Settimana N° 72 (29 novembre - 5 dicembre 2010) QUATTRO PASSI SULLE TRACCE DEL VENTO Scritto da Lou Del Bello Non è la giornata migliore, per addentrarsi nei boschi e scalare i pendii di Monte dei Cucchi, nel Comune di San Benedetto Val di Sambro. C'è nebbia, a tratti una pioggerella sottile che gela le dita. Eppure, arrancando dietro la mia guida, mi sento fortunata perché tra un anno o due questi alberi non esisteranno più. Al loro posto, un mega impianto eolico, delicatamente promosso come “parco”, composto da 24 pale per oltre 20 megawatt complessivi di potenza, attualmente, ma non per molto, il più grande del nord Italia. Siamo a oltre 1100 metri di altezza, e Alberto Cuppini, membro del Comitato Monte dei Cucchi e mio accompagnatore, assicura che nelle belle giornate il panorama è davvero suggestivo. Nonostante le nuvole che avvolgono il crinale, aguzzando la vista si scorge l'impianto di Monte Galletto, primo esperimento realizzato nel 1999 che conta dieci torri monopala da 350kw l'una. Definito finanche dalla Provincia un fallimento, in quanto “inefficiente e rumoroso”, l'impianto ha comunque spianato la strada a una serie di progetti sempre più imponenti, di cui quello di Monte dei Cucchi non è l'ultimo né il più ambizioso. É infatti in corso di progettazione un “parco” nel vicino comune di Monghidoro, sempre in provincia di Bologna, della potenza complessiva di 36 megawatt. Le principali critiche alla tecnologia eolica applicata ai nostri monti riguardano da un lato il paesaggio e l'ecosistema, dall'altro l'efficienza. “A Monte Galletto l'anno scorso le pale hanno funzionato in modo utile per sole 848 ore su 8760 complessive. È evidente – spiega Cuppini - che una resa del genere è tanto bassa da non giustificare investimenti economici di grande portata, come quelli necessari per installare le torri eoliche”. Ma allora dove sta il guadagno? “La parola magica è 'certificato verde'. Con questi incentivi statali, tra i più alti d'Europa, il mercato è totalmente falsato e investire sul vento conviene sempre, anche quando gli impianti rendono pochissimo”. Mentre arranchiamo nel fango, stretti nelle giacche a vento, Alberto mi mostra grazie a un dispositivo satellitare la posizione esatta delle torri che verranno: molte sorgeranno dove ora vi sono boschi fittissimi di alberi pregiati, come conifere o faggi. Le conifere, mi fa notare, sono specie alloctone, piantate all'inizio degli anni Cinquanta dopo la gigantesca frana che nel 1951 ha creato il lago di Castel dell'Alpi. Da qui possiamo vederlo, grande specchio d'acqua circondato da alberi, che non porta memoria del cataclisma che lo ha generato. I sempreverdi che ora danno un tocco di colore al bruno della montagna autunnale dovevano servire a contrastare le frane, tipiche di questa zona geologicamente instabile. Durante il nostro giro ne incontriamo diverse, alcune delle quali hanno bloccato le strade ormai da mesi. Disboscare completamente la montagna per realizzare le infrastrutture necessarie alla costruzione dell'impianto (grandi strade per il trasporto dei materiali, piazzole per i lavori) comporterà quindi un rischio idrogeologico concreto e grave, mettendo in pericolo anche la sicurezza dei centri abitati. E allora, di nuovo, dove sta il guadagno? Perché i sindaci acconsentono di buon grado ad ospitare impianti non solo inefficienti ma addirittura pericolosi? Qui entrano in gioco i cosiddetti “sviluppatori”. Questa figura intermediaria si occupa di preparare il terreno per le grandi aziende dell'eolico: individua i siti compatibili, compra la disponibilità dei sindaci con le royalties concesse per ogni torre installata e poi passa il pacchetto completo all'azienda di turno, che non deve far altro che presentare il progetto. Progetto che con buone probabilità verrà approvato dalla VIA (valutazione di impatto ambientale), poiché prima di essere presentato è sottoposto ad uno studio di impatto ambientale per prevenire ogni possibile obiezione. Nonostante questo, il progetto presentato dall'AGSM di Verona (azienda che ha costruito anche l'impianto di Casoni di Romagna, altro colosso del vento nel Nord Italia) è stato bloccato in sede di VIA con la richiesta di ben 31 integrazioni. In altre, parole, va rivisto quasi per