Mariano Berti P a e s e Im p re s a M e s tie r i e a z ie n d e d i ie r i e d i o g g i A mio padre lavoratore dipendente. In ricordo di tutte le persone che hanno contribuito allo sviluppo di Paese. EDITO DA COMUNE DI PAESE (TREVISO) ASSESSORATO ATTIVITÀ PRODUTTIVE APRILE 2008 © Diritti riservati all’autore Saluto del Sindaco Prefazione di …………………………………… Prologo La caduta dell’Impero Romano aveva generato in Europa la Società Organica. Un tipo di umanità immobile, normalmente statica, divisa in tre classi principali dalle quali non si poteva prescindere. I tre ordini che la caratterizzavano erano formati da Orantes, Bellatores, Laboratores. Era questo l’ordine precostituito al quale fino al tardo Medioevo nessuno poteva sottrarsi. 1 Al primo appartenevano i chiercuti, ossia gli esponenti ecclesiastici che avevano il maggior peso e credito, erano dei carismatici sotto l’ala della Chiesa. Al secondo appartenevano i guerrieri i quali, essendo portatori delle armi difensori del popolo, costituivano la classe dirigente con diritto di parola; in tardo Medioevo venivano considerati le “bocche utili”. Tutti gli altri erano inglobati nei laboratores, ossia erano i lavoratori, ma meglio sarebbe chiamarli servi degli altri due, essendo adibiti ai più umili servizi. Chi nasceva in questa condizione non aveva speranza di avanzare nella scala sociale. Certo questo “status” non era sentito come condizione umiliante giacché era concepito come scontato e inalterabile, a parte i pochi fortunati che venivano accolti tra gli Orantes, ma sia pure con una certa difficoltà. Era una società che si riferiva al modello di mondo fisico di allora, tolemaico e aristotelico che concepiva la terra immobile al centro dell’universo, contornata da tanti pianeti che le giravano intorno. Tutto ciò per far capire quanto sia difficile il cambiamento in una società che ha la sua mentalità consolidata da secoli. Il mutamento avviene sempre molto lentamente con il modificarsi delle percezioni, ossia quando comincia ad infiltrarsi l’idea che ciò che si ha acquisito possa essere modificato. Il tramonto della società organica coincise infatti con il cambiamento della visione geocentrica del mondo. Determinante fu la rivoluzione copernicana con la scoperta del movimento della terra e dei pianeti. Cambiava la prospettiva dell’universo e Galileo svelò il metodo per affermare questa verità, provando e riprovando, giacché non succede mai nulla improvvisamente nel mondo umano dato che per comprendere le cose occorre affrontarle, analizzarle, confrontarle. Accade così anche ai giorni nostri in cui assistiamo ad una rivoluzione negli assetti economici e politici, generata dalla globalizzazione e dal prepotente irrompere sulla scena mondiale di Cindia. * * * Avevo accolto con un po’ di scetticismo la proposta di dedicarmi ad un libro sul mondo imprenditoriale di Paese, poi ho capito che potevo attribuirgli un significato che va al di là del semplice aspetto economico, trattandosi in maggioranza di aziende a conduzione familiare. Ho scoperto così un mondo di “laboratores” che non guarda soltanto all’aspetto utilitaristico, ma che ha anche un cuore e un impegno sociale, ed ora mi sento fortunato di averlo potuto esplorare. Un cosmo fatto di imprenditoria familiare, di sacrifici e speranze, che si tramanda di generazione in generazione, per impegno, per orgoglio, per il gusto di mettersi in gioco. Ho scoperto la voglia di emergere e crescere, ma anche la sofferenza dei momenti difficili, congiunturali. Ho conosciuto gente di grande temperie, forgiata alla scuola della vita da prove incredibili, tale da non riuscire a staccarsi dalla propria creatura per concedersi un po’ di pace. C’è chi, in forma distorsiva, ha fatto del lavoro la propria ragione di vita: sua gioia e condanna. Le aziende - e a Paese ce ne sono molte che possono essere annoverate tra l’eccellenza nel proprio settore - si trovano a destreggiarsi loro malgrado tra montagne di pratiche burocratiche e leggi che non sempre ne agevolano il percorso, che rischiano talvolta di comprometterne la sopravvivenza, ma devono anche difendersi dalla concorrenza sleale, troppo a lungo tollerata da un sistema 2 eccessivamente permissivo e garantista con i fuorilegge e troppo esigente con chi invece contribuisce alla crescita nazionale. Molti di questi aspetti meriterebbero una più approfondita riflessione. Nonostante gli impetuosi venti contrari, molti imprenditori locali, soprattutto artigiani, hanno saputo affrontare le tempeste e vincerle in casa, senza bisogno di delocalizzare. Per molti di loro, ad esempio, la Cina e l’India non solo non fanno più paura, ma sono diventate uno stimolo per mettere in atto fantasia, ricerca e caparbietà, tali da farli uscire dal tunnel. Non si sono lasciati travolgere dalle sfide globali, sapendo al contrario trovare in se stessi le risorse e l’incentivo per andare oltre, concentrandosi sulla qualità e sulla creatività. Del resto, il mondo ha tante altre sfide all’orizzonte con le quali si dovrà confrontare. L’Occidente non può rimanere il solo a godersi le risorse globali e dovrà quindi condividerle – in modo pacifico, si spera – con popoli e nazioni che hanno un uguale diritto di esistenza e di progresso. Un altro aspetto mi porta a chiedermi a chi giovi la proliferazione delle aree produttive che ogni singolo comune adotta, artigianali o industriali che siano e se sia giusto che queste zone si trovino adiacenti agli insediamenti urbani. Ad esempio, che vantaggio può trarre un comune da una grossa industria che mette in crisi la viabilità e provoca il depauperamento delle risorse vitali o lo scempio del territorio - patrimonio comune ed inalienabile - in cambio di pochi posti di lavoro? Personalmente penso che per gli insediamenti produttivi si dovrebbero individuare grandi aree consorziali, a livello sovracomunale, collegate ad efficienti infrastrutture: autostrade, ferrovie, aeroporti, centrali energetiche, con strutturali risparmi economici, togliendo gran parte del traffico e soprattutto l’inquinamento ambientale e acustico ai villaggi residenziali, rendendoli più vivibili e salutari. Un ultimo aspetto riguarda la più grossa industria italiana: il turismo. Non c’è persona al mondo che non punti a visitare il nostro Paese, ma talvolta si dimostra una nazione con poco amore per se stessa. Non bastano il sole e il mare per fare turismo. Il paesaggio veneto, così variegato e complesso, sta scomparendo tra capannoni e poster pubblicitari, mentre le città, ma anche tanti centri minori, soffocano sotto una cappa di smog. Ci vorrebbe un grande sforzo mentale per cambiare e ripensare gli orientamenti, e ciò vale anche per Paese, ma può essere applicato seriamente soltanto con una politica forte e condivisa che metta al centro il bene comune. Ci sono ancora questa sensibilità e questa consapevolezza? In conclusione… Quale sarà il futuro di Paese e della sua imprenditoria? Sarà un avvenire sempre più specializzato e forte se saprà e potrà evolversi destinando risorse alla ricerca e all’inserimento dei giovani, ma pur sempre salvaguardando l’ambiente. In fondo Paese si trova racchiuso in quel Veneto che, se anche perde qualche colpo, è tuttora additato a modello di operosità e creatività, anche se probabilmente non gode della stessa stima in ambito culturale. Grazie quindi agli stacanovisti portabandiera del Made in Paese, ai quali viene dedicata questa vetrina, ma anche ai tanti che qui non appaiono. Confrontandolo con il sistema economico attuale, l’ordine costituito dell’antica Società Organica dovrebbe essere ora invertito, anche se rimangono delle sacche 3 di sfruttamento, ossia imprenditori che non riconoscono dignità al lavoro dipendente e diritto alla “giusta mercede” e investendo per la sicurezza delle maestranze. Il lavoro dovrebbe avere una propria moralità e non essere finalizzato soltanto al capitalismo. La fortuna di un’impresa non avviene mai per i meriti di una sola persona, sia pur essa il titolare, ma è il frutto del sacrificio e della passione di tanti lavoratori che compiono bene il proprio lavoro. Ciò dovrebbe essere tenuto sempre in considerazione. Infatti, molti imprenditori lo fanno quando affermano coscienziosamente che il miglior investimento aziendale è il personale. Infine, del libero mercato mondiale potranno trarre vantaggio le persone di tutti i continenti se la ricchezza sarà più equamente distribuita. Con un’incognita: le risorse della terra. Lo sviluppo dovrà essere sostenibile. Non c’è alternativa a ciò. “Tutte le nostre conquiste nel campo della conoscenza e del potere risulteranno fatali per noi se non le controlleremo attraverso un corrispondente progresso della nostra umanità” (Albert Schweitzer). È la grande sfida in cui il genere umano gioca il proprio futuro. L’Autore Un colpo di scena Il 15 Marzo 1996 un evento drammatico venne a scuotere la normalità quotidiana dei cittadini di Paese, proiettandoli improvvisamente in una realtà in cui forse non pensavano di vivere. La Butangas, con sede in Via Senatore Pellegrini, fu protagonista di un drammatico incidente di lavoro nel quale persero la vita due eroici dipendenti, Claudio Mardegan e Gottardo Parisotto, sacrificatisi per contenere i danni, così come fecero poi i Vigili del Fuoco di Treviso prontamente accorsi, alcuni dei quali rimasero segnati per sempre dal dramma. Quell’incidente, che avrebbe potuto avere conseguenze ben più terribili, sancì definitivamente il passaggio di Paese dalla civiltà contadina a quella artigianale e industriale. La gente si accorse improvvisamente di trovarsi a coesistere con realtà economico-produttive potenzialmente molto pericolose. L’Amministrazione Comunale individuò presto un’area per il loro trasferimento. Già nel passato c’erano stati dei contrattempi simili, quando la Marnati & Larizza, fabbrica di ordigni in Castagnole, era stata bombardata o aveva comunque subito degli incidenti di lavoro, ma di quei sinistri avvenimenti, con gli avvicendamenti generazionali, si era ormai affievolita la memoria. La civiltà contadina C’era una volta anche a Paese la civiltà contadina, con i suoi valori, le sue conquiste, le sue peculiarità, la cui sintesi è riscontrabile in parte nella attuale comunità. Solo in parte, appunto, perché, a partire dagli anni Sessanta, Paese ha avuto uno straordinario sviluppo urbano e produttivo, con conseguente irrefrenabile immigrazione da fuori, soprattutto dalla Città e da altri comuni. La gente sceglieva questo territorio perché si poneva all’avanguardia nei servizi, in 4 sostanza per la qualità della vita. In contrasto con tutto ciò, l’ambiente veniva depauperato della sua originaria fisionomia, vittima sacrificale di una crescita che ancor oggi risulta incontenibile. L’attuale tessuto sociale di Paese è dunque lo specchio di un miscuglio di cittadini provenienti da realtà diverse, anche da altre nazioni, tanto che si può ormai parlare di società multietnica e multiculturale. Che Paese abbia avuto un irripetibile sviluppo urbano lo testimoniano in parte anche i ventinove enormi buchi del territorio, serviti ad estrarre gli inerti per le costruzioni, con i quali si trova ora a coesistere, con tutte le problematiche che ne derivano, tali che la popolazione ha dovuto prendere posizione giacché vi confluivano anche materiali nocivi per la salute. Viene allora da chiedersi se sia stato sempre un vero e sostenibile sviluppo. L’escavazione non trova eguali in altri comuni, aggravata dalla mancanza di un ritorno di qualche genere se non per l’esigua occupazione. Certo non si può puntare il dito contro le ditte che hanno operato – esse cercano il materiale là dove esiste - ma piuttosto alla mancanza di regole certe e valutazioni d’impatto ecologico da parte degli Enti sovracomunali che nel passato hanno concesso lo sfruttamento del territorio. Un’attenzione dal punto di vista ambientale s’impone tuttavia ancor oggi, e più di ieri giacché esistono forze che sembrano avere una visione unilaterale, ossia la bramosia del profitto a qualsiasi costo. Il P.A.T. adottato dal Comune nel 2007 può incidere positivamente, salvo soverchianti leggi extracomunali. Che la società paesana trovi la sua radice nell’agricoltura è testimoniato pure dai simboli decorati nello stemma comunale: i covoni. Il lavoro agreste è quindi l’elemento fondativo della comunità, peculiarità rimasta immutata sino alla fine degli anni Sessanta: la maggioranza delle famiglie di Paese si era sostenuta grazie al campetto di terra e alla mucca nella stalla oltre ai pochi ruspanti che razzolavano nell’aia. Era questo il patrimonio dal quale dipendeva il sostentamento familiare e quando si ammalava una bestia o un cristiano si doveva spesso scegliere chi dei due salvare, come successe in casa dei Boldrin (“Bravi”), giunti a Padernello nel 1897 provenendo da Fanzolo di Vedelago, con un paio di buoi, una vacca e una cavalla nera. Nel 1931, uno dei Boldrin di San Gottardo si ammalò e la famiglia dovette privarsi di due buoi per ricoverarlo all'ospedale di Padova, dato che non esistevano ancora le mutue. Per la circostanza fu affidato a S. Antonio e vestito con il saio francescano. Tuttavia, tornato a casa, dopo soli sei mesi si aggravò e lasciò questo mondo. In famiglia si era discusso a lungo se fosse il caso di privarsi di un simile patrimonio per curare il congiunto e non fu una decisione presa a cuor leggero. In altre circostanze, come ampiamente descritto nei volumi “Famiglie d’altri tempi” dello stesso autore, accadde che fosse ammalata una bestia e contemporanemante un anziano, fu scelto di curare l’animale dal quale dipendeva la sopravvivenza dell’intero nucleo familiare. Durante la guerra e fino agli anni Sessanta c’era ancora tanta miseria e fame. Il 26 novembre 1959, il Gazzettino di Treviso riportava una notizia di furti di galline, titolando “Razzia nei pollai di Paese – Una quarantina di galline rubate in una sola notte”, seguiva il commento “Le indagini dei Carabinieri per scoprire i lestofanti”. Farà certamente sorridere ora rileggere questo testo, che fa però ben comprendere quali fossero le condizioni economiche cinquant’anni fa. 5 Scriveva dunque il quotidiano: “Quando si approssimano le feste natalizie si verifica, alla periferia della nostra Città e nelle nostre campagne, una recrudescenza di furti di pollame e di conigli da parte dei soliti ignoti. L’altra notte sono stati visitati i pollai di tre famiglie del Comune di Paese e i ladri si sono impossessati complessivamente di 44 galline. Le denunce sono piovute sul tavolo del comandante la Stazione dei Carabinieri di Paese e i militi dell’Arma hanno subito effettuato le indagini del caso. La casalinga Eufemia Gasparini fu Giovanni di 32 anni, abitante in Via Montello di Paese, ha lamentato la sparizione di dodici grasse galline che aveva in animo di raddoppiare nella prossima primavera per avere un discreto numero di uova. Il danno subito dalla Gasparini ammonta a 7 mila lire. All’operaio Angelo Severin fu Luigi di 46 anni, pure di Paese, sono state portate via 12 galline livornesi (ovaiole) e olandesi (con grande ciuffo in testa) e i ladri sono penetrati nel pollaio dopo avere tagliato la rete metallica che lo circonda. Il danno si aggira sulle 8 mila lire. Anche l’operaio Attilio De Rossi fu Giacomo di 46 anni del luogo (loc. Sovernigo) ha denunciato di avere subito il furto delle sue galline: venti, per l’esattezza, e tutte pronte o per entrare in pentola o per essere arrostite nelle prossime festività. Il danno è di 15 mila lire”. Dopo le elezioni del 1948 ci fu la ricostruzione economica con le forze moderate al governo del Paese. Rientrarono i capitali esportati e la lira recuperò lentamente il potere d’acquisto. Ciò diede fiducia ai ceti medi risparmiatori e gli stessi lavoratori dipendenti poterono beneficiare del calo dei prezzi. Certo la disoccupazione era ancora notevole, fortunatamente c’erano i fondi del piano Marshall a contribuire all’importazione di derrate alimentari e materie prime. Iniziò così, lentamente, l’avvio di un nuovo processo di sviluppo economico ed industriale. Poi ci fu il cosiddetto Miracolo Economico – che da solo meriterebbe una pubblicazione -, sentito in modo particolare nella nostra realtà territoriale, probabilmente dovuto anche alle centinaia di emigrati, partiti negli anni Cinquanta, che mandavano a casa parte dei propri risparmi per sostenere la famiglia di origine, ma quando al primo rientro si guardarono intorno, capirono che, in verità, la “Merica” era arrivata anche qui. I furti di galline comunque non terminarono con gli anni Cinquanta, ma continuarono anche nel decennio successivo. Chi scrive può darne una testimonianza diretta. Infatti, la sua famiglia, lasciata Sovernigo nel 1965 andò ad abitare nella nuova casa in Via Treforni, portandosi una decina di galline e altrettanti conigli. Una notte successiva fu visitata dai ladri che svuotarono pollaio e conigliere. Nei primi anni Sessanta si poteva trovare occupazione sempre più agevolmente e qualcuno, infatti, iniziò a costruirsi la nuova casa nei fine settimana con l’aiuto di amici e parenti. Questa prassi fu presto imitata da tanti altri e così avvenne presto una inusitata trasformazione urbana che diventò un modello da imitare. Il concetto delle reciproche relazioni umane era molto forte e sentito. L’intraprendenza di Paese fece scuola e da traino anche per altri comuni. Cominciarono a svilupparsi piccole imprese edili, con l’indotto che ne derivava, e sorsero anche alcune piccole attività artigianali e commerciali, soprattutto in relazione alla corsa a farsi la macchina: officine meccaniche, distributori di carburanti, autolavaggi, bar e negozi vari iniziarono ad aprire o a rinnovarsi. A catalizzare la maggior parte della manodopera era tuttavia ancora la città di 6 Treviso. La situazione che venne a crearsi smentì in parte gli indirizzi degli amministratori del tempo che nel frattempo avevano pensato di trasformare Paese in una zona di coltivazioni frutticole, ma anche di tipo turistico. Sono infatti di quel periodo le costruzioni della Cooperativa Agricola, trasformata poi in frigorifero, dell’Industria Conserviera (1961), dell’Albergo all’Oasi e del Ristorante “Zanatta” che soppiantava “Il Bersagliere”. Tuttavia, nonostante le buone intenzioni, la Cooperativa, inaugurata nel 1960 dall’onorevole Amintore Fanfani, si dimostrò quasi del tutto inutile perché la società paesana si evolse in modo del tutto diverso ed inatteso. Era la Nazione intera che andava in tutt’altra direzione. Sorse una miriade di piccole attività imprenditoriali, poiché era questa la vera vocazione della gente di Paese prima ancora del lavoro dipendente, probabilmente dettata dall’innata voglia di vivere autonomamente in quella libertà acquisita lavorando in campagna e che si evidenziava nella auotocostruzione della casa nuova. La popolazione si era lasciata alle spalle la condizione di subalternità ai vari signorotti locali, che aveva a lungo subito e desiderava prendere il volo in proprio. Già negli anni Venti aveva combattuto le sue battaglie, promosse dalle Leghe Bianche ispirate da Giuseppe Corazzin. A Paese c’era stato chi aveva rischiato in proprio contrapponendosi all’ordine costituito per la corresponsione di un salario dignitoso ai lavoratori della terra e per la difesa della piccola proprietà, in epoca in cui ribellarsi poteva costare caro. Uno dei più impegnati in questa lotta sociale, la cosiddetta “Questione agraria”, era Alfonso Favero (“Scalabrio”), il quale viene ancora ricordato con in mano la bandiera bianca, che sventolava di fronte al molino Bordignon, a Villa, dove passava allora la statale Postumia, perorando la causa dei contadini e incitandoli alla ribellione. I Perotto, signorotti che abitavano in Via Roma, di fronte a Villa Quaglia, che rappresentavano il sentire della borghesia locale, lo avrebbero impallinato volentieri per tale ostentazione, poi desistettero perché si trattava di un temerario, un ribelle capace di catalizzare ampi consensi. Annunziata Emma Marchetto (Castagnole 1903 – Paese 2006) vedova di Mosè Bertelli, nel 2003 - alla bell’età d’anni cento - ricordava ancora la “Poesia del contadino” che aveva imparato in terza elementare, e che recitava più o meno così: Un contadino si presentò davanti a un signore e gli dava la mano, ma il signore la rifiutò dicendo al contadino: Non ti do la mano perché l’hai sporca e callosa. Vergognatevi, signore, rispose il contadino se non l’avete sporca. Se Dio vi abbonda del pane e del vino queste mie mani dovete ringraziare son cotte dal sole, nere e callose ma son mani laboriose. Lavorano sempre e mai son stanche valgon più di dieci mani bianche. 7 Questi versi non hanno bisogno di commenti, e testimoniano di una vita di sfruttamento, di subalternità, d’ingiustizia e d’ingratitudine. Le mani bianche erano ovviamente quelle degli sfruttatori, padroni terrieri. Non è comunque il caso di generalizzare perché anche tra di loro ci sono state delle brave persone. Ci vorranno ancora alcuni decenni – la fine degli anni Cinquanta - per arrivare a leggi governative favorevoli ai lavoratori della terra, quando finalmente da subalterni poterono diventare, con la “buona uscita”, padroni di parte di quei beni per i quali avevano donato per generazioni il proprio sangue. L’Industria Conserviera di Paese impegnava i contadini e sviluppava ulteriormente in modo evoluto l’orticoltura, fu perciò la prima vera industria paesana del dopoguerra strettamente legata all’agricoltura; ma il paese andava in senso opposto, ossia verso un altro tipo di sviluppo, girando le spalle all’agricoltura intesa come unico lavoro. L’Industria Conserviera nacque per volontà dell’allora sindaco, Vincenzo-“Vittorio” Zanatta. La fabbrica di conserve assorbiva la coltivazione locale di ortaggi, che non era comunque sufficiente, perciò ci si doveva rivolgere ai mercati all’ingrosso o direttamente alle coltivazioni intensive della Pianura Padana, Ferrarese e Polesine in particolare. Tutti i prodotti erano poi inscatolati a mano. Otto anni dopo, l’attività fu ceduta ai soci Lora e Grosso, che coniarono il marchio derivante dalle loro iniziali: “Logrò”. Emanazione naturale fu poi la Cooperativa Agricola, in Via Postumia, ma gli sforzi del fondatore non furono corrisposti, si dovette quindi trasformarla in magazzino frigorifero. Maggior fortuna ebbe il suo ristorante (attuale sede di una banca), costruito secondo canoni d’avanguardia di fronte al vecchio “Bersagliere” (ora Pasticceria Vendramin), tanto da essere rinomato a livello nazionale. Per ultimo Zanatta eresse quello che è ancora l’unico albergo di Paese, “All’Oasi”, ma pure la vocazione turistica di Paese rimase nei suoi sogni. Il lavoro agreste nel Comune di Paese Il lavoro di contadino, quello di allevatore sono antichi quanto la specie umana, secondi solo a quello di cacciatore. Paese ha tracce di questa lunga tradizione risalenti alla centuriazione romana, quando la coltivazione agricola fu sviluppata in modo organico, ma è presumibile che ancor prima, fosse praticata dai paleoveneti. Nell’era contemporanea si hanno testimonianze del mondo agreste dagli atti di morte dei locali, cioè da quando, con il Concilio di Trento, fu imposto ai parroci l’obbligo di residenza con il compito di registrare il movimento demografico (nascite, matrimoni, decessi) della popolazione. A parlare di un lavoro duro ma povero sono soprattutto le registrazioni dei defunti, con le cause di morte: scorbuto, pellagra, dissenteria, febbre verminosa, febbre pagana, spasimo, cholera, tifo, ecc. Quella del contadino, soprattutto nei secoli passati, era una dieta povera di vitamine e di proteine, talvolta si trattava perennemente dello stesso cibo (la polenta). Non mancavano le persone che andavano fuori di senno proprio per la carenza di basilari componenti nutritivi, mentre il lavoro si svolgeva tutto a forza 8 di braccia con immani fatiche, supportato in seguito e soltanto in parte dalla trazione animale. Dagli archivi parrocchiali emergono in proposito parecchie testimonianze, come quella che segue, proveniente da Postioma: “Addì 29 Giugno 1782. Angela, moglie di Santo Amadio, morì in questa mattina, d’anni 40 circa, di male scorbutico, munita del solo sacramento dell’Olio Santo per non essere capace degli altri attesa la pazzia dallo scorbuto stesso prodotta”. La situazione era abbastanza generalizzata. Pure da Postioma deriva l’atto che segue: “18 Maggio 1887. Bortolamio figlio del fu Gasparo Zanatta, sartor di Soriva, della Pieve di Cervo, Diocesi di Feltre, d’anni 62 circa, morì ieri di passaggio all’osteria di febbre putrido verminosa, così giudicata dal Medico chiamato alla cura, ch’era di Treviso. Era assalito da febbre fin dai primi giorni del corrente mese. Era con la sua famiglia in sosta da Pittusso ed essendo il tempo di partire per la montagna, volle anch’egli partire con la famiglia, trasportato sopra un carretto. Quando fu qui per ristorarlo gli fu apprestata una scodella di brodo, e bevuta che l’ebbe restò soffocato...”. E per quanto riguarda la pellagra: “15 luglio 1815. Giacomo Berlese del fu Agostino e della fu Maria Missiato, assalito dalla pellagra in terzo stadio, dopo il decubito di mesi sette, morì ieri all’ore otto antimeridiane…”. In epoca più recente, all’inizio del XX secolo, con l’avanzare dell’era tecnologica parte del lavoro manuale fu soppiantato dalle macchine. Mentre tramontava lentamente l’era dei cosiddetti padroni, prese piede la pratica di lavorare meccanicamente per conto terzi, giacché per il singolo contadino, che possedeva solo un piccolo appezzamento, non era conveniente l’acquisto di costosi macchinari, ammesso che potesse permetterseli. Tra coloro che svolgevano i mestieri di aratura, semina e trebbiatura, a Sovernigo c’era la famiglia dell’onorevole Luigi Zanoni. Fu questa una delle prime ad acquistare, ancora negli anni Cinquanta, una motoaratrice Ford, modello “Orsi”, una macchina possente e scura proprio come un gigantesco orso, che avanzava a passo di lumaca, ma con una potenza che non aveva pari. Non meno impressionante era il rombo del motore, distinguibile da molto lontano. Mentre qualcuno si meccanizzava, i più, possedendo modesti rettangoli di terra, usavano ancora carri, buoi e asini per i lavori e il trasferimento dalla casa alla campagna e quindi inversamente con il carico di prodotti della terra. Altri che svolgevano lavori per conto terzi erano i Visentin (“Momi”) di Postioma, i Miotto (“Campaneri”) e i Miglioranza (“Majèri”) di Padernello. Questi nel 1908 avviarono per conto dei fratelli Marcantonio e Alberto Mandruzzato di Treviso l’attività molitoria, che dopo un secolo continua ancora. Il primo molino “da grano” era sorto a fianco di un “majo” (fucina per forgiare il ferro) azionato dall’acqua del canale Brentella. Ne fa fede il “Contratto di concessione d’uso dell’acqua Brentella per forza motrice, per animare un opificio in Padernello”, riportato di seguito: “Regnante Sua Maestà Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e volontà della Nazione Re d’Italia. L’anno millenovecentotto addì trenta del mese di Giugno, avanti a me Battistello Guglielmo di Giovanni Segretario Comunale di Paese, si sono presentati: Lucatello Giovanni di fu Francesco, Sindaco del Comune di Paese, nella rappresentanza per conto ed interesse del Comune stesso e Mandruzzato Dr. Cav. Marcantonio fu Giuseppe, il quale dichiara di agire per conto suo e per conto nome ed interesse anche del fratello Avv. C. Alberto, domiciliato il primo in Treviso, il secondo in Ferrara quale Procuratore del Re. Si premette che, colle deliberazioni del Consiglio Comunale di Paese 27 dicembre 1907 e 12 Marzo 1908, veniva accordata la concessione dell’uso dell’acqua Bretella 9 scorrente nel canale principale in Frazione di Padernello, per forza motrice per dar moto ad un molino da grano a due macine, un battiferro, sgranatoio e molla da arrotini, e tutto sito al mappale N. 32 del foglio 1°. Sez. C. Padernello, di comune proprietà dei Signori Mandruzzato Avv. Cav. Marcantonio e Avv. C. Alberto fratelli fu Giuseppe. Per tale concessione dovrà essere versato nella Cassa Comunale di Paese l’annuo canone di Lire Cento, pagabili in una sola rata scadente il 20 ottobre di ogni anno, pagamento da effettuarsi dal diretto esercente dell’opificio. La concessione fu poi ratificata il 2 Aprile 1909 dal Convocato del Consorzio Irriguo Brentella di Pederobba. Il Brentella, quindi, fu silenzioso testimone di un'epoca che ha visto tante bocche sfamarsi grazie alla generosità del suo prezioso indispensabile apporto: l'acqua. Sembra tuttavia che i Miglioranza, già prima di servirsi della forza dell’acqua, svolgessero questo lavoro facendo girare le macine da un cavallo. Dall'estro di Giuseppe ed Ernesto Miglioranza, grazie al maglio ad acqua che gestivano, uscivano anche attrezzi agricoli e arnesi per ogni mestiere: pale, picconi, falci, aratri, forche, zappe, cerchioni per carri e per botti, mozzi, catenacci, ferri di cavallo, chiodi, erpici, aratri, ecc.; per questo i parenti omonimi di Sala d'Istrana erano soprannominati "Armentèri". Una vera passione di famiglia, che continuò per decenni e venne esportata anche a Vedelago. * * * A Postioma, negli anni Cinquanta era sorta una specie di cooperativa per la vendita di generi alimentari il cui ricavato andava alla Parrocchia per finanziare la costruzione della nuova chiesa, voluta dal parroco don Giovanni Capoia. E c’era pure il Club 3P, il cui responsabile era Luciano Visentin. Non si può inoltre dimenticare che proprio da un postiomese, il compianto On. Angelo Visentin, nacque la Coldiretti di Treviso. Un mestiere molto richiesto era quello di norcino, ossia salumiere. Era questa una figura specialistica che prestava tipicamente la sua opera in cambio di generi in natura, quali frattaglie delle bestie macellate, un cotechino, due piccole luganeghe, e qualche fiasco di vino. A Paese c’erano famiglie in cui questo mestiere era tramandato di padre in figlio, ad esempio quella dei Berti, i quali prestarono a lungo la loro opera anche alla rinomata salumeria Frezza di Treviso. La trebbiatura in comune era una prassi. La trebbiatrice, inizialmente a vapore, veniva collocata per tempo sull’aia accanto alle biche già predisposte e qui arrivavano a turno anche i piccoli agricoltori con i loro carichi. Era un’attività che continuava per giorni e notti ininterrottamente e gli specialisti e i braccianti lavoravano in mezzo a nuvole di polvere. Ogni utente lasciava una parte di cereale in cambio del servizio. Il grano veniva poi portato ai molini, trasformato in farina e da qui prendeva la strada per il panificio che la rendeva al coltivatore in chili di pane segnati su un apposito libretto. Naturalmente ogni lavorazione comportava una retribuzione in natura, così alla fine al povero contadino restava soltanto quel poco. Quello della trebbiatura era un lavoro ma anche una festa alla quale partecipavano tutti e si finiva in bellezza seduti al desco tra canti e balli. Il mulino era la “piazza” dei contadini dove la molitoria era soltanto una delle attività che vi si svolgevano: mentre si attendeva la macinazione dei cereali si mettevano in moto le relazioni fra persone, compresi mediatori e prestatori d’opera vari. I principali mulini del territorio comunale di Paese erano quelli di 10 Sante Bordignon con i figli Vincenzo e Pierantonio a Paese, di Valentino Giovanni Favotto (“Smanioti”) e il figlio Fiorino a Porcellengo, avviato nel 1923, dei fratelli Carlo, Marcello e Lucio, figli di Giovanni Favotto a Castagnole, di Giovanni Marconato e di Luigi Miglioranza a Postioma, di Giovanni Miglioranza (“Majèr”) a Padernello. Nel territorio comunale di Paese c’era pure chi praticava la transumanza. Ad esempio, i Gallina di Padernello facevano i mandriani nei tempi estivi dell’immediato secondo dopoguerra, portandosi con le loro bestie a Malga Mariech (m. 1502), sopra Valdobbiadene. Partivano a metà maggio e ritornavano a metà settembre. All’alpeggio si andava per risparmiare il foraggio di casa che era riservato ai mesi invernali. Alla malga si praticava la caseificazione, spesso immersi nel fumo e nel vapore emesso dal pentolone di rame. Era una vita di grande sacrificio ma salutevole. Un capitolo a parte meriterebbe la coltura del baco da seta, un lepidottero alimentato con le foglie del gelso, il quale, alla fine del ciclo di metamorfosi, costituiva una vera boccata d’ossigeno per tante famiglie. La bachicoltura era particolarmente gradita perché arrivava a primavera, ben prima dei raccolti, quando i contadini erano a corto di risorse finanziarie. Il mondo rurale si esprimeva sostanzialmente nella famiglia patriarcale, fino agli anni Settanta simbolo e custode dei valori fondativi della società, in circolarità con la Chiesa, la scuola e lo Stato. La famiglia contadina era sostanzialmente una piccola azienda nella quale ognuno metteva a disposizione le braccia, secondo le proprie possibilità e il proprio ruolo, governata da un capo. Non si può quindi parlare di imprenditorialità senza questa premessa. Gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, con il Boom Economico videro lo spopolamento delle campagne in favore delle grandi fabbriche del Triangolo Industriale (Lombardia, Piemonte, Liguria), ma anche di quelle sorte a Porto Marghera. L’agricoltura subì un grosso scossone, così mentre i più lasciavano la campagna in favore di un’industrializzazione sempre più pingue, i pochi rimasti si specializzavano e si attrezzavano sempre meglio per far fronte con le macchine alla cronica carenza di braccia. I contadini, diventati bravi imprenditori grazie ai corsi di specializzazione predisposti dalle associazioni di categoria, riuscirono così a svolgere in proprio tutti quei servizi per i quali erano dovuti ricorrere alla prestazione di terzi, compreso il lavoro dei mulini, che ad uno ad uno, salvo rare eccezioni, scomparvero. Resta però da capire se questa inarrestabile evoluzione abbia sempre rispettato i canoni ambientali, ossia se sia stato uno sviluppo sostenibile in ambito ecologico e salutistico. Ci fu un periodo di grave inquinamento ambientale e acquifero dovuto all’indiscriminato uso di pesticidi e diserbanti e il legislatore dovette correre ai ripari. Una certa imprenditoria agricola iniziò con i lattai e i caseifici, per arrivare infine agli agriturismo, ristoranti casalinghi aggregati in Provincia di Treviso all’Associazione “Terra Nostra” della Coldiretti, nei quali si possono assaggiare i prodotti della terra in parte coltivati in proprio. Sono diffusi da qualche decennio anche nel territorio comunale di Paese e pure con alloggi. Un importante caseificio aveva sede in Porcellengo. Si trattava della Latteria Turnaria di Giovanni Lazzari, che sorgeva nelle adiacenze della piazza. Ogni giorno passava un furgoncino per le famiglie contadine a raccogliere il latte che usciva dalle stalle, trasformato poi in prodotti caseari. 11 In Porcellengo funzionava pure il pastificio Vettorello & Pistrelli che può essere considerato un’emanazione dell’agricoltura, dato che la materia prima era il grano duro proveniente dal Sud Italia. Dava lavoro a parecchie maestranze locali (cfr. capitolo a parte). Attualmente ci sono delle aziende agricole ben attrezzate, ad esempio quella di Danilo Tonon, in Via Trieste, con allevamento bovino, vendita latte e coltivazione florovivaistica. Un’altra presente da alcuni decenni, dedita all’allevamento bovino, è quella di Marcello Sartor (“Barchesso”). Un’importante attività affine all’agricoltura è l’apicoltura, che a Paese conta vari piccoli addetti, ad esempio Antonio De Rossi di Sovernigo (foto), ma anche semplici appassionati che la praticano per hobby a stretto uso e consumo familiare. Un aspetto dell’evoluzione agricola paesana può essere individuato nelle coltivazioni di prodotti micologici e ortofrutticoli, ma anche in quella che è la più grande industria florovivaistica della Marca Trevigiana: la multinazionale “Padana” dei fratelli Gazzola. Il Foro Boario di Treviso e i mercati rionali, come quello di Montebelluna e di Oderzo, un tempo brulicavano di bestiame. Ogni settimana, nei giorni di mercato, i contadini si ritrovavano per acquistare o vendere le loro bestie da soma e da latte, ma si commercializzavano anche il foraggio, i cereali e gli altri prodotti agricoli. Era poi prassi recarsi in dicembre a Santa Lucia di Piave in occasione dell’annuale fiera agricola ultramillenaria. La fungicoltura a Porcellengo esiste fin dal 1969, grazie ai fratelli Billio, Lorenzo e Tarcisio, che avevano acquisito il mestiere in Canada dove erano emigrati. Fu messo così a dimora il germe che li farà diventare, in Patria, degli affermati imprenditori agricoli. A Toronto, Tarcisio aveva svolto vari lavori prima di approdare in una coltivazione di funghi dove emerse la sua anima contadina che gli procurò la stima dei datori di lavoro e un posto di responsabilità. Fu questa la molla che lo farà ritornare in Porcellengo dove, con i Borsato, zii di sua moglie, si dedicò alla fungicoltura in Via Gasparini, e dal 1969 in proprio con una fungaia in Via Madonnetta. Nel 1980 ampliò la coltivazione in società con il fratello Pietro e due nipoti, lasciando quindi il timone dell’azienda nelle mani dei figli dopo aver trasformato l’attività in produzione di humus, un composto utile per la coltivazione della specie prataiola, prodotto che viene esportato prevalentemente nei mercati dell’Est Europa. LA COOPERATIVA AGRICOLA COMUNALE La Cooperativa Agricola comunale aveva messo in moto una serie di aspettative per l’indotto che doveva generare, sollevando l’economia di Paese. Era sovente ripresa anche dai giornali, in particolare dal Gazzettino, giacché era spesso meta di parlamentari che avevano in Paese un sicuro bacino di voti. Emerge nel quotidiano trevigiano del 10 aprile 1959 in “Cronaca di Paese”, il resoconto dell’assemblea costitutiva. Titolava il giornale: “Nominate le cariche sociali della Cooperativa agricola”. L’articolo, su due colonne, si presentava dettagliato come un verbale: 12 “Ha avuto luogo nel nuovo Cinema “Manzoni” di Paese l’annunciata prima assemblea dei capi azienda fondatori della Cooperativa Agricola che come è noto è dovuta all’iniziativa dell’Amministrazione comunale. Aprendo i lavori il Sindaco cav. Zanatta ha presentato il dott. Ugo Pandolfi, esperto commercialista trevigiano, incaricato della stesura dello statuto. Il documento che consta di 32 articoli regolanti il funzionamento della Società a responsabilità limitata, è stato ampiamente illustrato dall’estensore anche alla luce delle vigenti disposizioni legislative in materia. Il dott. Pandolfi ha pure esaurientemente chiarito i quesiti posti da alcuni soci. Prendeva quindi la parola il Sindaco per ribadiere gli scopi sociali della Cooperativa, richiamandosi alle esigenze della zona nel settoreagricolo a cui dovranno essere riservate le cure più attente per l’auspicato miglioramento economico delle categorie rurali; con questa prospettiva dovranno essere affrontati i problemi per una produzione quantitativamente e qualitativamente superiore attraverso colture razionali e specifiche. Le dichiarazioni del cav. Zanatta che a questa iniziativa sta offrendo il contributo della sua esperienza e del suo fattivo dinamismo, sono state sottolineate dai vivi consensi e applausi dei soci. Costituito il seggio elettorale, si è proceduto alla votazione, a scrutinio segreto, per la nomina delle cariche sociali. Il consiglio di amministrazione è risultato così composto: Zanatta cav. Vincenzo, Urio Rino (Postioma), Visentin Luigi (Porcellengo), Pozzebon cav. Giovanni (Paese), Zanoni Emilio(Paese – figlio del defunto on. L. Zanoni), Contò Luigi (Castagnole), Francescato Gino (Padernello), Trentin Riccardo (Postioma), Gazzola Eugenio (Postioma). Sindaci effettivi: on. Prof. Dott. Mario Ferrari Aggradi, Ministro delle Partecipazioni Statali: Pietrobon Vettore, Bresolin Angelo. Sindaci supplenti: Barbisan per. agr. Fridiliano, Visentin Fioravante. Probiviri: prof. Italo Cosmo, capo dell’Ispettorato Agrario Provinciale; dott. Luigi Chiereghin, Sindaco di Treviso; comm. Geom. Mario Ferracin, Presidente Consorzio Agrario provinciale”. L’assemblea deliberava poi all’unanimità di affidare la presidenza della Cooperativa al Sindaco cav. Zanatta e la vice presidenza a Rino Urio, consigliere comunale, “giovane ed appassionato cultore agricolo”. Segretario fu nominato Aldo Badesso, collocatore comunale. Prima di chiudere la riunione i convenuti furno informati che il 1° Maggio sarrebbe stata organizzata una visita ad una azienda modello. L’uscita a scopo formativo si rivelò in sostanza una gita di particolare interesse. La comitiva dei novanta partecipanti, guidata dal Vice Presidente Rino Urio raggiunse Verona, per visitare i Magazzini Generali della Città scaligera, portandosi poi in periferia per visitare le aziende modello “Milani”. Gli impianti e le produzioni furono illustrati da funzionari degli Ispettorati agrari di Treviso e Verona. Il Gazzettino riportava questa notizia il 20 maggio 1959 in “Cronaca di Paese”. Precedentemente, l’8 marzo 1959, si era tenuta sempre al Cinema Manzoni un’assemblea informativa, alla quale erano intervenuti, su invito, oltre 300 agricoltori del Comune di Paese, cui era stato proposto di inserirsi come soci nella costituenda Cooperativa. Il termine delle iscrizioni scadeva il 19 marzo. Ad illustrare l’importante iniziativa ci aveva pensato lo stesso Sindaco, delineandone sinteticamente gli scopi, sottolineando il fatto che gli agricoltori che si fossero associati avrebbero beneficiato di un sicuro miglioramento economico. L’agricoltura, vale la pena ribadirlo, era ancora l’attività generalmente più diffusa. 13 A dargli man forte nell’opera di convincimento era intervenuto il prof. Annibale Cosmo, capo dell’Ispettorato dell’Agricoltura, che aveva catturato l’assemblea tenendo una conversazione sul valore cooperativistico, destando l’entusiasmo dei presenti. Nel 1957 si era costituita la Comunità Economica Europea, che allargava notevolmente i mercati. La prima assemblea si era tenuta l’anno dopo a Strasburgo, ma di fatto cominciò a operare nel 1959. Nacque da questo presupposto l’idea di fondare la Cooperativa Agricola di Paese. La Giunta capeggiata da Zanatta, infatti, aveva rivolto l’invito ad associarsi motivandolo con il pretesto della nascente C.E.E., fornendo quindi degli indirizzi: “L’apertura dei Mercati Comuni Europei, avvenuta con il corrente anno, ha portato una rivoluzione sui mercati nazionali imponendo una speciale organizzazione per il regime di concorrenza che si prevede nella sua fase di rivoluzione. L’agricoltura in genere, per il fatto che non può tempestivamente adattarsi come l’industria a sostanziali mutamenti e forme di produzione, è quella che che richiederà un maggior spazio di tempo per orientamenti nuovi e risentirà, soprattutto nel primo periodo che certamente non sarà breve, delle deficienze nelle quali si trova rispetto a ciò che è l’idea fondamentale del Mercato Comune Europeo. L’agricoltura come viene praticata attualmente nella nostra zona riveste piuttosto un carattere familiare e di piccola azienda, mettendo sul mercato in prevalenza grano e granoturco, generi che in altri paesi facenti part del Mercato Comune Europeo vengono prodotti in larga scala con danno della nostra economia. Ora, occorre in tempo prevedere quello che sarà il futuro commercio e sviluppo della nostra agricoltura evitando di restare soffocati per non aver saputo prendere subito e in tempo una iniziativa radicale. Le culture che si posson o praticare con facilità nel nostro Comune e che incontrerebbero richiesta in un mercato vasto quanto quello europeo, senza eccessiva concorrenza, sarebbero quelle specializzatecome la frutta selezionata o poco comune: peschetti e fragole o vino di una data specialità, ad esempio il «merlot» che viene ottimo nei nostri terreni. Per arrivare però ad una produzione estensiva e intensiva allo stesso tempo, occorre un’organizzazione cooperativistica nella quale tutti si lavori per uguale fine con un indirizzo unico. Per fare questo occorre la buona volontà e la comprensione che i tempi si evolvono e che restando indietro si rischia di far naufragare la nostra economia agricola. Il Comune si fa promotore di questa iniziativa ed invita gli agricoltori, quale parte interessata, ad un Convegno dove persone competenti specificheranno i nuovi concetti e dove si discuterà con la speranza di porre le basi di un futuro benessere agricolo e della popolazione del nostro paese. La riunione avrà luogo domenica 8 marzo, alle ore 10, presso il Cinema di Paese”. Si era convinti che Paese non avesse altri sbocchi che quello del lavoro della terra. In realtà, a far fallire questo ambizioso progetto sarà il Miracolo Economico che di lì a poco si scatenerà, catalizzando manodopera nelle grandi industrie, ma anche sviluppando ampiamente l’artigianato, il commercio e quindi il terziario. Paese in particolare, trovandosi nell’immediata periferia di una città capoluogo di provincia, risentì immediatamente del nuovo vento che iniziava a spirare sempre più impetuoso, e la gente ben presto cominciò ad abbandonare i campi per altre attività più redditizie, riversandosi nei più disparati mestieri che assicuravano uno stipendio sufficientemente dignitoso ogni fine mese. E fu questa nuova situazione a mettere in moto un altro tipo di economia. La gente pensò per prima cosa a costruirsi la casa nuova, quindi fu la corsa a farsi la macchina e poi a pensare al tempo libero e via via a tanti altri benefici. L’agricoltura rimaneva pur 14 sempre sinonimo di povertà e di sfruttamento trascinatosi fin troppo a lungo, anche se era servita a far sopravvivere le famiglie, ma soprattutto i padroni della terra. In questo contesto il progetto cooperativistico era ormai segnato, ossia destinato a fallire. In sostanza Zanatta rimase il solo a credere fino all’ultimo a questo bel progetto, che era una sua creatura. Egli era una fucina di idee – tra l’altro era presidente dell’U.S. Paese - e nonostante altre iniziative imprenditoriali – diventò ristoratore e albergatore – la sua innata propensione rimase sempre e comunque quella di coltivatore. Una testimonianza in proposito si ricava ancora una volta da “Il Gazzettino”, che, in un servizio del 17 agosto 1959, lo ritraeva con in mano dei carpofori coltivati in serra. Il titolo era a quattro colonne, e diceva: “I funghi nascono a cinque chilometri da Treviso. Hanno coltivato i funghi nel Canada prima di iniziare al vivaio di Paese”. E proseguiva puntualizzando: “Su cassettine di terriccio speciale, in cui è presente la spora, si sviluppano in breve i funghi di Paese”. L’articolo così si esprimeva: “Molti li hanno gustati ed apprezzati, ma pochi sanno che quei funghi bianchi, sul tipo dei nostri «boleti», che si vendono a Treviso e in molte città dell’Alta Italia, nascono e crescono a soli cinque chilometri dalla nostra città. Il cav. Vittorio Zanatta ha avuto l’idea di avviare un allevamento di funghi, qualche anno fa. Ha sempre avuto la passione per le cose più strane, il cav. Zanatta. Dopo l’allevamento di polli, la grande vasca per le trote e altre cose del genere, s’è piantato in testa il chiodo dei funghi e non è riuscito più a cavarselo. L’idea è stata accarezzata per molti anni quando inaspettatamente, in un giorno del febbraio 1957, avvenne un fatto determinante. Dal Canada giunsero a Porcellengo di Paese i fratelli Tino e Bruno Borsato, i quali erano rimasti per nove anni a Toronto, presso uno zio, a curare un vivaio di funghi. Quando la notizia giunse a Paese, il cav. Zanatta innestò la quarta (a quel tempo ancora non c’era la quinta marcia nelle automobili – nda) e raggiunse i fratelli Borsato. Pochi giorni dopo veniva posata la simbolica pietra e, in men che non si dica, il grande capannone dell’allevamento con la scritta «Coltivazione funghi», fu cosa fatta. Abbiamo voluto visitarlo e siamo rimasti veramente sorpresi della particolare lavorazione che richiedono i saporiti e polposi prodotti di Paese. In un reparto a vapore, che raggiunge i 70 gradi, viene disposto il materiale di concimazione. Il calore serve ad annullare certi micro organismi capaci di attaccare seriamente la spora e cioè la materia di semina. Dopo il trattamento, il concime, frammisto a terriccio, in numerosi strati, viene deposto su cassettine. Nel terriccio è presernte la spora. Le cassettine vengono deposte in appositi sostegni, nell’interno del capannone e dopo qualche giorno cominciano ad offrire i primi frutti. Nel capannone esiste perenne l’umidità e una temperatura costante di 18-20 gradi. Le cassettine devono essere attentamente controllate, affinché non si verifichi qualche incidente inatteso, come una malattia del fungo che, in pochi giorni annienterebbe il lavoro di anni. Ecco press’a poco come si coltivano i funghi di Paese. Il «vivaio» è ora in piena attività e non riesce a far fronte alle continue richieste della vasta clientela. Probabilmente verrà ampliato in un prossimo futuro”. Era il periodo in cui Zanatta appariva frequentemente nelle cronache locali. Qualche giorno prima di questo servizio, una foto lo ritraeva con in mano due bottiglie di vino, su cui c’era scritto: “I vini della Marca”. La didascalia così recitava: “Anche il noto albergatore cav. Vittorio Zanatta, proprietario del ristorante «Al Bersagliere» e dell’albergo «All’Oasi», partecipa al Concorso per il «bicchiere d’oro» indetto dall’Ente Provinciale per il Turismo”. 15 Si svolgeva proprio in quei giorni all’Istituto Turazza di Treviso un importante convegno dei Coltivatori Diretti al quale intervenne il Ministro Ferrari Aggradi. Nell’occasione veniva commemorato il senatore don Luigi Sturzo, fondatore del PPI, scomparso da qualche giorno (8 Agosto). La cronaca dell’avvenimento emerge dai fogli del Gazzettino di Treviso di Martedì 11 Agosto 1959, che titolava a cinque colonne “Presente il Ministro Ferrari Aggradi al Convegno dei Coltivatori Diretti”: “All’Istituto Turazza si è svolto un Convegno di studio dei presidenti comunali e frazionali delle Sezioni Coltivatori Diretti e dei Club 3P. La finalità dell’incontro era quella di studiare i mezzi tecnici di riconversione, sviluppo e potenziamento economico-sociale dell’impresa agricola familiare nel contesto dell’economia rurale della nostra Provincia. Al mattino i convegnisti hanno assistito alla S. Messa celebrata nella Chiesa di S. Stefano dal Consigliere Ecclesiastico Provinciale prof. Don Giovanni Brotto. Il quale al Vangelo ha tenuto un ispirato discorso. Erano presenti al convegno 290 Presidenti sezionali. È stato chiamato a presiedere i lavori il Presidente della Federazione on. Primo Schiavon. Al tavolo della Presidenza abbiamo notato: S.E. il Ministro alle Partecipazioni Ferrari Aggradi, il comm. geom. Mario Ferracin, l’avv. Amedeo Gallina, in qualità di Presidente della Federazione Provinciale Cooperative e Mutue, il dott. Luciano Pasqualetto, tutti i membri della Giunta Esecutiva della Federazione unitamente al Presidente del Sindacato Provinciale Autonomo Mezzadri cav. Amedeo Sperandio e il Direttore della Federazione dott. Osti. Aveva inviato la calorosa adesione S. E. il sen. Dott. Giuseppe Caron. Alle ore 9 l’on. Primo Schiavon ha dichiarato aperti i lavori del Convegno che si sono protratti poi fino al tardo pomeriggio. Dopo aver porto un affettuoso saluto al Ministro Ferrari Aggradi e a tutti i convenuti e di aver brevemente illustrato gli scopi del Convegno, ha preso la parola il Consigliere Ecclesiastico Provinciale prof. Don Giovanni Brotto che inquadrati brevemente i temi della giornata nella luce dei principi cristiani, ha commemorato nel silenzio devoto dell’Assemblea, con commosse parole la figura del sen. Don Luigi Sturzo…”. Era quindi seguito l’intervento del dott. Pasqualetto che, mettendo in risalto alcuni problemi tecnico-economici dell’agricoltura trevigiana, poneva l’accento sulla necessità di promuovere l’istruzione professionale agricola, con particolare riguardo alla piccola proprietà contadina, facendo risaltare due dati significativi: lo scarso reddito annuo pro capite, Lire 134.000, e la modesta diffusione dei trattori, uno ogni 47 ettari di terreno agricolo. Aveva poi preso la parola il Ministro Ferrari Aggradi evidenziando egli pure i problemi che gravavano sul mondo agricolo, dando ampie assicurazioni sull’impegno del Governo per il loro superamento. In un trafiletto a parte della stessa pagina del giornale (11 agosto 1959) figurava un necrologio di poche righe, pubblicato in occasione della morte di don Luigi Sturzo, senatore, fondatore del Partito Popolare Italiano: “Il Segretario della Democrazia Cristiana di Treviso, avv. Gino Sartor, nella triste circostanza della morte del Sen. Don Luigi Sturzo, ha inviato il seguente telegramma alla Famiglia Sturzo, Roma: «Democratici Cristiani della provincia di Treviso, esprimono il più profondo dolore per la scomparsa del grande italiano, onore della Chiesa, della Patria, esempio a tutti i democratici che indicò ai Cattolici la via del risveglio politico sociale»”. 16 La Coltivatori Diretti di Treviso era un’organizzazione politicamente molto potente, giacché rappresentava il mondo rurale provinciale, ossia la maggioranza del mondo lavorativo di quel tempo, anche se iniziavano a sorgere nuove imprese artigiane e piccole industrie che usufruivano, al pari della conduzione agricola, di agevolazioni tributarie e prestiti a basso tasso d’interesse. In particolare i prestiti agrari erano particolarmente agevolati. Venivano erogati attraverso la Cassa di Risparmio della Marca Trivigiana, quale Direzione Compartimentale dell’Istituto Federale delle Casse di Risparmio delle Venezie. Dal 1° marzo 1959 il tasso era stabilito al 6,5 % su tutte le nuove operazioni di credito agrario di esercizio (per spese di conduzione, acquisto di macchine agricole, bestiame, attrezzatura, ecc.), quanto sui mutui di miglioramento agrario, compresi quelli per il miglioramento della piccola proprietà contadina. Il tasso potrà ora sembrare particolarmente oneroso, ma si deve considerare che detti mutui, che duravano un trentennio, beneficiavano del contributo statale del 3,5% e pertanto l’onere effettivo a carico degli agricoltori si riduceva a circa 2,65%. Nel 1958, nel Veneto, si immatricolarono 2.942 trattori nuovi di fabbrica, in Lombardia 3.814, in Piemonte 3.805; la parte del leone la faceva l’Emilia con 4.163 immatricolazioni; solo 75 in Liguria; a livello nazionale nel 1958 furono in totale 22.080. Erano state 25.139 nel 1954, 24.425 nel 1955, 23.526 nel 1956, 22.820 nel 1957. Che la società evolvesse in altra direzione è confermato anche dalla deliberazione comunale adottata ai primi di Settembre 1959 per l’istituzione di una scuola di avviamento industriale. È quanto emerge dalla cronaca del Gazzettino dell’8 Settembre di quell’anno, che spiega eloquentemente quale fosse il sentire e verso quale orientamento ponesse lo sguardo la popolazione: “Tra le più urgenti necessità a Paese, l’istituzione di una scuola d’avviamento industriale.Il problema è ora avviato sul piano della concretezza avendo costituito oggetto di un particolare esame all’ultima seduta del Consiglio Comunale, trovando unanimi maggioranza e minoranza. La creazione di detta Scuola, oltre ad essere caldeggiata dalla popolazione, risponde ad una impellente necessità per il continuo incremento industriale della zona, per l’aumento demografico naturale e migratorio che si va registrando, per l’elevato numero di licenziati dalla Scuola Elementare i quali, nella maggior parte, causa particolari condizioni finanziarie non possono accedere alle Scuole Professionali di altri centri; inoltre avendo tale Scuola anche delle Sezioni femminili, offrirebbe la possibilità alle ragazze di continuare gli studi; verrebbe insomma curata la preparazione dei giovani secondo le esigenze della tecnica produttiva. L’opera importerebbe una spesa di 60 milioni di lire. Il Consiglio ha dato piena facoltà al Sindaco di provvedere all’espletamento di tutte le relative pratiche, tanto per il contributo statale quanto per l’assunzione del mutuo.” L’AZIENDA AGRICOLA TONON Una moderna azienda agricola dei nostri tempi è quella di Danilo Tonon, in Via Trieste, tra Paese e Porcellengo. La famiglia Tonon si è insediata a Paese nel 1963 provenendo da Sala d’Istrana. Si trattava allora di una compagine molto numerosa che dovette intraprendere la sua diaspora migratoria in Svizzera, Australia e altre terre per migliorare la propria condizione. Pure Alberto era 17 emigrato in Svizzera all’età di dodici anni per fare l’operaio, rimettendoci la salute. Dopo questa esperienza comprese l’importanza di una vita salutare. Scelse quindi di fare il contadino, stabilendosi in un vecchio cascinale nella campagna di Paese, con 15 ettari di terra circostanti. Alberto aveva iniziato con dieci capi di bestiame, che integrò via via che la tecnologia gli permetteva di agevolare un lavoro che non conosceva soste. Nel cortile c’era ancora il pozzo e occorreva attingere acqua a forza di braccia. Fu uno dei primi ad attrezzare la stalla con un nastro trasportatore per asporto letame, quindi con le macchine da mungitura che si evolvevano costantemente. Quelle dieci mucche sono diventate ora un centinaio, grazie al figlio Danilo che ha saputo sviluppare i talenti ereditati dal genitore, coadiuvato dalla moglie Ivana Gemin, che si occupa prevalentemente della parte burocratica e contabile, e dalla mamma Bertilla. La terra coltivata è ora di ben 22 ettari. La passione è ancora il motore di questa azienda paesana. Non è così frequente incontrare giovani che scelgono una vita di sacrificio estremo per dedicarsi all’agricoltura. Non si possono infatti contare le ore di lavoro di un imprenditore agricolo di questo calibro, come non si fa distinzione tra giorni feriali e festività perché gli animali vanno nutriti e curati tutti i giorni. Certo le attrezzature sono di prim’ordine ma da sole non bastano: indispensabile è ancora la mano dell’uomo. Ci sono poi molte norme da osservare e i controlli dell’Uls sono frequenti, non preannunciati e severi, a garanzia del consumatore. Nell’azienda Tonon il ciclo nutrizionale degli animali si sviluppa unicamente con prodotti propri: dal foraggio al mais ai cereali tutto è prodotto in casa e la massima qualità è garantita. Ciò le ha permesso nel maggio 2007 di aggiudicarsi il premio per il miglior prodotto lattiero trevigiano. Concorso promosso dall’Associazione Provinciale Allevatori e sponsorizzato dalla Fondazione Cassamarca. Danilo Tonon ha in sé l’innata passione per gli animali, una propensione trasmessagli dai genitori, Alberto e Bertilla Berlese, ma che ha radici ben più profonde, essendo germogliata con il nonno Agostino. Una genuinità che ha portato all’acquisizione del prestigioso riconoscimento per il miglior latte crudo della provincia, che premia contemporanemente qualità e sacrificio. Il latte della fattoria Tonon è il classico prodotto genuino che arriva direttamente “dal produttore al consumatore” per mezzo di un gettonatissimo distributore posto sotto un secolare gelso sull’aia dell’azienda. Quello in sovrappiù viene conferito alla Cooperativa di Sant’Andrà. La carica batterica è sostanzialmente inesistente grazie ad una stalla modello e a una sala mungitura d’avanguardia. In prospettiva potrebbe realizzarsi il sogno di un negozio con prodotti propri (latte, formaggi, salumi, ecc.). All’orizzonte però non si scorge ancora un erede maschio che potrebbe in futuro dare continuità all’azienda. Danilo e Ivana sono genitori di Elena e Francesca, due femminucce che già amano molto gli animali e il lavoro dei genitori. E sarà probabilmente grazie a costoro che la straordinaria azienda potrebbe conoscere un giorno una conduzione al femminile. Il commercio Commerciare è un’attività impressa nella biologia umana, va a braccetto con i contatti e le relazioni sociali. Lo scambio di prodotti, detto anche baratto, o 18 comunque di generi vari è vecchio quanto il mondo umano. In senso allargato si può affermare che non si commerciano solo prodotti fisici, ma anche idee, valori, cultura, ecc. Simbolo per eccellenza del commercio è il denaro, assolutizzato pure esso come merce da comprare e da scambiare. “10 Feb.ro 1827. Stefano di Gasparo fu Pietro Jaufner e di Anna Maria di Sebastiano Nraten, in età d’anni 45, nato e domiciliato nel comune di Stilfs (Stelvio) distretto di Glurns (Glorenza) provincia di Imst nei confini della parrocchia caduto accidentalmente sotto la ruota del carrettone riportò una mortale ferita ieri alle ore undeci antimeridiane, per cui franse (ruppe) le due manticole (polmoni) e ricevuta l’assoluzione e l’oglio Santo dal Cooperatore Don Bortolo Fabris; morì nel locale dell’osteria al n. 78 alle ore due pomeridiane”. È un atto, rinvenuto nell’archivio parrocchiale di Paese, che testimonia di un certo nomadismo commerciale. Il carrettiere Stefano Jaufner, deceduto per sfondamento toracico, era giunto dalla Val Venosta presumibilmente per trasportare delle merci, forse legnami. I commerci quindi avvenivano già a quel tempo, coprendo anche distanze notevoli pur essendo i mezzi di trasporto a trazione animale alquanto lenti e rischiosi. Nel dopoguerra scendevano dalla montagna tanti montanari a vendere mele, pere, funghi, scambiandoli con cereali, frumento e pannocchie di granoturco in particolare. Era la scorta di polenta per l’inverno, così ci si metteva al riparo dalla fame. Arrivavano soprattutto dal Feltrino - Fonzaso, Lamon, Sovramonte - allora zona depressa, e dai paesi circostanti. Emergono dagli archivi parrocchiali vari documenti che testimoniano come queste popolazioni, già in epoche più remote, scendessero a valle per procurarsi da vivere. Andavano a lavorare a Venezia come manovali; imparavano un mestiere che poi applicavano nei loro paesi. Basta recarsi a Canal San Bovo (Trento) e relative frazioni per averne un chiaro esempio. Molte abitazioni, infatti, hanno grandi fori-finestra realizzati a sesto acuto, proprio come quelli delle case patrizie veneziane. A Paese, nella seconda metà dell’Ottocento, i De Marchi detti Oston, erano sì contadini, ma anche venditori ambulanti. Ad occuparsi per primo di questo esercizio fu Antonio (1857), dal quale deriva il soprannome “Ostón”. Ancor prima di sposarsi con Costanza Bresolin (1858), Antonio andava a piedi di casa in casa, soprattuto la sera quando le famiglie si ritiravano nella stalla a filò, spingendo una carriola, offrendo frutta secca (noci, bagigi, castagne secche, semi di zucca tostati e carrube). In seguito, diventato fruttivendolo e pescivendolo, andava nei mercati di Montebelluna, Castelfranco, Noale e Treviso, portando la merce sul portapacchi della bicicletta a gomme piene. Questo suo lavoro diventò una tradizione familiare con i figli Giovanna (1894), Stefano (1899) e Maria Anna chiamata Amabile (1902). In particolare Giovanna vendeva corredi matrimoniali per le spose, andando di casa in casa dove c’erano ragazze da maritarre. Si serviva di una “timonèa” (calesse) trainata da una cavallina. Amabile, che tutti conoscevano come “Ostóna”, rivendeva generi alimentari e animali da cortile, macinando chilometri con la sua bicicletta. Stefano fu quello che diede una grossa spinta evolutiva alla prassi commerciale della famiglia mettendosi a trafficare terreni e bestiame, ma anche mediando in compravendite e successioni. Il pallino per gli affari era nel suo dna. Acquistava cavalli da corsa un po’ malconci che faceva curare per rivenderli come autentici purosangue. Ben presto la sua fama di esperto in bestiame si diffuse fra le gente rurale, e gli affari aumentarono a tal punto che la sua famiglia diventò una delle più benestanti di Paese. 