elvio calderoni
lasciamisenzafiato
© 2011 Miraggi Edizioni
via Galvani 12 bis, 10144 Torino
www.miraggiedizioni.it
In copertina: Seeing green, foto utente flickr Katie Tegtmeyer,
utilizzata e modificata secondo Creative Commons Public Licence 2.0.
Progetto grafico Miraggi
Finito di stampare a Città di Castello
nel mese di giugno 2011 da CDC Artigrafiche
per conto di Miraggi Edizioni
Prima edizione: giugno 2011
isbn 978-88-96910-11-5
Intro
From Clara’s corner
a Livianna, Oliviero, Lucamattia e Ludovico
Io corro la notte.
La notte corro, corro, corro.
Incontro gli alberi, le strade, il cavalcavia, le rotatorie e, più in
centro, il ponte, i vicoli, i portici e le stelle.
Paragono le stelle ai pensieri. Incontabili. Una si attacca all’altro, vi si avvinghia. Il tempo di guardare di nuovo in alto – un
percorso illuminato, un itinerario sufficientemente sgombro
per alzare la testa in su – e parte una nuova sequenza stella-
pensiero. Scelgo stelle assai distanti tra loro per non correre il
rischio di ripetere i pensieri.
In una notte così non ho bisogno della musica. Ascolto la mu-
sica della notte. Ruote veloci, in ritardo. Come me. Corro e dimentico. Tutto il dolore che c’è. Mi illudo, forse, ma dimentico.
In quell’ora, dalle 3 alle 4, dimentico. Come un campo da ten-
nis in terra battuta prenotato solo per me. Solo che il campo è
tutta la città. Dalle 3 alle 4, ogni notte. Una serie di ace. Uno
sull’altro, velocissimi, istantanei.
E mi sembra di essere unica.
Ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale.
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My own sweet blog / Le energie di Alessandro
giarmi più le unghie. Devo spiegare la metafora? Ma sto per
sposarmi. Sposare Irene. Irene. Devo concentrarmi su Irene.
Mercoledì, luglio, post-alba, saranno le 6.
Irene e il suo profumo violaceo, la sua generosità d’altri tem-
Lettori dei 4 angoli del mondo, sappiate che:
lunghi. La sua voce che si abbassa improvvisamente. Sembra
ge quasi al termine. Ma sta andando meglio del previsto. Non
romanzo. Come potrei non sposarla? Concentrarsi su Irene è
iarmi e invece, come già avete letto negli aggiornamenti pre-
tornando a Roma, le grane consuete, con addosso il solito
pi, altri luoghi, latitudini opposte alle mie. Irene e i suoi vestiti
dopodomani torno a casa, il tour friulan-prematrimoniale giun-
un copione pieno di inventiva e di colpi di scena, più che un
avevo mai passato 5 giorni filati a Cividale, pensavo di anno-
una vacanza, che stanno per esplodermi addosso di nuovo,
cedenti che il vostro eroe puntualmente vi invia, non è così.
sapore di straordinario, di incontrovertibile, le meravigliose
sappiate poi che:
idee che non si trovano, le foto nuove contro le foto già fatte,
figura ci farei il giorno del matrimonio con le dita malcurate,
le possibili novità. Ma questo non dovrei dirvelo. Sono un cre-
scadenze lavorative, la nuova campagna da promuovere, le
ho smesso di mangiarmi le unghie. ho smesso davvero. Che
e sono sempre di più loro, quelle già fatte, e sempre di meno
simili a mozziconi, sintomo banal-evidente di nervosismo pre-
ativo. Le crisi non sono ammesse.
matrimoniale?
sappiate poi che:
questa notte ho incontrato una matta che faceva jogging poco
prima dell’alba. Stavo tornando da casa di Irene dopo la festa
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From Clara’s corner
Devo imparare a gestire meglio le emozioni, su questo ormai
di Paola. Sobrio, tengo a specificarlo. Ultimamente capita.
