IL MESSAGGERO SARDO 32 OTTOBRE 2002 Oristano, monumento a Eleonora d’Arborea, opera dello scultore fiorentino Ulisse Cambi. Festa grande per l’inaugurazione, nel 1881, bande musicali, discorsi e inni: «eseguito da 35 studenti vestiti in elegantissimo costume sardo, quello appositamente scritto dalla forbita penna dell’avv. Fara Musio e musicato dall’egregio maestro E. Lario». E poiché l’uomo mangia, pranzo di gala con 142 coperti, ricco il menu, a cura del ristorante Scala di Ferro di Cagliari: «Consumè alla tapioca. Granelli di montone e zucchette. Aragosta con la maionese. Filetto di bue alla Madera con purè. Vulvas di piccioni. Lumbo di vitella d’Oristano. Asparagi alla graten. Ciliegie allo spirito. Poncio alla romana. Gelati. Gatòs e dolci assortiti, Frutta e formaggio. Vini diversi e liquori». Sul monumento sono stati scritti diversi libri e molti articoli. Sorse grazie «a iniziativa e impulso di diversi comitati, sottocomitati e patronati», a partire dal 1862. Da Oristano a Cagliari, da Sassari a Iglesias e Bosa, da Venezia a Trieste «fu tutta una gara per raccogliere fondi ed elargire di più». La poetessa lodigiana Carlotta Ferrari pubblicò a Torino (Tipografia Teatrale B. Sour, 1870), il dramma lirico in quattro atti Eleonora d ‘Arborea, «da rappresentarsi al teatro lirico di Cagliari l’autunno del 1870», come si legge nel frontespizio. Ma non venne rappresentato. Al Teatro Civico di Cagliari, nel Carnevale del 1869 - il 6 febbraio - andò in scena in prima assoluta il melodramma in tre atti Eleonora d’Arborea alla battaglia di Sanluri, libretto di Gavino Nino, musica di Enrico Gabriele Costa. Il libretto fu stampato dalla Tipografia del Corriere di Sardegna, a Cagliari, nel 1868, «a beneficio del monumento a Eleonora giudicessa d’Arborea, ed era d’esclusiva proprietà del comitato all’uopo costituito». Quattro recite. L’opera fu accolta «pare non troppo fortunatamente», secondo Guido Giacomelli (1896). Fra gli interpreti, il tenore debuttante Angelo Masini. Uno dei migliori tenori di grazia del tempo, bella voce morbida e perfetta tecnica di emissione. «Gli si attribuiscono - si legge nella Garzantina Musica - sette variazioni per concludere La donna è mobile». Erano altri tempi, dominava il divismo dei cantanti, «che troppo spesso si allontanavano dalla lettera e dallo spirito delle partiture per ragioni esclusivamente virtuosistiche». Per chi naviga in Internet, il tenore è presente anche in un sito australiano. Ben sei furono le opere che Angelo Masini cantò al Civico. Compresa quella del Costa: due di Giuseppe Verdi (La Traviata ed Ernani), due di Errico Petrella (La contessa d’Amalfi e Morosina) e una di Giuseppe Apolloni (L’Ebreo). Una leggenda urbana narra del tenore fischiato al suo debutto: colto dal panico, avrebbe cantato male. Chiese scusa al pubblico, con una lettera affissa nella bacheca del teatro, e fu un trionfo. Le pubblicazioni oristanesi - libri e opuscoli sulla raccolta di fondi per il monumento «a colei che CULTURA I luoghi comuni della religiosità popolare della Sardegna ELEONORA D'ARBOREA STORIA MINORE DEL MONUMENTO DI ORISTANO di Adriano Vargiu dal 1383 al 1404 fu l’anima della Sardegna» - riportano «grande successo». L’opera - grazie al Masini - è citata nei testi di storia della musica, ma con un contorno di inesattezze. A cominciare dal musicista: non Enrico Costa confuso con l’omonimo scrittore, narratore ecc. sassarese (1841- 1909), ma Enrico Gabriele Costa. Perché nel libretto figura con un solo nome, Enrico? Il libretto fu stampato a spese del comitato pro monumento, potrebbe essere stata una dimenticanza o una scelta. A prescindere: nei testi di storiografia musicale - quella minore, dell’estrema periferia - figura con i nomi di Enrico Gabriele. Non sardo, ma napoletano: nella città natale studiò composizione e arrivò a Oristano in cerca di gloria, finendo a insegnare musica alle figlie dei benestanti. Il librettista Gavino Nino: nativo di Bosa, non avv., ma sacerdote, padre scolopio, professore universitario, deputato al Parlamento Subalpino, autore di «opere teatrali dalle roboanti pagine», nel giudizio di Francesco Alziator (1954). Fondò - assieme a Salvator Angelo De Castro - e diresse il giornale sardo La Meteora, quindicinale di scienze, lettere, arti e varietà. Primo numero il 14 gennaio 1843, ultimo il 14 dicembre 1845: cessò le pubblicazioni costretto dalla regia censura. Storico, strenuo difensore delle Carte d’Arborea, «al punto da essere ritenuto, dagli avversari, uno dei falsari». Le Carte d’Arborea: un insieme di abilissimi falsi che cercavano di accreditare l’immagine d’una Sardegna già civilissima - e in maniera autonoma, originale - negli anni tra il VI e il X sec. Sono la più avventurosa espressione d’un amore per la Sardegna, cui l’anonimo autore delle carte voleva offrire una patente di nobiltà che l’isola madre, egli sentiva, meritava. Un altro suo dramma di cinque atti in versi, Ugone d’Arborea, ampolloso e farraginoso, «ricucito - secondo Francesco Masala (1993) - sui modelli delle tragedie alfieriane», fu stampato nel 1881 a Cagliari dalla Tipografia Felice Muscas, in occasione dell’inaugurazione del