nel centro storico accesso consentito Via Cairoli, 31 Prato tel. 0574/33521 Pubblicazione semestrale della Società dei Concerti “ROBERTO FIORAVANTI” Direttore responsabile: Michele Manzotti Sede: Via Cairoli, 31 Prato Segreteria: 3285777899 Direttore editoriale: Enrico Belluomini Maggio 2007 Iscr. Registro Naz.le della stampa RNS n. 8611 www.pratoconcerti.it - e-mail: [email protected] LA NOTA SOCIETÀ DEI CONCERTI Anno XI - Numero 20 Edito da: Società dei Concerti “Roberto Fioravanti” - Via Cairoli 31 - 59100 Prato Iscr. Trib. PO n° 10/97 - Dir. resp.: Michele Manzotti - Poste Italiane s.p.a. Sped.abb.post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46), art. 1 comma 1, DCB Prato - Stampa: Duplioffset PO UNA BELLA STAGIONE L’ultimo cartellone musicale della Società dei concerti “Roberto Fioravanti” è stato accolto dal pubblico e dalla critica con grande entusiasmo. Come ogni anno, dunque, la Direzione Artistica ringrazia per i generosi consensi che le vengono attribuiti, in particolare per le novità dei generi proposti e dal livello sempre più alto degli artisti. la XVI Stagione si è aperta con un concerto jazz presieduto dal giovanissimo pianista Alessandro Lanzoni. Ad appena 14 anni è ritenuto infatti una delle promesse italiane nell’ambito jazzistico ed ha vinto il presti-gioso Premio al Concorso jazz “International Massimo Urbani Award”. Si è esibito in Trio con Ares Tavolazzi al basso e Walter Paoli alla batteria, ottenendo un acclama-tissimo successo. Ancora un genere “diverso” per il secondo appuntamento: John.Lees e Woolly. Wolstenholme hanno proposto un rock sinfo- nico d’autore, con la partecipazione di Emma Tricca per voce e chitarra acustica. Poi, uno spettacolo davvero particolare: un gruppo di straordinari artisti si è esibito per noi al Teatro Politeama con un repertorio interamente dedicato a Fabrizio De Andrè . “A forza di essere vento”, questo il nome del gruppo, sono artisti che recitano, cantano e ballano con estrema bravura e grande capacita’. Il quarto appuntamento è stato invece con il pianista Andrea Bacchetti che ha eseguito le “Variazioni Goldberg” di J.S.Bach, una delle opere più importanti del repertorio musicale. B acchetti ha saputo “incantare” il pubblico eseguendo 90 minuti consecutivi di musica con un perfetto controllo tecnico e musicale. Non è mancata poi la “guitarra flamenca” con un repertorio che spaziava da Ramon Montoya a Paco de Lucia. L’interprete, Joan Lorenzo, è stato molto acclamato. Ancora un concerto davvero particolare è stato poi quello tenutosi nella Chiesa di San Francesco in Prato il 9 febbraio. In questa occa- sione, diretta dal M° Mauro Ceccanti, è stata diretta in prima mondiale la Messa di J.Newton. Il concerto è stato organizzato in collaborazio- Quest’anno abbiamo avuto ben tre gruppi, cioè Duo, Trio e Quartetto, di una bravura davvero unica, che si sono affermati con il miglior punteggio di tutto il Concorso. Ultimo concerto ne con Metastasio Jazz, Scuola di musica G.Verdi, Unicef sez di Prato ed il patrocinio di Sidma. Abbiamo ospitato il gruppo “European Saxophone Quartet”, un quartetto di musicisti con già al loro attivo una carriera internazionale, che hanno eseguito un repertorio dal classico al jazz. Come ogni anno, la Società Roberto Fioravanti collabora con il “Concorso Inter- quello del pianista Pietro Soraci che ha eseguito musiche di W.A.Mozart e R.Schumann. Come ogni anno abbiamo dunque spaziato dal genere classico a quello jazz, dal repertorio classico al contemporaneo, con gruppi che si diversificano nelle loro formazioni. Il prossimo cartellone riserva ancora interessanti nazionale Pianistico G.Rospigliosi” di Lamporecchio (PT) offrendo un concerto al primo premio solista o miglior gruppo di cameristi. appuntamenti, sempre dedicati al nostro pubblico che da