non ho dubbi. Imparare a non aspettarmele, ma nemmeno a
Mi son fermato a guardarla. Ho notato che non aveva musi-
partiture. Programmo troppo gli interventi e gestisco meccani-
notte. Per un momento ho incrociato il suo sguardo, poi l’ho
a galla veramente. Solo quando corro, la notte, non ho questa
do verso di me mi ha costretto a farlo. Evitata di poco. Tutto
una maratoneta. Sono una sassofonista. Prendo e do lezioni
della matta, inghiottita da altre strade, altre case, irraggiungi-
no, quasi lo spengo. Ero quasi in centro quando ho visto una
jogging di notte è una cosa che si può solo immaginare, forse
Ponte del Diavolo e mi guardava fisso. Non mi faceva paura.
pieno di forse. Forse il mio incessante cercare, il mio sentire
va per guardarmi. All’incrocio, si stava facendo tamponare da
farmi invadere. È lo stesso errore che, a volte, faccio con le
ca nelle orecchie. Sembrava volersi godere il silenzio della
camente il tutto. È come se impedissi alla mia anima di venire
distolto io per primo. La macchina che stava sopraggiungen-
sensazione e per una concertista non è il massimo. Non sono
ok. La macchina va via, il mio sguardo torna nella direzione
di respiro. Ascolto sovente il mio respiro. Gli tolgo ogni affan-
bile. Forse l’ho solo immaginata. Forse una ragazza che fa
macchina fermarsi. Il ragazzo che guidava procedeva verso il
non può esistere veramente. Sono felice, sia chiaro, ma sono
Il suo sguardo non mi faceva paura. Per poco non si schianta-
ondivago e irrequieto poco si confà alla decisione di non man-
un’altra auto. Ho sorriso. E sono scappata via verso il centro.
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Sono sicura che mi abbia cercata con lo sguardo. Mi sentivo al
centro del campo, come chi tenta una volée dopo aver appena
uno
battuto. Dalle 3 alle 4.
– Eccole!
Gli occhi di Alessandro incrociano consapevoli quelli di Irene. Sanno entrambi che vedere insieme, e per la prima volta, i
loro nomi sulle partecipazioni di matrimonio è un momento
che non dimenticheranno. Irene gli porge la busta, Alessandro
non la apre. Se avesse una videocamera a disposizione immortalerebbe il momento. All’inizio Irene era quasi irritata da questa
mania di lui di fermare ogni attimo con le foto, o con i film. Poi,
via via, è diventato un tratto quasi familiare verso il quale era
pronta a far entrare in azione tutta la benevolenza del mondo:
sentiva quella come l’unica fragilità percepibile di Alessandro.
L’unica falla. L’unica scheggia impazzita. Come se tra le cose e la
rappresentazione delle cose, lui avesse scelto sempre la seconda
opzione. E aveva dovuto fare un bel percorso, da sola, per carità,
da sola, Irene, per convincersi che questo tratto non nascondeva
sentimenti di plastica. Che spessore aveva l’amore di Alessandro per lei? Quale durata? Ci avrebbe potuto scommettere? La
loro storia era inscrivibile tra i colpi di fulmine? Prometteva una
qualche eternità, in sintonia con l’imminente matrimonio? Domande che si poneva dal giorno in cui aveva deciso, lei sola, che
quegli occhi, consapevoli sempre, l’avrebbero accompagnata per
il resto della vita.
– Dai, Ale, apriamo la busta.
– Tu l’hai già vista? Dimmi la verità, l’hai già vista? – sorride
euforico. Davvero euforico.
– Ma no, ho visto le prove, le bozze.
Irene non ha mai mentito nella sua vita. Una sincerità storica
che sembra quasi una minaccia per quanto è inattaccabile. Una
promessa morale.
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– Qualcuno ha una macchina fotografica?
Voce emozionata davvero, euforia a profusione. A ondate.
A settembre mancano poco più di due mesi. Cerimonia prevista per il 9 settembre 2009. Un matrimonio in mezzo ai milioni di matrimoni previsti per approfittare del buon augurio di
una data tanto inconsueta quanto indimenticabile: 09 09 09.