19 Nell’immediato ultimo dopoguerra, di domenica, sul cortile di casa, Stefano esponeva del bestiame (vacche, tori, vitelli, puledri, asini, ecc.) come in un mercato. Arrivavano compratori da varie località: Morgano, S. Alberto, Istrana, Villanova e perfino da Sanbughè. Acquistavano spesso a rate anticipando solamente la caparra, perché si trattava pur sempre di poveri contadini. A Paese, negli anni Cinquanta/Sessanta, girava per le strade la fruttivendola Assunta Sartori in Severin, con il suo carretto trainato da un’asina. Era una donna affabile, bassa di statura, vestita di nero ma con un cuore d’oro: ai bambini delle famiglie povere regalava sempre qualcosa. Un commerciante di tipo casalingo era il lattaio, una persona che andava a raccogliere il latte con il suo carettino attaccato alla bicicletta per rivenderlo a famiglie cittadine. Uno di questi era Vito Bettio (1898) dei “Çerlìni” di Sovernigo; un altro era Zefferino Barbisan, marito di Ermida Pian, pure loro abitanti in Sovernigo. A Padernello nel primo dopoguerra si era assunto questo compito Domenico Rizzato (1902). Lo stesso faceva Silvio Arturo Zaratin (1901). Tra i mestieri di eccellenza alimentare spiccava quello di fornaio. C’è ancora oggi, ovviamente, ma ha perso la poesia di un tempo perché si svolge in modo del tutto diverso. Una volta l’impasto si praticava a mano, magari aiutandosi con la gramola. Spesso si faceva in casa e molte famiglie avevano il forno in pietra adiacente l’abitazione come i De Lazzari (“Fortuna”) di Paese. Qualche vecchio forno resiste tuttora, ad esempio quello dei Girotto (“Rossi”) di Postioma. Il pane è da sempre l'alimento principale che accompagna il companatico, ma si mangia volentieri anche senza. Fin dai tempi antichi veniva prodotto macinando diversi tipi di cereali e tuttora viene impastato e manipolato secondo le tradizioni locali. Inizialmente i cereali venivano pestati nei mortai per tradurli in farina che veniva poi impastata a mano unendovi l'acqua. Con le prime macine di pietra, azionate dall’acqua o dalla trazione animale, il mortaio fu messo da parte, tuttavia in certi paesi sviluppati è ancora una pratica attuale. Al molino si lasciava una percentuale di cereale in cambio della macinazione. Lo stesso si faceva poi con il fornaio. Alla fine al contadino restava una parte esigua, dovendo pagare decime e quartese. Al tempo dei Romani il pane era fatto in casa impastandolo – come si fa da sempre - con acqua e farina, ma senza lievito, allora sconosciuto. Sembra che a scoprire per caso la lievitazione siano stati gli Egizi, una invenzione avvenuta casualmente lasciando l’impasto all’aria per cuocerlo il dì seguente. In seguito i greci aggiunsero latte e spezie, più o meno come si fa tuttora. Nel periodo feudale invece il pane era divenuto esclusivo appannaggio dei signori, ma anche nei secoli seguenti e durante le ultime guerre fu così, mentre la gente ricorreva alla polenta per sfamarsi, con le note conseguenze derivanti da un mononutrimento carente di proteine, tanto che molta gente morì di pellagra. L'introduzione del lievito nella panificazione avvenne durante il Rinascimento. Ora il pane è alimento alla portata di tutti, soprattutto nei Paesi opulenti. Anche il palato si è notevolmente affinato e talvolta facciamo gli schizzinosi perché si vorrebbero sperimentare gusti sempre nuovi, mentre i prezzi vanno alle stelle. Siamo giunti così a riscoprire cereali un tempo considerati poveri dai quali si riesce a sfornare prodotti di ottima qualità, davvero fragranti e gustosi. A Paese i forni pubblici più antichi erano, in ordine cronologico, quelli dei Porato (“Forneri”) in Via San Luca, Vendramin (“Bomba”) a Sovernigo, Gino Nasato (“Moretón”) in Via Roma, e Vendramin a Villa. 20 Il forno dei Porato era stato avviato in Via San Luca, alla fine del XIX secolo, da Ermenegildo (1857), che aveva aperto a fianco anche un’osteria. L’occasione arrivò con un’eredità della moglie, Maria Righetto. Fu così che, messo da parte il mestiere di falegname, Ermenegildo si gettò a capofitto nella nuova avventura. L’abilità di impastatore panettiere non gli mancava e nemmeno l’aiuto della sua consorte che si prodigava quanto lui. Era lei che faceva quotidianamente un lungo giro con il carretto trainato da un cavallo per recapitare l’alimento alle famiglie che si erano prenotate. A raccogliere il testimone di panettieri furono in seguito i figli Ettore e Luigi Pasquale, poi il solo Ettore con i figli e la moglie Gemma Filomena Pozzebon. Con questi il forno andava a pieno ritmo parallelamente al consumo di pane, divenuto ormai appannaggio anche dei ceti meno abbienti, mentre l’Italia si avviava a conoscere le brutture della seconda guerra mondiale. Anche qui si ripeteva il solito rito: i contadini portavano al forno il loro raccolto in periodo di trebbiatura stivato nel granaio al terzo piano, ricevendone in cambio un certo quantitativo di pane, detratte le spese per la trasformazione in farina e poi per la cottura. Il forno, alimentato a legna, veniva acceso alle due di notte e occorrevano circa due ore per portarlo alla temperatura adatta. Ettore e Filomena erano gente dal grande cuore. Quante volte avevano tirato una croce sul debito di qualche famiglia povera. E come dimenticare il loro altruismo verso le famiglie di sfollati dall’Istria, quando finita la guerra, questa regione era passata definitivamente alla Jugoslavia? Per questi sfortunati quanto pane uscì gratuitamente dal loro forno! Nel 1970 il forno dei Porato fu spostato a fianco dell’osteria dei Grespan “Vaintinéti” in Via Pravato e pochi anni più tardi in Piazza Andreatti dove si trova attualmente, condotto da una nuova generazione della stessa famiglia. Il primo forno Vendramin si deve ad Antonio (1914), che lo costruì a Sovernigo dopo un periodo di emigrazione in Argentina. Ad aiutarlo era papà Emilio, il quale da buon stacanovista faceva il doppio lavoro di panettiere e muratore. Si alzava alle tre del mattino per impastare il pane e alle otto era già a cavallo della sua bicicletta per l’altro lavoro. Morì per superlavoro all’età di soli cinquantatrè anni. A condurre il forno, mentre i figli maschi erano partiti per la guerra, ci pensò poi mamma Emma con le figlie. Erano davvero tempi di gran fame, ma un pezzo di pane non si negava mai a nessuno. E Emma talvolta lo toglieva dalla tavola per condividerlo con chi le chiedeva aiuto. Il cortile dei Vendramin e quelli di alcuni confinanti, ospitavano le cataste di legna fatta arrivare dal Montello. Il pane acquistato veniva annotato su un libretto, che si onorava, grandine permettendo, al momento del raccolto. Spesso, di fronte all’indigenza di alcune famiglie, i fornai vi tiravano sopra una bella croce. A fabbricare il pane talvolta prestavano la loro opera anche dei giovani di Sovernigo, ad esempio i Becevello (“Rasmi”) e i Pozzebon “(Majèri”), che si sentivano dei privilegiati. Ci si alzava dal letto a mezzanotte, impastando quindi la farina con acqua, lievito, un po’ di sale, e tanta passione. Da notare che la crusca un tempo si trovava naturalmente nel pane, ora si compra al supermercato o addirittura in farmacia. Alle cinque del mattino già passavano per il forno i primi contadini che si recavano nei campi. Alle sei iniziava il giro per le strade. Allo strillo del panettiere tutti accorrevano allungando il collo sulla capiente cesta, a corroborarsi con quel piacevole aroma, che destava un certo languorino. 21 Da tempo il forno dei Vendramin di Sovernigo, Via 24 Maggio, è stato dimesso, ma continua ora in Via Trieste attraverso la discendenza. Dei sette figli di Emilio Vendramin è rimasto Italo, il più giovane, fondatore della nota pasticceria in Via Postumia, a Paese, che prosegue ora con la sua discendenza. Gino “Moretton” chi non lo conosceva? Figlio di Celeste Nasato, Antonio Gino (1913), oltre che marito di Antonia Vanin, era panettiere con forno a legna in Via Roma, di fronte alla ex scuola materna di Paese. Questi coniugi svolgevano la loro professione come fosse una missione. Erano coscienti di vendere un genere di prima necessità, che per il passato era stato appannaggio soltanto dei pochi benestanti che se lo potevano permettere. Per questo motivo si sentivano al centro dell’attenzione della gente. Oltre a fabbricare il pane facevano servizio di cottura per chi portava l’impasto da casa, ad esempio durante la settimana santa quando le famiglie andavano a cuocere le focacce pasquali. Pur svolgendo un’attività primaria, sembra che nessuno dei panettieri di allora si sia arricchito. In Padernello c’è il panificio avviato da Antonio Baratto ed ora condotto dai suoi eredi. Antonio era un artista del pane. Figlio di Luigi, che faceva il calzolaio in Via Trieste a Sovernigo, mestiere ereditato dai suoi precursori vicentini. Antonio invece preferì fare il panettiere, per lui non era soltanto un mestiere ma soprattutto una passione. Aveva iniziato da garzone, ancora tredicenne, presso il panificio di Gisberto Vendramin a Villa. Andava a vendere il fragrante alimento con una capiente cesta di vimini tenuta in equilibrio sul manubrio della bicicletta, gridando “paneeee…”. Si era poi messo in proprio rilevando nel 1980 il panificio di Gino Nasato (“Moretton”), in Via Roma. Cambiando di sede, si spostò nel 1984 a Padernello, conservando la tradizionale cottura a legna. In Postioma c’è da oltre mezzo secolo il Panificio Marconato, gestito dalla discendenza dei Marconato di Fanzolo di Vedelago, dove possedevano il “Molino di Ferro”. Il capostipite di Postioma era Virginio, il quale vi arrivò nel 1910 con alcuni fratelli per riproporre il lavoro familiare, ossia rilevando un molino nei pressi di Villa Tassoni, con annesso panificio. Dopo Virginio, nel 1959, prese in consegna l’attività il figlio Amedeo Antonio (1917), e dal 1978 è condotto dalla figlia di questi, Paola Marconato con il marito. Non si ha notizia che in Porcellengo ci fosse un forno da pane, tuttavia qualche famiglia lo gestiva in privato. Ad esempio i Billio che lo mettevano a disposizione anche dei compaesani, soprattutto nel periodo pasquale. Pizzicagnoli erano Biagio Rossi e il figlio Angelo, ma pure Carlo Desidera e la moglie. Questi gestirono il negozio fino agli anni Novanta Certo quello di panettiere era - e lo è ancora - un lavoro di grande sacrificio, con il fuso orario invertito: lavorare di notte e dormire di giorno, e così tutti i giorni della settimana, domenica compresa. All’inizio degli anni Settanta i panettieri ottennero finalmente l’esonero dall’obbligo di produrre e vendere il pane di domenica. Ciò fu da essi considerato una grande conquista, si concretava così il sogno di riposarsi e godersi la famiglia almeno un giorno alla settimana. Purtroppo ora è la grande distribuzione a premere per un ritorno alle origini. Nel tempo il pane è diventato un alimento per palati sempre più raffinati. Se ne produce di tutti i tipi e di tanti gusti e farciture. Talvolta i Governi sono dovuti intervenire per imporre il calmiere dei prezzi, assicurando a tutte le tasche la possibilità di consumare almeno il pane cosiddetto comune o calmierato. Oltre a quello tradizionale, una volta se ne produceva un tipo con lo strutto. Ora si può 22 scegliere tra tante varietà, forme e costi, costringendo i panettieri a preparare tanti piccoli impasti. Il pane è davvero un alimento che non conosce crisi. I NEGOZI DI ALIMENTARI Come si può intuire da quanto raccontato finora, non è facile risalire alle attività commerciali dei tempi andati, anche perché occorre distinguere le varie epoche. Intorno alla metà del secolo scorso i negozi di alimentari di Paese facevano capo ai Desidera in Via Roma, Dalla Riva a Villa, Balzera e poi Grespan (“Vaintinéti”) e Fantin (“Nanevaca”) nei pressi della piazza di Paese, Lucchese (“Canèo”) e Barbisan (“Binéti”) a Sovernigo, D’Alessi a Castagnole, Desidera a Porcellengo, Speronello a Postioma, Dino Miotto a San Gottardo di Padernello, ma in questa frazione precedentemente c’era stata la bottega di una certa “Isa Bona” e di “Archìe” Dalla Riva. A Padernello, in Via Ortigara, nel 1959, alimentarista e tabaccaio era Achille Nardi. Lo si rileva dal Gazzettino del Giugno 1959 che, in cronaca di Paese, riportava un articolo riguardante un tentativo di furto all’esercizio pubblico. Titolava infatti il quotidiano: “Tentativo ladresco sventato da una signorina”. Vi si leggeva: “«Aiuto, aiuto! Iladri! I ladri!» L’altra notte, verso l’una e trenta, queste grida hanno destato bruscamente i tranquilli sonni di parecchi padernellesi residenti in Via Ortigara. La voce concitata e spaurita era della signorina Lorenza Nardi, la quale, attraverso una cosiddetta «spia» del pavimento della stanza da letto, aveva potuto chiaramente vedere lo spostarsi del fascio di luce emesso da una lampadina a pila azionata da «ignoti» malintenzionati. In precedenza si era udito un lieve scalpiccio nel cortile. I ladri sono potuti entrare nel magazzino posto sul retro del negozio alimentari e tabacchi (proprietà del signor Achille Nardi) che guarda la strada comunale, attraverso una finestra dello stesso, dopo aver facilmente rotto una delle imposte. La visita deve essere durata brevissimo tempo. L’allarme della signorina, che dorme sopra il magazzino, ha mandato all’aria il tentativo di furto. Ci è stato riferito che il guardiano notturno dello stabilimento cav. Arnaldo Montini, verso le due, ha visto transitare per la strada, a piedi, tre giovani che sembravano avere abbastanza fretta. Del fatto si occupano i Carabinieri di Paese.” È una descrizione che può far sorridere, ma che manifesta come i tempi e le abitudini siano ora notevolmente cambiati. Nella stessa cronaca di Paese di quello stesso giorno seguiva una “Nota mesta” che dava notizia della repentina scomparsa del commerciante di Castagnole, sig. Luigi D’Alessi (1891-1959), fratello di S.E. Mons. Vittorio D’Alessi, compianto Vescovo di Concordia. Il D’Alessi era marito di Livia “Norma” Visentin e padre di otto figli (cfr. “Famiglie d’altri tempi”, vol. II, pag. 168). Nella cronaca del funerale emerge che esisteva ancora la Società di Mutuo Soccorso dell’Associazione Commercianti. Era una specie di assicurazione che risarciva i soci di eventuali improvvise perdite di bestiame e raccolto. Il negozio del casoìn Giovanni Barbisan (1879-1956) si trovava dal 1927 al bivio tra Via Trieste e Via Montello, dirimpetto alla Casa Alloggio, a fianco della Trattoria dove i suoi eredi gestirono in seguito anche un distributore di carburanti. In precedenza l’osteria si trovava a circa trecento metri più avanti verso Porcellengo, nella vecchia casa patriarcale dei “Binéti”, in sostanza a sinistra dell’imbocco dell’attuale Via Asiago. Vi si accedeva superando due gradini. Sul cortile della casa colonica era stato ricavato anche un campo per il 23 gioco delle bocce e della “borella” (birilli). Morto Giovanni, la gestione passò ai figli Galliano e Silvio, ma deceduti anche questi senza eredi, l’attività cessò definitivamente negli anni Novanta. In Paese sono ancora gli Zonta a commerciare prodotti caseari, attività che dopo oltre sessant’anni è ancora loro appannaggio con un negozio in centro a Paese (“Casa del formaggio”) e attraverso la vendita ambulante. Erano giunti in Via Roma nel 1934, provenienti dal Vicentino con Pietro che ha passato il testimone ai figli Giovanni e Ippolito. Alcuni anni fa la CCIAA di Treviso ha insignito la ditta di medaglia d’oro. A parte i panifici, erano questi i soli ad esercitare il servizio di approvvigionamento dei generi di prima necessità fino all’ultimo dopoguerra. Pur essendo pochi i punti vendita, non è che ci fosse la fila alla cassa come ora, perché di soldi proprio non ne giravano e talvolta si esercitava il baratto. Spesso si scambiavano uova e pannocchie con altri generi, magari in cambio di zucchero e qualche oncia di olio, oppure di un po’ di sale e tabacco. Era comunque in voga il libretto dove si annotavano gli acquisti, che veniva poi saldato in tempi indicativi, solitamente a San Martino quando si vendevano i raccolti, ma c’era anche chi poteva permettersi di onorarlo mensilmente. Il libretto era un retaggio delle tessere annonarie dei tempi del Fascismo. Succedeva qualche volta che il droghiere tirasse una croce sopra, quando si trattava di persone molto indigenti, impossibilitate ad assolvere al debito, come faceva spesso Giovanni Lucchese a Sovernigo o Emma Mardegan del panificio Vendramin (“Bomba”). Nulla si gettava e c’era chi si prenotava i vasi vuoti dello sgombro sott’olio per gustarsi finalmente una cenetta con il liquido rimasto, talvolta irrancidito. Il barattolo, opportunamente asciugato con la mollica di pane o la solita polenta, serviva poi come bacinella di abbeveraggio nel pollaio di casa. La carne poi era davvero un lusso. Le prime macellerie di Paese furono quelle di Bresolin e Dalla Riva poi rilevata dai Modesto (“Carnio”), ma solo i “signori” potevano permettersi di mangiare carne di manzo abbastanza spesso. Le famiglie dovevano accontentarsi di ciò che offrivano il pollaio e il porcile. Un affermato commerciante di bestiame era Giuseppe Novello Lorenzetto (1912) e poi il figlio Abramo. Macellai in Porcellengo e in Postioma erano i Martini, a Castagnole c’erano un tempo i Bresolin e a Padernello i Rossi, in località San Gottardo. A Postioma la storica macelleria già avviata da Mario Martini è ora condotta dai suoi figli. Come accennato, i principali commerci si tenevano nei mercati, soprattutto quelli di bestiame. Da Paese ci si recava normalmente al Foro Boario di Treviso o a Montebelluna, ma a Padernello si teneva ai primi di maggio la tradizionale e antica Fiera di San Gottardo. Si commercializzavano bovini, cavalli e altre merci di tipo rurale. Nei mercati si vendevano soprattutto prodotti agricoli, ma s’incontravano anche tanti mediatori che gli affari li facevano fare agli altri pur avendone un tornaconto per sé. Talvolta s’incontravano anche degli imbroglioni e non era poi così raro che qualcuno ci rimettesse anche delle piccole fortune. Gli imbroglioni, come le persone oneste, non sono mai mancati in ogni epoca. Nei mercati si offrivano anche delle ottime pietanze calde, soprattutto nei mesi invernali, con adeguate libagioni. Non mancavano i fotografi, e nemmeno gli artisti girovaghi che davano spettacoli per poche palanche. Al mercato generalmente andava il capo della famiglia patriarcale con il calesse. Era 24 l’occasione per permettersi qualche capriccio e spesso tornava piuttosto brillo e con i ricavi decurtati di un bel po’. I NEGOZI COMMERCIALI Attualmente il commercio è assunto a livelli merceologici universali, nel senso che pure a Paese si può acquistare di tutto. I commercianti si sono costituiti in associazione per difendersi meglio dallo strapotere della grande distribuzione che rende loro la vita assai difficile. Essi mantengono ancora la caratteristica insostituibile di offrire un servizio personale e a misura del cliente. Non poco, in tempi in cui si tende a dare importanza solamente ai numeri, intesi come quantità e profitto ad ogni costo. A ciò i Commercianti di Paese contrappongono la garanzia di qualità e il buon servizio. Tra i primi negozi apparsi nel territorio comunale, oltre a quelli di generi alimentari già citati, giova ricordare l’Orologeria Visentin, che aveva sede in Via Roma, in sostanza quasi di fronte all’imbocco della strada del Cimitero, poi spostatasi a Villa e quindi a fianco del cinema “Manzoni”. Pure la Fioreria Severin è aperta dal 1959 in Via Roma, accanto a quella che era un tempo la bottega di barbiere di Alessandro D’Alessi-“Marcioro”, poi divenuta cartoleria e negozio di giornalaio. Negli anni Sessanta apparvero in Paese i primi fotografi con proprio laboratorio di sviluppo e stampa fotografica, un lavoro prima inesistente, che era praticato soltanto da fotografi domenicali di passaggio. Fu una grande scoperta la macchina fotografica. Vale la pena ricordare che i primi studi sulla fotografia, parola che significa scrivere (grafia) con la luce (fotos), iniziarono nel 1813 con Joseph Nicéphore Niepce, a Gras, presso Chálon-surSaóne (Francia). Niepce è ritenuto il padre dell’invenzione, anche se in realtà la fotografia fu il risultato della convergenza degli esperimenti di numerosi ricercatori in vari campi: ottica, sviluppo della camera oscura, chimica, sostanze fotosensibili. Il primo succcesso si ebbe nel 1822 con la riproduzione su vetro di un’incisione di Papa Pio VII, che andò distrutta. La più antica immagine tuttora conservata risale al 1824. La fotografia diverrà tuttavia molto popolare, ossia di dominio pubblico, negli ultimi decenni dello stesso secolo quando gli studi fotografici iniziarono a proliferare anche in Italia, di pari passo con i fotografi ambulanti. Di domenica passava per le case di Paese un giovane fotografo della Foto Cine Ottica di Treviso, tale Egidio Conrad detto Nenni, nato in Svizzera, che la gente aveva soprannominato “Pinceti” per la sua esile corporatura. La domenica successiva ripassava per consegnare le stampe. A Paese il primo laboratorio fotografico fu quello di Zefferino Durigon, aperto verso alla metà degli anni Sessanta vicino alla cartoleria “Marcioro” in Via Roma, ma già pochi mesi più tardi apriva il secondo, dirimpetto al primo; era di Marcello Scattolin da Santa Bona, già titolare di uno studio fotografico in Zero Branco. Non durò a lungo questo esercizio perché già un anno dopo, il 9 febbraio 1966, veniva ceduta la licenza a Ruggero De Martin (1940), il quale nel 1973 lo trasferì definitivamente al fratello Marcello (1942). Ma anche il negozio del Durigon cambiò presto di mano per morte del suo titolare venendo rilevato da Alcide Barbisan, attuale titolare dell’omonimo negozio. 25 A quel tempo lo sviluppo e la stampa erano del tutto manuali. Per operare era sufficiente un buio sgabuzzino con una lampadina rossa o blu e tre bacinelle contenenti l’acido di sviluppo, il fissaggio e l’acqua: era la cosiddetta camera oscura. Più tardi arrivò il colore e ci si appoggiava a studi professionali sorti allo scopo dato che era un procedimento molto costoso. Una vera innovazione al sistema fotografico fu impressa dalla Polaroid, con la fotocamera a sviluppo istantaneo, che dava la possibilità di vedere in pochi istanti la realizzazione dei propri scatti. Sembrava una magia ed invece fu un’innovativa scoperta nel campo della chimica. Con un certo benessere arrivò anche il tempo in cui la gente iniziò ad acquistare la propria macchina fotografica. Una delle più richieste ed economiche era la Comet-Bencini che nel 1962 costava 3.500 lire. I più però ancora la prendevano a noleggio, giacché si trattava di un bene voluttuario. Da allora la fotografia ha registrato un balzo stratosferico in campo tecnologico, tale che è impossibile prevederne il futuro. Tuttavia una cosa è certa: una foto ha il potere di fermare il tempo. Le storie dei negozi fotografici Barbisan e De Martin sono riportate più avanti, rispettivamente nelle sezioni “aziende commerciali” e “aziende artigianali”. Parallelamente allo sviluppo urbano ed economico, a Paese, in Via Roma, aprirono altri negozi, ad esempio quelli di abbigliamento dei sarti Giuseppe Francescutti e Raffaele Feltrin, ma anche quello di Foffani in Via Curtatone, vicino al Ristorante Zanatta. I Francescutti si spostarono poi in un nuovo edificio in Viale Panizza. Bravi sarti ce n’erano anche altri che operavano in casa propria per sbarcare il lunario, alternandosi magari al lavoro di contadino. Uno di questi era Domenico Miglioranza (1887-1973), detto “Menèi Pittèr”, marito di Teresa Maddalena De Rossi (1895-1965). Una fruttivendola d’altri tempi era Leonilde D’Ambrosi, che gestiva un piccolo negozio nella casa dei “Cadrèri” in Via Piave. In seguito spostò l’attività in un piccolo locale della vecchia casa padronale dei Perotto, di fronte a Villa Quaglia. Oltre a mercerie vendeva zoccoli, galosse e sandali. Riguardo ai negozi di mercerie, forse il più gettonato era quello della signora Giannina, di fronte all’osteria “Osto Novo” in Via Roma. Un negozio simile è ancora quello di Bruna Severin (“Còte”), moglie di Giovanni Vendramin (“Bulgari”), in Via Battisti. Da non dimenticare poi il negozio di cicli e motocicli di Bortolo Giovanni Lazzaron, detto “Lino Pipa”, con annessa officina di riparazioni. Altre officine di riparazione biciclette e moto erano di Luigi Pozzobon (“Gaudìn”) in Via San Luca e di Eugenio Gamma in Via Postumia, a Villa. Tra le officine automobilistiche il precursore fu probabilmente Sergio Carraro, in Via Postumia, ora condotta dal figlio Bruno. A Castagnole invece si insediò la Cicli G. Tosatto, proveniente da Zero Branco, con commercio di biciclette e motociclette ma anche di elettrodomestici. Nel settore vanno annoverate pure le carrozzerie, che aprirono i battenti negli anni Sessanta. La più famosa in quei tempi era gestita dai Fratelli Brolli, in Via Postumia, di fronte al ristorante “Valentino”. Uno dei primi negozi di ferramenta e accessori elettrici di Paese del dopoguerra fu quello di Alberto Vanin, in Via Roma, che poi allargò l’attività ai casalinghi con servizio di bombole di gas butano, che venivano consegnate a domicilio previa cauzione per il serbatoio. Dopo di lui hanno continuato i figli. 26 Altri negozi di ferramenta del capoluogo comunale, che si possono definire “storici”, sono quelli di Colusso e Sottana e quello dei fratelli Pavan a Castagnole. A Padernello c’era il negozio cosiddetto storico, di casalinghi e ferramenta di Umberto Brunetta (1910-68), marito di Anna “Neta” Gabbin (1922), genitori di Adriano, titolare dell’attuale Vetreria Brunetta. A Castagnole a dominare la scena dell’intraprendenza commerciale fin dal primo dopoguerra erano i “Pavanoni”, i quali iniziarono l’asporto di liquami per conto terzi, dato che si era ancora immersi nella civiltà contadina. Nel 1919, fino alla vigilia della seconda guerra mondiale, commerciavano vini, gestendo con Ferdinando (“Nano”) l’osteria “Al Morer” a Monigo e un’altra a Musano condotta dal fratello Domenico. Negli anni Venti del secolo scorso acquistarono l’osteria di Pezzin, con distributore di carburanti a manovella, all’angolo tra la Via Cal Morganella e Via Generale Piazza, rimanendovi fino al 1941. In quel tempo Luigi Pavan, fratello di Ferdinando, diede origine ad una famiglia di panettieri acquistando il forno a legna già di Battiston. A dare notevole impulso all’attività furono poi i figli di Ferdinando, in particolare Angelo al quale non mancava il fiuto per gli affari. Ritiratisi i soci, Angelo ne rilevò le quote allargando notevolmente la gamma di prodotti commercializzati: per l’agricoltura, per l’edilizia, la casa, il giardino, e poi ferramenta e combustibile gassoso. A continuarne l’opera sono ora i suoi figli Giuseppe e Luciano, la terza generazione di commercianti dei Pavan-Pavanoni. Un negozio che nel 1959 costituì una vera novità fu la fioreria Severin con servizio di onoranze funebri, aperto dalla signora Pierina in Via Roma, adiacente alla chiesa parrocchiale di Paese. Inizialmente Pierina Severin aveva raccolto il testimone dalla madre Assunta, venditrice ambulante di frutta e verdura, ma poi preferì cambiare attività. Attualmente il negozio è gestito dalle figlie. OSTERIE E LOCANDE Riguardo ai locali pubblici, ce n’erano di caratteristici, ma anche di chiacchierati per il loro modo di condurre. Tutti svolgevano una funzione sociale, giacché non esistevano altri luoghi di ritrovo, salvo gli oratori parrocchiali. Qualche oste aggiungeva acqua al vino per arrotondare gli introiti. A metà dell’Ottocento in Paese c’erano tre rivendite di liquori: la più antica sembra essere stata quella di Mario Bruttocao, che gestiva anche un alberghetto. C’era poi la “bettola” di Domenico Condotta e la rivendita di liquori di Luigi Pinarello. I liquori giravano liberamente già in tempi di vacche magre, come quelli dominati dalle truppe napoleoniche. Lo testimonia l’atto che segue redatto dal parrocorettore, della Parrocchia di Paese, don Costanzo Bozza (1769-1804). Il 10 novembre 1796 così riportava nel registro dei morti: “Faccio giuramento io sottoscritto che stamattina all’ore dieci circa fuori della porta del cortile di Giorgio Mattiazzi di questa Parrocchia fu ritrovata morta una donna di fresca età, cioè d’anni 25 circa colla testa appoggiata al suo fagotto, abbandonata, e forse anche uccisa da quattro soldati coi quali era la sera avanti in compagnia. Dal vestito dimostra d’essere ungara e pare da altri segni che vendette aquavite. Nel mezzo giorno fu sepolta in questo cimiterio alla presenza del M.to Rev.do Sig. D. Giacomo Rossetti Cappellano Curato, così avendo ordinato il Magistrato della Sanità di 27 Treviso che fù a fare la revisione, unitamente all’Officio del Maleficio della Città di Treviso. In fede”. Fino a non molti anni fa in Via Trieste si trovava l’osteria di Vendramin-“Scolo”. Era la più emarginata rispetto al capoluogo, dato che era l’ultimo locale pubblico prima della frazione di Porcellengo. Nella stessa strada si apriva quella dei fratelli Barbisan (“Binéti”), al bivio con Via Montello, dove arrivavano le giostre in occasione della “Sagreta” di Sovernigo. Di fronte alla chiesetta della borgata c’era l’osteria di Giovanni Lucchese (“Canèo”), la quale negli anni Cinquanta era l’unica ad avere un televisore. Il giovedì sera si riempiva all’inverosimile per la trasmissione di Mike Bongiorno “Lascia o raddoppia?”. Nei pressi del municipio, allora al bivio tra le vie Roma, Pravato e San Luca, l’osteria dei Grespan (“Valentinéti”), la cui licenza nel dopoguerra era intestata ad Amelia, ospitava spesso degli occasionali artisti girovaghi che si esibivano in cambio di qualche spicciolo. A fianco c’era il gioco delle bocce e della borrella. La trattoria Fantin (“Nanevaca”) era nello stesso posto di adesso, in Via Battisti e fungeva anche da sede del Moto Club “Dino Grespan”, con i suoi cinquecento soci. Da solo questo pubblico esercizio è stato testimone di gran parte della vita pubblica di Paese capoluogo, soprattutto negli anni che vanno dalla Ricostruzione a quelli post Boom Economico. A contribuire allo sviluppo commerciale della famiglia furono i nipoti di Giovanni e Camilla Lepes, figli di Arturo e di Ida Milanese, Augusto, Giobatta, Gianni, Bruno e Antonietta, i quali allargarono l’attività del primordiale locale, aprendo altri negozi nel settore alimentare e tabaccheria. A parte la trattoria, dove si svolgevano negli anni Sessanta/Settanta frequenti banchetti nuziali, fu aperto il negozio di alimentari, frutta e verdura, quindi la pescheria, e il bar con tabaccheria. Tutti questi locali dominano ancora il centro del capoluogo comunale. A Villa, di fronte al molino c’era l’osteria “Al Pedrocchi”. Questo esercizio pubblico durante la prima guerra mondiale era gestito da Angela Amabile Fantin (18921982), moglie di Luigi Condotta (1892). Luigi era fabbro ferraio e maniscalco. Costruiva recinzioni e cancelli e ferrava i cavalli in una casetta a fianco dell’abitazione in Via San Luca, mestiere ereditato dal padre Giovanni (1851), ma lavorava anche un pezzo di terra. Un giorno d’estate, durante la trebbiatura, si prese una broncopolmonite finendo all’altro mondo. La moglie Amabile Fantin, rimasta senza l’unico reddito, con due figlioletti da sfamare, gestì l’osteria “Al Pedrocchi” di Villa per alcuni anni. Per questo motivo da allora la famiglia Condotta è soprannominata “Osti”. Sulla statale Postumia (ora strada regionale), di fronte all’imbocco della Strada del Cimitero, c’era anche allora la trattoria Severin (“Còte”) e, un chilometro più avanti, verso Istrana, si incontrava l’osteria “Ai tre fucili” dei Deoni (“Màdaro”). Certamente una delle più conosciute era quella con cucina “Al Bersagliere” di Vincenzo Zanatta (ora Pasticceria Vendramin). In Piazza Quaglia si trovava la trattoria di “Piero dea Ida” (ora Club degli Spaghetti), dove negli anni Cinquanta/Sessanta spesso si riunivano gli eminenti di Paese; era anche sede dell’U.C. Paese. Lo si rileva dal Gazzettino del 20 Maggio 1959 in un trafiletto apparso in Cronaca di Paese, dal titolo “Una gara di velocità riservata agli allievi”. Vi si legge tra l’altro: “L’Unione ciclistica Paese affiliata al CSI organizza per domenica una gara di velocità in circuito chiuso riservata agli allievi. Essa si svolgerà su un percorso di m. 650 da ripetersi 15 volte I primi cinque di ogni batteria disputeranno la finale. Le iscrizioni vanno dirette all’U.C. Paese presso la 28 Trattoria Bellio in Via Piave, entro le ore 24 di sabato…”. Tra i premi in palio c’era anche la Coppa Comune di Paese. Di fronte a questo locale pubblico fu poi aperto anche il bar “da Bóte” (di Luigi D’Ambrosi). Proseguendo verso la chiesa, prima della vecchia scuola materna, sulla sinistra, s’incontra ancora quella che era chiamata osteria “All’Osto Novo”, dirimpetto alla quale c’era il negozio di mercerie e abbigliamento della signora Giannina. Un po’ più indietro era aperto il bar-gelateria Polin, gestito da Dino “Frédo”, figlio di Guido, il quale, fino alla fine degli anni Settanta, gestiva anche un distributore di carburanti. A Castagnole, a metà del XIX secolo si conoscevano due venditori di liquori: Angelo Pavan, con licenza di “bettoliere” e Fiorino Bresolin. Nel secolo seguente i locali pubblici erano tre: l’osteria “Santi Angeli” di Giuseppe-“Gildo” Mazzobel, in Via D’Alessi; l’osteria con pesa pubblica e distributore “Esso” dei Pavan (“Pavanoni”), già di Pezzin, all’incrocio tra la Cal Morganella e la Cal Trevigiana; c’era inoltre l’osteria dei D’Alessi all’ombra del campanile della chiesa. Al lato di questo locale, nell’Ottocento, arrivava il corriere postale, carrozza trainata da robusti destrieri che faceva servizio di collegamento con altre località. I viaggiatori potevano fermarsi per mangiare e pernottare, giacchè la locanda disponeva anche di stanze attrezzate ad albergo per la sosta notturna. Oltre all’osteria, già nell’Ottocento, Luigi D’Alessi gestiva anche il negozio di generi alimentari. A parte i pochi rivenditori autorizzati, al tempo della dominazione francese e austriaca erano diffusissimi il furto e il contrabbando, e non solo di liquori, giacché ognuno cercava di arrabattarsi come meglio poteva pur di sopravvivere. All’inizio del Novecento a Porcellengo, di fronte alla Latteria Lazzari c’era l’osteria “Alla Gloria”, ma prima era gestita dai Polo. Fu poi ceduta a Modesto Rossetto, il quale era stato emigrante negli U.S.A. ritornando con le figlie italo-americane Mary e Jenny. I Rossetto gestirono il pubblico locale fino al 1948, poi continuò Mary con il marito Decimo Favotto. Verso la fine degli anni Sessanta subentrò il nipote di Decimo, Angelo Favotto, che lo gestì con la moglie Vittorina Toffolon. Fu poi ristrutturato, ricavandone un bar e un negozio di giornalaio e tabaccaio. Sulla strada per Castagnole, fino agli anni Ottanta, c’era anche l’osteria di Italia Barbisan. Altre osterie erano quelle di Fodato in piazza centrale a Padernello, “Carolina” in Via Ortigara, “Fiorin” (Marconato) a San Luca, e quella al “Majo” dei Miglioranza, gestita da Antonio Miglioranza (1903-97) con la sua sposa Emilia Severin detta Cornelia (1913), con gioco delle bocce, tutte nella stessa frazione di Paese. A Postioma l’osteria più antica sembra essere quella ora denominata “da Davide”, al bivio tra la regionale Feltrina e la vecchia Postumia Romana, di fronte alla chiesa. Probabilmetne è la stessa che si nomina in un atto di morte del 1787: “Addì 18 Maggio. Bortolamio figlio del fu Gasparo Zanata di Soriva della Pieve di Cervo, Diocesi di Feltre, d’anni 62 circa, morì jeri di passaggio all’Osteria di febbre putridoverminosa, così giudicata dal medico chiamato alla cura, ch’era di Treviso…”. Un’altra era quella da “Merlo”, poi ristorante “Al Cacciatore”, adiacente alle scuole elementari e ora dismessa. Da ricordare poi la trattoria “Parisotto” verso Signoressa, ripresa più sotto. Queste erano, a grandi linee, le attività commerciali del territorio di Paese. Un ripasso certamente incompleto, tuttavia sufficiente a fornirne un quadro abbastanza realistico. 29 Il commercio di cui nei tempi moderni si sente maggiore necessità è tuttavia quello della trasmissione dei valori fondativi della società, che stanno andando in caduta libera. E’ la grande sfida che coinvolge tutte le categorie della comunità paesana. La Trattoria Parisotto di Postioma Interessante ed emblematica appare la storia di questo esercizio pubblico, che si trova in Via Fermi (S.R. Feltrina) a Postioma, che vanta oltre un secolo di storia, termine non azzardato giacché durante la seconda guerra mondiale fu teatro di incresciosi avvenimenti ad opera delle squadracce fasciste. Ad avviare l’attività era stato Angelo Parisotto, classe 1863, marito di Maria Simonetto (1868-1927) da S. Pietro di Barbozza, località “Fagher” dove possedevano una malga. I coniugi Parisotto, contadini con una ventina di campi di terra, abitavano in una casa colonica, in una laterale di quella che era allora la Via Cal Trevisana, sotto il comune di Trevignano. L’Amministrazione non volle rilasciar loro la licenza, decisero perciò di costruire un nuovo edificio poco lontano, a circa 150 metri dall’abitazione, ma in Comune di Paese, il quale subito gli rilasciò il documento per esercitare la vendita di vini. Era il 1907 quando nacque l’osteria in una modesta stanzetta al pianterreno di una casa di due piani, in seguito rialzata di un ulteriore livello che fu adibito a granaio. Nel sotterraneo invece c’era la cantina. Trovandosi lungo un’importante arteria, ben presto gli affari presero un’ottima piega, tale che progressivamente il locale fu ampliato mentre all’esterno venne costruita una tettoia per il ricovero degli animali, che venivano legati agli anelli ancorati al muro e potevano nutrirsi nelle “bessole” (mangiatoie). A fermarsi di buon mattino erano i fruttivendoli che scendevano dalla Pedemontana (Maser, Cornuda, Nogarè), diretti al mercato di Treviso per vendere i loro prodotti. Facevano impastoiare le bestie consumando qualcosa pure loro prima di proseguire il viaggio. Ogni tanto qualcuno chiedeva da bere “in cardensa” (a credito), allora Angelo Parisotto, che era un furbacchione, versato del vino in una caraffa lo poneva all’interno della credenza, dicendo: “Ecco qui, il vino è in cardensa, in attesa che prima mi paghi…”. Ai due anziani coniugi subentrò il figlio Romano Vittorio (1897-1946), che intestò la licenza alla moglie Giovanna Callegari detta Ester ma conosciuta anche come Bianca. Fu durante la loro gestione che l’osteria venne ampliata e, dato che vi si trovavano sempre delle uova sode da mettere sotto i denti, fu battezzata dagli avventori “Osteria dei vovi”. Oltre alle uova si faceva anche servizio di ristorante. Toccò a Romano vivere una drammatica avventura che avrebbe potuto concludersi in modo assai tragico. Era la Settimana Santa del 1944 quando nel locale irruppe una squadraccia fascista guidata dal comandante “Lince”, il quale, rivolgendosi a Romano, gli chiese brutalmente di fare i nomi di alcuni partigiani che secondo lui frequentavano il locale, accusandolo anche di nascondere un mitragliatore. Con loro c’era infatti un giovane partigiano che avevano catturato e costretto a dire il falso per salvare la pelle. Romano si schernì dicendo che nessun partigiano frequentava la sua trattoria e che tantomeno nascondeva armi, ma quelli lo afferrarono traendolo con la forza nella stalla della casa vecchia con una corda attorno al collo, che legarono ad una trave del soffitto. Minacciavano di 30 impiccarlo se non avesse spifferato i nominativi. Per meglio convincerlo portarono ad assistere alla minacciata impiccagione il diciottenne figlio Danilo, che poi si misero a bastonare sotto la tettoia perché almeno questi parlasse. Nei piani superiori della casa erano ospitate delle famiglie sfollate di Treviso, reduci del bombardamento del 7 Aprile. Due giovani donne corsero a chiamare il parroco di Postioma, don Giovanni Capoia, e questi si precipitò trafelato nella stalla dei Parisotto dove Romano veniva seviziato. Il prelato, che conosceva i giovani fascisti, li chiamò uno ad uno per nome, prendendo subito le difese di Romano, affermando che questi al pomeriggio della domenica delle Palme si trovava in chiesa alla funzione dell’esposizione del SS. Sacramento per l’inizio delle 40 Ore. Il testimone, infatti, un certo Sartor di un paese vicino, era stato obbligato a suon di busse ad accusarlo falsamnente, dicendo che in quel giorno e a quell’ora aveva visto Romano prendere in consegna il mitragliatore. Fatto è che don Capoia riuscì a convincerli a rilasciare il Parisotto, non senza aver prima consumato pane e salame a sazietà a spese dell’osteria. Intanto il giovane prigioniero implorava il parroco di perorare la sua salvezza: “Piovan, piovan, mi salvi ché mi fucilano!”, diceva. Don Giovanni lo rassicurò che avrebbe fatto il possibile, quindi gli diede l’assoluzione prima che i malfattori se lo trascinassero via. Si seppe in seguito che lo avevano fucilato il giorno seguente. Da quell’episodio Romano non si rimise più e in soli sei mesi la famiglia Parisotto perse sia il vecchio Angelo (Dicembre 1945) sia Romano (Giugno 1946). L’osteria proseguì con la moglie “Bianca”, coadiuvata dai figli Danilo (1925) e Angelo Pietro (1943), rispettivamente sposati a Bertilla Sartoretto (1926) e ad Amalia Tonellato (1944). In particolare i quattro gestirono l’osteria dal 1951 al 1965, ma avevano anche la campagna da lavorare e si alternavano ora qua ora là di comune accordo. Alla morte di mamma “Bianca” la licenza passò ad Amalia Tonellato, moglie di Angelo. Il piatto titpico era di “polenta e osèi”, tanto che ci fu un periodo in cui era rinomata per questo. Nel 1965 intanto i quattro più la mamma si erano risistemati nel “Canton dea Casa Frata”, ossia nella vecchia casa dei Parisotto, così chiamata perché un tempo era stata un convento di frati. Nel 1975 la trattoria fu ampliata e modernizzata, pure alla tettoia esterna fu rifatto il look. Registrò subito un rinnovato impulso grazie soprattutto alla cucina particolarmente saporita e genuina, in cui si servivano succulenti piatti di animali allevati nel cortile dei Parisotto: oche, polli, faraone, anatre, il tutto accompagnato dalle verdure del proprio orto. L’ultimo passaggio della licenza avvenne da Amalia al figlio Francesco (1976), attuale gestore dell’ultracentenaria trattoria-ristorante, che rappresenta la quarta generazione di gestori, tutti ininterrottamente Parisotto. Pure la vecchia “Casa Frata” sta per essere ristrutturata. Rimane in mezzo alla campagna, possente come un baluardo, a testimoniare il tempo che se n’è andato portandosi via tanti eventi gioiosi e drammatici. L’artigianato e le attività professionali Dalla sua comparsa sulla terra l’uomo ha sempre fabbricato qualcosa con le proprie mani: immaginiamo i nostri antenati intenti a fabbricarsi archi e lance, oltre che a scolpire le selci per ricavarne frecce per cacciare, ma anche mortai per 31 pestare i cereali che servivano per nutrirsi, coltelli per scuoiare e sezionare le carni o dediti a plasmare la creta per farne contenitori. Si può ben affermare che fu questo il primo artigianato. Negli atti dei defunti di Paese, si trova la notizia di un artigiano deceduto mentre faceva manutenzione al tetto della Villa Loredan che si trovava a Villa di Villa, della quale è ancora visibile, ben ristrutturata, la barchessa, ora proprietà Severin: “11 Giugno 1767. Zammaria figlio di Domenico Ciscato di questa mia Parrocchia jerimattina alle ore 13 ca. precipitò dalla cima del Palazzo di Ca’ Loredan, ove stava lavorando, e restò istantemente morto in età d’anni 25 ca., fu sepolto in questo cimitero alla presenza di me Don Giuseppe Bozza Rettore”. Con l’avvento dell’era tecnocratica, gli artigiani erano chiamati “artisti”. In pratica erano persone che si ingegnavano in qualcosa di diverso che non fosse il lavoro bracciantile, di contadino. Dal loro estro uscivano gli utensili che si usavano quotidianamente in famiglia. Costruire arnesi con le proprie mani è quindi un’arte antica, che deriva dalla trasmissione di esperienze praticate da mani sapienti e da menti fantasiose, tramandate con continuità di padre in figlio nei secoli e giunte fino alle moderne generazioni. Di questa ricchezza, sapienza e tradizione è fatto l’artigianato di oggi, il quale con l’aggiunta delle moderne tecnologie ha sviluppato un enorme patrimonio di conoscenze e di esperienze incalcolabile, volano della vita produttiva di oggi. Non c’è stata persona o famiglia nell’andar dei secoli che non abbia contribuito ad accumulare questa ricchezza. Fino a pochi decenni or sono in molte famiglie si filava la lana con la cornetta che poi serviva alle donne per sferruzzare e confezionare indumenti. Ma pure tanti uomini avevano in casa, il più delle volte sotto il portico, un proprio laboratorio per la produzione degli attrezzi agricoli, che costruivano quando l’attività era ferma per la rigida stagione. Rastrelli, pale, forche, falci, carriole, carri, aratri, capponaie, setacci, ceste, crivole, sedie impagliate e tanti altri arnesi, lavorati a mano, uscivano dalla maestria dei contadini più intraprendenti. A metà dell’Ottocento in Paese dal calzolaio Pietro Basso si potevano trovare zoccoli e “galosse in legno e curame”, ma anche sandali. Nei primi decenni del Novecento c’era pure chi si divertiva ad applicare il proprio talento artistico nella costruzione di miniature agresti. Uno di questi era Umberto Severin (“Rossato”), classe 1914, il quale già a quattordici anni esprimeva la bella vena artistica nella costruzione di trebbiatrici in miniatura, perfettamente funzionanti, utilizzando pezzi di latta ricavati da barattoli di conserva. Erano delle straordinarie meraviglie che uscivano da una mente vulcanica. Del resto i macchinari agricoli erano gli unici a godere di popolarità. E cosa mai avrebbe potuto inventarsi uno che aveva conosciuto solo la campagna? In seguito ne costruì altre, sempre più piccole e perfettamente operative, seguendo l’evoluzione e i modelli di quelle industriali. Con questi “giocattoli” vinse anche vari premi in mostre professionali promosse dalla Federazione San Liberale di Treviso. Un bravo artista del legno era Giuseppe Rossetto (“Buséto”, 1910-2000) di Sovernigo. Aveva fatto il falegname fin da giovanissimo, sulle orme del padre Valentino (1878). Lasciata l’attività in proprio ben avviata nelle mani dei figli, da pensionato si dedicò a riprodurre scene di vita agreste in miniatura. Si rivelò un vero artista, tanto da partecipare a mostre e mercatini. Peccato che molte delle sue opere siano poi andate perdute. 32 Si svolgevano un tempo mestieri che nell’era moderna sono ormai passati di moda: il maniscalco forgiava i ferri per gli zoccoli dei cavalli; lo straccivendolo raccoglieva indumenti usati, ferrovecchio, ossi e setole di maiale per rivenderli alle fabriche di abbigliamento, spazzolifici, ferriere; il carradore applicava i cerchioni di ferro alle ruote lignee dei carri agricoli; il bottaio, la cui funzione era quella di costruire tini e botti per la pigiatura e la onservazione del vino; l’impagliatore di sedie, detto anche “pajéta”, ma con lo stesso nomignolo fu poi chiamato anche colui che inseriva i mannelli di frumento nella trebbiatrice; lo stagnino invece si era assunto il compito di tappare i buchi a pentole, casseruole, secchi e paioli utilizzati in cucina; il calzolaio, comunemente detto ciabattino ma anche “scarpèr” e “caleghèr” riparava le calzature, con la variante di “zocolèr”, ossia intagliatore di zoccoli e galosse; il campanaro addetto al suono delle campane che si svolgeva tirando più volte il giorno le lunghe corde che arrivavano fino alla cella campanaria; il materassaio confezionava materassi con le brattee delle pannocchie o con la lana; lo stradino aveva il compito di curare le strade, tappando le buche e segando l’erba dei cigli con la falce; il “moléta”, così detto perché affilava coltelli e forbici con una mola azionata dai pedali della bicicletta; l’ombrellaio riparava gli ombrelli. C’era anche la guardia campestre, come c’è ora la guardia forestale demaniale. Sono solo alcune delle professioni di un tempo che si svolgevano in modo del tutto manuale. La Pro Loco Comunale di Paese nel 1966 traduceva questa rassegna in una pubblica mostra dal tema: “Vecchi mestieri e botteghe di Paese”. Chi li praticava era un misto tra l’artigiano e il prestatore di servizi. Anche in quest’ultimo settore si distinguevano un tempo alcune figure: medico, insegnante, impiegato comunale, postino, sacrestano, custode cimiteriale, ma anche fotografo itinerante, venditore ambulante e soprattutto bracciante agricolo. Questo era un mestiere che molti sapevano fare, ma spesso si trattava semplicemente di scambio di manodopera, soprattutto tra piccoli proprietari terrieri e vicini di casa. Il compenso era il pranzo o la cena, in reciprocità, secondo le usanze del tempo, quando darsi una mano non era solo una prassi ma anche un valore di solidarietà consolidato. Riguardo al maniscalco, mitico rimane Giulio Biscaro, che verso la metà del secolo scorso aveva una casupola attrezzata allo scopo in Via Trieste a Sovernigo, proprio alla cancellata d’ingresso dell’attuale Casa Alloggio di Paese, già casa della famiglia Biscaro (“Biscari”), allora proprietà dell’Ospedale di Treviso. C’era una volta e c’è ancora il “bandéta”, ossia il costruttore di grondaie, un mestiere che si è pure notevolmente evoluto sia nelle forme sia nell’impiego dei materiali (dal legno, allo zinco, all’acciaio, al rame). Lattonieri erano allora Dino Piva a Padernello, Gianni Vendramin (“Giacomèl”) a Paese capoluogo, e i fratelli Marconato a Sovernigo, figli del fabbro Giovanni detto Joanìn. Artigiani in Padernello fin da tempi remoti erano gli antenati degli attuali Gabbin. Luigi Gabbin (1830), fu il precursore di una famiglia di calzolai, tanto da essere soprannominati Scarpèri. Un mestiere tramandato di padre in figlio per quattro generazioni, risalente agli albori dell’Ottocento. Per il suo lavoro Luigi si serviva di scalpello, raspa, sguba, tenaglia, martello, bròche (chiodini) e stringhe di curàme (pelle grezza), oltre naturalmente alla materia prima che ricavava dai morèri (gelsi) e dai talpóni (pioppi padani), talvolta dai roveri. La sagomatura avveniva su una mussa da socolèr, un banchetto attrezzato per sagomare zoccoli, appunto. 33 Luigi divideva questo mestiere con quello di contadino in località San Luca di Padernello. Al crepuscolo della sua esistenza, ne raccolse il testimone il figlio Giovanni Battista (1866-1938), che seppe imprimere una decisiva evoluzione all’attività di ciabattino tale che per i compaesani, Scarpèri divenne più usato di Gabbin. In Padernello emerge però un altro calzolaio come riportato dall’atto che segue rinvenuto nell’archivio parrocchiale, abitante a Sala d’Istrana e morto in circostanze misteriose, forse proprio mentre recapitava delle calzature da lui riparate: “1675 lì 17 Agosto. Zuanne da Padua scarper fù sepolto in codesto cemiterio essendo confessato et comunicato il 16 detto à Treviso in tempo dell’indulgenza. Habitava nella villa di Sala”. Ci fu un tempo in cui Luigi, Giobatta e Angelo Gabbin lavoravano insieme come calzolai: nonno, padre e figlio, tre generazioni insieme. Riparavano ma anche costruivano calzature su misura. Nei primi tempi si trattava di galosse e zoccoli, ma poi con la specializzazione eseguirono lavori che erano delle vere opere d’arte per i piedi più difficili o delicati. Sotto le suole delle galosse si mettevano delle brocche perché non si consumassero troppo in fretta e delle strisce di gomma per attutire il rumore. I Gabbin “Scarpèri” servivano gli abitanti di Padernello, ma anche quelli d’Istrana, di Pezzan e di Sala, ma molta gente arrivava anche da Paese e perfino dalla città di Treviso. Soprattutto Angelo era ben conosciuto e stimato per le sue qualità professionali. Frequentava dei corsi di taglio a Montebelluna, capitale mondiale della calzatura: la “Scuola Allievi Tagliatori Calzolai”. Nel 1954 ricevette l’attestato di maestro di taglio, diploma che gli fu utile per insegnare il mestiere a tanti giovani allievi. Dopo di lui il mestiere passò ai figli Ido e Giovanni Battista, cioè alla quarta generazione dei Gabbin-“Scarperi”. A Castagnole, nella prima metà dell’Ottocento, emergono i Genovese detti Zoccoler. Si trattava evidentemente di una famiglia che costruiva calzature di legno. Si lavorava tutta la settimana, e la domenica, dopo la messa, appese le sporte di paglia alla bicicletta, una per parte, si recapitava la merce a domicilio. A Paese capoluogo, nel secondo dopoguerra, calzolai erano Carlo Santin “Mòlo” (1903-63) e il figlio Giuseppe (1935-91), e Cesare Condotta (“Osti”). Ma ancor prima, nell’Ottocento, questo mestiere era prerogativa pure di Luigi Vendramin (1853-1930), dei Bulgari. Il soprannome Bulgari trae origine dall’importazione del pellame dalla Bulgaria. Luigi Vendramin faceva sì il calzolaio, ma anche il muratore. Una famiglia di geniali intraprendenti, con la tradizione di muratori, falegnami e fabbri, è quella dei Mattarollo (“Mataròi”) e Mattarollo (“Beji”) di Paese (cfr. “Famiglie d’altri tempi” - vol. II, dello stesso autore). Il loro passato è costellato di personaggi che hanno lasciato una notevole impronta nel tessuto sociale e in alcuni edifici pubblici. Spicca fra tutti Luigi Mattarollo (1862), chiamato “Jijo Grando”, marito di Luigia Severin, il quale ufficialmente di mestiere faceva il fabbro, ma era un tipo davvero versatile e pieno di idee. Sapeva riparare macchine per cucire, orologi da taschino, trebbiatrici e macchinari di vario genere e perfino costruire meridiane. Era anche un bravo contabile, aveva un talento innato per la matematica e l’astronomia, sapeva suonare il pianoforte e l’organo leggendo gli spartiti pur essendo autodidatta. Possedeva una stanza piena di libri nella quale si ritirava appena gli restava un po’ di tempo libero. Un giorno fu 34 chiamato presso la stazione di Paese a riparare una locomotiva che non voleva ripartire, riuscendoci brillantemente mettendo in imbarazzo gli ingegneri ferroviari. Riguardo poi ai “Beji”, rimane indimenticabile Elia Mattarollo (1889), fabbro pure lui, che esercitava con grande competenza il mestiere imparato dal padre Eugenio quand’era emigrato in Argentina all’età di quattordici anni. Costruiva attrezzi agricoli per i contadini delle pampas. A ventitrè anni, emigrato in Canada, a Toronto, faceva il meccanico per una compagnia ferroviaria e lì si era costruito un idrociclo, una bicicletta che andava sull’acqua come un moderno pedalò con la quale si recava al lavoro evitando il caos del traffico. Della straordinaria invenzione parlarono anche i media locali, ma non ebbe l’accortezza di brevettare l’invenzione. In Italia se ne occupò pure il Gazzettino Illustrato del 21 Ottobre 1923: “Gli Italiani bravi all’estero”, era questo il titolo introduttivo al servizio giornalistico che lo vedeva ritratto sul suo veicolo acquatico. Elia, tornato dal Canada con il pingue bagaglio di eperienze, eresse dietro la casa, in Via Breda, un piccolo laboratorio di meccanico, dove riparava e costruiva biciclette, saldava il telaio con le sue mani e acquistava le ruote e gli altri componenti in un emporio trevigiano. In questo lavoro era spesso coadiuvato dalla moglie Annunziata Zanatta (“Maiuna”). Dal soffitto della piccola bottega scendevano due catene con il terminale a gancio, alle quali venivano appese le biciclette per il manubrio e la sella. Con i risparmi della sua emigrazione americana, nel 1923 Elia acquistò la casa, la bottega da fabbro e il terreno che i Beji già tenevano da fittavoli. Elia, incoraggiato dal padre, diventò un artista del ferro battuto costruendo cancelli e ringhiere. Molte ville lungo il Terraglio si sono arricchite della sua arte. A lui si deve anche la croce sulla punta del campanile di Paese, così come è opera sua quella della chiesetta di Villa Onesti, che ha sostituito la statua di S. Giovanni Battista abbattuta da un fulmine. Fece anche da maestro a tanti giovani che venivano nella sua officina fabbrile per imparare il mestiere. Per un certo periodo fu il fontaniere comunale di Paese e Istrana, essendo anche un bravo idraulico. Un’altra famiglia di bravi artigiani era quella dei Fanton. Giuseppe Fanton (1886) prima della Grande Guerra aveva lavorato nel palazzo reale rumeno come scultore marmoreo e decoratore. Attribuirgli quindi il titolo di marmista equivarrebbe a sminuirne le qualità artistiche. A lui si devono i monumenti ai caduti della prima guerra mondiale eretti a Sant’Antonino e a Dosson di Casier. La sua bottega di scalpellino era in Via Calmorgana a Paese, ora via mons. Breda. Sbarcava il lunario soprattutto scolpendo lapidi funerarie, acquistando la materia prima presso le famose cave di Carrara. A raccoglierne il testimone fu poi il figlio Giovanni, che esportò il notevole talento artistico in Canada, onorando il nome della sua famiglia e dell’Italia. Ora le sue opere, in particolare monumenti, abbelliscono le più belle piazze di molte città canadesi. Deceduto recentemente anche Giovanni, a continuare la stessa professione, in Canada, è ora il figlio Giuseppe chiamato Denis. * * 35 * A Postioma e a Castagnole ci sono i Bertuola detti Favari. Si tratta di una famiglia che, come dice il soprannome, lavorava il ferro, ma anche il legno, tradizioni che si tramandano dal XIX secolo. Luigi Bertuola (1862-1923) fu il precursore di una lunga discendenza di falegnami che continua tuttora. Il fratello Giovanni (18581935) invece faceva il fabbro. Dopo di lui pure il figlio Giorgio (1903-75) fece il fabbro, ma in modo evolutivo secondo i tempi: costruiva macchinari per la lavorazione della terra, attività raccolta poi dal figlio Agostino (1962). Pure Sante (1860-42) ebbe una discendenza di fabbri con il figlio Antonio (1890-1970) che, emigrato a Castagnole nel 1922, si mise a fabbricare rimorchi e altri macchinari agricoli, una specialità che continua tuttora attraverso i nipoti, figli di Sante e Giulio, mentre i figli di Ferruccio e Giuseppe tennero la falegnameria. Un altro figlio di Sante, Giovanni (1905-85), marito di Antonia Giacomel, faceva il fabbro-carpentiere, mestiere poi raccolto dal figlio Giuliano. Un altro figlio di questi, Mario (1941) emigrò in Australia per fare il fabbro, fabbricatore di macchinari agricoli, esportando così la consolidata tradizione di famiglia. Lavoro a cui dopo qualche tempo, con una geniale intuizione volse le spalle per fare il pasticcere, produttore di “pies”, la pizza australiana, e fu la sua fortuna. Fondò infatti la “Sam’s Pies”, una ditta di catering per mense aziendali e istituti scolastici, dando lavoro a diverse maestranze. Recentemente l’ha ceduta per godersi la meritata quiescenza. Sul fronte dei Bertuola “marangoni”, troviamo Antonio (1859-1969) figlio di Luigi, il falegname. Antonio costruiva serramenti e mobilia in arte povera, ma anche casse da morto. Gli bastavano due cavalletti e poche assi per costruire un letto matrimoniale. Era soprannominato “Toni Tacon” perché eseguiva riparazioni mettendoci delle toppe di legno. Per un lungo periodo, nei primi decenni del secolo scorso, fu l’unico falegname in Postioma. Ad Antonio succedettero in qualità di falegnami i figli Carlo (1923), Luigi (1926) e Mario (1932), tutti Bertuola soprannominati comunque “Favari”. A parte i primi due, che continuarono il mestiere tradizionale, a distinguersi diversificando l’attività pensò Mario, che si mise a costruire lussuose caravan per giostrai. A Carlo, subentrò il figlio Sergio, fino al 1998. L’altro figlio, Livio, è titolare in Postioma della Quadreria “Palladio”, nel segno della tradizione familiare, ma soprattutto dell’evoluzione, che continuano comunque anche con i cugini Graziano e Lino, figli di Alberto, costruttori di serramenti basculanti. Tra il XIX e il XX secolo, in Porcellengo svolgeva la professione di falegname Amedeo De Cesaro. Lo si rileva da una nota spese relativa alla costruzione dei banchi per la chiesa, commissionati dalla locale fabbriceria. Sarti in Porcellengo, intorno alla metà del XX secolo, erano Nello Barbisan, Celinda Mazzobel, Luigina Favotto e le sorelle Flavia e Teodora Rossi. Falegnami in Padernello erano, e lo sono ancora dopo un secolo, i Piovesan. Ad iniziare l’attività fu nonno Domenico a cavallo delle due guerre mondiali, per poi cedere il testimone al figlio Guido, che lo lasciò prematuramente nelle mani di Adriano, attuale titolare della falegnameria in Via Giusti. Tre generazioni di bravi marangoni, che lavoravano anche per conto delle Industrie Montini, ma la sequenza sembra destinata ad esaurirsi giacché non si intravedono eredi all’orizzonte che possano dare continuità all’azienda per discendenza maschile. Un’altra falegnameria era quella di Renzo Bordignon, detto “Pino”, in Via Trento, la cui continuità è ora nelle mani del figlio. 