anni ci segue e che noi ringraziamo di cuore. Elisabetta Nutini Direzione Artistica Società dei concerti R.Fioravanti La “beffa” della “Cena” di Goffredo Gori Nel 130° anniversario della nascita di Sem Benelli (Prato 1877), c’è chi aveva pensato ad una Cena delle beffe da rappresentare al “Politeama Pratese” nella versione musicata da Umberto Giordano, opera lirica che nel 1925 avrebbe dovuto approdare al “Banchini”, per l’appunto nella stagione inaugurale del teatro. Non ci fu nel 1925, non ci sarà nemmeno nel 2007. Indovina chi viene a cena? Nessuno. Per il 2007, anno di Sem Benelli, era stata annunciata al “Politeama Pratese” una Cena delle beffe, più precisamente l’opera del 1924, la versione messa in musica dal foggiano Umberto Giordano, l’autore di Andrea Chenier che sulle poltrone del nostro teatro lasciò traccia della sua presenza nel 1941, ascoltando per l’appunto uno storico Chenier cantato da Gigli e la pratese Pacetti. Cominciate a tenere di conto di tutte le affinità pratesi contenute in questa (dis)avventura della “Cena-Giordano-Benelli” a Prato. Perché i quattrocento anni di melodramma (dalla Camerata Fiorentina del Conte Bardi di Vernio in poi) sono tenuti insieme da aneddoti e superstizioni, bizzarrie, nevrosi e cicliche vicissitudini che sono il cemento stesso del meraviglioso mondo del teatro musicale; e il caso pratese della Cena che non c’è, è un bel gioiello da incastonare nella memoria di quei quattro secoli. La programmata Cena-2007 a Prato non si farà. C’è un antefatto indispensabile. L’opera di Giordano era stata rappresentata con successo a “La Scala” di Milano il 20 dicembre del 1924 diretta da Toscanini e qualche mese dopo era prevista al “Banchini” di Prato per le ovvie simpatie artistiche con la città toscana (sostenute dalle raccomandazioni politiche del deputato fascista Benelli). La nuova opera era stata annunciata come “prima assoluta in Toscana” nel cartellone della stagione che per l’appunto inaugurò il “Banchini” nel 1925 con la famosa Tosca. La Cena delle beffe di Umberto Giordano e Sem Benelli sarebbe stata eccellente conclusione alla stagione del nuovo teatro pratese. La Cena è un thriller e la suspence in quel 1925, curiosamente non stava solo nella drammaturgia teatrale; ma nei risvolti reali che contornarono l’appuntamento teatrale mancato. Riportiamo testualmente dal fondamentale libro di Roberto Fioravanti sulla storia della musica a Prato. “Si diceva in giro che l’annunzio della Cena era solo un richiamo pretenzioso, basato sul nulla. Sul numero unico distribuito la sera dell’inaugurazione apparve, stampato in neretto, questo trafiletto intitolato “Per smentire alcune voci tendenziose / Gira per Prato una storiella poco simpatica e davvero puerile e cioè che la “Cena delle beffe”, l’opera nuova del maestro Giordano, non verrà eseguita nella nostra città e che è stata annunziata in cartellone soltanto per far colpo sul pubblico. Smentiamo nella maniera più assoluta tale insulsa storiella messa in giro non si sa da chi per scopi più o meno reconditi. “La cena delle beffe” che è stata concessa dalla Casa Sonzogno all’impresa Oscar Innocenti e C. previo l’efficace interessamento dell’On. Sem Benelli e del M.° Giordano, verrà eseguita. Rassicuriamo i pochi pessimisti increduli!” Ma i pessimisti increduli, purtroppo, ebbero ragione. La Cena non fu fatta”. Questa, la curiosa ma eloquente cronaca riportata da Roberto Fioravanti. Ricordare questo episodio era d’obbligo perché serve a sostenere una lucida ipotesi: che sulla Cena non grava una maledizione voluta dal Fato, bensì una responsabilità fatta di carne ed ossa di qualcuno, verso cui ora si rivolge l’indice della Storia (oggi con più ragione che nel 1925). Primo: perché quest’opera è un capolavoro che merita una meditata attenzione. Poi, perché