intero. Normalmente un progetto tanto inadeguato sarebbe stato respinto. Il fatto che non lo sia stato, naturalmente, va a vantaggio dell'azienda, che nel periodo finestra in cui dovrà presentare le integrazioni sarà protetta dalla concorrenza che potrebbe eventualmente fare proposte alternative. Il che non è poco, considerato che il progetto è fermo da più di un anno. La storia d'amore tra AGSM e Provincia di Bologna non conosce ostacoli, tanto che i nostri amministratori scelgono di collaborare con l'azienda nonostante questa operi in posizione irregolare: nel gennaio di quest'anno è stata multata dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (antitrust) in quanto posseduta al 100% dal comune di Verona e dunque legittimata ad operare solo in ambito territoriale. Per uscire dai suoi confini in modo legale, l'AGSM avrebbe dovuto operare una scissione creando una società gemella di cui non possedesse la maggioranza assoluta. Nonostante questo non sia avvenuto, la Provincia continua ad agire in suo favore giocando l'insolito ruolo di sviluppatore, e facilitando l'azienda veneta al punto di costituirsi in giudizio contro il Comune di San Benedetto Val di Sambro che si è opposto all'installazione degli areogeneratori. Che ci sia qualcosa di strano, nella politica della Provincia di Bologna in ambito di energie eoliche, non lo dice solo questa storia, o l'ambiente minacciato. Lo dicono anche i numeri dell'ANEV, l'Associazione Nazionale Energia del Vento. Il suo documento sulle potenzialità dell'eolico in Italia stima in 16.200 megawatt di potenza installabile l'obiettivo da raggiungere entro il 2020. L'ANEV sottolinea anche come questi numeri siano frutto di un'attenta selezione rispetto ai siti non idonei perché di alto valore ambientale. In Emilia-Romagna, le stime sono di 200 megawatt installabili, sempre al 2020. Il problema è che nella sola provincia bolognese i progetti già realizzati o in via di presentazione coprono una cifra quasi pari a quella indicata per l'intera regione. E siamo solo nel 2010. É dunque l'ANEV che fornisce stime inadeguate, oppure la Provincia che favorisce lo sfruttamento selvaggio dei nostri territori? Interrogativi che gireremo agli amministratori interessati nelle prossime settimane. LA MINACCIA DEI GIRASOLI ELETTRONICI Scritto da Alessandro Kostis Nella nostra regione non accenna ad esaurirsi il dibattito sulle energie rinnovabili: si progettano centrali eoliche in cima ai monti, si costruiscono grandi impianti a biomasse nelle campagne, vasti campi di pannelli fotovoltaici sorgono laddove un tempo c'erano coltivazioni agricole. Ma la rincorsa verso lo sviluppo di queste energie è sempre un bene? Evidentemente no, come dimostra in maniera incontrovertibile il progetto di Monte de' Cucchi nel bolognese, ma anche il proliferare di quei campi di “girasoli elettronici” (citando il Ministro alle politiche agricole Giancarlo Galan) che tanti grattacapi stanno dando alle nostre campagne. Quello del fotovoltaico a terra più che una risorsa, assume sempre di più la connotazione di un affare speculativo. Vista la situazione di crisi in cui versa l'agricoltura italiana, in molti hanno deciso di vendere i propri terreni o di convertirli in centrali energetiche, le quali, nonostante si tratti di energia pulita, arrecano una serie di problemi su cui ancora non c'è la giusta consapevolezza. Innanzitutto l'Italia ad oggi importa il 60% di materie prime agricole. La crescente conversione di terreni fertili in veri e propri stabilimenti per la produzione energetica sta accrescendo questa percentuale. In secondo luogo, un terreno su cui vengano installati centinaia di pannelli fotovoltaici diventa impermeabile, e, di conseguenza, perde la propria fertilità. E se aggiungiamo il fatto che ci troviamo nella pianura più fertile d'Italia, possiamo iniziare a capire come questa tendenza sia ben più che preoccupante. Ma c'è di più. Come giustamente ricordato recentemente dal Professor Mauro Agnoletti durante il convegno S.O.S. Agricoltura di una settimana fa, sarebbe bene che l'Italia si chiedesse dove vuole andare, prima di intraprendere qualsivoglia direzione. Può un paese come il nostro diventare competitivo a livello globale nel settore energetico? Evidentemente no. L'Italia ha