36 Lo stesso si può dire del falegname Giosuè Boldrin, residente pure in Via Trento a Padernello. * * * Un lavoro del tutto manuale è quello di barbiere. Nel capoluogo comunale, in Via Roma vicino alla chiesa esercitava Alessandro Melchiorre D’Alessi detto “Marcioro” (da Melchiorre, appunto), ma prima di lui facevano i barbieri anche i fratelli Pietro e Lino in uno stanzino all’angolo di nord-est della casa dei “Campanèri”. Ad Alessandro subentrò il figlio Gianfranco dopo aver appreso il mestiere dal padre. Garzone di bottega di Alessandro “Marcioro” era Angelo Busato, che poi coadiuvò Gianfranco nella bottega di Villa, in sostanza si trattava di una casupola di fronte al “campetto” di Villa, presa in affitto dal mediatore Evaristo Bresolin. Al pensionamento del padre, Gianfranco D’Alessi si spostò nel “salone” del genitore in centro a Paese, lasciando il locale di Villa nelle mani del compaesano Giovanni D’Ambrosi (“Bote”), finché nel 1970, dopo un’esperienza di apprendista a Treviso, questo fu rilevato dall’ex garzone Angelo Busato, che vi rimase fino al 1980 quando decise di trasferirsi nello stabile di Via Postumia, dove si trova attualmente il salone “Angelo Moda”, acconciatore maschile. Altri barbieri in Paese erano Carlo e il figlio Luciano Bressan, in una sezione di quello che era stato il vecchio ristorante “Bersagliere”. Talvolta li coadiuvava anche Luigino, l’altro figlio di Carlo, ma soltanto nel dopolavoro. Al Centro Commerciale, in Via Fratelli Cervi, c’è il barbiere Guido Galatone, che ha rilevato la licenza da suo padre Rocco, marito di Assunta Becevello. A Padernello il primo barbiere fu Domenico Rizzato (1902-32), che aveva imparato il mestiere dai D’Alessi di Paese, con i quali era imparentato sposando Angela Anna D’Alessi (1905-99). Dopo di lui esercitarono i nipoti Sisto, Giovanni e Arnaldo. Ed è ancora attivo in Via Ortigara, nonostante la veneranda età: è della classe 1923. La moglie Elisa Zaratin (1930) faceva la parrucchiera. In Castagnole, fin dal dopoguerra era barbiere Giuseppe Pavan detto Pino, prima di passare il testimone al figlio Massimo. Nessun barbiere professionista c’era in Porcellengo, al contrario di Postioma dove esercitava già subito dopo la seconda guerra mondiale Livino Casarin, che ha ceduto la licenza alla fine degli anni Novanta alle figlie Barbara e Alex, attuali parrucchiere in Via Fermi. Paese: le attività negli anni Venti Nella guida di Treviso e Provincia del 1925 emergono le attività produttive del territorio comunale di Paese i cui principali prodotti locali erano cereali, vini e gelsi. La coltivazione di gelsi era correlata all’allevamento dei bachi da seta che apriva la stagione dei lavori a primavera e che per la famiglia contadina era una vera ricchezza. Commercianti di bozzoli in Paese erano Carlo, Giuseppe e Antonio Dalla Riva, nel cui negozio-magazzino si praticava l’ammasso, quindi Domenico D’Alessi a castagnole e Angelo De Marchi. I cereali si consegnavano nei depositi dei F.lli Garbujo, Giuseppe Dalla Riva, Angelo De Marchi, Luigi D’Alessi, Antonio Dalla 37 Riva. I coloniali (tabacchi, saponi e profumi) si vendevano presso il Magazzino Cooperativo. C’era perfino un cappellaio: Isaia Spirito, ma non è saputo dove esercitasse. I materiali per l’edilizia si potevano acquistare da Francesco Desiderà. Svolgevano l’attività di fabbri: Anselmo Biscaro fu Carlo, Luigi Mattarollo, Mosè Mattarollo, Elia Mattarollo, Giovanni Bertuola. Falegnami: Valentino Callegari, Abramo Condotta, Pietro Mattarollo, Arturo Mattarollo, Luigi Mattarollo, Abramo Mattarollo, Antonio Bertuola. I due magli mossi ad acqua erano dei Miglioranza Fratelli fu Osvaldo e di Antonio Bertuola. Molini: Billio (molino in affitto in Porcellengo), Miglioranza Fratelli fu Osvaldo, Luigi Marconato, Antonio Bertuola, Giovanni Favotto. Panettieri: Adriano Bresolin, Ermenegildo Poratto, Ernesto battifore, Luigi Pezzin, Fausto Dalla Riva, Giulio Tolomino, Ferdinando Nasato. Fruttivendolo era Arturo Fantin, e c’era la latteria dei Fratelli Visentin. Riguardo ai servizi sanitari si annotano due levatrici (ostetriche): Natalina Matara e Angela Martinato. Medici-chirurghi erano il dott. Riccardo Dalla Zorza e il dott. Leone Gingheusian. C’era un’unica farmacia a Castagnole, quella del dr. Franco Candiani. Negli anni Cinquanta aprì a Paese, in Via Roma, la Farmacia del dr. Sante Burlini, ora condotta dal figlio Antonio in Via Pravato. La pasta si produceva nella citata fabbrica Vettorello & Pistrelli di Porcellengo, ma anche nel laboratorio di Erminio Billio e Fratelli, probabilmente nella stessa località. Nella guida del 1925 si segnala anche la fabbrica di pesi e misure della Ditta Montini Policarpo & Figli. Proseguendo con i commercianti, troviamo i pizzicagnoli (salumieri): Casimiro Bresolin, Giovanni Barbisan, Giuseppe Pietrobon, Giulio Tolomio, Luigi D’Alessi & Figli, Lucchese Fratelli, Ferdinando Nasato, Giuseppe Dalla Riva, Antonio Dalla Riva, Arturo Fantin, Emma Miotto, Giuseppe Barbisan, Gio.Batta Santi. Come si può constatare, emergono più o meno gli stessi nominativi di cui sopra, ciò significa che erano titolari di più licenze. Molto pingue si prospetta l’elenco che segue relativo ai commercianti di vini, sia da esportazione che da consumo (osterie): Ferdinando Cavasin (negozio di grossista), Ida Bellio, Giuseppe Pietrobon, Antonio D’Alessi, Giuseppe Garbuio (a S. Gottardo di Padernello), Paolina Righetto, Luigi Lucchese, Giuseppe Dalla Riva, Giovanni D’Alessi, Giovanni Miotto, Angelo Parisotto, Domenico Bresolin, Matilde Vanin, Luigi Visentin, Giovanni Bertolin, Pasqua Munari, Giordano Badesso, Angela Signori, Giuseppe Barbisan, Arturo Fantin. Si trattava in sostanza delle osterie sparse nel Comune e forse qualcuna era poco più che una semplice “frasca” (osteria campestre). Tra gli artigiani troviamo pure i sarti e le sarte: Ernesto Vendramin, Giovanni Miotto, Luigi D’Ambrosi, Giovanni D’Alessi, Luigi Lucchese, Pierina De Marchi, Rosina Milanese, Giuseppe Francescutti. Per ultimo venivano le trebbiatrici ad acqua così come lo erano tanti molini mossi dalla spinta impressa dalle rapide dei canali Brentella e Piavesella opportunamente deviate. Svolgevano questo servizio per conto terzi nel territorio comunale Giovanni Miglioranza a Padernello, E. Marconato a Postioma, i Fratelli Billio fu Vincenzo a Porcellengo, la Ditta Montini Policarpo a Padernello, e Ferdinando Pavan a Castagnole. Per la cronaca si può aggiungere che nel 1925 era sindaco Domenico D’Alessi, segretario il cav. Lio Canaider, conciliatore il cav. Giovanni Lucatello. Esisteva la 38 Cassa Rurale di Prestiti, mentre il servizio di esattoria era svolto dalla Cassa di Risparmio della Marca Trivigiana, fondata quattordici anni prima. Interessante appare la storia dei Callegari (“Rissi”), falegnami in Via Roma a Paese. L’attività si svolgeva nella vecchia casa a tre piani ancora visibile di fronte al Club degli Spaghetti, al civico 114. Inizialmente la licenza apparteneva a Valentino Contò (1801), che l’aveva ceduta, anziano, a Melchiorre Callegari (1850), al quale era poi subentrato il figlio Valentino (1878) e poi il figlio di questi Melchiorre (1907), che nel 1935 trasferì la falegnameria nella nuova casa al bivio con la Strada del Cimitero. Il testimone di falegname fu raccolto quindi dal figlio Valentino detto “Tino”, che lo mantenne fino nel 2005, quando l’ultimo marangon dei “Rissi” con la quiescenza mise la parola fine alla secolare attività familiare. Testimone di questi passaggi generazionali è un ultrasecolare metro di legno, ancora ben conservato, che ogni anno veniva vidimato dall’Ufficio Metrico Provinciale corrispondendo la relativa tassa. Porta ancora ben impressa la prima punzonatura risalente all’anno 1872, mentre l’ultima fu apposta nel 1987. (foto metro) Melchiorre Callegari era soprannominato “Cèo Risso”, fu fondatore dell’AVIS di Paese e primo presidente dal 1959. Era anche consigliere in seno all’Associazione Artigiani della Marca, la quale, il 26 settembre 1982 lo premiò con medaglia d’oro “per il costante e generoso impegno a favore dell’Associazione”. Il mestiere di cariòto, ossia trasportatore, è vecchio quanto l’invenzione della ruota. A Paese si ha testimonianza di un certo Stefano di Gasparo fu Pietro Jaufner, che morì a Padernello il 10 febbraio 1827 cadendo accidentalmente sotto la ruota del carrettone. Proveniva dalla Val Venosta. Nella prima metà del secolo scorso svolgeva questo mestiere Luigi Bosco (1880), il quale trasportava inerti per l’edilizia con un carretto trainato da un cavallo. Nel periodo tra il 1926 e il 1939, lo praticava pure Silvio Pinarello (1902) per conto della ditta costruttrice della variante alla statale Postumia, che prima passava sul percorso dell’attuale Via dei Mille. Pur di guadagnare qualcosa in più aveva sbancato perfino parte del suo cortile di casa, vendendone il materiale. Lo stesso mestiere era appannaggio anche dei figli di Giovanni Nasato (1880, “Moretoni”) e di Maria De Marchi, la cosiddetta generazione dei “cariòti”, per il servizio di trasporto ghiaia e sabbia da costruzione che effettuavano con gli stessi mezzi. Fu questo un lavoro svoltosi a lungo in casa dei Moretoni. In sostanza era attivo ventiquattrore al giorno perché si andava in tutta la provincia e anche più lontano. Non era raro che quando all’alba partiva il primo “cariòto”, qualcuno fosse appena andato a riposare, di ritorno magari dal Polesine o giù di lì. Contemporaneamente a Padernello il carioto Callisto Mussato (1899), si serviva ugualmente di carretto e cavallo facendo servizio di trasporto per le sparute attività produttive e commerciali della zona. Andava ovunque gli fosse richiesto, dislocando qualsiasi tipo di merce: a Valdobbiadene e Conegliano a ritirare il vino per le osterie della zona; a prelevare il ferro alla stazione ferroviaria d’Istrana per conto della ditta Montini Policarpo; al Montello a caricare legna da ardere e per il laboratorio di zoccoli dei Borsato d’Istrana. Una citazione a parte merita la famiglia Pozzebon (“Pagoin”), che vanta una antica tradizione di mastri ferrai, ossia di fabbro. Una tradizione trasmessa di generazione in generazione fin dall’inizio del secolo scorso. Giovanni, Eugenio, Antonio e Luigi, figli di Domenico (1867-1951) furono precursori di una discendenza di imprenditori titolari di officine meccaniche che punteggiarono il 39 territorio comunale di Paese, una consuetudine che si tramanda ancora oggi e che continua con figli e nipoti (cfr. “Famiglie d’altri tempi”, vol. I, pag. 329). Una figura professionale ormai scomparsa è quella del tecnico referente dell’energia elettrica pubblica. Nel dopoguerra a Paese svolgeva questo servizio Pietro Vanin (1915), figlio di Carlo e Angela Bon, che in precedenza aveva militato nei Carabinieri Reali, dopo aver svolto il mestiere di bracciante dai Pavan (“Pavanéti”) di Castagnole per un sacco di cereali al mese, oltre al vitto e alloggio. Lasciata la Benemerita fu assunto all’Anonima Elettrica di Treviso, poi assorbita dall’ENEL, di cui il Vanin diventò responsabile di zona, con ufficio in Istrana. Quando a causa di un temporale saltava la corrente elettrica – cosa che accadeva assai frequentemente negli anni Cinquanta/Sessanta - occorreva recarsi nel suo ufficio per farla ripristinare. Con il diffondersi del telefono il disagio fu limitato, ma ciò avvenne soprattutto grazie alle migliorate tecnologie. Porcellengo: le attività nella prima metà del XX secolo Nella più piccola frazione del Comune di Paese già nel 1896, su iniziativa del parroco don Luigi Libralesso che aveva coalizzato una ventina di soci era sorta la Cassa Rurale che finanziava le attività economiche del paese concedendo prestiti a chi ne aveva bisogno. Riguardo alle attività c’è da dire che rispetto alle poche centinaia di abitanti si notava un certo fermento. A parte il Pastificio Vettorello e la latteria turnaria, negli anni Trenta c’era anche una fabbrica di gassogeni a legna e a carbone, la Frigonubex S.p.A. degli Olivotti in cui si costruivano apparati di carburazione ad olio pesante per automobili, motori marini e industriali con tanto di brevetto. Tra le imprese edili emergeva quella dei Barbisan, che negli anni Venti edificò il nuovo asilo infantile. Il titolare morì durante questi lavori, portati a termine da Alfonso Barbisan (“Binéti”) di Sovernigo. Al titolare dell’impresa subentrò il figlio Giobatta, quindi i figli di questo, Giovanni e Luigi. Luigi era il padre di Gabriele, titolare con i figli dell’attuale impresa edile Barbisan di Porcellengo, che, come si può evidenziare, hanno alle spalle una lunga storia. Negli anni Quaranta-Cinquanta esisteva in Porcellengo la falegnameria dei Fratelli Paulon, Antonio e Guerrino. Ma c’era anche quella di Giuseppe Schiavon, in Via Baldrocco, che nel 1948 si trasferì nel caseggiato visibile di fronte alla biforcazione per Postioma, in Via Turati. Schiavon costruiva essicatoi per la lavorazione dei bozzoli, ma era anche un esperto carpentiere, un vero maestro nella costruzione di tetti in legno. Rimase in quell’ambiente fino alla fine degli anni Sessanta, quando subentrarono le Officine Colla. Tra gli artigiani che fabbricavano arnesi agricoli c’era Dionisio Benedetti, abitante lungo la strada che da Porcellengo conduce a Castagnole. Costruiva attrezzi da lavoro e riparava veicoli agricoli, soprattutto ruote di carri. In un bugigattolo teneva anche una piccola officina per la forgiatura delle parti metalliche. Era un lavoro sudato, come del resto era quello del contadino prima dell’avvento della meccanizzazione. Un calzolaio che si chiamava Andrea Visentin dei “Momi” - ma tutti lo conoscevano per Attilio - lavorava in uno stanzino in Via Baldrocco, poi in Via Baracca. Era figlio d’arte giacché aveva ereditato il mestiere dal padre ed aveva 40 per allievo Attilio Trevisan, che operò da scarpèr in casa propria per qualche tempo, prima di abbandonare la professione e mettersi a fare il trasportatore di cereali con il suo trattore. Tra coloro che svolgevano lavori agricoli per conto terzi c’era Albino Favotto detto Giusto, che possedeva anche una trebbiatrice. Dopo di lui continuò Angelo. Lo stesso facevano i Barbisan, Mario e poi Renato. Possedevano motoaratrici e poi più moderni trattori, seminatrici, falciatrici, e altri macchinari che sopperivano all’impiego di tante braccia. Qualcuno lo chiamava il “cavallo di ferro”. Quand’era al lavoro aveva sempre qualche spettatore, giacché era una meraviglia vederlo in attività senza sudore, sbuffando e sussultando al comando di un uomo comodamente sedutogli sopra, trascinandosi dietro due aratri, un’erpice, un “rabio”, oppure soltanto un rimorchio. Il suo rombo sostituiva quelle che erano state le grida d’incitamento delle bestie che arrancavano tra i solchi. Tra i mestieri più richiesti, anche se stagionali, c’era quello di norcino, giacché molte famiglie allevavano il maiale e nei mesi invernali gli si faceva la festa. In Porcellengo i più richiesti erano Eliodoro Barbisan e Santo Baldassin, poi i loro figli, tra i quali Guerrino Baldassin considerato al pari di un veterinario che veniva spesso chiamato nelle stalle, soprattutto in caso di parto di qualche bestia. Tra il 1985 e il 1994 a Paese era stata avviata anche un’interessante esposizione artigianale, che si teneva in maggio sul piazzale dell’attuale mercato. Era una vetrina di prodotti fatti dagli artigiani del luogo che venivano portati a conoscenza del largo pubblico. Era soprattutto motivo di aggregazione e conoscenza reciproca fra artigiani, di stima e di scambio di esperienze, tali che se ne sente ancora la nostalgia. All’inaugurazione presenziava sempre qualche personaggio politico. La Mostra dell’Artigianato di Paese – così si chiamava – era promossa dalla locale Associazione Artigiani, che aveva come trascinatori gli artigiani stessi del posto capeggiati da Mario Biondo di Postioma e poi da Corrado Vendramin che si avvicendarono come presidenti. Erano sostenuti dalla Giunta di Angelo Pavan. Proseguì per una decina di edizioni, poi scemò. Un artigiano d’altri tempi: Guerrino Callegari Fra i mestieri artigianali che hanno nel tempo hanno subìto una straordinaria evoluzione ci sono quelli di fumista e idraulico. Ad impersonarli ambedue con grande maestria e straordinario ingegno, a Paese, era Guerrino Callegari (191699), figlio di Angelo “Caldato” e Teresa Pegoraro. Guerrino sapeva costruire cucine economiche a legna e stufe ricavate da fusti di carburante funzionanti a segatura e a legna, mestiere che aveva acquisito quando ancora adolescente frequentava l’officina di Elia Mattarollo (“Bejo”), all’inizio come meccanico di biciclette e poi fumista. Nel tempo queste attività, pur importanti e redditizie, lasciarono il posto a quella di idraulico. Guerrino in questo mestiere era un po’ figlio d’arte, giacché suo suocero Angelo Girotto, fin dal 1927, ossia da quando era entrato in servizio il Canale della Vittoria, era responsabile della zona nord di Treviso, ossia dei Comuni di Paese, Trevignano e Ponzano. Il racconto della dinamica vita lavorativa di Guerrino Callegari ci viene raccontata direttamente dal figlio Giuliano, medico, che prima di laurearsi, durante le vacanze scolastiche estive seguiva il genitore coadiuvandolo nella sua attività. 41 Non si può iniziare questa storia senza prima fare una considerazione su un bene primario: l’acqua. Da sempre il contadino è stato fedele amico dell’acqua, senza la quale non sarebbe possibile la vita e la terra sarebbe un immenso deserto. Talvolta assai ridotte erano le coltivazioni quando, nei secoli andati, dipendevano unicamente dalla piovosità del cielo, in particolare nel territorio di Paese, non esistendo sorgenti o corsi d’acqua naturali. Nei periodi di siccità ai contadini non restava che affidarsi al buon Dio, dal quale certo non prescindevano. Fu quindi salutata come una benedizione la costruzione del Canale Brentella, la grande opera idraulica realizzata dalla Serenissima catturando l’acqua del Piave a Pederobba. Il progetto era stato affidato a Fra’ Giocondo da Verona, un frate letterato, architetto e ingegnere idraulico, che iniziò la progettazione nel 1507 seguendone i lavori fino al completamento. La canalizzazione interessò 59 comuni del Trevigiano, compreso quello di Paese. L’acqua non serviva solo per i raccolti, ma soprattutto per gli usi domestici compreso l’abbeveraggio di persone e animali. Emerge in proposito un documento del Podestà di Treviso del 30 Aprile 1814, inviato al parroco di Paese perché lo portasse a conoscenza della popolazione diffondendolo dall’altare: “È introdotto un abuso in cotesta Parrocchia, che le donne vanno a lavare all’acqua della Brentella i pannolini immondi, e tutto ciò che vien loro fatto d’avere tra mani, e che abbisogni di essere mondato. Altri si fanno lecito di gittare in quel Canale ogni bruttura corrompendo la purezza di quella sola acqua che serve a dissetare gli uomini e gli animali. L’oggetto riguarda troppo d’appresso le discipline sanitarie. Io la prego di pubblicare dall’Altare che debbono tutti astenersi da tal abuso, mentre in diffetto chi mancherà sarà sottoposto alle penalità portate dai regolamenti sanitari”. L’opera fu in gran parte agevolata dal recupero della preesistente rete di canali realizzata nel XIII secolo. Passarono tuttavia oltre quattrocento anni prima che questa rete venisse potenziata con la costruzione nel primo dopoguerra del Canale della Vittoria, catturando le acque del Piave a Nervesa della Battaglia. L’atto di costituzione del Consorzio Canale della Vittoria fu firmato il 15 Agosto 1921 e l’inaugurazione avvenne l’8 Novembre 1925. Fu una specie di premio per le famiglie del territorio che erano state penalizzate da tre anni di guerra, in sostanza dal 1917 (ritirata di Caporetto) al 1919-20, ossia dopo la bonifica delle campagne dai residuati bellici. In quel periodo il grosso dei raccolti andò perduto e molte famiglie dovettero tirare la cinghia. Con quest’ultima imponente impresa idraulica si metteva definitivamente la parola fine alla grande sete della pianura trevigiana. Me se ciò riguardava i raccolti, per gli usi domestici si dovevano scavare a mano dei pozzi fino ad intercettare le falde freatiche del sottosuolo, profonde anche una cinquantina di metri come succedeva a Postioma. Nel 1932 finalmente si pensò di costruire una rete idraulica per usi civili, catturando le acque del Tegorzo a Schievenin incanalandole in tubi di ghisa o di eternit. Arrivava così anche nel comune di Paese l’acqua potabile distribuita inizialmente dai rubinetti a getto continuo delle fontanelle pubbliche, che si trovavano lungo le strade in prossimità dei borghi urbani, qualcuna ancora esistente. In seguito entrò in ogni casa, nelle cucine e poi nei bagni e perfino nelle stalle man mano che, a partire dagli anni Sessanta, la gente si costruiva la nuova abitazione. 42 A Paese l’acquedotto proveniente da Schievenin si dimostrò tuttavia insufficiente già prima del boom edilizio, verso la metà degli anni Cinquanta, e per far fronte al crescente bisogno di acqua si pensò di integrarlo costruendo dei pozzi pubblici dove maggiore era la richiesta. La prima traforazione interessò l’attuale Piazza Andreatti a Paese, la seconda il luogo di fronte alla chiesa di Padernello. Nel 1960 si rese necessario il traforo di un terzo pozzo a Castagnole, seguito quindi da molti altri sparsi in tutto il territorio comunale, mentre le nuove case crescevano come funghi. Per costruire questi pozzi occorrevano tubi del diametro di nove pollici, usando una sonda che richiedeva un traliccio alto dodici metri, nonché un argano molto grosso a due tamburi, azionato da un motore di adeguata potenza. In un secondo tempo fu sostituito da un trattore Fiat, serie “Diamante”. Il traliccio uscì dall’officina di Guerrino Callegari, progettato in scala 1:1 sul cortile di casa, usando spaghi e paletti di legno. Collaborò alla costruzione dell’argano Giovanni Gasparini, noto metalmeccanico artigiano di Paese. I due, che erano dei bravi professionisti, si capivano al volo: bastava tracciare con del gesso sul pavimento dell’officina il pezzo da costruire. Data comunque la continua richiesta e il crescente consumo di acqua, si pensò bene di aumentare la sezione delle tubazioni permettendone un afflusso più consistente, tale da sopperire ai pozzi, che furono eliminati tutti, tranne due. Per il nuovo percorso idrico furono utilizzati tubi in pvc e in lega metallica, mandando in pensione quelli di ghisa e eternit. Elia Mattarollo fu il primo idraulico comunale di Paese e i suoi primi impianti furono realizzati nelle ville dei signorotti locali. Guerrino Callegari lo seguiva ovunque imparando il mestiere, essendo suo dipendente fino al 1946, salvo il periodo di combattente. S’innamorò subito di questa nuova professione e, dopo un grave infortunio, si mise a fare l’idraulico in proprio. In particolare scelse di costruire pozzi nelle zone non ancora servite dalla rete idrica. Era l’unico a svolgere questo mestiere per un territorio di vasto raggio, ma si trattava anche di una scommessa con se stesso: era particolarmente attratto dall’acqua, che considerava un bene unico e prezioso da quando, durante la seconda guerra mondiale, aveva patito a lungo la sete nel Deserto Libico. Cominciò la sua attività di fabbro lavorando sotto il portico di casa, costruendo cucine economiche e stufe, senza perdere d’occhio quella di idraulico, fino a diventare idraulico comunale, cioè autorizzato ad eseguire gli allacciamenti dei residenti alla rete idrica pubblica. Guerrino costruì il suo primo pozzo a Morgano, zona risaputamente di risorgive, coadiuvato dai due fratelli più giovani, da un cugino e da alcuni amici. Tante braccia servivano per sollevare un peso di ottanta chilogrammi, fatto scorrere tra due guide, che si lasciava poi cadere sopra l’estremità di un tubo come un grosso maglio. Il tubo penetrava gradatamente nel terreno fino ad intercettare la falda. Sulla stessa tubazione veniva quindi avvitata una pompa a mano, pure costruita dal Callegari. Nel 1947, finita la guerra, l’attività andava a gonfie vele e Guerrino da solo non ce la faceva a star dietro alle pressanti richieste che gli arrivavano. Decise pertanto di assumere il primo dipendente e negli anni seguenti si aggiunsero anche altri giovani desiderosi di imparare il mestiere. Nella seconda metà degli anni Cinquanta comparvero le prime elettropompe ad uso domestico, che, collegate al pozzo, permettevano di portare l’acqua in casa e 43 nelle stalle dove furono montati degli abbeveratoi, sgravando i contadini di una parte di fatica quotidiana e migliorando il benessere degli animali. Cambiarono quindi anche le tecniche di costruzione dei pozzi e Guerrino subito le fece sue, costruendosi argani e adottando pompe a motore. Talvolta, per permettere il corretto funzionamento del pozzo, occorreva costruire un avampozzo del diametro di circa un metro, sul fondo del quale veniva posizionata una pompa elettrica o manuale raccordandola al tubo metallico già piantato nel sottosuolo. Sia la pompa elettrica sia quella manuale potevano essere collegate entrambe, ed anzi fu questa la soluzione più adottata. Era una tecnica usata quando la falda si trovava ad una profondità superiore ai sette metri dal piano campagna. La costruzione dell’avampozzo in cemento avveniva scavando i primi quattro o cinque metri con uno scavatore, che serviva anche a posizionare gli anelli di cemento. Per andare più in pofondità era quindi necessario calarsi sul fondo e scavare a mano con pala e piccone facendo scendere progressivamente nel sottosuolo i manufatti di cemento. In questo modo si raggiungeva una profondità di oltre una ventina di metri. Da qui, con una particolare procedura, si raggiungeva la falda piantando un tubo metallico (v. schema allegato). Queste erano le tecniche utilizzate nei sottosuoli ghiaiosi come quello di Paese, al contrario trattandosi di sottosuoli creosi che opponevano maggior resistenza, quali, ad esempio, i comuni del Parco del Sile, si usavano dei metodi adeguati per raggiungere lo strato ghiaioso, che poteva trovarsi anche ad oltre un centinaio di metri. È infatti risaputo che il terreno creoso non lascia filtrare l’acqua. Dalla seconda metà degli anni Sessanta, pur essendo serviti dal Canale della Vittoria, molti contadini si fecero costruire un proprio pozzo per avere acqua in autonomia. Venivano quindi piantati, con il sistema a percussione, tubi del diametro di quattro/sei pollici, profondi una ventina di metri. Raggiunto la quota di sottosuolo prestabilita, si mandava al loro interno dell’aria compressa finché l’acqua usciva limpida. Il tubo veniva poi collegato ad una grossa pompa azionata da un trattore e i campi venivano così irrigati con un sistema detto “a pioggia”. È questo un modo tuttora largamente in uso. Guerrino Callegari ebbe al seguito per un breve periodo un allievo straordinario, il quale s’interessò del suo lavoro per esportarlo non a scopo di guadagno personale, ma per altruismo. Si trattava di suo cugino, P. Giovanni Agnoletto, missionario dell’Ordine della Consolata in Equador. Il sacerdote, nel 1958 era rientrato temporaneamente a Paese dopo un decennio di missione e rimase entusiasta del lavoro di Guerrino. Decise perciò di farlo proprio dato che nella sua missione non c’era acqua potabile, ma solo un torrente inquinato da escrementi umani e animali. Per alcuni giorni seguì il cugino e le sue maestranze per imparare il mestiere. P. Giovanni ripartì per l’Equador con tre pompe in ottone, e quando ritornò a Paese dopo un lustro, esibì orgogliosamente le fotografie della prima pompa che era riuscito a mettere in funzione, mentre tutt’intorno gli indigeni facevano festa. Anche in seguito documentò le applicazioni idrauliche nelle scuole, nei dispensari e perfino nell’università di agraria che era riuscito a costruire in quel mondo benedetto dalla sua presenza. Nel frattempo Guerrino Callegari, lasciate le attività di fabbro e fumista, decideva di dedicarsi esclusivamente all’idraulica, soprattutto in qualità di tecnico comunale, costruendo o sostituendo tratti di acquedotto lunghi anche alcuni 44 chilometri. Tra questi si ricorda la sostituzione – nel 1972 – del tratto di Via Roma. Nei decenni seguenti continuò nella traforazione di pozzi di piccole e medie dimensioni mentre sopravvanzavano le nuove tecniche che agevolarono notevolmente anche questa pratica. Giunta l’età della pensione, questo straordinario artigiano, precursore dei moderni idraulici, si dedicò prevalentemente all’orto di casa, ma talvolta, per mantenersi in forma eseguiva anche piccole riparazioni per amici e conoscenti. Smise del tutto a ottantadue anni suonati, tre mesi prima di passare all’altra vita, lasciandosi alle spalle la costruzione di circa ventimila pozzi. Nella foto del 1967: Gita degli Artigiani trevigiani al Lago Bohinj a Bled (Slovenia). Accosciato, secondo da sinistra, è Guerrino Callegari. Si notano anche Guglielmo Berlese (al suo fianco destro) e Luigi Callegari (sesto da sinistra). In piedi, alle spalle di Guerrino si nota Melchiorre Callegari e dietro a questi Gioachino Agnoletto. Accosciato in primo piano, con gli occhiali, un certo Ferrarese, titolare del negozio “Campana” di Treviso. * * * Pure la trasformazione di alcuni prodotti alimentari è correlata all’attività artigianale, come abbiamo visto riguardo all’Industria Conserviera. Parliamo delle gelaterie, e a Paese erano numerosi i titolari di bar-gelaterie che provvedevano in proprio coi mestieri imparati spostandosi in grosse città, come fecero i Polin andando a Milano. Chi non ricorda i tipici carrettini che giravano per le strade con il fresco alimento? Vicino alla chiesa parrocchiale si piazzava ogni domenica Luigi D’Ambrosi (“Bóte”), il quale, oltre ai gelati offriva anche dolciumi e palle di castagnaccio, un altro in concorrenza era Guido Polin, ma pure i suoi fratelli a turno vi si dedicarono. Altre specializzazioni appartenevano e appartengono tuttora all’estro e alla fantasia dei singoli: imbianchino, idraulico, sarto, elettricista, carpentiere, giardiniere, orologiaio, panettiere e pasticcere, fabbro, falegname, senza dimenticare manovale e muratore. Da quanto sopra si può concludere che, in fatto di mestieri, Paese ha sempre marciato in ordine sparso, o meglio in un panorama lavorativo e produttivo variegato, non individuandosi una caratteristica produttiva tipica della zona, come ad esempio è la calzatura sportiva a Caerano e Montebelluna, la sedia a Manzano, l’acconciatura delle pelli ad Arzignano, il prosciutto a San Daniele del Friuli, il peperone a Zero Branco, il radicchio spadone di Treviso a Preganziol e dintorni, o quello variegato di Castelfranco. Ciò può essere attribuito al fatto che la Città ha sempre fatto sentire la sua influenza, catalizzando manodopera dalla periferia. Paese, per la particolare vicinanza, ha sempre dato un ampio contributo di maestranze in tutti i settori, ma pure in quello che fu poi chiamato terziario, cioè lo sviluppo e la prestazione dei servizi alle persone. Negli anni Ottanta si sono sviluppate notevolmente le lavorazioni decentrate, in particolare i laboratori di confezioni che operavano per importanti industrie, quali la Benetton e la Stefanel, ma sembra che anche questa forma sinergica sia ormai tramontata. Attualmente si produce un po’ di tutto. Artigiani in senso stretto possono essere considerati anche alcuni specialisti nella cura della persona, quali barbieri, parrucchiere, estetiste, ecc. 45 Donne e imprese Il 1983 fu dichiarato dalla Comunità Economica Europea “Anno dell’Artigianato”. Fu l’occasione per approfondire nel territorio trevigiano la funzione di questo importante settore, visto al femminile. Nella circostanza, da uno studio promosso dal Soroptmist International, Club di Treviso, in collaborazione con l’Associazione Artigiani della Marca Trevigiana, emerse che si stava allargando velocemente il gruppo delle donne imprenditrici le quali, con notevole fantasia ed operosità, contribuivano a vivacizzare il mondo produttivo mettendoci tutto l’intuito e la creatività tipica femminile. Per affermarsi stavano tuttavia ancora percorrendo un percorso in salita, assai difficile, ma già facevano registrare una notevole influenza in ambito imprenditoriale. Nel 1983, su 21.758 imprese artigiane della Provincia di Treviso, quelle a titolarità femminile erano soltanto 2.707, oltre a 209 contitolari. Primeggiavano le parrucchiere, seguite dalle produttrici di manufatti a maglia e dalle sarte, quindi dalle calzaturiere, ma figuravano anche 27 donne titolari di officine di serramenti e minuterie metalliche e 32 fabbricanti di mobili e arredamenti in legno. Una voce importante era costituita dalle imprese di lavatura e stiratura, oltre che dalle estetiste. Il Mandamento di Treviso, comprendente ventidue comuni, tra i quali quello di Paese, registrava nel 1983 ben 854 donne titolari di imprese artigianali e 66 contitolari. La parte del leone la facevano ancora una volta 260 parrucchiere in proprio, seguite da sarte e magliaie, quindi da titolari di imprese di lavatura, tintoria e stiratura. Certo i rapporti tra donne e imprese erano ancora molto complessi e si stentava a riconoscere in loro delle managers professionali. Era ancora un certo maschilismo a mettere i paletti, ossia i pregiudizi. Oggettivamente si nota che la grande maggioranza di imprenditrici aveva soltanto la licenza elementare e solo il 22% aveva assolto la media dell’obbligo, mentre il numero di coloro che avevano frequentato un corso professionale scendeva addirittura all’8%. Dato rimpinguato soprattutto dalle parrucchiere e dovuto alla specifica legislazione del settore. Tuttavia erano le stesse imprenditrici a non ritenere fondamentale l’istruzione e la formazione, indicando piuttosto molto determinante l’esperienza acquisita da dipendenti in realtà produttive. Solo il 10% aveva acquisito conoscenze dirette nell’impresa familiare. Le prime esperienze erano iniziate, per la maggior parte, in età tra 14 e 15 anni. Significativa anche la dimensione aziendale a conduzione femminile, che nei primi anni Ottanta registrava un massimo di tre dipendenti su circa il 75% delle imprese; l’87% erano donne. Le donne imprenditrici dimostrarono comunque di essere ottime organizzatrici del lavoro aziendale, distinguendosi in particolare nelle relazioni con l’esterno (banche, associazioni di categoria, rapporti con i fornitori e la clientela). Molte comunque lavoravano ancora in rapporto di subfornitura. Un altro problema, che si trascina in parte ancora oggi, è riuscire a conciliare la conduzione dell’impresa con la presenza in famiglia. Emblematica la frase di un’imprenditrice che giustifica così questo dilemma: “Per realizzare se stesse è necessario il lavoro; per realizzare la famiglia bisognerebbe non lavorare”. Si può condividere o dissentire da queste espressioni, ma sembrano tuttavia nascere dalla consapevolezza che è difficile conciliare i due aspetti. Alcune donne rinunciano a formare una famiglia 46 preferendo una brillante carriera, ma ce ne sono molte altre che sanno rinunciarvi per realizzarsi come mogli e mamme. Nel mondo del lavoro, nonostante leggi, agevolazioni e incentivi, esiste ancora uno zoccolo duro di imprenditori che penalizzano la maternità, con vessazioni e minacce nei confronti della donna, azioni malevole che andrebbero denunciate senza esitazione. Certo oggi la donna è ben inserita in ogni attività, dimostrando spesso di possedere una marcia in più, soprattutto nei settori ad essa più attinenti. La donna imprenditrice emerge e si distingue per la grande determinazione, competenza e fantasia nei ruoli più variegati: manager, insegnante, ricercatrice, artista, semplice lavoratrice. Più indietro, rispetto al maschio, rimane invece ancora nella rappresentatività politica. Imprese e ambiente Oggi non è più pensabile di continuare a produrre senza tener conto dell’ambiente. La ricerca tecnologica sta facendo un grande sforzo in tutti i settori avendo come obiettivo lo sviluppo sostenibile. Soprattutto nel settore edilizio si sta affermando la consapevolezza che confort e ambiente non sono un optional ma un preciso e inderogabile dovere da ricercare. Lo impone la trasformazione repentina delle condizioni climatiche del pianeta, vittima della concentrazione di Co2 che viene prodotto per creare energia. Già si fanno strada le tecniche ecobiologiche e soluzioni tipo come “Casa Clima” e “Casa Passiva”, sviluppato secondo concetti nordici per l’efficienza energetica, limitando notevolmente le emissioni inquinamenti. Generalmente la casa è detta passiva quando viene realizzata in legno strutturale, che è un isolante naturale in grado di sfruttare il calore derivante dall'irraggiamento solare trasmesso attraverso le finestre, nonché il calore generato dagli elettrodomestici e dagli abitanti dell’edificio, il quale è quasi sufficiente a compensare le perdite dell'involucro durante la stagione fredda. Gli edifici passivi, sviluppatisi nei paesi nordici, sono attualmente quelli più efficienti dal punto di vista energetico, tali da rendere superfluo l'impianto di riscaldamento convenzionale, consentendo la perfetta climatizzazione tramite un sistema di ventilazione. In Svezia si è arrivati ad azzerare i consumi energetici delle abitazioni con le case cosiddette appunto “ad energia zero". C’è da dire però che, mentre le nazioni dell’Europa Settentrionale, spinte da condizioni climatiche piuttosto rigide, incominciavano ad aguzzare l’ingegno in questo campo di ricerca, l'Italia è sostanzialmente rimasta a guardare e oggi il patrimonio edilizio nazionale è ancora un esempio di inefficenza energetica, salvo qualche sacca positiva. Qualcosa sta cambierà sicuramente con l'entrata in vigore della certificazione energetica obbligatoria degli edifici. “Casa Clima” invece è un modello sperimentato positivamente in Provincia di Bolzano, divenuto da Gennaio 2005 lo standard di costruzione edilizia di quel territorio. Il modello “Casa Clima” prevede tre classi energetiche: Classe Oro, quando l'indice termico dell'edificio non supera i 10 KWh/mq annui e per riscaldare un metro quadro di superficie abitabile è necessario un litro di gasolio, o un metro cubo di gas; Classe A, con un indice termico inferiore ai 30KWh/mq all'anno e un 47 consumo di tre litri di gasolio per riscaldare un metro quadro di superficie abitabile; infine la Classe B, con un indice termico inferiore ai 50 KWh/mq all'anno e una domanda di combustibile pari a 5 litri di gasolio. La casa di Classe A è considerata una costruzione in perfetto equilibrio "economico-energetico". A “Casa Clima” è associato un certificato che riporta in modo chiaro le caratteristiche energetiche della casa. Si tratta di un documento in linea con la direttiva europea 2002/91/CE e che esprime due tipologie di classificazione energetica: una si riferisce al livello di isolamento termico dell'edificio, mentre l'altra fornisce un indice dell'efficienza energetica della parte impiantistica, la cui certificazione ora è diventata obbligatoria in tutto il paese, ma l'obiettivo è quello di diffondere un nuovo modello costruttivo e forse il miglior punto di partenza resta sempre l'esempio di “Casa Clima”. La costante attenzione alle nuove tecnologie, ai sistemi sempre più evoluti e rispettosi dell’ambiente, alle nuove scoperte per il contenimento dei consumi e alternative energetiche oltretutto più salutari come quelle solare, geotermica, idrica e fotovoltaica è diventata un obiettivo etico, ma anche motivo di business; lo stesso dicasi per il campo delle nuove combustioni. I cambiamenti in queste branchie sono veramente repentini, e occorre non farsi trovare impreparati, pena l’uscita di scena. Ecco allora il ruolo della formazione in tutti i campi per stare al passo. Il Trattato di Kyoto è stato una pietra miliare, ma occorre creare cultura e radicare la sensibilità ecologica-ambientale che deve andare di pari passo con le specializzazioni settoriali. A questo riguardo c’è grande fermento e consapevolezza anche in molte aziende di Paese. Gli stessi criterii dovrebbero valere anche per il territorio – a Paese così disastrato -, che non si può continuare a violentare in nome del cosiddetto progresso, ma abbisogna di un grande sforzo comune per ricercare modi nuovi e materiali alternativi per la costruzione di edifici ed infrastrutture. L’INDUSTRIA A Paese le prime industrie fecero l’apparizione nel XX secolo. La prima in assoluto fu l’industria bellica di Marnati & Larizza, che dava lavoro a tante persone del territorio, perché non conosceva crisi date le continue guerre che hanno sempre interessato il globo, seguita dalle Montini, che facevano capo all’omonima famiglia. A Porcellengo sorse il Pastificio Vettorello, che ebbe un’importanza enorme per l’economia delle famiglie del luogo. Gravava sul teritorio comunale la Puppinato, industria meccanica, anche se si trovava in Comune di Quinto. C’erano poi alcune fabbriche minori quali la Facchinello e la fonderia Pozzebon, un’azienda tuttora insediata nella strada di Treforni, ai confini con il Comune di Treviso. A partire dagli anni Sessanta, a incidere nell’occupazione della gente di Paese fu soprattutto la Osram, insediata con un proprio stabilimento a Monigo per la produzione di lampade per automobili. L’azienda era allora particolarmente ricercata giacché dimostrava di essere all’avanguardia in fatto di organizzazione e modernizzazione degli impianti, ma anche per i contratti di lavoro mediamente più interessanti delle altre industrie del territorio. Vi trovarono occupazione molte 48 persone di Paese, uomini e soprattutto donne. Molte famiglie locali hanno tratto vantaggio dalla presenza della multinazionale tedesca e alcuni suoi dirigenti sono diventati stabilmente cittadini di Paese. Tra le industrie cosiddette storiche, troviamo la Arredamenti Mario Moretti & Figli, presente a Paese dagli anni Cinquanta proveniente da Treviso dove operava fin dal 1938. Un’altra azienda degli ultimi decenni, cresciuta fino a diventare piccola industria è la Tintoria Industriale Lunazzi S.p.A. il cui presidente è Ado Montana, socio anche della Stamperia Nardi s.r.l. Il Comune di Paese non può comunque definirsi un territorio altamente industrializzato essendo stato piuttosto interessato da un forte sviluppo artigianale, risentendo ora del “post-industriale”, vale a dire della contrazione degli investimenti a scopo produttivo preferendo invece quelli finanziari. Altrove, nelle grandi aree economiche, si sta già andando oltre, verso la “Innovation”, la Conoscenza, ossia si fa strada il concetto di condivisione di idee e tecnologie come patrimonio comune. Nel 1988-89 il Comune di Paese aveva destinato a Postioma un’area ad insediamento industriale e commerciale denominata “Archimede”, con il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali e della Regione, ma non fu mai realizzata. Una nota esaurientemente esplicativa si ricava dal quotidiano “Il Gazzettino” del 27 gennaio 1989, che titolava il servizio “Insediamenti a Postioma con il progetto Archimede”: “Piace all’assessore regionale al Lavoro, Aldo Bottin, il progetto «Archimede» che prevede l’attuazione a Postioma di Paese di un’area per insediamenti industriali, commerciali e di servizio per l’autogestione. Il progetto è stato illustrato durante una visita dell’assessore regionale alla Teknoup officine meccaniche, l’azienda di Postioma che insieme ad altre cooperative della zona si è fatta promotrice dell’iniziativa. Secondo il progetto Archimede, in un’area di circa 60 mila metri quadri di proprietà pubblica, dislocata ai confini dell’attuale sede della Teknoup in Via Gemelli, dovrebbero sorgere insediamenti industriali e capannoni per un totale di 25 mila mq. Nei rimanenti spazi troverebbero posto uffici e servizi comuni e in convenzione (sala riunioni, sala rappresentanza e servizi tecnici). È prevista inoltre un’area commerciale comprendente una zona di esposizione per i prodotti, punti di ristorazione, servizi tecnici e finanziari e un’agenzia per la formazione professionale. All’incontro con l’assessore regionale erano presenti il presidente regionale del Cenasca Cisl (Centro Nazionale Associazionismo Sociale Cooperazione Autogestione) Luigi Buratto e il direttore della Cenasca, Bruno Pozzobon, oltre al presidente della Teknoup e del Consorzio cooperativo autogestite di Villorba, Giovanni Callegari. L’Assessore ha rilevato come il fatto che il progetto sia previsto in una zona in cui è bassa la disoccupazione possa creare qualche difficoltà per la sua immediata realizzazione. Ha però annotato l’importanza di un consolidamento delle attuali attività produttive, impegnandosi perciò a valutare possibilità concrete di accedere a finanziamenti che consentano di avviare il progetto Archimede.” La Teknoup era nata dalla dismissione delle Officine Puppinato. Le maestranze che vi lavoravano decisero di mettersi in proprio, o meglio in cooperativa per 49 continuare l’attività. Attività che proseguì per un certo periodo finché dopo qualche anno cessò. LA “MARNATI & LARIZZA” (SIMMEL) È stata questa la più importante industria del Comune di Paese nel XX secolo. Pericolosa e spesso osteggiata, era tuttavia il motore economico di tante famiglie che si sono sfamate grazie alla produzione di ordigni bellici, attività che non ha mai conosciuto momenti di crisi. Sorta come deposito strategico durante la Grande Guerra, la “Marnati e Larizza” si è sviluppata gradatamente soprattutto a cavallo delle due guerre mondiali quando la produzione andava a pieno ritmo. Non furono pochi gli incidenti e, data la qualità della produzione, si può ben intuire che non si trattò di infortuni leggeri che purtroppo riempirono le pagine di cronaca dei quotidiani locali: ci furono infatti anche parecchi morti e feriti. Una rassegna in tal senso può essere ricavata dalla pubblicazione, edita a cura della Emerald S.p.A. nel 2004, “Dove ieri si fabbricavano bombe”, ma varie testimonianze dirette si possono dedurre dalla raccolta di volumi “Famiglie d’altri tempi”. Da semplice deposito il sito diventò una fabbrica attiva grazie ai due ex combattenti della Guerra 1915-18 Attilio Marnati e Filippo Larizza, che si misero in società nel 1927, fondando l’omonima ditta con sede in Bassano, dove loro stessi risiedevano. L’azienda si sviluppò gradatamente man mano che si acquistavano i terreni circostanti. Per convincere i proprietari veniva loro garantito un posto di lavoro all’interno della fabbrica. Molte sono le testimonianze che si potrebbero qui riportare di paesani che hanno lavorato all’interno della fabrica, tuttavia si riporta, come esempio, soltanto quella di Pietro Mosè De Lazzari di Castagnole, classe 1914, la cui abitazione distava a un tiro di schioppo dalla fabbrica. Molte sono le vicende, talvolta drammatiche, legate a quest’industria che - si dice - arrivò a dare lavoro in tempo di guerra a oltre duemila persone. Due volte, durante il secondo conflitto mondiale, alla casa degli «’Adari» volò via il primo piano per lo scoppio della polveriera bombardata dagli Alleati. Diverse persone perirono in queste circostanze, ma altri anche a causa dei frequenti incidenti provocati dalla maldestra lavorazione del tritolo, che veniva immesso nelle ogive. Successe anche il 4 ottobre 1934 quando rimasero uccise ventidue maestranze. Eppure, nonostante il grave rischio di perdere la vita, questa fabbrica bellica era assai ricercata dato che era una delle poche a dare lavoro stabile. E che altro si poteva fare in alternativa se non continuare a rompersi le ossa lavorando di zappa sotto il sole? Lo stabilimento era attivo ventiquattr’ore al giorno; la produzione media giornaliera era allora di un centinaio di bombe per addetto. Quotidianamente gli ordigni, confezionati in robuste casse di legno, partivano su strada ferrata verso destinazioni ignote, ma quel che è certo è che non si trattava di fronti pacifici. Durante il regime fascista la lavorazione registrò un notevole incremento, date le mire espansionistiche dell’Italia e le conseguenti guerre intraprese. Nello stabilimento si lavorava in due turni giornalieri e non bastavano gli uomini per star dietro alla crescente richiesta. Fu così che si offrì la possibilità di lavoro anche alle donne. 50 Ritiratosi Marnati, lo stabilimento passò interamente al socio Filippo Larizza. Questi lasciò in Castagnole la sua benefica impronta, soprattutto in favore della parrocchia, giacché sapeva di fabbricare strumenti di morte. La scuola materna fu dedicata alla sua memoria. Le sue ceneri riposano dal 1969 nel cimitero di Felette con quelle della moglie Marta Pocaterra, attrice romana grande appassionata di cavalli. Ogni anno, i parroci che si avvicendarono a Castagnole, don Aristide Prior, don Egidio Capoia e don Emilio Lazzaro, si recavano a celebrare la Messa nella fabbrica, in occasione della ricorrenza di Santa Barbara. Si faceva una gran festa, con pranzo e intrattenimenti vari. Nel tempo, mentre il territorio si sviluppava urbanisticamente e demograficamente, si prese coscienza che una simile industria non poteva coesistere con la popolazione sempre più esposta a rischi vitali, in virtù dell’evoluzione degli ordigni, divenuti progressivamente sempre più potenti e micidiali. Si arrivò così finalmente a disinnescare la fabbrica. La chiusura ufficiale, definitiva, porta la data del 15 giugno 1996, ma non fu un avvenimento traumatico sul piano dell’occupazione locale perché le maestranze avevano già in gran parte trovato un lavoro meno rischioso altrove, grazie anche all’interessamento dell’Amministrazione Comunale. Ora, dove un tempo si fabbricavano strumenti di morte, a cura della Emerald sta celermente sorgendo una moderna cittadella, con i suoi spazi verdi e i servizi essenziali, costruita a dimensione umana. Dal 2007 l’area ospita quello che ha tutte le caratteristiche per diventare annualmente il più importante evento culturale di Paese e dintorni: il Filòfest. LE INDUSTRIE MONTINI L’invenzione delle macchine, sviluppatasi nell’Ottocento, portò benessere anche nel territorio comunale di Paese con conseguente avvio delle prime lavorazioni industriali. Probabilmete la prima fabbrica in assoluto fu la Montini a Padernello, che cominciò l’attività nel lontano 1870, con lavorazioni in ferro battuto in genere. Il fondatore fu Policarpo Montini, padre di Arnaldo, Ido e Giuseppe, che ne raccolsero in seguito il testimone. Assai interessante appare la storia di quest’azienda, raccolta dalla viva voce dell’ing. Policarpo Montini, nipote e omonimo del fondatore. Il nonno era nato il 18 Maggio 1847 a Pezzan d’Istrana, in una famiglia di maestri elementari. A svolgere questa nobile professione erano i suoi genitori e forse addirittura i nonni di Policarpo. Una cosa straordinaria dato che l’istruzione era delegata esclusivamente agli ordini religiosi e considerato che ancora nel 1892 nel veneto l’analfabetismo toccava punte dell’85%. La scuola dell’obbligo, introdotta dalla Legge Casati fin dal 1859 era di sole due classi, ma pochi la frequentavano, quasi nessuno nelle campagne. Fu poi elevata a tre classi nell’ultimo decennio del secolo e a cinque nel 1940. Non fu facile tuttavia convincere i genitori che era importante istruire i figli. Pensavano infatti che fosse tempo perso avendo al contrario bisogno della collaborazione della figliolanza per il lavoro nei campi, dovendo assolvere all’obbligo di versare il dovuto ai legittimi padroni della terra. Policarpo Montini, rompendo quella che era una tradizione familiare, non seguì le orme dei suoi congiunti preferendo piuttosto dedicarsi ad un mestiere dove non occorreva meno ingegnosità, ma sicuramente foriero di progresso e dal quale era particolarmente attratto: il fabbro-meccanico. 