Filippo Bonfiglietti CONDIZIONATI A CREDERE Persino Dio potrebbe non essere come si crede La fede e l’illusione di sapere 1 Copyright © 2012 Filippo Bonfiglietti E-mail: [email protected] 2 PRIMA PARTE Abusi e manipolazioni del Potere 3 1. CREDO, FEDE E POTERE 1. LA CREDULITÀ, PRIMO STRUMENTO DEL POTERE La nostra vita è condizionata da molti Credo. Ognuno dei quali capace di limitare le libertà interiori a cui avremmo ogni diritto senza darci in cambio nulla di buono, salvo forse il modo di pensare e di sentire tipico del gruppo a cui apparteniamo. Ammesso che il nostro credo di gruppo (un termine da usare in senso allargato, quindi anche etnia, popolo, religione, setta, casta, famiglia, corporazione, associazione professionale e mille altri) sia davvero buono a qualcosa, basato com’è solo su false certezze e su atti di fede in opinioni prese per Verità, troppo spesso appoggiate dietro le quinte dell’inconscio e prive di basi ragionevoli. L’influenza di questi Credo è così seria da indurci a mettere la credulità, la devozione e almeno certi tipi di fede ai primi posti dei peccati umani. Una conclusione tanto cruda da sembrare una bestemmia e tanto insolita da sembrare assurda. Eppure, le credulità servono solo a fornirci robuste illusioni di potenza, dovute al sentirci parte di un insieme di fedeli. Dunque sono inutili quando non sono dannose, visto che ci rendono schiavi di chi le diffonde, tutti convinti di possedere il Sapere, tutti a sbandierare la loro credibilità, tutti a criminalizzare ogni argomento contrario: banalizzato, deriso, chiamato errore, sciocchezza o, peggio, eresia e tradimento. Al punto da essere essi stessi suggestionati dal proprio successo nel condizionare i fedeli, dai quali ricevono in cambio persino conferme surrettizie di quanto affermano. Così profondo è il condizionamento a credere di ognuno di noi, inclusi coloro che ci manipolano. La conferma di quanto un Credo sia necessario agli esseri umani - ma anche di quanto sia facile accontentarli con qualcosa del tutto privo di contenuto razionale - si ha dall’impossibilità di trovare al mondo un qualunque grup4 po umano grande, evoluto e moderno quanto si vuole (ma anche piccolo, arcaico e sperduto) che sia privo d’idee sull’essenza della vita, sui suoi principi, sui suoi valori, sulla sua etica. E ogni Credo ha un’origine molto etnica e molto poco divina. A riprova, se i Credo non fossero dovuti al folclore locale, se davvero esprimessero una verità, questa dovrebbe essere eguale dappertutto. Qualcuno potrebbe obiettare che, in fondo, il cuore delle maggiori credenze religiose è simile per tutte: che a fare la differenza sono solo i dettagli, il folclore e le fantasie locali. Eppure, curiosamente, contano proprio solo questi dettagli: quelli su cui si accaniscono le liti e le zuffe. 2. IL GIOCO DEI POTERI E DELLE IMPOTENZE Ecco dunque introdotto il concetto-base del nostro lavoro: l’esistenza di un’evidente devozione genetica dell’uomo a qualsiasi cosa in cui creda pur senza conoscerne il valore, e di un’innata predisposizione a credere nell’autorità che l’avalla, insieme ad una conseguente autolimitazione della propria libertà di spirito. Qualunque cosa significhi il termine spirito e qualunque sia il riflesso negativo di quest’autolimitazione sul suo mondo interiore. Il quale, naturalmente, ne approfitta: accetta il primato, si prende la paternità dei principi che gli servono e li impone, incominciando proprio da chi lo ha eletto. Magari spiegandogli com’è fatto il creato, pur non avendo nessuna ragione per saperlo. Oppure spedendo tutti in una guerra, a morire per il suo tornaconto personale. Sempre cercando vantaggi pratici anche quando, facendolo, prostituisce ogni sua pretesa di incarnare un ideale. Chi non ci crede, provi a ricordare cos’hanno combinato i faraoni e i re d’Israele con i loro sacerdoti. Senza trascurare gli imperatori romani, i re europei dello scorso millennio, nonché i privilegiati chiamati nobili e pari. Fino ai dittatori degli ultimi secoli. 3. CONDIZIONAMENTI DEL POTERE MORALE Dall’aver potere sul prossimo, qualcuno ricava grandi soddisfazioni an5 che quando non frutta denaro ed anche quando procura soltanto discepoli, fedeli, seguaci o semplici ammiratori. • Perché gratifica, confermandogli il suo valore: se riusciamo a dominare gli altri, vuol dire che siamo meglio di loro... Non è vero, ma lo sembra: e tanto basta. • Perché è fonte d’ulteriore potere. E questo è vero perché gli altri contribuiscono al nostro potere in molti modi: con l’intelligenza, la capacità, il denaro, l’appoggio. Anche quando non vorrebbero. Per chi cerca potere sul prossimo, l’obiettivo è dominare la sua mente diventando un punto di riferimento, un consigliere, un ispiratore, un maestro. E non è difficile: basta averne voglia, basta saper criticare qualche aspetto della sua vita, basta aiutarlo a trovarsi uno scopo e fornirgli qualche idea forte. Basta offrirgli un Credo quando è in crisi. In altre parole, basta saperlo gestire, magari involontariamente. L’importante è intuire quando si sente pecora e quindi è disposto a sottomettersi a qualcuno che abbia la vocazione del pastore. Ma non tutte le manipolazioni della realtà, per diventare tragiche, devono per forza condurre a guerre di sterminio o alle camere a gas. Perché sono già tragiche se si limitano a portare confusione fra vero e falso, fra errore e inganno: poche false certezze sul Bene o sul Male bastano a produrre paranoie collettive e poche rivelazioni d’ordine superiore possono confondere popoli interi per secoli. Soprattutto quando sono fornite da una Religione vittoriosa su tanti altri Credo e in grado di gestire la fede di milioni di persone. E’ il caso della dannazione eterna, considerata verità di fede dai cattolici, pur sembrando dovuta solo alla conclusione di un diverbio fra Padri della Chiesa in disaccordo tra loro sul modo di interpretare il Vangelo dove si descrive il giudizio finale: “…e costoro andranno all’eterno supplizio, i giusti invece alla vita eterna. E dove il Cristo dice “via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno”. Chissà, forse il termine eterno non era scritto proprio così nei Vangeli originali, forse le versioni attuali contengono qualche errore, magari la parola è dovuta a qualche trascrittore troppo zelante. In ogni modo, sembra chiaro che certi Padri avessero buone ragioni per essere perplessi. Hans Küng, il noto teologo cattolico controcorrente, a questo proposito scrive: “Nel 543, dopo lunghe discussioni venne definito (con l’approvazione dello stesso papa Vigilio): la punizione dell’inferno non è inflitta soltanto ad tempus; essa è piuttosto temporalmente illimitata, dura eternamente…. In tutte le religioni mondiali si hanno dottrine e pratiche diverse, quando non contraddittorie…. La paura dell’inferno ha causato danni incalcola6 bili… qui entrano in gioco complessi sessuali e di colpa, meccanismi del peccato e della confessione, e non per ultima l’autorità della Chiesa sulle anime, che si riteneva di poter assicurare meglio con la paura della dannazione eterna… Per salvare se stessi e gli altri ogni mezzo sembrava lecito”. LA DANNAZIONE ETERNA SECONDO DANTE Dinnanzi a me non fuor cose create Se non eterne e io eterna duro. Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate (Divina Commedia, Inferno, Canto III) Rende perplessi che un concetto come la dannazione eterna, causa di danni psicologic incalcolabili, oggetto di fede per uomini colti come Dante, non pretenda neppure di essere una rivelazione. E’ interessante che sia solo la conseguenza della decisione a maggioranza di un gruppo di teologi, “dopo lunghe discussioni contro Origene, che aveva trovato seguaci in Padri della Chiesa significativi come Gregorio Nisseno, Didimo, Diodoro di Tarso, Teodoro di Mopsuestia e per un certo periodo anche Gerolamo”. Beninteso, ammesso che Hans Küng dica la verità: ma non si capisce perché non dovrebbe. E’ degno di nota che, a partire dal Sinodo del 543, per una quindicina di secoli, legioni di preti abbiano atterrito i loro fedeli minacciando punizioni eterne basate su un oggetto di fede creato solo per difendere l’autorità della Chiesa sulle anime. E’ così incredibile da costringerci a ridiscutere ogni altra pretesa verità, indipendentemente dalla fonte da cui proviene e qualunque essa sia, incluse le più autorevoli. E, se ha funzionato, è stato solo per il nostro irragionevole, cieco bisogno di credere. E’ questo il condizionamento alla devozione, capace di indurre quasi tutti noi a prestar fede a chiunque predichi. E’ questo il condizionamento da cui, negli anni Sessanta, tanti studenti universitari sono stati spinti ad adottare il libretto di Mao come se fosse l’essenza stessa della Verità. 4. I CONDIZIONAMENTI SUL POTERE DEI NORMALI Quanto a noi comuni mortali, che del Potere non facciamo una ragione di vita, non è per nulla vero che ne siamo insensibili, magari solo a livello d’istinto a difendere pasti e agi. E la nostra capacità di accettare limiti alla nostra potenza spesso non dipende tanto da una nostra particolare sensibilità 7 quanto da un calcolo utilitaristico, simile a quello degli animali domestici. Del tipo “subisco certi limiti e certe imposizioni in cambio dei vantaggi che mi sono offerti”. Vantaggi pratici, ossia una forma di potere: basta accontentarsi. Tanto più che un equilibrio tra opposte tendenze è l’oggetto evidente dei nostri sistemi educativi: da una parte la soddisfazione dell’istinto del potere e dall’altra la disponibilità ad accettare qualche limite in cambio di un ragionevole potere che ci interessa di più, appunto. Perché alla gloria e al successo spirituale - ben diversi dal successo pratico e materiale - siamo sensibili per natura: e questo è un evidente istinto umano. Mentre i sistemi educativi contribuiscono a stimolare le nostre ambizioni con i meccanismi del premio/punizione e della distinzione tra buoni e cattivi. Trovando alimento in certe ambiguità di fondo - un po’ di scienza, un po’ di dogmi, un po’ di luoghi comuni, un po’ di moralismo - da cui traspare una sconfinata ammirazione del potere in tutte le sue forme, a incominciare da quella prodigata verso gli eroi di ogni disciplina. Perché la letteratura e la storia danno più peso ai protagonisti che alle loro opere. Le quali, agli occhi del popolo e di chi le descrive esaltandole, finiscono per sembrare solo trampolini per la celebrità, ossia per entrare nell’olimpo dei potenti. O, almeno, in quello di chi conta. 8 2. L’ARTE DELLA MANIPOLAZIONE 1. CONFORMISMI, IDEE NUOVE, MANIPOLAZIONI Le prime conclusioni sul nostro modo di confrontarci con i temi del potere sono semplici: salvo eccezioni, siamo tutti condizionati a vivere ogni Potere nel modo che ci è stato insegnato. Con un appiattimento, sulla mentalità e sulle regole del nostro ambiente, dovuto al bisogno di riconoscersi tra simili: per abitudini, per modo di pensare e per precetti da rispettare. In più, siamo condizionati dall’intima convinzione che un’idea sia giusta o sbagliata in quanto condivisa: una convinzione che ci permette di respingere ogni idea diversa senza porci dubbi. Così ogni idea nuova, non essendo ancora condivisa, trova i maggiori ostacoli proprio nei migliori del nostro gruppo, nei suoi saggi, nei suoi eruditi e nei suoi docenti, tutte espressioni di una maggioranza. Così, coloro che tentano di sperimentare idee, di battere nuove strade, di capire qualche verità nascosta, spesso sono ostacolati proprio dal loro stesso ambiente. La sfericità della Terra, i diritti dell’uomo, la non geocentricità dell’universo, la teoria della relatività, il cristianesimo, il principio di Lavoisier e quelli della dinamica, la psicanalisi e la psicosintesi, oggi sono tutte idee accettate e condivise, almeno da chi è dotato di una minima cultura. Ma chi le ha elaborate ha dovuto faticare a comunicarle, di solito scontrandosi con opinioni forti alle quali i condizionamenti dovuti alla tradizione davano un buon sapore di verità. Il fatto è che le idee originali partono sempre da un individuo, dai suoi dubbi e da confronti tra individui. Sono faticose e costose perché partono dall’implicito presupposto che le idee dominanti del momento possano essere sbagliate. Viceversa, chi si conforma a qualunque Credo religioso, politico o para-scientifico, lo applica senza riflettere, semplicemente sapendo di fare la cosa giusta. Così facevano i brigatisti rossi, che sparavano a coloro che consideravano simboli del male senza curarsi né della verità né del loro 9 diritto di vivere e di pensare. Così fanno i kamikaze musulmani. Così fece, durante la seconda guerra mondiale, quell’ufficiale tedesco che, riferendo su qualcosa, scriveva: “Un subumano ungherese si è ribellato...”