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Pubblicazione semestrale della Società dei
Concerti “ROBERTO FIORAVANTI”
Direttore responsabile: Michele Manzotti
Sede: Via Cairoli, 31 Prato
Segreteria: 3285777899
Direttore editoriale: Enrico Belluomini
Maggio 2007
Iscr. Registro Naz.le della stampa RNS n. 8611
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LA NOTA
SOCIETÀ
DEI
CONCERTI
Anno XI - Numero 20
Edito da: Società dei Concerti “Roberto Fioravanti” - Via Cairoli 31 - 59100 Prato
Iscr. Trib. PO n° 10/97 - Dir. resp.: Michele Manzotti - Poste Italiane s.p.a.
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UNA BELLA STAGIONE
L’ultimo cartellone musicale della Società dei
concerti “Roberto Fioravanti” è stato accolto dal
pubblico e dalla critica con grande entusiasmo.
Come ogni anno, dunque, la Direzione Artistica ringrazia per
i generosi consensi che le
vengono attribuiti, in particolare per le
novità dei generi proposti e
dal livello sempre più alto
degli artisti. la
XVI Stagione si
è aperta con
un concerto
jazz presieduto dal giovanissimo pianista Alessandro Lanzoni.
Ad appena 14 anni è ritenuto infatti una delle
promesse italiane nell’ambito jazzistico ed ha
vinto il presti-gioso Premio al Concorso jazz
“International Massimo Urbani Award”. Si è esibito in Trio con Ares Tavolazzi al basso e Walter
Paoli alla batteria, ottenendo un acclama-tissimo
successo. Ancora un genere “diverso” per il secondo appuntamento: John.Lees e Woolly.
Wolstenholme hanno proposto un rock sinfo-
nico d’autore, con la partecipazione di Emma
Tricca per voce e chitarra acustica.
Poi, uno spettacolo davvero particolare: un gruppo di straordinari artisti si è esibito per noi al
Teatro Politeama con un repertorio interamente dedicato a Fabrizio De Andrè .
“A forza di essere vento”, questo il nome del
gruppo, sono artisti che recitano, cantano e ballano con estrema bravura e grande capacita’. Il
quarto appuntamento è stato invece con il pianista Andrea Bacchetti che ha eseguito le “Variazioni Goldberg” di J.S.Bach, una delle opere
più importanti
del repertorio
musicale.
B acchetti ha
saputo “incantare” il pubblico eseguendo
90 minuti consecutivi di musica con un
perfetto controllo tecnico e
musicale. Non
è mancata poi
la “guitarra flamenca” con un repertorio che
spaziava da Ramon Montoya a Paco de Lucia.
L’interprete, Joan Lorenzo, è stato molto acclamato. Ancora un concerto davvero particolare
è stato poi quello tenutosi nella Chiesa di San
Francesco in Prato il 9 febbraio. In questa occa-
sione, diretta dal M° Mauro Ceccanti, è stata
diretta in prima mondiale la Messa di J.Newton.
Il concerto è stato organizzato in collaborazio-
Quest’anno abbiamo avuto ben tre gruppi, cioè
Duo, Trio e Quartetto, di una bravura davvero
unica, che si sono affermati con il miglior punteggio di tutto il Concorso. Ultimo concerto
ne con Metastasio Jazz, Scuola di musica
G.Verdi, Unicef sez di Prato ed il patrocinio di
Sidma. Abbiamo ospitato il gruppo “European
Saxophone Quartet”, un quartetto di musicisti
con già al loro attivo una carriera internazionale, che hanno eseguito un repertorio dal classico al jazz. Come ogni anno, la Società Roberto Fioravanti collabora con il “Concorso Inter-
quello del pianista Pietro Soraci che ha eseguito musiche di W.A.Mozart e R.Schumann.
Come ogni anno abbiamo dunque spaziato dal
genere classico a quello jazz, dal repertorio classico al contemporaneo, con gruppi che si diversificano nelle loro formazioni.
Il prossimo cartellone riserva ancora interessanti
nazionale Pianistico G.Rospigliosi” di
Lamporecchio (PT) offrendo un concerto al primo premio solista o miglior gruppo di cameristi.
appuntamenti, sempre dedicati al nostro pubblico che da anni ci segue e che noi ringraziamo di cuore.