51 Era un periodo di grandi trasformazioni, di rivoluzione scientifica e tecnologica, conseguenza dell’Illuminismo. Con le grandi invenzioni, soprattutto quella dell’utilizzo del vapore, anche i modi di pensare si modificarono. Fiorirono invenzioni di carattere pratico, che costituirono la radice delle grandi trasformazioni concretizzatesi nel secolo XX, con l’invenzione del telefono, della radio, della lampadina, dell’automobile, ma anche del fonografo, grammofono, cinema, fotografia che portarono un’autentica rivoluzione nei costumi delle persone, ossia una serie di comportamenti che prima non c’erano. Da questo vento progressista fu investito anche Policarpo, il quale trovò occupazione in qualità di apprendista in una ben avviata azienda meccanica di Treviso e, data la sua bravura, ottenne presto la responsabilità di capo operaio. Nel 1870, quando si completava l’Unità d’Italia, Policarpo si mise in proprio, aprendo una piccola officina meccanica in Padernello in cui si svolgeva vari lavori per conto terzi. Da poco il Regio Governo Italiano, seppur in ritardo rispetto ad altri stati europei, aveva emanato una normativa che imponeva il sistema metrico decimale (Legge sui pesi e sulle misure, 28 luglio 1861, n. 132 e R.D. che approva il Regolamento pel servizio dei pesi e delle misure, 28 luglio 1861, n. 163) affidando alle giunte municipali il compito di redigere ed aggiornare annualmente – e più tardi con cadenza biennale - l'elenco delle persone residenti nel territorio comunale che utilizzassero pesi e misure nell'esercizio di un'attività economica. Conseguentemente pure in Treviso fu aperto un ufficio governativo di controllo dei pesi e delle misure. Entravano in uso comune le bilance. Policarpo, intuendo la novità, s’interessò di questa nuova istituzione, diventando assistente dell’Ufficiale Metrico Provinciale e contemporaneamente si mise a fabbricare questi nuovi arnesi ai quali lo Stato dava tanta importanza. Aprì pertanto la sua prima bottega per la costruzione di bilance ad uso degli esercizi commerciali e di misurini per i generi liquidi, non prima di aver ottenuto la licenza dall’Intendenza di Finanza di Treviso, documento che porta la data del 23 gennaio 1870. Quel lavoro, anche se svolto in maniera piuttosto modesta e artigianale, gli consentì di mettere il germe per il futuro sviluppo delle Indsutrie Montini. Sposata Ildegonda Lorenzon, Policarpo divenne padre di Francesco, Arnaldo (1886), Ido, Giuseppe e di tre figlie. Furono Arnaldo, Ido e Giuseppe a raccoglierne il testimone fin da giovanissimi, sviluppando su scala industriale il mestiere del genitore, soprattutto nel settore ferroviario e idraulico, mentre Francesco emigrava in Lombardia fin da giovane. Arnaldo, essendo il maggiore dei figli, era il braccio destro del padre, il quale riponeva in lui le speranze di crescita dell’azienda. Ciò si concretò nel 1906, quando i Montini diventarono fornitori delle Ferrovie Statali, che iniziavano a diffondersi in tutto il Paese, con conseguente impulso commerciale, data la facilità con cui erano ora possibili i trasporti. La ditta conseguì con la fornitura anche l’appalto della manutenzione delle stadere per la pesatura dei vagoni e delle merci nelle tratte Mestre-Padova-Vicenza e altre. L’attività andava benino e tutto faceva presagire un brillante avvenire quando subì un brusco contraccolpo con lo scoppio della Grande Guerra. Padernello, che si trovava nelle immediate retrovie del fronte sul Piave, vide sconvolta la tranquillità della sua esistenza, con il meglio delle sue forze chiamate a fronteggiare il nemico che minacciava di tracimare dopo la sconfitta a Caporetto. Ne fu interessata anche la famiglia di Policarpo Montini. Partirono per il fronte 52 anche Arnaldo e Ido, lasciando il padre e il giovane Giuseppe a condurre da soli l’attività, che si fermò. Al ritorno, sani e salvi, dei due combattenti l’azienda ebbe un sussulto progressista. Così, mentre il padre era ormai sulla via del tramonto, toccò ad Arnaldo assumere la guida della piccola azienda. Egli divenne procuratore generale ed unico firmatario, incarico che mantenne ininterrottamente fino al 1950. Il lavoro s’incrementò tanto che fu necessario aumentare la manodopera, dato che tutto veniva fatto a mano e contemporaneamente sviluppare gli spazi produttivi. Fu in quel periodo che ad Arnaldo si affiancarono i fratelli più giovani, Ido e Giuseppe. Lo stabilimento sorgeva in Via Ortigara, adiacente alla chiesa parrocchiale ed era costituito da cinque capannoni costruiti in mattoni di terracotta. Deceduto Policarpo nel 1924, l’anno seguente l’azienda fu registrata alla Camera di Commercio di Treviso con la denominazione “Ditta Industriale Montini Policarpo”, marchio attribuito per onorare la memoria del fondatore. La fabbrica conobbe da allora uno straordinario sviluppo, tale da poter affermare che non ci sia famiglia del piccolo centro di Padernello, ma anche altre dei dintorni, che non ne abbia beneficiato. Tra il 1930 e il 1950 lo stabilimento dava lavoro mediamente a circa duecento maestranze. Furono ampliati i reparti di produzione, aggiungendo alla primordiale officina meccanica un reparto di fonderia di ghisa e forgeria di acciaio. Pure la gamma dei prodotti fabbricati si ampliò. Alle stadere a ponte, costruite per conto delle FF.S., furono aggiunte le bilance per la pesatura degli autocarri con portata fino a 40 tonnellate, quindi gru per sollevamento pesi anche di grande portata, tubi in ghisa e chiusini per acquedotti, valvole e saracinesche per l’idraulica, colonne per il pompaggio dell’acqua nelle locomotive a vapore, barriere per passaggi a livello e altri vari tipi di manufatti meccanici ad uso di macchinari per fabbricazioni di vario genere. Grazie alla sua collocazione l’azienda ebbe un ruolo determinante nello sviluppo sociale di Padernello, considerato, grazie a questa presenza, un paese fortunato. Molta gente potè così avvalersi di un doppio reddito, dato che tutte le famiglie si sostenevano anche grazie al campetto di terra, in tempi in cui lo sviluppo industriale era ancora ai primordi: otterrà una determinante affermazione solo con il Boom Economico degli anni Sessanta. Nel 1935 Ido aveva deciso di uscire dall’azienda paterna per fondarne una propria. Nel 1950 anche l’azienda madre fu divisa tra i due fratelli Arnaldo e Giuseppe, così nacquero due aziende: la vecchia ditta Montini Policarpo continuò l’attività con Giuseppe, mentre Arnaldo fondò una nuova azienda con il figlio Policarpo denominata “Arnaldo Montini & Figlio”, il cui presidente era lo stesso Arnaldo. Questa continuò il tradizionale lavoro per conto delle Ferrovie dello Stato, con proprio personale, circa centocinquanta dipendenti. La “Arnaldo Montini & Figlio”, divenuta in seguito “Arnaldo Montini S.p.A., iniziò un’attività totalmente nuova: la produzione di vasche da bagno in ghisa porcellanata. L’azienda, pur mantenendo la fonderia a Padernello, aveva la smalteria e tutti gli altri reparti di lavoro, compresi i magazzini e gli uffici, in Via Postumia a Paese. Sorgeva su una vasta area nei pressi della stazione ferroviaria ed era perciò agevolata nelle spedizioni. La particolare lavorazione, che non 53 conosceva precedenti nelle fabbriche dei Montini, incontrò inizialmente non poche difficoltà, ma queste furono superate brillantemente grazie all’esperienza e alle capacità tecniche di Arnaldo. La vasca da bagno era un articolo assai richiesto in un periodo in cui le case crescevano come funghi, in particolar modo nel Comune di Paese, durante il cosiddetto Miracolo Economico di cui si è parlato poc’anzi. La Arnaldo Montini s.p.a. era uno dei pochi stabilimenti italiani di produzione di vasche da bagno in ghisa porcellanata. I manufatti che ne uscivano erano di altissima qualità, tanto da essere particolarmente ambiti ed apprezzati. Quotidianamente, grazie alla particolare vicinanza con la ferrovia, prendevano la direzione dei mercati nazionali ed esteri, non solo europei ma anche mediorientali. Era un’azienda leader nel suo campo, in buona salute, con un’ottima organizzazione di vendita. Arrivò a dare lavoro stabilmente a circa 250 lavoratori, regolati da un management di tutto rispetto. Si arrivò così agli anni Settanta, quelli che più risentirono della contestazione giovanile del Sessantotto e che coinvolsero nella protesta anche le fabbriche. Da questo vento fu investita anche la Arnaldo Montini S.p.A., che nel frattempo, alla morte di Arnaldo, era passata nelle mani del figlio Policarpo in qualità di presidente della società. Dai suoi ricordi emerge un periodo di grave conflittualità ed esasperante accanimento sindacale. “Preso dallo sconforto – le affermazioni sono dello stesso Policarpo – pur essendo un’azienda in ottima salute, con un notevole mercato, ben capitalizzata, senza alcun debito e con accantonata l’intera quota finanziaria per l’indennità di licenziamento di tutto il personale, cedetti a malincuore il pacchetto azionario ad un grande gruppo industriale nazionale”. Il resto è storia più recente. La Montini Arnaldo, con marchio “Poppea”, non ebbe molta fortuna e chiuse definitivamente dopo circa un decennio, lasciando sulla strada un centinaio di maestranze, tra cui molti capifamiglia di Paese. Si chiudeva così un’epoca che aveva caratterizzato la comunità di Paese-Padernello e sollevato dalla miseria tante famiglie in tempi di notevole ristrettezza economica. Le fabbriche Montini da tempo sono state consegnate alla storia locale. Rimane tuttavia il ricordo di una famiglia particolarmente generosa, che ha lasciato la sua benefica impronta nel territorio comunale di Paese, in particolare attraverso Arnaldo e la moglie Luisa Rossetto, i quali, nei primi anni Sessanta, fecero costruire a proprie spese la nuova scuola materna parrocchiale nelle vicinanze della chiesa di Padernello, in memoria della sfortunata ventisettenne figlia Ildegonda, chiamata Ilde, deceduta nel fiore della gioventù il 24 aprile 1960 per incidente stradale, mentre tornava dalla Puglia con il marito Antonio Gatto. * * * In appendice a quanto sopra, si riportano delle notizie prese dai media locali, che fanno capire come fossero percepite all’esterno dell’azienda le vicende della ditta. Una testimonianza sui disagi e sulle potenzialità dell’azienda, è tratta dal quotidiano “Il Gazzettino” del 19 Gennaio 1989, che titolava “Firmato l’accordo alla Montini Arnaldo”: “Un accordo aziendale particolare che parla di integrativo con un aumento salariale di 85 mila lire mensili, ma anche di ecologia e di inquinamento ambientale. È stato firmato mercoledì mattina dalla Cisl e dalla direzione della Montini Arnaldo, ditta di 54 Paese che occupa 160 dipendenti nella produzione di vasche da bagno in ghisa. Nel contratto un ampio capitolo è dedicato al rinnovo delle strutture aziendali. Strutture sospette di inquinare l’ambiente tanto che il sindaco aveva proposto lo spostamento dell’azienda minacciandone addirittura la chiusura. Il sindacato ha preso la palla al balzo e Luigi Gallinaro, segretario della Federazione Metalmeccanici-Cisl ha ribadito: «Gli impianti devono essere efficienti e competitivi senza che questo comporti pregiudizi per l’ambiente circostante». L’azienda ha risposto positivamente alle sollecitazioni di parte. E ha previsto una serie di investimenti con scadenza triennale per rinnovare gli impianti di lavorazione e soprattuttoil reparto fonderia. Il badget di intervento è di un miliardo. I proprietari della ditta, comunque, non escludono la possibilità di trasferire lo stabilimento, seguendo il consiglio dell’amministrazione comunale. L’accordo aziendale prevede inoltre: il potenziamento dell’assetto direzionale; una grande attenzione ai contratti di formazione e lavoro, che saranno seguiti con costanti incontri tra sindacati e direzione; l’istituzione di una commissione ambiente, composta dalla direzione e dal consiglio di fabbrica e l’individuazione dello smaltimento dei residui di lavorazione.” Le cose tuttavia precipitarono nel 1993 quando gran parte delle maestranze furono poste in mobilità per l’aggravarsi della situazione. Il fatto emerge dal settimanale diocesano “La Vita del Popolo” del 7 Novembre dello stesso anno, che titolava “Allarme occupazione a Paese - Per la Montini una via d’uscita”. A firma dell’autore di questa pubblicazione, tra le righe si ha conferma di quanto riferito più sopra dall’ing. Policarpo Montini, evidenziando la situazione produttiva del territorio comunale di quel tempo: “Preoccupazione a Paese per il calo occupazionale dopo la chiusura nel luglio scorso della Montini S.p.A., che ha posto in mobilità i 152 lavoratori, quasi tutti residenti nel comune. Un autentico shock per una comunità dove le fabbriche sono davvero poche, essendo l’economia locale basata principalmente sulla microimprenditorialità. Il fatto turba particolarmente giacché fa seguito alle note vicende della Simmel di Castagnole che lo scorso anno sfociarono nel licenziamento di 90 addetti. Un autentico dramma per le famiglie, oltre che una mortificante situazione per gente tradizionalmente abituata a vivere del proprio onesto lavoro. Riesce davvero difficile comprendere come la Montini, che vantava un mito ultracentenario di produttività ed efficienza, unica produttrice in Italia di vasche da bagno (in ghisa porcellanata - nda), quindi con largo mercato, sia stata trascinata in pochi anni nel baratro del fallimento. Sembra, infatti, che più che la congiuntura, le cause di debbano ricercare in intrighi amministrativi, puntualmente coincisi con il cambio di gestione nel 1984. Tutta la vicenda è stata particolarmente seguita dall’Amministrazione che, d’intesa con i capigruppo consiliari, si è fatta carico di attivare i canali necessari per giungere ad uno sbocco positivo, vigilando, nei limiti delle proprie competenze istituzionali su eventuali soluzioni speculative. Mercoledì 27 ottobre è stata firmata, alla presenza del curatore fallimentare, dott. Talamini, un’intesa con l’Arcadia di Catania, disponibile a rilevare da subito lo stabilimento, assicurandone la continuità e riassumendo 142 lavoratori, stanziando anche un miliardo per il risanamento ambientale della fabbrica. Qualche intoppo era sorto in merito alle garanzie prestate dai nuovi titolari per il risanamento dei debiti – 7 miliardi su 15 – reclamati dai creditori, ma anche questo è ormai in via di 55 soluzione. La notizia è stata accolta con grande sollievo dalle famiglie dei lavoratori, mentre si profila una benefica boccata di ossigeno per l’economia locale.” Difficoltà attraversava anche lo stabilimento di Padernello prima che ne fosse decretata la chiusura. Eloquente è l’articolo che segue, tratto dal settimanale diocesano “La Vita del Popolo” del 16 luglio 1989, con il titolo “Cassa integrazione alla Montini di Padernello”: “È scattata per la terza volta consecutiva la cassa integrazione per 35 dipendenti della Montini di Padernello, che potranno perciò tornare a lavorare, se tutto va bene, in settembre, dopo le ferie. Una situazione di preoccupante stallo che ormai regna da marzo e che non lascia spiragli di speranza agli operai. Tanto che in questo periodo almeno una ventina di loro ha cambiato lavoro. A complicare l’attività dell’azienda è stata la svolta operata nelle Ferrovie dello Stato, per le quali la Montini lavorava, con la sospensione di tutte le commesse. Da parte dell’azienda vengono alcune rassicurazioni: dopo le ferie le ordinazioni di materiale dovrebbero riprendere. Da parte dei sindacati invece la perplessità va oltre la situazione contingente: nel settore, come sostengono i rappresentanti dei lavoratori, è in atto una concentrazione delle aziende, con accordi di vario tipo, soprattutto per avere competitività in vista del ’92. Insomma la cassa integrazione, che non era mai arrivata prima alla Montini di Padernello, è il campanello d’allarme: o si cambia o l’azienda è destinata a chiudere. E per i 73 dipendenti quest’ultima prospettiva non è certo rosea”. L’azienda, infatti, chiuse definitivamente i battenti non molto tempo dopo. IL PASTIFICIO VETTORELLO DI PORCELLENGO Era una delle rare industrie di un certo rilievo del Comune di Paese in epoca di esclusivo bracciantato. Se a Castagnole c’era la Simmel e a Padernello la Montini, pure la frazione di Porcellengo era baciata da una fonte di reddito diversa dalla mera agricoltura. Il Pastificio di Porcellengo era stato fondato da Angelo Vettorello (1852-1908) alla fine del XIX secolo. Purtroppo non è stato possibile risalire con precisione alla data poiché molti documenti andarono bruciati nell’incendio del 1963. I Vettorello s’insediarono in Porcellengo, nell’attuale Via Baldrocco, sulla destra in direzione Treviso, provenendo da Roncade, terra di vaste coltivazioni di cereali nota la tenuta di Ca’ Tron - imparentandosi con alcune tra le migliori casate della borghesia locale e veneziana, quali Busida, Desideri, Varutti. Angelo era sposato a Giovanna Cecconi (1850-1909) che gli diede Giovanni “Gildo” (1885-1950) marito della veneziana Elena Desideri (1889-1978), quindi Angelo che, coniugatosi con Eugenia (il cognome non è saputo), si spostò a Treviso, Emma che si unì in Porcellengo a Giovanni Battista Polo. Sembra che ancor prima del pastificio i Vettorello conducessero un molino, ceduto il quale, si misero a fabbricare la pasta alimentare. Tutta la lavorazione si svolgeva, com’è intuibile, a mano ma, con l’avvento tecnologico, cominciarono a farsi avanti anche le prime macchine e ancora prima della Grande Guerra, quando i Vettorello si trasferirono di fronte, nella grande casa padronale dei Varutti di Venezia, installarono una gramola per impastare. L’impasto usciva in grossi filoni malleabili che venivano caricati sulle spalle 56 protette da un cannovaccio e passati nei torchi attraverso i quali si tramutavano in spessi fogli di pasta. Più o meno come si fa ancora con la pasta fatta in casa, ma a livello industriale. Da qui, passandoli attraverso due rulli mossi da manovelle venivano sfinati e tagliati con le taglierine matrici. Ne uscivano tagliatelle più o meno larghe, che poi con abile manualità si trasformavano in matassine - o nidi come dir si voglia - ma anche in spaghetti che erano posti ad essiccare su dei bastoni di bambù appesi orizzontalmente, quindi maccheroni e altri prodotti che venivano stesi su dei telai. Si fabbricava anche un tipo di pasta con “nutralia”, ossia con sostanze particolarmente nutrienti che veniva smerciata negli asili infantili a sostegno della crescita dei bambini. Un apposito stanzone riscaldato da una caldaia a carbone era adibito a essicatoio. La caldaia che stava accesa ininterrottamente dalla mattina alla sera, ma in seguito anche di notte, serviva per scaldare l’ambiente, per far bollire l’acqua e creare la giusta umidità. La pasta veniva poi adagiata in apposite casse di legno e così veniva commercalizzata. I vari bottegai alimentaristi, di Paese, di Treviso, di Montebelluna e di tante altre località venivano a ritirarla con i carretti e la rivendevano al dettaglio nei propri negozi, deponendola sciolta nei cassettoni delle credenze. In seguito, con l’evoluzione, la Vettorello si munì di automezzi per le consegne nei mercati veneziani, triestini e istriani, dove la pasta Vettorello era particolarmente richiesta e apprezzata. Pur essendosi trasferiti nella grande dimora rurale dei Varutti – dove erano insediati anche i Francescato e i Paulon – i Vettorello mantennero lo spaccio nella prima abitazione. In seguito fu loro ceduta tutta la grande casa che diventò pastificio e abitazione, mentre le famiglie Francescato e Paulon si spostavano in altri immobili dei Varutti. In quel periodo, primo dopoguerra, chi si recava al mercato di Treviso, doveva fermarsi nella stazione doganale di Monigo, all’incrocio che da Via Castagnole conduce verso la chiesa. Qui si dovevano denunciare le merci e pagare il dazio. Talvolta, d’inverno, passando con il calesse, con il pretesto del freddo, ci si metteva una coperta sulle ginocchia, nascondendo qualche prodotto, cercando così di eluderne il balzello. All’inizio degli Anni Trenta, dato il successo che i prodotti Vettorello ottenevano, ci fu la necessità di espandersi investendo notevoli capitali in macchinari più tenologici. Giovanni Gildo Vettorello, subentrato nel frattempo al padre Angelo, pensò di mettersi in società e fu così che nacque il “Pastificio Vettorello & Pistrelli”. Il socio Cav. Giuseppe Pistrelli era allora podestà del Comune di Paese e colse la palla al balzo subdorando l’ottimo affare. In realtà sembra che la scelta di Giovanni fosse stata dettata dalla congiuntura dovuta ad un problema di eredità con i congiunti già nel 1913 alla morte del genitore e conseguente liquidazione dei beni. Fu questa l’occasione per cambiare residenza. Giovanni andò infatti ad abitare in Via Turati, nella signorile villa stile liberty di proprietà Vettorello. Con i nuovi freschi capitali del Pistrelli il pastificio spiccò il volo. Grazie alle moderne tecnologie la produzione s’incrementò parallelamente all’allargamento dei mercati che conquistava e gli affari andavano a vele spiegate. Conseguentemente pure le famiglie di Porcellengo ne beneficiarono. Gran parte delle forze attive della più piccola frazione di Paese si alternavano nel pastificio che andava notte e giorno ininterrottamente. 57 Si arrivò così al 1950 quando, con la scomparsa di Giovanni Vettorello, il pastificio passò nelle mani di Giancarlo (1921-85), il più giovane di quattro eredi. Questi aveva conosciuto la futura sposa, Eleonora Martini da Parenzo, recandosi in Istria per ragioni commerciali. Quella che era l’unica realtà imprenditoriale che dava, oltre che da mangiare a tante famiglie, anche un certo lustro a Porcellengo, s’interruppe bruscamente una notte del 1963, tra domenica e lunedì, in cui l’attività era in pausa per il precetto festivo. Un indomabile incendio mandò in fumo, con il pastificio, le certezze di tanta gente e mise definitivamente fine all’attività del rinomato Pastificio “Vettorello & Pistrelli”. Attualmente, sull’area in cui si consumarono tante fatiche e si spensero temporaneamente le speranze di tante famiglie, sorgono dei moderni palazzi residenziali a dimostrazione che il progresso non si è comunque fermato nella più piccola frazione di Paese. I SERVIZI Oltre all’artigianato, all’industria, al commercio, negli ultimi decenni del XX secolo l’Italia ha scoperto il terziario, ossia il settore dei servizi, un insieme di azioni e mestieri a supporto della quotidianità della persona e della società ai quali si possono ora aggiungere l’assistenza, la consulenza e la sicurezza. Fra i lavori di questa sezione presenti anche una volta, ricordiamo quello di postino, stradino, acquariol (idraulico ma anche gestore delle irrigazioni campestri), sacrestano e campanaro, fattorino (“cursor”) comunale, perpetua, becchino, serva (collaboratrice domestica). Molte delle prestazioni di un tempo a servizio della persona, come si può evidenziare, ci sono ancora anche se in modo molto più evoluto. Fra le principali sono da annoverare quelle mediche e infermieristiche di cui si ha notizia nel territorio di Paese già nel 1767, quando in casa degli Zanatta successe una disgrazia: “Pietro figlio di Antonio Zanata, nello sbarro che fece d’una pistola che si squarciò in due pezzi, restò gravemente offeso e lacerato una mano, onde soffrì per lo spazio di giorni quindici dolori atrocissimi, rese nel decimosettimo giorno lo spirito al Signore in età d’anni 35; fu assistito dal Sig. Dr. Nicola Giuliani...”. Memorabile ancora nel cuore della gente rimane il dott. Luigi Spilimbergo, medico condotto e ufficiale sanitario a Paese dal 1950 al 1973, ma contemporaneamente, per un certo periodo, anche di Castagnole. Prima di lui c’era stato il dott. Delaito e poi Michele Pensato. Nello stesso periodo, medico di Postioma, Padernello e Porcellengo era Angelo De Marchi. Negli anni Cinquanta a Porcellengo e Castagnole era medico condotto Mario Marsoni. L’unica farmacia negli anni Cinquanta si trovava a Castagnole, gestita dal dott. Candiani. Passò poi a Paese con Dante Burlini. A Castagnole a metà del XIX secolo era medico Domenico D’Alessi, il quale nel 1855 versò alla parrocchia la somma di lire mille per la costruzione della canonica. Certo la medicina era di tipo empirico: spesso si praticavano dei salassi per far scendere la febbre, ma non era raro che il paziente con questo tipo di cura ricevesse il colpo di grazia. 58 Un’altra figura professionale era quella dell’ostetrica, che un tempo di diceva “mammana”, poi comadre, quindi levatrice, poi nobilmente ostetrica, ma c’erano donne che s’improvvisavano tali per esperienza personale, cioè avendo avuto tanti figli. Negli anni Venti ostetrica a Paese era Natalina Mattara, seguì Maria Piccoli, quindi Emma Follador, ma la più popolare fu sicuramente Maria Bianchin chiamata Luisa, che operò dagli anni Cinquanta finché diventò una prassi partorire in ospedale. Nel 2005 il Comune di Paese l’ha insignita dell’onorificenza “San Martino” insieme con la sua alter ego di Postioma, Adriana Callegari. Sacristi e campanari deella parrocchia di Paese erano fin dal 1840 i D’Alessi (“Campanèri”), che abitavano di fronte al campanile, in Via Roma, nella casa concessa in affitto dai Balzera di Zero Branco. Fra i loro compiti, oltre a suonar le campane manualmente con grande dispendio di energie, c’era anche quello dell’apertura, chiusura e pulizia della chiesa. Era un vero lavoro dato che, oltre alle frequenti cerimonie, si suonava l’Ave Maria tre volte al giorno ed anche in caso di incendio (“campana a martèl”). A Postioma il più longevo sacrestano, tuttora in attività (2008) , è Luigi Mattarollo (1929), che vanta oltre mezzo secolo di professione. Una delle professionalità ormai scomparse è quella di fattore, detto in vernacolo “castaldo”. Era l’amministratore dei beni agricoli e delle campagne dei signorotti locali. A Paese, nel dopoguerra, aveva l’incarico per conto dei Panizza Luigi Zanoni, futuro deputato, che lasciò il posto ad Alessandro Schiavinato. Luigi Gallina era invece fattore in Villa Quaglia. Alla fine dell’Ottocento fattore in Villa Olivotti a Porcellengo era Luigi Francescato, quasi contemporaneo ad Antero Gamma, fattore dei Pellegrini in Villa “La Quiete”, attuale sede del municipio di Paese. Pure la funzione di stradino era una professione pubblica. Uno stradino d’altri tempi era Giobatta Lorenzetto (1845) detto “Schiesèr”, il quale aveva in carico la manutenzione del lungo tratto di Postumia, allora strada provinciale, assunta in seguito a statale ed ora retrocessa a regionale, che interessava il territorio comunale di Paese. A quel tempo l’arteria non era ancora asfaltata ed era piuttosto tortuosa. Ai margini c’erano due larghi fossati e occorreva tappare le buche, tagliare l’erba, innaffiare le piante e rettificare i cigli con il vanghetto affinché la carreggiata non venisse invasa dalle erbacce. C’era inoltre l’incombenza di liberarla dagli escrementi lasciati dagli animali da traino. Stradini è tuttora il soprannome degli Zanatta di Porcellengo, che si tramandarono questo servizio fin dal capostipite Antonio Zanatta (1903-45) detto Rino Stradìn, figlio secondogenito di Gaetano e marito di Angela Borsato soprannominata Polacca per il suo ferreo carattere. Con il suo lavoro Rino riusciva a mantenere una famiglia di nove figli, purtroppo morì a soli 42 anni, lasciando la famiglia in grave difficoltà. I NUOVI SERVIZI È un dato di fatto che i mestieri e le professioni cambino con il trascorrere del tempo e conseguente evoluzione. Ma lo sviluppo che si è avuto in questo contesto negli ultimi sessant’anni non trova pari in epoche precedenti. 59 Oltre a quelle tradizionali, nuove professioni a servizio della persona si sono sviluppate negli ultimi decenni. Esse comprendono attenzioni alle varie categorie di persone, alle famiglie, ma anche alle attività produttive. Assistenza sanitaria, trasporti, cultura (eventi), biblioteche, istruzione scolastica, formazione, turismo, parchi e giardini, sicurezza, servizio civile, consulenze di vario genere, comunicazioni, credito (banche e finanziarie), assicurazioni, oltre alle Associazioni di volontariato in tutte le sue forme, ad iniziare dall’A.V.I.S. e ai gruppi ricreativi e di mutuo sostegno, sono alcuni esempi. Tra i lavori individuabili del terziario possiamo annoverare gli uffici comunali e poi anche l’informatica, i centri bellezza e benessere, gli acconciatori di ambo i sessi, le palestre, lo sport in generale, ma anche tante attività professionali come quelle di commercialista, avvocato, consulente, progettista, baby sitter, tagemutter, asili nido, scuole dell’infanzia, assistente domiciliare, badante, centri per l’impiego, uffici marketing, studi e sviluppo, ricerca, e tanti altri. Pure i media (radio, televisioni, giornali) svolgono servizio di informazione e comunicazione; lo stesso si può dire degli uffici turistici. Le agenzie immobiliari vanno anche oltre, facendo da mediatrici. Un grande ruolo nel campo dei servizi lo hanno pure le farmacie, che non consegnano soltanto medicinali, ma che effettuano analisi, prenotano visite specialistiche, misurano la pressione arteriosa, danno tanti utili consigli agli utenti. Nel Comune di Paese ce ne sono attualmente cinque: nel capoluogo, oltre alla Burlini, c’è dal 9 Giugno 2007 la Farmacia Comunale, in Via della Resistenza; a Castagnole la farmacia Alessi, in Via mons. D’Alessi; a Padernello quella della dott.ssa Rita Rosa Patricelli; a Postioma, in Via Fermi, la farmacia del dr. Gino Silvestri, che in precedenza si trovava in Piazza Baldrocco a Porcellengo. LE AZIENDE COMMERCIALI DI PAESE ARTURO ROSSETTO ARREDAMENTI Nata nel 1950, questa azienda commerciale ha oltre mezzo secolo di storia ed è conosciuta per l’ottimo rapporto qualità-prezzo. Si trova in Via Udine 19, nel cuore di Sovernigo, borgo storico di Paese (Treviso), dove spiccano le lussuose vetrine della fornitissima mostra espositiva. Non si può tuttavia parlare della Arturo Rossetto Arredamenti a prescindere dal suo fondatore. Arturo Rossetto, classe 1922, è figlio d’arte, essendo stato falegname già suo padre Valentino, che in epoca remota alternava questa professione con il lavoro dei campi. “Giustar ‘na bóte, ‘na tina, un caréto era il lavoro di Pin Buséto”: è ancora questo il detto che si tramanda in famiglia. Pino era il diminutivo di Valentino, mentre “Buséto” è il soprannome dei Rossetto che risale ai primi anni dell’Ottocento, quando abitavano in Castagnole e prima ancora a Camalò di Povegliano. Valentino ebbe la saggezza e l’intuito di coinvolgere i figli nella passione della lavorazione del legno, tale da farne degli affermati imprenditori del mobile, compreso Arturo che fin da giovane ne ha fatto la sua ragione di vita. 60 Dopo le scuole dell’obbligo, in tempo di guerra, Arturo trova il modo di accrescere le esperienze lavorando come apprendista in una nota ditta artigiana della Città. Terminato il conflitto si mette in proprio costruendo mobili in generale, ma la sua propensione è rivolta ai mobili da cucina e già nel 1950 fonda il Mobilificio Arturo Rossetto, incontrando subito gli apprezzamenti della gente. Il lavoro aumenta progressivamente, a tal punto che si devono assumere anche i primi operai. Certo i macchinari sono ancora modesti, ma lavorano a pieno ritmo, mentre i mobili vengono consegnati a destinazione con un carrettino a due ruote, condotto a mano. Soltanto alla fine degli anni Cinquanta arriva il primo camioncino Fiat. Grazie anche a questo mezzo di trasporto, il mercato si allarga. Un’ulteriore spinta progressista avviene quando i mobili Rossetto sono richiesti da importanti fabbriche industriali del Trevigiano e del Padovano, come Bornello e De Toni. Da queste sinergie nascono nuove idee, che inducono il titolare a ricavare presso l’abitazione la prima mostra di mobili usciti dalla sua falegnameria. Erano gli anni Sessanta, quelli del boom economico, che videro Paese diventare un immenso cantiere edilizio. La gente si costruiva la nuova casa che doveva quindi essere arredata. Ne beneficiò anche questa azienda, la cui evoluzione sembrava inarrestabile. Si decide quindi l’ampliamento della mostra di Via Montello, ma ciò comporta anche dei sacrifici perché pure le domeniche occorre tenere aperto, dato che la gente lavora tutta la settimana e attende il giorno festivo per muoversi e visitare i negozi. Ad affiancare Arturo è la moglie Lina Brunello, la quale più che una venditrice sembra una mamma che distribuisce buoni consigli, soprattutto ai giovani in procinto di sposarsi. Questo modo familiare di servire, unito alla disponibilità ai pagamenti rateali, ha il potere di attirare molta clientela, e agli inizi degli anni Settanta si deve ulteriormente allargare lo show-room al bivio tra Via Montello e Via Udine, alzando di un livello il fabbricato che diventa rinomato “Centro Cucine Arturo Rossetto”. Con il passare del tempo anche i figli vengono surrogati nell’impresa familiare. Entra per primo Claudio, sviluppando nuove idee e interpretando le tendenze modaiole di cui anche il settore mobili è interessato. La ditta individuale subisce contestualmente una trasformazione societaria diventando S.n.c. Sembra non conoscere soste l’espansione di questa ditta, agevolata dal rinnovo costante dell’appeal commerciale. Vengono trasformate le facciate esterne con un look sempre più accattivante, supportato da indovinate azioni di marketing e contemporaneamente si partecipa a fiere di grande richiamo. Ma è soprattutto il passaparola il miglior veicolo promozionale, segno evidente della qualità dell’azienda e dei suoi prodotti. Nel tempo la Arturo Rossetto si modifica integrando alla produzione la commercializzazione, pur conservando l’affidabilità di azienda integrata e quindi in grado di assistere la clientela in ogni aspetto arredamentale e complementare. Una nuova ragione sociale interessa la ditta intorno alla metà degli anni Novanta, quando viene trasformata in s.a.s. L’occasione è data dall’ingresso nella società di Augusta, sorella di Claudio, e della cognata Giuliana Renosto nel ruolo di “interior design”. Queste persone, infatti, si perfezionano costantemente presso la Scuola di Arredatori di Interni, partecipando ai corsi periodici che si tengono in collaborazione con le aziende del settore per stare al passo con l’evoluzione degli 61 stili e delle forme. Qualità, serietà e affidabilità, abbinate all’esperienza e al giusto prezzo, sono i motivi che avvicinano la clientela a questa azienda. Arredare è diventato la peculiarità della Arturo Rossetto Arredamenti s.a.s., che può quindi avvalersi di professionisti qualificati, in grado di dare con competenza il consiglio più appropriato, e ciò non riguarda soltanto la mobilia, ma l’ambiente abitativo nel suo complesso. Tutto ciò avviene in modo naturale nell’azienda, la quale ha scelto di fabbricare e commercializzare prodotti affidabili e garantiti sotto tutti gli aspetti, grazie anche alle sinergie con esperti del settore, una collaborazione che permette di soddisfare i clienti più esigenti, assistendoli anche nel periodo post vendita. Dato l’interessante passato e il tesoro di esperienze accumulato, la Arturo Rossetto Arredamenti può offrire un servizio aggiuntivo, adattando l’arredamento a personalizzazioni e finiture particolari, con impiego di legni esclusivi anche di grande pregio. Questo modo flessibile di operare, le ha giovato una notevole evoluzione e la fidelizzazione della clientela, ma anche la rappresentatività di griffes prestigiose nel settore del mobile. Tuttavia essa stessa rappresenta ora un sicuro marchio di garanzia e stabilità, e ciò è confermato anche dalle maestranze che sono particolarmente affezionate alla famiglia Rossetto. Un esempio è Adelino Vendramin di Paese, collaboratore da oltre quarant’anni, ossia dalla fine della scuola elementare. La Arturo Rossetto Arredamenti s.a.s. si sviluppa su una superficie di 1.500 mq., comprendente la mostra e gli uffici. A far la parte del leone è la vasta gamma di cucine componibili. Ce ne sono da sogno e per tutti i gusti: tradizionali, classiche e moderne, in arte povera e laccate; composizioni che si sposano con ogni qualsivoglia esigenza, ambiente e stile, in grado di soddisfare chi cerca la praticità e la funzionalità e chi invece predilige l’estetica. Oltre le cucine, il percorso del vasto show room si snoda attraverso camere e camerette, mobili bagno e strutture per ragazzi, poltrone e divani per salotti classici e moderni, arredamenti vari per la zona giorno. La cosa migliore è tuttavia affidarsi ai consigli dell’azienda, che è disponibile con il suo staff di tecnici per sopralluoghi e progetti su misura. La Arturo Rossetto Arredamenti s.a.s. è sul mercato da oltre 50 anni, apprezzata anche oltre provincia. Dalla sede di Paese raggiunge ovunque la clientela con propri capienti automezzi e qualificati montatori, anche all’estero. Con i mobili fornisce un servizio a 360 gradi, a partire dalla fase di consulenza e progettazione fino al montaggio dei componenti e complementi d’arredo. L’attuale generazione Rossetto ha tesaurizzato gli insegnamenti dei precursori, nel segno della continuità. Per continuare a crescere è indispensabile anzitutto un grande affiatamento interno: credere in se stessi, senso di appartenenza, armonia e spirito di sacrificio sono i fattori vincenti che i nuovi Rossetto hanno capitalizzato nella loro azienda. Il notevole livello raggiunto non sarebbe stato possibile se questi valori non venissero da lontano. Su queste basi, affidarsi alla Arturo Rossetto Arredamenti è quindi la scelta ideale per fare della propria abitazione un luogo in cui vivere confortevolmente. Per informazioni: [email protected] – www.arturossetto.com – tel. 0422.451402, fax 0422.452794. (mandare bozza all’azienda) 62 BACCHION MARIA Maria Bacchion (1943) è titolare di un negozio di calzature e articoli in pelle a Postioma. La sua è una tradizione familiare che risale al papà Michele (19142000), già artigiano calzolaio in Istrana, produttore di ciabatte di tela, pantofole di panno e zoccoli che, con qualche altro articolo, vendeva al mercato di Treviso ancor prima dell’ultima guerra. Maria iniziò a seguire suo padre nel 1955, quand’era appena dodicenne e aveva da poco terminato la quinta elementare. Contemporaneamente i Bacchion avevano aperto un negozio di calzature in Istrana, ma al giovedì, che era giorno di mercato, allestivano all’esterno delle scaffalature componibili esponendo i loro articoli. Maria però non era soddisfatta di quel lavoro perché covava in sé l’irresistibile desiderio di studiare, ma la sua famiglia aveva bisogno di lei, dato che era la maggiore di dieci fratelli, sei maschi e quattro femmine. Negli anni Sessanta avvenne il Miracolo Economico e le famiglie cominciarono a disporre gradatamente del denaro per comprarsi il necessario, comprese le scarpe. Della favorevole situazione beneficiarono anche i Bacchion, la cui attività conobbe un notevole incremento. Confezionare ciabatte e zoccoli non bastava più a papà Michele, che volle estendere il lavoro alla produzione di sedie in cuoio, articoli tuttora fabbricati da due dei suoi figli - Igino e Carlo - nella zona artigianale di Padernello (la Sillc). Maria non si arrese e restò fedele al desiderio di continuare a studiare. Frequentò le scuole serali con una quindicina di volonterosi come lei conseguendo il diploma di 3a Media con insegnanti dell’Istituto Professionale di Castelfranco Veneto. Ora che aveva raggiunto il bramato obiettivo, anche il servizio nel negozio di Istrana le sembrava più accettabile e soddisfacente. Infatti, per la Bacchion il rapporto con le persone è fondamentale oltreché gratificante. Soprattutto una volta la stima, la fiducia e l’onestà erano sentimenti di grande valore ed ella ricorda tuttora quando la famiglia faceva credito e i contadini saldavano i conti a San Martino. Nel frattempo sono sorti ovunque centri commerciali che hanno messo in difficoltà le piccole distribuzioni. Ciò ha segnato uno spartiacque nei rapporti con la gente ma anche tra la gente, che ha perso in questo modo tanti riferimenti umani a tutto vantaggio dell’individualismo e di un tipo di commercio senz’anima. Se da un lato possono averne beneficiato i portafogli, dall’altro c’è da dire che la società ci ha rimesso nei rapporti interpersonali. È venuto meno il senso di comunità e il paese, che un tempo con le sue piazze e i suoi esercizi pubblici costituiva il motivo e l’occasione per ritrovarsi, rischia di morire: questo è il pensiero di Maria Bacchion. La gente fa la spesa nei grandi centri in modo anonimo, spesso senza sapere cosa acquista, oppure compera ciò di cui non ha bisogno semplicemente perché è attratta dal basso costo e dal martellante marketing consumistico. Non si guarda più al servizio personalizzato e al calore dei rapporti bilaterali, che rimangono pur sempre dei preziosi valori aggiunti. La figlia di Michele Bacchion lo dice con una punta d’amarezza. Già fu difficile ricominciare a Postioma dopo aver lasciato Istrana, poiché, risaputamente, ogni volta si deve ripartire da capo. I suoi figli sono consapevoli di ciò e già hanno imboccato strade diverse dalla sua: Damiano (1978) è diplomato geometra e opera nel settore edilizio; Carlo (1982) invece è specialista meccanico. Nessuno dei due 63 pensa di rilevare dalla mamma un’attività che non offre abbastanza sicurezza per il futuro. All’arrivo, nel 1992, del Centro Commerciale “La Castellana” i negozianti del comune di Paese riuscirono a farvi fronte associandosi. Ora questi agglomerati proliferano ovunque, conseguentemente la maggior parte delle piccole realtà si trova in grosse difficoltà e già molti hanno chiuso. In effetti, per chi resiste non si registrano più l’affluenza e la gratificazione di un tempo anche se il motto dell’Associazione Commercianti di Paese offre “professionalità e qualità”. Maria Bacchion dall’alto della sua esperienza vuole rimanere fedele al suo lavoro e il negozio di 90 mq. – in Postioma, Viale Europa Unita 4 - è sempre ben fornito di merce delle migliori marche e, grazie alla professionalità di chi lo gestisce, riesce a procurare anche calzature particolari e su misura, secondo la tradizione familiare, che già da sola è un’ottima garanzia, difficilmente riscontrabile in altre realtà. CENTRO COMMERCIALE “LA CASTELLANA” I centri commerciali, che normalmente incorporano oggi al loro interno un ipermercato, denominato in gergo anche grande distribuzione organizzata, hanno rivoluzionato il modo di vendere e fare acquisti. In genere raggruppano una serie di negozi merceologicamente diversi tra loro, in alcuni dei quali, soprattutto nell’ipermercato, si possono fare acquisti anche autoservendosi. Relativamente alla grande distribuzione organizzata, in Italia questo modo autonomo e personalizzato di fare shopping iniziò nel lontano 1957 quando a Roma apriva il primo negozio “self-service”, ma senza grande successo poiché bisognava pagare subito alla cassa e ciò non apparteneva ancora alla cultura nazionale. Gli italiani erano abituati a fare la spesa annotando il corrispettivo in un libretto, che veniva saldato alla fine del mese. Il primo vero supermercato con carrelli e self-service aprirà a Bolzano nel 1960, ma qui la cosa era agevolata dalla mentalità tedesca. In Germania e Austria, infatti, da tempo questo modo di acquistare era una consuetudine. Ai supermercati, che richiamavano tanta gente, iniziarono ad aggregarsi altri negozi con reciproca attrazione e, dato che la cosa funzionava, nacquero i centri commerciali, sempre più grandi. Questi conglomerati si diffusero come funghi negli anni Ottanta, a partire dalle città più importanti, fino ad interessare anche i centri minori. Da allora si è assistito ad una inarrestabile evoluzione, parallelamente alla competitività tra diversi promotori e costruttori per la realizzazione del centro più imponente e attraente. Nel 1992 pure Paese fu interessato da questo fenomeno. Il 7 maggio, al motto “Il paese degli acquisti”, fu inaugurato il primo grande consorzio di negozi della periferia di Treviso: il Centro Commerciale “La Castellana”, così chiamato perché si trovava lungo la Statale Castellana (Via Postumia) che conduce a Castelfranco Veneto. Sorse per iniziativa di Giuseppe Severin, un imprenditore locale che aveva già edificato il complesso abitativo-commerciale a semicerchio di Via della Resistenza e che per il nuovo insediamento si avvalse di una società specializzata in progettazione di centri commerciali, lo Studio Conte. Il complesso, che per il suo concepimento e i materiali impiegati si collocava tra i migliori standard europei del settore, comprendeva 32 negozi di varie metrature, distribuiti su una superficie complessiva di 14.000 mq., compresi ampi luminosi 64 percorsi attrezzati di panchine e fioriere, con tre piazzette, di cui due in prossimità degli ingressi, sovrastate da lucernari a piramide, una di queste adibita a spazio ludico per i bambini. Severin per la nuova entità riuscì a coinvolgere, oltre alla tedesca Interspar per l’apertura dell’ipermercato, anche Meggetto Calzature, noto imprenditore del trevigiano, formando una società appositamente costituita: la Dipor S.p.a. Il Centro Commerciale “La Castellana”, rispetto agli standard odierni, si può ora annoverare tra quelli di medie dimensioni e associa una trentina di negozi di merceologie e superfici differenti. A parte le citate Interspar e Meggetto, alle quali si è recentemente aggiunto Echos-Expert, media superficie di elettronica e hi-fi, tutte le altre ditte occupano vari spazi di diverse dimensioni in veste di esercenti commerciali. L’arrivo del nuovo centro inizialmente provocò preoccupazione fra i duecento negozianti dei dintorni. Ci furono anche delle proteste energiche ed interrogazioni in Consiglio Comunale. I commercianti cosiddetti storici di Paese, adagiati da sempre nel loro tranquillo status, vedevano nel nuovo insediamento un pericolo per la propria sopravvivenza, ma il progresso, come la Storia insegna, è inarrestabile, inoltre la gente dimostrava di apprezzarlo dato che poteva beneficiare dell’abbassamento dei prezzi e di una scelta più vasta. Ai commercianti di Paese fu offerta la possibilità di aggregarsi nelle forme più congenite. Qualcuno accettò, ma i più declinarono l’invito per poi coalizzarsi. Nacque così, con una sessantina di aderenti, l’Associazione Commercianti di Paese, che ha come marchio distintivo una grande stella. Inizialmente il progetto del Centro Commerciale “La Castellana”, che comprende anche una palazzina direzionale, prevedeva dei giardini pensili con percorsi pedonali, ma non furono mai realizzati. La struttura è servita da ampi parcheggi di cui uno interrato. Gli anni migliori furono quelli che seguirono l’apertura, giacché per Paese e territori limitrofi il complesso rappresentava una novità assoluta. Il richiamo ebbe un impatto positivo con conseguente arrivo di tanta gente anche da fuori. In seguito ci fu un calo fisiologico e non mancarono i momenti di congiuntura dovuti alla concorrenza sempre più agguerrita, al proliferare di centri analoghi e probabilmente anche all’aumento dei costi di gestione, e ciò si tradusse in una naturale selezione degli esercenti. “La Castellana” non è comunque mai venuta meno alla sua peculiarità: il richiamo sociale. Memorabili rimangono le manifestazioni organizzate in collaborazione con il Moto Club “Dino Grespan” di Paese, in particolare quello del 1994 in occasione della “Alpe Adria Cup”, gara internazionale di motocross, che vide l’esposizione e la dimostrazione di mini moto sul tracciato del grande parcheggio con i più grandi campioni della disciplina del momento. Quel 30 Aprile, giorno antecedente le gare ufficiali, rimane ancora nella memoria degli organizzatori e appassionati di questo sport motoristico. Nel pomeriggio le delegazioni delle nazioni partecipanti – Italia, Austria, Croazia, Slovenia, Slovacchia, Germania e Ungheria – furono ufficialmente presentate alla stampa proprio nel centro commerciale “La Castellana”; la cerimonia fu ripresa dai media locali, tra cui l’emittente trevigiana Antenna 3. Nel tempo la disposizione interna dell’edificio fu parzialmente modificata per agevolare l’espansione dell’ipermercato. Sempre inalterate rimasero tuttavia le aree dei tre ingressi, che permettono l’agevole accesso della clientela alle gallerie e 65 che ospitano spesso promozioni di attività commerciali esterne al grande centro. Di queste vetrine espositive approfittano tuttora concessionarie, mobilieri, venditori di moto-cicli, librai, e altri. Il Centro Commerciale è attualmente diretto dalla società Unicenter S.r.l. di Padova, azienda del Gruppo Agorà-Aedes, grazie alla quale La Castellana sta vivendo un graduale processo di aggiustamento e restyling. Il direttore attualmente è il dott. Bortolami, un professionista del settore e soprattutto un grande appassionato del proprio lavoro. Grazie alla sua carica giovanile lo shopping center non appare più come un’entità isolata, dove la gente si reca per gli acquisti quotidiani e poi fuggirsene via, al contrario si propone come luogo di richiamo e di aggregazione, in particolare per le famiglie, clientela naturale della struttura In virtù di questa connotazione sono state instaurate relazioni sinergiche con associazioni culturali e sportive di Paese, quali la Pro Loco Comunale, il Progetto Giovani e il G.S. Dinamis. Lo si constata a maggio, in occasione dell’annuale manifestazione “Paese tra fiori e sapori”, durante la quale “la Castellana” mette a disposizione i suoi grandi spazi esterni per il parcheggio di scambio con il centro, servito da un simpatico trenino turistico. In tempi recenti sono state ospitate varie mostre, ad esempio quella per il 50° del Moto Club Paese (2007) e delle “Arti e Mestieri de ‘na volta”. Ma sono stati organizzati, con un occhio di riguardo, pure incontri sportivi per i giovani e concerti di musica leggera. Lo scopo è quello di attribuire alla “Castellana” un ruolo centrale, facendola diventare sempre più luogo d’incontro e di socializzazione. Un nobile e lusinghiero progetto certo, alla sua portata data la possibilità di discreti spazi interni e grandi superfici esterne. In fondo si tratta di una prestigiosa vetrina visibile dalla trafficatissima arteria stradale che la lambisce. Il futuro potrebbe riservare alla clientela ed ai frequentatori abituali della struttura un’ulteriore rivisitazione in termini di sviluppo edilizio e commerciale, ferma restando l’attuale presenza in essere già dal 2005, nella palazzina direzionale che sovrasta il centro commerciale, della sede provinciale della Coldiretti di Treviso. Gli obiettivi più immediati rimangono un sempre maggior coinvolgimento e una più stretta integrazione con il territorio. Per informazioni: Tel e fax, 0422-451032, Indirizzo Mail [email protected] o [email protected]. CERAMICHE “IRIS” di Giordano Nasato È questa un’azienda commerciale, nata in Paese nel 1973 per iniziativa di Giordano Nasato (1931), già cameriere e poi per quattordici anni muratore con lo zio Egidio-“Memo” Barbisan (“Binéti”), quindi piastrellista in un’azienda edile negli anni Sessanta, mestiere quest’ultimo che lo teneva spesso lontano da casa, condizione che gli costò parecchi sacrifici. L’insostenibile distacco dalla famiglia fu infatti la goccia che fece traboccare il vaso, la molla che lo indusse a mettersi in proprio aprendo un negozio-magazzino di pavimenti e rivestimenti in ceramica, in linoleum e moquette, oltre alla vendita di articoli sanitari e rubinetteria. Allora Giordano era un giovane trentenne, voglioso di affermarsi per sistemare 66 dignitosamente la famiglia. Il primo dei desideri era quello di costruirsi una casa nuova, dato che veniva da una famiglia patriarcale, semplice, particolarmente numerosa: i “Moretèi” di Sovernigo. Il sogno si realizzò in Via 16 Giugno e in quel nido vennero al mondo i suoi figli. Erano gli anni del boom economico, durante i quali molti si costruirono una nuova abitazione aiutandosi tra amici in vicendevole solidarietà nei fine settimana, con pochi arnesi e tanta buona volontà. Per Giordano il primo passo da intraprendere per avviare la nuova attività consisteva nell’assicurarsi la rappresentanza di buoni prodotti. Contattò perciò varie industrie di piastrelle in ceramica trovando rispondenza nella Iris di Sassuolo-Fiorano, che gli affidò il suo marchio ed aprì bottega coadiuvato dalla moglie Angela Beccevello (“Rasmi”), che accoglieva la clientela, offrendo nel contempo la posa in opera da parte del marito. Il primo decennio fu particolarmente duro, anche se fu quello che gli diede maggior soddisfazione. Certo il lavoro di piastrellista costringeva Giordano a immani sacrifici, lavorando inginocchiato dalla mattina alla sera. Lo aiutò il coinvolgimento del figlio Lorenzo (1965), che si buttò a capofitto con grande passione nell’attività del padre appena terminata la scuola dell’obbligo. Grazie alla nuova spinta il progresso fu presto evidente e per Giordano fu un salutare sollievo. L’azienda si munì pertanto di nuove attrezzature che agevolarono notevolmente l’attività, compreso un camioncino da trasporto materiali. Ai due si affiancò poi Roberta, che si dedicò alla contabilità e lavoro d’ufficio. Si completava così il coinvolgimento di tutta la famiglia nell’impresa casalinga. Giordano è un imprenditore che non ha guardato soltanto al commercio e al profitto, ma ha dimostrando che si può godere delle gioie che la vita offre. Col suo animo particolarmente sensibile ha saputo coniugare l’attività lavorativa con la passione artistica. Da sempre attratto dal bel canto ha coltivato questo suo hobby parallelamente all’attività imprenditoriale, fino a diventare un apprezzato cantante lirico. Dalla corale parrocchiale di Paese, nella quale era entrato nel 1952, si aggregò al coro “Costanzo Porta” di Treviso e poi al coro “Stella Alpina”. Conscio del suo talento, ammaestrò la sua voce sotto la guida del M° Osvaldo Alemanno, che lo portò ad affinare il repertorio classico, in particolare quello verdiano. Da allora non si contano le esibizioni e i successi raccolti in teatri, auditorium e chiese. Non si possono enumerare i concerti né le cerimonie matrimoniali per le quali era richiesto. Con la sua profonda voce di basso, vinse nel 1982 il Concorso Internazionale “Aureliano Pertile” di Budrio (Bologna). Da allora fu una strada in discesa in fatto di apprezzamenti e notorietà. Entrò come corista in teatri famosi, quali la Fenice di Venezia, l’Arena di Verona e il Comunale di Treviso. Incise nel 1986 il suo primo LP, “Una voce amica” che gli aprì le porte dei teatri e rassegne di paesi esteri: Memorabili le sue affermazioni a Zurigo e al Concerto Nazionale Sloveno del 1998 con l’Orchestra di Lubiana, nel ruolo di Don Basilio, nell’opera “Il Barbiere di Siviglia”. Ancora recentemente marzo 2007 - nonostante l’avanzamento dell’età, si è esibito al Festival della Canzone Napoletana con il motivo “Core ingrato”, sponsorizzato dall’Ascom di Treviso, raccogliendo una strepitosa affermazione. Giordano ha dimostrato frequentemente di essere un personaggio dal cuore grande, prestandosi a numerosi concerti di beneficenza. Memorabili a Paese quelli a sostegno dell’Associazione “Amici di P. Pio Callegari”, sfatatndo il detto che “nessuno è profeta in patria”. Giustamente gli sono piovuti anche numerosi riconoscimenti per questa sua disponibilità e per la sua carriera artistica. Un 67 artista casalingo, un imprenditore che ha saputo coniugare il fattore economicocommerciale con il giusto tempo libero e la solidarietà, che ne fanno un personaggio ideale. Un esempio raro viene da quest’uomo, primogenito di Giulio Nasato e Ester Severin (“Searìni”), soprattutto nei confronti dei suoi figli, per saper dare il giusto valore alla vita. Pure Lorenzo sta dimostrando di aver preso dal padre, dato che si divide tra il lavoro di posatore e l’hobby della musica e pittura onirica, come la chiama egli stesso. Ha già esposto le sue opere in una personale di pittura, con buon successo. Davvero un bell’esempio di continuità ed evoluzione familiare a testimonianza che gli affari e la cultura possono fondersi in ideale simbiosi. Il cuore del padre imprenditore-artista può guardare ora con compiaciuta serenità al futuro e al coronamento degli investimenti di una vita ben spesa. Ma come dimenticare quei tempi di povertà quando nel 1947, subito dopo la guerra, aveva iniziato a lavorare nell’impresa di “Toni Scolo” (Antonio Vendramin)? Come non ricordare quegli anni di fatica per guadagnare il necessario per vivere? Fra i suoi ricordi emerge l’ampliamento della Trattoria Fantin-“Nanevaca”. Erano gli anni Cinquanta, anni di indigenza ma pieni di speranza. Giordano coltiva ora un pensiero di grande riconoscenza per la sua clientela, che ha cercato di servire sempre al meglio e dalla quale ha ottenuto anche tante soddisfazioni con la possibilità di mantenere la famiglia e far crescere l’azienda. Non dimentica neppure quella volta che un imprenditore gli aveva fatto nascere il desiderio di mettersi in proprio. Subito non ci aveva pensato, perché gli sembrava un’impresa ardita, ma poi si era convinto che anch’egli avrebbe potuto farcela. E fu davvero una felice intuizione. Nacque così il primo negozio di ceramiche per pavimenti, rivestimenti e affini di Paese. Che si ha sede a Paese, in Via Marzabotto 19. CITTÁ INFORMATICA TREVISO s.n.c. È una giovane e dinamica azienda commerciale di Castagnole, che operando nel campo dell’informatica, ben rappresenta i nuovi mestieri apparsi sulla scena negli ultimi decenni. Porta il marchio di una catena di negozi omonimi, sparsi nel Triveneto, anche se ora quella di Castagnole è diventata una ditta autonoma, una s.n.c. che fa capo a Paolo Martini (1966) e a sua moglie Luigina Pontello. La sua attività, oltre che al commercio di computer e sistemi informatici, si sviluppa principalmente nella progettazione, assemblaggio e installazione di soluzioni hardware e software su misura, per aziende e privati, assicurando nel contempo un prezioso servizio di formazione, consulenza e assistenza. Città Informatica di Castagnole è sorta nel 1999 da un’idea di Paolo Martini, già geometra comunale a Paese, il quale, in collaborazione con il centro studi amministrativi della Marca Trevigiana ha collaborato all’elaborazione di un programma per la gestione elettronica dei procedimenti amministrativi attraverso varie procedure, lavoro che prima si svolgeva del tutto manualmente con grande dispendio. Fu il suo trampolino di lancio, un successo, tale da essere adottato dall’Associazione Comuni della Marca e conseguentemente da un centinaio di aderenti, fino a travalicare poi i confini provinciali. Ciò gli diede modo di venire in contatto con aziende del settore informatico. Una di queste, la Comitec di San Donà di Piave, gli propose di entrare in società, dato che il Martini già possedeva un immobile adatto a negozio, edificato in 68 Castagnole. Fu così che, grazie a questi contatti nacque la nuova filiale Comitec a Castagnole, al motto di “Il computer sotto casa”. Erano, infatti, gli anni in cui questo strumento diventava appannaggio universale: tutti correvano a comprarselo, come già era successo negli anni Sessanta per farsi la macchina. Paolo Martini, tuttavia, pur essendo socio della ditta continuava ad essere dipendente comunale a part-time, tenendo anche famiglia: moglie e tre figlie. Nel 2001, dato che gli affari andavano bene, si licenziò dal Comune di Paese, cambiando società e ragione sociale alla ditta. Fu così che, surrogando la moglie, nacque “Città Informatica Treviso s.n.c. di Martini Paolo & C.”