. Una delle storture della malvagità si cela proprio dietro questa parola subumano, scritta nell’idiota convinzione di chi considera inferiore chiunque non appartenga al proprio ceppo, solo perché si è lasciato convincere che è giusto così. 2. IDEALI, RIFIUTO DI IDEALI E LIBERTÀ La nostra predisposizione alla credulità permette a qualunque Potere di condizionarci usando due strumenti, dei quali ha l’esclusiva da sempre: gli ideali e le ideologie. Diffusi, insegnati e imposti facendo leva sul nostro senso etico, come se servissero a dare un maggior significato alla vita, mentre, viceversa, di solito servono solo all’interesse di chi li diffonde. Chi non ci crede, provi a fare un elenco dei marpioni capaci di guadagnare prestigio e ricchezze predicando meditazioni trascendentali e rinunce ai beni materiali; e lo sommi a quello dei marpioni bravi a proporre ideali politici a proprio vantaggio, inclusi i musulmani che stimolano i figli altrui a fare da bomba umana contro nemici veri o presunti (onestamente, l’idea non è male e, infatti, funziona). Tenendo presente che, per quanti nomi possa raccogliere, questi sono nulla rispetto alla realtà. Il guaio è che gli ideali, quando funzionano, possono davvero riuscire a rovinarci la vita. Eppure, questo è successo mille volte. Per esempio con gli ideali di patria, sui quali tanti si sono fatti ammazzare ed altri quasi. Salvo scoprire, più tardi, quanto fossero utili a giustificare le azioni più orrende. E salvo scoprire quante volte il carisma dei capi celasse solo mancanza di scrupoli e avidità: di potere, di primeggiare, di possedere, di soggiogare. 3. DEVOZIONI, MORALISMI E IPOCRISIE Gli ideali sono una caratteristica davvero umana. E sono resi importanti dalla predisposizione alla devozione. A causa della quale, una volta definiti il Bene e il Male, il Giusto e lo Sbagliato, molti cercano di adeguarsi al primo e di evitare il secondo: almeno nelle apparenze. E, per questo motivo, 10 la devozione - presente non solo nel DNA dell’uomo ma anche in quello di molti animali domestici - è la caratteristica perfetta per spianare la strada alle manipolazioni del Potere. Perché è una sorta di spontanea sottomissione aprioristica a chi sa dominare, con la rinuncia a ogni indipendenza interiore. Ed implica una fede cieca, con una totale adesione ad ogni aspetto di culto - sia religioso che politico - e ai suoi riti, tale da farci respingere ogni ipotesi di essere manipolati. 4. DOTTRINE DISCUTIBILI Le dottrine in cui (ogni tanto) anneghiamo il nostro bisogno di vivere in modo filosofico e spirituale sono davvero una faccenda strana. Perché nascono, crescono e si sviluppano quasi come se avessero una vita propria, finché qualcuno le usa come mezzo per dar valore al proprio potere privato. Certe volte la dottrina si forma in modo elementare. Come nel caso del fascismo, con la sua trovata di rinfrescare il mito dell’impero romano, facendo leva sulla mai abbandonata retorica delle antiche tradizioni italiche (si pensi all’Elmo di Scipio dell’inno di Mameli e alle tirate sull’antica Roma, nel libro “Minuzzolo” di Carlo Lorenzini detto Collodi, l’autore di Pinocchio), costruendovi sopra un insieme così banale da non meritare neppure la definizione di dottrina. Una definizione che si applica meglio al programma del nazismo, per quanto bieco e inaccettabile fosse (si veda “Mein Kampf”, di Adolf Hitler). Ma le dottrine serie sono un’altra cosa. E spesso la loro pretesa di rivelarci qualche verità è articolata e complessa. In più, molte dottrine giocano sull’entusiasmo e sulla scenografia, facendosi accettare per infatuazione. Ed affascinano sempre qualcuno. Perché quando un Credo e la sua dottrina fanno rima con certe tradizioni e sono appoggiati da maestri autorevoli, non è difficile innamorarsene - per quanto siano fasulli - fino a diventarne promotori. In una specie di catena di Sant’Antonio della credulità, dove ognuno passa ad altri la dottrina ricevuta, senza sospettare di poterla mettere in discussione, ma avallandola col mero gesto di passarla. Per governare gli animi e manipolare le coscienze, le dottrine sono forze potenti. E motivano tutti i pretesi salvatori del mondo, modellano le maschere degli impostori e manipolano i nostri istinti di potere. 11 5. ORACOLI, SAPIENZE, CATASTROFISTI E SALVATORI L’Oracolo è un personaggio capace di sembrare saggio, infallibile e profondamente convinto di sapere tutto quanto occorre su ciò che conta (per lui, per noi, per tutti). Il suo peso non dipende dal suo valore vero, ma dalla disponibilità altrui ad accettarlo, a credergli, a seguirlo. Dunque, poco importa se il nostro oracolo di riferimento sia un filosofo, un politico, un religioso oppure uno dei tanti dittatori prepotenti: basta che sia un qualunque personaggio importante per noi. Cronologicamente, i primi oracoli della nostra vita sono i genitori, i parenti e gli educatori. Ce ne viene un’abitudine all’oracolo, tale da segnarci per sempre. Forse per questo, anche da adulti, continuiamo inconsciamente a dar retta a chiunque cerchi di imporci il suo parere, la sua scienza e il suo potere, purché sia più o meno in linea con il nostro modo di pensare e di sentire. Ma, per far fronte alle nostre esigenze, gli oracoli prendono mille forme diverse. E’ il bisogno d’oracoli, a farci ascoltare gli psicologi e i sociologi più pronti a darci una spiegazione per ogni cosa, pronti ad etichettare persone e fatti, pronti ad interpretarli col rigore delle ricette di cucina: come se tutto fosse chiaro, stabile e classificabile. E’ il bisogno di oracoli, a renderci succubi di politici, manager, psicologi, medici ed esperti d’ogni tipo, sempre pronti a raccontarci com’è il mondo ed a interpretare ogni avvenimento a modo loro per conto nostro. Anche quando parlano solo per aumentare il proprio potere, strumentalizzando ogni argomento allo scopo. Così come sembra proprio che accada nei casi dell’astrologia e di certe sette religiose. Così ogni interpretazione di sogni, per quanto soggettiva, si trasforma in pura Verità. Così ogni autorità morale si trasforma in sicurezza, offrendo certezze tanto perentorie quanto discutibili nella sostanza. E intanto si crea un’alleanza perversa fra chi gestisce il potere e chi lo subisce: .......... 12 3. IMPOTENZE NEL PROFONDO 1. IMPOTENZE VERE E VIRTUALI Essere in balìa degli altri, degli eventi e della sorte senza poter reagire: queste sono autentiche forme d’impotenza oggettiva, spesso gravi e prive di rimedio. Non a caso, questa è la sostanza del lamento di Amleto, nel famoso monologo, scritto più di quattrocento anni fa e ancora attuale. Ma, per affliggerci, basta il puro timore di trovarci impotenti di fronte ad una situazione sgradita. Mentre, per esaltarci, l’illusione di potere conta più del potere stesso. Il senso d’impotenza è alla base della noia, dell’ansia di attendere, della disperazione di fronte all’inevitabile, dell’angoscia di dover subire il caso, di non poter piegare le circostanze al nostro volere e di constatare la distanza tra realtà e desideri. Il cui effetto su di noi, peraltro, dipende più dalla nostra natura che dalle situazioni. Il senso d’impotenza è sempre in agguato per colpirci a tradimento: persino con i semafori, sempre rossi quando abbiamo fretta ma sempre verdi quando abbiamo accanto il giornale con una notizia interessante che vorremmo sbirciare… al primo semaforo rosso. Sul senso d’impotenza è basata la sfiducia verso gli altri, sui quali si teme di non avere abbastanza potere. Sul senso d’impotenza sono basati i litigi di coppia, quando ci si agita per paura di essere sottomessi dall’altro. Mentre le coppie affiatate sono caratterizzate proprio da una particolare assenza d’inferiorità reciproca. Il senso d’impotenza è tipico dell’insonnia: perché ci esaspera. Altrimenti avremmo solo il problema di decidere come occupare il tempo lasciato libero dal sonno. Se l’immaginazione è fervida e l’atteggiamento è realista - o peggio, pessimista - il senso d’impotenza può farci immaginare un futuro drammatico anche nel presente più roseo. E poiché la nostra capacità di adattarci alle situazioni è tanto elevata quanto quella di pre13 occuparci per un nonnulla, può succederci di vivere meglio in un’impotenza reale e conosciuta, piuttosto che nell’ansia dovuta a qualunque paranoia. 2. LA SUPERSTIZIONE, IMPOTENZA CHE SEMBRA POTENZA La superstizione è un’impotenza che sembra potenza. E’ impotenza a percepire la realtà e ad afferrare correttamente i rapporti fra cause ed effetti. E’ incapacità di affrontare i fatti della vita con un minimo di razionalità. E sembra potenza perché, della razionalità, ha un disprezzo profondo: anzi, perché se ne mette sprezzantemente al disopra. La superstizione è un autoimbroglio, un auto-condizionamento a credere dovuto a un tale bisogno di fede da farci regredire al livello di schiavi di rivelazioni divine, mentre condanna la mente a trarre conclusioni para-razionali da premesse insensate, qualunque sia la cultura che sfoggiamo. Ogni forma di superstizione ha sempre una base irrazionale, ma la più incredibile sembra quella che prende le mosse dalla folle equazione del “post hoc = propter hoc” (ovvero “siccome viene dopo, allora ne è la causa”), confondendo la successione temporale con un rapporto di causa ed effetto. Prende le mosse da incidenti banali a cui attribuisce un valore di premonizione solo perché sono rari e casuali: tanto casuali da coglierci impotenti ad evitarli e tanto rari da poter essere caricati di un significato simbolico. E li associa ad ipotetici avvenimenti futuri - simili per timbro - considerandoli premonizioni, sebbene l’unico collegamento tra il fatto accaduto e quello previsto (o, meglio, temuto) sia il senso d’impotenza di fronte al caso. 3. L’AVIDITÀ, IMPOTENZA PSICOLOGICA CHE PRODUCE SUCCESSO L’effetto dovuto all’orrore per l’impotenza è più che mai evidente nell’avidità: una stramberia più seria della superstizione perché fa danni molto maggiori, ma anche il modo più primordiale per fingere di eliminare l’insicurezza dalla vita. Una stramberia, perché l’avidità è irragionevole fino ad essere una vera e propria patologia, anche quando non è riconosciuta come tale. E, in più, non essendo mai soddisfatta, provoca guai orrendi. Si pensi cos’hanno fatto per avidità gli innumerevoli regnanti del mondo, gli infiniti capi della storia e, più recentemente, certi lestofanti dell’industria o della politica, 14 dappertutto: ognuno pensando solo al proprio interesse, ognuno incapace di trovare il senso della misura neppure dopo aver accumulato ricchezze e poteri infinitamente superiori ad ogni bisogno ed a qualunque decenza. Si pensi a Gardini, che per chissà quali ragioni contribuì a distruggere un’azienda immensa. Si pensi a Napoleone che, con doti e fortuna eccezionali, spinto da un’avidità smisurata, creò un impero e poi lo perse, rovinando se stesso, la Francia, mezza Europa e facendo ammazzare milioni di persone. Si pensi ai finanzieri di mezzo mondo, che hanno provocato la recessione del 2009. L’avidità è la più tragica forma d’impotenza umana perché, essendo lo stimolo principale d’ogni corsa verso il successo, i suoi risultati sono ammirati ed emulati. Per questo non è considerata un disturbo della psiche, quale viceversa è. Per questo è così difficile da curare. .......... 3. L’AGGRESSIVITÀ, UN’ENERGIA DA GESTIRE L’aggressività è la nostra carica vitale anche se, per moralismo, fingiamo sempre di vederla in negativo. Così, a volte trattiamo qualcuno da arrogante, violento o brutale, senza accorgerci che, quando invece diciamo che è intraprendente, che ha grinta, volontà e perseveranza, ci riferiamo ancora alla sua aggressività: solo che, questa volta, la vediamo in positivo. L’aggressività è un’energia che, secondo i punti di vista, può essere usata bene oppure male, può sembrare simpatica o antipatica, utile o dannosa. Un’energia che può essere stimolata anche solo dall’ipoglicemia, che ci rende irritabili prima dei pasti. Ma, di per sé, non è né positiva né negativa. Senza aggressività non ci sarebbero arte, civiltà, creatività; qualunque impulso si perderebbe in un mare di mollezza, di pigrizia, di chi te lo fa fare, di lascia perdere e di tira a campare. Senza aggressività non esisterebbe neppure il fuoco, dovuto a quel Prometeo che lo rubò agli Dei e per punizione fu condannato proprio all’eterna impotenza. L’aggressività ha una pessima reputazione solo perché tende a trasformarsi in violenza e a scaricarsi su falsi bersagli, magari prendendosela con lo strumento invece che con l’attore, con il martello invece che con l’imperizia che ha fatto pestare il dito. Muzio Scevola diventò celebre per essersi arrostito la mano che aveva sbagliato: c’è stato propinato come fosse un eroe mentre era solo un masochista. 