Elisabetta Nutini
Direzione Artistica
Società dei concerti R.Fioravanti
La “beffa” della “Cena”
di Goffredo Gori
Nel 130° anniversario della nascita di Sem Benelli (Prato 1877), c’è chi aveva pensato ad una Cena delle beffe da rappresentare
al “Politeama Pratese” nella versione musicata da Umberto Giordano, opera lirica che nel 1925 avrebbe dovuto approdare al “Banchini”,
per l’appunto nella stagione inaugurale del teatro. Non ci fu nel 1925, non ci sarà nemmeno nel 2007.
Indovina chi viene a cena? Nessuno. Per il
2007, anno di Sem Benelli, era stata annunciata al “Politeama Pratese” una Cena delle beffe, più precisamente l’opera del 1924, la versione messa in musica dal foggiano Umberto
Giordano, l’autore di Andrea Chenier che sulle
poltrone del nostro teatro lasciò traccia della
sua presenza nel 1941, ascoltando per l’appunto uno storico Chenier cantato da Gigli e
la pratese Pacetti. Cominciate a tenere di conto
di tutte le affinità pratesi contenute in questa
(dis)avventura della “Cena-Giordano-Benelli”
a Prato. Perché i quattrocento anni di melodramma (dalla Camerata Fiorentina del Conte Bardi
di Vernio in poi) sono tenuti insieme da aneddoti
e superstizioni, bizzarrie, nevrosi e cicliche vicissitudini che sono il cemento stesso del meraviglioso mondo del teatro musicale; e il caso pratese
della Cena che non c’è, è un bel gioiello da incastonare nella memoria di quei quattro secoli. La
programmata Cena-2007 a Prato non si farà. C’è
un antefatto indispensabile. L’opera di Giordano
era stata rappresentata con successo a “La Scala”
di Milano il 20 dicembre del 1924 diretta da
Toscanini e qualche mese dopo era prevista al
“Banchini” di Prato per le ovvie simpatie artistiche con la città toscana (sostenute dalle raccomandazioni politiche del deputato fascista Benelli).
La nuova opera era stata annunciata come “prima assoluta in Toscana” nel cartellone della stagione che per l’appunto inaugurò il “Banchini”
nel 1925 con la famosa Tosca. La Cena delle beffe
di Umberto Giordano e Sem Benelli sarebbe stata eccellente conclusione alla stagione del nuovo
teatro pratese. La Cena è un thriller e la suspence
in quel 1925, curiosamente non stava solo nella
drammaturgia teatrale; ma nei risvolti reali che
contornarono l’appuntamento teatrale mancato.
Riportiamo testualmente dal fondamentale libro
di Roberto Fioravanti sulla storia della musica a
Prato. “Si diceva in giro che l’annunzio della Cena
era solo un richiamo pretenzioso, basato sul nulla. Sul numero unico distribuito la sera dell’inaugurazione apparve, stampato in neretto, questo
trafiletto intitolato “Per smentire alcune voci tendenziose / Gira per Prato una storiella poco simpatica e
davvero puerile e cioè che la “Cena delle beffe”, l’opera nuova del maestro Giordano, non verrà eseguita
nella nostra città e che è stata annunziata in cartellone
soltanto per far colpo sul pubblico. Smentiamo nella
maniera più assoluta tale insulsa storiella messa in
giro non si sa da chi per scopi più o meno reconditi.
“La cena delle beffe” che è stata concessa dalla Casa
Sonzogno all’impresa Oscar Innocenti e C. previo l’efficace interessamento dell’On. Sem Benelli e del M.°
Giordano, verrà eseguita. Rassicuriamo i pochi pessimisti increduli!” Ma i pessimisti increduli, purtroppo, ebbero ragione. La Cena non fu fatta”. Questa, la curiosa ma eloquente cronaca riportata da
Roberto Fioravanti. Ricordare questo episodio era
d’obbligo perché serve a sostenere una lucida
ipotesi: che sulla Cena non grava una maledizione voluta dal Fato, bensì una responsabilità
fatta di carne ed ossa di qualcuno, verso cui
ora si rivolge l’indice della Storia (oggi con più
ragione che nel 1925). Primo: perché quest’opera è un capolavoro che merita una meditata attenzione. Poi, perché questa volta il
cammino per rappresentare la Cena mancata
nel 1925- avviato con l’impegno della passione e tensione anche per una sorta di sanatoria
storica – aveva portato ad un soffio dalla meta:
aprire il sipario del “Politeama Pratese” sul tranquillo accordo di un La minore che dipinge di
rosso il fondale di un tramonto sulle colline
fiorentine; con la voce pacata di messer
Tornaquinci basso che dice (la si legga pure
come allusione ironica) “Disponete che tutto sia
per bene/ Voglio che questa cena si rammenti”.