monumento oristanese. Personaggi e interpreti della prima dell’Eleonora d’Arborea alla battaglia di Sanluri (nel libretto non sono indicate le voci): Eleonora, giudicessa d’Arborea, Clotilde Rosasvalle; Tomaso Bruch, gentiluomo inglese, Angelo Masini; Michele Gallo, ufficiale di campo, Augusto Piferi. Sconosciuti gli interpreti di Corelio Branca, altro ufficiale di campo e di Elena, damigella d’Eleonora. Coro d’uomini. Coro di donne. Popolo e seguito di guerrieri. La scena, durante l’atto primo, ha luogo nel campo militare degli Arborensi presso il Castello di Sanluri, durante l’atto secondo e terzo nella città d’Oristano. Scena IV, Eleonora a Bruch: «Ah! tu non sai - Qual sia tremendo immenso nel cuor mio Mortale affanno! - E che sperar di lieti - Mi resta ormai se pria - Al suol prostrato non abbia io l’orgoglio - Di chi ci opprime, e vinto - Le antiche, infami sempre, - Arti ond’ei volle questa - Terra contaminar che lui straniero Signore aborre? E quali - E quante ai miei non fece ingiurie e danni? - Segno ne fu sì spesso il padre mio, - L’invitto Mariano, che tornare - Sua gente in piena libertà s’accinse. - Per mano or dei suoi vili assassini - Cadde il misero Ugone, il fratel mio - Il fratel mio che Ascanio egli parea...». Della musica, niente si conosce. Ipotesi meglio non farne. Per il monumento a Eleonora andava bene tutto. Nella storia di Sardegna è un succedersi di lotte per la libertà e l’indipendenza. Tutti i popoli più potenti che nel corso della storia si avvicendarono nel dominio dell’Europa, tentarono la conquista della Sardegna. «In ogni tempo - così Giovanni Lilliu (1971), padre della civiltà nuragica - ha avuto uno strano marchio storico: quello di essere stata sempre dominata (in qualche modo ancora oggi), ma di avere sempre resistito. Un’isola sulla quale è calata per i secoli la mano oppressiva del colonizzatore, a cui ha opposto sistematicamente il graffio della resistenza. Perciò i sardi hanno avuto l’aggressione d’integrazioni d’ogni specie, ma nonostante ciò sono riusciti a conservarsi sempre se stessi. Nella confusione etnica e culturale che li ha inondati per millenni, sono riemersi costantemente nella fedeltà alle origini autentiche e pure». In altre parole: abbiamo un nostro marchio, conserviamo- lo. Smettiamola di dare alle nostre tradizioni origini di questo o di quel popolo. Diversamente - per dirla con lo scrittore ecc. Enrico Costa (1897) - «che qualcuno chiarisca d’onde vennero e qual sia la vera patria delle prime formiche, delle prime lucertole e dei primi mufloni arrivati nell’isola». A Pasqua, tornano tutti i luoghi comuni della religiosità popolare riferita agli spagnoli. Smettiamola. Nel nostro viaggiare, abbiamo trovato usanze simili alle nostre in regioni dove gli spagnoli non sono mai passati. Nella chiesa di San Michele Arcangelo, a Bevagna, in Umbria, la domenica di Pasqua, al Gloria, quattro confratelli corrono lungo la navata centrale portando sulle spalle la statua del Cristo risorto. Nella Collegiata di Castiglion Fiorentino, in Toscana, la notte del Sabato Santo, la Compagnia di Gesù celebra la Risurrezione con la Volata, portando di corsa fino all’altare il Cristo risorto. Esattamente come in Sardegna: a Cagliari, nella chiesa di San Giacomo, al Gloria della veglia pasquale, otto confratelli dell’Arciconfratemita del SS. Crocifisso percorrono la navata centrale con il Cristo risorto. A Sestu, nella parrocchiale, sono le donne che portano la statua, correndo, dall’ingresso della chiesa all’altare. Venerdì Santo a San Marco in Lamis, nel versante occidentale del Gargano: gli altari della reposizione (non deposizione!), popolarmente detti sepolcri, sono simili a quelli allestiti in Sardegna. A San Marco in Lamis vengono chiamati sabbuleche (sepolcri), a Cagliari monumentus (monumenti funebri). Caratteristica dei sepolcri sardi sono is nenniris: steli di cereali, soprattutto grano, pallidi ed esili perché germogliati al buio, legati con nastri rossi e dorati, impreziositi con anemoni e botton d’oro o fiorranci (caraganzu). Per via della funzione clorofilliana, nella religiosità popolare simboleggiano la risurrezione. Dal buio della morte alla luce della vita: il pallore che scompare con la luce. Nenniri - o nenneru, a seconda del luogo - per il glottologo Max Leopold Wagner (1921), è parola preromana. Is nenniris sono un avanzo dei giardini di Adone, simboli della vegetazione. Costituiscono un esempio di sopravvivenza e di adattamento del culto pagano a nuove forme di religiosità. Sono presenti anche in Calabria (samburchi, sepolcri) e in Sicilia (lauru, grano seminato). A Sulmona, in Abruzzo, nelle processioni pomeridiane e serali del venerdì e sabato santi, l’Addolorata segue il Figlio morto: come nelle città e nei paesi della Sardegna. E cosa dire de S’Incontru, dell’Incontro, quando la Madonna non più addolorata, levati i segni del lutto, la domenica di Pasqua incontra il Figlio risorto? A Sulmona l’incontro è detto della Madonna che scappa, perché la Madre alla vista del Figlio scappa, gli corre incontro, lasciando cadere i segni del lutto. A Montedoro, in Sicilia, l’Incontro è Lu ‘ncuntru. E si potrebbe continuare.