15 Comunque sia, l’essere umano non avrebbe mai raggiunto neppure l’età della pietra, se non avesse imparato ad usare la propria aggressività in modo migliore che sfogandola in parolacce. E senza voler approfondire i mille modi in cui da sempre l’uomo cambia l’aggressività in qualcosa di utile e di creativo, qui notiamo come la trasformazione passi di solito per due strade principali, tanto diverse da sembrare una l’opposto dell’altra. Queste sono la strada del fare concreto e quella dell’agitarsi apparentemente inutile, ossia del darsi da fare a vuoto. • La prima delle due è di norma considerata la più utile e creativa perché il suo risultato è grinta, impegno, lavoro intenso. E così produce quattrini e successo. • La seconda è spesso trattata da spreco di tempo perché, condizionati a considerare il lavoro alla maniera di Charlot sulla catena di montaggio, tendiamo a disprezzare il ragionare, gli approfondimenti e le agitazioni a vuoto tipici di ogni modo d’essere che non sia solo rozzamente pratico. Certo, da un punto di vista strettamente pratico, l’agitazione a vuoto - il darsi da fare - è l’antitesi d’ogni idea d’efficienza. 4. L’ANSIA, AGGRESSIVITÀ MASCHERATA L’ansia, come si sa, è uno stato di timore latente non dovuto a fatti specifici ma capace - da solo - di sommergerci con un’energia stritolante, alimentata da bisogni mai appagati e da creatività mai trasformata in creazioni. A scatenarla può bastare un nonnulla: una frase, un sogno, un pensiero, un dettaglio che fa improvvisamente arrivare alla coscienza un chissà cosa dimenticato da chissà quanto tempo. L’ansia aggredisce spesso di notte, provocando sensazioni di totale impotenza anche perché gli altri riposano e non si può chiedere l’aiuto di nessuno. L’ansia ritorce contro di noi alcuni dei nostri poteri fondamentali, di cui essa stessa è uno stimolo: poteri come l’immaginazione, la fantasia, la sagacia e la prudenza. E sebbene ci infastidisca, costringendoci a rimuginare su eventi tanto possibili quanto improbabili - basati solo su qualche spunto di realtà - nel fondo è dovuta solo a quella consapevolezza e a quel contatto col profondo che ci evitano i danni della cosiddetta incoscienza. .......... 16 4. L’ETICA DEL POTERE 1. I CONDIZIONAMENTI DELL’ETICA L’etica dà l’illusione di essere una struttura morale mentre, di solito, è poco più di una struttura utile a qualcuno per condizionare qualcun altro. Ed è un condizionamento importante, visto che influisce sul bisogno umano di dominare ogni cosa, incluso il resto dell’umanità: determinando la storia del suo potere e della sua prepotenza. E qui entra l’etica, la scienza della morale, quasi un rompicapo per quanto è diversa tra una cultura e l’altra, tra un’epoca e un’altra. Weber distingue tra etica assoluta (quella del Vangelo, del Discorso della Montagna, dell’amore per il prossimo, del porgere l’altra guancia), etica della convinzione (secondo cui si deve solo operare giustamente, senza curarsi delle conseguenze, rimettendo l’esito nelle mani di Dio) ed etica della responsabilità (secondo cui si deve sempre rispondere delle conseguenze delle proprie azioni). Comunque sia, l’etica è un’espressione della cultura e delle tradizioni di ogni etnia, nonché dell’insieme di dottrine che la caratterizzano. Perché sono queste a stabilire cosa sia bene oppure male. Non è un caso che l’atteggiamento verso i comportamenti sessuali e quello verso diversi reati cambi col tempo, con i luoghi e con i popoli. A incominciare dall’idea di amare il nostro prossimo come se stessi. Il dilemma è se noi siamo guidati dalla voce della coscienza o se siamo solo condizionati dall’ambiente, dalle sue leggi e dalle sue ubbìe. Ebbene, secondo noi la risposta a questo dilemma non consente dubbi: noi ubbidiamo soprattutto ai nostri condizionamenti, tanto da non riuscire neppure ad individuare le basi etiche da questi cui derivano. 17 2. REGOLE IMPOSTE DAI POTERI DOMINANTI Ai nostri giorni la sacralità della Legge sembra fuori moda: per lo meno, lo è nei nostri Stati democratici dove le leggi sono scritte dai Parlamenti. Eppure la sacralità rappresenta tuttora il cemento di innumerevoli gruppi forti. Dove le manifestazioni e le cerimonie del potere rassomigliano molto a quelle religiose. E soprattutto vi rassomigliano quelle delle dittature in genere: parate, trionfi, sfilate, bandiere, riunioni oceaniche, motti, slogan. Dittature dove un concetto aberrante di Bene e di Male, finito nelle mani dei nazisti, malgrado fosse il prodotto di un’etnia che vantava il massimo grado di cultura umanistica, nella Germania degli anni Trenta produsse un’etica criminale. Dove il Bene, essendo quello, preteso e assurdo, della Germania, consisteva nello sterminio dei suoi nemici veri o presunti - incominciando dagli ebrei - e nella sottomissione degli altri popoli, considerati esseri inferiori. Un’etica tanto insensata quanto suggestiva, perché basata su un concetto di supremazia quasi religiosa del tipo Dio lo vuole da parte del Superuomo (naturalmente tedesco) e quindi piacque ai tedeschi che l’accettarono per fede e arroganza, senza perdere tempo a discuterla. 3. ETICA IN EVOLUZIONE Il fatto è che nella vita dell’umanità occidentale, da duemila anni a questa parte, è avvenuto un cambiamento tanto positivo quanto graduale e profondo. Forse solo perché nel passato molti - quasi tutti - dovevano scegliere brutalmente tra Spirito e Materia anche nelle classi più agiate. Tanto che il Cristo disse: “Non potete servire a Dio e alle ricchezze”. Tutto giocato sul potere dello Spirito e dell’amore cristiano, in antitesi verso quello della materia e della brutalità. Mentre oggi la nostra sfida sembra quella di riuscire ad affrontare questi valori tutti insieme: per gestire un potere materiale crescente, non più costituito solo da ricchezza personale, in un modo sempre più accorto. Ai tempi del Cristo non c’erano dubbi: la ricchezza non aveva altri fini che quelli personali, il sociale non esisteva. Oggi, nel mondo occidentale, le tasse distribuiscono, a fini sociali, ricchezze infinitamente maggiori di quanto fosse immaginabile da qualsiasi nostro antenato. E’ come se oggi l’umanità, più che dover scegliere fra Dio e Mammona, avesse il compito 18 di imparare a maneggiare Mammona - il vituperato denaro - per arrivare a qualche tipo di Bene. Come se, più che fuggire il Male e la tentazione, dovesse trasfigurarli. Come dire che il Male non è nel Potere e nemmeno nella ricchezza ma nel modo in cui questi sono vissuti. Un modo che dipende solo da noi. Come dire che la nostra grandezza potrebbe consistere proprio nel superare questo punto. Come dire che la prima sfida dell’umanità attuale potrebbe consistere nel superare il Male combattendone le cause anziché l’apparenza. 5. QUANDO LA POTENZA MASCHERA L’IMPOTENZA Peggio per noi se, quando abbiamo un obiettivo davvero ambizioso, lo manchiamo solo per un’eccessiva consapevolezza della sua importanza. Peggio per noi se c’impappiniamo nell’esame per il quale ci siamo preparati meglio o se soffriamo una cilecca sessuale al momento della grande conquista. Sono solo fatti normali della vita. Il peggio, casomai, viene quando i problemi dovuti al senso d’impotenza affliggono chi ha un grande potere sugli altri. L’ansia di dominio condizionò Hitler e gli fece confondere la realtà con le proprie visioni paranoiche fino a fargli distruggere la Germania; e più o meno la stessa cosa accadde a Napoleone. Il senso d’inferiorità verso Hitler condizionò Mussolini fino a fargli distruggere l’Italia; il terrore delle cospirazioni spinse Stalin ad uccidere decine di milioni di concittadini innocenti. La smania del potere indusse Saddam Hussein a rifiutare un onorevole, dorato esilio: l’unica possibilità, visto che non aveva nessuna probabilità di vincere contro gli Stati Uniti. E Nerone, tra i primi ubriachi di potere passati alla storia per le loro stramberie, era evidentemente in balìa di un folle senso d’impotenza verso la vita. 19 5. CONOSCERE I PROPRI CONDIZIONAMENTI 1. MODELLI DI COMPORTAMENTO VERSO L’AUTORITÀ Liberarsi dai nostri condizionamenti è difficile. Ma prenderne coscienza per migliorare la nostra libertà interiore è ampiamente possibile. Per tutti gli animali - umanità compresa - le regole tecniche della vita costituiscono il know-how della specie, mentre il comportamento e i suoi modelli ne determinano lo stile, l’arte di vivere: in un insieme così tipico da caratterizzare ogni razza, ben oltre l’aspetto fisico. Le regole tecniche dell’umanità vanno dal modo di costruire una casa a quello di sopravvivere alla burocrazia, da come sciare a come distinguere i funghi buoni da quelli velenosi, da come lavorare in un’azienda a come usare un computer, da come guidare un’automobile a come curare una malattia. Viceversa, i modelli di comportamento umani dipendono in parte da fatti ambientali, in parte dalla cultura e dalla maturità degli individui e sono largamente dovuti alle tradizioni. Mentre di pari passo evolvono le dottrine politiche e religiose che a loro volta determinano le nostre norme di comportamento. 2. LA SOGGEZIONE ALL’AUTORITÀ: LIBERARSENE ANCHE ATTRAVERSO L’INCONSCIO La prerogativa di ricevere un’educazione da qualcun altro non è solo umana: anche i cuccioli degli animali ne hanno bisogno. Ma, per loro, il metodo è prestabilito dall’istinto e quindi è tanto ripetitivo quanto sicuro. Viceversa, noi dobbiamo imparare un’infinità di cose con le quali l’istinto ha poco a che fare e sulle quali anche i nostri educatori spesso hanno poco da insegnarci e molto da confonderci. 20 3. PRENDERE DISTANZA DAI TROPPI CONDIZIONAMENTI EREDITATI Conquistare potere su se stessi può voler dire molte cose. Perché si conquista potere su se stessi anche semplicemente usando medicine adatte a curare diverse malattie, ansia, aggressività e avidità incluse. Ma, di solito, per “conquistare potere su se stessi” s’intende altro. Per esempio può significare saper superare il senso d’inadeguatezza di fronte alla vita: bravi se ci si riesce. E può anche significare saper prendere distanza dai condizionamenti dovuti al nostro ambiente, migliorando la nostra autoconsapevolezza, magari dopo essere stati costretti a rifiutare certe regole di buon comportamento che sembrano l’ossatura della nostra società mentre ne sono soltanto la prigione. E allora il discorso cambia. Dunque, il nostro modo d’essere dipende da quanto è contenuto nel nostro codice personale e dal rapporto tra quanto c’è già scritto e quanto resta ancora da scrivere. Un codice personale i cui contenuti e i cui messaggi sono affini a quelli del super-Io di Freud, dalle cui rigidezze gli psicoterapeuti cercano di liberare i loro pazienti, insieme alle nevrosi che ne derivano. 4. IL PROCESSO DI EMANCIPAZIONE DAL GRUPPO SOCIALE La conclusione è che, sulla strada dell’autoconsapevolezza, il maggior ostacolo sembra costituito dal gruppo sociale gerarchico a cui apparteniamo. Si noti: lo abbiamo chiamato gruppo sociale per distinguerlo dal gruppo creativo fatto di uguali, un gruppo del tutto diverso di cui parleremo più avanti, che prende anche il nome di team in inglese (vuol dire squadra) o di think tank ancora in inglese (letteralmente serbatoio di pensiero: un gruppo di pensatori creativi che collaborano su un tema prestabilito). Perché, comunque lo si guardi, un gruppo sociale è una via di mezzo tra una caserma, una scuola, una famiglia, un convento, una prigione e un lavaggio di cervello collettivo. Tale da aiutare il singolo fino ad un certo punto, plasmandolo, aiutandolo, ma sempre costringendolo all’adorazione delle sue icone. Pretendere di sapere dove il mondo vada a parare non è ragionevole. Qualcuno crede che stiamo tornando verso un nuovo Medioevo; qualcun altro, addirittura, profetizza che stiamo entrando in una Nuova Era. Nessun’estrapolazione, nessuna previsione è sensata e ragionevole anche 21 perché ogni processo di cambiamento può essere bloccato o addirittura invertito da un nonnulla: dieci anni dopo la Rivoluzione Francese c’è stato l’impero di Napoleone e dopo altri venti anni la restaurazione dei Borbone. La Rivoluzione russa, iniziata democratica nel 1917 è stata ribaltata dai bolscevichi in pochi mesi, causando un ritorno a un tragico dispotismo durato poco meno di un secolo. Ma, soprattutto, sono imprevedibili gli effetti distruttivi sui potenti della terra, dovuti alla presa di potere da parte di individui molto meno potenti. E’ probabile che nel prossimo futuro accadano innumerevoli rivolgimenti dovuti a minoranze colte, informate e più coscienti che nel passato: rivolgimenti di segno opposto rispetto a tanti altri di stampo fideistico che si sono alternati causando altre, tragiche rivoluzioni nel recente passato, dalle dittature europee alla presa di potere degli Ayatollah in Iran. E tutto ciò malgrado l’impossibilità di conoscere davvero i fatti, le situazioni, gli altri e noi stessi e, peggio, le loro motivazioni. Ossia, malgrado la sostanziale impossibilità di raggiungere una consapevolezza vera di ciò che accade e del perché. Dove “consapevolezza” significa avere piena coscienza di qualcosa. Dove “coscienza”, a sua volta, significa facoltà di avvertire, comprendere, valutare i fatti che si verificano nella sfera dell’esperienza individuale o si prospettano in un futuro più o meno vicino. 