questa volta il cammino per rappresentare la Cena mancata nel 1925- avviato con l’impegno della passione e tensione anche per una sorta di sanatoria storica – aveva portato ad un soffio dalla meta: aprire il sipario del “Politeama Pratese” sul tranquillo accordo di un La minore che dipinge di rosso il fondale di un tramonto sulle colline fiorentine; con la voce pacata di messer Tornaquinci basso che dice (la si legga pure come allusione ironica) “Disponete che tutto sia per bene/ Voglio che questa cena si rammenti”. Scena: bagliori crepuscolari della tragedia livida che precipiterà. Realtà: rintocco profetico e beffardo ad una Cena delle beffe di BenelliGiordano che ancora una volta fallisce l’apSegue a pag 2 Maggio 2007 ANNO XI Numero 20 LA NOTA Continuo di pag 1 puntamento con la storia di Prato. “Voglio che questa cena si rammenti” . Si rammenterà certamente questa Cena, ma come aborto culturale di una città alla quale è più comodo celebrare Malaparte (“il maledetto toscano” lo merita); e rimuove il “parente scomodo” Benelli, che per la sua enigmaticità e collocazione storica sarebbe più interessante e utile criticamente indagare. E non passando solo per l’intimismo tranquillizzante e autobiografico del Tignola; ma per l’estetica provocatoria (sbrigativamente etichettata come vieto dannunzianesimo) della Cena delle beffe, lavoro che travolge ogni schema drammaturgico e linguaggio teatrale per sbarcare in America prima di Pirandello, tradotta in tutte le lingue, con un successo mondiale mai registrato fino ad allora.(Una ragione artistica ci sarà pure). Biografie di nevrosi tipiche del nuovo secolo- la Cena vede la luce al “Teatro Argentina” di Roma nel 1909- si alimentano freudianamente di sensualità e sesso e sono (autobiograficamente) ignudate da Benelli sul palcoscenico; la morale non è rispettata: due cattivi e un innocente, che viene assassinato senza giustizia trionfante. Sul capolavoro di Benelli grava purtroppo la pessima eredità cinematografica del bianco e nero 1941 di Blasetti dove le gigionate sardegnol-fiorentine di Amedeo Nazzari-Neri che minaccia “peste” (con la e strizzata!) a “chi non beve con me”, non sono certo mitigate dalla sensualità cortigianesca della pratese Clara Calamai-Ginevra che per prima nella storia del cinema fa vedere le tette ignude, candide e impure. Né migliora la faccenda l’emaciata “faccetta nera” di Osvaldo Valenti-Giannetto. E’ sorprendente notare come le terzine di semiminime ascendenti (sol-mi bemolle) che identificano splendidamente la storica boutade dello smargiasso Neri baritono, “Chi non beve con me…” (discendenti fa-do: “Peste lo colga!”), siano ritmicamente modellate e cadenzate su una espressione da gorgia inconfondibilmente toscana; e come la fonica del rutilante attore Nazzari nel 1941 ricalchi la medesima accentazione del canto (che è del 1924). E di “toscanismi” ce ne sono nel testo: “Tu l’hai goduta… tu me l’hai goduta/ Preparati la bara Giannettaccio!”. Verosimiglianza storica di una lingua della tradizione che solo i toscani oggi continuano a far vivere nella loro parlata di tutti i giorni: gaglioffo, femminetta, stiava, stracco, diaccio, concio, chieggo, ingollare. Il cinico sarcasmo, l’ironia corrosiva, le grasse allusioni sessuali e doppi sensi, una lascivia che si lega sempre al travestimento erotico, ai mantelli e alle maschere: tutti ingredienti che Benelli eredita dal Boccaccio e dai novellieri toscani. Tutte cose che Giordano non si lascia scappare e valorizza con una sorta di adeguamento a ictus, con linee vocali spezzate, aiutato da quell’invenzione- tutta benelliana- della spezzatura metrica per un verso “drammatico e parlato” innestato sull’endecasillabo sciolto non rimato (in opposizione a quello “lirico e recitato” di D’Annunzio). Il verso spezzato di Benelli ben si