delle peculiarità che la rendono competitiva in altri settori: la cultura, i paesaggi, la storia. È proprio in questi elementi che il nostro paese può fare la differenza, non sull'energia. E quindi andare a rovinare il paesaggio con campi di girasoli elettronici non può essere la direzione giusta. Non ci si stupisca poi se l'Italia scivola al settimo posto tra le mete turistiche più visitate. Ma ecco la sorpresa: qualcuno, almeno a livello locale, sembra aver recepito il messaggio. La Regione Emilia-Romagna ha infatti appena presentato le linee guida per l'autorizzazione e l'installazione dei pannelli fotovoltaici, così come stabilito dal decreto ministeriale 10/09/2010 che fissa a gennaio 2011 la data limite entro cui le regioni possono legiferare in materia. La delibera individua le zone non idonee all'installazione, mettendo di fatto al sicuro le aree protette (come i parchi, le riserve naturali, gli ambienti limitrofi ai corsi fluviali, ecc.), e stabilisce le norme per la messa in opera dei pannelli nei terreni ad uso agricolo: non più del 10% della superficie coltivabile potrà essere occupata dagli impianti di produzione solare e questi non potranno superare la potenza nominale complessiva di 200 kw. Con buona pace dei parchi solari. Insomma, quella che fino ad oggi era una situazione di palese deregulation, in cui le autorizzazioni venivano concesse in totale assenza di regole e gli speculatori prosperavano, viene finalmente regolamentata dalla Regione. Il consumo dei suoli, nel caso la delibera venisse approvata, avrà un nemico in meno da oggi, e lo si capisce anche dalle accese proteste da parte Confindustia e dell'APER (associazione produttori energia da fonti rinnovabili). NATO UN BAMBINO, PIANTATO UN ALBERO Scritto da Antonella Pascale Il 21 novembre alle ore 12.00 in tutta Italia è stato piantato un albero, uno per ogni nuova nascita nella comunità che ha preso parte all'iniziativa. Il Ministero dell'Ambiente organizza ormai ogni anno la Giornata Nazionale dell'Albero, in collaborazione con le Regioni, l'ANCI, l'UNCEM e il Corpo Forestale dello Stato. L'iniziativa rientra nel disegno di legge "Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani" che ha istituzionalizzato la Giornata Nazionale dell’Albero da ripetersi il 21 novembre di ogni anno. La giornata prevede la piantumazione in contemporanea di un numero di alberi proporzionale ai nati nella fascia di appartenenza del singolo Comune sulla base della popolazione residente. Gli alberi sono forniti dal Ministero dell'Ambiente, dal Corpo Forestale dello Stato e dai vivai regionali. In Emilia Romagna hanno preso parte all'iniziativa i Comuni, le scuole e le Comunità Montane. Si contano 108 iniziative su tutto il territorio regionale. In Italia la Festa dell'Albero ha origine antiche, risale infatti al 1898 quando l'allora Ministro per la Pubblica Istruzione Guido Baccelli diede il via a questa tradizione che oggi, a distanza di 112 anni, continua con forza a rendere omaggio al signor Albero. La Giornata dell’Albero 2010 ha assunto quest’anno una valenza particolare. Il 2010 è stato infatti dichiarato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, l’anno internazionale della biodiversità. L’Italia è infatti il paese in Europa con il maggior numero di specie di piante con semi, data la natura prevalentemente collinare e montuosa del territorio che ha portato a una proliferazione di nicchie ecologiche, che fanno del nostro Paese un luogo del tutto particolare. E sottoposto d’altra parte a continue vessazioni: feroce urbanizzazione, disboscamento e comportamenti criminosi quali incendi dolosi, abusivismo edilizio, bracconaggio. L'idea di una giornata nazionale dedicata agli alberi parte quindi dall'importante ruolo che hanno come agenti che regolano la concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera (storico responsabile dell'effetto serra e del riscaldamento globale). Si tratta di una funzione vitale nella riduzione dell’inquinamento atmosferico: la luce del sole a contatto con la clorofilla delle foglie dà vita a un processo di purificazione dell’aria in grado si sottrarre l’anidride carbonica, il più pericoloso e dannoso gas serra, e produrre ossigeno. Inoltre le agguerrite pratiche di disboscamento, a