5. LA CONSAPEVOLEZZA CHE AIUTA A LIBERARCI La difficoltà - a volte, la quasi impossibilità - di conoscere davvero i fatti e gli avvenimenti del mondo per quello che sono stati è dimostrata nei processi dei tribunali penali, gli unici procedimenti organizzati in modo da ottenere una conoscenza della verità sufficiente a poter emettere un giudizio equo. E particolarmente difficile è la conoscenza degli avvenimenti politici e storici, spesso così intricati, così gravati da fantasie confuse, complicate e realistiche da rendere impossibile capirne le ragioni, se non a grandi linee. Ragioni a volte ignorate dagli stessi protagonisti e quindi inaccessibili tanto ai cronisti quanto agli storici. Ragioni sulle quali, tuttavia, qualcuno è così convinto da rendere impossibile qualunque discussione in proposito. Di qui la necessità di usare molta circospezione nel credere di sapere e nel giudicare fatti e persone. • Perché un conto è una scarsa consapevolezza, uno è la volontà di accrescerla, uno è unire la mancanza di consapevolezza alla certezza apriori22 stica delle proprie convinzioni. • Perché un conto è cercar di capire come sono stati davvero certi fatti; uno è farsi convincere che questi siano avvenuti in un certo modo, credendo in qualcuno che ha interesse ad imbrogliarci o che semplicemente sbaglia. • Perché un conto è porsi il problema di quale sia stata una certa realtà e districarsi tra risposte frammentarie, insoddisfacenti, contraddittorie; un conto è non porsi il problema ed accettare risposte prefabbricate senza discuterle. 6. LE CRITICITÀ DELL’AUTOCONOSCENZA E DELL’AUTOCONSAPEVOLEZZA Quanto alla conoscenza di noi stessi - l’autoconoscenza - solo questa può aiutarci a capire entro quali limiti un certo sistema di valori sia davvero nostro e fin dove possa condizionarci. Solo l’autoconoscenza può rivelarci che anch’esso è una proprietà come un’altra, così come lo sono un’automobile o una casa. Solo l’autoconoscenza può permetterci di conoscere davvero i nostri scopi più veri e di valutarne il senso, il valore e le priorità. E se non abbiamo il coraggio di approfondire l’autoconoscenza, può voler dire che soffriamo di qualche blocco interiore, magari dovuto ad un malinteso concetto di peccato. Magari per paura di mettere in discussione certe leggi che vogliamo considerare al di sopra d’ogni critica: una paura così grande da farci respingere qualunque ipotesi diversa. Solo che conoscere e capire se stessi è quasi più difficile che conoscere fatti che non ci riguardano, fatti di cronaca o di storia. In più, conoscere e capire se stessi è la strada dell’autoconsapevolezza, di quel conoscerci per ciò che siamo senza considerarci strani solo perché ci si sente unici e quindi diversi dagli altri. Una pretesa in altri tempi limitata ai filosofi, mentre oggi dilaga. Ma l’autoconsapevolezza significa percepire se stessi ed esserne percepiti simultaneamente. Significa essere allo stesso tempo conoscenti e conosciuti, giudici e giudicati. Quindi non è solo autoconoscenza, perché per questa siamo solo oggetto mentre, in rapporto all’autoconsapevolezza, siamo anche soggetto. E poiché il soggetto gestisce l’oggetto, così facendo lo modifica. E, senza accorgersi, cambia anche se stesso. Non è un gioco di parole, è solo logica: la stessa del potere di accettare se stessi e, quindi, anche gli altri. 23 L’autoconsapevolezza apre uno spiraglio per arrivare senza troppe forzature un po’ più vicini al senso del dovere, alla buona volontà e perfino al famoso amore altruistico al quale continuiamo a restare così estranei, malgrado i duemila anni trascorsi dalla predicazione del Cristo. L’insieme di energie in cui viviamo e di cui siamo forniti si trova in una perenne turbolenza che spesso le mette in contrasto tra loro. Sappiamo capire gli eventi e modificarli. Sembriamo avere un’acuta capacità di distinguere tra Bene e Male, anche prima di aver definito cosa siano l’uno e l’altro, senza mai considerare che, di solito, tanto il Bene quanto il Male sono solo opinioni personali prive di base scientifica. E riusciamo ad orientarci in mezzo alle più incredibili difficoltà, spesso solo difficoltà concettuali ma pur sempre incredibili. 24 SECONDA PARTE Dalle miserie dell’Io al trascendente 25 1. EGOCENTRISMO 1. L’EGOCENTRISMO, PRE-REQUISITO PER L’AUTOAFFERMAZIONE L’Io è il soggetto dell’egocentrismo che, a sua volta, è il requisito indispensabile per l’autoaffermazione. Spontaneamente egocentrico, l’essere umano tende davvero a vedere il mondo come se girasse intorno a lui. E, a quanto pare, centrato su se stesso non è solo l’essere umano. Certo lo è il mio gatto, convinto che ogni rumore annunci una minaccia, sicuro che si torni a casa solo per nutrirlo, persuaso che nulla al mondo sia interessante se non lo riguarda. D’altra parte, a tutti gli esseri viventi accade continuamente di evitare o di schiacciare ciò che li contrasta mentre badano al proprio interesse: il potere di vivere è centrico per definizione. Però, di solito, il termine egocentrismo si usa solo per l’essere umano perché implica l’esistenza di un Io inteso come soggetto pensante e consapevole. Dunque, il mio gatto sembra egocentrico perché è quasi umano. Ma forse, in quanto gatto, non possiede un Io capace di concentrare il suo interesse su obiettivi scelti consapevolmente. Oppure possiede un Io-gatto fornito d’obiettivi diversi da quelli di un Io-uomo. E’ difficile capirlo, perché non parla la nostra lingua. L’Io è uno dei nostri privilegi ed una delle nostre fonti d’illusione. Adamo, il primo Io al mondo, l’uomo della Bibbia, fu il privilegiato per definizione. Così i suoi successori, convinti di essere i più importanti sulla Terra, misero questa naturalmente al centro dell’Universo: con gli astri che le girano intorno, a incominciare dal Sole e dalla Luna. E considerarono perfino la donna come un sottoprodotto dell’uomo: non foss’altro che per essere nata dopo, da una sua costola. 2. L’EGOCENTRISMO, IL TORMENTO E LO STIMOLO AD EMERGERE In compenso, la concentrazione sul nostro Io è anche uno dei nostri tor26 menti. Dunque, il termine egocentrismo indica non solo la concentrazione sui bisogni e sui desideri dell’Io, ma anche la difficoltà che abbiamo ad occuparci di qualcosa che non ci riguardi direttamente: perché l’egocentrismo implica una visione ristretta e, così come ci vieta di percepire il nostro aspetto fisico con occhi altrui, c’impedisce di vedere i nostri limiti personali. Inducendoci a credere che ognuno soffra delle nostre paure, ansie ed ipocrisie e rendendoci difficile persino credere che qualcuno incontri qualche problema nel fare qualcosa che per noi è facile. L’egocentrismo tende a darci della vita una visione ottusa, un po’ come succederebbe ad una formica che, camminando su una palla di colore uniforme, sospesa all’interno di un’altra palla identica, dal suo mondo a due dimensioni concludesse di star vivendo nell’infinito. Mentre sarebbe solo priva di punti di riferimento oggettivi. .......... Qualcuno addirittura vorrebbe che il prossimo si occupasse di lui più che di se stesso e, in questa sua pretesa d’amore a tutti i costi… lo accusa d’egocentrismo perché non gli dà abbastanza. Così ci sentiamo prigionieri, sfruttati e vittime anche quando non lo siamo; e intanto, ci comportiamo da oppressori, manipolatori, sfruttatori senza neppure accorgercene, anche quando potremmo evitarlo. 3. LA CIVILTÀ OCCIDENTALE, CONSEGUENZA DELL’EGOCENTRISMO INTELLIGENTE A questo punto ci sembra interessante rilevare come ogni civiltà esprima una vera e propria nota di fondo. La civiltà greca è stata la culla della filosofia, quella egiziana era caratterizzata da una complessa visione dell’aldilà, quella israelita da un Dio particolarmente duro e gruppocentrico, quella romana dall’imperialismo organizzato, quella indiana da una singolare forma di spiritualità. La nostra civiltà euroccidentale invece è il distillato di uno sviluppo intellettuale egocentrico che sposa una grande autonomia di pensiero ad una formidabile concentrazione sulla tecnica e sugli aspetti pratici della vita in genere: lo stesso ignobile uso attuale del termine consumatori per intendere esseri umani la dice lunga su una certa visione del mondo. I risultati non hanno precedenti, ad incominciare dalla capacità di sfruttare, a fini pratici, l’energia contenuta nella materia. Dovuta ad un piccolo numero d’ingegneri britannici: tutti inventori, tutti autodidatti, tutti geniali, 27 tutti motivati (forse) dalla loro passione ma (certamente) dalla voglia di affermarsi e di far quattrini. Soprattutto questa voglia, non solo l’ingegno, è stata la molla che ha portato all’invenzione del motore, la più importante dell’umanità dopo quelle del fuoco, della scrittura, del bronzo, del ferro, della stampa e della polvere da sparo: il motore, l’aggeggio capace di utilizzare un’energia prima impiegata solo per cucinare e per riscaldarsi nella sua forma elementare di legna da ardere, di carbone e di olio di pietra, più volgarmente detto petrolio. Senza il motore non conosceremmo né automobili, né aeroplani, né elettricità, né computer, né elettronica, né energia atomica. E il petrolio servirebbe soprattutto ad imbrattare i piedi dei beduini e dei cammelli che attraversano certi deserti nei Paesi Arabi: come è successo per millenni. Banale? Certo, tuttavia ricordarlo non guasta. So no, rischiamo di tornare al somaro e al mulino a vento. Di rado riflettiamo che le macchine fanno per noi tutto ciò che un tempo era fatto da servi, schiavi e animali, oltre ad infinite altre cose neppure immaginabili fino a pochi decenni fa: conservare sostanze deperibili in frigoriferi, parlarsi e vedersi a distanza, rinfrescare l’aria d’estate, fare operazioni chirurgiche. Il risultato è l’attuale livello di benessere e, quindi, di avere. 4. MATURITÀ CULTURALE E CAPACITÀ GREGARIA, ALLEATI PER IL SUCCESSO Ancora a proposito di gruppi, ci sembra interessante notare come l’attuale successo non solo economico dell’umanità sia il risultato di una curiosa combinazione tra maturità culturale e capacità gregaria. Nel passato, fino all’Ottocento, le aziende di solito erano piccole e di tipo familiare, eccettuati i cantieri navali e le imprese di costruzione che, peraltro, anche per fabbricare le più grandi opere storiche - piramidi, acquedotti, strade, palazzi, castelli, cattedrali - richiedevano pochi cervelli e molta forza bruta. Poi, all’improvviso, la scoperta del motore, quella dei diritti dell’uomo e lo sviluppo tecnologico: ovvero, il progressivo affrancamento dalla schiavitù - anche culturale - e dal lavoro muscolare più pesante; e il bisogno di un numero sempre maggiore d’individui sempre più colti e scolarizzati. 