Dio nulla ci ha mai
interessato che non ci riguardasse personalmente. ..........
Sono queste le ragioni che ci hanno indotto gli psicologi del profondo a
individuare una porticina sul nostro trascendente privato. Perché la scoperta
dell’inconscio risponde a una precisa esigenza medico-scientifica: quella di
capire le cause di fenomeni umani altrimenti inspiegabili, per poterli curare. E’ da queste esigenze che, indagando tra i frammenti del tanspersonale
che ci riguardano, si è arrivati a qualche ragionevole conclusione anche
sull’anima umana, magari come luogo dove si concentra un certo tipo di
consapevolezza, inclusa quella dei nostri scopi-guida.
Ed ecco il Sé, che per la Psicosintesi di Assagioli ognuno di noi possiede
in quanto capace di rispondere a due nostri bisogni reali: il bisogno di iden50
tificare il nostro Essere più profondo in un soggetto pensante e il bisogno
d’immortalità. Ed ecco la funzione trascendente testimoniata da Jung, convinto che esistano un inconscio collettivo e il paranormale.
E’ così che siamo tornati a quel “possibile altro nostro soggetto interiore
che a volte chiamiamo Anima, diverso dall’Io per livello di coscienza, per
modo di porsi e per gli impulsi che ci dà” .
Così ragionando, l’anima sarebbe un soggetto psichico proprio come
l’Io. Con caratteristiche diverse ma altrettanto uniche, personali e ben definite. Diverso dal Super-Io freudiano, che invece è una pura sovrastruttura
psicologica fatta di moralismi e di condizionamenti introiettati.
6. L’ANIMA SECONDO LE RELIGIONI: IL NOSTRO ELEMENTO DI IMMORTALITÀ
Quanto all’esistenza di una parte immortale in noi, non ne esistono dimostrazioni rigorosamente scientifiche. Dunque l’idea è da accettare o da
rifiutare per fede, per opinione, per sensazione, per abitudine ma, finora,
non per conoscenza razionale e sperimentale: tuttavia si tratta di un’idea
così profondamente legata a quella di trascendente che il minimo dubbio
sulla prima implica una miscredenza anche sul secondo. Proprio come
il minimo dubbio sulla fedeltà del nostro partner può minare la nostra
fiducia in lui.
Tuttavia, una volta ammesso che il trascendente esista, è inevitabile supporre che l’anima umana ne faccia parte, e quindi è inevitabile speculare
su quest’entità, sul suo modo di esistere e perfino sul suo modo di sopravvivere alla nostra esistenza terrena. Anche perché le conclusioni di chi non
crede in quest’area d’immortalità sono ovviamente molto diverse da quelle
di chi ci crede: quindi vale la pena di mettere a confronto le due ipotesi implicitamente, anche due dottrine - ed analizzare i risultati.
• Se si accetta l’ipotesi che la morte sia la fine di tutto, chi vive secondo la
legge del premio/punizione la può considerare solo come uno schema in
forza del quale, rispettando certi modelli, si possano ottenere certi vantaggi nei limiti di una vita.
• Viceversa, l’ipotesi che una parte di noi sia immortale consente di po51
stulare l’esistenza di un paradiso e di un inferno e di estendere l’etica
del premio/punizione all’eternità. Col risultato di chiudere la nostra
esistenza con un giudizio e con un futuro chissà dove, tutto in funzione
di questo giudizio.
7. LE RICADUTE DELLE DUE PRINCIPALI DOTTRINE SUL TRASCENDENTE
Il fatto, infine, che la nostra parte immortale s’identifichi con l’Anima è
abbastanza ovvio. Dunque, nell’ipotesi della sua immortalità, l’Anima al
momento della morte abbandona il corpo e va da qualche altra parte.
Ma le dottrine su cui vale la pena di soffermarsi sono soltanto due: nessuna delle quali può vantare prove scientifiche. E poiché entrambe vengono
accolte o respinte per fede, c’è da chiedersi perché le nostre religioni seguano quella del premio/punizione invece di quella della reincarnazione.
E qui proveremo ad esplorare sommariamente l’essenza di entrambe
queste due dottrine e a trarre qualche conclusione.
(1) LA DOTTRINA DEL PREMIO/PUNIZIONE
Per la dottrina del premio/punizione l’anima viene creata quando viene
concepito un nuovo individuo: gli viene fornita in dotazione, vive di lui,
con lui, è parte di lui, è lui. Alla sua morte si trasferisce in un luogo dove
paga i debiti contratti in vita o viene ricompensata per il Bene fatto.
(2) LA DOTTRINA DELLA REINCARNAZIONE
Per la dottrina della reincarnazione, l’anima è stata creata molto tempo
prima dell’individuo e proviene da un altro personaggio, defunto; o, addirittura, da un animale evoluto. Dunque è una cosa che passa un certo
periodo con uno di noi, agisce, impara, cresce e matura.
La dottrina del premio/punizione e la sua logica sono rozze, elementari,
pratiche e immediate. Però sono nella tradizione della civiltà europea, faraonica ed ebraica, ben più antiche di quella cristiana.
La dottrina della reincarnazione fornisce, del fenomeno umano, una visione più articolata, complessa e generosa, perché teorizza una maturazione
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progressiva d’ogni essere attraverso l’esperienza, offrendogli la possibilità
di cogliere un certo orientamento di base della vita, se non proprio la Méta.
Rendendo ognuno responsabile della sua situazione attuale e di quella futura, togliendo ogni limite all’evoluzione del granello di Spirito che incarna,
ma dandogli una sorta di garanzia della gloria finale, raggiungere la quale
dipende solo da lui.
9. LA RISCOPERTA DEL NOBILE, OTTUPLICE SENTIERO DEL BUDDHA
Uno studio che metta a confronto i nostri poteri e le nostre impotenze
verso la vita sarebbe inconcludente se non cercasse di rispondere all’unica
domanda che in fondo conta: cosa possiamo fare noi nella pratica, se vogliamo dare un contributo a questa gigantesca sperimentazione collettiva,
individuale e personale? E, senza pretendere di creare il decalogo del corretto comportamento umano, si può tentare un elenco d’idee.
Il futuro è la conseguenza di un esperimento collettivo basato sull’ampliamento della conoscenza e della consapevolezza del reale, in piena libertà interiore; e sull’evoluzione del senso dello scopo. Ma per far funzionare
quest’esperimento dovremo ricordarci sempre che, in qualsiasi campo, una
conoscenza mediocre è pericolosa perché, dando l’illusione di sapere, induce giudizi e valutazioni superficiali con tutto ciò che ne consegue. Lo
diceva già nel Settecento il famoso Dott. Johnson nei suoi colloqui con Mr.
Boswell: “A little knowledge is a dangerous thing”.
Tuttavia noi, qualunque cosa ci piaccia essere, apparteniamo alla cultura
cristiana. E non ce la scrolleremo mai di dosso, così come non ci siamo mai
scrollati di dosso i residui della nostra cultura pagana di duemila anni fa,
con il suo culto degli dei trasferito ai Santi e con le sue feste trasformate
in feste cristiane. Quindi ogni altra cultura, per quanto ci affascini, può diventare un’integrazione, può rappresentare una nuova apertura, ma non può
cambiare la nostra mentalità più di tanto.
Riconoscere il valore di quest’integrazione - senza mai illuderci di essere
diventati troppo diversi da ciò che siamo - non sembra un condizionamento,
ma piuttosto un ampliamento di coscienza, di visione e di consapevolezza.
Che nel futuro potrà esserci sempre più necessario per motivi di respiro.
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