cui ahinoi non seguono pratiche di rimboscamento, determinano inoltre nei territori piovosi e collinari processi di erosione, frane e smottamenti. Per non parlare del rischio idrogeologico, a cui sono sottoposte le zone vittime del disboscamento. Ma soprattutto gli alberi sono ciò che rende bello un territorio, un bel paesaggio, un bel posto. Ciò che contribuisce a far dell’Italia un Bel Paese. La Giornata Nazionale dell’Albero dovrebbe far da monito, da campanellino d’allarme per i cittadini e per le politiche da questi nominate. Tiziano Terzani in un'intervista disse "Vedi, noi pensiamo sempre che gli alberi sono cose che si possono tagliare, che si può far legna, allora a questo ho messo gli occhi. Sono occhi indiani, perché li mettono sulle pietre, perché se dio è dovunque, per renderlo visibile a una mente semplice bisogna che c'abbia degli occhi, che sia come un umano. Allora ho portato dall'India questi occhi e li ho messi a quest'albero, e li ho messi per mio nipote, così che gli potevo spiegare che quest'albero ha vita, ha gli occhi come noi, e non è che lo si può tagliare così impunemente, che lui ha una sua logica di essere qui, che tutto ha diritto a vivere, anche quest'albero, e se proprio un giorno andrà tagliato perché, cade sulla casa o qualcosa, allora bisognerà almeno parlargli, chiedergli scusa". FERRARA E ROVIGO CONTRO L'ARCHIVIAZIONE DEL PROCESSO ENI Scritto da Giuseppe Fiordalisi Le provincie di Ferrara e Rovigo assieme all’ente Parco del Delta del Po e all’azienda ravennate “Il voltone” accusano l’Eni di aver compiuto un disastro ambientale durante l’estrazione del metano in Adriatico. L'ENI e' accusata di tentata inondazione, disastro, danneggiamento e tentativo di danneggiamento di beni ambientali sottoposti a tutela (il Parco del Delta del Po). Tredici gli inquisiti fra cui l'amministratore delegato Vittorio Mincato e il suo predecessore Franco Bernabè. La difesa sostiene che queste pesanti accuse non sono sostenibili in quanto l’attività estrattiva non ha un impatto tale da poter accusare i responsabili dell’azienda di disastro ambientale. L'Eni possiede vari giacimenti di metano nel golfo di Venezia, nel Delta del Po e nei pressi di Chioggia. Nel lontano 1951 ci fu una impressionante alluvione che si abbatte' nel basso Veneto, il Polesine. Morirono 88 persone, e 200,000 furono gli sfollati. Nei successivi quindici anni si registrarono trentacinque casi di inondazioni lungo il Delta del Po, e il terreno si abbasso' di tre metri e mezzo. Gli esperti dell'epoca giunsero alla conclusione che questo abbassamento, la subsidenza, fosse dovuta ai vari pozzi di metano che puntellinavano la costa veneta dal 1937. Nel 1963 si decise allora per il bene del Veneto di smantellare tutti i pozzi. Si diede poi inizio a varie opere di bonifica. Fra il 1999 e il 2002 pero' l’ENI riuscì a strappare un decreto dall'allora ministro dell'industria, Enrico Letta, che autorizzo' la presenza di due pozzi in prossimità di Goro, in provincia di Ferrara. Nel maggio del 2004 la magistratura rodigina aveva ordinato il sequestro di due giacimenti Eni in territorio ravennate a causa di un presunto di un allarmante pericolo di subsidenza. Questo fenomeno secondo la Procura rodigina era stata incentivata a causa dell’attività estrattiva di idrocarburi e del progressivo svuotamento dei giacimenti sotterranei. Sin dalle prime indagini una miriade di associazioni ambientali hanno applaudito sin da subito all'operato della procura. La competenza, dopo vari ricorsi, era rimbalzata tra Rovigo e Adria per approdare a dicembre 2007 a Ravenna. Tuttavia, secondo la richiesta di archiviazione della Procura di Ravenna, “in nessuna parte del mondo si è verificato un caso di subsidenza pericoloso per la pubblica incolumità, la subsidenza causata dallo sfruttamento di idrocarburi in giacimenti profondi è fenomeno che ha misura limitata e tempi lunghissimi". Nel caso infine “del Delta del Po", non è dimostrabile alcuna alterazione di coste, argini, alvei. La richiesta di archiviazione da parte della procura della città romagnola secondo i legali delle parti offese che negli anni passati avevano chiesto un’integrazione d’indagine attraverso corpose memorie, sostengono che la richiesta d’archiviazione della