28 6. OLTRE L’EGOCENTRISMO, LA SECONDA SFIDA DELL’UMANITÀ Tra le criticità più serie dell’egocentrismo c’è quella di dar valore soprattutto all’arraffare tutto ciò che si può senza pagare il conto, trasformando la vita in una gara continua e inarrestabile. Non esiste film che non si occupi della prevaricazione, del furto, dell’omicidio e d’ogni altro mezzo per avere di più: tutte variazioni sul tema del rapporto fra individui motivati dall’egocentrismo. D’altronde l’egocentrismo è davvero basato sul rifiuto di considerare gli altri come prossimo. Per l’egocentrico brutale, l’altro è davvero solo uno strumento, un alleato oppure un nemico. Ma il momento più critico del processo d’autoindividuazione egocentrica sembra quello in cui il sogno di potere entra in crisi e ci lascia nell’impotenza. Accade a tutti, anche agli egocentrici più puri, quelli che per affermarsi non hanno avuto scrupoli verso nessuno, o così si dice. Solo la fine della crisi sembra diversa. Perché l’egocentrico puro può finire soltanto in catastrofe, una catastrofe proporzionale alla dimensione della sua brutalità. Sebbene le tragedie interiori vissute dai dittatori sconfitti, da Nerone a Saddam Hussein al termine della loro avventura, non possano essere neppure immaginate. Qualcuno teme addirittura che i nostri egocentrismi personali e di gruppo, moltiplicati per la massa degli umani, possano condannare l’umanità alla distruzione. Dunque, per non vedere tutto irrimediabilmente nero, bisogna immaginare che esista qualche possibilità di superamento. E, così, vale la pena di analizzare i principali correttivi: per esempio l’accettazione del non-Io, il decentramento dal proprio Io, il contatto con l’umanità altrui, il lavoro per gruppi creativi. In ogni caso, sappiamo tutti quanto sia difficile riuscire a mettere sullo stesso piano l’interesse altrui e il proprio, riuscire a rifiutare ricatti sentimentali, condizionamenti inconsci o manipolazioni senza ribellarsi e continuando a rispettare gli altri. E’ difficile perché consiste nel far convivere un ampliamento di coscienza con un’autolimitazione, un aumento di potenza con una nuova impotenza. Ed ha a che fare con l’amore e la responsabilità, ma anche con un altro nostro soggetto interiore che a volte chiamiamo Anima, per qualcuno ipotetico e per qualcun altro reale, più sensibile dell’Io a questi valori, 29 per livello di coscienza, per modo di porsi e per gli impulsi che ci dà. La differenza tra i livelli di coscienza dell’Io e dell’Anima è tale da poterli mettere in un contrasto tanto profondo da provocare ogni genere di disturbi e di malanni. Questa chiave di lettura dei rapporti tra Io ed Anima potrebbe portare non solo ad una nuova interpretazione di ciò che sta succedendo nella società, ma anche ad una vera nuova sfida della nostra vita, la possibile Seconda Sfida dell’umanità: quella di risolvere il contrasto tra i due padroni interiori in una vera e propria integrazione. Dunque, due aspetti umani così caratteristici di ognuno di noi quanto lo sono le impronte digitali. Dove alcuni impulsi che ne derivano - come quello dell’amore e quello del senso dello Scopo - possono essere considerati solo autentici moti dell’Anima. Due moti dell’Anima che, nella vita d’ogni giorno, condizionano ogni nostra attività anche quando siamo dominati da istinti arcaici come il sesso e come il bisogno di potere. Due moti dell’Anima condizionati da un’infinità di fattori, anch’essi tipici di ognuno di noi. • Il primo di questi due moti dell’Anima, la capacità di amare, nella sua forma più elementare è una forza di attrazione che, tra gli esseri umani, esprime uno dei poteri più antichi: la voglia di possesso e quindi di dominio. Insieme al suo opposto, ossia la disponibilità a lasciarsi dominare. E, nella sua forma più elevata, esprime la disponibilità a rinunciare ad una parte del proprio potere sulla vita a favore di qualcun altro. • Il secondo di questi due moti dell’Anima, il senso dello scopo, è la bussola preposta a dare un orienta mento alla nostra vita, spaziando dai disegni più ampi ad una miriade di obiettivi contingenti. Due moti dell’Anima dunque, da comprendere e da gestire per evitare che si ritorcano proprio contro di noi. Perché spesso l’amore si deforma in schiavitù e in oppressione e il senso dello scopo diventa una camicia di forza. Ne discuteremo più avanti. 30 2. EQUIVOCI SULL’AMORE 1. AMORE, IL TERMINE PIÙ EQUIVOCO DELLA LINGUA ITALIANA Amore: l’abbiamo definito un moto dell’Anima. Peccato solo che l’amore sia una qualità troppo spesso strumentalizzata dal potere, sempre abile a far leva sui buoni sentimenti e a provocare sensi di colpa, soprattutto se apparteniamo ad un gruppo dominato dal principio di dover amare il prossimo. E, poi, il termine amore ci confonde: ha troppi significati e serve a troppi scopi, dal romantico al cristiano, dall’esoterico al porno. Eppure, d’altra parte, l’unica antitesi al bisogno di potere si trova proprio nell’area dell’amore. Amore è attrazione. Si ama perché si è attratti. Si ama un gioiello, un quadro, una donna, un uomo; si amano il lusso, il denaro, la ricchezza, il potere. 2. L’ETERNA CONFUSIONE TRA AMORE, RESPONSABILITÀ E COLPA La nostra percezione dell’amore non è distorta solo dagli equivoci dovuti al suo inquinamento col potere, ma anche da quello che ci trascina nel curioso gioco chiamato responsabilità. Un gioco che ci distingue dagli animali più evoluti e che, sintetizzando potere, amore e conoscenza, trasforma cultura e sagacia in attività remunerata. Solo da poco tempo stiamo maturando idee nuove, quanto a capire chi sia responsabile dei nostri stati d’animo. Perché, secondo la psicologia del profondo, le cause di ciò che accade dentro di noi non sono quasi mai quelle apparenti: però, in compenso, queste cause possono essere indagate. Quindi non è insensato prenderci la briga di gestire noi stessi, se è vero che gli stati d’animo, il loro carburante ed il meccanismo per governarli sono roba nostra. 31 E questo è il modo di ragionare che ha esorcizzato la diabolicità del sesso, dopo aver ammesso che l’attrazione sessuale dipende solo dalla nostra sensibilità. Dopo aver capito che i tasti del sesso appartengono a noi e che il successo del seduttore dipende solo dalla sua abilità nel suonarli. Un insieme dove la responsabilità - che, del potere, definisce in qualche modo compiti e modi d’essere - è regolarmente confusa con la finta responsabilità che consente di prendere più potere in barba all’ingenuità o alla malafede di chi confonde fatti con opinioni. Un insieme che consente di emergere proprio a chiunque sia capace di caricarsi di certe responsabilità - meglio se sono soltanto apparenti - e a saperle gestire in modo tale da potersi vendere bene: perché, se lo fa bene, spesso gli viene chiesto di farlo a livelli sempre più ampi. Così si costruisce una fama ed entra in una gerarchia, trasformandosi in un’autorità. 3. LA TRASFORMAZIONE DELL’AUTORITÀ DA RESPONSABILE A OPPRIMENTE Autorità è chi esercita un potere sugli altri ottenendo in cambio onori, fama e prestigio in rapporto alla sua importanza: tutti simboli del potere trionfante. Ecco perché diventare un’autorità è così vitale per chi ha più bisogno di impersonare un ruolo importante del potere. Ecco perché il successo inorgoglisce così tanto chi lo conquista. Ed ecco perché l’autorità difende accanitamente il potere conquistato: perché è tanto più tanto assillata dal timore di perderlo, quanto più è consapevole della modestia dei propri meriti reali, confrontati con quelli che sbandiera. Ma tutti sono accomunati da una caratteristica comune: l’antipatia. O, più spesso, l’odiosità. Anche quando sorridono, anche quando raccontano barzellette, anche quando si tratta di autorità di quart’ordine, oppure solo di ribelli all’autorità imperante del momento. L’autorità, se ride, lo fa bonariamente affinché se ne possa apprezzarne la clemenza e l’accondiscendenza: odiose qualità fasulle, tipiche del potere. Ecco perché Dio non ride. Perché se ridesse perderebbe molti fedeli: perché non interpreterebbe il sommo potere al modo che piace a loro, a quelli che attribuiscono a Dio certi aspetti a propria immagine e somiglianza. 32 4. IL MORALISMO DI ADAMO E LE SORPRESE DEL SUO CREATORE E’ così che la storia umana è diventata anche quella dei suoi tanti conflitti tra autorità e governati. Il primo dei quali avviene quando Javhé, dopo aver creato l’uomo, gli impone un obbligo tanto autoritario quanto incomprensibile: “Il Signore Dio prese adunque l’uomo e lo pose nel paradiso, affinché lo coltivasse e lo custodisse. E gli diede questo comandamento: mangia pure di ogni albero del paradiso, ma dell’albero della ricerca del Bene e del Male non ne mangiare, perché nel giorno in cui ne mangerai, ne morirai”. Dunque, Adamo ed Eva non devono mangiare i frutti dell’albero del Bene e del Male. L’albero è lì, i frutti sono a portata di mano, ma non vanno toccati. E’ strano un Paradiso Terrestre dove c’è tutto ciò che si può volere, incluso un albero che diventerà causa d’infiniti guai. Può darsi che Javhé abbia imposto a Adamo ed Eva un limite così strano solo perché non li ritiene ancora maturi. E, infatti, li tratta come se fossero un po’ tonti. Ma Javhé li ha creati a sua immagine e somiglianza; e, mettendo in cortile l’albero vietato, li ha costretti a disubbidire: cos’altro poteva aspettarsi? Dunque, il peccato originale è la prima ribellione alla pretesa autoritaria che ogni ordine vada ubbidito ciecamente. Probabilmente i potenti d’Israele crearono la leggenda d’Adamo per ribadire l’importanza dell’ubbidienza al proprio potere, ovviamente attribuito a Dio. Creando un precedente e una giustificazione a priori ai collaboratori di ogni potere autoritario, quasi per sollevarli dalle loro responsabilità. Ed è curiosa che Adamo ed Eva siano stati più coraggiosi di come sarebbero molti di noi, al loro posto. Adamo era in grande anticipo sui tempi, perché l’uomo ha incominciato a mangiare i frutti dell’Albero della Vita solo ai tempi nostri. Fisica nucleare, ingegneria genetica, clonazioni, DNA, vita oltre la vita, bomba atomica, viaggi interplanetari sono solo alcune delle indagini della scienza, ma non molto tempo fa sarebbero state definite di magia nera. Subito dopo, ecco il sub-peccato originale: Caino agricoltore contro Abele pastore. Uno offre a Javhé i prodotti della terra e del lavoro; l’altro i più bei primogeniti del gregge. “Il Signore guardò benignamente Abele e i suoi doni, ma non volse lo sguardo a Caino e ai suoi doni. E Caino ne fu molto irato, e il suo volto fu abbattuto. E il Signore gli disse: Perché sei irritato e perché hai il viso abbattuto? Non è vero che se farai bene avrai bene e se farai male il peccato sarà subito alla tua porta? Ma sotto di te sarà il desiderio di esso e tu lo devi dominare. Ora Caino disse ad Abele suo fratello: Andiamo fuori; 33 e quando furono nei campi, Caino saltò addosso al suo fratello Abele e lo uccise”. La storia di Caino e Abele mostra che i problemi dell’umanità non sono cambiati granché. Caino è l’uomo moderno, Abele è il colonizzato, l’indigeno dell’Africa, dell’America, dell’Oceania: tutti sterminati o strumentalizzati dal Caino civile che non conosce Dio, nonostante creda il contrario e pretenda di parlare in suo nome. 5. IL MODELLO DELL’EVOLUZIONE, DA ADAMO A CAINO Dunque l’avventura di Adamo, Eva, Caino e Abele non è storia ma visione del futuro. O meglio è un modello dell’evoluzione umana, dall’infanzia alla maturità. Nella Genesi, di fronte alla confusione d’Adamo dopo la cacciata dal Paradiso, Javhé sembra tra il perplesso, il divertito e il sarcastico: adesso ha la conoscenza del Bene e del Male, quindi è eguale a uno di noi. Perché Adamo ed Eva diventano umani in modo tragicomico. Hanno subìto la punizione, hanno sentito sulla propria pelle che il Male esiste, hanno concluso che ne devono prendere le distanze, ma non hanno capito di che cosa sia fatto né dove sia. Quindi, dopo aver mangiato il frutto proibito, il loro primo tentativo di autoconsapevolezza consiste nel cercare il Male da qualche parte. Fino trovarlo nel sesso, capro espiatorio della prima cantonata moralista dell’umanità. 6. AMORE E POTERE Nella storia umana, il conflitto tra amore e potere si ripete fin da quando Adamo, creato da un atto d’amore, fu scacciato dai giardini dell’Eden con un atto di potere. Perché in noi la forza attrattiva si oppone al bisogno di potere. In un gioco dove l’amore è unitivo mentre il potere è separativo e vuole tutto per sé; dove l’amore tende a farci identificare col suo oggetto mentre il potere tende a farci sentire diversi. Senza amore non esisterebbero neppure il bisogno di potere né l’ambizione, entrambe forme d’amore: per il potere, naturalmente. Dunque non è un caso che, nell’attuale società umana - sempre la solita umanità occidentale, 34 di educazione europea ecc. - una delle cose in più rapida evoluzione sia proprio l’atteggiamento verso l’amore. Dunque è evidente che, nell’ottica del Potere - del bisogno e dell’orgoglio per la propria potenza e della smania di scalata sociale - il tipo d’amore più arduo da capire, da attuare e da gestire sia proprio l’Amore Cristiano. Sempre utilizzato e sbandierato dal Potere fino ad esibirlo in quell’esercitazione di machiavellismo che suggeriva ai Re di Francia e di Spagna di farsi chiamare rispettivamente Maestà Cristianissima e Cattolicissima… Oddio. Sebbene all’amore, in questi casi, di cristiano restasse solo l’etichetta. 7. IMPERVIETÀ DELL’AMORE CRISTIANO Il fatto è che l’amore cristiano, spirituale, altruistico, è davvero singolare e difficile da praticare: concentrato com’è sul dare, sul trascendente, ossia su obiettivi d’ordine superiore così irraggiungibili da condannarci a inevitabili insuccessi, tanto più carichi di conseguenze quando, sbagliando, li addebitiamo alla nostra inadeguatezza. Subendo frustrazioni tanto più gravi quanto maggiore è stato l’impegno profuso. Col risultato che i tentativi di amore altruistico finiscono spesso col produrre uno strano tipo d’idealista frustrato che finge di non voler nulla per sé, addestrato a considerare un male l’egoismo, l’egocentrismo e l’ambizione. Mentre, pieno di desideri insoddisfatti, è in perenne attesa che qualcuno si accorga spontaneamente del suo valore. 