Settembre 2005: Irene, neolaureata a pieni voti in architettura presso l’Università di Udine, partecipa a un master in storia
dell’architettura a Roma. Sarebbe stata più interessata ad altri
corsi post laurea; ne aveva adocchiato uno bellissimo a Milano in paesaggi straordinari, ma non era riuscita, di un soffio,
a rientrare tra gli idonei. L’idea, però, di avere una più robusta preparazione storica la faceva sentire meno in colpa rispetto
alle traballanti nozioni di storia dell’arte di cui era in possesso.
Grande creatività, ottimo tocco, ma poco slancio verso gli studi
teorici. Il suo libretto parlava chiaro: lodi nelle materie tecnicopratiche, miseri 20 negli esami di critica d’arte e, in generale, di
storia. Un master le avrebbe fatto bene senz’altro anche perché
a Roma c’era, da qualche tempo, Caterina, compagna di liceo
perduta e tutta da ritrovare. Mentre proiettava la sua immagine nella capitale, Irene attribuiva a Caterina non un colore, o
un profumo, ma proprio il sapore delle cose buone che vanno
ritrovate. Infine: Roma. Nonostante la laurea e i suoi ventisei
anni, Irene si sentiva da sprovincializzare. Una vita scritta in un
metro. O in pochi chilometri. Quelli che dividono il suo paese
natale, Cividale, da Udine. Città che può apparire più grande
di quanto non sia a un turista di passaggio, molto meno a chi,
come lei, ormai, ne conosceva ogni angolo. La biografia di Irene
Piovene è semplice. Più di lei. Come se gli eventi che l’hanno
contraddistinta lasciassero al destino, agli dei, alle situazioni,
un margine piuttosto largo di imprevedibilità. Come dire, la
prossima volta il fuoco. O l’acqua. E non una tranquilla terra
di mezzo.
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Roma è l’occasione. Roma è la crescita. Roma, e Irene diventa
più grande.
Non aveva pianificato più di questo, una timida generica crescita morale, una tendenza, una possibilità, un’ apertura più che
un progetto. Una consapevolezza più che una formazione.
– Via dei Serpenti 8, Irene, almeno cominci il tuo rapporto
con Roma subito dal centro, dal traffico, dai motorini e ti fai
un’idea, ah ah…
Caterina non aveva perduto né l’energia adolescenziale, né
l’accento friulano, sebbene quasi sei anni di Roma l’avessero
stemperato verso un meno accattivante italiano standard, buono per gli esami e per le relazioni sociali. Nonché per i provini.
Caterina, in effetti, l’Università a Roma l’aveva scelta anche per
le sue vaghe ambizioni artistiche. Ai tempi del liceo si era prodigata a frequentare corsi di recitazione a cui spesso avevano fatto
seguito una serie di saggi nei quali lei aveva sempre ricoperto
la parte di protagonista. Effetto dell’egocentrismo più che del
talento, aveva riflettuto Irene in qualche occasione, dalle prime
file della platea. Le voleva bene, da sempre. E senza giudizi. Ma
era lucida nel mettere in tavola le caratteristiche di entrambe e,
subito dopo, le differenze. Quindi le sembrava che il mettersi in
mostra continuo e specifico di Caterina le potesse garantire non
poche possibilità. Perlomeno rispetto a una come lei.
– Ok, ma tu da che ora sei lì? Io sono già alla stazione.
– Io sono già qui! E non da poco, c’è un fotografo nuovo che
mi sembra lentissimo, son qui dalle dieci e per fare tre scatti a tutte le ragazze dell’agenzia sta passando già mezza giornata, sempre
peggio, dai, ti aspetto, anzi, sarai tu ad aspettare me, ho idea.
Fotografi, agenzie, scatti, mezze giornate, centro, traffico,
motorini. Se l’aspettava, ma forse non il primo giorno.
Con le valigie e il peso del viaggio addosso, arrivò a via dei
Serpenti tre quarti d’ora dopo la telefonata. Sudata e affannata.