. Il negozio conobbe subito un’impennata nelle vendite, grazie alle nuove leggi che agevolavano l’acquisto di tecnologia informatica, che si poteva scaricare dalle imposizioni fiscali, e non solo a favore delle aziende ma anche dei privati. Già negli anni Novanta si era registrata una notevole apertura di mercato, favorita dalla continua evoluzione dei prodotti che inducevano a frequenti aggiornamenti tecnologici. Nel 2002, con la nuova moneta unica europea, il mercato esplose. Fu quello l’anno che la Windows lanciò il Sistema "Xp-professional" e fu una corsa ad accaparrarselo, dato che sembrava promettere miracoli. Delle continue scoperte ed evoluzioni informatiche, con l’invenzione di macchine sempre più veloci, si avvantaggiarono i venditori. Non fu da meno la ditta di Paolo Martini. L’Euro tuttavia portò presto anche gli aumenti indiscriminati dei prezzi e la gente si accorse che il computer aveva raggiunto un tale livello di affidabilità e operatività che non era più il caso di sostituirlo ogni sei mesi/un anno. Di conseguenza calarono anche le vendite, soprattutto nei piccoli negozi, mentre resistevano nella grande distribuzione. Si verificò pertanto una diversificazione nel modo di operare. La grande distribuzione, infatti, può sembrare imbattibile nel costo dei computers ed affini, ma non assicura l’assistenza quando succede – e capita spesso! – che emergano delle difficoltà, incompatibilità e black-out del sistema. È qui che s’inserisce la piccola distribuzione, che può assicurare assistenza e formazione, funzioni indispensabili per poter destreggiarsi agevolmente nell’intricato e sempre più complesso mondo dell’informatica. La consulenza e il supporto di un buon tecnico del settore è una polizza assicurativa che vale quanto e forse più della macchina, o si rischia di buttare al vento tempo e denaro, trattandosi anche di difendersi da virus, malware e spyware, che viaggiando in internet si diffondono in modo globalizzato con la velocità della luce. Ed è questa la strada imboccata ora da Città Informatica di Castagnole. Mentre la moglie gestisce il negozio, il titolare costruisce sistemi a misura del cliente, sia esso un’azienda o un privato, assicurando la formazione - anche mediante corsi serali - e l’assistenza tecnica, in sede o a domicilio, operando collegamenti in rete, studiando e progettando soluzioni informatizzate adeguate al richiedente, soprattutto puntando sulla fornitura di prodotti affidabili. Tutto ciò si trova naturalmente presso Città Informatica di Castagnole, in Via F. Parri 1/b, che si è attrezzata per offrire anche il servizio di teleassistenza, ossia soluzioni per via telematica, evitando i costi di trasferta. Certo questo è un settore del quale è impossibile interpretare il futuro, essendo in costante evoluzione. L’importante per chi ha scelto questo mestiere rimanere al passo con continue specializzazioni. Ed è proprio questa la garanzia che offre 69 Città Informatica Treviso s.n.c. di Castagnole. Info: [email protected] – tel. 0422.452177 – fax 0422.452570. COLUSSO FERRAMENTA DI PAESE Fin da piccolo, frequentando le elementari, Danilo Colusso (1946) coltivava l’idea di aprire un negozio di ferramenta, dato che gli piaceva destreggiarsi con fantasia e creatività usando martello, chiodi, tenaglie e altri arnesi. Erano gli anni dell’immediato dopoguerra quando le macchine erano ancora esclusivamente di tipo meccanico e quei pochi che potevano permettersele, adoperavano comunque più la propria manualità che le attrezzature. Di fatto Danilo Colusso aprì il primo negozio di ferramenta il 19 maggio 1968, alla verde età di ventidue anni. Si trattava di un locale di metri 4x4, in Via Roma 135. Fin da subito il giovane fondatore si era fissato di svolgere un servizio indirizzato prevalentemente alle aziende artigiane, che nel periodo del Boom Economico andavano sempre più diffondendosi. Gli articoli in vendita erano quelli classici della piccola ferramenta di quei tempi, quando non esisteva ancora la moderna tecnologia informatica. Per costruire una finestra si usavano quattro cerniere e un “cremonese” (maniglia girevole); per una porta erano sufficienti due cerniere e una maniglia con serratura. Per fare un paragone basti considerare che ora le finestre hanno generalmente l'apertura cosiddetta ad alta e ribalta, vetrocamera, zanzariera, alzanti scorrevoli, tendine oscuranti o frangisole, e si tratta spesso di componenti monoblocco, comprendenti il telaio e tutti gli accessori. Un tempo la materia prima prevalente era il legno di conifera, opportunamente trattato e dipinto. Ora, oltre ai legni pregiati e costosi, si usano l’alluminio, il pvc, il ferro, ecc. Un balzo tecnologico enorme è stato fatto dagli anni Sessanta in poi grazie ad una continua ricerca e alla globalizzazione, pertanto nei negozi di ferramenta oggi si può trovare tutto ciò che serve per la produzione, dal piccolo semplice oggetto agli strumenti più evoluti e impensabili, i quali agevolano enormemente il lavoro artigianale. Ciò ha interessato anche la sicurezza, un tempo assai carente. Qualche tempo dopo l’avvio del primo negozio, a Danilo si unì il fratello Valeriano (1946), dato che da solo Danilo non ce la faceva più. Oltre a servire la clientela in negozio, infatti, svolgeva lavori fabbrili per conto terzi nel retrobottega. Mestiere, quello di fabbro, che aveva acquisito in una ditta di Treviso. Valeriano invece era stato in precedenza operaio del calzaturificio “Miss Pitti” che si trovava in Via Risorgimento a Paese. Ditta che in seguito si trasferì a Treviso. Con un nuovo impulso evolutivo, ai due fratelli si unì qualche anno dopo il terzo, Bruno (1943), già pulitore galvanico a cottimo - ossia con una retribuzione commisurata al quantitativo dei pezzi lavorati - presso una ditta di Treviso. Nel negozio di ferramenta si vendevano fin dalla fondazione anche vernici e colori per tinteggiature murali, articoli poi affiancati ed integrati da prodotti affini, quali antimuffe, solventi, aggrappanti, isolanti, decappanti, ecc. Nel 1985 apparve chiara l’inadeguatezza di quel primo locale, dato il progresso raggiunto, quindi ci si dovette spostare in una nuova sede più ampia poco lontano, in quella che un tempo era stata l’abitazione della famiglia Perotto, di fronte a Villa Quaglia. L’immobile fu ristrutturato progressivamente dai Colusso 70 che lo avevano acquisito da un certo Merlo di Montebelluna, erede dei Perotto – aggiungendovi nuove sezioni. Diventò a poco a poco un negozio specializzato e ben fornito. Ma parlare di negozio può sembrare fuorviante e riduttivo, giacché aveva ormai assunto le dimensioni di una grande distribuzione sviluppata su più piani. Ai tre fratelli Colusso, con il trascorrere del tempo, iniziò ad affiancarsi la nuova generazione, ossia i figli con le spose. Il primo della nuova generazione a mettervi piede da collaboratore, appena terminati gli studi superiori, è stato Luigi (1969), figlio di Bruno, al quale si aggiunse qualche anno dopo il fratello Michele (1971). Con l’evoluzione dell’attività si aggregò Verena (1977), figlia di Danilo, con la funzione di addetta alla revisione e controllo prezzi. Un nuovo apporto si concretò con l’arrivo di Silvia (1977), figlia di Valeriano, in qualità di impiegata commerciale e commessa alle vendite. Per ultima si aggiunse Karen (1981), la più giovane delle figlie del fondatore, che si associò al settore vendite. Furono quindi assunte anche delle maestranze a supporto del personale familiare. Come si può intuire dalle varie risorse umane che progressivamente si aggregarono, l’attività conobbe una straordinaria evoluzione, tale che anche quella sede diventò insufficiente. Se ne cercò pertanto una ancora più ampia, che fu trovata acquisendo lo satbile dell’ex industria conserviera Logrò, in Via Verdi. L’ampia area commerciale, che ha aperto i battenti nel Giugno 2007, si sviluppa su ben duemila mq. di superficie coperta. Un salto enorme dal primo negozio che di metri quadrati ne sviluppava soltanto sedici. Sembra perfino superfluo aggiungere che nel nuovo insediamento si può trovare tutto quello che serve per qualsiasi attività artigianale e molto anche per quella industriale. Oltre a ciò la Colusso Ferramenta si distingue per la qualità e il servizio alla clientela. È inoltre considerata un modello nel suo settore per l’attenzione allo sviluppo sostenibile del territorio. Fra i suoi obiettivi più pregnanti, infatti, c’è quello di arrivare a commercializzare solo prodotti naturali e non tossici, nel rispetto della salute dei lavoratori e dell’ambiente. La Colusso Ferramenta è anche sinonimo di impegno sociale, soprattutto a sostegno dello sport, del rugby in particolare, nel quale i soci fratelli sono sempre stati di persona in prima linea. La conduzione della quarantennale azienda si è ora spostata nelle mani della giovane generazione. Rimangono tuttavia ancora la supervisione e la consulenza di quella più anziana, la quale ha voluto dare credito e un futuro agli eredi nel segno della continuità. L’azienda Colusso può essere additata quale esempio dello straordinario sviluppo economico di Paese, con in più la trasmissione dei valori cardinali della famiglia. CONSORZIO AGRARIO DI TREVISO E BELLUNO La legge n. 410 del 1999, specifica che i consorzi agrari sono società cooperative a responsabilità limitata che hanno lo scopo di contribuire all'innovazione ed al miglioramento della produzione agricola, nonchè alla predisposizione e gestione di servizi utili all'agricoltura. A Castagnole, dal febbraio 2006, è insediata la sede centrale del Consorzio Agrario di Treviso e Belluno, una presenza che ha fatto da volano all’economia agricola trevigiana e bellunese. Forte dei suoi 6175 soci e ben 28.500 clienti, è il 71 sicuro punto di riferimento per l’imprenditoria agricola, ma anche per i piccoli coltivatori e famiglie che hanno modesti lembi di terra da coltivare. Qui si trova tutto ciò che serve allo scopo. Una succursale del Consorzio è insediata nel territorio comunale di Paese fin dagli anni Sessanta, quando si trovava adiacente la dismessa Cooperativa Agricola, in Via Postumia, da dove si è trasferita intorno al 1980 per insediarsi in Porcellengo, ossia in zona prettamente agricola, dopo l’evolutiva trasformazione urbana del capoluogo comunale. Nel tempo queste strutture, sorte sul finire dell’Ottocento, furono adeguate parallelamente alla trasformazione dell’attività e del mondo rurale, passando dalla funzione di gruppo di acquisto a favore degli agricoltori a consorzi veri e propri su base provinciale, con compiti di ammasso dei cereali in epoca fascista, a quello di società cooperative a sostegno principalmente dei prezzi agricoli e soprattutto organismi per la commercializzazione dei prodotti agricoli. Con il decreto legge del 2006 hanno subito un netto cambiamento di indirizzo per diventare delle normali cooperative agricole. Si è in sostanza ritornati alla funzione primordiale. La filiale di Porcellengo, in Via Baldrocco 100, funge da centro di raccolta, ossia accoglie in un silos i cereali prodotti dagli agricoltori della zona, in attesa che vengano trasferiti nei centri di essicazione. Ma ogni filiale ha una sua specifica funzione in base alla connotazione e alle produzioni tipiche del territorio in cui opera. A S. Biagio di Callalta e a Motta di Livenza si trovano gli essicatoi dove confluiscono i raccolti ritirati dai centri di stoccaggio. A Motta si trovano anche tutti i mezzi tecnici per la coltivazione dei terreni, il centro carburanti, e l’enopolio, tanto per fare un esempio. La filiale di Porcellengo invece si caratterizza oltre che come magazzino e negozio agricolo anche come centro vendita di macchinari usati. In totale sono 41 i punti vendita sparsi nelle provincie di Treviso e Belluno, che commercializzano una varietà di prodotti: dalle sementi ai concimi, dai fitofarmaci ai prodotti per la casa e il florovivaismo, dai carburanti per autotrazione e riscaldamento ai lubrificanti, dai mangimi e cereali ai nutrimenti biologici, dalle macchine e attrezzature agricole ai ricambi per macchinari industriali, dagli impianti di vigneto e oliveto ai prodotti finali, dal centro dell’usato ai servizi di consulenza, finanziari e assicurativi. La presenza di otto officine permette un’adeguata assistenza in caso di guasti meccanici ai mezzi motorizzati sia agricoli sia di movimento terra. Si avvalgono di tecnici specializzati, in parte dipendenti del Consorzio e in parte liberi professionisti convenzionati. A ciò si deve aggiungere la settantina di maestranze altamente qualificate presenti nella sede centrale e nelle filiali delle due Province. Il Consorzio Agrario di Treviso e Belluno s.c.a.r.l., grazie all’eccellente organizzazione, si presenta in sostanza come struttura tesa a dare un insostituibile supporto al mondo agricolo in un’epoca in cui la filiera alimentare è giustamente normata da rigorose leggi e regolamenti a tutela sia della salute dei produttori sia dei consumatori finali, umani e animali. Per questi ultimi a Bibano (Belluno) il Consorzio conduce un mangimificio in grado di produrre annualmente oltre 700 quintali di trasformati. Dalla sede centrale di Castagnole, in Via Feltrina 56 - km. 5, dipende tutto il servizio di assistenza alla rete di vendita. Non si tratta soltanto di vendere, ma anche di fornire finanziamenti e agevolazioni economiche, senza trascurare il comparto assicurativo e previdenziale attraverso personale specifico altamente 72 preparato, in grado di offrire consulenza a 360 gradi in maniera corretta e affidabile. Ciò si evidenzia pure in occasione delle più importanti fiere agricole alle quali il Consorzio partecipa. Ad esempio a quella di Longarone, S. Lucia di Piave e Godega S.U. Talvolta si tratta di operare sinergicamente con le Associazioni di categoria per reciproci orientamenti che permettono di stare al passo con la progressiva evoluzione, non mancano inoltre anche i contatti con l’Estero a dimostrazione di una presenza che si amplifica pur senza rinunciare alla valenza territoriale. Sono migliaia i soci del Consorzio, tutti strettamente agricoltori, ossia lavoratori della terra a qualunque titolo: un vero esercito che si avvale di una lusinghiera rete commerciale. A distanza di oltre un secolo, quindi, i Consorzi, come quello di Treviso e Belluno, hanno il merito di mantenere vivo l’amore per la terra, rivelandosi una fidejussione a favore della produzione di prodotti genuini, nel segno della migliore tradizione. Per informazioni e contatti: [email protected]. - Tel. 0422/4561 - fax 0422/451957 - www.consorzioagrariotreviso.it COOPERATIVA AGRICOLA MONTELLO Soc. Coop. r.l. Offrire prodotti garantiti senza intermediazione, fornendo al consumatore la qualità assoluta. Si è costituita con questo obiettivo nel 1990, con oculata preveggenza, la Cooperativa Agricola del Montello, una società nata già nel 1974 come semplice associazione di agricoltori. L’obiettivo dei suoi membri è la produzione di carni da macello, provenienti da animali allevati in una delle più ridenti oasi verdi del Veneto, dove godono di assoluta pace e salubrità crescendo senza particolari condizioni stressanti. Quelle distribuite dalla Cooperativa del Montello nel suo spaccio di Paese - aperto nel 1984 - sono quindi carni che si possono consumare in assoluta sicurezza, ossia garantite dal produttore al consumatore. Avviata da una dozzina di soci la Cooperativa, che è presieduta da Nadio Zamattia, è cresciuta negli anni fino ad aggregarne una trentina, non solo allevatori ma anche produttori di ortofrutta, formaggi, salumi e vini. Nel negozio di Paese si possono trovare anche altri generi alimentari di prima necessità, ma la carne rimane il punto forte: bovina, equina, suina, ovina e animali da cortile, carni bianche queste provenienti pure da allevatori associati. Con l’inserimento di soci particolarmente qualificati la Società ha allargato i propri orizzonti ed ora fornisce i suoi prodotti a macellerie sparse in tutta la Penisola. Ma mentre le carni bovine sono vendute esclusivamente a Paese, quelle equine raggiungono pure la Puglia e la Sicilia. Gli animali vengono trattati nel macello “Pellizzari Carni” di Loria (Treviso) e marchiati con il bollo CE “M 2159 Italia”. Il pollame invece è fornito dalla Cooperativa Avimont di Volpago, mentre maiali e vitelli provengono dalla Cooperativa Agricola di Volpago del Montello. Da notare che i bovini d’estate soggiornano in alcune malghe recuperate nelle Prealpi, nutrendosi di erba e fiori dei prati, dove l’aria è salutare non solo per gli animali ma anche per chi vi opera al seguito. Non meno garantita è la qualità dell’ortofrutta coltivata nella Cooperativa O.P.O. di Sant’Alberto di Zero Branco, zona di grandi tradizioni orticole lungo le 73 lussureggianti rive del Sile. Lo stesso dicasi per i formaggi che provengono dai migliori caseifici veneti. I vini escono dalla Cantina Montelliana e Colli Asolani, oltre che dall’Agriturismo “Generale Fiorone”, presa XVIII del Montello. Si tratta in sostanza esclusivamente di soci che si sono dati un codice di autoregolamentazione al fine di offrire al cliente prodotti costantemente controllati e di altissima qualità. Quando si dice “dal produttore al consumatore” non si tratta quindi di un semplice spot pubblicitario o di parole vuote di significato, ma di una garanzia che per gli associati è un imperativo. I loro prodotti hanno già ottenuto la fiducia di una vasta clientela, ed è ciò che si riscontra quotidianamente entrando nello spaccio di Paese. I soci stanno ora modernizzando tutti gli impianti, quali le sale di mungitura con sofisticate apparecchiature per la pulizia, quindi le aree di stabulazione e alimentazione, l’asporto delle deiezioni, gli abbeveratoi, tutti interventi per il maggior benessere degli animali che si traducono in miglior qualità dei prodotti. Basterebbe visitare l’Azienda Agricola dei Fratelli Zamattia per farsene un’idea. In questa fattoria montelliana si allevano 500 capi di bestiame: cavalli, puledri, vacche nutrici e un gregge di pecore. I puledri, che arrivano dall’Austria e dalla Francia in età di soli sei mesi, vengono quindi allevati nell’Azienda nel cuore del Montello per dodici mesi prima di raggiungere il macello e proseguire per la catena alimentare umana. Le cavalle fattrici d’estate vanno all’alpeggio a Malga Doch, sul Monte Zovo, a quota 1400 mt. s.l.m. assieme alle vacche nutrici, al gregge e agli altri animali più giovani. L’alpeggio, come la pastorizia, anche se va diminuendo con il progressivo avanzamento di tecniche di allevamento intensive che garantiscono maggior produttività con minore sforzo, è sinonimo di prodotti genuini e particolarmente gustosi. Certo ci vuole spirito di sacrificio e tanta passione per esercitarlo. Ed è ciò che fanno ancora i fratelli Zamattia, che possono vantare una lunga qualificata esperienza nel settore, i cui prodotti vengono poi distribuiti attraverso la Cooperativa. La carne è uno degli alimenti più importanti per il nutrimento umano. Occorre tuttavia essere oculati, ossia acquistare prodotti garantiti e certificati, di sicura derivazione e qualità come sono quelli della Cooperativa del Montello, il cui negozio si trova a Paese (Treviso), in Via della Resistenza, 8 (rotonda del centro commerciale), tel. 0422 950033. FOTO ALCIDE BARBISAN A Paese il primo fotografo professionista con proprio negozio fu Zefferino Durigon, che iniziò l’attività all’inizio degli anni Sessanta. Questi si faceva aiutare da un ragazzo in età scolare, desideroso di scoprire cosa si nascondesse nel buio stanzino in cui il Durigon si ritirava per ore. Quel giovane apprendista era Alcide Barbisan, attuale titolare dell’omonimo negozio di fotografia in Via Roma a Paese. A quel tempo i negozi fotografici aprivano anche di domenica mattina, soprattutto per coloro che desideravano la foto-tessera, dato che indossavano il vestito della festa. La foto-tessera era il ritratto ufficiale per i documenti, ma anche da esibire e scambiare con la fidanzata o da inviare ai parenti lontani. La ripresa avveniva 74 con una reprocamera a soffietto, dietro la quale il fotografo agiva infilando la testa sotto un telo nero. Allora il fotografo era una specie di alchimista che operava tra bacinelle di acidi e gelatine sensibili, oltre che un abile ritoccatore manuale. Tutte operazioni che sono oramai passate di moda, ma anche oggi che si opera con moderne tecnologie occorre una certa manualità. Il fotografo professionista, infatti, si distingue dal dilettante per le capacità di composizione e il gusto estetico. In sostanza usa tutta l’esperienza acquisita per tradurla in arte fotografica. Ed è ciò che si può dire di Alcide Barbisan, un fotografo particolarmente ricercato per cerimonie religiose e civili, oltre che per servizi promozionali. Durigon era stato il suo primo maestro, ma Barbisan raffinò la sua preparazione presso lo Studio Sartori e Ceolin di Treviso, che a quel tempo era considerato il top nel settore. Nei sei anni passati da dipendente, Alcide ebbe l’opportunità di fotografare personaggi di fama mondiale, nell’ambito dello spettacolo, della politica, dello sport. Fu un periodo di grande esperienza, intervallato dal servizio di leva nel 3° Rgt. Artiglieria da Montagna in Friuli. Con l’incarico di fotografo ufficiale, andava con la Campagnola di caserma in caserma, armato dell’inseparabile Rolleifex biottica 6x6, ad immortalare le cerimonie di giuramento, ma anche le marce e le manovre militari in montagna. Al momento dell’arruolamento, dovendo fotografare le reclute per il tesserino di riconoscimento, ne riprendeva due per scatto, ponendole in posa distanziate tra loro per risparmiare tempo e pellicola. Le stampe venivano poi tagliate a metà ed ognuno se ne andava quindi con la foto personale. Ricorda ancora quando dovette appellarsi a tutta la sua bravura per assecondare il comandante di reggimento che gli chiese di aggiungere ad una vecchia foto, di quando era capitano, i gradi di maggiore, meritandosi una licenza premio. Lasciato lo studio di Treviso il 31 marzo 1976, Alcide Barbisan subentrò allo sfortunato Zefferino Durigon aprendo l’attività in proprio nel negozio avuto in affitto da tale Pasqualetto di Zero Branco, accattivandosi subito una buona clientela. Certo Barbisan, non dando nulla per scontato, continuò ad aggiornarsi professionalmente scoprendo a fondo le tecniche del digitale e dell’elaborazione delle immagini attraverso i software più sofisticati. Questa sua specializzazione è ora particolarmente richiesta dal mondo imprenditoriale per la produzione di layout di comunicazione e marketing, cataloghi e servizi documentaristici anche con riprese aeree. Da apprezzato professionista Alcide Barbisan è stato per diversi anni docente professionale presso il laboratorio fotografico della Scuola Media “C. Casteller” di Paese, facendo scoprire ai ragazzi, come per gioco, i segreti della fotografia: dal foro stenopeico ai trucchi della camera oscura, fino alle tecniche più moderne, seguito sempre con grande interesse dagli studenti. La sua quarantennale attività è costellata di innumerevoli avvenimenti che ha impresso con i suoi inseparabili strumenti, divenuti nel tempo sempre più evoluti. È stato fotografo ufficiale di varie associazioni sportive di Paese, cineoperatore fin da quando si usavano le cineprese 8 mm. Con questo lusinghiero bagaglio di esperienze ha introdotto nello studio di Paese le nuove tecnologie informatiche ed ora si può operare con la Foto Alcide Barbisan in collegamento telematico ([email protected]), e non solo per le 75 tradizionali stampe, ma pure per la realizzazione di particolari servizi, quali libri fotografici e gadgettistica varia. Questo professionista dell’immagine fatica a veder proiettato nell’avvenire un mestiere che è stato lo scopo della sua vita. I due figli, infatti, pur essendo appassionati di fotografia, non sembrano intenzionati a ricalcare le sue orme. Per quanto concerne questo settore, infine, chissà cosa riserverà il futuro, data la continua evoluzione. È la grande scommessa che riguarda i 14.000 fotografi professionisti italiani. GAIVI s.r.l. L’Azienda si distingue nel campo delle forniture all’ingrosso e al dettaglio di materiale idro-termo-sanitario, condizionamento, arredo bagno, pavimentazione, rivestimenti e molto altro distinguendosi per la capacità di stare al passo con le continue innovazioni e trasformazioni del settore. GAIVI – Gruppo Acquisto Installatori Veneti Idrotermosanitari – è emanazione di un gruppo di artigiani che si sono consorziati per mettere insieme e capitalizzare esperienze e risorse per tradurle in competitività. Ha alle spalle oltre un trentennio di storia, caratterizzato da una costante irrefrenabile crescita. Nata a Ponzano, lungo la provinciale Postumia nel 1974 in una sede assai modesta, in rappresentanza di nove soci, l’azienda ha conosciuto un’inarrestabile crescita sia negli spazi sia nei volumi commercializzati al pari dell’aumento della clientela tale da dover spesso cambiare ubicazione per ampliarsi. Il periodo tra il 1978 e il 1980 fu per l’azienda particolarmente prolifico dato che si registrò uno straordinario sviluppo urbano e conseguente richiesta di forniture del settore termo-idraulico. Gli associati, nel frattempo cresciuti in numero e dimensione, si trovarono di fronte all’esigenza di dover cercare un’area idonea allo sviluppo della loro creatura e la scelta cadde su Paese, dato che in questo comune l’attività edilizia non ha mai conosciuto indugi. Individuata un’ampia area lungo la regionale Feltrina, nel 1990 la Gaivi si trasferì pertanto a Castagnole dove tuttora si trova. Da questa sede partì la prima grande avventura di questa importante azienda commerciale, che sembra proiettata nel futuro giacché le è universalmente riconosciuta la capacità di precorrere i tempi, dimostrando di occupare nel settore posizioni verticistiche. Per farsene un’idea basta visitare il prestigioso show-room o il sito internet. Nonostante la grande capacità innovativa e l’ottimo management, la struttura a fine degli anni Novanta conobbe il suo primo periodo di crisi, dovuto però all’inusitato sviluppo. Si dovette perciò ripensare una nuova politica commerciale e destinare parecchie risorse per concretizzare obiettivi a lungo termine. Acquisita una nuova area di grandi dimensioni a fianco della sede, nel 2001 si ripartì per una nuova avventura, allargando il fabbricato e contemporaneamente i settori logistico ed espositivo. Da questo intervento la Gaivi si presenta con tutte le credenziali in regola in un servizio di eccellenza tanto per il privato quanto per il professionista, essendo leader nel mercato della distribuzione di componenti idrotermo-sanitari e relativo indotto. Il Consorzio è ora il numero uno in Italia nel 76 settore. La lunga esperienza acquisita ha fatto scuola e sulla sua scia sono sorte numerose altre “Gaivi” in regione e oltre. La posizione di leadership viene mantenuta ed anzi rinforzata con la costante attenzione alle nuove tecnologie, a sistemi sempre più evoluti e rispettosi dell’ambiente, a nuove scoperte per il contenimento dei consumi e alternative energetiche oltretutto più salutari come quelle solare, geotermica, idrica e fotovoltaica; lo stesso dicasi per il campo delle nuove combustioni. I cambiamenti in questa branchia sono veramente repentini, ma la Gaivi non si fa mai trovare impreparata, dimostrando con i suoi tecnici professionisti di saper stare comunque al passo e anzi con la capacità di essere punto di riferimento, destreggiandosi egregiamente tra leggi e imposizioni governative e provvedimenti internazionali quali il Trattato di Kyoto e seguenti. È certamente uno degli obiettivi cercare di diffondere il nuovo modo di interpretare il lavoro di migliaia di addetti, creando cultura e una nuova sensibilità ecologica che deve andare di pari passo con le specializzazioni nel settore. Nell’azienda vengono formati pure i figli dei numerosi associati, che costuiscono quindi la speranza per un futuro migliore. La Gaivi si è attribuita a questo scopo un importante incarico tecnico e culturale: due percorsi paralleli. Sta perciò allargando ulteriormente la sua vasta superficie operativa, erigendo ed attrezzando al meglio il settore tecnico-specialistico assumendo ingegneri e professionisti esperti allo scopo di fare formazione tra gli artigiani e anche tra i privati sull’impiego delle nuove scoperte tecnologiche, per mettere a disposizione e diffondere le conoscenze atte a salvaguardare la salute e migliorare la qualità della vita, scegliendo prodotti che portino ad economizzare le risorse comuni che in fondo non sono inesauribili. In questo particolare ambiente verranno allestiti anche degli stand dimostrativi sull’impiego delle tecnologie alternative. La Gaivi è profondamente convinta che il futuro non possa prescindere da questa presa di coscienza e che occorre diffondere velocemente una nuova cultura di rispetto dell’ecologica e dell’ambiente. Il concetto di “Casa Clima”, un sistema di applicazione e di certificazione energetica va in questa direzione e si sta facendo rapidamente strada in tutti i settori dell’edilizia e sua componentistica. Tali provvedimenti di sostenibilità ambientale non possono più essere elusi e si vanno facendo strada tra gli addetti ai lavori. Qua e là vengono avviati anche dei corsi universitari ad hoc. La Gaivi tuttavia non si fa trovare impreparata, ma si pone in posizione propositiva nei confronti dell’utenza, ed ecco lo scopo di questo nuovo padiglione tecnologico che sta sorgendo, una struttura che la dice lunga e che qualifica particolarmente l’azienda, che dimostra di meritare la posizione verticistica acquisita ormai da lunghi anni. Attualmente occupa una quarantina di maestranze ed è una delle rare aziende di distribuzione certificate nel proprio settore, a garanzia del rispetto delle regole e soprattutto di un modo di operare trasparente dal quale non si può prescindere. Quello del rispetto ambientale e delle energie alternative è divenuto un percorso obbligato, che non può essere eluso e non ammette improvvisazione; è soprattutto un obiettivo che il Gruppo di soci si è dato nominando perfino una commissione di vigilanza e controllo. La GAIVI opera prevalentemente nell’area trevigiana, veneziana e bellunese anche attraverso alcune filiali. Nel Bellunese, in particolare, risente dell’influenza di un modo di costruire avanzato tecnologicamente, che fa riferimento al Nord Europa, 77 dove il concetto di “Casa Clima” è stato inventato e soprattutto largamente applicato. Sono stati i paesi nordici i pionieri in questo campo per ovvi motivi. Il consorzio Gaivi pertanto si è attribuito il compito di diffondere questa cultura tra gli associati in primis, ma anche nelle aree di sua influenza. La grandezza di questa azienda si vede proprio in tale obiettivo. Si rivolge soprattutto ai giovani artigiani, che non hanno ancora una lunga esperienza, ma che tuttavia vogliono prepararsi e affermarsi con questo indirizzo, supportati da tecnologie sempre più avanzate e avveniristiche, che emergono dalle sinergie con i più importanti marchi europei del settore. La società Gaivi a r.l., che è gestita da un team di persone altamente professionali e qualificate, si sviluppa su una superficie coperta di circa 8.000 mq., in gran parte adibita a mostra permanente, occupando un’area esterna di 30.000 mq. a ridosso dell’insediamento urbano della ex Simmel a Castagnole di Paese, in Via Feltrina 70. (www.gaivi.it) LA STORIA s.r.l. – Club degli Spaghetti Il Club degli Spaghetti, già trattoria di “Piero dea Ida”, che fa capo a La Storia s.r.l., racconta, attraverso la sua evoluzione, di una famiglia - i Bellio soprannominati Berlese - che, oltre a gestire il pubblico esercizio, ha caratterizzato la vita civile di Paese attraverso l’impegno di alcuni suoi membri. Un’epopea che si trascina da oltre un secolo: una lunga storia, appunto. Tutto iniziò quando Abramo Bellio (1872-1912), fattore dei Quaglia, nel 1908 s’infortunò irrimediabilmente rimanendo immobilizzato a letto per oltre quattro anni prima di finire i suoi giorni. Si era spezzato la spina dorsale cadendo da una scala che aveva appoggiato ad un tino per far scendere le vinacce che minacciavano di tracimare durante la fermentazione. Lasciava alla disperata moglie Ida Venturin l’incombenza di sfamare quattro figli, giacché non esistevano assicurazioni, né mutue. Ma i Bellio, constatata la gravità delle condizioni del congiunto, si organizzarono per assicurare alla moglie un minimo di vitalizio, aprendo una modesta osteria. Inizialmente si trattò di un ristretto locale nel quale si vendeva il poco vino donato dai Quaglia, che si andava a ritirare in villa una damigiana alla volta. Sarà stata la cordialità della donna oppure la bontà della gente, probabilmente tutte e due le qualità assieme, fatto è che a poco a poco quel locale catalizzò un crescendo di avventori, tanto da registrare una straordinaria evoluzione. Qualche anno dopo, infatti, spostatosi l’esercizio nell’attuale sede, divenne una trattoria ricercata per la bontà della sua cucina, di cui Ida era la magistrale artefice. Furono in particolare gli sposi a privilegiare questo locale per il pranzo di nozze. Alla morte della mamma, avvenuta nel 1942, la licenza passò al figlio Pietro (1903). Da quel giorno la locanda fu denominata dalla gente “Osteria di Piero dea Ida”. Nella nuova sede, in Via Vittorio Emanuele, attuale Piazza Evelina Quaglia 3, c’erano anche il gioco della borela (birilli) e quello delle bocce, ma oltre che per sedersi al desco, ci si trovava soprattutto per giocare a carte e passare qualche ora in lieta compagnia. A dare fama all’ambiente fu soprattutto Pietro, il gestore, che lo animava grazie al suo carisma e al coinvolgimento pubblico, in epoca in cui lo sviluppo del paese 78 era in pieno fermento. La moglie Teresa De Lazzari (“Matonél”), lo rendeva appetibile con la sua straordinaria bravura di cuoca, e fu grazie a lei che l’osteria divenne famosa soprattutto per alcuni piatti tipici, semplici ma particolaremente gustosi. Piatto fisso della domenica era il baccalà, innaffiato con dell’ottimo vino fatto in casa, ma si vendevano anche bogoli e polipi. Ad aiutare i due coniugi nella conduzione erano i loro otto figli prima che ognuno imboccasse la propria strada. L’osteria, nel periodo della Ricostruzione, era il ritrovo degli eminenti di Paese. Quei muri impregnati di mille sapori videro accendersi grandi discussioni e non di rado proprio qui ebbero origine importanti scelte amministrative. C’era allora una gran passione per la politica. Nel 1976 morì anche Pietro e l’osteria fu ereditata dal figlio Sergio che le impresse una svolta trasformandola in “Club degli Spaghetti”. Fu un’avventura, quasi una scommessa tra amici e loro mogli, che Sergio coinvolse per condividere lavoro e utili. Il lavoro, infatti, si rivelò non da poco, dato che si trattava sì di cuocere pasta, spaghetti in particolare, conditi con vari ingredienti secondo la forma della ristorazione veloce, ma ognuno aveva anche un altro lavoro, e dopo qualche tempo di tour-de-force la collaborazione si sciolse. Fu tuttavia una felice e fruttuosa intuizione che riscosse subito i favori della gente, così che, cavalcando l’onda del successo, fu aperto un secondo locale a Vittorio Veneto, Piazza Giovanni Paolo I 10, tel. 043857474, con la denominazione Club degli Spaghetti “La Loggia”, di fronte all’antico duomo di Ceneda. Sciolta l’amichevole società, al Club degli Spaghetti di Paese furono assunte delle maestranze qualificate e l’attività proseguì con un trend positivo per circa un decennio sotto la direzione di Sergio con la stretta collaborazione della moglie Carla. Fu pertanto necessario ristrutturare e ampliare la zona pranzo e le cucine per adeguarle alle nuove norme sulla ristorazione, aumentandone la capienza. Scemata in parte la novità degli spaghetti, l’esercizio si trasformò in vero e proprio ristorante pur conservando la stessa tipicità e ragione sociale. È cambiato molto da quel 1976, anno d’inizio della nuova avventura, ma non la sua fama, ed ora il Club degli Spaghetti, rinomato in tutto il Veneto e oltre, offre il meglio della cucina italiana, servendo quotidianamente centinaia di coperti ad un prezzo conveniente. Qui vengono a pranzare persone di ogni ceto e professione, soprattutto lavoratori durante la pausa meridiana. Vi si può trovare un po’ di tutto, anche se la specialità tipica rimane il piatto di spaghetti, diventati qui una griffe, un marchio, e in generale tutti i tipi di pasta, preparata al momento e condita con innumerevoli varietà di sughi che variano ogni giorno. Ma ci sono anche i secondi di carne o pesce, insalatone, panini e dolci fatti in casa. Da provare le spaghettate (per 2 persone) allo scoglio, che vengono servite su una terrina a forma di conchiglia, all’astice, alle cozze e vongole. A mezzogiorno viene offerto il menù del giorno sempre diverso, ad un prezzo speciale; su prenotazione la paella di pesce. Per gli amanti dei dolci non c’è che l’imbarazzo della scelta, e per i palati più raffinati degli ottimi vini. Stupisce la continuità che si riscontra dopo un secolo dalla prima apertura. La conduzione e la proprietà sono tuttora dei discendenti di Abramo Bellio e Ida Venturin. Nel 2006 la licenza è passata ancora una volta di mano, ma sempre all’interno della stessa famiglia, assumendo la ragione sociale di “La Storia s.r.l.”. Titolari del Club degli Spaghetti di Paese sono ora le figlie dei fondatori, Martina e Manuela, mentre Marco, l’altro figlio, è titolare del locale di Vittorio Veneto. Proprio una 79 bella storia, anzi un’affascinante epopea, che continua con la quarta generazione Bellio. Ma chi pensa che i genitori di questi giovani ristoratori si siano ritirati rimane stupito, giacché la loro supervisione non è ancora venuta meno, anche se condotta con discrezione. Sergio e la sua signora possono ora godere dei frutti di una felice intuizione legata agli spaghetti, e di una vita imprenditoriale ben onorata. (infoline 0422 959021) MACELLERIA MODESTO È una delle macellerie storiche di Paese, già esistente prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Era stata avviata da Silvio Dalla Riva, con annesso macello, nella borgata di Villa, all’imbocco tra Via Battisti e Via Marconi, di fronte al cosiddetto “campetto”, dove il Venerdì Santo si teneva la rappresentazione della Crocifissione. Alla morte del Dalla Riva, avvenuta nel 1947, la licenza e la macelleria furono rilevate da Silvio Martino Modesto (“Carnio”), detto Ciro, il quale del mestiere di macellaio aveva fatto la sua ragione di vita. Fin da ragazzo, infatti, quando ancora frequentava la terza elementare, Silvio marinava frequentemente la scuola preferendo seguire nei mercati rionali il compaesano Giuseppe Novello Lorenzetto, noto commerciante di bestiame, dal quale imparò tutti i trucchi del mestiere. Grazie all’estrosità e fantasia, ma soprattutto alla sua professionalità, il negozio diventò un punto di riferimento ma anche di curiosità, dato che Silvio sapeva esporre le sue merci in modo da renderle appetibili sia ai palati che agli occhi della gente, anche se a quel tempo poche erano le famiglie che potevano permettersi di entrare in una macelleria per acquistare un genere considerato “da signori”. Di fatto “Ciro-Carnio” sapeva catturare l’attenzione esponendo le carni macellate non solo all’interno, ma anche all’esterno del negozio infarcendole talvolta di ramoscelli e di fiori. Quarti di bovini, tacchini, polli, oche, conigli erano esposti in bella mostra, e durante la Settimana Santa comparivano anche agnelli e capretti. L’ammirazione era generale soprattutto al passaggio della processione del Venerdì Santo che si concludeva proprio di fronte alla macelleria. A quei tempi quasi tutte le macellerie possedevano anche il macello. In seguito, entrate in vigore norme più restrittive in fatto di igiene e sicurezza, e nuovi balzelli, le due mansioni furono separate. Pure Ciro preferì tenere separate le due cose, tanto che il macello lo teneva presso l’abitazione in Via Oston. Spesso partiva da casa in bicicletta con sulle spalle i quarti di bue da trasferire nel negozio. Silvio-“Ciro” aveva acquistato il negozio con macello proprio nell’anno del suo matrimonio con Armida Biasetto, dalla quale ebbe la gioia di quattro figli, tra cui Giampaolo e Michele, che, alla morte del genitore, porteranno avanti l’attività nel segno della tradizione. Nel 1963 Silvio, dato che gli affari s’incrementavano e recependo l’esigenza di svilupparsi, si spostò poco lontano, in Via Postumia 62, in un nuovo e più funzionale negozio appositamente costruito lungo una statale con il vantaggio di aumentare la sua visibilità e il conseguente incremento delle vendite. Fu un’ottima intuizione, agevolata dal fatto che si era in piena crescita economica. Contemporaneamente iniziavano a proliferare anche le sagre e le manifestazioni 80 paesane, delle quali la macelleria Modesto diventò una ricercata fornitrice. Tra l’altro Silvio era conosciuto anche come ottimo norcino. Confezionava profumati salumi che facevano venire l’acquolina al solo guardarli. Diventò in seguito pure fornitore di varie scuole materne e asili nido della zona. La macelleria, data la grande esperienza del suo titolare, è sempre stata sinonimo di garanzia di qualità. Le carni vendute vengono tuttora acquistate presso contadini della campagna di Paese e dintorni. Come accennato, con l’andar del tempo, due dei quattro figli di Silvio intrapresero il mestiere del padre, mettendoci la stessa passione. E quale miglior garanzia di continuità? Ne raccolsero, infatti, il testimone Giampaolo e Michele, incuranti della spietata concorrenza della grande distribuzione e dei sondaggi che davano il consumo di carne in declino, ma consapevoli che una larga frangia della popolazione tiene ancora alla qualità e al servizio su misura dell’utente. Lo conferma ancor oggi la crescente richiesta di tagli pregiati e anche questo è un segno dei tempi che cambiano. Un tempo le famiglie chiedevano soprattutto carne da brodo, il petto della bestia in particolare, ossia il “tasto”, la meno costosa. Ora sono di moda le carni bianche, ma resistono anche quelle suina ed equina. Fino a qualche anno fa quest’ultima era venduta solamente in macellerie specializzate e tenuta separata dalla possibile contaminazione da altre carni, in base ad una legge del 1928. Ora è caduta anche questa limitazione e, oltre alla carne, nelle macellerie può essere commercializzato pure il pesce. Sono cambiati i tempi, ma la garanzia di qualità rispetto al nutrimento e alla provenienza degli animali da macello non può essere affidata esclusivamente alla legge, perché, come già è accaduto, questa può essere elusa da una caduta di coscienza e di stile da parte di chi pensa che tutto sia lecito pur di far soldi, tanti e in fretta. I Modesto sono apprezzati e stimati per la loro serietà e per i consigli che sanno donare. Tuttora hanno clienti accreditati fin dai primi tempi, quando il loro padre era egli stesso una garanzia. Giampaolo e Michele non sono comunque da meno. A parte la dichiarazione di provenienza obbligatoria, esposta nel negozio, ne hanno aggiunto un’altra che attesta che gli animali da loro acquistati sono stati nutriti con prodotti naturali, coltivati personalmente da piccoli allevatori nella campagna trevigiana. Essi stessi periodicamente, e senza preavviso, fanno dei sopralluoghi nelle fattorie per accertarsi del rispetto delle regole. Nella società odierna gli usi e i costumi nutrizionali sono radicalmente cambiati rispetto a qualche decennio fa. In famiglia tutti lavorano e le casalinghe sono una categoria in costante declino. Le donne non detengono più l’esclusiva del tempo ai fornelli. È notevolmente aumentata la tendenza all’acquisto di cibi precotti, pronti per la consumazione, venduti anche nelle macellerie: cotolette, polpette, spiedini, insaccati e arrotolati, surgelati, ecc. Sembrano lontani, se non proprio esauriti, i tempi in cui ci si radunava con gli amici nelle taverne tra generose grigliate e libagioni. Il consumo di carnagione non è più un lussuoso appannaggio di pochi. Talvolta la carne viene criminalizzata come causa di gravi patologie, ma come tutti i cibi, basta farne un uso corretto e diversificato. La macelleria Modesto è passata finora indenne attraverso la trasformazione nutrizionista della società, avendo saputo intercettare i cambiamenti senza subirli, vivendoli piuttosto da protagonista. Cosa le riserverà il futuro? 81 MACELLERIA “POSTUMIA” di Martini Mario e Rino & C. s.a.s. È questa una delle aziende nate dal vento progressista che si scatenò nell’Ottocento, che aguzzò l’ingegno a tanta gente: un’azienda familiare quella dei Martini che tiene fede alla tradizione degli antenati allevatori e macellatori. Titolari della macelleria di Postioma sono i fratelli Mario e Rino con i loro figli, un’impresa che trova le sue radici in Signoressa e prima ancora in Montebelluna quando il loro precursore, Giovanni (1915-80), pur facendo il contadino commerciava ovini, che macellava in casa e rivendeva alle varie macellerie di Treviso e provincia, ma anche di Mestre e dintorni. La Macelleria, sorta nel 1953, nel tempo ha subito vari ampliamenti e trasformazioni fino a conquistarsi quel buon nome che onora la famiglia e il mondo imprenditoriale di Paese. A fondarla fu lo stesso Giovanni Martini, lasciando il fratello Giuseppe a Signoressa, per insediarsi a Postioma, in Via Toniolo 21, con la moglie Amabile Bordignon e i figli Mario (1943), Renzo (1945), Albertina (1948), e Rino (1952). In seguito Giuseppe rileverà la Macelleria Cavallin di Signoressa. Nel fatiscente caseggiato colonico di Postioma, Giovanni aprì il suo primo negozio di carni, con annesso macello, avvalendosi di un professionista del settore. Gli affari presero subito una buona piega, dato che si era in prossimità delle festività pasquali. Intanto Mario, ancora ragazzino, s’impratichiva presso una macelleria del centro citttadino, ma dopo un anno dovette rientrare per aiutare il padre rimasto solo. Aveva soltanto dodici anni e tanta buona volontà quando si rimboccò le maniche nell’attività casalinga. Lo seguirono a ruota, man mano che crescevano, anche gli altri fratelli, compreso Giuliano (1955), l’unico nato in Postioma. Nel 1963 ci fu il primo ampliamento della macelleria e nel 1990 il secondo. Furono in sostanza queste trasformazioni a scandire il tempo e l’evoluzione aziendale. Nel 1965 fu aperta una macelleria anche in Porcellengo e i quattro fratelli si spartirono i compiti. Così, mentre Rino e Giuliano continuavano l’opera in Postioma, Renzo e Rino si accollarono la conduzione del negozio di Porcellengo. Nel 1980, alla morte del padre, gli eredi assunsero in carico la società da bravi soci, che continuò fino al 1992 quando, con l’inserimento dei figli di Renzo, la ragione sociale cambiò e Rino ritornò a Postioma per continuare l’impegno in società con Mario e Giuliano. Ma anche Giuliano nel 2007 decise di mettersi in proprio lasciando Postioma per un altro comune. La Macelleria “Postumia” s.a.s., di Martini Mario e Rino & C., è ora una società con quattro soci. Ai due fratelli si sono uniti i figli di Mario, Michele e Nicola, ambedue laureati, il primo in economia, l’altro in ingegneria. E sono questi ora i capisaldi dei Martini, storici macellai in Postioma. Non è facile trovare due “dottori” dietro il banco di una macelleria, ma per la clientela è un vantaggio: è meglio essere serviti da persone istruite e ben preparate, e ciò costituisce una garanzia e un valore aggiunto che pochi esercizi alimentari possono permettersi. Ai quattro congiunti si deve aggiungere anche un bravo collaboratore. La carne che viene smerciata nel negozio di Postioma è di assoluta qualità. Viene acquistata da lungo tempo presso piccoli allevatori della zona, che ne garantiscono la genuinità crescendo gli animali in stretto accordo con i rivenditori. È questa, con la lunga esperienza, la massima tutela che viene offerta al consumatore. E i frutti sono ben visibili dall’ottimo giro di affari della 82 macelleria: la clientela non è soltanto locale, ma in buona parte arriva anche dai paesi limitrofi e pure da molto lontano. Certo i tempi e le abitudini dei consumatori sono notevolmente cambiati sotto la spinta della grande distribuzione ma anche di eventi non proprio favorevoli. Occorre perciò inventarsi ogni giorno qualcosa di nuovo, mettendo in atto nuove idee e la professionalità acquisita in tanti anni di lavoro. Oltre le carni, nella Macelleria “Postumia” si possono trovare ottimi insaccati confezionati con il sistema tradizionale, ma anche cibi precotti e farciti, pronti da mettere al fuoco. Lo impone il frenetico trand della vita, ma anche una clientela sempre più oculata ed esigente. Nel 2006 Mario Martini è stato premiato dall’Ascom (Associazione Commercianti) di Treviso per i suoi oltre cinquant’anni di esperienza e competenza di macellaio. Recentemente pure la Camera di Commercio gli ha conferito la medaglia d’oro. Il fratello Rino invece ha tagliato il traguardo di quarant’anni di professione. La Macelleria Martini di Postioma ha alle spalle oltre 55 anni di attività, ma la professione di macellaio dei titolari è ben più longeva. Ed è già questa una garanzia di serietà, genuinità e tradizione, nel momento in cui il futuro viene affidato alla nuova promettente generazione. (Tel. 0422.99016) MINELLO ANGELO s.a.s. di Minello Sergio, Minello Antonio & C. È questa una nota azienda commerciale, leader nel settore delle autoriparazioni e demolizioni di autoveicoli, che ha sede in Via Postumia, 48/A di Paese, lungo la regionale Treviso-Castelfranco. Attualmente è guidata dalla terza generazione di meccanici, autoriparatori e commercianti d’auto e moto, compresi ricambi, della famiglia Minello, nipoti del fondatore Angelo Minello (1905-90). Angelo, la passione di meccanico l’aveva acquisita fin da giovane, nell’immediato primo dopoguerra quando abitava in Sant’Alberto di Zero Branco, in Via Cornara. Era lì che aveva aperto la sua prima autofficina, che nel tempo allargò in altre attività grazie all’intraprendenza e al suo intuito. Riuscì nell’intento di coinvolgere anche i figli che si appassionarono a quel lavoro. Il primo a seguire le orme del padre fu Sergio (1930-2004), mentre Antonio (1936) emigrava temporaneamente in Canada prima di rimpatriare, immergendosi anch’egli nell’azienda familiare. Oltre all’officina meccanica l’attività si sviluppò nel commercio di automobili, demolizioni, recupero e rivendita componenti per veicoli motorizzati. Nel 1960, constatate le scarse possibilità di sviluppo che offriva il piccolo centro di Sant’Alberto, i Minello decisero di aprire la nuova sede di Paese, pur mantenendo quella del Comune di Zero Branco. Nel 1968, dato che gli affari andavano bene, questa fu chiusa in favore di quella di Paese, dove nel frattempo erano stati acquistati degli appezzamenti di terreno sufficienti a dare sviluppo all’azienda. Furono quindi costruiti ex-novo dei capannoni, delle abitazioni e una palazzina per mostra e uffici. Gli anni Sessanta, quelli del Boom Economico, spinsero la gente a “farsi” la macchina, soprattutto i giovani, divenuta uno status-symbol anche se si trattava soltanto di una piccola Cinquecento o Seicento multipla. Fu un positivo fatto sociale, ma parallelamente s’impennò anche il numero dei mezzi incidentati, talvolta irrecuperabili, dato che la tecnologia per ciò che riguarda la sicurezza era ancora tutta da evolversi. Erano gli anni della crescita della Formula 1, che 83 affonda le sue radici nelle corse automobilistiche di fine Ottocento, ma che ottenne visibilità con l’arrivo della televisione. I giovani, in quei mitici anni Sessanta, si entusiasmarono dei successi delle Ferrari e Lotus che dominavano le scene, e molti si lasciarono coinvolgere nel bene e nel male, con le note conseguenze. A trarne vantaggio furono gli sfasciacarrozze che videro aumentare esponenzialmente i loro affari. La ditta Minello fu una di queste e la sua attività è ora quanto di più evoluto offra il settore. Lo sviluppo dell’era informatica ha faciltato lo scambio tra aziende consimili che mettono in circolarità, via internet, i propri prodotti. L’attività commerciale della Minello si svolge attualmente su una superficie di circa seimila metri quadrati, oltre a un deposito che si trova nel Comune di Trevignano, lungo la Vecchia Postumia Romana. I materiali metallici smontati vengono recuperati, divisi per genere e qualità e avviati alle ditte specializzate per la fusione e commercializzazione come materie prime. Tutto è destinato ad essere riciclato in difesa dell’ambiente e grazie a ciò, è raro rinvenire materiali abbandonati nei fossi o lungo le strade come avveniva un tempo. Pure gli olii e liquidi vari sono avviati ai centri di depurazione. Il tutto è accompagnato da documentazione certificativa, a norme di legge, lo stesso dicasi per le materie plastiche. Ma più che i controlli è cresciuta la coscienza ecologica, in favore della salute e della salvaguardia dell’ambiente. La ditta Minello si colloca in questo in posizione verticistica sotto la direzione di Valter, figlio di Sergio, classe 1951, attuale proprietario e anima dell’azienda con lo zio Antonio. Alle sue dipendenze ha una decina di maestranze, che operano in un clima di amichevole collaborazione. E’ questa l’aria che si respira in azienda nella consapevolezza che la maggior ricchezza sono le risorse umane. La Minello è un’azienda che può guardare ad un futuro dato che anche i figli di Valter e di Luciana Gagno, Alessandro, Andrea ed Elisabetta, diplomati ragionieri, sono impegnati nell’azienda nel segno della migliore continuità e tradizione familiare. I veicoli motorizzati devono comunque essere impiegati con saggezza, nella consapevolezza che si tratta di strumenti che agevolano il lavoro e la qualità di vita delle persone, ma che possono diventare strumenti di morte se non condotti con le dovute responsabilità e prudenza. ([email protected]) OROLOGERIA-OREFICERIA VISENTIN Il primo orologio apparso in Paese fu quello costruito per il campanile della chiesa parrocchiale nel San Martino del 1781 da Domenico Boranga, “Rollogier della Villa di Nervesa”, che l’anno precedente si era impegnato “con li Capi Deputati della Villa di Paese, di fare un orologlio da Campanille, che debba servire per tutta la villa suddetta e posto nel detto Campanile stesso”. Si trattava di uno strumento munito di corde e pesi che veniva caricato dal campanaro ogni ventiquattro ore. Sul prospetto della torre campanaria era disegnata una sfera dorata, con la figura del sole nel mezzo. Era costato complessivamente centocinquanta ducati, che furono versati in due rate. Questo era presumibilmente l’unico meccanismo per segnare il trascorrere del tempo a servizio dell’intera popolazione. Occorrerà attendere ancora quasi centosettant’anni per veder nascere il primo laboratorio di orologiaio nel Comune di Paese. Nel capoluogo sorse intorno agli 84 anni Cinquanta l’Orologeria Visentin. È questa una delle botteghe cosiddette storiche, non solo per il genere di attività quanto perché è legata ad uno sviluppo che è andato di pari passo con la società paesana, di cui il fondatore e titolare, Virginio Visentin (1924-95), era un rappresentativo personaggio. Ancor nel 1945, con l’Italia appena liberata, il ventenne Virginio si recava a Postioma dal cugino Ernesto ad apprendere l’emergente professione di orologiaio, pratica che esercitava con passione portandosi il lavoro dentro le mura domestiche, in Via Sen. Pellegrini. Operava su un banchetto di legno fatto appositamente costruire dalla falegnameria Polin (“Fredi”). A dire il vero Virginio avrebbe voluto fare il ferroviere, ma era stato discriminato per un trascurabile difetto fisico che si portava dalla nascita. Di conseguenza pensò di ripiegare su questo mestiere. Virginio, primogenito di sei fratelli e sorelle, era figlio di Antonio Erminio dei “Momi” e di Pasqua Girotto, dei “Buzioi” di Porcellengo. Pasqua era sorella di mons. Cesare Girotto, già segretario dei vescovi di Treviso, Mantiero e Negrin e poi parroco della parrocchia di San Leonardo. Divenuto un esperto riparatore, Virginio pensò ben presto di aprire un laboratorio di orologiaio tutto suo in Via Roma, in un locale costruito sul cortile della casa dei fratelli Luigi e Geremia Boffo. Era il 1° agosto 1950, periodo della ricostruzione postbellica, quando Paese stava lentamente uscendo dalla miseria lasciata dalla disastrosa guerra. Luigi Boffo stesso era da poco tornato dalla prigionia in Germania e con lui anche tanti altri giovani paesani. Aveva da poco avviato l’attività quando, un grigio giorno novembrino, Virginio venne a sapere che c’erano in giro degli sconosciuti che sembravano ispettori delle imposte. Colto dal timore di una probabile ispezione tributaria e scorgendoli arrivare lungo Via Roma, chiuse repentinamente i battenti immergendosi nel corteo di un funerale che proprio in quel momento passava lì davanti diretto al cimitero. Riuscì così a sottrarsi all’accertamento. Di fronte al laboratorio, oltre la strada, all’angolo con la strada del cimitero c’era la falegnameria di Melchiorre Callegari (“Rissi”). Tra Virginio e il Callegari era nata una stretta collaborazione. Era usanza di quei tempi donare alle coppie di sposi una sveglia da comò per la stanza matrimoniale. Melchiorre costruiva la carrozzeria in legno intonata alla mobilia, nella quale Virginio inseriva il meccanismo. Era diventata una moda assai ricercata che influì positivamente sull’attività. Qualche anno dopo l’avvio dell’attività, a Virginio si affiancò come socio il fratello Giuseppe (1934), di dieci anni più giovane. Questi inizialmente si occupava prevalentemente dell’approvvigionamento dei materiali e disbrigo delle incombenze burocratiche. Dato che gli affari avevano preso una buona piega, nel 1954 l’attività fu ampliata anche al settore gioielleria e oreficeria, mantenendo la vendita di orologi. L’orologio era uno degli oggetti più ambiti, un vero status symbol destinato spesso a rimanere nei sogni perché di soldi negli anni Cinquanta ne giravano davvero pochi. Virginio tuttavia, all’occorrenza, faceva credito. Nel giorno della Cresima era prassi donare ai bambini un orologio che realizzava il massimo dei desideri. Usanza ora affiancata dai telefoni cellulari e altri oggetti. Quel primo negozio di Via Roma divenne ben presto insufficente, si decise perciò di affittarne uno nel borgo di Villa, in Via Mazzini, all’angolo tra le Vie Postumia e dei Mille, imprimendo un notevole salto di qualità. Si iniziò infatti a 85 commercializzare le più prestigiose marche di orologeria, quali Bulova, Omega, Wonder Watch, Longines, e di oreficeria, come “Uno A Erre”, e tante altre. Contemporaneamente ai due fratelli Visentin fu offerta la vendita di macchine da cucire Singer e poi le prime radioline a batteria che trovarono subito un forte appeal nel pubblico più giovane. Pure la macchina per cucire era un mezzo ricercato. Le ragazze solitamente se la portavano in dote o la chiedevano come regalo di nozze. Le Radio invece a quel tempo erano ricercate per l’ascolto dei messaggi degli emigrati che ogni domenica mattina salutavano i propri congiunti da oltre oceano. Si vedevano allora mamme, spose, ma anche padri, piangere per la commozione di sentire la voce registrata dei loro figli e mariti. In Via Mazzini l’orologeria Visentin era meta di tanti curiosi che si recavano a sognare ad occhi aperti di fronte alle sue vetrine. Le possibilità di spendere – come si diceva – erano davvero scarse. Il negozio tuttavia era fornitissimo di merce, tanto che Giuseppe vi passava dentro anche delle notti per timore dei ladri. Più che concentrarsi nella vendita, i due fratelli tendevano a svolgere un buon servizio alla gente di Paese. In particolare Virginio, con il suo innato carisma, era una calamita sociale, personalmente impegnato in varie associazioni. Era soprattutto un tipo gioviale e tutti lo cercavano per la saggezza e l’allegria. Spesso il suo rapporto umano prendeva il sopravvento sugli affari. Nei primi anni Sessanta i Visentin costruirono la nuova abitazione in Via Battisti, con vetrina espositiva. Da considerare che erano i soli in Paese a praticare questo servizio merceologico e perciò gli affari crescevano vistosamente. In casa fecero costruire una cassaforte di ferro che fu racchiusa in un blocco di cemento costruito appositamente dall’amico Guglielmo Berlese, soprannominato Memi Marcioro. Se l’orologio di qualcuno si guastava, era come se si fosse fermato il tempo e, dato che non c’erano particolari orari di apertura, la gente suonava il campanello anche di domenica. Era spesso la signora Lidia Silvello, moglie di Virginio, tra una faccenda casalinga e l’altra, ad accogliere la clientela nella sede abitativa. Nel 1968, periodo in cui il negozio si trovava ancora in Via Mazzini, un fatto doloroso venne a segnare la tranquilla esistenza di Virginio: mentre attraversava la Castellana, mons. Mario Ceccato, arciprete di Paese, fu investito da un’automobile e perse la vita. Virginio Visentin, che si trovava a pochi passi dal sinistro, fu il primo a soccorrerlo fermando immediatamente una delle poche auto di passaggio. Il conducente accondiscese a trasportare l’investito sanguinante non senza la preoccupazione che la tappezzeria si sporcasse. Il parroco fu quindi trasportato al pronto soccorso della Casa di Cura “La Madonnina”, nei pressi delle Stiore, ma vi arrivò che era già morto tra le braccia di Virginio. Ogni tanto, quando transitava per la statale, i fratelli Visentin ricevevano la visita dello zio prelato, mons. Cesare Girotto, che accompagnava il Vescovo di Treviso mons. Mantiero essendone il segretario. Il presule in una circostanza chiese a Virginio: “Perché quando transito da queste parti ti scorgo sempre sulla porta del negozio?”. “Eccellenza – gli rispose Virginio con il suo proverbiale buonumore – per salutarla!”