8. AMORE CRISTIANO E RISPETTO PER IL PROSSIMO Il dramma di chi non riesce a superare questo paradosso - ossia, più o meno, il dramma di tutti noi - potrebbe trovare una rappresentazione nella storia di Caino e Abele se si provasse ad interpretarla in un modo un po’ diverso dal solito. Ossia, come se i due fratelli, anziché due persone diverse, fossero due parti di un unico individuo. E come se il fratricidio fosse solo simbolico e significasse un gesto di rifiuto opposto dall’Io (Caino), ad accettare la propria parte spirituale (Abele, l’Anima?) fino a volerla sopprimere per paura di perdere se stesso. O anche solo per paura di trascendere se stesso, rischiando di non riuscire più dedicarsi allo scopo, forse fasullo ma pur sempre scopo personale a cui ha dedicato tutta la vita. 35 9. I GOFFI TENTATIVI DI GIOCARE ALL’AMORE CRISTIANO Dunque, il messaggio dell’amore è un’inutile, sciocca, banale sovrastruttura in una società che non se ne cura? Che lo considera noioso e superato? Probabilmente nessuno di noi appartiene solo ad uno dei due gruppi di cui sopra: perché tutti sembriamo avere comportamenti di entrambi i tipi, in misura variabile secondo i momenti e le occasioni. Però, anche nelle persone più dotate di buona volontà e di disponibilità, i valori primordiali innati dell’umanità, dettati dall’istinto del potere, con l’amore cristiano non vanno d’accordo. E’ questa la ragione che ci rende l’amore cristiano così estraneo ed ostico: perché la rinuncia a mettere la nostra persona al centro dei nostri interessi viene vissuta da tutti come un serio indebolimento dell’Io. Il quale, per sua natura, si sente molto più vicino all’etica dell’occhio per occhio e del dente per dente. Con questa premessa, difficile capire come si possa considerare “prossimo” il nostro nemico. Perché la rinuncia ad un diritto elementare come quello di trattare amici e nemici in modo diverso, oltre a toglierci precisi vantaggi pratici, ci è inaccettabile per istinto. Non è un caso che, su questo punto, dopo due millenni di predicazione cristiana, sembri cambiato ancora così poco. 10. LA CONSAPEVOLEZZA DEL PROSSIMO E L’AUTOLIMITAZIONE DELL’IO L’idea di poter correggere l’istinto di potere e ridurne gli effetti distruttivi facendo leva sull’amore altruistico come stile di vita, come si sa non era entrata nella logica umana prima del Cristo. Nessuno, prima di lui, aveva mai usato l’idea dell’amore per il prossimo quale perno di una filosofia dell’essere, sacrificandoci sopra la vita a garanzia di coerenza. Tanto innovative che gli equivoci e i malintesi sorsero già durante e dopo la predicazione del Cristo, in misura ben maggiore dell’attuale: perché, nonostante ogni pessimismo, è difficile negare che negli ultimi tempi ci sia stata una maturazione crescente e che sia successo davvero qualcosa di nuovo. E questo qualcosa di nuovo è una sorta di valenza intermedia tra amore e conoscenza: ossia, è la capacità d’essere un po’ consapevoli degli altri e dei loro diritti. O, almeno, il tentativo di riuscirci. Una valenza che è andata gradualmente affermandosi negli ultimi decenni e che, pur non essendo ancora autorealizzazione, si trova sulla strada per arrivarci. 36 3. SCOPI 1. SCOPI PERSONALI E COLLETTIVI, SERI E DANNOSI Il senso dello scopo è, con l’amore e l’etica, un altro dei moti dell’Anima. Entrambi così tipici da essere l’eterno cavallo di Troia per chiunque cerchi di manipolarci. Prova ne sia che, di solito, il meglio dei nostri scopi ci viene sempre più o meno indicato da qualcun altro. E così una delle rivoluzioni più serie dei nostri tempi, nel mondo euroccidentale, potrebbe consistere nella sfida a scoprire liberamente i nostri scopi più autentici. Per evitare la regolare, periodica, continua ricaduta in scopi che nostri non sono. Siamo dotati di una gerarchia di scopi spesso contrastanti. Scopi a breve e a lungo termine, scopi passeggeri, scopi-guida. E poi c’è la felicità: lo scopo d’ogni nostro cercare agi, piacere e benessere. La felicità o, meglio, quel particolare tipo di felicità che consiste nel rendere piacevole la vita circondandosi d’oggetti, abiti, gioielli e beni di consumo più o meno pregiati e costosi. Il guaio è che la felicità, in astratto, è uno scopo troppo vago. Dire la felicità è lo scopo della mia vita significa non sapere ciò che si vuole. Per questo la si identifica con tanti scopi secondari: perché, di volta in volta, la felicità può voler dire sesso, amore, ricchezza, autorealizzazione e mille altre cose, insieme o separate, in accordo o in contrasto tra loro. 2. SCOPI MAGICI Scopo è prospettiva di una meta, di una potenzialità, di un futuro. Averne uno equivale ad avere un potere sulla vita. Del resto, tutti gli scopi citati fin qui sono sistemi per aver più potere sulla vita. Lo è il lavoro: potere di sopravvivere, di guadagnare, di essere qualcuno. Lo è la felicità: potere di go37 dere la vita. Lo sono le ambizioni spirituali: potere sulla vita dello Spirito e sulla vita oltre la vita, per non parlare dei riconoscimenti che i cultori dello Spirito riescono ad ottenere da ammiratori e da emulatori. Lo è l’innamoramento: potere su un altro essere, oppure potere di un altro essere su di noi. 3. LA RIVOLUZIONE DEGLI SCOPI: DAL SACRO AL PROFANO E VICEVERSA Gli scopi base dei nostri antenati sono rivelati proprio dalla magia delle loro opere, che mostrano pendolamenti assidui dal sacro al profano e poi ancora al sacro e di nuovo al profano: e sembrano tutti tentativi di prendere potere tanto sulla vita quanto sulla morte. Le prime testimonianze di questi scopi sono opere per difendersi dai nemici, siano essi umani oppure trascendenti: quindi fortificazioni, templi, tombe. Ma altrettanto singolare è che quest’evoluzione si sia scatenata e concentrata in alcuni Paesi, gli stessi dove sono nati gli scopi dominanti attuali. Gli stessi dove la creatività intellettuale, l’ambizione personale, il desiderio d’autorealizzazione, il bisogno di indagare e di conoscere, la spinta ad esprimere se stessi sembrano tutt’ora più intensi. Scopi di dominio, in ogni caso. Dal punto di vista del Bene e del Male, in questi scopi un asceta vedrebbe l’affermazione dell’orgoglio intellettuale più satanico. Mentre noi ci vediamo solo la voglia di conoscenza, di libertà intellettuale e di autoaffermazione. Ma ancora più bizzarro è che ci sia stata un’analoga evoluzione dei più avanzati esperimenti politici e sociali. E che questi abbiano origine ancora nella stessa parte di mondo. Mentre dietro a questi scopi si stanno manifestando nuovi obiettivi di potere. Come se, dopo la riscossa rinascimentale e dopo l’Illuminismo, ci stessimo ribellando contro l’idea stessa d’autorità, più che contro l’obbligo di ubbidire all’autorità del momento. E allora c’è da chiedersi: Perché tutto ciò accade proprio ora e perché è è stato così a lungo concentrato proprio dalle nostre parti? Forse perché siamo più liberi di pensare? 4. GLI ARCHETIPI DEGLI SCOPI-BASE COLLETTIVI Ogni civiltà umana è come l’espressione di un preciso scopo-base collettivo che la caratterizza, col quale i nostri scopi personali sono più o meno in 38 sintonia. Ossia, è una specie d’archetipo in grado di condizionare tutti coloro che vivono in quel tempo e in quell’area, determinando l’orientamento generale degli umori e delle opere, fino a quando il suo scopo-base non si esaurisce: e allora la civiltà cambia, sulla spinta di un nuovo scopo-base altrettanto preciso e coattivo. Ed ogni scopo-base, a sua volta, curiosamente sembra come dovuto all’influsso combinato di tre archetipi fondamentali. Come se il predominare di certi archetipi facesse prevalere alcuni scopi-base e ne facesse decadere altri, in un modo che varia da zona a zona e da tempo a tempo. Questi archetipi sono in realtà tre coppie di opposti: quello del sapere contrapposto al fideismo, quello dello spiritualismo contrapposto al materialismo e quello del collettivismo contrapposto all’individualismo. 5. PERCHÉ LA RIVOLUZIONE DEGLI SCOPI, PROPRIO ORA E DALLE NOSTRE PARTI La civiltà Romana, meno caratterizzata di quella Greca dal desiderio di sapere e dalla speculazione filosofica, in compenso ha espresso una maggior quantità e qualità di tecnologia pratica. Il suo scopo-base era il predominio e i suoi principali archetipi erano quelli del sapere pratico e dell’edonismo. Non era vaccinata contro il modello dello spiritualismo e manteneva latente quello del fideismo. Infatti, alla fine si è lasciata soggiogare dal cristianesimo. Più tardi, col decadere dell’impero, man mano che gli archetipi dello spiritualismo e del fideismo prevalevano su quello del sapere, lo scopo-base del predominio si è atrofizzato mentre si è imposto quello della conquista dell’aldilà attraverso il rispetto di una certa Legge. Ne sono derivati i malintesi sulla dottrina cristiana, insieme allo spiritualismo intransigente ed alla speculazione teologica che hanno poi dominato per quindici secoli. La reazione contro tutto ciò inizia nel tardo Medioevo, quando i commerci internazionali, mescolati ad un po’ di sviluppo tecnologico, incominciano a produrre nuova cultura e ricchezza: sufficienti a ridare all’individuo quella fiducia in sé che aveva smarrito. Così si è ridestato l’archetipo del sapere, lasciato in letargo per quasi un millennio. Il successo di Shakespeare e di Molière dipende certo più dalla maturità dei tempi che dalla loro genialità. E’ singolare che, per trovare la stessa profondità d’indagine introspettiva di questi autori, si debba retrocedere di due millenni, all’antica Grecia. Ma a questo punto gli effetti dell’archetipo del sapere sono sempre più evidenti 39 e ne deriva un nuovo scopo-base, l’esplorazione del conoscibile. Che, a sua volta, stimola l’indipendenza mentale e lo studio dell’ignoto, prima in senso geografico e poi scientifico e psicologico: un interesse mai visto prima, con obiettivi originali basati su metodi sperimentali davvero nuovi. Intanto che, come reazione al passato, si sviluppa una forte componente d’individualismo insieme ad un crescente edonismo. Ecco dunque la prima risposta alla domanda “perché proprio ora e solo dalle nostre parti : forse perché siamo gli eredi del nostro passato, proprio quello che caratterizzava i greci e i romani. Forse perché, a un certo punto, si è aperta una breccia attraverso cui si è infilata tutta la curiosità e la voglia di sperimentare represse per oltre un millennio. 8. LA RICERCA DEI PROPRI SCOPI PIÙ VERI, ATTRAVERSO L’ANALISI DELL’INCONSCIO L’Io, non avendo padroni, ha il diritto di cercarsi gli scopi che più gli convengono. L’importante è che riesca a trovarli, questi scopi. E potrà farlo solo se saprà conquistare un certo grado di consapevolezza di se stesso. La famosa autoconsapevolezza di cui abbiamo già parlato tanto e che ai nostri tempi - più che nel passato - cerchiamo di raggiungere attraverso un rapporto di comunicazione con l’inconscio, la nostra miniera interiore. E, quindi, con il flusso d’informazioni che ne proviene, in modo da poterlo gestire. Il flusso dell’inconscio si vede scorrere come un torrente in piena nei sogni. Ma anche nello stato di veglia fornisce spunti continui, a volte tanto espliciti da essere percepiti più nettamente della stessa realtà esterna. Per questo, ogni tanto rischiamo di far confusione tra realtà oggettiva e contenuti interiori, cadendo vittime del fenomeno chiamato paranoia. Eppure non abbiamo il diritto di temere la paranoia. perché è un aspetto normale della vita, un aspetto dal quale si entra e si esce. Viceversa l’unica autorità a cui rispondere siamo sempre noi, anche quando ci limitiamo a cercare qualche scopo autentico. 9. L’ETERNA CONFUSIONE TRA SCOPI REALI E ILLUSORI Così entra di nuovo in gioco la capacità di approfondire, un potere che 40 aiuta a rivedere princìpi già accettati ed archiviati, fino a confermarne il valore o fino a demolirli. L’arte d’approfondire è difficile perché obbliga a prendere coscienza di innumerevoli elementi, valutandoli e analizzandoli per non rischiare conclusioni banalmente conformiste. In più, serve solo se lo si fa in modo serio, un modo che può essere lento per via dei ripensamenti e delle maturazioni che impone. In compenso, può farci giungere a conclusioni impreviste, persino sui nostri scopi. Benché, in qualche caso, possa creare essa stessa disorientamento, a causa della confusione nel modo di valutare. 