confà alla frammentarietà espressiva della musica di Giordano: inconfondibile epifania del ‘900. Unica geniale eccezione a questo stile è la rarefatta notturna “Canzone di Maggio”, stornello in settenari in rima, intenzionalmente legata e consonante, che ha la precisa funzione drammaturgica di sospendere la tragedia finale che arriva precipitando su un accordo fragoroso e dissonante. Se la parola di D’Annunzio è grossa e altisonante, quella di Benelli è grassa e insinuante e cerca una simbiosi tra poesia e prosa prendendo le distanze dagli “arcaismi” dotti alla moda, di matrice dannunziana, che molti compositori del tempo invece sposano: Franchetti, Zandonai, Mascagni, Pizzetti, Montemezzi (Italo Montemezzi nel 1913 scrisse la musica per L’amore dei tre re dramma di successo di Benelli; e piace qui dare notizia che il prossimo novembre a New York si rappresenterà L’incantesimo un atto unico di Montemezzi su testo scritto appositamente per il teatro d’opera da Sem Benelli nel 1943). Nella storia del teatro musicale accade di rado che l’autore del dramma sia lo stesso che scrive le “parole” del libretto in simbiosi con chi scrive la “musica”. Benelli lavorò al libretto con passione e i 1826 endecassillabi del testo si condensarono in 672 per il melodramma. L’opera-operazione di Giordano, cioè la traduzione in musica di questa tragedia, conquista soprattutto per il ritmo conciso di declamati che esaltano la parola innestata su cellule musicali che si intrecciano senza soluzione di continuità in uno stato di allucinata irrealtà. Il colore dominante è il giallo e la tecnica compositiva di Giordano guarda alla decima arte, la nascente arte del cinema (“Le esigente cinematografiche vanno applicate all’opera lirica”): tutto accade a vista in una sintesi vertiginosa inedita per il teatro lirico, col supporto di una scrittura strumentale nuova. Per cui si potrebbe dire, mettendo a confronto la formula del teatro recitato con quella della forma lirica, che fuori posto sarebbero piuttosto gli attori di prosa dell’epoca che scaraventavano in platea le loro logorree; mentre chi interpreta il senso autentico e la novità del dramma benelliano risultano essere i cantanti, grazie alla precisa definizione musicale di Giordano. In una parola: la Cena musicale cantata, ha forza inedita di sintesi ed è l’approdo teatrale più alto e convincente. Benelli e Giordano, il drammaturgo e il musicista, ciascuno per proprio conto, hanno entrambi due mete storiche da oltrepassare. L’uscita dal realismo-naturalismo-positivismo letterario non lasciandosi sedurre però dall’estetismo decadente, verboso e polito dell’ “Imaginifico”. Benelli cerca e trova quel linguagg io nuovo sul quale ironizzarono senza pietà Papini (“Benelli, ciabatta smessa di D’Annunzio!”) e D’Amico: “Se era endecasillabo chi non beve con me, peste lo colga era un endecasillabo anche una granita di caffè con panna”. (Più sobria sarà la critica di Antonio Gramsci). Giordano compositore deve uscire dalla esagitazione del verismo a squarciagola e tradurre i gesti scenici in segni vocali: l’evolversi della musica verso il senso visivo e dare anima sonora al gesto. L’orchestra mai è stata più ricca di suggestioni timbriche, ora deformanti (futurismo), ora allucinatorie (surrealismo): le minacce incombenti degli ottoni e l’ironia lasciva e grottesca degli strumentini. Un gioco sonoro raffinato che legge lega e s’adegua ai tumultuosi accadimenti scenici. Siamo oltre l’estetica sanguinolenta del coltello verista. Chiamiamo a testimoniare il maestro Bruno Bartoletti, cui si deve la rinascita di lavori teatrali del ‘900 sconsideratamente dimenticati. In una intervista rilasciata durante una prova con la nostra “Camerata” al “Politeama”, ci dice tra l’altro della modernità della Cena, del suo entusiasmo per