Scena: bagliori crepuscolari della tragedia livida che precipiterà. Realtà: rintocco profetico
e beffardo ad una Cena delle beffe di BenelliGiordano che ancora una volta fallisce l’apSegue a pag 2
Maggio 2007 ANNO XI Numero 20
LA NOTA
Continuo di pag 1
puntamento con la storia di Prato. “Voglio che questa cena si rammenti” . Si rammenterà certamente
questa Cena, ma come aborto culturale di una
città alla quale è più comodo celebrare Malaparte
(“il maledetto toscano” lo merita);
e rimuove il “parente scomodo”
Benelli, che per la sua enigmaticità e collocazione storica sarebbe
più interessante e utile criticamente indagare. E non passando solo
per l’intimismo tranquillizzante e
autobiografico del Tignola; ma per
l’estetica provocatoria (sbrigativamente etichettata come vieto
dannunzianesimo) della Cena delle beffe, lavoro che travolge ogni
schema drammaturgico e linguaggio teatrale per sbarcare in America prima di Pirandello, tradotta
in tutte le lingue, con un successo
mondiale mai registrato fino ad allora.(Una ragione artistica ci sarà pure). Biografie di nevrosi
tipiche del nuovo secolo- la Cena vede la luce al
“Teatro Argentina” di Roma nel 1909- si alimentano freudianamente di sensualità e sesso e sono
(autobiograficamente) ignudate da Benelli sul palcoscenico; la morale non è rispettata: due cattivi
e un innocente, che viene assassinato senza giustizia trionfante. Sul capolavoro di Benelli grava
purtroppo la pessima eredità cinematografica del
bianco e nero 1941 di Blasetti dove le gigionate
sardegnol-fiorentine di Amedeo Nazzari-Neri che
minaccia “peste” (con la e strizzata!) a “chi non beve
con me”, non sono certo mitigate dalla sensualità
cortigianesca della pratese Clara Calamai-Ginevra che per prima nella storia del cinema fa vedere le tette ignude, candide e impure. Né migliora la faccenda l’emaciata “faccetta nera” di
Osvaldo Valenti-Giannetto.
E’ sorprendente notare come le terzine di
semiminime ascendenti (sol-mi bemolle) che identificano splendidamente la storica boutade dello
smargiasso Neri baritono, “Chi non beve con me…”
(discendenti fa-do: “Peste lo colga!”), siano ritmicamente modellate e cadenzate su una espressione
da gorgia inconfondibilmente toscana; e come la
fonica del rutilante attore Nazzari nel 1941 ricalchi la medesima accentazione del canto (che è
del 1924). E di “toscanismi” ce ne sono nel testo:
“Tu l’hai goduta… tu me l’hai goduta/ Preparati la
bara Giannettaccio!”. Verosimiglianza storica di una
lingua della tradizione che solo i toscani oggi continuano a far vivere nella loro parlata di tutti i
giorni: gaglioffo, femminetta, stiava, stracco,
diaccio, concio, chieggo, ingollare. Il cinico sarcasmo, l’ironia corrosiva, le grasse allusioni sessuali
e doppi sensi, una lascivia che si lega sempre al
travestimento erotico, ai mantelli e alle maschere:
tutti ingredienti che Benelli eredita dal Boccaccio
e dai novellieri toscani. Tutte cose che Giordano
non si lascia scappare e valorizza con una sorta di
adeguamento a ictus, con linee vocali spezzate, aiutato da quell’invenzione- tutta benelliana- della
spezzatura metrica per un verso
“drammatico e parlato” innestato
sull’endecasillabo sciolto non rimato (in opposizione a quello “lirico e recitato” di D’Annunzio). Il
verso spezzato di Benelli ben si
confà alla frammentarietà espressiva della musica di Giordano:
inconfondibile epifania del ‘900.