10. LA SCOPERTA DEI NOSTRI OSTACOLI INVALICABILI Poi, ogni tanto, s’incontra qualcuno convinto che i computer possano finire per dominarci. Senza accorgersi che questo significa travisare l’idea stessa di scopo. Perché il computer, privo di consapevolezza, di volontà, di bisogno del potere, d’istinti e di sentimenti - cose che non gli servono - non può avere il senso dello scopo. E, se non ha il senso dello scopo, non può avere nessuna voglia di dominare nessuno. Tutte le macchine fanno qualcosa meglio di noi, non solo i computer. Chi non ci crede, provi a serrare un bullone con i denti. Ma quando scoprirà che la chiave inglese è meglio, non dovrà per forza concludere che l’umanità verrà sottomessa dalle chiavi inglesi. Ed è tanto più assurdo tentare un paragone tra computer e uomo, quando è chiaro che il computer non avrà mai neppure le qualità più elementari della pulce. La quale non fa le radici quadrate, che non le servono (ma non servono nemmeno al computer, che pure le fa, a conferma di non possedere il minimo concetto di volontà). Però, nel suo piccolo, fa ciò che vuole. Ha uno scopo e cerca di soddisfarlo. E questo è vivere. E’ vivere da pulci, ma è pur sempre vivere. Il computer sta ad una radice quadrata come la chiave inglese sta ad un bullone. In più, può persino guidarci fino alla chiave inglese. Purché sia al suo posto, altrimenti il computer si perde. Quanto a noi, se non siamo soddisfatti dei nostri scopi e se vogliamo arricchirli senza perderci in complicate indagini dell’inconscio, possiamo tentare qualche scorciatoia. 41 4. BENE, MALE, OTTIMISMO, PESSIMISMO 1. I MOLTI CRITERI DEL BENE E DEL MALE Stabilire cosa sia Bene oppure Male è difficile: a confermarlo potrebbero bastare le distinzioni di Weber sull’etica. Solo che noi, nonostante le tragedie dei nazismi, dei kamikaze e degli infiniti altri orrori dei nostri tempi, sembriamo ancora convinti di poter avere certezze. Mentre, probabilmente, esistono almeno tante conclusioni quanti sono i criteri usati: tutti indiscussi e tutti arbitrari, perché dovuti ad abitudini e costumi opinabili ancorché presi da molti per leggi morali indiscutibili. Ai nostri tempi la confusione tra bene e male è accresciuta proprio dalla maggior cultura che ha paradossalmente aumentato il conflitto tra buon senso, dottrine religiose, sociologia e psicologia. Perché il buon senso vuole il divorzio, l’eutanasia, l’aborto, il controllo delle nascite ed il preservativo, mentre certe religioni respingono persino l’aborto terapeutico e pretendono che la castità sia un sistema sensato per combattere l’AIDS e per controllare le nascite. In più, le religioni e l’etica forniscono idee chiare e canoni giusti per ogni cosa, mentre la psicologia manifesta perplessità proprio sulle idee più tradizionali ed accettate, tanto da declassarle a preconcetti. Peccato che troppi insegnamenti sul Bene e sul Male riguardino solo disdicevolezze. Mentre gli unici due valori etici davvero essenziali - il rispetto per il prossimo e per la verità - finiscono per diventare dettagli in mezzo a mille altri. Dettagli trasmessi, in sordina, da persone che spesso non ne sono convinte neppure loro. Così il rispetto per il prossimo viene passato come buon’educazione mentre la sua assenza viene considerata solo maleducata. Quanto, poi, all’amore ed al rispetto della verità, siamo immersi in un tale oceano di mezze verità e di frottole, siano esse di tipo para-religioso, para-spirituale, para-politico o para-scientifico, da non valer neppure la pena di fare esempi. 42 2. LE REALTÀ SPICCIOLE DEL BENE E DEL MALE La nostra carrellata sui criteri del Bene e del Male sembra terminata e potrebbe sembrare esaustiva. E invece non lo è, se non viene integrata almeno dalle regole principali e dai condizionamenti più spiccioli in cui ci imbattiamo ogni giorno. (1) IL BENE VIENE IDENTIFICATO TROPPO SPESSO CON IL PROPRIO POTERE Ognuno di noi tende a identificare il Bene con il proprio potere, ossia con il proprio interesse, perlomeno quando il Bene consiste in piccoli poteri considerati vitali, quali il possesso di una casa, di una famiglia, di un amore, di un lavoro, di un certo grado di felicità: poteri modesti, come modesto è chi si accontenta. Ma si tratta pur sempre di poteri. (2) IL BENE NON SEMPRE EQUIVALE SOLO AL NOSTRO BENE Identificare il Bene solo con il nostro Bene è naturale nella vita d’ogni giorno e nelle regole d’ogni gioco, politica e lavoro inclusi. Ma quando il Bene viene identificato nel Male altrui - e quando il Male viene identificato nel Bene altrui - allora vuol dire che siamo davvero pronti ad estendere il nostro Bene a spese di chiunque altro. (3) NESSUN POTERE HA IL DIRITTO DI IMPORRE I SUOI CRITERI DEL BENE E DEL MALE Non esiste Potere privo del vizio di imporre agli altri i propri criteri del Bene e del Male. (4) CHI SEMBRA INCARNARE IL BENE, SPESSO FA SOLO AUTOVENDITA Presentarsi come un’espressione del puro Bene è tipico di chi vuol vendersi: un’arte simile a quella di recitare, di dissimulare e di imbrogliare. Come ben sapeva il Machiavelli, ammiratore della canaglieria in politica. (5) DISTINGUERE IL BENE DAL MALE È UNA RESPONSABILITÀ PERSONALE Non c’è scampo: la responsabilità di decidere cosa sia Bene oppure Male è proprio nostra. (6) LE SCORCIATOIE PER IL BENE SONO SPESSO UN IMBROGLIO E SEMPRE UN AZZARDO Dunque le molte scorciatoie per il Bene vanno affrontate con attenzione: anche perché, spesso, non sono scorciatoie ma imbrogli. 43 E intanto, chiamando Bene il proprio potere e Male la propria impotenza (nonché l’oppressione altrui), un certo tipo d’essere umano cerca di accrescere il suo Bene e di diminuire il suo Male in una commedia del potere di cui è autore, regista e attore. E’ tanto vero, tutto questo, da sembrare la trama di un romanzo dell’Ottocento. E, invece, è solo il dramma dell’umanità, sempre in bilico fra sfida e ricerca di sicurezza, fra tracotanza e vittimismo, fra ruggito e guaito. Non sorprende che il Padre Nostro termini invocando: “Liberaci dal Male”. 3. I TERRORI PER LE PROSSIME CATASTROFI (FORSE) CAUSATE DALL’UOMO In base ai criteri con cui abbiamo iniziato questo capitolo, il Novecento sembra proprio il secolo in cui il Bene e il Male hanno avuto il loro apice. Tuttavia, nel Novecento, i concetti del Bene sono stati applicati soprattutto nel benessere pratico, mai diffuso prima (beninteso, nel solito mondo Euroccidentale) in modo così vasto e profondo: nel sociale, nella sicurezza, nell’assistenza, nell’istruzione. Viceversa, i concetti del Male sono stati applicati soprattutto verso uomini considerati diversi: nell’intolleranza, nella mancanza di rispetto dell’altro, nell’incapacità di vederne i diritti. A questo punto, in base ai nostri criteri del bene e del male, i molti che si chiedono cosa succederà quando (non più se) le risorse della Terra diventeranno davvero critiche, si trovano di fronte a profezie fosche, elaborate su modelli di previsione tanto saccenti quanto tendenziosi. Mentre le azioni correttive proposte si moltiplicano con risultati scarsi ed ansie crescenti. Dunque, nulla di buono e nulla di nuovo, visto che analoghe paure hanno fatto da terreno di coltura al nazismo e da innesco alla seconda guerra mondiale. E le alternative future immaginabili, pratiche, sembrano solo due: l’intervento correttivo e le catastrofi. • Alla prima alternativa, l’intervento correttivo, appartengono le attività per trovare nuove soluzioni. E qui, a parte l’equazione tra civiltà e sprechi, la difficoltà sta nei pregiudizi correnti. • Alla seconda alternativa appartengono le catastrofi più probabili. Ne abbiamo anticipazioni a volontà: Fukushima, Chernobyl, Seveso, Bophal, la Exxon Valdez; il Lago Aral ridotto a pozzanghera per aver deviato il 44 corso degli immissari; le piogge acide, la distruzione delle foreste, l’eutrofizzazione delle acque, l’incendio dei pozzi di petrolio in Kuwait; e, prima, il Vietnam, l’Iran, la Corea, le guerre mondiali. 4. IL PESSIMISMO, L’ATTEGGIAMENTO PIÙ INUTILMENTE DISTRUTTIVO Comunque stiano queste faccende, a noi le indagini sul futuro interessano solo come spunti da cui trarre qualche conclusione sui nostri modi di ragionare e sulle loro cause: perché desideri, speranze e paure causano interpretazioni capaci di stravolgere ogni tecnica di previsione, anche la più ragionevole. E a noi interessano solo i motivi che influenzano queste interpretazioni. La differenza fra i risultati delle varie previsioni dipende soprattutto dal prevalere dell’ottimismo o del pessimismo. Perché la logica imporrebbe che le previsioni prendano le mosse dalla conoscenza della realtà mentre, invece, spesso è proprio questa conoscenza a venir distorta: secondo che venga affrontata con atteggiamento ottimistico oppure pessimistico. Dove ottimismo e pessimismo s’incrociano continuamente, influenzando la percezione del futuro indipendentemente dai dati di partenza. Dove, da un punto di vista pessimista, ogni prospettiva futura è ovviamente tragica: non è qualche catastrofe ad incombere sull’umanità, è la catastrofe totale. Dunque, per il pessimista, l’umanità non troverà mai nessuna soluzione ragionevole, imbrigliata com’è da cinismi, idealismi, irrazionalità e bisogno di cavalcare la tigre. 5. L’OTTIMISMO, L’ATTEGGIAMENTO PIÙ POSITIVO, PIÙ CREATIVO E PIÙ SCIOCCO Da un punto di vista ottimista, viceversa, nessun futuro può essere immaginato senza tener conto delle risorse umane positive, creative, costruttive, amichevoli, amorevoli. Cosicché gli aspetti negativi vanno considerati solo alla stregua di alcuni elementi tra tanti altri. Anche se l’ottimismo ha innumerevoli motivi per essere considerato ingenuo, sciocco e strumentale ad 45 ogni forma di potere. A incominciare dal Candido di Voltaire che, vittima del suo maestro Pangloss - la caricatura di Leibnitz - passava da una testimonianza di orrore all’altra restando, appunto, stolidamente ottimista. Ma la differenza fra pessimista e ottimista dipende anche dal fatto che a pari conoscenza della realtà - le previsioni dell’ottimista tengono conto d’aspetti come l’immaginazione, la generosità, l’adattabilità, la creatività e la capacità di dedicarsi ad uno scopo, la capacità di valutare i rischi, cose che il pessimismo ignora. E, soprattutto, della capacità umana di autocorreggersi e di limitarsi, In fondo, dunque, la forza del pessimismo sta nel farci sentire migliori degli altri in modo facile e banale. Il punto principale è che il pessimismo è un atteggiamento negativo dovuto ad un sostanziale disprezzo per l’umanità. Un disprezzo che dubita persino della capacità di imparare dai nostri errori. E il pessimista produce cattivo umore e catastrofismo perché non riesce a percepire nulla oltre il Male presente, passato e futuro. Mentre l’ottimismo dipende dal saper credere anche nelle qualità umane più elevate. Tanto elevate da chiedersi se non travalichino i limiti dell’Io, al punto da supporre qualche sua parentela più o meno lontana con il soprannaturale. Che a sua volta è sinonimo di trascendente. E, così, viene da domandarsi se quello del trascendente, avendo a che fare con qualità così umane da sembrare sovrumane, non sia davvero un mondo reale dotato di vita propria, oggettiva, proprio come quella del mondo dei sensi. 46 5. LE QUASI DIMOSTRAZIONI DEL TRASCENDENTE 1. TENTATIVI DI UN APPROCCIO RAZIONALE AL TRASCENDENTE Ed eccoci ad una conclusione inattesa: è possibile che, dietro le qualità capaci di rendere possibile l’ottimismo, si celi perfino il segreto del trascendente e della sua esistenza. E così, studiando il perché di queste qualità e la loro origine, si finirebbe per scoprire qualcosa su uno dei misteri del nostro mondo: quello di Dio. Perché indagare il trascendente equivale a indagare surrettiziamente anche qualche aspetto di Dio. A favore dell’esistenza di un trascendente ci sono almeno tre ragioni, naturalmente opinabili, ma impossibili da trascurare. • La prima ragione è quella che ci ha indotti ad affermare che certe qualità umane sembrano tanto elevate da chiedersi se non travalichino i limiti dell’Io, tanto da supporre un “oltre-Io” transpersonale, imparentato con il soprannaturale. • La seconda è relativa all’Io e all’esaltazione dei suoi obiettivi, ne abbiamo innumerevoli esempi. • Per contro ci sono le azioni e i pensieri nobili, quelli della generosità e del disinteresse. E sono queste a far pensare che l’Io possa essere trasceso in un qualcosa a cui appartengono le qualità come l’altruismo, l’abnegazione, la bontà e il senso del sublime. Naturalmente, chi respinge l’idea dell’esistenza di un transpersonale trova, per gli aspetti più elevati della vita e del nostro modo d’essere, altre spiegazioni più o meno scientifiche, quali il “carattere” e l’educazione. L’idea che si possa conoscere qualcosa in più del trascendente offre una prospettiva e una sfida: non è granché, ma è molto più di nulla. Anche perché migliorare la conoscenza del trascendente può essere l’unica strada per 47 sapere qualcosa di Dio, di cui per ora - se si escludono i dogmi delle fedi abbiamo solo indizi vaghi e contraddittori. E in proposito possiamo portare qualche argomento non privo di valore. • Una “dimostrazione di Dio”, quella di Voltaire detta anche dell’orologiaio. • Alcune considerazioni conseguenti agli incredibili risultati della scienza. • Altre considerazioni legate al modo di evolvere della nostra vita. 2. IL TRASCENDENTE, IL PARANORMALE E L’ATTEGGIAMENTO SCIENTIFICO Ciò che crediamo di sapere sul trascendente metafisico ci arriva solo dalle religioni, da chi pretende di conoscere qualcosa del paranormale e da chi pretende di essere in diretto contatto con Dio. Le uniche informazioni semi-scientifiche le abbiamo sul nostro transpersonale e dipendono dalle intuizioni di alcuni famosi psicologi del profondo. • I fenomeni del paranormale, testimoniato da una minoranza di idealisti, di sensitivi e di imbroglioni, in un paio di secoli non sono stati dimostrati da nessuna prova buona per la scienza. • Quanto ai contatti diretti con Dio, i personaggi storici che li hanno vantati sono innumerevoli, da Giovanna d’Arco a Carl Gustav Jung. Resta il fatto che il trascendente - salvo la sua parte psicologica con le intuizioni di Freud, di Jung, di Assagioli e degli altri psicologi del profondo - è caratterizzato da una curiosa criticità: chiunque ne sappia qualcosa può trasmettere la sua conoscenza solo a chi è disposto a credergli o a chi la pensa come lui. Dunque, l’unico atteggiamento scientifico possibile verso il trascendente resta quello di cercare di bilanciare intelletto e intuizione. Dove l’intuizione propone i suoi colpi d’ala, mentre l’intelletto critica, smonta, crea dubbi, razionalizza. 