quest’opera (che ha diretto a Zurigo con la regia della Cavani) in polemica con la colpevole e stupida cecità di certa critica schizzinosa. Ma neppure l’autorevole testimonianza del grande maestro toscano è bastata ad aggregare consensi ed energie affinché questa Cena finalmente si facesse nella città di Benelli e nel suo anno celebrativo. In verità l’interesse era ristretto al brodo di pochi apppassionati che un anno fa si sono costituiti addirittura in un Comitato di volontari che sotto lo scudo della beneficienza ha titanicamente tentato di far vedere la luce all’opera fatidica sul palcoscenico di quel “Politeama” dove doveva rappresentarsi nel 1925. Ma contro i corsi e ricorsi della Storia, la pur ammirevole volontaristica “armata Brancaleone” 2007 non ce la fa. Eppure- ed il particolare è di somma importanza- i maledetti soldi che sempre mancano, questa volta sembra non fossero il problema. Poiché questa nota racconta di un accadimento mancato attribuendogli il connotato di una “bef- fa storica”, di una disillusione amara destinata a lasciar traccia, bisogna che contemporaneamente venga fornita a chi legge la prova fedele del grado di tangibilità dell’impresa e la possibilità di esito favorevole (per dimostrare le responsabilità e l’assurdità della conclusione). L’ avventura non era un sogno. Perché il direttore e l’orchestra erano già stati scelti e scritturati. Perché gli spartiti della “Sonzogno” erano già noleggiati e alloggiati sui leggii. Perché si sono svolte ben due selezioni delle voci con conseguente formazione addirittura di doppio cast (ventidue cantanti). Perché l’idea registica era già disegnata così come la scenografia (che si proponeva di rappresentare sulle tavole del “Politeama” segni d’arte e d’architettura di Prato città, con un abbraccio ideale con il “Lippi restaurato” in Duomo). Perché si erano già avviate intese per un gemellaggio culturale con l’Amministrazione Provinciale di Foggia, città natale di Giordano. Perché la data di prove e spettacolo erano fissati: il 10 e 13 maggio 2007, appuntamento diffuso e promosso e che ha fatto prenotare i biglietti aerei ad alcuni appassionati americani arrivati poi davvero in Italia …senza Cena. Ma il maggior peso di concretezza all’avventura storica lo marcava l’adesione appassionata e convinta del protagonista Lando Bartolini, tenore internazionale che l’arduo personaggio di Giannetto Malespini aveva per l’appunto tenuto a battesimo a New York. Pratese Benelli, pratese Bartolini che avrebbe finalmente cantato per la prima volta un’opera per intero nella sua città. A confermare l’idea che l’impresa-Cena, per riuscire, avrebbe dovuto avere il marchio “made in Prato”, cioè fatta con la passione e con forze locali (alcune d’eccellenza) ecco la presenza anche del poggese Giorgio Gatti - anch’egli tra i poco “profeta in patria”- nello sdoppiamento sorprendentemente antitetico del composto Tornaquinci e del comico Dottore. A questo punto chi legge si chiederà come il giallo pratese si scioglie. Non si scioglie, così come fu nel 1925 con quella Cena annunciata e non consumata. Chi scrive non può dire altro perché parte in causa, in conflitto col fatto di essere stato fino a un certo punto, il direttore artistico incaricato di pilotare il viaggio. Fino a un certo punto. Posso solo dire con una parafrasi d’intonazione benelliana che qualche Giannetto ha creduto che la puledra Ginevra (l’opera di Giordano) potesse essere cavalcata da un qualsiasi Neri che calzasse stivali e speroni. Ma poiché la cavalcatura era imprevedibilmente “a pelo”, “il gioco della vita con la morte ha strozzato disperatamente” chi si affaccendava ad apparecchiare la tavola di una Cena tutta pratese, colpevolmente andata a male. Restano “le beffe”. HANNO SUONATO PER NOI Appuntamento con la liuteria a Brescia: dal 