Procura ravennate e’ troppo sbilanciata verso le perizie Eni, da qui la necessita’ d’individuare un altro consulente. La procura di Ravenna sta riflettendo se avvalorare più o meno questa ipotesi. GREEN LEAVES: “L'UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI” Scritto da Laura Simoni e Johnny Felice Nella traduzione italiana dall’originale francese sono solo 3.330 parole a comporre il libretto di cui vi parleremo questa settimana. A Jean Giono – l’autore – bastarono poco più di 20 mila battute per racchiudere un’opera che, a quasi sessant’anni dalla sua pubblicazione, ha il vigore trascinante del classico che racconta verità immutevoli. L’uomo che piantava gli alberi ha una trama talmente semplice da poter essere interamente descritta dal titolo, ma nel contempo possiede la forza efficace dell’allegoria, della parabola, del mito che rendono la narrazione tanto affascinante da poter esser tradotta in una miriade di lingue e da riscuotere un successo che dal 1953 prosegue fino ad oggi. La storia è quella di Elzéard Bouffier, un vecchio contadino della Provenza montana che, perduta la moglie ed il figlio “s’era ritirato nella solitudine dove trovava piacere a vivere lentamente, con le pecore e il cane”. Bouffier si trova ad abitare in una natura inospitale, selvaggia nella sua aridità, in cui l’acqua diviene un lusso per pochi e dove gli uomini, rispecchiandosi in essa, si abbruttiscono vivendo su di sé il dolore penetrante delle cose. Un giovane narratore – trasposizione diretta del nostro autore – ci informerà del primo incontro con Bouffier, avvenuto nel 1913 su di un altopoggio deserto e del rapporto che da subito si instaurerà con questo uomo eccezionale, che ha scelto di dedicare la sua vita a un’opera ambiziosa nel suo infinito altruismo. “Aveva pensato che quel paese sarebbe morto per mancanza d’alberi. Aggiunse che, non avendo altre occupazioni più importanti, s’era risolto a rimediare a quello stato di cose.” Al ritmo quindi di cento al giorno, Elzéard seleziona e pianta ghiande lungo il crinale della montagna spoglia, con una fermezza ed una naturalità che agli occhi del giovane osservatore parranno invidiabili. Persino le due guerre passeranno inosservate, senza bloccare né rallentare il lavoro del pastore: pian piano la natura torna a rigoglire laddove un clima inospitale l’aveva relegata al ruolo di comparsa; con i primi chilometri di foresta di querce, nei rigagnoli secchi da decenni ricompare l’acqua e con essa la vita ‘spontanea’. La crescita esponenziale di questo bosco sterminato appare agli occhi inconsapevoli degli abitanti del villaggio un dono divino, un piccolo miracolo della natura, tanto da esser posto sotto la tutela dello Stato. “Se si teneva a mente che era tutto scaturito dalle mani e dall’anima di quell’uomo, senza mezzi tecnici, si comprendeva come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre alla distruzione.” L’impresa di Bouffier non conoscerà soste né requie, sino alla sua morte. Se nel 1913 il nostro narratore si trovava dinnanzi a villaggi semi-abbandonati, trent’anni dopo le fattorie sono rigogliose, le messi abbondanti, la vita lieta e comoda. Per merito di un solo uomo, la natura è tornata ad offrire finalmente il lato migliore di sé felicemente ripagata da un'umanità armoniosa e pacifica. La storia narrataci da Giono, malgrado sia triste pensarlo, è frutto di pura invenzione: non è mai esistito nessun Elzéard Bouffier, non vi è mai stato alcun territorio riportato magicamente alla vita, come avviene nella nostra storia. Eppure quest’uomo che semplicemente piantava gli alberi ci si fissa nella memoria, imperturbabile, silenzioso, donandoci un sentimento di assoluta tranquillità e lasciandoci dimentichi delle angustie del mondo, almeno per qualche secondo. “Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse fisiche e morali, è bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole. Ma, se metto in conto quanto c’è voluto di costanza nella grandezza d’animo e d’accanimento nella generosità per ottenere questo risultato, l’anima mi si riempie d’un enorme rispetto per quel vecchio contadino senza cultura che ha saputo portare a buon fine un’opera degna di Dio.” (Le immagini che illustrano gli articoli sono prese da Flickr)