3. EVOLUZIONE O CREAZIONE Negli ultimi centocinquant’anni sono arrivate almeno due novità scientifiche capaci di influenzare le nostre idee sul trascendente: sono la teoria dell’e48 voluzionismo dovuta a Darwin, e quella del Big Bang dedotta dalle equazioni della relatività generale di Albert Einstein. L’evoluzionismo, spiegandoci che tutte le specie presenti in natura sono dovute all’evoluzione di altre precedenti, ha demolito l’illusione che alcune o tutte le specie siano state create. Così ci ha suggerito che non essendoci più creazioni non serve più il creatore, dando un appoggio quasi scientifico all’ateismo. Però è rimasta almeno una lacuna importante, relativa al momento in cui è nato l’universo: ma come è nato? E’ nato con il “Big Bang”, ossia ha avuto un inizio da cui si è messa in moto ogni cosa? Ma, ammesso che sia così, siamo sicuri che il Big Bang non sia stato un immenso atto di creazione? E, allora, perché non supporre che dietro il “Big Bang”, dietro l’inizio di tutto non ci sia proprio quello a cui qualcuno dà il nome di Dio? E poi anche l’uomo crea, pur essendo stato creato. E, una volta ammessa la creazione iniziale, è difficile immaginare perché mai un ipotetico creatore avrebbe deciso di non creare mai più nulla, di non lasciarsi mai più tentare da qualche nuova creazione, qualche cosina magari un po’ meno importante e rumorosa di quella iniziale. Tanto più che l’evoluzionismo offre qualche aspetto davvero interessante. Per esempio, lo scheletro dei mammiferi è concettualmente eguale per tutti. Da due a trecento ossa che, combinate in innumerevoli modi diversi, si adattano a tutti i mammiferi, uomo incluso. .......... Tutto ciò, solo per affermare che lo scheletro originale dei mammiferi sembra disegnato per usi molto ampi, come se fosse stato progettato da qualcuno che voleva costruire, fin dall’inizio, un macchinario infinitamente adattabile: un macchinario che, con un po’ di ritocchi, secondo i casi permettesse a qualcuno di camminare a quattro zampe e a qualcun altro in posizione eretta. 4. LA TERZA SFIDA DELL’UMANITÀ ATTUALE Se quanto sopra ha un senso, si direbbe proprio che l’umanità dei nostri giorni sia di fronte a una terza sfida: quella di arrivare a qualche nuova scoperta importante nel mondo trascendente, tale da modificare il nostro modo di guardare alla vita e ai suoi scopi. Anche perché mai, prima d’ora, l’umanità è sembrata così matura per una sfida tanto impegnativa, com’è paradossalmente confermato perfino dall’esplosione dei fondamentalismi 49 religiosi. Dalle nostre parti lo si vede nella disponibilità verso gli altri, verso l’ambiente e nell’aumento dell’apertura mentale. Un’apertura mentale fatta di tolleranza, di attenzione al sociale e di crescente rifiuto della violenza. Intanto, a noi, dopo un così lungo meditare e ragionare, resta una conclusione: il nodo centrale del nostro modo di vivere potrebbe consistere proprio nel costruire un nuovo rapporto tra noi e il trascendente. Anche se non lo vogliamo, anche se non sappiamo neppure se esista, anche se lo rifiutiamo. Perché non basta negarlo, per impedire che esista e che sia importante. Perché la Verità è quella che è, indipendente dalle nostre opinioni e dalla nostra percezione. E non è influenzata dalle nostre convenienze. E lo stesso vale per il trascendente, piaccia o non piaccia. La Terra era rotonda anche quando si credeva che fosse piatta. E anche questa verità è stata dimostrata solo per indizi. Ma soltanto dopo aver incominciato a sospettare che la Terra fosse rotonda, si è imparato a navigare, si è scoperta l’America e si è trasformato il mondo. Con conseguenze positive e negative, certo: ma è improbabile che siano in molti, ai giorni nostri e dalle nostre parti, a preferire la vita del Medioevo. 5. IL TRASCENDENTE E L’ANIMA: IL “DOPPIO” NOBILE DELL’IO Ragionare del trascendente implica cercare di saperne qualcosa in più. E non sembra impossibile, se ci si limita ad affrontarne solo qualche frammento che ci riguardi direttamente. Perché, mentre sembra assurda la pretesa di avvicinarsi davvero al concetto di Dio, troppo ampio e inclusivo persino per poterlo solo immaginare, va tenuto presente che anche su Dio nulla ci ha mai interessato che non ci riguardasse personalmente. .......... Sono queste le ragioni che ci hanno indotto gli psicologi del profondo a individuare una porticina sul nostro trascendente privato. Perché la scoperta dell’inconscio risponde a una precisa esigenza medico-scientifica: quella di capire le cause di fenomeni umani altrimenti inspiegabili, per poterli curare. E’ da queste esigenze che, indagando tra i frammenti del tanspersonale che ci riguardano, si è arrivati a qualche ragionevole conclusione anche sull’anima umana, magari come luogo dove si concentra un certo tipo di consapevolezza, inclusa quella dei nostri scopi-guida. Ed ecco il Sé, che per la Psicosintesi di Assagioli ognuno di noi possiede in quanto capace di rispondere a due nostri bisogni reali: il bisogno di iden50 tificare il nostro Essere più profondo in un soggetto pensante e il bisogno d’immortalità. Ed ecco la funzione trascendente testimoniata da Jung, convinto che esistano un inconscio collettivo e il paranormale. E’ così che siamo tornati a quel “possibile altro nostro soggetto interiore che a volte chiamiamo Anima, diverso dall’Io per livello di coscienza, per modo di porsi e per gli impulsi che ci dà” . Così ragionando, l’anima sarebbe un soggetto psichico proprio come l’Io. Con caratteristiche diverse ma altrettanto uniche, personali e ben definite. Diverso dal Super-Io freudiano, che invece è una pura sovrastruttura psicologica fatta di moralismi e di condizionamenti introiettati. 6. L’ANIMA SECONDO LE RELIGIONI: IL NOSTRO ELEMENTO DI IMMORTALITÀ Quanto all’esistenza di una parte immortale in noi, non ne esistono dimostrazioni rigorosamente scientifiche. Dunque l’idea è da accettare o da rifiutare per fede, per opinione, per sensazione, per abitudine ma, finora, non per conoscenza razionale e sperimentale: tuttavia si tratta di un’idea così profondamente legata a quella di trascendente che il minimo dubbio sulla prima implica una miscredenza anche sul secondo. Proprio come il minimo dubbio sulla fedeltà del nostro partner può minare la nostra fiducia in lui. Tuttavia, una volta ammesso che il trascendente esista, è inevitabile supporre che l’anima umana ne faccia parte, e quindi è inevitabile speculare su quest’entità, sul suo modo di esistere e perfino sul suo modo di sopravvivere alla nostra esistenza terrena. Anche perché le conclusioni di chi non crede in quest’area d’immortalità sono ovviamente molto diverse da quelle di chi ci crede: quindi vale la pena di mettere a confronto le due ipotesi implicitamente, anche due dottrine - ed analizzare i risultati. • Se si accetta l’ipotesi che la morte sia la fine di tutto, chi vive secondo la legge del premio/punizione la può considerare solo come uno schema in forza del quale, rispettando certi modelli, si possano ottenere certi vantaggi nei limiti di una vita. • Viceversa, l’ipotesi che una parte di noi sia immortale consente di po51 stulare l’esistenza di un paradiso e di un inferno e di estendere l’etica del premio/punizione all’eternità. Col risultato di chiudere la nostra esistenza con un giudizio e con un futuro chissà dove, tutto in funzione di questo giudizio. 7. LE RICADUTE DELLE DUE PRINCIPALI DOTTRINE SUL TRASCENDENTE Il fatto, infine, che la nostra parte immortale s’identifichi con l’Anima è abbastanza ovvio. Dunque, nell’ipotesi della sua immortalità, l’Anima al momento della morte abbandona il corpo e va da qualche altra parte. Ma le dottrine su cui vale la pena di soffermarsi sono soltanto due: nessuna delle quali può vantare prove scientifiche. E poiché entrambe vengono accolte o respinte per fede, c’è da chiedersi perché le nostre religioni seguano quella del premio/punizione invece di quella della reincarnazione. E qui proveremo ad esplorare sommariamente l’essenza di entrambe queste due dottrine e a trarre qualche conclusione. (1) LA DOTTRINA DEL PREMIO/PUNIZIONE Per la dottrina del premio/punizione l’anima viene creata quando viene concepito un nuovo individuo: gli viene fornita in dotazione, vive di lui, con lui, è parte di lui, è lui. Alla sua morte si trasferisce in un luogo dove paga i debiti contratti in vita o viene ricompensata per il Bene fatto. (2) LA DOTTRINA DELLA REINCARNAZIONE Per la dottrina della reincarnazione, l’anima è stata creata molto tempo prima dell’individuo e proviene da un altro personaggio, defunto; o, addirittura, da un animale evoluto. Dunque è una cosa che passa un certo periodo con uno di noi, agisce, impara, cresce e matura. La dottrina del premio/punizione e la sua logica sono rozze, elementari, pratiche e immediate. Però sono nella tradizione della civiltà europea, faraonica ed ebraica, ben più antiche di quella cristiana. La dottrina della reincarnazione fornisce, del fenomeno umano, una visione più articolata, complessa e generosa, perché teorizza una maturazione 52 progressiva d’ogni essere attraverso l’esperienza, offrendogli la possibilità di cogliere un certo orientamento di base della vita, se non proprio la Méta. Rendendo ognuno responsabile della sua situazione attuale e di quella futura, togliendo ogni limite all’evoluzione del granello di Spirito che incarna, ma dandogli una sorta di garanzia della gloria finale, raggiungere la quale dipende solo da lui. 9. LA RISCOPERTA DEL NOBILE, OTTUPLICE SENTIERO DEL BUDDHA Uno studio che metta a confronto i nostri poteri e le nostre impotenze verso la vita sarebbe inconcludente se non cercasse di rispondere all’unica domanda che in fondo conta: cosa possiamo fare noi nella pratica, se vogliamo dare un contributo a questa gigantesca sperimentazione collettiva, individuale e personale? E, senza pretendere di creare il decalogo del corretto comportamento umano, si può tentare un elenco d’idee. Il futuro è la conseguenza di un esperimento collettivo basato sull’ampliamento della conoscenza e della consapevolezza del reale, in piena libertà interiore; e sull’evoluzione del senso dello scopo. Ma per far funzionare quest’esperimento dovremo ricordarci sempre che, in qualsiasi campo, una conoscenza mediocre è pericolosa perché, dando l’illusione di sapere, induce giudizi e valutazioni superficiali con tutto ciò che ne consegue. Lo diceva già nel Settecento il famoso Dott. Johnson nei suoi colloqui con Mr. Boswell: “A little knowledge is a dangerous thing”. Tuttavia noi, qualunque cosa ci piaccia essere, apparteniamo alla cultura cristiana. E non ce la scrolleremo mai di dosso, così come non ci siamo mai scrollati di dosso i residui della nostra cultura pagana di duemila anni fa, con il suo culto degli dei trasferito ai Santi e con le sue feste trasformate in feste cristiane. Quindi ogni altra cultura, per quanto ci affascini, può diventare un’integrazione, può rappresentare una nuova apertura, ma non può cambiare la nostra mentalità più di tanto. Riconoscere il valore di quest’integrazione - senza mai illuderci di essere diventati troppo diversi da ciò che siamo - non sembra un condizionamento, ma piuttosto un ampliamento di coscienza, di visione e di consapevolezza. Che nel futuro potrà esserci sempre più necessario per motivi di respiro. 53 54