9 giugno al 8 luglio nelle sale di Palazzo Martinengo viene allestita la mostra Internazionale “Gio: Paolo Maggini, Secoli di dettagli” dedicata al grande liutaio bresciano del seicento. La Mostra ospita in esposizione i capolavori provenienti dalle più importanti collezioni private. Ospiti i musicisti che hanno scelto questi strumenti: in primis Danilo Rossi, testimonial della mostra ed attuale proprietario della viola Maggini appar- tenuta al grande violista Dino Asciolla. Andrea Lucchesini, Benedetto Lupo. Si è aperta il 14 aprile la 44° edizione del Festival pianistico internazionale “Arturo Benedetti Miche-langeli” di Brescia e Bergamo, fondato e diretto dal M.° Agostino Orizio. L’apertura del cartellone è riservata ai Wiener Philarmoniker. Si è inaugurato il 4 novembre scorso la nuova Stagione Concertistica del Teatro Ponchielli di Cremona. Sette i grandi pianisti sul cartellone tra i quali Bruno Canino e Pietro De Maria. Ospiti grandi pianisti tra i quali Alexander Lonquich, al pianista polacco Krystian Zimerman. Tra le grandi star mondiali erano presenti Alexander Lonquich, Andrea Bacchetti nella foto A.Bacchetti con il M.° Luciano Berio e Bruno Canino. Il 28 settembre scorso si è aperta la nuova Stagione delle “Serate Musicali” nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano. L’anteprima è stata affidata Pubblichiamo il saluto del Dott. Michele Manzotti che dopo quasi 10 anni di Direzione de LA NOTA lascia il giornale. Traspare dal suo scritto un pensiero che il Consiglio Direttivo della Associazione non condivide e che lasciamo alla interpretazione del lettore per trarre le considerazioni più saggie avendo conosciuto lo spirito e l’animo di tutti noi operatori musicali della “Fioravanti”. Con Roberto Becheri ed Enrico Belluomini avevamo fondato (o meglio rifondato) la Società dei concerti nel 1988. Nel 1997 fu deciso di far nascere l’esperienza de La Nota, periodico del quale sono diventato dal primo numero direttore responsabile. Adesso, dopo 19 anni, si chiude il mio rapporto con la Fioravanti. Sulle ragioni non mi esprimo. Le vite professionali sono fatte di cicli e probabilmente questo è giunto al termine. Però qualche elemento di riflessione è giusto porlo ai soci e a tutti coloro, pratesi e non, che hanno assistito a un concerto o che conoscono in qualche modo l’attività della società. La prima stagione ebbe un grande consenso di pubblico, che nel caso della Fioravanti vuol dire adesione alla società. Le tessere, nel corso degli anni, sono andate diminuendo. Nonostante il lavoro appassionato dello staff e della direzione artistica, tanti fattori possono essere evocati. Dalla concorrenza di istituzioni musicali (anche se a Prato i rapporti con le altre realtà sono ottimi), al fatto che ci sono meno risorse in giro, a un diminuito fascino (tutto da verificare) della classica. Inoltre la Fioravanti ha sempre tentato di non dipendere in toto da contributi esterni (specie quelli pubblici che oggi sono sempre meno sicuri). Con tutto questo, la Società riuscirà anche il prossimo anno ad allestire una stagione. Quindi chiedetevi cosa può fare il pubblico di Prato e comunque cosa possono fare tutti gli appassionati per la Fioravanti e per la sua, ritengo insostituibile, presenza nel panorama musicale toscano. Rovesciando però il ragionamento, chiediamoci cosa deve fare la Fioravanti per il pubblico. La risposta è molto semplice, creare interesse proponendo spunti nuovi e allargando gli orizzonti, stimolando la curiosità di chi ascolta, con un lavoro incrociato di programmazione e promozione. E magari anche produzione per mettere un marchio su progetti importanti. Si può anche restare tra le quattro mura del conservatorio di San Niccolò facendo un buon lavoro. Ma su questo lascio il giudizio a tutti voi. Michele Manzotti 2