. Il rapporto fra i due era davvero cordiale. Fu così che quando il Vescovo cambiò l’automobile, questa finì nelle mani di Virginio, che la tenne come una reliquia. Nuovo trasferimento del negozio avvenne nel 1970 in un edificio di nuova costruzione in Via Marconi, civico 10, adiacente il bar Pedrocchi, di proprietà 86 degli amici Bruno e Maria Florian. Il canone di affitto fu stabilito in lire 12.000 mensili. Si approfittò della circostanza per aggiungere la vendita di strumenti ottici e scientifici (microscopi e occhiali da sole), coppe, targhe e trofei sportivi. Fu l’imput che indusse a catapultarsi nella sponsorizzazione di varie associazioni di volontariato, sportive e culturali, che in quel periodo si moltiplicarono notevolmente a Paese: l’A.V.I.S., l’U.S. Calcio, il G.S. Olanda, il G.S. Dinamis in particolare, oltre alle gare podistiche parrocchiali che a quei tempi erano in auge. Negli anni Settanta i due fratelli facevano da cronometristi nelle gare ciclistiche che si svolgevano sul circuito di Paese Centro ed erano anche soci del Moto Club Dino Grespan. Non era poi raro che svolgessero il servizio di pesa pubblica per conto dell’amico Florian quando questi si doveva assentare. “L’acqua che tocchi de’ fiumi è l’ultima di quella che andò e la prima di quella che viene. Così è il tempo presente”. Leonardo da Vinci descriveva in questo modo filosofico il trascorrere del tempo. E venne anche per Virginio Visentin il momento della quiescenza, lasciando spazio alla sua discendenza. Il passaggio del testimone, com’è intuibile, si trasmise gradualmente dal padre al figlio Silvio a cominciare dal 1990. Uscito dall’attività papà Virginio, rimanevano tuttavia ben saldi gli altri due capisaldi: lo zio Giuseppe e la mamma Lidia. La gioventù porta spesso con sé una ventata di rinnovamento se le si dà fiducia e il giusto spazio, ed è ciò che accadde in questa azienda familiare. Silvio infatti seppe dimostrarsi un ottimo imprenditore, imprimendo un nuovo slancio all’attività nella consapevolezza che i tempi erano cambiati e ci si doveva confrontare ora con la concorrenza. A Paese da qualche tempo era arrivato anche un altro negozio simile. Silvio pertanto, a scopo promozionale, promosse delle sfilate di moda nell’ambito della locale mostra di artigianato manifatturiero, presentando propri articoli esclusivi, aumentando conseguentemente l’offerta dei prodotti, comunque senza perdere di vista l’ottimo servizio di assistenza. Le nuove iniziative trovarono poi sfogo nella neonata Associazione Commercianti di Paese, di cui Silvio si fece promotore, assumendo la carica di segretario e presidente, compiti che portò avanti per un decennio, impegnandosi contemporaneamente nel sociale in qualità di presidente della Consulta e membro della Commissione Attività Produttive del Comune di Paese, ed inoltre come rappresentante comunale in seno alla Confartigianato della Marca Trevigiana. Il mestiere Silvio lo aveva imparato, assieme al fratello Pier Luigi, direttamente dalle mani dei suoi congiunti quando ancora frequentava le elementari, esercitandosi a rimontrare le sveglie riparate dal papà e dallo zio. Virginio Visentin se ne andava da questo mondo il 1° Novembre 1995, lasciando un notevole vuoto non solo nei famigliari ma anche in tanti amici e conoscenti. “Un uomo fedelissimo ai suoi doveri religiosi, che ha onorato il suo mestiere, la sua famiglia, le sue amicizie, la sua comunità cristiana e civile – disse tra l’altro nell’omelia di commiato il parroco di Paese, mons. Giovanni Brotto – A innumerevoli clienti ha fornito l’orologio, alle famiglie la sveglia per ricordarci che il tempo è dono di Dio…”. L’infausto evento fu ripreso dal settimanale diocesano “La Vita del Popolo” domenica 12 maggio 1996, in un articolo dal titolo: “Virginio Visentin, il suo orologio si è fermato per sempre”. Vi si leggeva tra l’altro: “Un volto che ispirava mitezza e bontà quello di Virginio Visentin (el “reojèr”). Conosciutissimo a Paese e dintorni per la sua lunga professione di orologiaio, un’attività divenuta con il tempo vera e propria arte artigiana. In ogni famiglia di Paese c’era una 87 sveglia uscita dall’abilità delle sue mani. Entrando nel suo negozio, tra l’incessante ticchettio di pendole e bilancieri, ti accoglieva sempre con un caldo amabile sorriso, quasi a suggerirti: “Ascolta il tempo che passa…”. Con lui se n’è andato un pezzo di storia di Paese. Si è congedato improvvisamente a settantuno anni, lasciando un grande vuoto. Da qualche tempo aveva passato il testimone nelle mani del figlio Silvio, ma il negozio era sempre la “sua” bottega e non passava giorno che non ci andasse. Progettava di festeggiare con la moglie il 40° di matrimonio, ma data la sua grande abilità professionale ben sapeva che il tempo e la vita non gli appartenevano”. Nel 1999 la Confartigianato della Marca Trevigiana premiava l’OrologeriaOreficeria Visentin per cinquant’anni di fedeltà al lavoro, ricevendo anche un attestato di antica bottega artigianale. Meglio sarebbe dire di fedeltà in un lavoro vissuto come servizio alla popolazione, praticato con tanti risvolti umani che venivano ancor prima del giusto guadagno, valori di cui oggi si è persa la memoria. Il resto è storia recente. Il 2003 in particolare segnò un’ulteriore ascesa qualitativa, quando il negozio fu spostato nell’attuale prestigiosa sede di Via Battisti, a fianco del Cinema Teatro Manzoni, sede signorilmente arredata come si addice al genere di prodotti commercializzati. Ne ha guadagnato in particolare l’esposizione di gioielli e preziosi delle migliori marche che sono oggi sul mercato mondiale, ma si possono trovare pure articoli da regalo per le ricorrenze più importanti della vita, quali nascite, prime comunioni, cresime, matrimoni, anniversari, lauree, ecc. Il tutto unito alla competenza, alla serietà e all’assistenza alla clientela, peculiarità che non si esercitano nel mare della grande distribuzione. L’azienda Visentin si sta avviando ormai a festeggiare il 60° anniversario di attività, consolidando la sua storica appartenenza al territorio comunale di Paese. Ancor oggi nel negozio, che pure Giuseppe ha lasciato per quiescenza, si respira l’atmosfera di un tempo grazie ad una generazione che non ha sciupato le sostanze morali e umane dei predecessori. Lo testimoniano i numerosi attestati e riconoscimenti esibiti come blasoni. Entrando nel negozio si può tuttora sperimentare la cordialità della signora Lidia Silvello, mamma di Silvio, a conferma che, almeno in questo caso, la storia non è cambiata. P SERVICE s.r.l. di Postioma È questa una delle 42 società - 24 in Italia e 18 sparse nei cinque continenti – commerciali e produttive controllate dalla capogruppo Metal Work S.p.a. di Concesio (Brescia), industria specializzata nella produzione di componenti pneumatici per l’automazione industriale. In Italia le società commerciali sono 18 e sono chiamate tutte “P Service”. Nata nel 1967 come ditta individuale per volontà di Erminio Bonatti, il quale è tuttora il presidente del Gruppo, la Metal Work ha festeggiato nel 2007 i primi quarant’anni di vita. Le P Service, che operano autonomamente, ne sono l’emanazione commerciale, in sostanza sono la rete di vendita di una realtà industriale che dà lavoro complessivamente ad oltre ottocento persone. La P Service Treviso, con sede in Postioma, è il punto di vendita e assistenza che presidia il territorio della Marca Trevigiana, ma anche la provincia di Venezia e di Pordenone. Socio e amministratore è Antonio Marcante, che si avvale dell’apporto 88 di cinque collaboratori molto motivati - tre venditori e due interni che quotidianamente a stretto contatto con la clientela garantiscono il servizio capillare che è uno dei punti di forza del gruppo.. La P Service Treviso s.r.l. apre i battenti nel 1997 in Via Postumia a Paese, ma considerando la percentuale di crescita annua – si parla anche del 100%, - è costretta a spostarsi da quella sede dopo appena quattro anni nell’attuale moderno fabbricato di Postioma, in Via P.A. Gemelli 34 (zona industriale). Come si diceva, tutte le filiali, pur facendo capo alla Metal Work, operano in perfetta autonomia, anche se in modo sinergico. E’ la strategia del fondatore e del suo management a dettare le regole, indicando gli obiettivi, ma ampio spazio viene lasciato ai responsabili locali, nel segno della migliore valorizzazione delle risorse umane che sono il patrimonio vero dell’azienda. Una formula vincente visti i risultati. Il team di Postioma ne è la riprova. Dal 1992 Metal Work è certificata secondo la Iso 9001. Alla certificazione del sistema di qualità si è aggiunta nel 2000 quella del sistema di gestione ambientale secondo la norma Iso 14001. A dicembre 2006 Metal Work ha inoltre ottenuto la certificazione del sistema "Sicurezza" secondo lo standard OHSAS18001. Il passo successivo sarà l'integrazione dei tre sistemi. I prodotti sono quanto di meglio offre il mercato in questo settore. La già vasta gamma di prodotti è in continua espansione grazie ai cospicui investimenti per la ricerca di sempre più moderni sistemi, nuove tecnologie e nuovi componenti. Basta scorrere - anche in Internet - lo straordinariamente ricco catalogo per rendersene conto. Tutto ciò non sarebbe ancora abbastanza significativo senza la continua qualificazione del personale, di tutti i settori. Di tutto rispetto il fatturato consolidato del Gruppo 115 milioni di Euro nel 2006. Se la rete distributiva agisce in perfetta autonomia, la gestione è del tutto accentrata nella sede bresciana, sgravando così le associate dagli oneri amministrativi e burocratici . Le filiali P Service, costantemente monitorate e supportate, possono concentrarsi sulla celerità e la qualità del servizio, con l’obiettivo di garantire la maggior soddisfazione dei clienti. Con tali premesse, la “P Service” di Postioma, vede prospettarsi un futuro sempre più roseo (www.pservice.it). PAVAN ANGELO & FIGLI s.r.l. L’Azienda che fa capo a Giuseppe e Luciano, figli di Angelo Pavan, la quarta generazione dei “Pavanoni” commercianti di Castagnole, si contraddistingue per essere l’unica in Comune di Paese a commercializzare manufatti per l’edilizia. Detto così può tuttavia sembrare riduttivo, dato che vi si può trovare proprio tutto ciò che serve per le costruzioni edili, dai prodotti tradizionali agli ultimi ritrovati della tecnica del settore. Ha alle spalle oltre novant’anni di storia e il suo percorso è costellato da una serie di avvenimenti ed evoluzioni. Trova le sue origini nell’immediato primo dopoguerra, quando nel 1919 i figli di Ferdinando Pavan, bisnonno degli attuali titolari, pur essendo contadini, fittavoli dell’Ospedale di Treviso, iniziarono in 89 Castagnole un piccolo commercio di vini, gestendo anche il panificio e tre osterie: a Musano, “Al Morer” di Monigo, e quella in Castagnole all’angolo tra Via Cal Morganella e Via Generale Piazza, con distributore di carburanti e poi con pesa pubblica. Ma l’attuale azienda Pavan ha conosciuto la sua evoluzione grazie ad Angelo (1923-2006), già autotrasportatore, figlio di Giuseppe e nipote di Ferdinando il quale, dapprima con il fratello Egidio e poi con la moglie Tiziana Bellù e i due figli, l’ha portata all’attuale dimensione, ma sempre con la caratteristica della conduzione familiare anche se non è mai mancato qualche collaboratore esterno. La crescita della ditta avvenne per gradi ma costantemente aggiungendo periodicamente nuove licenze merceologiche: prodotti per l’agricoltura, casalinghi, manufatti edili di ogni tipo, pavimentazioni per esterno, guaine e teli traspiranti, isolanti termici ed acustici, camini inox e rame, colle e colori, articoli per giardinaggio, ferramenta, elettroforniture, utensileria, abbigliamento per il mondo del lavoro e per la sicurezza degli addetti. Alla Pavan Angelo e Figli si può trovare tutto, ma proprio tutto ciò che serve per costruire un edificio urbano con tecnologie biologiche o tradizionali. Nel suo negozio annesso poi ci si può rifornire di ciò che serve per il funzionamento interno della casa. La ditta è conosciuta in particolare per la grande attenzione alle nuove scoperte del settore edilizio, consapevole che la difesa della salute e dell’ambiente non può più essere un optional ma un preciso e inderogabile dovere, considerato il degrado delle condizioni climatiche del pianeta dovuto alla concentrazione di Co2 che viene prodotto per creare energia. Una tendenza che si va velocemente affermando nel settore è adottare le soluzioni del cosiddetto sistema “Casa Clima”, sviluppato secondo concetti nordici per l’efficienza energetica, limitando i consumi e le emissioni inquinamenti. Dal 2007 la Angelo Pavan & Figli è affiliata alla U.C.E. – Unione Commercianti Edili, un gruppo interprovinciale di acquisto con sede in Bassano del Grappa (Vicenza) che, con il proposito di divulgare i nuovi sistemi, costituisce una garanzia per gli addetti ai lavori e per il consumatore finale, promuovendo formazione nel campo delle ecobiotecnologie costruttive. In sostanza si tratta di edificare o trasformare edifici con un occhio alla salvaguardia dell’ambiente, oltretutto con un vantaggio economico a medio termine e difendendo la salute. A questo proposito, da una costola della Angelo Pavan e Figli s.r.l. è nata in Castagnole l’Immobiliare San Mauro, società facente capo agli stessi titolari, che dal 2000 costruisce e vende direttamente al privato alloggi certificati “Casa Clima”, ossia con la garanzia cartacea che l’immobile ha subìto la verifica da parte di un ente accertatore indipendente della sua efficienza energetica, dichiarando il consumo della casa in termini di energia per il riscaldamentoraffreddamento. Le aziende Pavan collaborano e interloquiscono con le migliori case produttrici del settore, quali Eclisse, Panto, Velux, Acustica Sistemi, Röfix, e poi Biocalce, Laterlite, Riwega, Granulati Zandobbio, Celenit, Tassullo e molte altre, che si trovano in posizione di leadership nel settore edilizio. E sono già queste sinergie una notevole garanzia di qualità, efficienza e confort. Per farsene un’idea basta visitare il sito internet: www.ediliziapavan.it. I Pavan, con la professionalità acquisita in tanti anni di esperienza familiare, si muovono sul mercato immobiliare con queste attenzioni, promuovendo anche informazione e formazione tra gli addetti ai lavori e la clientela, organizzando 90 serate a tema con il supporto di tecnici specialisti nelle specifiche discipline. Affidarsi quindi alla Angelo Pavan & Figli o all’Immobiliare San Mauro è sinonimo e garanzia di sicurezza, trasparenza, affidabilità. La sede si trova a Castagnole di Paese (TV), Piazza S. Mauro 2 – tel. 0422.450950. [email protected]. TRADIZIONE MODA s.r.l. Si tratta di un’azienda familiare che ha alle spalle una tradizione commerciale ultracentenaria, tramandatasi di padre in figlio, che può quindi essere additata a simbolo della crescita economica dell’italico Nord Est. A fondare la Tradizione Moda è stato Giuseppe Nadaletto, classe 1934, il quale, provenendo da Morgano, si fermò a Paese nei primi anni Cinquanta del secolo scorso per aprire un negozio sotto casa di casalinghi, mercerie, abbigliamento e articoli di altro genere che già offriva da venditore ambulante. Mestiere questo che era stato prima del nonno Antonio e poi di suo padre Eugenio. Vantano quindi longeve solide basi i Centri Moda Tubia che fanno capo alla Tradizione Moda s.r.l. Giuseppe, infatti, ha coltivato questa sua creatura come si alleva un figlio, fornendole linfa ed energie vitali per farla crescere, fino ad imprimerle quella svolta importante che, da azienda individuale, la fece diventare un’importante e dinamica realtà commerciale, collocabile tra la media-grande distribuzione. Certo un bel salto da quando girava con piccoli veicoli spinti a braccia o a gambe. Era passato dal carrettino a mano al triciclo, poi al carretto tirato da un asino, quindi ai mezzi motorizzati, dai più semplici motoscooter con cassone ai furgonati. Non conosceva orari, come non teneva conto dei chilometri macinati quotidianamente andando di paese in paese, di casa in casa per offrire le sue merci. Giuseppe è il classico commerciante che si è fatto da sé partendo dalla gavetta. Ha attraversato oltre mezzo secolo di trasformazioni sociali da vero protagonista ed ora è il capo carismatico di una famiglia di affermati imprenditori commerciali. Un progresso così straordinario non sarebbe stato possibile se Giuseppe non avesse avuto accanto una brava moglie come Graziella Zanatta, che con un’eccezionale volontà si prodigava quanto lui dividendosi tra lavoro, casa e famiglia. E poi i figli Eugenio, Stefania, Patrizia e Federico, che ne hanno condiviso la passione e raccolto il testimone impegnandosi a fianco dei genitori in ruoli diversi. La famiglia è stata ed è tuttora lo scopo primario di Giuseppe Nadaletto, un uomo che, partendo dal nulla, ha costruito il suo piccolo impero. Pur essendo per molte ore (12-15 giornaliere) lontano da casa, ha saputo far sentire costantemente la sua presenza e soprattutto la finalità del suo lavoro, la famiglia appunto, ed ora ne raccoglie i benefit. La compattezza familiare è la peculiarità che ha favorito l’evoluzione aziendale. L’esperienza si è fusa con nuove fresche energie e idee innovative, un fermento che si è tradotto in successo. Certo, come un tempo, c’è sempre da confrontarsi con una agguerrita concorrenza, da lottare e inventarsi ogni giorno qualcosa di nuovo per stare al passo, per migliorare e raggiungere sempre più ambiti 91 traguardi, ma questa azienda sa dare essa stessa del filo da torcere. L’impegno è notevole. Si deve correre da una città all’altra, talvolta prendere l’aereo per acquistare bene e vendere meglio, giacché oggi, ancor più di ieri, per la clientela conta sì il prezzo, ma soprattutto la qualità, con in più il servizio personalizzato, che nei negozi Tradizione Moda Tubia fa la differenza, un’attenzione che non si trova ovunque e che anzi sta diventando sempre più rara. Così dalla prima costola - il negozio di Paese - è nata negli anni una serie di moderni e vasti empori, studiati per il confort e la funzionalità, agevoli da raggiungere e di notevole appeal: ad Istrana, Montebelluna, San Biagio di Callalta, San Martino di Lupari, Noale, Oderzo, Conegliano, quindi ancora a Montebelluna e a San Stino di Livenza. Strutture che operano in stretta sinergia tra loro e che sono frequentemente oggetto di ampliamenti e rinnovamenti per rimanere al top della funzione. All’orizzonte s’intravede un ulteriore allungamento della catena, ma sempre con la particolare impronta di azienda a misura d’uomo. Sì perché, come insegnano il fondatore e i suoi figli, si può essere commercianti con un cuore, ossia attenti alle esigenze di una società che è pur sempre composta da donne, uomini e loro bimbi, in sostanza da famiglie che devono far quadrare il proprio bilancio. Una sensibilità che si trova in modo naturale in questa ditta, la cui conduzione è in mano a persone che sanno interpretare non solo le tendenze modaiole, ma anche, con grande competenza, anticipare le esigenze della loro clientela. Ciò traspare pure dal coinvolgimento del personale dipendente, considerato dai titolari il principale investimento della Tradizione Moda. Il successo passa indubbiamente per la professionalità, senza trascurare i rapporti umani che si sviluppano all’interno del gruppo in anni di fruttuosa collaborazione. Grazie a questi indirizzi, la Tradizione Moda s.r.l. si colloca in posizione verticistica, una delle aziende più solide e ricercate del settore abbigliamento della Marca Trevigiana e dintorni. Innovazione, gestione del cambiamento, organizzazione interna, qualità, attenzione al cliente, sono alcuni degli ingredienti essenziali che l’hanno fatta diventare un’azienda leader nel commercio dell’abbigliamento. Ma pur sempre a dimensione umana. LE AZIENDE ARTIGIANALI DI PAESE ARTE ORGANARIA di Alessandro Girotto La ditta opera dal 1975, anno di iscrizione alla camera di Commercio di Treviso e si occupa di costruzione, recupero e restauro di organi musicali a canne, antichi e moderni. È questa una delle attività assai rare operanti nel Comune di Paese, ma che per la famiglia Girotto è già una tradizione, dato che a precorrerla fu Silvano Girotto (1927), dei “Rossi” di Postioma, padre di Alessandro (1956) e di Saverio (1965) che ne hanno raccolto il testimone. In particolare Alessandro, essendo il maggiore dei due figli, ha potuto operare a fianco del genitore. Fin da bambino si mostrava portato a questa passione, infatti, già all'età di 8 anni, costruì un piccolo pianoforte (che conserva ancora dopo che ci hanno giocato i suoi figli) usando materiali di recupero scartati dal padre con cui ha collaborato fino al 1989. A seguito dell'invito del famosissimo M° 92 Concertista Arturo Sacchetti, direttore Artistico della radio Vaticana, Alessandro Girotto termina definitivamente la collaborazione con il padre per iniziare l'attività in proprio. Diventa quindi per anni l'organaro accordatore personale del M° Sacchetti che lo porta a svolgere lavori di grandissimo livello in varie località, come la riparazione del più grande organo d'Italia nel Duomo di Messina, con più di 16.000 canne e 160 registri sonori. Proprio in occasione dell'inaugurazione dello strumento, il Maestro Sacchetti, con ripresa televisiva, eseguiva l'opera omnia di “Cesar Franc” con incisione di 3 compact disc. Iniziava inoltre la collaborazione con altre aziende come tecnico rifinitore e accordatore, facendosi apprezzare ovunque e sviluppando l’attività con nuove ricerche in proprio. In particolare nel campo dell'elettronica applicata all'organaria collaborando con la “Intercontinental Electronics” (Viscount) per gli organi liturgici elettronici e progettando con la “Mabel”, azienda all'avanguardia per l'applicazione della tecnologia digitale, un'apparecchiatura elettronica: la ”Consolle 2000”, in grado di gestire tutte le funzioni dell'organo con trasmissione seriale e a onde radio, per eliminare i marchingegni elettromeccanici, causa spesso dell'inaffidabilità e malfunzionamento degli strumenti. Ha frequentato per quattro anni il corso di specializzazione di Organbauer (maestro costruttore d'organi) presso la scuola Weishaupt di Westendorf (Ausburg) Germania, ed ora può vantare oltre un trentennio di esperienza in questo lavoro. Grazie alla costanza e agli aggiornamenti continui, il maestro organaro Girotto è entrato a far parte delle ditte accreditate dalle Sopraintendenze delle varie regioni d'Italia per il patrimonio storico, artistico e culturale, in particolare quella di Venezia, per il recupero degli strumenti storici tutelati dalle normative sui beni culturali. A parte la collaborazione con suo padre, il maestro Alessandro Girotto ha potuto mettere in atto la sua arte in diverse chiese e santuari italiani, quali: Incoronata di Foggia, Chiesa parrocchiale di Paese, di Casacorba di Vedelago (TV), di Villorba (TV), Madonna del Buon Consiglio in Frigento (AV), Madonna della Neve di Bonito (AV). Ha poi costruito alcuni strumenti a tre tastiere, con più di 2000 canne presso diverse Chiese: Santuario della Madonna dello Splendore di Giulianova (TE), Chiesa del Sacro Cuore di Pesaro, S. Benedetto a Cattolica (RN), S. Antonio di Teramo, l'organo meccanico presso la Madonna della Luce di Cassino (Frosinone), di Maltignano (AP),di Sant'Egidio alla Vibrata (TE), Grottaccia di Cingoli (MC), Santuario di Santa Maria in Civitella del Tronto (AP), Appingnano del Tronto (AP), Ripaberarda (AP), Cristo Re in Alba (CN), Madonna della Neve di Merate Brianza, di Tosi (FI) di Faella (AR), Sacra Famiglia di Porto San Giorgio, Parrocchia di San Luigi Gonzaga Pesaro, Santa Lucia (PG), Cappella dell'Ospizio di Bozzolo (MN), Santandrà (TV), Sant'Andrea Vittorio Veneto (TV), Sant'Agostino (FE), Riva Azzurra (RN), Città di Castello (PG). Alla lunga lista si aggiungono gli strumenti costruiti per i Duomi di Urbino, Recanati, Macerata, senza tralasciare quelli per la Chiesa della Collegiata di S. Stefano di Castelfidardo (AN), patria delle fisarmoniche, per l'Istituto Musicale Giuseppe Verdi di Asti, l'organo di Volturara Irpina (AV), ed infine l'organo della Chiesa Parrocchiale di Belfiore (VR). Nel suo curriculum emergono collaborazioni con altre importanti ditte, sia nazionali che estere, quali la “Arte Organaria di Bovellacci” di Ragusa, la “Tamburini” di Crema, la ditta “Bevilacqua” di Sulmona (AQ) e la “Giustozzi” - già “Fedeli” - di Foligno, della quale ha rilevato i materiali alla morte del titolare. Anche in questo settore è necessario aggiornarsi costantemente per stare al passo con i tempi, dato che gli strumenti subiscono frequentemente - come in effetti hanno subito - delle trasformazioni. La trasmissione degli organi un tempo era 93 meccanica, poi pneumatica, quindi elettrica ed ora è arrivata l’elettronica. Il Maestro Alessandro Girotto si presenta in questo campo da vero pioniere. L’elettronica è divenuta appannaggio anche di questi complessi macchinari (gli organi) e rende possibile farli suonare senza l’ausilio delle mani e dei piedi, con l’inserimento di un semplice supporto elettronico (Floppy disc), avendo un'organista seppur digitale sempre a disposizione per lo svolgimento della liturgia. Questa tecnica è già utilizzata da molti parroci. La fama del Girotto ha da tempo valicato i confini nazionali e la sua attività non conosce crisi. Arrivano commesse perfino dagli U.S.A. perché egli è in grado di riprodurre magistralmente, oltre al mobile, qualsiasi pezzo dello strumento che sia stato logorato dall’uso e dal tempo. In fatto di restauri portati a termine – pratica che richiede, oltre all’abilitazione certificata, una delicata manualità – sono da segnalare gli organi della chiesa di S. Margherita in Massignano (AN) e di S. Gaudenzio in Morro d’Alba (CN), quindi lo storico organo “De Lorenzi” in Venas (BL) con ricostruzione della parte meccanica dei registri, intervento del 1984. L’anno seguente ne beneficiò l’antico organo della chiesa di San Giorgio in Morbio Inferiore (Canton Ticino), al quale seguì nel 1986 la ristrutturazione del settecentesco “Domenico Gasparini”, organo situato nella chiesa di S. Pietro di Felletto, e nel 1987 fu restaurato quello di Lorenzago di Cadore, organo del 1746, costruito da Nicolò Moscatelli. Il concerto inaugurale post restauro fu eseguito il 18 luglio 1987 dal M° Arturo Sacchetti della RAI alla presenza straordinaria del Papa, Giovanni Paolo II. Inoltre per la visita del Santo Padre a Riese Pio X e a Treviso fu richiesto dal Vescovo di Treviso uno strumento che accompagnasse il coro nelle due tappe del Pontefice. Per l'occasione, restaurato un pregevole organino settecentesco di Domenico Gasperini (1746), da sopra la piattaforma di un camion utilizzato per il trasporto, il maestro Don Bruno Serena organista del Duomo di Treviso, ha animato la liturgia. L'organo in questione fu acquistato da Don Osvaldo Bortolot, parroco di Borca di Cadore, che ne fece dono al suo paese natale, la parrocchia di Zoppè di Cadore. Negli anni seguenti attuò numerosi restauri. Ne vengono qui citate alcune ubicazioni: chiesa parrocchiale di Povegliano; chiesa di S. Girolamo in Venezia; chiesa di S. Antonio in Montà d’Alba (CN), anche questo collaudato da Arturo Sacchetti; chiesa parrocchiale di Vico Morcote in Canton Ticino (CH); Santuario mariano del Nevegal (BL); chiesa parrocchiale di Novillara (PS); chiese Parrocchiali di San Bono (CH) e chiesa parrocchiale di Cellino Attanasio (TE), antichi strumenti dei Fratelli D’Onofrio, e dell'organo storico di Vitale De Luca presso la cappella della Parrocchia di sant'Antonio in Teramo, recuperati per conto della Soprintendenza dell’Aquila; Parrocchia Santa Maria a Sco in Pian di Sco (AR) chiesa di S. Maria Maggiore di Alatri Commissionato dal Consiglio dei Ministri per il Giubileo del 2000, abbazia di Montesanto di Civitella di Tronto (TE); chiesa dell’Immacolata di Lugano (CH); chiesa di Farra d’Isonzo (GO); nuovo organo a Palazzo san Gervasio chiesa di S. Giovanni Battista in Sannicandro Garganico (FG); chiesa di Sant’Andrea in Chioggia (VE), organo “Callido”, restauro finanziato dalla Regione Veneto. Oltre a quelli degli edifici di culto citati sopra, si devono aggiungere altri recuperi di straordinaria importanza, quale il grandioso organo “Balbiani-Vegezzi-Bossi” della basilica di Loreto, che fu trasferito e installato nella cattedrale di S. Benedetto del Tronto (AP) e poi quello altrettanto imponente, a tre tastiere, del salone “Pedrotti” presso il Conservatorio Musicale “Rossini” di Pesaro, al quale si aggiunse il restauro dell’organo tedesco “G. Rittenfels” in Figline Valdarno, opera 94 settecentesca che era stata alluvionata dallo straripamento dell’Arno nel 1966, la commissione per il “Pacifico Inzoli”, domiciliato presso l’Arciconfraternita del S. Rosario in Gesualdo (AV).da parte della soprintendenza ai B.B. Culturali di Avellino e la commissione dalla Soprintendenza di Venezia del restauro dell'organo storico esistente a Monfumo (TV)., E della Chiesa Parrocchiale di Poggiana di Riese Pio X° (TV) Della Cattedrale di San Catervo in Tolentino (MC). L'ultima commissione in ordine di tempo si riferisce al nuovo organo per la chiesa del convento delle Suore Immacolatine di Pietra dei fusi (AV). Tra i virtuosi organisti che hanno collaudato i lavori di Girotto, oltre al M° Sacchetti, sono da citare i Maestri Giuseppe De Donà, Severino Tonon, Sergio De Pieri, Giancarlo Parodi, Roberto Marini, Silvio Celeghin, Giovanna Franzoni, Andrea Freddini, Giuliana Mccaroni, Mauro Papagallo, Gianluca Libertucci e J.E.Goetsche organisti di San Pietro in Vaticano, Wijnand Van De Pol, Robert Michaels, Giuseppe Sirolli, Donato Cuzzato, Sandro Carnelos, Domenico Severin, Giovanni Feltrin, Luigi Scopel. Oltre a questi, numerosi altri musicisti stranieri hanno espresso il meglio di sé sulle tastiere restituite all’originale timbro musicale. Tutto ciò testimonia del livello professionale raggiunto dalla “Arte Organaria” di Postioma, ditta individuale di Alessandro Girotto, che opera con il supporto della signora Maria Horzov, la compagna di vita e di lavoro, appassionata fin da subito a questa antica professione, che gli ha dato Davide un bellissimo e vivace maschietto nato nel 2006; Alessandro Girotto è già padre di Silvia Emanuela e Martina. Girotto è membro dell'“A.I.O.- Associazione Italiana Organari”, di cui fanno parte i maggiori restauratori di organi d'Italia, nata grazie alla passione di persone come lui, che amano il loro lavoro e ne hanno massimo rispetto, e su cui nell'arco dell'anno si ritrovano per scambiare e mettere a confronto le proprie esperienze, con il fine di raggiungere i migliori risultati. Per il maestro Girotto non si tratta solo di un mestiere, anzi vengono prima la passione e la voglia di scoprire sempre nuove tecniche in un naturale confronto con i maggiori restauratori europei e non senza uno spiccato senso di responsabilità, trattandosi frequentemente di mettere mano ad autentici pezzi museali, tutelati da norme vigenti in materia del patrimonio artistico. Data la delicatezza dei materiali da restaurare, Girotto è stato il primo ad applicare ed utilizzare una particolare tecnica di disinfestazione dei parassiti del legno ottenendo il migliore dei risultati senza fare ricorso ad impregnanti e veleni dannosi per la salute dell'uomo e dell'ambiente e che oltretutto distruggono soltanto le larve che si trovano in superficie, ma sono quasi del tutto innocui in profondità. Pensò cosi di utilizzare il forno a microonde, constatando che con questa semplice operazione si risolveva ogni problema in modo definitivo. La perseveranza e la passione per questo lavoro, unite a scoperte e innovazioni, lo hanno fatto diventare nel suo campo un abile maestro organaro, tale da ricevere riconoscimenti da più parti, come quella volta, nel 1990, che fu premiato dalla regione Abruzzo al centro congressi dell'EUR a Roma ricevendo dalle mani di Mariolina Cannuli, nota presentatrice televisiva, il Premio “Italia che lavora”, istituito dalla locale Camera di Commercio. In questo trentennio il maestro Alessandro Girotto ha disseminato ottimi lavori strumentali con la propria personale abilità e conoscenza in molte località d'Italia e all'estero, portando in alto il nome e la laboriosità del Nord Est, orgoglioso delle sue origini di cittadino di Paese. 95 La ditta ha sede in Postioma, frazione di Paese (TV), Via Enrico Fermi n. 24/A. Tel.0422.484436 fax 0422.483308: [email protected]; www.paginegialle.it/arteorganariagirotto. BIONDO MARIO s.n.c. di Mario Biondo & C. Questa ditta di impianti elettrici vanta oltre un quarantennio di attività e per la sua storia rappresenta un tipico esempio della laboriosità della gente del Comune di Paese. A fondarla, nel 1967, è stato Mario Biondo di Postioma, dopo una lunga esperienza acquisita in Piemonte a fianco dello zio Umberto Girotto con l’aiuto del quale, appena diciassettenne, aveva avviato una propra azienda nel Triangolo Industriale. A Torino era arrivato nel 1960, in pieno boom economico e la neonata impresa partì subito con il vento in poppa. Contemporaneamente Mario frequentava l’Istituto Professionale serale. Rientrato dopo poco tempo a Postioma, frequentò sempre di sera una scuola per elettricisti mentre di giorno imparava nuove tecniche al seguito di Valter Lepes di Paese, lavorando per le FF.SS. e per i privati. Ritornato a Torino con l’abilitazione in tasca, vi rimase fino al momento della leva, trovando così l’opportunità di rendersi utile da elettricista specializzato anche durante il servizio militare, a favore dell’Esercito. Nel 1967, data la grande esperienza acquisita, arrivò il momento di mettersi in proprio, formando una società con il fratello Giovanni (1941). Nacque così la “Biondo Mario & C”. Erano gli anni migliori, quelli che registrarono un irripetibile sviluppo economico e produttivo, e i due fratelli seppero cogliere questa opportunità lavorando di giorno e studiando di sera. Acquisirono così l’abilitazione di tecnici radio-televisivi e, contemporanemente, Mario prese anche la licenza media. Con questo pingue bagaglio di conoscenze, nel 1970 aprirono un negozio di apparecchi radio-tv in Piazza Montello a Postioma, alternandosi ora dentro ora fuori secondo le esigenze. Nel 1980 arrivò il tempo di separarsi e formare due ditte diverse ma affini tra loro, pur rimanendo ambedue nel settore elettrico. Così, mentre Giovanni sceglieva la conduzione del negozio, Mario preferì i lavori impiantistici, operando per le più importanti imprese edili e per privati. In quegli anni la “Biondo Mario s.n.c.” registrò una crescente evoluzione e il suo giovane titolare era occupatissimo non solo da imprenditore ma anche da persona impegnata nel sociale. Certo aveva anche l’aiuto di bravi collaboratori che aveva assunto ad iniziare dal 1973, aumentando progressivamente gli ingaggi fino ad avvalersi di dodici maestranze. Potè quindi dedicarsi anche alle sue passioni: fu corista nel Coro “Stella Alpina” e poi nel “Voci Amiche” di Treviso, sostenitore e presidente dell’U.S. Calcio Postioma, alla quale non ha mai fatto mancare il suo prezioso sostegno, ed inoltre di dirigente dell’Associazione Artigiani della Marca Trevigiana. Nel 1985, da presidente del Circolo Artigiani del Comune di Paese, carica che mantenne per sette anni, avviò con altri amici la straordinaria serie di Mostre dell’Artigianato locale, che proseguì per una decina di edizioni. Fu pure consigliere comunale dal 1990 al 1994 nell’Amministrazione del sindaco Giuseppe Mardegan. 96 L’Azienda di Mario Biondo ha rinsaldato nel tempo la sua affermazione conseguendo la certificazione che le permette di partecipare agli appalti pubblici. Ciò le ha giovato l’acquisizione di importanti commesse da vari Enti locali, per i quali ha eseguito lavori degni di menzione, tra cui l’impiantistica della Scuola Media di Postioma, della Casa Alloggio di Paese, del Municipio di Cison di Valmarino, delle case gestite dall’Ater di Treviso. Certo pure il mestiere di elettricista nel tempo si è notevolmente evoluto, così come si sono affinate le richieste di una clientela sempre più informata ed esigente. Un tempo si trattava quasi esclusivamente di illuminazione, ora le richieste di servizi attinenti sono notevolmente aumentate: telefonia, informatica, allarmi, prevenzione incendi, video-citofonia, videosorveglianza, impianti idustriali, ecc., che agevolano, ma che talvolta complicano la vita delle persone. Per stare al passo occorre pertanto aggiornarsi costantemente. Se un tempo bastavano le scuole professionali e i convegni delle associazioni di categoria, ora è d’obbligo partecipare ai corsi di formazione specifici presso le aziende produttrici di tecnologie sempre più sofisticate, a Milano e altrove. Con questa attenzione, la ditta di Postioma può offrire le massime garanzie di qualificazione. Dopo oltre quarant’anni la Mario Biondo di Postioma si configura, infatti, ancora come azienda all’avanguardia nel settore, in grado di offrire un futuro alla nuova generazione che potrebbe subentrare un giorno alla guida, nel segno della continuità e tradizione. BIONDO PIETRO dei F.lli Biondo s.n.c. È la ditta di Castagnole di produzione e vendita manufatti in cemento per l’edilizia fondata legalmente nel 1962 da Pietro Biondo (1929), padre di Claudio, Mauro, Stefania e Fabio che conducono ora in società l’azienda di famiglia, tra le Vie Pirandello e Ongarine a Castagnole, avvalendosi di alcuni collaboratori. Il 1950 fu uno di quegli anni che più registrarono le partenze dei trevigiani verso terre più generose. Il dopoguerra, infatti, non lasciava intravvedere nulla di buono a breve scadenza e molti tentarono l’avventura migratoria. Ci provò anche Pietro Biondo, che partì per il Canada con in tasca un contratto da bracciante agricolo. Dopo quella prima esperienza, Pietro aveva trovato lavoro in una grande fabbrica di cemento: la “Canadian Cement Company”. Vi rimase per sette anni, periodo sufficiente a fargli germogliare la voglia di mettersi in proprio, lavorando la materia cementizia che aveva visto trasformare dalle rocce frantumate in enormi macchinari. Ritornò quindi definitivamente dopo sette anni, sposandosi e mettendo in atto le esperienze acquisite in terra americana avviando, con l’incoraggiamento del padre Emilio, la produzione di manufatti in cemento sul terreno chiamato “Striconi”, adiacente l’abitazione. Fu un inizio modesto (1961) anche se impegnativo. Si trattava di costruire blocchi per l’edilizia versando il calcestruzzo negli stampi di legno fatti a mano. I blocchi di cemento erano molto richiesti negli anni del Miracolo Economico ed erano utilizzati, al posto dei laterizi, per la costruzione di scantinati e case che sorgevano in regime di economia. Così, mentre la moglie Giuditta Bado partoriva il primo figlio, Claudio (1961), egli avvalendosi di stampi sempre più perfetti e sofisticati, nonché della collaborazione di Giuseppe Pietrobon e Carlo de Lazzari, compaesani di Castagnole, aumentava progressivamente la produzione. 97 Durante questo periodo Pietro si alzava di buon mattino, caricava a braccia due rimorchi agricoli di blocchi prodotti nei giorni precedenti e li consegnava a domicilio, quindi rientrava per produrne altri, e il ciclo continuava. In seguito, per le consegne fu assunto Giorgio Polin, di Paese. Negli anni a seguire Pietro incrementò l’attività aggiungendo sempre nuovi prodotti, quali palizzate per vigneti, pali e lastre per recinzioni, vasche per fognature tradizionali e biologiche tipo "Imhoff", pozzetti, chiusini, caditoie, anelli per fosse perdenti, cordonate, quadroni per pavimentazioni, ecc., impastando con una betoniera il cemento con il pietrisco e la sabbia, che venivano caricati a mano, unendo contemporaneamente l’armatura di ferro. Ed è ciò che sostanzialmente si fa ancora oggi. Le materie prime impiegate, pur dopo tanto tempo, sono sempre le stesse, solo il ferro che un tempo era legato ora è elettrosaldato. Ciò che invece è radicalmente mutato è il lavoro umano, che si avvale di tecnologia meccanica e informatica d’avanguardia. Il progresso ha investito anche questo settore ed è così notevolmente diminuita la fatica fisica, mentre è aumentata nel contempo la sicurezza. Pure gli stampi di legno per i blocchi che si usavano un tempo sono ora diventati moderne blocchiere metalliche che permettono una produzione altissima, impensabile per i primi tempi. Contemporaneamente allo sviluppo dell’azienda, Pietro vide aumentare i componenti della famiglia, con l’arrivo di Mauro, Stefania e Fabio. E sono questi che unendosi al primogenito Claudio, hanno raccolto il testimone mettendosi in società nel 1995, quando, conseguito il diploma di scuola superiore, il loro padre decise che era giunto il momento di farsi da parte. È stata una fiducia ben riposta perché da allora la fabbrica di manufatti in cemento – che, da ditta individuale, ha cambiato ragione sociale in “Biondo Pietro dei F.lli Biondo s.n.c.” - ha ottenuto un ulteriore impulso, nonostante qualche alternante contrazione del settore edilizio e il continuo aumento delle materie prime. Ciò ha permesso di tenere unita la famiglia, che si è rigenerata attorno all’edificio storico. Ed è questo il valore aggiunto di un’azienda che, dopo quasi mezzo secolo di vita, continua a produrre sviluppo e ricchezza nel territorio comunale di Paese mantenendo solide le storiche radici. Pietro, da pensionato, può ora guardare con soddisfazione alla sua creatura che marcia con gambe proprie. Unico rammarico è l’impossibilità di ampliare il capannone di 400 mq. per adeguarlo alle esigenze della crescente produzione. L’area cosiddetta “Striconi” su cui sorge, infatti, è tuttora classificata agricola. CASA ORGANARIA SAVERIO GIROTTO L’organo è uno strumento aerofono antichissimo costituito essenzialmente da un sistema di canne metalliche e lignee. La prima testimonianza risale al III secolo a. C., quando un certo Ctesibio, ad Alessandria d’Egitto, realizzò uno strumento detto Hydraulos per il principio di funzionamento ad acqua, che produceva il vento e successivamente descritto da Vitruvio. Solamente nel X secolo d.C. prese piede l’uso di questo strumento per accompagnare le funzioni religiose, trasformandosi nel tempo, adeguandosi ai cambiamenti tecnologici e agli stili musicali. L'Italia vanta una solida tradizione organaria con diverse botteghe che 98 hanno caratterizzato varie epoche. Conseguentemente un’innumerevole quantità e varietà di strumenti hanno riempito le nostre chiese e allo stesso tempo delineato la peculiarità dell’organo italiano. Si tratta molto spesso di vere opere d’arte che per la complessità della costruzione assumono la caratteristica di autentici cimeli museali. Nel secolo scorso molte ditte hanno assunto dimensioni industriali, ma altre mantengono la caratteristica di bottega artigiana. Certo tra le prime e le ultime cambia il valore intrinseco. Non sono poi così numerosi gli organari, trattandosi di un mestiere che si affranca dopo una lunga esperienza a fianco di altri maestri, che a loro volta abbiano appreso dai predecessori. Occorrono passione, ingegno, orecchio e buona manualità, oltre che conoscenze tecniche e attitudine per la buona musica per fare questa professione. Nel Comune di Paese sono addirittura due le aziende artigianali di questo settore, avviate da due fratelli che hanno appreso il mestiere dal padre Silvano. Uno di loro è Saverio Girotto, titolare dell’omonima Casa Organaria, con sede in Paese capoluogo, ditta individuale, in Via San Daniele, dove tiene un attrezzatissimo laboratorio di 400 mq. Costruire un organo non è cosa semplice, solitamente si contempla la parte esterna, che già da sola crea ammirazione e stupore, ma è il meccanismo interno, impenetrabile ai profani, il cuore dello strumento. Costruire o restaurare un organo è attività di alta esecuzione, richiede spesso anni di paziente lavoro, trattandosi di uno strumento di concezione arcaica, simbolo della più alta elevazione mistica dell’uomo. Meraviglia che a costruire artigianalmente o a metterci le mani con grande abilità a questi strumenti sia un giovane artigiano come Saverio Girotto, classe 1965, diplomato tecnico elettronico a Treviso. Eppure a scorrere la sua esperienza si rimane stupefatti. Già gli studi di tecnica elettronica rivelano una predisposizione alla creatività e all’originalità, ma Saverio è anche un bravo progettista, quindi un falegname, un artista del legno e dei metalli, attitudini che rivelano una mentalità aperta e spugnosa. Sì perché ogni strumento è qualcosa di originale, di inedito e per la sua composizione occorre tenere presente una varietà di fattori, studiando la morfologia e l’acustica ambientale, i ritorni di suono, le correnti d'aria, i problemi architettonici e statici. In caso di recupero e ristrutturazione, importante è la fedeltà alle tecniche originali. Non basta quindi attuare una corretta esecuzione, bisogna anche tener conto di tanti altri aspetti, che creino armoniosamente un amalgama con l’opera. In tutto ciò Saverio Girotto è un vero maestro, ricercato e richiesto in tutto il Veneto, con qualche puntatina anche fuori regione. Quella di rimanere in ambito locale è una sua scelta, giacché tiene a non allontanarsi troppo dalla sua giovane famiglia. Un valore che gli fa onore e che parla della sua semplicità: una persona che non si esalta, ma che dialoga con l’arte delle mani. Quasi nessuno immagina quanto lavoro e ingegno comportino la costruzione di un organo a canne, così come in caso di restauro. “Quando uno di questi strumenti è montato, è allora che inizia il lavoro più delicato, ma anche più gratificante”, dice l’artista. È un passaggio importante, quello in cui si deve dare funzionalità e intonazione. Chi costruisce questi strumenti sa già in partenza come suoneranno una volta completati. Saverio Girotto progetta e costruisce organi a canne prevalentemente per chiese e cattedrali, e per privati, portativi e positivi. Fabbrica artigianalmente tastiere, pedaliere, registri, mantici, somieri, consolle e il mobile di supporto, canne in 99 legno, mentre per quelle in lega metallica si affida all’opera di valenti artigiani cannifonisti. Risaputamente l’organo è lo strumento più completo, concepito principalmente per suonare la musica sacra che accompagna la liturgia. Se ne costruiscono di imponenti, ma anche piccoli da accompagnamento, cosiddetti “da basso continuo”. Tuttavia la grande dimensione non sempre equivale alla più impegnativa. Certo, come dice il dépliant d’inaugurazione di un grande strumento costruito da questa ditta, “l’organo accoglie, avvolge, parla, scuote, ti accarezza, ti interroga, ti rende armonioso, ti mette in pace con te stesso”. La Casa Organaria di Saverio Girotto, pur essendo un’azienda di non grandi dimensioni, è in grado di sviluppare strumenti importanti per ingombro e complessità giacché escono dalle mani di maestranze altamente preparate e quindi non teme la concorrenza. Qualità e arte sono le sue principali caratteristiche, che Saverio Girotto ha acquisito fin da quando, ancora ragazzino, seguiva suo padre nei maggiori santuari e cattedrali fino alle più sperdute pievi. Proprio come fanno ora i suoi figlioletti, Nicola e Irene, sotto lo sguardo della mamma Patrizia, che pure sostiene il marito nell’attività. Sono piccole piantine messe a dimora in attesa che il tempo faccia la sua parte. E potrebbero essere proprio questi acerbi figli d’arte a dare un giorno continuità all’azienda familiare. (info: [email protected]) COMET BILIBIO Nata a Morgano nel 1973 come torneria e carpenteria metallica, questa azienda ha saputo trasformarsi e consolidare la sua presenza nel mercato regionale ed extraregionale, diventando una delle più conosciute e apprezzate aziende del territorio del settore. Tutto iniziò per iniziativa di due amici che si misero in società con la voglia di fare qualcosa in proprio, liberi da dipendenze. Si trattava di Eugenio Zuccato e Giuseppe Bilibio che, utilizzando un magazzino con tettoia a fianco dell’abitazione del primo, iniziarono i primi lavori per conto terzi, muniti di attrezzature leggere quali torni, trapani e saldatrici. Grazie alla loro bravura ben presto riuscirono a farsi conoscere e ampliare l’attività, tanto che nel 1981 trasformarono la ditta in S.n.c. (Società nome collettivo) e, per fronteggiare le crescenti richieste dovettero assumere delle maestranze, più che altro giovani apprendisti. L’area lavorativa intanto si ampliava a poco a poco fino a misurare circa cento metri quadrati. Troppo pochi per operare agevolmente e soprattutto per continuare ad espandersi. Constatata perciò l’insostenibilità della situazione, nel 1986 entrarono a far parte del Consorzio San Gottardo, attraverso il quale acquisirono un’area nella zona artigianale di Padernello, in Via Piemonte 7, costruendovi un capannone, con uffici e magazzini, di circa 1.500 mq. dove si trasferirono e dove la ditta si trova tuttora. Fu una scelta indovinata ancora una volta perché si poté ampliare la gamma di prodotti offerti e di riflesso anche gli affari presero un’ottima piega. Conseguentemente pure il personale fu incrementato fino a raggiungere una quindicina di persone. 100 Nel 2001, dopo quasi un trentennio, Eugenio Zuccato, ritenendo giunto il momento della quiescenza, si ritirò dalla Società, lasciando spazio all’ingresso di altri due soci: Claudio Zaratin e Fabio Bilibio, figlio di Giuseppe. La ditta assunse perciò una nuova ragione sociale diventando “Comet Bilibio s.n.c.”. L’azienda si avvale ora di tecnologia avanzata, tra cui una macchina per la lavorazione e decorazione al plasma delle lamiere, con controllo numerico, macchina computerizzata di alta precisione. Dalla produzione escono pertanto recinzioni e ringhiere, cancellate, strutture metalliche pesanti e leggere, pensiline e tettoie varie, soppalchi, solai in ferro e in acciaio inossidabile, ed anche macchinari su misura per particolari lavorazioni industriali. Sul piano della carpenteria pesante la ditta sforna longheroni e profili stampati, oltre che cassoni per camion. Fiore all’occhiello rimane tuttavia lo stampaggio delle lamiere per ringhiere e altri usi industriali, con possibilità di incidere artistiche decorazioni al plasma. Un altro settore importante dell’azienda riguarda i serramenti di profilati in alluminio per abitazioni civili e strutture industriali. Ne produce di varie tipologie. Tutti articoli che, all’altissima qualità dei materiali impiegati, aggiungono un notevole valore estetico per l’eccellenza delle rifiniture. Nel 2003 il reparto produzione dei serramenti in alluminio, per carenza di spazio, è stato spostato in un altro capannone di circa 600 mq. che si trova in Via Veneto, poco lontano dalla sede principale. Sembra superfluo aggiungere che l’azienda si avvale di ottimi professionisti per calcoli e progettazioni e di personale proprio per montaggio e assistenza. Il mercato aziendale è in continua espansione grazie al buon nome acquisito e alle garanzie che la Comet Bilibio offre. E a tale proposito c’è da aggiungere che le cancellate e i serramenti vengono forniti a marcatura “C.E.”, come previsto dalle vigenti normative europee. La clientela è eterogenea; interessa infatti sia il settore privato sia quello industriale e va costantemente espandendosi anche fuori regione. Per informazioni: [email protected]. FOTO DE MARTIN di De Martin Giuliano La Foto De Martin deve la sua origine a Ruggero De Martin (1940) di S. Giuseppe, zio di Giuliano, attuale titolare del negozio in Via Roma 17 a Paese, che acquisì la licenza il 9 febbraio 1966. Già due mesi dopo, aperto un nuovo negozio sulla Statale Feltrina, Ruggero ne cedette la conduzione al fratello Marcello (1942) diventato proprietario nel 1973 il quale, abbandonato il suo vecchio mestiere, aveva dimostrato subito un’ottima attitudine per questo lavoro, oltre che intuito commerciale. La sua attività si svolgeva prevalentemente in studio dove eseguiva ritratti e fotografie in formato tessera per i documenti, in bianco e nero, sviluppate e stampate a mano nel proprio studio, cosa normale in quel tempo. A ciò si aggiungevano i servizi per matrimoni, prime comunioni e cresime, ma erano frequentemente richiesto pure per servizi a domicilio nelle feste di compleanno, o semplicemente per fotografare i bimbi e per ricorrenze particolari. Non era poi raro che Marcello si recasse di domenica nelle famiglie con il cineproiettore “Super8” a proiettare i filmini che gli emigrati spedivano ai 101 famigliari con le riprese dei luoghi in cui vivevano. Spesso Marcello doveva documentare con la macchina fotografica anche i funerali; i parenti del defunto spedivano poi le foto ai congiunti lontani. Il fotografo aveva quindi una valenza sociale e documentale. Lo stesso valeva anche in ambito pubblico, quando allo Studio De Martin venivano commissionati servizi riguardanti l’inaugurazione di opere pubbliche o di importanti manifestazioni sportive. Lentamente, con l’evoluzione economica, la gente di Paese iniziò ad acquistare la macchina fotografica in proprio, anche se una grossa frangia continuò a rivolgersi alla Foto De Martin, che la prestava gratuitamente per viaggi di nozze, anniversari e gite domenicali. Con l’avvento del colore fu necessario appoggiarsi ad un laboratorio esterno, dato che si trattava di macchinari assai costosi e sofisticati; la Foto De Martin tuttavia continuò la sua crescita dato che aumentava il suo raggio d’azione anche nei paesi del circondario. Nel 1971 il negozio De Martin si spostò dal civico 7 all’11 di Via Roma. Nel 1986 fu acquistata la storica abitazione del Cappellano. Il fabbricato, opportunamente ristrutturato, il 7 dicembre 1988 accolse il nuovo studio fotografico al civico 17, dove si trova attualmente, per la prima volta in un immobile di proprietà. Con il trascorrere degli anni e l’aiuto dei figli, la Foto De Martin si caratterizzò sempre più come impresa familiare. Ad appassionarsi maggiormente della professione del padre fu il figlio Giuliano (1975), che già da studente delle scuole superiori seguiva il genitore per carpirne i segreti del mestiere. Conseguito il diploma di ragioniere, Giuliano frequentò numerosi corsi inerenti la professione di fotografo, gettandosi nell’attività del padre e dimostrando di possedere l’innato talento di fotografo. Fu allora che Marcello comprese che era arrivato il tempo di dare fiducia al figlio, svincolandosi progressivamente fino a cedergli l’attività nel marzo 1999. Il cambio di ragione sociale non modificò il modo di operare perché l’azienda si mantenne sempre di tipo artigianale, ossia dedita più ai servizi che al commercio fotografico. Già nel 1996, dati i nuovi orientamenti del settore, era stato acquistato dai De Martin il primo computer per eleborazioni grafiche e restauro di foto d’epoca. Successivamente fu introdotto un “Minilab” (laboratorio di sviluppo e stampa automatizzato) per la consegna delle foto in giornata. Un nuovo determinante balzo evolutivo avvenne nel 2005, quando Giuliano, mettendo da parte il medio formato (fotocamera Hasselblad 6x6) decise di passare alla tecnologia digitale. Il digitale ha radicalmente trasformato il mondo della fotografia e pure il mestiere di fotografo, che per rimanere al passo con i tempi deve costantemente aggiornarsi non solo nelle attrezzature ma anche con corsi di formazione. Professionalità e cortesia sono ancora una costante della “Foto De Martin”, di Giuliano De Martin, perché, al di là della competenza, si dà molta importanza all’instaurazione di ottimi rapporti umani. È questa la fidelizzazione della clientela, e ciò si evidenzia nella constatazione che a frequentare il negozio sono ora i figli o addirittura i nipoti dei primi clienti di Marcello. Certo l’Azienda ha conosciuto nel tempo varie trasformazioni, nelle attrezzature e nei processi di stampa, ma rimarrà sempre fedele a queste sue caratteristiche, convinta inoltre che una fotografia ha il potere di fermare per sempre l’attimo fuggente. 102 Didascalie alle foto: La Famiglia De Martin al completo all’interno del negozio in Via Roma 11, negli anni Ottanta. Da sinistra: a fianco di Marcello la moglie Luciana Schiavinato, quindi i figli Giuliano, Elena e Anna. Manca Sara, la più giovane, nata nel 1991. Marcello De Martin al lavoro nel suo studio, nel 1978. Gli tiene compagnia il figlio Giuliano. La sede attuale della “Foto De Martin”, in Via Roma 17, a Paese. Marcello e Giuliano De Martin in una foto recente (2008). G.P. di GIAMPAOLO POZZEBON - Mobili, scale, restauri, arredamenti su misura Questa ditta individuale compie un trentennio all’uscita di questo libro (2008), essendo stata fondata nel 1978 da Giuseppe Pozzebon (1940-1999), conosciuto a Paese con il confidenziale nomignolo “Bepi Cassèa”, intagliatore e scultore del legno con un’innata vena artistica acquisita in botteghe artigianali di TrevisoCittà fin da giovanissimo. Sviluppava, come si suol dire, l’arte dalle mani, dalle quali uscivano pregevoli opere, tanto da essere spesso invitato ad esporre in mostre e rassegne artistiche. Tra queste merita una citazione il fonte battesimale, intagliato su legno di noce, donato nel 1973 alla Parrocchia di Paese. Innumerevoli furono poi le occasioni di coinvolgimento nelle quali si cimentava ed ognuna costituiva un test e un motivo di formazione e crescita artistica. Tra i riconoscimenti ottenuti si deve segnalare un primo premio ottenuto nel 1979 al Concorso Internazionale di Venezia, presso la Scuola Grande S. Giovanni Evangelista. Dal 1999 Giuseppe Pozzebon non c’è più, rivive però in tante opere, distribuite oltre che in Italia anche all’estero in collezioni private. Della sua straordinaria arte scultorea hanno parlato spesso i mass-media, ma figura anche in cataloghi di artisti italiani. Nato artisticamente come pittore paesaggista, Giuseppe sviluppò in seguito l’attività scultorea parallelamente a quella di intagliatore, specialista in figure a disegno e bassorilievo. Nel 1964 aveva iniziato una breve attività artigianale in proprio, aprendo un modesto laboratorio nel centro di Paese, dove restaurava e intagliava con tanta passione e maestria. Quella di maestro artigiano, capace di sfornare pezzi unici e particolari è tuttora una pratica assai ricercata dagli amanti del bello e del classico, pur in tempi in cui si tende a prediligere la quantità a scapito della qualità. Giuseppe con la sua particolare sensibilità e vena artistica queste cose le percepiva bene e le coltivava nel quotidiano. Dopo quella breve pausa in proprio aveva arricchito le sue esperienze presso un noto mobilificio d’arte di Treviso. Con questo ricco bagaglio sulle spalle nel 1989, quando il figlio terminò gli studi di mobiliere, riuscì a coinvolgerlo aprendo un laboratorio artigianale presso la propria abitazione, in Via della Libertà 16 (Strada delle “Canòpe”). Giampaolo, classe 1972, dimostrò 103 subito di possedere, oltre ad una buona manualità, la stessa propensione artistica del padre, che ora lo aveva come collaboratore e socio nell’impresa familiare. Inizialmente il lavoro predominante dei due consisteva nell’intagliare, attività che prevalse per circa un decennio per poi trovare sfogo anche nella costruzione di ringhiere, scale e corrimano artistici. Come accennato, nel 1989, conseguita la qualifica di mobiliere presso il Centro di Formazione Professionale di Lancenigo, Giampaolo venne ad affiancare il padre, rivelandosi subito non da meno del genitore. Dopo circa un decennio di collaborazione gomito a gomito, improvvisamente Giampaolo si trovò solo. Rimboccatesi le maniche, senza perdersi d’animo, riuscì ad imprimere un nuovo impulso all’azienda. Dalle sue mani escono ora pregiati mobili su misura, che sono una vera chicca per case e ville di un certo pregio, ma ne progetta e costruisce per tutte le tasche, dal mobile in stile neoclassico alla cucina ultramoderna, senza tralasciare il recupero di mobili antichi e complementi d’arredo, compreso l’intaglio e la costruzione di capitelli di sostegno, appliques, consolles, specchiere, cornici, letti, per fare qualche esempio. Il tutto è visibile consultando il ricco catalogo posto nella sala di accoglienza, ma le sue opere sono spesso commissionate da professionisti del settore, architetti che ricercano quel qualcosa di particolare che non si trova altrimenti e che invece, su loro progetto, vengono eseguite da Giampaolo con ricercata maestria, tale da tramutarle in articoli di valore. Alcune sue esecuzioni hanno così varcato la soglia di prestigiosi alberghi veneziani e londinesi. Pure le cucine da lui realizzate, siano esse in stile o moderne, si distinguono per la ricercatezza delle finiture, e per i materiali impiegati che ne fanno dei pezzi unici, eseguiti a misura del cliente, ossia personalizzati trasformando le idee del committente in opere concrete, e il risultato è assicurato. Una ditta in buona salute la GP di Paese, nel segno della continuità e della tradizione, valori che non tramontano quando sono sviluppati con la passione per il proprio lavoro che da sola fa dimenticare tante incombenze di cui il mondo artigianale è gravato. I prodotti ben rifiniti non temono la concorrenza e nemmeno il trascorrere del tempo. Mantengono inoltre un proprio mercato tra coloro che sanno apprezzare la buona arte che esce dalle mani dei maestri artigiani, come lo sono quelle di Giampaolo Pozzebon. Tel. 0422 958563 - [email protected] LATTONERIE PIVA s.r.l. La ditta si occupa da oltre trent’anni di progettazione, costruzione, installazione e montaggio di lamierati per l’edilizia civile e industriale. Ha sede a Padernello, in Via Castellana 41 (Borgo di San Gottardo). L’attività che l’azienda esprime è riassumibile come lattoneria ed è la stessa conosciuta un tempo in vernacolo come “bandéta”. Fondatore dell’azienda è Dino Piva, classe 1940, che si mise in proprio nel 1974 dopo una lunga esperienza in una ditta di Treviso, che oltre a grondaie costruiva casse da morto in zinco. Nel 1966, dopo la prematura scomparsa del titolare, i due giovani dipendenti, uno dei quali era Dino Piva, rilevarono l’attività in qualità di soci proseguendo così fino al 1974. 104 Il lavoro era del tutto manuale, compresa la sagomatura delle lamiere. Per lo stampaggio delle grondaie, che a quel tempo erano esclusivamente di tipo arrotondato, ci si avvaleva di una piccola calandra a mano. La lunghezza massima prodotta con quel sistema era di due metri e il materiale impiegato era quasi esclusivamente lo zinco. I manufatti così prodotti venivano consegnati al cantiere su un carrettino a due ruote condotto a mano. Per il montaggio e le giunzioni si usavano dei ribattini acquistati presso la Ferramenta Colle, in Piazza San Vito. In seguito con macchinari più evoluti si potevano sagomare lamiere lunghe fino a sei metri, delle quali si munirono anche i due soci. Acquistarono quindi una Fiat 600 con bagagliera sopra il tettuccio. Nel 1974, in pieno boom edilizio, Dino si sganciò dalla società, fondando un’azienda individuale con sede nel garage della propria abitazione dove teneva le scarse attrezzature, portando a sagomare le lamiere in un’azienda di Monigo. Due anni dopo, poiché gli affari avevano preso una buona piega, fece costruire un capannone e acquistò una pressa e una calandra. Agevolato dalla nuova tecnologia il fatturato s’incrementò notevolmente e Dino Piva raddoppiò il capannone assumendo anche delle maestranze. Intanto la moglie Antonietta Girotto dava alla luce tre figli maschi - Emanuele (1971), Fabio (1976), Matteo (1982) - ed ora c’era più di un buon motivo per far crescere l’azienda. Un notevole impulso si ebbe infatti con l’ingresso nell’attività di Emanuele, appena ebbe terminate le scuole professionali. Collaborazione che non s’interruppe nemmeno durante la leva militare, dato che era di stanza in una caserma di Treviso. Da allora fu un crescendo continuo. Entrò quindi Fabio che subito s’innamorò del lavoro familiare portando nuove idee e nuovo slancio. Parallelamente, nel capannone di quasi 500 mq. entravano sempre nuovi e più sofisticati macchinari e automezzi, tra cui uno con piattaforma volante. Infine pure Matteo, il più giovane, si aggregò ai congiunti ed ora tutti insieme, con l’apporto di quattro dipendenti, formano un’importante realtà produttiva. Ognuno della famiglia Piva ha i propri compiti specifici, pur mantenendo una certa versatilità perché sono tutti intercambiabili grazie alle esperienze acquisite e soprattutto alla fiducia che ha riposto in loro il fondatore. Emanuele e Fabio si occupano prevalentemente dei rapporti con la clientela, acquisendo i lavori e andando in sopralluogo nei cantieri. Fabio, che è diplomato geometra, si occupa dell’aspetto commerciale e amministrativo. Matteo invece è responsabile delle consegne e della posa in opera. Il coordinamento è tuttavia ancora saldamente in mano al padre, pur lasciando ai figli la giusta autonomia operativa. Certo ora le grondaie non sono prodotte solo in forma arrotondata come un tempo, ma anche a spigolo e in varie sagomature, oltre che in metalli diversi, quali rame, acciaio, zinco e zincotitanio, alluminio, piombo, di vari spessori e verniciature. Il progresso e la ricerca hanno sviluppato notevolmente anche questo settore, imprimendogli un notevole sviluppo tecnologico mediante l’applicazione dell’elettronica. Ma come dimenticare quei primi tempi, quando le grondaie erano fatte salire sui tetti tirandole con una corda che girava su una carrucola? Come si diceva, il progresso ha permesso un largo sviluppo, ma anche i ritmi sono notevolmente aumentati. Si deve ora operare in un’epoca che brucia i tempi a scapito della tranquillità, dei rapporti interpersonali e spesso anche della salute. 