Unica geniale eccezione a questo
stile è la rarefatta notturna “Canzone di Maggio”, stornello in
settenari in rima, intenzionalmente legata e consonante, che ha la precisa funzione
drammaturgica di sospendere la tragedia finale che
arriva precipitando su un accordo fragoroso e dissonante.
Se la parola di D’Annunzio è grossa e altisonante,
quella di Benelli è grassa e insinuante e cerca una
simbiosi tra poesia e prosa prendendo le distanze
dagli “arcaismi” dotti alla moda, di matrice
dannunziana, che molti compositori del tempo
invece sposano: Franchetti, Zandonai, Mascagni,
Pizzetti, Montemezzi (Italo Montemezzi nel 1913
scrisse la musica per L’amore dei tre re dramma di
successo di Benelli; e piace qui dare notizia che il
prossimo novembre a New York si rappresenterà
L’incantesimo un atto unico di Montemezzi su testo scritto appositamente per il teatro d’opera da
Sem Benelli nel 1943). Nella storia del teatro musicale accade di rado che l’autore del dramma sia
lo stesso che scrive le “parole” del libretto in
simbiosi con chi scrive la “musica”. Benelli lavorò
al libretto con passione e i 1826 endecassillabi
del testo si condensarono in 672 per il melodramma. L’opera-operazione di Giordano, cioè la traduzione in musica di questa tragedia, conquista
soprattutto per il ritmo conciso di declamati che
esaltano la parola innestata su cellule musicali che
si intrecciano senza soluzione di continuità in uno
stato di allucinata irrealtà. Il colore dominante è
il giallo e la tecnica compositiva di Giordano guarda alla decima arte, la nascente arte del cinema
(“Le esigente cinematografiche vanno applicate all’opera lirica”): tutto accade a vista in una sintesi vertiginosa inedita per il teatro lirico, col supporto di
una scrittura strumentale nuova.
Per cui si potrebbe dire, mettendo a confronto la
formula del teatro recitato con quella della forma lirica, che fuori posto sarebbero piuttosto gli
attori di prosa dell’epoca che scaraventavano in
platea le loro logorree; mentre chi interpreta il
senso autentico e la novità del dramma benelliano
risultano essere i cantanti, grazie alla precisa definizione musicale di Giordano. In una parola: la
Cena musicale cantata, ha forza inedita di sintesi
ed è l’approdo teatrale più alto e convincente.
Benelli e Giordano, il drammaturgo e il musicista, ciascuno per proprio conto, hanno entrambi
due mete storiche da oltrepassare. L’uscita dal realismo-naturalismo-positivismo letterario non lasciandosi sedurre però dall’estetismo decadente,
verboso e polito dell’ “Imaginifico”. Benelli cerca
e trova quel linguagg io nuovo sul quale
ironizzarono senza pietà Papini (“Benelli, ciabatta smessa di D’Annunzio!”) e D’Amico: “Se era
endecasillabo chi non beve con me, peste lo colga
era un endecasillabo anche una granita di caffè
con panna”. (Più sobria sarà la critica di Antonio
Gramsci). Giordano compositore deve uscire dalla
esagitazione del verismo a squarciagola e tradurre i gesti scenici in segni vocali: l’evolversi della
musica verso il senso visivo e dare anima sonora
al gesto. L’orchestra mai è stata più ricca di suggestioni timbriche, ora deformanti (futurismo), ora
allucinatorie (surrealismo): le minacce incombenti
degli ottoni e l’ironia lasciva e grottesca degli
strumentini. Un gioco sonoro raffinato che legge
lega e s’adegua ai tumultuosi accadimenti scenici. Siamo oltre l’estetica sanguinolenta del coltello verista. Chiamiamo a testimoniare il maestro
Bruno Bartoletti, cui si deve la rinascita di lavori
teatrali del ‘900 sconsideratamente dimenticati.