Davanti al civico, i citofoni non promettevano una piena intellegibilità. In mezzo alla strada, però, un ragazzo, al telefono, le
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sembrò in grado di donarle subito la calma che cercava e con
quella qualche risposta:
– Ma no, è che qui vanno molto di fretta, queste ragazze
pensano di avere la luna in mano magari perché hanno fatto
qualche comparsata in qualche fiction, livello piuttosto basso
da tutti i punti di vista, non so quanto durerò, adesso pensa
che hanno sbuffato perché ho annunciato una piccola pausa e
c’è una che mi smania addosso da mezz’ora, dice che non può
perder tempo, eh madonna, io sto lavorando dall’alba, mentre
lei probabilmente era al trucco, povera stella.
Il ragazzo al telefono continuava a parlare guardando Irene,
cercando consensi, o almeno un sorriso, un’occhiata complice
contro il resto del mondo e contro quella situazione che stava
cominciando a odiare.
– Ora ti devo lasciare perché mi sa che c’è qualcuno a cui
devo dare una mano, ciao, ci sentiamo dopo pranzo, ciao. Mi
dia, dammi, scegli tu, la valigia.
– Cosa devo scegliere?
– Se devo darle darti del tu o del lei, intanto che scegli molla
la valigia che ti sta prendendo un infarto, ma un trolley proprio
no, eh? Piacere, Alessandro Vissuti.
– Piacere, Irene… Irene Piovene.
– Vieni da lontano?
– Cividale del Friuli, va be’, Udine.
– E sei venuta a piedi?
Prima battuta, prima risata.
– Insomma, hai scelto?
– Cosa?
– Posso darti del tu?
– Ma sì, comunque, oddio, sono stanchissima, scusa, non
riesco a sostenere una conversazione.
– Sei qui per le foto?
– Sì, cioè… no, devo incontrare un’amica. Penso che stia lì
dentro ad aspettare di farsi far le foto da te.
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– Oddio ma è una bionda riccia con gli occhiali? Accento
vagamente nordico, fretta e un’inadeguata puzza sotto il naso?
Dimmi di no!
– Be’, la descrizione coincide, però puzza sotto il naso, no,
non credo.
– Con me sì, è quella che mi ha detto che non ha mica tempo
da perdere, tempo con la e chiusa, tu lo dici con la e chiusa?
– No, non lo so.
– Prova.
– No, dai, guarda, sono…
– Sei esausta, capisco, venire dal Friuli a piedi non dev’essere
stato facile, c’è uno scrittore che è andato a piedi dall’Argentario al Conero, lo conosci? Lo faresti con me? Certo, tu sei più
allenata.
Irene invasa. Assediata. Alessandro non può non guardare negli occhi il suo interlocutore e di fronte alle torsioni del busto
di Irene, di fronte ai suoi leggeri spostamenti, ora verso destra,
ora verso sinistra, sempre centrifughi, lui cambiava posizione.
Una vita che fa così. Irene invasa si spostava, ogni tre parole,
un po’. Alessandro la raggiungeva. Avrebbero fatto così per altri
quattro anni. Costantemente. Quell’incontro una sorta di figura del loro percorso futuro. La stanchezza, istante dopo istante,
sembrò non far più parte di lei. Focalizzò la situazione e pensò
a Caterina che, lì dentro, stava aspettando che la loro conversazione avesse fine, ignara di tutto.
– Se non vuoi dire “tempo”, dimmi almeno portami via da
qui che fa un gran caldo e andiamo a bere una bibita ghiacciata.
– Ma tu hai le foto da fare.
– La tua amica riccia bionda e snob oggi non sarà l’oggetto
del mio fotografare, tanto dopo glielo spieghi tu, no? Solo che
noi dobbiamo trovare il modo di disfarci di queste valigie.
– Disfarci?
– Aspetta, le metto in macchina, è proprio qui vicino, attraversiamo via Nazionale e, dai, seguimi.
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