105 Fra le tecnologie emergenti in questo settore vale la pena ricordare i tetti modello “Lares” della ditta Mazzonetto S.p.A. di Loreggia (Padova). “Lares” è un sistema che racchiude in un unico prodotto copertura, ventilazione e isolamento termico ed acustico degli edifici. Una soluzione che può essere integrata da pannelli fotovoltaici e collettori solari, con ottimi vantaggi economici ed estetici, contribuendo alla diffusione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica. Una formula nuova per l’edilizia, sviluppata recependo le direttive nazionali ed europee, di cui i Piva sono dei veri esperti. Da ricordare in proposito il rifacimento della copertura della Casa di Riposo di Roncade nel 2006. Può essere considerata questa la nuova frontiera dei moderni lattonieri, ed è probabilmente anche il futuro dell’azienda Piva, una realtà in buona salute, in cui sono impiegate complessivamente nove persone. Un’impresa societaria familiare modello, aperta alle nuove tecnologie, come ce ne sono tante altre nel panorama economico e produttivo del territorio di Paese. MESTRINER & PICCOLI s.n.c. È la storia di due amici, nella vita e nel lavoro, che hanno messo insieme esperienze e potenzialità per fondare un’azienda metalmeccanica in società riuscendo ad imporsi nel mercato da leaders nella costruzione di scale a chiocciola, elicoidali e lineari per uso civile e industriale. La scintilla scoccò allorché Mario Mestriner di Monigo (1954) e Aristide Piccoli di Paese (1951) lavoravano in una nota azienda di Quinto costruttrice di accessori per automezzi industriali. Era la metà degli anni Settanta, un periodo in cui a Paese iniziavano a svilupparsi in ogni settore produttivo tante piccole aziende artigianali, e anche essi, con l’entusiasmo dei loro anni più verdi, sentirono il desiderio di realizzarsi in proprio. Iniziarono pertanto ad eseguire qualche lavoretto per conto terzi operando nel dopolavoro all’interno di uno scantinato, con una saldatrice e pochi utensili. Nell’ottobre del 1976 fecero il grande passo: si licenziarono iscrivendosi come società artigianale presso la Camera di Commercio di Treviso, data la stima di cui godevano, il loro ex datore di lavoro volle continuare il rapporto di collaborazione anche se in forma diversa. I primi lavori da imprenditori infatti furono quelli eseguiti per conto della ditta da cui si erano separati, costruendo cassettoni e serbatoi per autocarri. Conclusasi questa esperienza, lavorarono per la Montini Arnaldo & Figlio di Paese, industria di vasche da bagno in ceramica smaltata, che li monopolizzò per la costruzione della fonderia interna alla fabbrica. In seguito si dedicarono anche ad altri lavori fabbrili, quali la costruzione di ringhiere, passerelle, recinzioni, cancelli, soppalchi, coperture di vario genere, strutture portanti per l’edilizia, il tutto prodotto rigorosamente in acciaio. L’evoluzione dell’attività comportò il trasferimento in luogo più idoneo, individuato nella vecchia officina di Elia Mattarollo, in una laterale di Via Breda a Paese. Pure questo ambiente si rivelò presto inadatto. I tempi erano ormai maturi per costruire una sede idonea non solo per una regolare operatività, ma anche per un potenziale sviluppo futuro. L’occasione capitò quando fu lottizzata l’area artigianale di Padernello e qui i soci acquistarono un terreno in Via Lombardia 8, 106 sul quale fecero costruire un capannone di 700 mq. comprendente la zona produttiva e gli uffici amministrativi, trasferendovisi nel 1989. Fu particolarmente da questo momento che l’azienda conobbe un’importante evoluzione tale che già nel 1997 fu raddoppiata la fabbrica. Di pari passo si assunsero anche delle maestranze fino ad arrivare a quattordici unità, compreso il personale amministrativo e i due soci; non poche per una azienda artigianale di questo tipo. La Mestriner & Piccoli si colloca ora ai vertici della categoria per la specializzazione raggiunta, in particolare nella produzione di scale di varie forme, settore in cui occupa una posizione di leadership. Da quelle tradizionali in accaio verniciato o zincato alle moderne e avveniristiche, a chiocciola, elicoidali o lineari, per interni ed esterni, corredate di rifiniture semplici o di pregio, abbinate a vari materiali, perfino al vetro di Murano come nel caso del parapetto della scalinata dell’Università di Treviso. Scale che sono delle vere opere d’arte destinate ad alberghi, condomini, centri commerciali, edifici pubblici, scuole, centri sportivi, ville private. Non c’è quindi da meravigliarsi se l’azienda è accreditata e opera in stretta sinergia con le primarie imprese edili del Veneto. Una collaborazione che l’ha portata a realizzare opere per la Osram, il palazzetto dello sport di Longarone, la sede dell’Associazione Artigiani di Mestre e la TrevisoDue finanziata dalla Fondazione Cassamarca, il Linta Park Hotel di Asiago, tanto per citarne alcune tra le più prestigiose. Ha inoltre operato nella ristrutturazione di antichi palazzi di Venezia, ad esempio il Centro Herion nell’Isola della Giudecca, il Palazzo Civran, e l’Ospedale. Ci fu un tempo in cui costruiva silos, macchine utensili e catene di montaggio industriali. Sono queste le sue credenziali che parlano di un livello qualitativo di eccellenza e di un’esperienza a tutto campo. Con questo vissuto, nel 2004 si dovette raddoppiare la fabbrica fino a saturare l’area disponibile ed ora lo stabilimento occupa una superficie di oltre 2.500 mq. Il metallo è oggi largamente impiegato soprattutto nel campo edilizio in seguito all’emanazione delle normative antisismiche europee che interessano l’intera penisola italiana. La Mestriner & Piccoli non si è fatta trovare impreparata, potendo esibire personale tecnico altamente qualificato, in grado di supportare il cliente sin dalle fasi progettuali, mettendo a sua disposizione il proprio know how, fornendogli consulenze con relativa analisi di fattibilità, eventuali prototipi e costi e consegnare infine prodotti di elevata complessità e precisione con la clausola “chiavi in mano”. L’azienda grazie ai suoi sistemi informatici d’avanguardia si propone come partner globale di studi di progettazione e di professionisti per il supporto e la ricerca di nuove soluzioni, collaborando in stretta sinergia anche per via telematica. Con un trascorso così lusinghiero, la Mestriner & Piccoli guarda serenamente al futuro, anche se c’è sempre da confrontarsi e da lottare per stare al passo. Ne ha fatta di strada in oltre trent’anni di onorata presenza sul mercato. All’orizzonte intanto si affacciano gli eredi dei due soci, e saranno loro un giorno i condottieri di questa rinomata realtà produttiva paesana. ([email protected] – www.mp-snc.it). 107 MOBILI MARCONATO SILVANO Un’azienda di falegnameria sorta dal “fai-da-te”, di cui è costellato gran parte del territorio veneto, ed è risaputo che mobilieri e falegnami in genere sono particolarmente apprezzati. Silvano Marconato, classe 1950, fin da giovanissimo amava cimentarsi nella costruzione di gabbie per uccellini, di piccoli carretti e altri modellini costruiti per gioco impiegando assicelle di recupero e chiodi storti che pazientemente raddrizzava. Tutti oggetti questi che spesso regalava agli amici o cedeva a conoscenti in cambio di una simbolica mancia. Fu posto così a dimora il seme di falegname mobiliere che ha fatto germogliare una prolifica pianta nella famiglia Marconato di Via Treforni a Paese. In età da lavoro, infatti, Silvano trovò impiego in falegnamerie e mobilifici artigianali della zona dove potè imparare un mestiere e farsi tante esperienze: dal carpentiere al mobiliere per abitazioni civili e per bar, ristoranti e alberghi, serramenti e altro. Dimostrò subito di possedere un’innata attitudine da sviluppare. L’idea di mettersi in proprio gli balzò appena terminato il servizio di leva, durante il quale poté esercitarsi e farsi ulteriori esperienze quale addetto alla manutenzione della caserma di Tolmezzo, che ospitava il Corpo Artiglieria Alpina nel quale militava. Era il febbraio 1974 quando, ritornato in famiglia, avviò l’attività in Via Treforni. Sottocasa, in garage, installò le prime macchine, acquistate di seconda mano, adattandole alle proprie esigenze produttive. Pur avendo passato dieci anni come arredatore di locali pubblici presso una nota azienda locale, Silvano preferì mettersi a produrre serramenti e scale. La scelta non era casuale giacché si era in pieno boom edilizio e questi articoli erano particolarmente richiesti. Dopo cinque anni in questo settore pensò di cambiare, gettandosi a capofitto nella costruzione di mobili su misura, in particolare arredamenti di taverne, che tra gli anni Settanta/Ottanta andavano molto di moda. Il 1980 segnò una tappa fondamentale per la ditta Marconato. Fu costruito a fianco dell’abitazione un immobile di 600 mq. per la falegnameria, oltre ad uno spazio espositivo di mq. 300 della propria produzione. Fu una scelta azzeccata perché, di pari passo con l’ampliamento dell’area lavorativa/espositiva anche gli affari conobbero un certo incremento, tale che la gamma dei prodotti fu ampliata con la costruzione di cucine, camere, librerie, mobili bagno, gazebi e casette per giardini. Il 1997, dopo oltre un trentennio di onorata attività, la ditta conobbe uno “shock” benefico. A Silvano Marconato venne ad aggiungersi il figlio Alberto, neodiplomato specialista arredatore presso il C.F.P. (Centro di Formazione Professionale) di Lancenigo. La falegnameria Marconato conobbe quindi da allora un ulteriore significativo sviluppo commerciale, ma soprattutto nel servizio alla clientela potendo offrire anche lo studio e la progettazione su misura: un servizio sempre più richiesto e al passo con i tempi. Il 2007 ha segnato una tappa fondamentale per l’azienda: è stato l’anno del ricambio generazionale. Silvano Marconato, raggiunto il momento della quiescenza, ha ceduto la proprietà nelle mani del figlio Alberto che ne è ora il legittimo proprietario. 108 Certo ora anche questa attività ha ben poco di ciò che era un tempo: nuove tecniche evolutive e nuove mode hanno sostanzialmente trasformato anche il mestiere di falegname. Nell’esposizione della ditta Marconato si possono infatti trovare mobili di vario genere e diverse lavorazioni: dai laccati a quelli in stile country, dai moderni a quelli in arte povera, seggioloni a dondolo e bellissime sedie in acacia impagliate a mano. Ciò di cui i Marconato vanno particolarmente fieri sono i mobiletti porta televisore, costruiti a forma di “vanduia”, la madia dentro cui in epoca remota si conservava la farina da polenta; ogni famiglia ne possedeva almeno un esemplare. Oltre ai mobili artigianali, fatti su misura, l’azienda Marconato commercia anche particolari oggetti d’arredamento. Ma se la gamma di articoli si è notevolmente ampliata, c’è da dire che il cuore del falegname di Via Treforni a Paese è rimasto fedele alla mobilia per taverne e alle cucine di ammirevole fattura, confezionate con legnami europei ed esotici. La ditta Marconato, che è munita di ampio parcheggio, ha sede a Paese in Via Treforni 65/a, ed è raggiungibile percorrendo il Viale Biasuzzi e svoltando poi a destra in direzione Treviso. PAESANA SERRAMENTI di De Marchi & Murer s.n.c. Il legno è stato il primo materiale utilizzato dall’uomo per dotarsi di utensili atti a procurarsi il cibo e costruirsi una dimora. Il legno è ancora una materia prima innocua per la salute, materia facile da lavorare e per questo largamente impiegata. Ogni utilizzo ha il suo tipo di legname, dal più economico e leggero al più pregiato e resistente. A Paese due amici falegnami, Stefano De Marchi e Elio Murer, lo hanno scelto fin da giovanissimi ipotecando un brillante futuro. Nel tempo, infatti, unite le forze, hanno dato vita ad una rinomata fabbrica di infissi, la Paesana Serramenti. De Marchi vantava un’esperienza da mobiliere, Murer da costruttore di serramenti. Avevano rispettivamente 18 e 20 anni quando decisero di dar vita ad una società, acquistando una piccola macchina combinata con la quale mossero i primi passi insieme, di sera, nel dopolavoro e nei week-end. Dopo due anni di “rodaggio”, nel 1977, gli affari presero una piega decisamente favorevole e costante, tanto da indurre i due ad aprire ufficialmente una propria azienda. Adibito a falegnameria un vecchio fienile, si misero a fabbricare qualsiasi manufatto di legno che venisse loro commissionato: dai serramenti ai mobili, dai porticati alle tettoie, e grazie alla loro manualità e all’esperienza acquisite uscivano prodotti davvero di pregio. Nel 1986 decisero di spostarsi nella zona artigianale di Padernello, costruendo un capannone di 1.200 mq. coperti, dove fecero confluire nuove e più moderne attrezzature per la produzione di serramenti in legno, abbandonando quindi altri tipi di lavorazione. Da allora fu una continua evoluzione e già nel 1996 si dovette più che raddoppiare il capannone, portandolo a 2.750 mq. Fu questa l’occasione per acquistare macchinari di ultima generazione, pensati per la particolare lavorazione di serramenti totalmente rispettosi delle certificazioni e normative europee in materia di sicurezza. 109 Il legname impiegato per la produzione dei serramenti proviene prevalentemente dall’estero: Austria, Svezia, Africa, Americhe, Indonesia, Russia. I prodotti finiti vengono corredati da una componentistica di altissimo livello (serrature, maniglie, vetri, guarnizioni, vernici protettive ed estetiche), per ogni esigenza, anche la più sofisticata. L’azienda produce serramenti interni ed esterni su misura per tutti i settori edilizi, portoncini blindati, porte scorrevoli e pieghevoli, si occupa inoltre del restauro e recupero di vecchi balconi, porte e finestre, con inserimento di vetrocamera ai fini del confort ambientale e del risparmio energetico. Pure la posa in opera è assicurata dall’azienda e ciò è un’ulteriore garanzia. Il mercato in cui opera la Paesana Serramenti è prevalentemente nazionale, regionale in particolare. L’azienda, che si pone tra le ditte di alto livello specialistico, si avvale della collaborazione di maestranze qualificate, oltre al personale amministrativo. Ha sede in Via Lombardia 7, nella zona artigianale di Padernello e costituisce una realtà proiettata verso il futuro grazie alla sua continua innovazione e l’attenzione alle più evolute normative, in grado di competere con i principali mercati del settore. In particolare guarda con interesse e sviluppa prodotti in sintonia con le nuove ricerche cosiddette “Casa Clima” e “Casa Passiva”, ossia l’attenzione al risparmio e all’autoproduzione del fabbisogno energetico. Certo le tecnologie e i macchinari impiegati non sono più quelli esclusivamente meccanici di un tempo poiché anche qui la ricerca e la competitività hanno introdotto l’era tecnologica/informatica, che da sola sopperisce a gran parte del fabbisogno di manodopera umana. ([email protected]) (mandare bozza all’azienda) POZZEBON-MINOTTI & C. s.n.c. La Pozzebon-Minotti & C. è un’azienda di lavorazioni e rivestimenti in acciaio inox, ottone e rame, apprezzata per l’alta qualità e creatività, fondata nell’ormai lontano 1962, ma che ha radici molto più profonde nel tessuto produttivo di Paese. Trova la sua origine a Padernello di Paese (Treviso), nella casa dei Pozzebon detti “Pagoin” (da Paolin, diminutivo di Paolo), una famiglia che, da sempre, ha nel sangue il gene della lavorazione dei metalli. La prima officina meccanica sorse nei primi anni del secolo scorso in un piccolo immobile di sassi e calce che sorgeva lungo la statale Postumia, adiacente alla casa colonica dei Quaglia, signorotti locali, che la famiglia di Domenico Pozzebon occupava da fittavola. Parallelamente all’attività agricola, si sviluppò quella per la lavorazione del ferro, finché fu questa a prendere il sopravvento, generando a poco a poco una vera proliferazione di attività connesse. I figli di Domenico e Veneranda Paulon, Antonio, Giovanni e Luigi operavano di comune accordo, coadiuvati saltuariamente dal fratello Eugenio, il quale si occupava prevalentemente della terra. Inizialmente costruivano arnesi agricoli, poi cucine economiche e serbatoi di ottone. Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’officina andava a pieno ritmo per produrre gasogeni per i tedeschi,mentre alcuni partigiani erano nascosti in casa loro, considerata al di sopra di ogni sospetto. 110 Finito il conflitto, l’attività riprese con la produzione di serbatoi per motociclette per conto della ditta Mattarollo di Treviso e per commercianti milanesi del settore, recuperando la materia prima da vecchi fusti di benzina, cassette di tritolo, lamiere di camion dismessi dai Tedeschi in fuga, ma anche dagli Alleati. Fungeva da intermediario l’amico e pluricampione di motociclismo, Omobono Tenni, che dai “Pagoin” era di casa. Si passò poi a forgiare carrozzerie per trattori e cicloni per molini. Tutta la lavorazione si svolgeva manualmente fra un rumore assordante. Per rifinire un serbatoio ci volevano oltre seimila martellate sui bossoli di granata da 240 mm. che fungevano da incudine, mentre per saldare si usava carburo ed ossigeno. Più avanti nel tempo fu acquistato a Campalto un motore di una vecchia imbarcazione, introducendo così il primo macchinario, al quale se ne aggiunsero presto altri. Nel 1952 Antonio, Luigi e Eugenio si dissociarono, fondando ognuno una propria ditta. Antonio era marito di Carmela Miglioranza (“Majèri”) di Padernello, una famiglia che lavorava il ferro avvalendosi del maglio azionato dalla forza dell’acqua di un ramo del Brentella, in Via Roncalli a Padernello. Pioveva sul bagnato. Fu, infatti, un connubio d’amore, ma anche tra gente con la stessa propensione: la passione per la forgiatura del ferro. Quando l’acqua scarseggiava, i Miglioranza azionavano il maglio nelle ore notturne, giacché di giorno dovevano far funzionare il molino che pure gestivano. Antonio era un maestro del mestiere, aveva a servizio anche alcuni bravi collaboratori e il lavoro non gli mancava. In periodi di congiuntura chiedeva denaro in prestito a qualche amico danaroso piuttosto che ritardare le retribuzioni alle sue maestranze. In seguito si trasferì con la famiglia a Paese, in Via Postumia, continuando la sua attività di carpentiere con il figlio Giuseppe (1934), costruendo soprattutto serbatoi per motocicli per conto della Carnielli di Vittorio Veneto. Ad Antonio subentrò successivamente il proprio figlio Giuseppe, il quale, nel 1962 si mise in società con il cognato Franco Minotti (1932), marito della sorella Veneranda, che gia’ era un esperto nella lavorazione dei metalli e si rivelò presto un vero artista dell’acciaio inox, capace, anche ,di costruire pregevoli miniature. Nacque così la “Pozzebon-Minotti & C. s.n.c., ditta molto ricercata nel settore delle lavorazioni in acciaio inox e altri metalli pregiati, quali il rame e l’ottone. È soprattutto il settore dell’arredamento di lusso a beneficiare dei suoi prodotti, soprattutto locali pubblici (bar, ristoranti), ma anche quello delle abitazioni civili: lavelli, piani cottura, ringhiere di scalinate, ecc., eseguiti in collaborazione con architetti e arredatori professionisti. I due fondatori, che possono vantare una lunga esperienza acquisita fin da quando erano adolescenti, possono quindi essere considerati dei veri maestri, giacché non c’è segreto per loro in questo mestiere e anzi sono capaci essi stessi di fare tendenza apportando nuove idee creative, in tempi in cui si registra un largo impiego dell’acciaio inox in tutti i campi, di altissima qualità e tecnologia, resistenza e di vario aspetto soprattutto nel campo ornamentale. Certamente ora ci si può avvalere anche di macchinari informatizzati, ma il più rimane appannaggio di lavorazioni artigianali, manuali e meccaniche che donano al prodotto un alto valore aggiunto. Nel 2001, la Pozzebon-Minotti & C. s.n.c., per mancanza di spazio si è trasferita in una nuova ampia sede, in Via Veneto 9, nella zona artigianale di Padernello, dove opera all’interno di un capannone di 700 mq. Sembra superfluo aggiungere che, dato il lusinghiero passato, la ditta gode della massima stima. Tuttavia 111 occorre sempre tenere alto il livello di formazione e di ricerca per stare costantemente al passo. Con questa consapevolezza, i lungimiranti titolari sono riusciti a surrogare nell’azienda, e a far loro spazio, i figli: la terza generazione di artisti dell’acciaio inossidabile. Ed ora sono proprio questi – Alberto e Enrico, figli di Giuseppe Pozzebon, e Stefano di Franco Minotti –, tecnici specializzati, a dare continuità all’azienda e a una tradizione che è tuttora in costante evoluzione, grazie anche ad un mercato interessato da una buona spinta nel settore dell’impiego di metalli con elevata complessità ed estetica. Grazie a queste giovani risorse, la Pozzebon-Minotti & C. può guardare ad un futuro sempre più roseo. Ma come dimenticare il periodo in cui occorreva spaccarsi le braccia martellando sull’incudine per strutturare un piccolo serbatoio? [email protected] - www.pozzebonminotti.com - tel. 0422 452255, fax 0422 452254. S.I.L.L.C. s.n.c. È un’azienda di semilavorati e componenti in cuoio per l’arredamento, sorta nella zona industriale di Padernello nel 1984, ma i titolari, Igino (1948) e Carlo (1956) Bacchion, possono essere considerati figli d’arte, giacché ad intraprendere questo percorso era stato il loro padre Michele (1914-2001). Michele Bacchion aveva iniziato l’attività in Istrana nell’immediato dopoguerra, costruendo con le proprie mani ciabatte, zoccoli, sandali da lavoro e scarpe, anche su misura, che portava a vendere nei mercati popolari. Alle suole di legno inchiodava una suoletta di gomma ricavata da pneumatici riciclati perché non si consumassero troppo in fretta. Grazie al suo lavoro riusciva a mantenere una famiglia di dieci figli di cui otto studenti, mentre la moglie, Evelina Vedelago, aveva il suo bel daffare dividendosi tra la casa e il negozio di calzature aperto in Istrana. Notevole incremento conobbe l’azienda casalinga negli anni Sessanta e per star dietro alle crescenti richieste Michele acquistò la prima macchina per cucire. Nel 1967 estese la produzione alla costruzione di sedie in cuoio, dato che ora aveva l’apporto dei figli Igino (1948) e Giovanni che scelse di continuare gli studi e laurearsi, preferendo fare l’insegnante. Il suo posto fu preso dal fratello Carlo (1956) che andò ad affiancare il genitore e il fratello, mentre la lavorazione volgeva verso arredamenti e rivestimenti in cuoio e pelle, escludendo quindi le calzature. Nel 1984 l’azienda dei due fratelli si spostò nella zona artigianale di Padernello in un primo capannone al quale se ne aggiunse poi un secondo fino ad arrivare ad una superficie coperta di 2.000 mq. Nel tempo la SILLC, grazie alla sua specializzazione, è diventata sempre più ricercata, e pure dai mercati esteri verso i quali se ne va tuttora il 65% della produzione, soprattutto di sedie, prevalentemente verso vari Stati europei, ma talvolta i semilavorati e i componenti in cuoio dell’azienda varcano il Vecchio Continente per dirigersi verso quello asiatico (Giappone e India), e americano (U.S.A.). Il 35% dei prodotti che escono dalla fabbrica percorre invece le strade nazionali. Si tratta prevalentemente di sedie prive di imbottito, ossia a cosiddetta selleria, ma si eseguono anche lavorazioni particolari di arredo, pure di particolare pregio, 112 quali l’allestimento della sala congressi di Casa dei Carraresi a Treviso, del Museo diocesano di Vicenza, di alcuni negozi Di Varese e poi ville e abitazioni private. Tra le esecuzioni in cuoio e pelle, oltre a pannellature e rivestimenti per negozi, eseguiti spesso su progetto di architetti e professionisti del settore, emergono altri prodotti, quali rivestimenti di testiere di letti e di specchiere, sedie a puff, piani di tavoli, sgabelli per bar, tavolini per salotto, maniglie per mobilia, cestini portacarte per uffici, sottomano, contenitori per legna da caminetto, corrimano per scalinate e lampadari, tuttavia i fiori all’occhiello rimangono le sedie, di vario tipo e misura, marchiate manualmente a caldo. Quattordici sono le maestranze occupate nell’azienda, parte delle quali a part time, trattandosi di madri di famiglia. Per agevolare le donne sposate si applica l’orario flessibile ed è questo uno dei valori aggiunti, di tipo sociale, di questa realtà artigianale di Padernello. Le pelli vengono acquistate direttamente da Igino Bacchion che le sceglie personalmente nelle concerie a maggior garanzia di qualità. Provengono da Arzignano e da Chiampo (Vicenza), ma anche da S. Croce sull’Arno (Toscana) dove la conciatura avviene utilizzando tannini di origine vegetale. Oltre a quelle nazionali, le pelli arrivano da varie nazioni europee, comprese quelle con la pelliccia originale. Ci sono poi materiali provenienti da pelli riciclate rese riutilizzabili mediante un particolare processo lavorativo. Siano queste o quelle, vanno tutte a ricoprire le strutture metalliche o lignee che arrivano da officine fabbrili e falegnamerie esterne locali per essere trasformate in lussuose sedie e poltrone. Tutta la lavorazione avviene in modo manuale, artigianale, anche se per tagliare e confezionare i prodotti si utilizzano trance a ponte e moderne cucitrici. Per la finitura si utilizzano ancora le mani delle maestranze più esperte ed è per questo motivo che i prodotti della SILLC possono essere considerati dei pezzi unici, numerati e marchiati. La manualità e l’esperienza sono ancora il patrimonio dell’azienda, nonostante l’incedere delle moderne tecnologie. Un tempo questa azienda non aveva concorrenti in zona e i Bacchion lavoravano a pieno ritmo anche per le aziende produttrici di sedie del Friuli. Ora è apprezzata e ricercata soprattutto per l’alta qualità dei prodotti e delle finiture. All’orizzonte si prospetta un ulteriore ampliamento della sede con altri mille metri quadrati di superficie coperta, ma potrebbero arrivare anche dei macchinari informatizzati se la produzione confermerà l’attuale trend positivo. Con i figli di Carlo, attualmente studenti, l’azienda potrebbe passare sotto la guida della terza generazione dei Bacchion fabbricanti di semilavorati e componenti in cuoio per l’arredamento. Con questa prospettiva il futuro appare già più roseo. ([email protected]) TOP GRES di Gino Dalle Crode & Figli Azienda di Postioma che si colloca come fiore all’occhiello del migliore e tradizionale artigianato artistico veneto, emblema del Made in Italy osannato in tutto il mondo e spesso copiato ma senza garanzia di qualità. La Top Gres è la naturale continuazione della “CerAmica” fondata nel 1972 da Gino Dalle Crode, un innamorato del proprio lavoro, il quale dopo varie esperienze in fabbriche del 113 Trevigiano, con la carica dei suoi ventisei anni pensò bene di mettersi in proprio con grande passione e sviluppando il suo talento come ceramista artistico. Partita con dieci maestranze, la ditta aveva sede in Castagnole nei pressi dell’incrocio semaforico della Feltrina ed aveva incontrato subito i consensi del mercato per l’alta classe degli articoli che sfornava, tale da doversi presto spostare nel 1975 in una sede più ampia e prestigiosa, costruita ad hoc in Via Pastore dove tuttora si trova. È stata questa una delle prime aziende artigiane di Postioma che ha fatto da battistrada a tante altre della zona. L’azienda si caratterizzò subito per qualità e design, soprattutto nelle ceramiche da tavola, ponendosi ai vertici del settore per innovazione e fantasia. Il migliore riscontro lo ottenne nel costante incremento di produzione tale da arrivare ben presto a dare lavoro a diciotto persone. Una certa sofferenza per la contrazione del mercato delle ceramiche si ebbe negli anni Ottanta, ma l’azienda di Dalle Crode seppe intuire il cambiamento e interpretarlo in senso positivo nonostante l’invasione dei prodotti cinesi che sovvertirono i mercati. Dalle terraglie si passò al gres, un materiale considerato piuttosto grezzo, usato fino allora quasi esclusivamente per pavimentazioni, che diventò materia prima per oggetti da tavola e d’arredamento di classe medio-alta, grazie alla fantasiosa maestria artigianale che la ditta sapeva esprimere, tale da conquistare immediatamente sempre più larghe fette di mercato. Nel 2000 la “CerAmica” cambiò pertanto la ragione sociale diventando “Top Gres” inserendosi come azienda italiana leader nel settore. Il gres, difficile da reperire, viene tuttora importato dalla Germania. Si tratta di un’argilla a bassa porosità che viene lavorata ad alta temperatura (ca. 1150 °C) raggiungendo un’altissima resistenza agli shock termici. Questo materiale, lavorato e decorato nell’azienda di Postioma, si tramuta in prodotti di eccellente qualità e rara bellezza, creando un alto valore aggiunto agli ambienti in cui viene collocato. Un emblematico esempio si ha visitando lo show room presso l’azienda stessa o il sito internet: www.topgres.it. Nel tempo l’azienda, che copre una superficie di 1800 mq. produttivi oltre a uffici, sale di rappresentanza ed espositive, pur mantenendo il suo carattere artigianale si è ampliata ed arricchita della migliore tecnologia e ciò ha permesso di ridurre notevolmente i costi per il personale – ora di sole otto unità - aumentando nel contempo la produzione. Oltre 500 sono i grossi clienti italiani che la corteggiano, ma c’è stato un periodo, prima della globalizzazione cinese, che i manufatti prendevano la strada verso l’estero: Germania, Norvegia, Canada in particolare. È da dire tuttavia che l’invasione dei prodotti asiatici, frutto molto spesso di una concorrenza scorretta, non è stata del tutto negativa perché ha fatto da stimolo e indotto la Top Gres ad aguzzare l’ingegno, riorganizzando la rete commerciale e aumentando la già vasta gamma di articoli con oggetti innovativi di eccellente fattura. Ciò è coinciso con l’ingresso in azienda dei figli del titolare: Emanuele nel 2000 e Daniele nel 2005 che hanno portato una ventata di rinnovamento e nuova propulsione. Il primo è ora amministratore unico e responsabile produttivo e l’altro, laureatosi in economia aziendale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, è responsabile dell’ufficio amministrativo. Ora i soci sono tre: padre e figli. Grazie a queste nuove forze e fresche idee, l’attività ha avuto un benefico sussulto e anche le prospettive sono più rosee. Sedici agenti girano l’Italia diretti da un direttore commerciale. Il riscontro si è subito visto. Il fatturato ha avuto un’impennata: 114 +40% nel 2007 rispetto all’anno precedente. Unico rammarico l’impossibilità di ampliare l’area produttiva per la carenza di terreno circostante la fabbrica. La Top Gres però non si smentisce, e rimane in posizione verticistica nella sua categoria. Recentemente ha aggiunto al lusinghiero catalogo altri prodotti artistici, idee regalo e decorazioni per la casa con il nuovo marchio “Lapis Casa Collection”. Ma la collezione è alquanto ampia, soprattutto nei servizi da tavola e nelle liste nozze. Si va dalla Linea Primavera alle collezioni Fantasy, Girasole, Uva, Artefrutta, Moka, Mirò, Incas, Olimpia Arancio, Olimpia Celeste, Dublino, Stella, Margherita (decorata a mano), Mat e Cuoio, Savana e tante altre. La TUN - azienda produttrice di articoli da regalo in ceramica e porcellana, nonché di stufe in maiolica, apprezzata ovunque per gli oggetti da collezione, veri capolavori di originalità rifiniti secondo l’antica tradizione altoatesina - dopo accurata selezione ha scelto proprio la Top Gres quale fornitrice di rivestimenti maiolicati per le sue stufe a pellets. È anche questo un indice di garanzia dell’alto livello raggiunto dall’Azienda. Il futuro prevede il consolidamento del mercato italiano anche con l’apertura di punti vendita esclusivi, ossia con il marchio Top Gres, e la riconquista dei mercati esteri. Un’azienda che per i prodotti di eccellente manifattura onora il suo Paese quale ambasciatrice del miglior “Made in Italy”. ([email protected]) TREVIGIANA SCAVI di Porcellengo Azienda di movimento terra e lottizzazioni urbanistiche, nata nel 1974 dall’unione di tre soci, anzi di tre amici di Porcellengo: Mario Favotto (1943, “Smaniòti”), Remo Moro (1948), Gildo Visentin (1941, “Momi”), che unirono le personali competenze per intraprendere la strada di imprenditori. Venivano ognuno da esperienze diverse come lavoratori dipendenti e fu questa la loro ricchezza: Mario Favotto lavorava in un’importante impresa padovana di costruzioni e manutenzioni stradali; Remo Moro invece era dipendente delle Officine Colla di Porcellengo, produttrici di escavatori, di cui Remo era un bravo manutentore dato che la ditta costruiva pure pezzi di ricambio; Gildo Visentin manovrava escavatori e altri mezzi pesanti nelle cave di Granello. Nacque così da queste sinergie la società Trevigiana Scavi. A dire il vero, inizialmente era stata per pochi mesi ditta individuale di Mario Favotto, che poi surrogò gli altri due soci. Con la voglia di affermarsi si gettarono a capofitto e senza risparmio nell’attività, con la carica dei loro anni migliori. Acquistarono una pala meccanica, un escavatore e due camion di seconda mano, tutti mezzi di prima generazione e si misero alacremente al lavoro in subappalto, operando per le più importanti imprese di costruzioni del territorio, che avevano vinto concorsi pubblici, acquisendo costruzioni stradali e edilizi, e ancora, lavori commissionati da privati, in particolare scavi di fondazioni, sbancamenti e movimento terra in generale. I tre, con la voglia di affermarsi che li stimolava, davano il meglio di sé, per questo si fecero presto conoscere e apprezzare dagli impresari del settore. La sede della ditta era presso l’abitazione del Visentin, in Via Francesco Baracca a Porcellengo e fu subito amministrata dall’amico rag. Valter Baldassin (1949), che i tre convinsero a passare anche al loro servizio. Fu una scelta oculata e 115 indovinata perché il Baldassin fu sempre un ottimo collaboratore, degno rappresentante dell’azienda dei tre soci. I quattro già si conoscevano giacché erano impegnati nell’U.S. Porcellengo negli anni migliori del calcio locale. In particolare, Visentin ne era il presidente, Baldassin il cassiere e gli altri appassionati sostenitori. Il lavoro della società intanto non solo non conosceva soste, ma aumentava vistosamente, dato che oltre tutto era l’unica azienda di sbancamenti del Comune di Paese. Dopo qualche anno dalla sua costituzione fu subito chiaro che, per far fronte alle crescenti commesse, si dovettero assumere anche delle maestranze: fu ingaggiato per primo un escavatorista di Porcellengo, al quale seguì un autista e in seguito altri operai per lavori a terra, dopo che iniziarono a dedicarsi alle lottizzazioni. I titolari, sgravati dall’operatività di manovalanza, poterono suddividersi i compiti di responsabilità: chi nei cantieri e chi nell’evasione delle richieste di preventivi e impegni burocratici. I benefici furono presto evidenti. Nel 1989 la sede legale fu trasferita in Piazza Matteotti a Porcellengo mentre gli automezzi e gli escavatori erano già dislocati in Via Turati presso l’abitazione di Mario Favotto, dove era stato eretto un capannone prefabbricato. Con il tempo e il buon nome acquisito si impegnarono in lavori sempre più importanti e onerosi, coadiuvati da mezzi sempre più efficienti e capienti. Ora non si contano più le lottizzazioni e nemmeno gli scavi di vario genere da loro eseguiti, tra i quali emerge il sottopasso di fronte alla stazione ferroviaria di Treviso, l’ampliamento dell’Ospedale di Noale, il nuovo aeroporto di Venezia-Tessera, gli stabilimenti della Luxottica, le lottizzazioni per le zone artigianali dei Comuni di Paese, Istrana, Trevignano, tanto per citarne alcuni. Ma per rimanere in casa, ossia a Porcellengo, pure il campo di calcio è stato da loro realizzato in abbassamento, cioè movimentando 80.000 mc di terreno. Oltre naturalmente ai lavori svolti per le principali imprese e alcuni cavatori della zona. La Trevigiana Scavi, nel 1996 ha conosciuto la prima defezione con la quiescenza di Gildo Visentin. Rimasti due dei tre soci, ha continuato così fino al 2005, quando anche Remo Moro ha deciso di smettere. Conseguentemente, ed è davvero singolare costatare come la Storia a volte si ripeta, è tornata all’iniziale status, ossia al primo proprietario, che però ha surrogato i figli Andrea (1977) e Eleonora (1981). Il primo sta nell’azienda come direttore tecnico dopo un periodo di gavetta e il periodo di leva, essendo stato assunto nel 1995; la seconda svolge lavoro amministrativo e contabile affiancando il Rag. Baldassin, dato che sono particolarmente aumentate anche le pratiche di pari passo con le normative e gli obblighi fiscali. L’azienda, che attualmente annovera complessivamente dieci persone, grazie all’esperienza e alla stima acquisite, è accreditata presso la S.O.A. e può quindi partecipare a gare d’appalto pubbliche, in particolare per lavori stradali. È il riconoscimento di un lungo percorso effettuato con impegno e senso di responsabilità, la Trevigiana Scavi può quindi competere con i più grossi concorrenti anche di altre province. Con l’ingresso dei figli di Mario, l’azienda ha cambiato ragione sociale diventando Trevigiana Scavi di Favotto Mario & C. s.a.s., sancendo quindi di avere un futuro assicurato nella nuova generazione dei Favotto (“Smanioti”). Nel 2003 la sede è stata trasferita in Via Einaudi 12, sempre in Porcellengo, zona artigianale, in un moderno capannone. Ma chi cercasse i numerosi mezzi per movimento terra 116 dell’azienda rimarrebbe deluso, perché per fortuna sono costantemente dislocati nei vari cantieri. Senza sosta. ([email protected]) VENDRAMIN CORRADO – FERRO D’ELITE Domenico Vendramin, Memi per gli amici, faceva il bigliettaio e poi il controllore alla S.I.A.M.I.C. di Treviso, ditta di collegamenti extraurbani, sviluppatasi nel dopoguerra soprattutto con il Boom Economico, quando tutti trovavano lavoro ma non possedevano ancora la macchina per spostarsi. L’Azienda di autotrasporti assunse in seguito il nome di F.A.P. e poi A.C.T.T. Fatto è che a Domenico quel lavoro andava troppo stretto e non solo perché era un tipo intraprendente, ma anche e soprattutto perché la famiglia cresceva e bisognava darsi da fare. Fin da piccolo, pur essendo figlio di Edoardo - un bravo muratore, specialista in archi di pietra, tale da svolgere il suo lavoro principalmente in una città d’arte come Venezia – Memi era attratto dal mestiere di fabbro ferraio. Più volte gli era capitato di vedere all’opera l’artista del ferro battuto Toni Benetton e gli era venuta la voglia di provare egli stesso a cimentarsi con la mazza e l’incudine, scoprendo di possedere un talento inusitato. Domenico, avvalendosi dell’officina di maniscalco di Giulio Biscaro, che abitava nella stessa Via Trieste, a Paese, in cambio di qualche aiuto iniziò a comporre con il ferro dei rami di vite, con foglie tralci e grappoli d’uva verniciati a mano, che vendeva alle trattorie del Montello, e questi manufatti gli riuscivano così bene che incontrarono i favori della critica popolare tanto da fargli piovere addosso tante commesse. A Domenico si affiancò ben presto il figlio Corrado (1949) al quale, al pari del genitore, non mancavano l’estro, la fantasia e la voglia di affermarsi. Quello di Corrado fu, infatti, un amore a prima vista con il ferro, un materiale che, una volta scaldato, si lasciava docilmente modellare dalle sue mani, tanto che dopo pochi anni il padre, conscio che l’allievo aveva superato il maestro, si ritirò. Il primo approccio di Corrado con questa attività avvenne quando era appena quindicenne, ma poi lo coltivò nel dopolavoro da dipendente di una nota azienda locale che lasciò ventisettenne per mettersi in proprio. Da allora fu un continuo crescendo, anche perché integrava il lavoro con continue specializzazioni, ma confrontandosi con i suoi colleghi in competizioni utili ad acquisire nuovi stimoli e nuove tecniche. Nel 1976, sacrificando parte dell’orto a fianco dell’abitazione, Corrado si era costruito una modesta officina dove si cimentava con mazza, maglio e incudine. Il suo argentino batti e ribatti si spandeva per la borgata di Sovernigo destando non poche proteste, tanto che dovette arrivare ad un compromesso con il Comune, stabilendo degli orari di lavoro, meglio sarebbe a dire di pausa. Era un rumore, anzi un suono nuovo quello che produceva, si sviluppava un’attività artistica di cui non c’era grande cognizione, incompresa quindi anche dai vicini di casa. Grazie alla veloce evoluzione del suo lavoro, fu ben presto evidente che doveva cercare una sede più idonea. Acquistato un terreno in zona artigianale, Corrado fece costruire un capannone in Via Casanova a Castagnole dove trasferì l’attività, lasciando quindi Sovernigo. La sua arte di arredare con il ferro da allora non ha conosciuto congiunture, come non si contano le partecipazioni a mostre e concorsi, nazionali ed internazionali, ai quali viene continuamente invitato come artista del ferro. A lui si deve l’avvio, nel 1985, della “Biennale d’arte del ferro” di 117 Vittorio Veneto, una rassegna che continua tuttora con successo. Ma la sua bravura, ben affermata e riconosciuta in tutto il Veneto, lo ha portato ad esibirsi spesso in altre regioni italiane, in Toscana, in Emilia Romagna, in Valle d’Aosta, e pure all’estero. L’azienda, individuale, porta tuttora la denominazione “Corrado Vendramin”, ma è destinata ad assumere il blasone “Ferro d’élite”, dato che si sta ulteriormente evolvendo dopo l’ingresso del figlio Paolo (1982), la terza generazione familiare di mastri ferrai. Paolo è perito industriale, diplomato all’I.T.I.S. di Treviso con una specializzazione in ferro battuto moderno in contesto antico, qualifica acquisita presso il Centro Europeo per i Mestieri della Conservazione del Patrimonio Architettonico di Venezia. Ed è grazie a lui che l’azienda ha ora visibilità mondiale attraverso il proprio sito internet. Un balzo enorme, soprattutto una bella soddisfazione per nonno Memi che ha visto la sua vena artistica esponenzialmente valorizzata dalla sua posterità. Ma come dimenticare quando nei primi tempi andava in bicicletta a Treviso ad acquistare da Colle un po’ di ferro, o quella volta che Corrado aveva caricato sul motoscooter “Vespa” un’incudine di 50 chili trasportandola da Mestre a Paese con il timore che il mezzo si spaccasse in due? Corrado Vendramin tuttavia non si è dedicato solo al proprio lavoro, ma ha donato con generosità e passione molte delle sue energie anche nel sociale. Da presidente della locale Associazione Artigiani è stato uno dei promotori della Mostra dell’Artigianato di Paese, che si teneva negli anni Ottanta/Novanta. Già membro della Protezione Civile di Paese vanta pure una lunga militanza da amministratore comunale. Nella sua azienda di ferro battuto e carpenteria molti giovani si sono avvicendati per imparare il mestiere per poi mettersi in proprio. Ed è questo il valore aggiunto della Corrado Vendramin - Ferro d’élite, un’impresa artigiana che ha puntato sull’innovazione e la qualità, ed è ciò che ancora oggi la caratterizza e la pone all’avanguardia nel suo settore. www.ferrodelite.com Le aziende industriali di Paese ACQUA MINERALE SAN BENEDETTO S.p.A. L’acqua, con l’aria e la terra, è il bene più prezioso e vitale. La Acqua Minerale San Benedetto S.p.A., azienda multinazionale di Scorzè, ne ha fatto una ragione della sua esistenza, ma soprattutto di benessere pubblico al motto “Risorse per la vita”. Ma chi pensasse che questa primaria azienda del Nord Est sfrutti l’acqua per solo business sarebbe fuori strada, perché con la commercializzazione del vitale prodotto la San Benedetto assicura un costante controllo sulla qualità e quindi sulla salute del consumatore. L’acqua, a Scorzè, ha sviluppato un ciclo virtuoso per tante famiglie che hanno trovato il loro benessere sviluppandosi attorno all’Azienda cresciuta con loro. Da impresa artigianale a Gruppo di aziende che operano in osmosi tra loro: si potrebbe sintetizzare così il primo mezzo secolo di attività della San Benedetto, 118 ma sarebbe assai riduttivo. Dietro a questa grande realtà industriale ci stanno idee, progetti, investimenti, soprattutto persone che sanno fare squadra e che, coscienziosamente, sanno di produrre in funzione di persone che consumano. La persona quindi, al pari della materia prima, è al centro come risorsa preziosa per l’azienda, fatto abbastanza raro per grandi realtà imprenditoriali, ma che qui esprime un alto valore aggiunto. Ciò si evidenzia nella capacità di creare senso di appartenenza curando relazioni interpersonali, che vanno oltre gli interessi di produzione e che si trascinano all’esterno anche quando le maestranze, raggiunta la quiescenza, lasciano il posto di lavoro. Le origini Originariamente si trattava della “Fonte della salute”, ricercata ancora nel Settecento, ai tempi della Serenissima, per le sue proprietà curative. Senza tuttavia sconfinare nella leggenda, è nel XX secolo che la fonte “San Benedetto” viene scoperta ed utilizzata a scopo industriale. Anzi, a metà degli anni Cinquanta, esattamente quando aprì i battenti nel 1956, era un’azienda casalinga di proprietà della famiglia Scattolin, che imbottigliava l’acqua minerale in modo artigianale, bevanda che veniva in parte smerciata nel bar di fronte al modesto capannone. Le analisi effettuate presso l’Università di Pavia e di Milano parlavano allora di acqua che “possiede una azione diuretica e un’azione favorevole su importanti enzimi da cui dipende la digestione intestinale degli alimenti ed in particolare sulla amilasi e lipasi pancreatica”. Per qualche decennio l’azienda ebbe un andamento che si può definire lineare, incentrato a capitalizzare le posizioni acquisite, con una crescita fisiologica, pur allargando la gamma di prodotti, quali spume e gassose, aranciate e ginger, e altre bibite analcoliche che si diffondevano progressivamente con il Miracolo Economico e conseguente mobilità della gente. Ma fu la nuova proprietà Zoppas, subentrata nel 1972, ad imprimerle quel determinante salto di qualità che la porterà a conquistare posizioni verticistiche mondiali nel settore. Fautrice di tutto ciò è stata la Famiglia di Enrico Zoppas, che tuttora controlla il Gruppo attraverso la Zoppas Finanziaria S.p.A., indicandone le strategie operative. L’evoluzione Straordinario lo sviluppo del Gruppo “Acqua Minerale San Benedetto S.p.A.”, che opera a livello mondiale con propri stabilimenti, ma anche attraverso joint venture, franchising e partnership con altri famosi gruppi alimentari del settore, sempre per la produzione di acqua minerale e bibite analcoliche. Tra i quali emerge le spagnole Agua Mineral San Benedetto s.a. e Parque La Presa S.A., la francese L’Européenne d’Embouteillage S.a.S., joint venture con Orangina Schweppes Group, la polacca Polska Woda Sp. Z o.o. e l’ungherese Magyarviz Kft., ambedue in joint venture con Danone. Varcando l’Oceano Atlantico si approda nella Repubblica Dominicana dove si trova lo stabilimento Santa Clara C.p.A. in regime di partnership con Compagnie Financiere de St. Pierre S.r.l., quindi in Messico dove l’acqua minerale San Benedetto esce dall’Industria Embotelladora de Bebidas Mexicanas S.A. de C.V., joint venture con Cadbury Shweppes. Da modesto capannone di poche decine di metri quadrati degli anni Cinquanta, lo stabilimento di Scorzè si è progressivamente ampliato fino a coprire ora una superficie di 118.000 mq. su un’area complessiva di 200.000 mq. Oltre a questo 119 che è il principale, ne sono stati costruiti altri sparsi per la Penisola: a Donato (Biella), a Popoli (Pescara), a Nepti (Viterbo). Complessivamente la capacità produttiva italiana del Gruppo si attesta ora a circa 1.000.000 di pezzi giornalieri. Il grande balzo avvenne nei primi anni del nuovo millennio ed ora la San Benedetto, con il suo 47% è la griffe più conosciuta nel suo settore, leader in Italia nella produzione di acque minerali. Oltre che con il proprio, anche con il marchio “Guizza” e “Acqua di Nepi”, senza contare la grande varietà di bevande gassate e non, imbottigliate in vari formati e commercializzate con marche divenute famose, quali “Energade”, “Oasis”, “Schweppes”, “Orangina”, “Batik”, a base di thé, sali minerali e frutta, e quelle in franchising, quali “Pepsi-Co” e “Seven Up”. Ma, dal 2002, dalla fabbrica escono marche di prestigio universale come la Coca-Cola, prodotta e confezionata per il mercato europeo. La catena di produzione è assolutamente autonoma perché il Gruppo San Benedetto fabbrica tutto ciò che gli serve per il prodotto finale. L’acqua, che è costantemente monitorata a garanzia della massima qualità, viene emunta assolutamente pura ad una profondità di 300 metri, ma si costruiscono pure i contenitori e i tappi. Il settore ricerca va a pieno ritmo e sforna brevetti innovativi anche per applicazioni esterne all’azienda, in particolare per le consociate. Basti pensare che nel 1980 fu la prima del settore a lanciare i contenitori in PET, dapprima nel formato da 1,5 litri, poi da mezzo litro, quindi da uno e due litri. Così si può dire del settore comunicazione e marketing che cura il lancio di nuovi prodotti e diffonde il buon nome del Gruppo ovunque. Memorabile la sponsorizzazione alla fine degli anni Novanta del Festival di Sanremo, si potrebbero tuttavia citare tanti eventi sportivi di risonanza internazionale. L’occupazione “Conoscenza, innovazione, dinamismo”, non è soltanto un motto ma una costante per questa azienda d’avanguardia industriale. La Acqua Minerale San Benedetto S.p.A. ha una rondine come simbolo identificativo, che rievoca la più bella stagione dell’anno, segno che nonostante una storia lunga oltre mezzo secolo, mantiene inalterate le sue potenzialità, trovandosi ancora agli albori di un promettente avvenire. La rondine ispira dinamismo e gaiezza, ben si adatta ad una realtà giovane. L’età media dei due terzi del personale si attesta sotto la quarantina, dimostrando che c’è un continuo ricambio generazionale, ma con passaggio naturale di esperienze, che sono il vero patrimonio. Attualmente gli occupati sono circa 1150, che stagionalmente aumentano vertiginosamente. Si può quindi affermare che il paese di Scorzé si è sviluppato grazie a quel rigagnolo che la San Benedetto ha trasformato in un fiume, dando lavoro ma soprattutto benessere a tante famiglie. Nel periodo cosiddetto “del vetro” – dall’avvio ai primi anni Settanta - gli occupati erano soltanto una cinquantina, aumentati velocemente ed esponenzialmente con il subentro della famiglia Zoppas, che ha raccolto le grandi sfide delle marche più prestigiose del tempo (S. Pellegrino, Recoaro, Fiuggi, Sangemini…), arrivando a surclassarle. Erano i tempi della cauzione per il vuoto. Fu quindi proprio la Acqua Minerale San Benedetto a studiare e inventare il sistema innovativo del vuoto a perdere. Ma anche questo metodo, pur essendo competitivo, si dimostrò dispendioso. Fu così che si arrivò al contenitore di plastica. In virtù di queste invenzioni il marchio Acqua Minerale San Benedetto uscì dall’anonimato, provocando un autentico boom commerciale. 120 Gli anni Ottanta furono quelli del grande salto nel PET, un periodo di spinta determinante per l’azienda, tale che furono assunte in breve tempo circa 350 maestranze. Ormai la fabbrica era lanciatissima evidenziando una carica irreversibile. Nella seconda metà degli anni Novanta, da una nuova sensibilità sulla conservazione dei generi alimentari, fu sperimentato con successo il sistema d’imbottigliamento in camera asettica. Ciò permise di eliminare i conservanti chimici dai prodotti a base di frutta, e l’azienda fu interessata da un’ulteriore propulsione. Fu questa un’era particolarmente proficua, che provocò l’assunzione di altre 300 persone. Ma non ne beneficiò soltanto lo stabilimento veneziano perché la San Benedetto pensò bene di esportare i livelli tecnologici raggiunti realizzando impianti e stabilimenti in giro per il mondo, in regime di partnership e stretta simbiosi con le maggiori case produttrici di bevande alimentari. Nacquero così le sinergie con le marche delle nazioni citate più sopra, compresa quella con la Coca-Cola dell’americana Atlantic Beverage Limited. In virtù di ciò la San Benedetto è ora leader mondiale nella tecnica d’imbottigliamento in ambiente asettico. A Scorzè il Gruppo dispone di personale altamente qualificato: ricercatori, progettisti, disegnatori che operano per lo sviluppo tecnologico. Grazie a queste eccellenti risorse, nei primi anni del terzo millennio ci si accorse che le potenzialità di sviluppo erano enormi, ma che Scorzé non poteva permettere un’ulteriore espansione. Fu così che si cercò un nuovo sito che fosse logisticamente vicino alla sede centrale. La scelta cadde su Paese. Lo stabilimento di Paese Questa garrula “Rondine”, che desta con il suo stridìo tante emozioni, nel 2004 ha infatti costruito il suo nido anche a Paese dove la Acqua Minerale San Benedetto S.p.A. ha eretto un grande stabilimento di 175.000 mq., denominato appunto “Fonte della Rondine”. Il futuro è ancora tutto da scrivere, ma la sua mission sarebbe diventare un grande polo mondiale di produzione di acque minerali, dopo la constatazione dell’impossibilità di espandersi ulteriormente a Scorzè. Una scelta dettata anche dalla possibilità di raggiungere il vasto mercato europeo attraverso la rete ferroviaria. Il condizionale tuttavia è d’obbligo perché nel frattempo si sono verificati dei fatti congiunturali, che hanno indotto la proprietà e il management a dirottare la primaria destinazione verso altri obiettivi. In virtù di ciò lo stabilimento di Paese sembra destinato a diventare polo tecnologico per il Gruppo, ossia area di studio, ricerca, sviluppo e produzione di impiantistica sia per gli stabilimenti San Benedetto S.p.A. sia per i partners sparsi nelle varie aree geografiche mondiali che operano in perfetta autonomia anche se in stretta osmosi. Oggi, nello stabilimento di Paese già si producono i tappi per i vari formati di contenitori, ma tutto fa pensare che ci sarà una grande evoluzione tecnologica in tutta la componentistica che viene fornita alla catena di produzione. La ricerca avviene in collaborazione con il CIVEN – Coordinamento Interuniversitario Veneto per lo sviluppo delle Nanotecnologie. Tutto ciò è pensato in funzione di offrire le migliori garanzie al consumatore finale. La Acqua Minerale San Benedetto S.p.A. a Paese occupa un’area che altrimenti sarebbe stata destinata a zona di insediamento di aziende cosiddette “pericolose”. Almeno da questo punto di vista il pericolo è scongiurato e potrebbe diventare anzi un sito di innovazione e hi-tec a beneficio anche di altre categorie produttive. 121 L’Azienda è una realtà industriale d’assoluta avanguardia, guidata da un eccellente management, che dimostra di saper conciliare il business con il rispetto ecologico-ambientale e il benessere della gente, sapendo di trattare un bene primario come l’acqua. Non si spiegherebbe altrimenti l’eccezionale evoluzione. Il Gruppo San Benedetto parla una lingua universale, commercializzando in oltre 40 nazioni dei cinque continenti, ma è una galassia che si espande continuamente. Con questa consapevolezza pure Paese potrebbe cogliere degli ottimi vantaggi. (mandare bozza a: [email protected]) ARREDAMENTI MARIO MORETTI & FIGLI s.r.l. E’ questa una delle più rinomate aziende di Paese, che oltre ad incrementare l’economia del territorio ha fatto scuola ed è stata trampolino di lancio per tante persone che, dopo un periodo di esperienza al suo interno, si sono messe in proprio. Arredamenti Mario Moretti & Figli, che prende il nome dal suo fondatore, si trova a Paese, Via Postumia 151/D dagli anni Cinquanta, quando venne ad insediarsi provenendo da Treviso, ma le sue radici sono ancorate in Crocetta del Montello dove risiedevano i progenitori degli attuali titolari. La lavorazione del legno è parte genetica di questa famiglia di origine boscaiola, che si destreggiava con il legno già nell’Ottocento. Da allora è stato un crescendo evolutivo, tale che nel 1939, Mario Moretti (1913), un geniale ebanista, marito di Edera Dalla Torre (1916), pensò di fondare a Treviso un’azienda che esprimesse a livello industriale l’arte delle sue mani, dimostrando ben presto di staccarsi, per qualità e ricercatezza delle lavorazioni, dalla media delle aziende del settore con una distanza che nel tempo, anche dopo la scomparsa del fondatore, si dimostrò incolmabile. Quelli che escono dalla produzione sono prodotti di elevato pregio nel settore dell’arredamento su misura, classico o moderno che sia. I manufatti che escono dalla fabbrica sono destinati ad alberghi, ristoranti, bar, pizzerie, gelaterie, pasticcerie, discoteche, negozi ed anche interni navali e di abitazioni civili. La ditta produce inoltre celle frigorifere fisse e mobili. Lunghi anni di esperienza e tradizione le hanno procurato commesse da varie parti del mondo, ed ora alcuni prestigiosi locali di New York e Londra portano il suo marchio, sue composizioni si trovano anche a Mosca e Hong Kong, oltre che in Karzan, Cina, Giappone e America Latina. Sono soltanto alcuni esempi, ma che testimoniano del buon nome e dell’alto livello conseguito. Per farsene un quadro complessivo basta visitare il sito internet: www.arredamentimoretti.it. Arredamenti Mario Moretti & Figli, pur essendo una grande e prestigiosa industria - 7500 mq. di superficie - si caratterizza ancora per la qualità e l’attenzione artigianale in tutti i settori di lavorazione particolarmente curati ed apprezzati, frutto di un modo di operare che si è costantemente evoluto nel tempo anche grazie all’impiego delle nuove tecnologie. Per la sua versatilità e le maestranze particolarmente qualificate, fornisce prodotti “tutto incluso”, ossia l’arredamento dei locali a 360 gradi, dal legno al metallo, dal pavimento al soffitto, dall’impianto idraulico a quello elettrico, dalla decorazione all’intaglio, dalle 122 ceramiche ai marmi, dai metalli pregiati a quelli tradizionali, dai cristalli alle resine, in tutte le forme e dimensioni, compresi i complementi d’arredo, e si potrebbe continuare a lungo. La Arredamenti Moretti di Paese rappresenta quindi il top nel suo settore in cui si contraddistingue per la cura dei dettagli, ma tutto ciò non sarebbe possibile senza un ottimo management. Si tratta, infatti, di un’azienda a guida familiare, che si avvale di una trentina di tecnici artigiani, più giusto è definirli artisti. Oltre a questi, l’industria sviluppa anche un certo indotto, affidando lavoro di supporto ad una quindicina di addetti esterni, specializzati in vari mestieri. Titolare e direttore aziendale è Roberto Moretti, figlio del fondatore, che si avvale dell’apporto della moglie Flora Visentin e in particolare dei figli Stefano e Valentina, che sono responsabili rispettivamente dell’ufficio tecnico-progettazione e dei rapporti con la clientela. Due generazioni di una stessa famiglia nel segno della continuità, che in questa struttura è indice di solidità e affidabilità: una famiglia che ha sempre avuto grande apprezzamento per i collaboratori, considerati il suo massimo punto di forza. Grazie a questa consapevolezza l’azienda non ha mai conosciuto particolari periodi di conflittualità ed è già questo un grande valore aggiunto oltre che un’ottima garanzia. Tutto sommato si tratta di una realtà in ottima salute che guarda al futuro con la terza generazione dei Moretti, nipoti di Mario, industriali dell’arredamento di qualità. Azienda leader, il cui marchio è diventato una griffe nel suo genere, che onora Paese ed è simbolo del miglior Made in Italy. Ma come dimenticare il geniale nonno che sapeva lavorare di fino, divertendosi tra incastri ed intagli, o quando, a Torino, costruiva le carrozzerie per le radio Magnadine? Possedeva una mente davvero vulcanica e creativa, e pure i suoi discendenti non sono da meno. ([email protected]) BASSO Cav. ANGELO SpA COSTRUZIONI GENERALI E’ questa una delle più importanti realtà industriali del territorio comunale di Paese, operante nel campo dell’edilizia, in particolare nella produzione di strutture in calcestruzzo armato di tipo precompresso per grandi edifici industriali, artigianali, commerciali e direzionali. La Costruzioni Generali Basso Cav. Angelo SpA opera dal 1930 e può vantare quindi una lunga appassionante storia. Tutto iniziò con una cazzuola in mano, che Angelo Basso, dei “Mori” di Postioma, usava per piccoli lavori edili in tempi in cui di soldi ne giravano davvero pochi. Lentamente, con la sua maestria e propensione manageriale, fece crescere l’impresa dando lavoro a tanta gente locale. Angelo era nato in Postioma nel 1909 da Pellegrino ed Ester Pontello, una coppia inserita in una grande famiglia patriarcale, contadina, proveniente da Padernello e prima ancora da Istrana, in cui coesistevano altre coppie con i loro figli e insieme si aiutavano a vivere. Pellegrino era emigrato a New York a fine secolo XIX. Ritornò nel 1900 con un mestiere in mano, quello di muratore, che gli servì per costruire la nuova casa in Via Castagnera a Postioma e che riuscì in seguito a trasmetterlo al figlio Angelo. 