In una intervista rilasciata durante una prova con
la nostra “Camerata” al “Politeama”, ci dice tra
l’altro della modernità della Cena, del suo entusiasmo per quest’opera (che ha diretto a Zurigo
con la regia della Cavani) in polemica con la colpevole e stupida cecità di certa critica schizzinosa. Ma neppure l’autorevole testimonianza del
grande maestro toscano è bastata ad aggregare
consensi ed energie affinché questa Cena finalmente si facesse nella città di Benelli e nel suo
anno celebrativo. In verità l’interesse era ristretto
al brodo di pochi apppassionati che un anno fa si
sono costituiti addirittura in un Comitato di volontari che sotto lo scudo della beneficienza ha
titanicamente tentato di far vedere la luce all’opera
fatidica sul palcoscenico di quel “Politeama” dove
doveva rappresentarsi nel 1925. Ma contro i corsi e ricorsi della Storia, la pur ammirevole
volontaristica “armata Brancaleone” 2007 non ce
la fa. Eppure- ed il particolare è di somma importanza- i maledetti soldi che sempre mancano, questa volta sembra non fossero il problema.
Poiché questa nota racconta di un accadimento
mancato attribuendogli il connotato di una “bef-
fa storica”, di una disillusione amara destinata a
lasciar traccia, bisogna che contemporaneamente venga fornita a chi legge la prova fedele del
grado di tangibilità dell’impresa e la possibilità di
esito favorevole (per dimostrare le responsabilità
e l’assurdità della conclusione). L’ avventura non
era un sogno. Perché il direttore e l’orchestra erano già stati scelti e scritturati. Perché gli spartiti
della “Sonzogno” erano già noleggiati e alloggiati
sui leggii. Perché si sono svolte ben due selezioni
delle voci con conseguente formazione addirittura di doppio cast (ventidue cantanti). Perché
l’idea registica era già disegnata così come la
scenografia (che si proponeva di rappresentare
sulle tavole del “Politeama” segni d’arte e d’architettura di Prato città, con un abbraccio ideale con
il “Lippi restaurato” in Duomo). Perché si erano
già avviate intese per un gemellaggio culturale
con l’Amministrazione Provinciale di Foggia, città natale di Giordano. Perché la data di prove e
spettacolo erano fissati: il 10 e 13 maggio 2007,
appuntamento diffuso e promosso e che ha fatto
prenotare i biglietti aerei ad alcuni appassionati
americani arrivati poi davvero in Italia …senza
Cena. Ma il maggior peso di concretezza all’avventura storica lo marcava l’adesione appassionata e convinta del protagonista Lando Bartolini,
tenore internazionale che l’arduo personaggio di
Giannetto Malespini aveva per l’appunto tenuto
a battesimo a New York. Pratese Benelli, pratese
Bartolini che avrebbe finalmente cantato per la
prima volta un’opera per intero nella sua città. A
confermare l’idea che l’impresa-Cena, per riuscire, avrebbe dovuto avere il marchio “made in
Prato”, cioè fatta con la passione e con forze locali (alcune d’eccellenza) ecco la presenza anche
del poggese Giorgio Gatti - anch’egli tra i poco
“profeta in patria”- nello sdoppiamento
sorprendentemente antitetico del composto
Tornaquinci e del comico Dottore. A questo punto
chi legge si chiederà come il giallo pratese si scioglie. Non si scioglie, così come fu nel 1925 con
quella Cena annunciata e non consumata. Chi
scrive non può dire altro perché parte in causa,
in conflitto col fatto di essere stato fino a un certo punto, il direttore artistico incaricato di pilotare il viaggio. Fino a un certo punto. Posso solo
dire con una parafrasi d’intonazione benelliana
che qualche Giannetto ha creduto che la puledra
Ginevra (l’opera di Giordano) potesse essere cavalcata da un qualsiasi Neri che calzasse stivali e
speroni.
Ma poiché la cavalcatura era imprevedibilmente
“a pelo”, “il gioco della vita con la morte ha strozzato
disperatamente” chi si affaccendava ad apparecchiare la tavola di una Cena tutta pratese, colpevolmente andata a male. Restano “le beffe”.
HANNO SUONATO PER NOI
Appuntamento con la liuteria a Brescia: dal 9 giugno al 8 luglio nelle sale di Palazzo Martinengo
viene allestita la mostra Internazionale “Gio: Paolo Maggini, Secoli di dettagli” dedicata al grande
liutaio bresciano del seicento. La Mostra ospita in
esposizione i capolavori provenienti dalle più importanti collezioni private.
Ospiti i musicisti che hanno scelto questi strumenti:
in primis Danilo Rossi, testimonial della mostra
ed attuale proprietario della viola Maggini appar-
tenuta al grande violista
Dino Asciolla.
Andrea Lucchesini, Benedetto
Lupo.
Si è aperta il 14 aprile la
44° edizione del Festival
pianistico internazionale
“Arturo Benedetti Miche-langeli” di Brescia e Bergamo,
fondato e diretto dal M.°
Agostino Orizio. L’apertura
del cartellone è riservata ai
Wiener Philarmoniker.
Si è inaugurato il 4 novembre scorso la nuova Stagione Concertistica
del Teatro Ponchielli di Cremona.
Sette i grandi pianisti sul cartellone
tra i quali Bruno Canino e Pietro De
Maria.
Ospiti grandi pianisti tra i
quali Alexander Lonquich,
al pianista polacco Krystian
Zimerman. Tra le grandi
star mondiali erano presenti Alexander Lonquich,
Andrea Bacchetti nella foto
A.Bacchetti con il M.° Luciano Berio e Bruno Canino.
Il 28 settembre scorso si è aperta la
nuova Stagione delle “Serate Musicali” nella Sala Verdi del Conservatorio
di Milano. L’anteprima è stata affidata
Pubblichiamo il saluto del Dott. Michele Manzotti che dopo quasi 10 anni di Direzione de LA NOTA lascia il giornale.
Traspare dal suo scritto un pensiero che il Consiglio Direttivo della Associazione non condivide e che lasciamo alla interpretazione del lettore
per trarre le considerazioni più saggie avendo conosciuto lo spirito e l’animo di tutti noi operatori musicali della “Fioravanti”.
Con Roberto Becheri ed Enrico Belluomini avevamo fondato (o meglio rifondato) la Società dei concerti nel 1988. Nel 1997 fu deciso di far nascere l’esperienza de La Nota, periodico del quale sono diventato
dal primo numero direttore responsabile. Adesso, dopo 19 anni, si chiude il mio rapporto con la Fioravanti. Sulle ragioni non mi esprimo. Le vite professionali sono fatte di cicli e probabilmente questo è giunto
al termine. Però qualche elemento di riflessione è giusto porlo ai soci e a tutti coloro, pratesi e non, che hanno assistito a un concerto o che conoscono in qualche modo l’attività della società. La prima stagione
ebbe un grande consenso di pubblico, che nel caso della Fioravanti vuol dire adesione alla società. Le tessere, nel corso degli anni, sono andate diminuendo. Nonostante il lavoro appassionato dello staff e della
direzione artistica, tanti fattori possono essere evocati. Dalla concorrenza di istituzioni musicali (anche se a Prato i rapporti con le altre realtà sono ottimi), al fatto che ci sono meno risorse in giro, a un diminuito
fascino (tutto da verificare) della classica. Inoltre la Fioravanti ha sempre tentato di non dipendere in toto da contributi esterni (specie quelli pubblici che oggi sono sempre meno sicuri). Con tutto questo, la
Società riuscirà anche il prossimo anno ad allestire una stagione. Quindi chiedetevi cosa può fare il pubblico di Prato e comunque cosa possono fare tutti gli appassionati per la Fioravanti e per la sua, ritengo
insostituibile, presenza nel panorama musicale toscano. Rovesciando però il ragionamento, chiediamoci cosa deve fare la Fioravanti per il pubblico. La risposta è molto semplice, creare interesse proponendo
spunti nuovi e allargando gli orizzonti, stimolando la curiosità di chi ascolta, con un lavoro incrociato di programmazione e promozione. E magari anche produzione per mettere un marchio su progetti
importanti. Si può anche restare tra le quattro mura del conservatorio di San Niccolò facendo un buon lavoro. Ma su questo lascio il giudizio a tutti voi.
Michele Manzotti
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la nota 20 - Società dei concerti: Roberto Fioravanti