123 Il capostipite dei “Mori” era Francesco, nato a Istrana nel 1823. Il 19 febbraio 1844 aveva sposato in Padernello Pellegrina Perretti (1824). Da questi coniugi nacquero quattro figli tra i quali Pietro (1850-1944), che si congiunse alla postiomese Margherita Biondo, e furono i genitori di Pellegrino (1879-1975), padre di Angelo, che nel 1930 fondò la sua impresa ed oggi portata avanti dai figli Mario e Paola. A darle una notevole notorietà fu la costruzione - negli anni Cinquanta - della nuova imponente chiesa parrocchiale di Postioma, lavori affidati dall’allora parroco don Giovanni Capoia. Fu probabilmente il primo vero grande impegno che la ditta si assunse, vantando già una ventennale esperienza. Da allora fu un crescendo continuo, un’evoluzione inarrestabile. L’impresa diede così inizio a quello che successivamente divenne un grande gruppo industriale, attivo nel settore delle costruzioni e in quello immobiliare. Con il passare degli anni l’azienda scoprì nuove tecniche costruttive e, grazie ad una felice intuizione, diventò presto leader nazionale nella produzione di grandi strutture in calcestruzzo armato. I vari componenti vengono prodotti nello stabilimento di Postioma, su un’area di oltre 100.000 mq.; gli edifici di produzione e stoccaggio occupano una superficie di circa 25.000 mq. È una produzione che non conosce crisi, grazie anche alla ricerca di nuovi moduli progettati nei propri studi tecnici da specialisti che operano in stretta sinergia con professionisti esterni. In virtù di ciò la Basso Costruzioni è diventata un’azienda ricercata nella fornitura e montaggio di strutture prefabbricate, nella realizzazione di opere di completamento (manti di copertura, serramenti); nella realizzazione di opere edili (fondazioni, pavimentazioni, opere in elevazione); ma anche nella realizzazione di complessi di urbanizzazione primaria e costruzione di grandi edifici “chiavi in mano”. La Basso Costruzioni Generali è quindi una grande società di costruzioni con produzione interna dei manufatti che vengono impiegati nella costruzione delle opere affidatele. In sostanza escono dal proprio stabilimento elementi di grande flessibilità e versatilità, quali pilastri, tegoli a “TT”, pannelli di tamponamento, travi, solai e elementi di copertura “Linea Fly”. Tutti subiscono rigorosamente il test di prova e qualità mediante sofisticati strumenti d’avanguardia tecnologica, offrendo quindi una garanzia totale sulle fabbricazioni. La lunga esperienza e qualificazione raggiunte consentono di soddisfare qualsiasi esigenza, oltreché ricercare, individuare e proporre soluzioni progettuali personalizzate secondo le esigenze della committenza. L’appartenenza ad un gruppo imprenditoriale le permette di essere presente con proprie sedi operative nelle aree del Nord e Centro Italia dove c’è maggiore richiesta. Ciò vale pure per le unità tecnico-commerciali che presidiano la Toscana, l’Emilia Romagna, la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia. Grazie ad una rete commerciale così estesa, la Costruzioni Generali Basso Cav. Angelo SpA è conosciuta ed apprezzata per l’elevata garanzia di qualità, che si evidenzia concretamente nell’inalterabilità, funzionalità, sicurezza e finitura delle realizzazioni. In virtù di ciò l’Azienda ha ottenuto la certificazione da parte dell’I.C.M.Q. con il n. 99235 ISO 9001:2000, ed è accreditata “Eurosoa” per la partecipazione alle gare d’appalto pubbliche europee. 124 Straordinaria l’evoluzione di questa rinomata impresa di costruzioni edili. Innumerevoli sono le grandi opere realizzate. Solo per citarne alcune si riportano: Centro Meccanografico delle Poste Italiane di Peschiera Borromeo (MI); il Centro Direzionale Regionale “Metropolis” di Mestre (Gruppo Ferrovie dello Stato); La Rotonda di Mestre; il Parco Tecnologico Archimede di Nervesa della Battaglia; il Centro Polifunzionale Tecnouno di Prato; i Centri Commerciali “Palladio” di Vicenza, “Le Brentelle” di Sarmeola di Rubano (PD); “Acquazzurra” di S. Giorgio di Nogaro (UD); “Le Rondini” di Adria (RO), riqualificando un fabbricato preesistente; “Tiziano” di S. Biagio di Callalta (TV); gli stabilimenti industriali della Barilla, deposito di Carmignano (FI), della Bauli a Castel D’Azzano (VR), del Conad Romagna Marche ad Annone V.to (VE), dell’Aspiag Service a Mestrino (PD), della Doc Mobili (Gruppo Doimo) a Follina (TV), della Benetton a Castrette di Villorba (TV), della Rolling Center a Falzé di Trevignano (TV). E poi Bieffe Medital a Bomporto (MO), Smurfit a Massalombarda (BO); Luise SpA a Saonara (PD), Texa a Monastier (TV), IRIS Ceramiche a Sassuolo, San Benedetto a Scorzé, tanto per citarne alcune, ma l’elenco è particolarmente lungo. Oltre alla Basso Cav. Angelo Costruzioni Generali, fanno parte del gruppo anche Lefim spa, promotrice diretta di iniziative immobiliari in ambito industriale, logistico, direzionale, retail e nella riqualificazione di compendi immobiliari dismessi, quindi So.ge.i.com, società che garantisce al gruppo, e al suo core business, la disponibilità costante e puntuale di un supporto tecnico qualificato, offrendo servizi amministrativo-finanziari di property, di project, engineering, marketing e facility management ed inoltre la Basso Hotels & Resorts S.p.A., che si occupa di gestioni alberghiere “first class” su tutto il panorama nazionale. Si rivolge in particolare alla clientela business e leisure. La prima realizzazione è stata l’Hotel di Treviso a quattro stelle, ubicato all’uscita della tangenziale alle porte di Paese, e sono già in programma altre nuove aperture. La Basso Costruzioni Generali ha sede in Postioma di Paese (TV), Via Pastore 12/b. Info: [email protected] – www.gruppobasso.it. BIASUZZI GROUP Questa realtà industriale ha fortemente caratterizzato con la sua presenza il territorio di Paese fin dagli anni Cinquanta, anche se l’inizio dell’attività escavativa risale agli albori del secolo scorso. Il fondatore si chiamava Sante Biasuzzi, figlio di Giuseppe, che si guadagnava da vivere con il trasporto di ghiaia a mezzo di pesanti carri trainati da cavalli. Naturalmente, a quei tempi, si scavava tutto a mano non esistendo ancora le macchine per dragare i terreni. Allora la manodopera costava davvero poco ed era già una fortuna trovare un lavoro che non fosse quello di contadino. Le cave di inerti nei primi decenni del XX secolo erano particolarmente rispettose del territorio. Si trattava innanzitutto di togliere lo strato di terreno fertile, che si accantonava, poi si procedeva con lo scavo del materiale ghiaioso e sabbioso per uno strato di circa due metri, infine si ricollocava la terra precedentemente accantonata, così quel sito era restituito alla natura, seppur abbassato. Di questi siti se ne possono scorgere tuttora in Via Levade, a Paese, a Morgano, a Quinto e in altri luoghi. 125 Sarà l’ultimo dopoguerra ad imprimere un radicale impulso anche in questo settore con l’uso indiscriminato del territorio, data la mancanza di norme che regolamentavano la materia. Del resto lo sviluppo urbano e industriale precedentemente al Boom Economico era stato poco significativo e trovò impreparato il legislatore. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel periodo della ricostruzione, ci fu quindi un notevole incremento escavativo, accelerato da moderne macchine draganti, tanto da far emergere le prime falde acquifere. La Biasuzzi, che nel frattempo era passata nelle mani di Giuseppe, figlio di Sante, fu fortemente agevolata da questa condizione. Si dragava il Sile, a Quinto, con barconi appositamente attrezzati di gru e pompe aspiranti. Per il trasporto ci si serviva di autocarri “Lodge” lasciati dagli Alleati. Si aprironoo poi le prime cave a falda a cielo aperto, come quella denominata ora “Laghetto di Monigo”. Il 4 novembre 1959, alla presenza del sindaco di Paese Vincenzo-“Vittorio” Zanatta e con la benedizione del parroco mons. Mario Ceccato, si apriva il nuovo cantiere di Treforni. Ci fu una corsa da parte dei contadini a vendere la terra, dato che era ben retribuita e qualcuno chiedeva contemporaneamente di essere assunto come operaio, qualche altro colse l’occasione per fare il “cariòto” con mezzi propri. Negli anni Sessanta, come accennato, il Miracolo Economico vedeva crescere le case come funghi e conseguentemente la richiesta di materiale inerte andò alle stelle. Si scavava ininterrottamente di giorno e di notte. Aprì quindi anche la cava di Padernello su terreno ceduto dai Dametto. Nel frattempo tra Castagnole e Porcellengo si scavava su altri siti, ad uso del nuovo aeroporto di Tessera, ma non si trattava della Biasuzzi. Della Biasuzzi invece era l’asfalto che servì a pavimentare le piste di decollo e atterraggio, perché pure la produzione di conglomerati bituminosi conobbe un notevole impulso fin dal 1958. Gli anni Sessanta non registrarono soltanto l’irrefrenabile sviluppo urbanistico, inteso come abitazioni, ma anche di infrastrutture che si resero indispensabili dopo la corsa a farsi la macchina. Nel 1965, all’estrazione di aggregati lapidei, la Biasuzzi aggiunse la produzione di conglomerati cementizi. Nacque così la Veneta Calcestruzzi, ora Biasuzzi Concrete S.p.A. con le sue undici unità produttive sparse in tutto il Veneto, e in Friuli. Da allora non si contano le grandi opere costruite con le sue forniture. Fra le ultime, l’Ospedale e il Passante di Mestre, l’Università e la Cittadella Treviso 2 di Fondazione Cassamarca e l’Immobiliare La Madonnina pure di Treviso, l’Ikea di Padova e il Piruea di Conegliano (ex area Zanussi) portano la sua impronta. Appartengono al Gruppo Biasuzzi anche la Latercementi s.p.a. di Resana e la Bipav s.r.l. – ultima nata – società altamente specializzata nel campo delle pavimentazioni industriali. Una nota a parte merita la Geo Nova, una società di progettazione, realizzazione e gestione di impianti avanzati per il trattamento ecologico dei rifiuti. E’ la risposta ad uno sviluppo sostenibile che va, anche se non senza difficoltà, lentamente affermandosi in ogni settore. In conclusione il Gruppo Biasuzzi ha alle spalle oltre un secolo di storia. Con le sue dodici centrali distribuite nel Nord Est, circa duecento dipendenti e un parco di oltre un centinaio di automezzi da trasporto, oltre a una nave mercantile da 12.000 mc. e 22 persone di equipaggio, rappresenta per le imprese edili la migliore soluzione per le loro esigenze costruttive. Tutte le lavorazioni si svolgono in modo altamente tecnologicizzato, con controllo costante della qualità e nel rispetto dei parametri ambientali che ne fanno una realtà pluricertificata. La sede centrale del Gruppo si trova in territorio di Ponzano Veneto, Via Morganella Ovest (www.gruppobiasuzzi.com). 126 Il Gruppo è anche sinonimo di cavalli purosangue e di villaggi turistici. Quella per i cavalli è sempre stata una passione del comm. Giuseppe Biasuzzi, classe 1924, che l’ha trasmesso poi ai figli Fabio e Maurizio. L’Azienda Agricola familiare di Quarto d’Altino, ampia ben 65 ettari, ospita un allevamento - con monta - di purosangue Tossout, con le sue 120 fattrici, 5 stalloni e 90 puledri ogni anno. E’ certamente una delle più blasonate e conosciute al mondo. Qui sono nati campioni quali Barbablu, Thimoty T, Dosson, Carosio, Pecos Bi, Equinox Bi e Ruth Bi, la cavalla italiana più veloce, nata nel 1991, che hanno fatto sognare gli appassionati degli sport equestri. Un altro allevamento – 76 ettari e un centinaio di cavalli - si trova a Montalbano (Udine), mentre Mirano (Venezia) ospita la Scuderia Gina Biasuzzi, che si estende su una superficie di 25 ettari, con una sessantina di equini in allenamento. Ad occuparsene in prima persona è Maurizio, un driver che gareggia tuttora nei migliori Grand Prix. Il fratello Fabio si occupa invece della gestione degli ippodromi di Montebello (Trieste) e di S. Artemio (Treviso). La famiglia Biasuzzi è pure sinonimo di sviluppo turistico. Noto il Villaggio San Francesco di Caorle, ampio ca. 320.000 mq., ma il più prestigioso e ricercato è sicuramente il Bi-Village di Dragonja (Croazia), di fronte alle Isole Brijuni (Istria), esteso su una superficie di 50 ettari, al quale si affianca il Village Kazela di Medulin, vasto ben 110 ettari, per circa la metà adibito a camp naturista. COSTRUZIONI BONAZZA di Bonazza Antonio & C. s.n.c. L’azienda, che ha sede in Paese (Treviso), Via Vittorio Veneto 1, si distingue per il recupero e restauro di immobili classici, storici e architettonici, senza trascurare le moderne costruzioni civili e industriali. È divenuta nell’arco degli oltre 65 anni di attività, sinonimo di affidabilità e ricercatezza qualitativa. Fondata dal comm. Giacomo Bonazza, un uomo tutto d’un pezzo, originario di Zero Branco, che era simbolo ed espressione di temperie e solidità, ha mantenuto negli anni le peculiarità impresse dal fondatore, sviluppandosi e affermandosi ulteriormente sotto la guida del figlio Antonio, che le ha dato ulteriore visibilità e rinomanza tali da annoverarla tra le migliori imprese dell’italico Nord Est. A Paese, il suo miglior biglietto di presentazione rimane il recente restauro della chiesa arcipretale, commissionato dal parroco don Livio Buso, un lavoro imponente realizzato con i migliori ritrovati della tecnica, ma soprattutto con cura e ricercatezza che sono le sue migliori credenziali. Vanta inoltre una gamma molto vasta di raffinati recuperi di ville e palazzi, riportati all’antico splendore in collaborazione con la Soprintendenza ai BB.AA. di Venezia, con competenza ed affidabilità, riconosciute come caratteristica e forza trainante della Bonazza Costruzioni stessa. Pur rimanendo sua peculiarità la qualità del restauro, la ditta si distingue anche nelle moderne costruzioni, e non solo di abitazioni civili, ma particolarmente nei complessi commerciali e industriali oltre che nei fabbricati pubblici, a tal punto da essere accreditata nelle categorie SOA e da meritarsi la certificazione Uni En Iso 9001:2000. Come si diceva, colonna portante dell’Impresa è il sig. Antonio Bonazza, che si avvale di un ottimo management e d’oltre una quarantina di maestranze 127 altamente qualificate, affezionate all’azienda a tal punto da avvicendarsi di padre in figlio, a testimonianza di una conduzione di tipo familiare, prova che l’azienda ha un cuore pulsante, come miglior garanzia di affidabilità oltre che di senso di appartenenza, valori che si traducono in esecuzioni di eccellente qualità e prestigio. In fatto di recuperi architettonici in antichi edifici, basti ricordare il tratto delle mura cinquecentesche di Treviso, con i suoi leoni alati riportati al fascino primordiale, oppure la zona del sottoportico dei Buranelli, simbolo della Treviso più classicheggiante, e ancora il palazzo dei Da Camino a Portobuffolè, l’allestimento dei ponteggi con progettazione e studio per il recupero della Loggia dei Cavalieri, l’edificio sacro del XVI secolo in località “Borghetto” a S. Martino di Lupari, la sede municipale di Maserada, il palazzetto gotico in Piazza dei Signori a Treviso, la barchessa di Villa Cornaro ad Este, il risanamento della copertura della chiesa di S. Liberale e quello delle coperture e del fusto del campanile del Duomo e il restauro conservativo delle facciate e risanamento della copertura di Palazzo Marini, sempre in Treviso. A Paese, invece, oltre alla chiesa parrocchiale, è stata recuperata l’antica casa dei Polin-“Fredi”, dietro Casa Quaglia. Tra i lavori cosiddetti moderni e prestigiosi invece può essere additata la concessionaria Audi a Conegliano, la nuova sede del Consorzio Agrario di Treviso e Belluno a Castagnole, il Consorzio Agrario di Conegliano, l’ Ospice “Casa dei Gelsi” per assistenza ai malati terminali promosso dall’Advar di Treviso. Sono solo alcuni esempi tra i più delicati e importanti, che qualificano e distinguono l’impresa di Antonio Bonazza, ditta che dal 1991 porta il suo nome, ma che già si avvale dell’apporto dei figli, ossia della terza generazione di imprenditori edili Bonazza e che si propone come azienda solida ed affidabile per la grande esperienza acquisita in 65 anni di attività. Basta scorrere il sito internet (www.bonazzacostruzioni.it) per farsene sufficientemente un’idea, o visitare una delle tante opere realizzate, che stanno a perenne testimonianza del suo buon nome. COSTRUZIONI EDILI GIROTTO L’Impresa, che si avvicina ormai al mezzo secolo di attività, si caratterizza per il restauro di edifici storici di particolare pregio e per la costruzione di fabbricati residenziali e produttivi anche di grandi dimensioni, distinguendosi per la particolare cura ed elevata qualità estetica e architettonica. È stata fondata nel lontano 1960 da Giuseppe Girotto (1939), dei “Buzioi” di Porcellengo, una famiglia con radici rurali profonde, che ha saputo trasformarsi ed evolversi in modo tale da annoverare tra i suoi membri grossi imprenditori edili che si sono fatti onore in Italia e all’Estero. A soli dodici anni Giuseppe iniziò a lavorare come apprendista al seguito di un noto muratore di Porcellengo, frequentando contemporaneamente il triennio di disegnatore tecnico presso la scuola professionale di Paese, per passare poi a quindici anni a quella serale “San Francesco” di Treviso. Pur essendo una mente promettente non poté tuttavia continuare gli studi per esigenze familiari. Gli studi in ogni modo lo rinfrancarono e già a sedici anni ebbe modo di dimostrare la sua valentia erigendo il primo edificio. Si trattava della nuova casa costruita al grezzo con poche modeste attrezzature per conto di una famiglia di Postioma. 128 L’anno seguente fu assunto nell’Impresa Basso cav. Angelo di Postioma, la stessa che eresse la nuova chiesa parrocchiale commissionata dal parroco don Giovanni Capoia. Gli anni Cinquanta tuttavia, pur essendo quelli della lenta ricostruzione dai disastri lasciati dalla guerra, non lasciavano intravvedere un grande avvenire per un giovane pieno di risorse vitali che volesse sistemarsi. Giuseppe perciò, nel 1957, sulle orme del fratello Gino, prese il treno per la Svizzera per fare il muratore nel Canton Berna, a Swingen, rimanendovi fino al 1960, quando decise di ritornare in patria per mettersi in proprio. Il 1960 fu quindi l’anno magico che vide nascere e svilupparsi la Costruzioni Edili Girotto. Inizialmente si trattò di lavorare sodo senza tener conto delle ore giornaliere, ma i sacrifici furono gratificati da successo. Avviata l’attività, nel 1964 Giuseppe concretizzò il progetto di formarsi una famiglia unendosi alla compaesana Giuliana Urio. Lo stesso giorno convolò a nozze pure il fratello Gino, che diventò il suo braccio destro nella conduzione dell’impresa, con i fratelli Tarcisio, Bruno e Mario. Gino svolse sempre con tanto impegno e passione il suo lavoro come fosse impegnato in prima persona nella responsabilità della conduzione dell’azienda, finchè non venne stroncato da una grave patologia nell’anno 2006. Fu un evento assai traumatico per Giuseppe la scomparsa del congiunto con il quale aveva condiviso tanto sudore e affrontato innumerevoli battaglie, un dolore alleviato dai figli Roberto, Michele e Paolo, surrogati dal padre nell’Impresa ed ora ognuno con un proprio specifico ruolo. Un altro punto fermo è il rapporto di collaborazione con Ferruccio, altro fratello di Giuseppe, architetto titolare dell’omonimo studio tecnico in Postioma con il quale si è formata una stretta sinergia. Grazie a queste preziose risorse, alla lunga esperienza e ad una quindicina di maestranze, l’Impresa Costruzioni Edili Girotto di Girotto Giuseppe & C. s.n.c., che ha sede in Postioma di Paese (Treviso), in Via Europa Unita 3/b, può esibire ora un curriculum assai lusinghiero. Già nel 1964 costruiva a Martellago (Venezia) un grosso agglomerato di 52 appartamenti, un blocco di nove e un altro di undici, quindi la canonica di Sant’Antonio in Mogliano. I mezzi erano ancora piuttosto modesti, basti pensare che il primo escavatore fu ricavato trasformando un trattore che il padre di Giuseppe, Ottavio, usava per lavorare nei campi. Nel tempo diventarono sempre più evoluti e l’impresa si accaparrò sempre le migliori tecnologie. Impossibile enumerare tutte le opere erette in quasi mezzo secolo. Vale tuttavia la pena di menzionare il condominio commissionato dal parroco don Giovanni Capoia per conto della Parrocchia di Postioma in Via Fratelli Bianchin, quindi la Casa del Giovane, la ristrutturazione di Villa Labia, quella del campanile e la pavimentazione del piazzale della nuova chiesa, tanto per rimanere nell’ambito parrocchiale. A ben guardare, si può tuttavia constatare che in Postioma l’Azienda Girotto ha cambiato la fisionomia del centro, erigendo i più importanti edifici. Ma la Girotto è sinonimo di successo anche nel campo delle costruzioni pubbliche: la caserma dei carabinieri, l’asilo nido, la scuola elementare di Treforni, il palazzetto dello sport a Padernello, tanto per restare nel comune di Paese, sono opere sue. A ciò va aggiunto l’asilo nido di Ponzano Veneto. Altri edifici di pregio stanno nell’album dei ricordi, tra questi spicca Villa Brilli, ora Busatto, a Treviso. 129 Nonostante il notevole impegno nell’azienda Giuseppe ha saputo conservare l’amore per il suo paese, offrendo il suo prezioso contributo quale membro di commissioni amministrative comunali e del Consiglio Parrocchiale di Postioma. La sua Impresa ha buona visibilità non solo nel settore edilizio, ma si distingue anche in quello sportivo, essendo da sempre sponsor generoso dell’U.S. Postioma Calcio e del locale Gruppo Ciclistico. Girotto ha fatto grande la sua azienda, ma egli stesso sa che ciò non sarebbe stato possibile senza il prezioso aiuto di tante maestranze che hanno lavorato nella sua impresa come si opera in un’affiatata famiglia, in primis i fratelli Gino e Ferruccio. Ed è ancora ciò che caratterizza e galvanizza questa straordinaria realtà produttiva, che intravvede un brillante futuro nella nuova generazione dei Girotto (“Buzioi”), figli di Giuseppe e di Giuliana Urio. GENERAL FILTER ITALIA S.p.A. “Tecnologia per la pulizia dell’aria” (Tecnology for clean air), uno slogan che è il programma aziendale. Si tratta, infatti, di un’industria di filtri per la depurazione dell’aria, conosciuta ben oltre i confini nazionali, sorta in epoca in cui il bisogno di depurare l’aria non era ancora molto sentito, mentre oggi è argomento di vitale importanza. Titolari sono i fratelli Giovanni e Roberta Polin. Tutto ebbe inizio quando il loro padre, Odone Giovanni Maria (1926), dodicesimo dei tredici figli di Mosè Polin e Pierina Deoni, sulle orme di alcuni fratelli pensò di emigrare in Canada nel 1955, l’anno dopo il suo matrimonio con Silvana Zanlorenzi, approdando a Niagara Falls. Poiché “la necessità aguzza l’ingegno” la fantasia certo non gli mancava. Si era spacciato per cuoco pur di emigrare, ma, per sua stessa ammissione, non sapeva fare nemmeno un caffé. Fu assunto invece in un’industria meccanica mentre nel tempo libero faceva il falegname, mestiere appreso dal fratello Pio a Paese. Due anni dopo fu raggiunto in Canada dalla moglie e nacquero lì due dei quattro figli. Ritornarono in patria nel 1963. Odone con l’idea fissa di dedicarsi al filtraggio dell’aria, un’attività che in America stava prendendo piede ma ancora del tutto sconosciuta in Italia. Fu da questa intuizione che nel 1965 nacque la ditta individuale per la produzione di celle filtranti che trovavano applicazione nei primordiali impianti di condizionamento. Nel 1982, con l’ingresso dei figli Rosa Giovanna, Giovanni, Maria e Roberta, l’azienda cambiò ragione sociale in General Filter, e nel 1986, conquistati i mercati europei, trovò l’attuale assetto industriale tramutandosi in “General Filter Italia S.p.A.”. Giunto il momento della quiescenza e ritiratesi Rosa Giovanna e Maria, il fondatore lasciava quindi la conduzione della fabbrica nelle buone mani di Giovanni (1958) e Roberta (1968). La fabbrica, che ha domicilio legale e amministrativo a Paese, in Via San Luca 51, occupa complessivamente una settantina di maestranze dislocate in vari luoghi. La produzione si trova a Treviso, i magazzini a Quinto di Treviso, la sede commerciale a Barbaiana di Lainate (Milano). Le merci si spostano quasi esclusivamente su gomma, dato che si tratta di materiali ingombranti ma poco pesanti. 130 Molta importanza viene attribuita dai titolari al modo di operare. Nelle varie sedi, infatti, si lavora in un clima di particolare serenità, giacché molta importanza viene attribuita ai rapporti umani, nella consapevolezza che la vera ricchezza è il personale dipendente. La crescente industrializzazione, spesso non sostenibile dal punto di vista salutistico, ha largamente favorito la richiesta di filtri per l’aria, e di conseguenza la produzione, imboccando quindi anche la strada dei mercati esteri. Nel 1992 fu aperta a Madrid la consociata “General Filter Iberica s.a.”, per servire in modo puntuale e capillare - inizialmente come produzione e poi come sede commerciale - il mercato spagnolo e quello portoghese. La società per azioni registrò così una vistosa crescita esponenziale, tale da conquistare non solo mercati europei, ma anche mediorientali e asiatici, aprendo nuove sedi commerciali in Francia, Svezia, Russia, Turchia, stringendo accordi di partnership a Kuala Lumpur (Malaysia), aggregando agenti commerciali un po’ ovunque, compreso il Nord Africa (Egitto, Marocco), siglando infine delle joint venture in Argentina e Brasile. Ma la struttura portante del settore vendite è la rete di agenti nazionali dislocati nelle zone di competenza e integrati da venditori interni all’azienda che operano alle dirette dipendenze del titolare, Giovanni Polin. Dalla General Filter Italia escono filtri di vario genere - basta consultare il sito internet dell’azienda (www.generalfilter.com) per farsene un’idea – finalizzati esclusivamente alla depurazione dell’aria. In particolare trovano applicazione in impianti di aspirazione, ventilazione, riscaldamento, condizionamento e climatizzazione, di tipo domestico o industriale e nei servizi. A beneficiarne sono sale ospedaliere, comprese quelle operatorie, aziende farmaceutiche, industrie alimentari, centri commerciali e impianti industriali di ogni tipo e forma, vale a dire che i filtri possono essere costruiti pure su misura. L’impiego dei materiali varia secondo la destinazione finale e spazia dal poliestere alla fibra di vetro, dalla microfibra plissettata al carbone attivo, dalla maglia metallica alla calza d’alluminio, tanto per fare alcuni esempi. Gli articoli prodotti abbracciano tutta la vasta gamma di filtrazione. Si contrappongono alle polveri più grossolane (pm 10), ma anche alle micro particelle (pm 01), con un grado di efficienza pari al 99,99%. Sono il frutto della ricerca, dell’esperienza e dello sviluppo tecnologico impresso dall’azienda in oltre quarant’anni di attività. In particolare il settore R&D Ricerca e Sviluppo opera ininterrottamente per mettere a punto sempre nuove qualitative soluzioni. Lo impone un mercato sempre più specializzato ed esigente. C’è stato un periodo di collaborazione anche con alcune università europee – svedese e portoghese -per la creazione di prodotti sempre più efficienti ed ecologici, dato che si tratta spesso di smaltire rifiuti considerati speciali. La fabbrica, grazie a questo suo impegno e assunzione di responsabilità, si è meritata la certificazione per la qualità dei filtri secondo la vigente normativa UNI EN ISO 9001:2000. Un riconoscimento che assume un nobile valore sociale, non meno utile di quello economico A distanza di tanto tempo dalla sua costituzione, la General Filter Italia, società per azioni, è ancora a conduzione strettamente familiare. Presidente e amministratore è Giovanni Polin, coadiuvato dalla sorella Roberta che è vicepresidente, mentre la moglie di Giovanni, Luigina Cocchetto, si occupa prevalentemente dell’ufficio acquisti, alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento soprattutto per quanto riguarda i prodotti strategici. Nell’azienda è entrata e opera ora anche la terza generazione dei Polin costruttori di filtri per l’aria. Sono le figlie di Giovanni: Alessandra e Jessica, due rampolli 131 poco più che ventenni, ma già delle ottime managers. La prima tiene l’ufficio comunicazione e marketing, la seconda l’ufficio programmazione alla produzione, ma, trattandosi di persone versatili, all’occorrenza avviene lo scambio di competenze. L’azienda trae notevole vantaggio dal management familiare, anche se ciò comporta la difficoltà di staccare la mente dal lavoro e trovare spazi per se stessi. Il vantaggio c’è, ed è lo scambio di esperienze, soprattutto per le più giovani. In fondo sono loro, Alessandra e Jessica, il futuro del Gruppo. Ancora due Polin quindi guideranno questa importante realtà imprenditoriale, che si trova tuttora in piena evoluzione. Per informazioni: [email protected] LUNAZZI TINTORIA INDUSTRIALE S.p.A. L’Azienda, guidata da Ado Montana, ha un trascorso davvero interessante. A Paese è presente dal 1960 quando venne ad insediarsi in Via Risorgimento provenendo da Montebelluna. La Tintoria Lunazzi vanta tuttavia una ben più lunga tradizione nel settore, tale da intrecciarsi con la Storia Contemporanea. Fondata a Spalato, in Dalmazia, dal nonno Adalgerico Lunazzi, conobbe subito un fiorente progresso. Sembra tuttavia che ancor nell’Ottocento i Lunazzi svolgessero questa professione, in modo del tutto empirico e artigianale, nella loro terra di origine: il Friuli. Fu il periodo della Rivoluzione Industriale che traeva origine dall’Illuminismo ad ispirare la famiglia, dato che la lavorazione più diffusa era la tessile, che inizialmente distribuiva il lavoro nelle famiglie. I Lunazzi ebbero l’intuito di sviluppare a loro favore l’aspetto della tintura dei tessuti. Inizialmente si trattava di tingere abiti in grandi pentoloni, con coloranti offerti dalla natura. Ad imprimerle l’impulso industriale fu poi Arturo Lunazzi, figlio di Adalgerico, avviando a Spalato anche il primo lavaggio a secco, con tecnologia sviluppata in proprio. L’azienda, a quei tempi già molto rinomata, portava il marchio “Premiata tintoria a vapore Lunazzi”, con “impianto speciale per la pulitura dei vestiti con trielina”, ossia “a secco”. Proprio in quegli anni, 1928, nasce da Maria, sorella di Arturo, coniugata con Giovanni Montana, giovane calciatore titolare della squadra Hajduk di Spalato, l’attuale Ado, che resterà orfano del papà alla tenera età di due anni. Nel 1944, in piena guerra mondiale, la famiglia lasciò la Dalmazia per rifugiarsi in Italia, sistemandosi in Montebelluna con la speranza di farvi presto ritorno. Le vicende però si evolsero in modo inaspettatamente negativo e nel 1946 Ado, con l’aiuto dello zio Arturo, fratello della mamma, ricominciò dal basso l’attività, avviando una piccola tintoria “Lunazzi” in Montebelluna. Quella di far ritingere il vestiario era allora una prassi consolidata dalla diffusa indigenza. Lo zio si ammalò quasi subito e Ado si trovò assieme alla mamma a condurre l’attività fino al 1960, anno in cui si trasferì a Paese. La lunga esperienza familiare e la passione per l’innovazione diedero presto buoni frutti anche nella nuova terra, e il buon nome della Lunazzi continuò ad espandersi e a conquistare nuovi mercati: oltre che in provincia di Treviso, Padova e Belluno, anche in quella di Venezia e nella stessa città lagunare. Non si 132 badava ai mezzi di trasporto pur di raggiungere la clientela e ci si doveva spostare spesso anche in barca. Un importante impulso evolutivo Ado Montana lo impresse tingendo matasse di lana grezza. Ciò gli permise, nel 1960, di conoscere Luciano Benetton con il quale s’instaurò una stretta sinergia, e fu anzi lo stesso titolare della Lunazzi a trovare, con perspicacia e professionalità, alcune soluzioni a beneficio del noto Gruppo veneto, arrivando a tingere i maglioni già confezionati per adeguarli alle cromie modaliole. Nacque così il cosiddetto “tinto in capo”: un’autentica rivoluzione tecnologica che mise solide basi per il futuro della Lunazzi, facendola assurgere a piccola industria. Nel 1973, dato lo sviluppo raggiunto, ci si dovette perciò spostare in una nuova sede di Paese, in Via Curtatone 9, dove la Lunazzi tuttora si trova. Nuove ricerche, nel 1977, portarono l’Azienda a specializzarsi per prima nella tintura della lana con il trattamento “lavabile in lavatrice”, e successivamente nella tintura del “casual in capo”, nella calzetteria in fibra acrilica e non ultima la microfibra su capi di intimo. Attualmente, per ragioni di opportunità commerciale, l’Azienda è suddivisa in due società operanti in stretta osmosi: la Tintoria Lunazzi s.r.l. e la Lavanderia Lunazzi S.p.A., che occupano complessivamente una cinquantina di maestranze altamente qualificate, generando anche un cospicuo indotto. Pur essendo un piccolo gruppo industriale, le lavorazioni delle Lunazzi hanno mantenuto la caratteristica artigianale ed è ciò che rende l’Azienda affidabile e ricercata nel particolare settore del tessile e abbigliamento. Ciò che la contraddistingue è la continua ricerca, talvolta applicata in sinergia con i più noti stilisti. Collaborazioni che si traducono in lavorazioni personalizzate e di pregio. Le due società Lunazzi, per l’alto livello raggiunto, hanno conseguito la certificazione Oeko tex Standard 100. Si tratta essenzialmente della garanzia che i capi in esse trattati non rilasciano sostanze nocive per la salute. Per Ado Montana ciò costituisce il riconoscimento di una vita d’impegno, di un’eccellenza conquistata sul campo, affrontando le sfide quotidiane imposte da mercati sempre più agguerriti e globalizzati, ma sempre con quella sensibilità ecologicaambientale che gli fa onore. A queste la Lunazzi non si è mai sottratta, facendosi anzi trovare in posizione d’avanguardia, a maggior garanzia dell’usufruitore finale. La Lunazzi è una realtà che fa scuola e non teme la concorrenza nel campo della tintura di maglieria di lana, cotone e fibre sintetiche, dei capi casual, ma anche della calzetteria e dell’intimo, grazie anche all’alto livello tecnologico progettato nei propri studi tecnici. Un’industria con solide basi quindi, dinamica e affidabile, protagonista nel prestigioso settore dell’abbellimento cromatico dei capi di vestiario, anche di alta moda, tuttora saldamente in mano al suo fondatore il quale, dopo sessant’anni di onorato lavoro, l’ha proiettata verso un futuro sempre più brillante. Con il desiderio, che è anche un progetto, di consegnare alla storia un’opera museale: una vecchia tintoria, com’era allestita un tempo. (Info: [email protected] – [email protected] - www.lunazzi.it) 133 MASTELLA s.r.l. Fondata nel 1984 da Antonio Mastella, tutt’ora suo amministratore, l’Azienda di Castagnole opera con successo nei principali mercati nazionali ed esteri, dove è riuscita ad imporsi nel settore Arredobagno grazie alla costante tensione al miglioramento qualitativo. L’esperienza sul campo, acquisita quando negli anni Settanta operava da Agente di Commercio, ha permesso all’imprenditore Mastella di conoscere a fondo le dinamiche aziendali e del mercato in cui si stava cimentando: queste le premesse per la nascita della Mastella con sede in Via Liguria nella frazione di Padernello. Si trattava evidentemente di un’azienda artigianale, costituita da pochi fidati giovani collaboratori, tutt’ora presenti, che con colo spirito di squadra affiatata hanno contribuito a percorrere le vie tracciate. L’evoluzione dell’ambiente bagno e dei suoi complementi, che da essenziali e spartani sono diventati ricchi e ricercati, ha permesso lo sviluppo del mercato dell’arredobagno e di conseguenza delle aziende ad esso legato: ecco che la Mastella ha trovato humus fertile per la sua repentina crescita, testimoniata anche nella necessità di trasferirsi nei primi anni Novanta nell’attuale sede in Via Azzi a Castagnole su una superficie totale di 5.000 mq., comprendenti lo stabilimento produttivo, gli uffici e lo show-room. Gli ultimi anni hanno visto accendere i riflettori sul bagno, soprattutto per l’ideale espressione della personalità di chi lo arreda: ciò ha fatto irrompere in maniera esaltante il design in questo ambiente della casa, tutto sommato decisamente recente e pur tuttavia particolarmente dinamico. Mastella interpreta questa ulteriore evoluzione con lo stile che l’ha sempre caratterizzata, cioè con eleganza e sobrietà aprendosi alle opportunità di collaborazione con professionisti e designers affermati, i quali hanno contribuito a creare l’immagine d’avanguardia che l’azienda si è conquistata e che si può apprezzare visitando il sito www.mastella.it o sfogliando le migliori riviste specializzate nazionali ed estere. Il design è un ulteriore tassello nella molteplice sfaccettatura della qualità aziendale globale Mastella, non più semplicemente conseguente all’ottimo livello di materiali scelti o delle professionalità nate e cresciute in azienda: oggi Mastella cresce nei mercati più difficili, quello italiano e quello internazionale dove concentra il 70% del proprio lavoro, grazie ad un competitivo pacchetto completo che comprende stile e personalità italiane, affidabilità e serietà invidiabili, naturale e spontanea predisposizione alle esigenze della clientela, servizio ineccepibile ed apertura alle sfide dei mercati più esigenti. Mastella, quindi non solo non teme la concorrenza, ma sta anzi vivendo una stagione espansionistica, testimoniata anche dalla recentissima costruzione di una nuova struttura adiacente alla precedente, di fatto raddoppiandola. Un’industria solida, quella condotta in collaborazione con la moglie Daniela Lucchetta e le figlie Cristina e Meggi, che attualmente impiega una quarantina di persone altamente motivate. (Attenzione!!! Mandare bozza all’azienda, c.a. sig. Antonio Mastella) 134 SEVERIN COSTRUZIONI GENERALI s.r.l. La Severin Costruzioni Generali è un’azienda edile caratterizzata da una straordinaria dinamicità tali che è oggetto costante di un’eccezionale evoluzione, pur avendo avuto umili origini. Non è facile descrivere adeguatamente questa realtà imprenditoriale, la quale per le capacità tecniche e le sinergie che riesce a sviluppare si colloca tra le più importanti aziende del settore edilizio del Nordest italico. Ad accendere la miccia dell’attuale Gruppo Severin è stato Pietro Severin, che ancor giovanissimo, dopo alcuni anni di esperienza come muratore dipendente, fondò una sua impresa: la “Pier.Gio Costruzioni”. Erano gli anni Sessanta, caratterizzati da un’irripetibile crescita economica che trovò la sua massima visibilità proprio nello straordinario sviluppo urbano. Soprattutto a Paese era una corsa a farsi la casa nuova, in economia, cioè cercando di arrangiarsi per quanto possibile, magari aiutandosi tra amici nei fine settimana e avvalendosi di muratori occasionali o di piccole imprese che in quegli anni nascevano come funghi. Una di queste fu appunto quella di Pietro Severin, la quale aveva una caratteristica propria: pur con pochi e poveri mezzi: si distingueva per l’estrosità e soprattutto per la qualità delle opere. Aveva insomma una marcia in più, un vantaggio sulle imprese di allora che nel tempo si dimostrò incolmabile. Alcuni anni più tardi l’azienda cambiò ragione sociale diventando “S.P. Costruzioni”. Ma il vero balzo in avanti avvenne con l’ingresso dei figli, ancor giovanissimi, nell’azienda del padre, dimostrando di possedere grinta e interesse per questo mestiere non meno del loro genitore. I tre fratelli – Abramo, Giambattista e Stefano – con la carica dei loro anni più verdi seppero nel tempo imporre nuove idee fino ad imprimere uno straordinario sviluppo all’azienda, dimostrando di avere capacità tecniche, fantasia, fiuto per gli affari e di saper stare nel mercato edilizio non da semplici spettatori ma da protagonisti. Facendo tesoro delle esperienze e degli insegnamenti del padre, hanno stretto tra loro una solida collaborazione, visibile anche dalla ripartizione di compiti e responsabilità che si sono attribuiti. Spirito di collaborazione che si affranca della consapevolezza che soltanto con la reciproca stima e rispetto dei ruoli alla fine si esce vincitori. Naturalmente il passaggio di conoscenze non è venuto solo per trasmissione dal padre ai figli, ma anche in progressione successoria tra fratelli. Così mentre Abramo e Giambattista seguono nei cantieri l’organizzazione dei lavori, Stefano cura le relazioni commerciali con i fornitori e le ditte di partnership. Grazie all’intuito dei tre, la Severin è cresciuta fino a diventare un Gruppo di aziende che operano in stretta sinergia. Oltre alla S.P. Costruzioni s.n.c., perno principale della produzione edilizia è ora la Severin Costruzioni Generali s.r.l., nata nel 2001, che erige i fabbricati “al grezzo”, lasciando quindi alle consociate “Libec Due” e “Sevico Costruzioni s.r.l. il compito di renderli ben usufruibili. Ogni società del Gruppo ha la sua mission da portare a termine. Così ad esempio per l’immobiliare Libec Due è quella di realizzare opere residenziali di pregio con particolare attenzione ai dettagli ed alle finiture, garantendo standard di qualità elevati e duraturi. La consorella Sevico Costruzioni invece è nata per operare principalmente nella Pedemontana, realizzando edifici residenzali di notevole appeal in quel particolare territorio. 135 La perfetta simbiosi insita in queste aziende - ma non solo tra queste perché dalla stretta collaborazione si genera anche un virtuoso indotto – ha fruttato prestigiosi agglomerati residenziali, direzionali e commerciali che si distinguono per le eccellenti finiture interne ed esterne, realizzati con materiali di pregio, curatissimi nel design, che li rendono appetibili non solo per la bellezza estetica e per i pregevoli materiali utilizzati, ma anche per il favorevole rapporto qualità-prezzo. Naturalmente chi si avvicina a questa azienda è avvantaggiato dal fatto che può acquistare direttamente dal costruttore, senza costi di intermediazione. Figlia di questo modo sinergico di operare è anche la “Vittoria Investimenti”, società nata recentemente in collaborazione con il gruppo Superbeton-Grigolin, per la realizzazione di un villaggio di trecento unità immobiliari di tipo residenziale e direzionale nel centro di Giavera del Montello, includente un progetto di riqualificazione urbana e il rifacimento della piazza centrale del paese. Caratteristica del Gruppo Severin, che si avvale complessivamente di oltre una trentina di maestranze qualificate, è l’attenzione costante ai nuovi ritrovati della tecnologia edilizia e può quindi vantare una notevole esperienza, collocandosi in posizione verticistica. Fra le principali realizzazioni spiccano sicuramente quelle di Treviso: il Parco Ducale, il Residence al Maglio, il Giorgia Residence, ma sono soltanto alcune tra le più importanti e seducenti sparse ovunque nella provincia e oltre. Il Gruppo Severin, essendo un’azienda certificata ISO 9001:2000 e SOA categoria OG 1, classifica VI , è accreditato anche per gare d’appalto pubbliche. Note alcune recenti realizzazioni di grande impatto sociale, quali la Scuola dell’Infanzia “San Giuseppe” di Paese, considerata non a torto la migliore scuola del Veneto della categoria, e poi quelle di Silvelle di Trebaseleghe e di Porcellengo. A queste si deve aggiungere l’ampliamento della Scuola Media “Claudio Casteller” di Paese, ma l’elenco potrebbe continuare a lungo. Severin sta diffondendo il suo buon nome anche fuori dei confini provinciali avendo realizzato imponenti opere anche in varie località della provincia di Venezia, spingendosi fino in Sardegna, a Olbia, sulla Costa Smeralda dove sta sorgendo un imponente quartiere turistico e residenziale. La spinta di questa importante realtà produttiva è ancora ben lungi dall’esaurirsi, si può anzi affermare che si trova ancora in piena evoluzione. Nonostante quasi mezzo secolo di vita (2008) - ed è già questa è un’ottima garanzia - si tratta tutto sommato di una società ancora giovane. Un’azienda che per il management e la sua capacità di rigenerarsi costantemente è proiettata verso un futuro sempre più luminoso e interessante. Mantiene, infatti, intatte tutte le sue potenzialità potendosi avvalere di un team giovane e altamente specializzato, capace di soddisfare le richieste della clientela più esigente. La sede legale si trova in Via Trieste, 79 - 31038 Paese (Treviso). Quella amministrativa in Via Roma, 64, tel. 0422/959084, fax 0422/454020. Per informazioni: [email protected] - www.grupposeverin.it. STAMPERIA NARDI S.R.L. – Screenprinting on textile since 1967 L’Azienda, che si trova in Via Friuli 10 a Padernello (zona artigianale e industriale), ha alle spalle oltre quarant’anni di attività e si caratterizza per la 136 stampa serigrafica su tessuto oltre che per la produzione di articoli promozionali personalizzati. Nata nel 1967 da un’idea di Adalgerico Montana, già titolare della Tintoria Lunazzi, ha trovato il suo input dapprima in Clara Nardi che iniziò a darle corpo con alcune ragazze al seguito e poi con il fratello Giancarlo che l’ha fatta crescere fino a farla diventare una ricercata industria. Ad accendere la miccia era stata una certa clientela della Lunazzi che esprimeva il desiderio di personalizzare i propri prodotti con decorazioni esclusive. La prima sede si trovava in Via Postumia a Paese, nell’immobile colonico a tre piani adiacente Villa Onesti, che ospita ora “Il Granaio”, vendita di mobili antichi. Fu subito un successo anche perché Giancarlo Nardi, specializzatosi presso la Bayer di Milano, pur operando artigianalmente poteva offrire lavorazioni di ottima qualità e fantasia, rivelandosi un apripista del settore, destando l’interesse delle migliori industrie del tessile e abbigliamento. Benetton, Replay, Diesel, Golden Lady, Altana, Marzotto, Monti, ma anche Valentino, Versace, C. Dior, Moschino, Krizia, Ferré sono soltanto alcune tra le marche prestigiose che riuscì ad attrarre. Nel 1972 la Stamperia fu trasferita in una sede più ampia, in Via Piave, nel capannone di una falegnameria dismessa, dove l’attività andava con il vento in poppa e dove nel 1974 furono introdotte le prime stampanti automatiche, in parte progettate e costruite dalla stessa azienda. Fu perfino adattata una vecchia rotativa, poi arrivarono attrezzature sempre più moderne e sofisticate, le famose “giostre” con oltre una decina di stazioni di stampa. Non conosceva crisi la Stamperia Nardi che nel frattempo si era fatta un buon nome e conquistata sul campo la stima delle migliori realtà industriali del settore tessile, che si tradusse in collaborazioni e sinergie. Ma le nuove macchine esigevano spazi sempre più grandi anche perché il lavoro aumentava esponenzialmente, a tal punto che nel 1987 la ditta dovette trasferirsi nell’attuale ampia sede di Padernello, in un’area coperta di duemila mq. dove finalmente potè sviluppare tutte le sue potenzialità, raggiungendo una cinquantina di maestranze altamente qualificate. Tutto il ciclo produttivo si svolge in seno all’azienda, dalla progettazione grafica allo sviluppo e stampa delle pellicole, dalla preparazione della pasta sensibile all’incisione dei telai, dalla fornitura dei prototipi alla stampa finale. In anni recenti, dato il crescente sviluppo, la Stamperia Nardi aveva avviato una succursale a Vukovar (Croazia), fu un’esperienza che non durò a lungo per la mancanza di personale specializzato. Si è in sostanza constatato che non è sufficiente assumere personale per fare qualità e produzione, ma occorre una formazione che si acquisisce con una lunga esperienza, valori non assimilabili in tempi brevi. Si preferì pertanto rientrare e aprire un’ulteriore sede in Via Liguria, nella stessa zona industriale di Padernello, dove si producono articoli d’abbigliamento promozionali e commerciali: t-shirt, pantaloncini, cappellini, ecc., personalizzati con stampa serigrafica. Una caratteristica della Stamperia Nardi è l’uso di coloranti con pigmenti all’acqua, privi di tossicità e rispettosi quindi della salute di chi vi lavora e dell’ambiente, ma soprattutto del consumatore finale, trattandosi spesso di asciugamani o di maglieria intima e lingerie fornite di griffe e decorazioni stampate, che poi vengono a contatto con la pelle. Tutto ciò non è frutto del caso, ma la positiva conseguenza della ricerca interna e dei test effettuati già una 137 decina d’anni fa in collaborazione con la Bayer, ponendo così la ditta in posizione verticistica nella sua categoria. Riguardo poi al rispetto dell’ambiente, la Stamperia di Giancarlo Nardi è fornita di depuratore interno per la filtrazione dell’acqua, che viene pertanto riutilizzata, mentre i fanghi, peraltro assai modesti, vengono smaltiti da ditte specializzate e certificate. Riguardo alla qualità dell’aria c’è da dire che basta entrare nello stabilimento per rendersi conto dell’assenza di odori piccanti e anche questo è sicuramente un punto a favore della salute degli operatori. Attualmente sono 35 le maestranze di questa piccola industria. Erano molte di più, ma si sono ridotte con l’evoluzione tecnologica, pur aumentando la produzione. Guardando al futuro s’intravvede l’avanzare di una nuova generazione dei Nardi, e potrebbe essere questa un domani a prendere in mano la conduzione di un’eccellente azienda, che crea ricchezza nel territorio e fa onore a Paese. (www.nardist.it) LE AZIENDE SERVIZI DI PAESE LIDIA PIETROBON ACCONCIATURE Aveva soltanto 17 anni Lidia Pietrobon ed era davvero un’avvenente ragazza con tanta voglia di emergere quando pensò di mettersi in proprio dopo un’esperienza di cinque anni come apprendista parrucchiera presso la bottega di una signora di Paese, e in altre realtà. Furono cinque anni di dinamismo per la voglia di emergere, durante i quali poté sviluppare a fondo il suo talento: sembrava non fosse nata che per questo mestiere. Con queste premesse non poteva che ottenere subito un ottimo successo perché, a quell’età, pur minorenne, era già un’ottima professionista, tanto che non ci mise molto ad accreditarsi un’affezionata clientela che, a distanza di oltre un trentennio, ancora mantiene in gran parte. Il primo salone, anzi negozio, aperto grazie all’assunzione di responsabilità di sua madre, Lidia lo aprì in Sovernigo, nel caseggiato che ospitava il Bar-Trattoria dei Barbisan (“Binéti”), in Via Trieste, poco oltre l’odierna Casa Alloggio. Si trattava di un locale talmente modesto che le clienti in attesa, non trovando posto per fare salotto, talvolta si spostavano nell’esercizio pubblico accanto. Cinque anni dopo, giacché gli affari si erano notevolmente incrementati, spostò l’attività in Via Cesare Battisti, in sostanza di fronte al Cinema Manzoni, sede che mantenne fino al 1994, quando, data la carenza di parcheggi, decise di affittare un locale a fianco del Cinema-Teatro “Manzoni”, dove tuttora si trova. Ma la parrucchiera Lidia, nonostante il successo, non si è mai adagiata sugli allori, consapevole che per consolidare l’affermazione ottenuta occorre mantenersi aggiornati e scoprire sempre nuove tecniche partecipando a corsi, concorsi e confrontandosi con i migliori stilisti. Ed è ciò che ha sempre fatto fin da giovanissima. Già a quindici anni, con le mance messe da parte, si finanziò un corso di taglio a Londra, ma tuttora, a distanza di qualche decennio prende ancora il volo verso la capitale inglese per aggiornamenti e approfondimenti. Lo 138 stesso fanno le sue undici collaboratrici, che vengono inviate a specializzarsi, oltre che nel taglio e piega, anche nel colore, trucco e acconciature alla moda. Ci sono stati tempi in cui Lidia era invitata come acconciatrice in sfilate di moda a Milano, Roma e in altre località prestigiose. Spesso andava per insegnamento e dimostrazioni in varie parti d’Italia, nelle Venezie in particolare, imprimendo alla sua attività quella rinomanza e quel tocco di classe che le è universalmente riconosciuto con l’assegnazione di innumerevoli premi e riconoscimenti. Basti ricordare che già nel 1978, ai primordi della carriera, era arrivata undicesima al Campionato Europeo di Vienna per acconciatori, e l’anno seguente terza in quello Italiano svoltosi a Verona. Questa la sua “gavetta”, ma furono esperienze che abbandonò dopo il matrimonio, preferendo piuttosto, d’accordo con il marito, concentrarsi esclusivamente sul suo sempre più frequentato salone, trovando però il tempo di mettere al mondo due figli e realizzarsi quindi anche come mamma. Attualmente il salone di Paese, in Via Cesare Battisti 17, è aperto ad ambo i sessi, avvalendosi di ben ventidue postazioni di lavoro. Pratica l’orario giornaliero continuato grazie alle undici signorine che si alternano nei vari turni. Ciò permette di agevolare ogni tipo di clientela divenuta sempre più sofisticata ed esigente. Il negozio, di tipo artigianale, per le specializzazioni acquisite e i prodotti impiegati, si colloca nella fascia d’alta classe, tuttavia vengono praticate agevolazioni particolari per nonne e studenti. È il valore aggiunto di questa prestigiosa realtà produttiva paesana: affari sì, ma con un cuore. PAESE SERVIZI s.r.l. “Paese Servizi Srl” è la società costituita nel 2006 dall’Amministrazione Comunale, di cui è unico proprietario, come versatile strumento per “la gestione delle attività e delle strutture rivolte allo sviluppo sociale e culturale del Comune di Paese”, al fine di “favorire lo sviluppo economico-sociale culturale” con la possibilità di svolgere, nel rispetto delle leggi, “tutte le operazioni commerciali, mobiliari, immobiliari e finanziarie necessarie e vantaggiose per il conseguimento dell’oggetto sociale”. Lo scopo è ottimizzare al massimo le potenzialità tipiche di un’impresa non pubblica, ovvero la maggior capacità di azione, di assumere personale, di avviare e promuovere nuovi servizi e attività utili a migliorare il benessere dei cittadini. È stata avviata con un capitale sociale di € 100.000,00 interamente costituito dal Comune di Paese. La società è nata da una necessità ed è diventata un’opportunità, stante l’obbligo per tutti gli Enti Locali di contenere le spese nel rispetto dei vincoli imposti dalle Leggi Finanziarie per il rispetto del Patto di stabilità. La nuova azienda è guidata da un Consiglio di Amministrazione nominato dal Sindaco e si avvale di un presidente (Vito Guccione) e due consiglieri, uno facente capo alla maggioranza, Delia Severin, e uno alle minoranze, Giorgio Carraro. Per dovere di cronaca v’è da dire che inizialmente i membri erano quattro, con Sabrina Bianco, poi ridimensionati per legge. Il primo servizio di cui è stata affidata la gestione alla Paese Servizi s.r.l. è stata, dall’ottobre 2006, proprio la Casa Alloggio con annesso Centro Diurno per 139 anziani, alla quale è seguita la nuova Farmacia Comunale, inaugurata il 9 giugno 2007. Il primo passo della nuova azienda è stato quello di assicurare la continuità contrattuale in atto a tutti gli operatori già dipendenti del Comune e passati alla Società, con l’obiettivo di provvedere successivamente ad internalizzare anche altro personale dell’area assistenziale, operante nella struttura in qualità di soci di cooperative aggiudicatarie di contratti di integrazione dei servizi. Obiettivo che si è concretizzato già a fine 2007 mediante l’assunzione di due infermieri professionali e due Operatori Socio Sanitari. Con l’avvio della Farmacia Comunale in via Della Resistenza sono stati assunti anche un farmacista Direttore e due farmacisti collaboratori. La Casa Alloggio Questa ricercata struttura, sorta in parte recuperando il vecchio cascinale dei “Biscari”, e in parte di nuova costruzione, fu inaugurata il 23 Gennaio 1993 dal Ministro per gli Affari Sociali Adriano Bompiani. Fu pensata per ospitare soprattutto persone autosufficienti, ma poi, per evidenti necessità, ne fu modificata la mission in favore di persone non autosufficienti. Si trattava già allora di una delle più moderne strutture pensate per una dignitosa quiescenza dei 44 anziani ultrasessantacinquenni ospitati nei ventidue minialloggi, ben arredati e concepiti per favorire il confort delle pareti domestiche, per una vita serena agevolata anche dall’accogliente e animato centro diurno, inserita nell’ambiente naturale del ridente parco di Villa Panizza, nel cui fabbricato si trovavano gli uffici del Distretto Socio-sanitario dell’Ulss. La cerimonia era stata preceduta da un’interessante tavola rotonda, indetta nel salone del primo piano della Casa Alloggio, avente per tema: “Quale struttura e quali servizi per gli anziani”. Intervennero, oltre al ministro, il sindaco di Paese Giuseppe Mardegan, il sociologo Vittorio Filippi, il referente dell’Ulls 10 Giorgio Munari, il presidente di “Casa Marani” di Villorba Romano Perazzetta, e Rina Biz, vicepresidente della Federazione Provinciale Cooperative. “In strutture come questa – aveva detto il ministro Bompiani – occorre tenere conto dei sentimenti e dei desideri della persona, in una collaborazione articolata fra pubblico e privato”. Ed è l’attenzione che la direzione della Casa Alloggio ha sempre avuto. Una vasta rete di professionalità, ma anche la collaborazione del volontariato hanno dato un volto umano a questa casa, diventata una delle opere di cui compiacersi e che fanno onore a Paese. A toccare la centralità dell’argomento fu poi il sociologo Filippi, rilevando come tutti gli indici demografici pendessero verso l’invecchiamento della popolazione, dato che l’Italia aveva già l’indice di natalità più basso a livello europeo e che quindi occorreva prepararsi ad erigere tante altre di queste opere. Opere da riempire con “amore, carità, solidarietà, condivisione, che non sono merci da barattare con il profitto, ma valori da maturare e consolidare, soprattutto da donare gratuitamente”, diceva quindi Rina Biz ponendo l’accento sul dilagante disservizio statale. I primi trenta anziani inquilini entrarono nella Casa Alloggio il primo di ottobre dello stesso anno. Tutte le domande pervenute dai residenti furono accolte. Ma se la struttura era già funzionante occorreva tuttavia riempirla di contenuti umani. Si aprivano nuovi orizzonti e nuovi campi di impegno sociale per le associazioni di volontariato del territorio, in primis per il Gruppo Sociale Donne e per il Circolo 140 Ricreativo Anziani che avevano già la loro sede nell’ex barchessa di Villa Panizza, a pochi passi dalla residenza. Attualmente (anno 2008) la Casa per anziani di Paese ha 53 ospiti fissi, dei quali 48 non autosufficienti. Una quindicina sono invece quelli che frequentano il Centro diurno, ossia che arrivano il mattino e tornano alle loro abitazioni la sera. Il personale occupato è quantitativamente, ma soprattutto qualitativamente secondo i migliori standard organizzativi del settore: 24 operatori socio sanitari, di cui 12 di cooperative esterne; 8 infermiere, di cui 3 esterne. L’organico dell’ufficio amministrativo è di tre addetti, compreso il direttore Alberto De Lazzari. A questi si sommano gli addetti alle pulizie, alla ristorazione, una guardarobiera. L’organico si avvale anche di altre figure importanti quali: un educatoreanimatore, una logopedista, la psicologa, un’assistente sociale e un fisioterapista, oltre ad un medico di medicina generale che opera in convenzione con l’Azienda ULSS n. 9 e del medico coordinatore referente per tutta l’attività sanitaria nei confronti della stessa ULSS. Da aggiungere che dalla struttura partono anche i pasti confezionati per una dozzina di persone del territorio, che vengono consegnati a domicilio in appositi contenitori termici. Il volontariato locale è una risorsa di supporto importante, si potrebbe dire indispensabile. Basti pensare ai servizi svolti dagli obiettori di coscienza fin dal suo nascere, ma anche adesso dall’Associazione Volontari San Martino, che svolge servizio di trasporto e accompagnamento, di collaborazione nelle attività di animazione, di sorveglianza e di aiuto per particolari situazioni ed eventi. Sono presenze estremamente preziose, utili a far mantenere efficienti le funzioni vitali degli anziani ospiti. Ma da sole queste non basterebbero comunque senza il coinvolgimento relazionale ed affettivo dei familiari. In funzione di supporto è costituito anche un Comitato consultivo, composto da un rappresentante dei familiari degli ospiti della Casa Alloggio e da un rappresentante dei familiari degli utenti del Centro Diurno, da un rappresentante delle Organizzazioni Sindacali dei pensionati, dall’assessore ai Servizi Sociali, da un rappresentante dei gruppi anziani esistenti in Comune, da un membro della Commissione Comunale per le Problematiche Sociali, da un rappresentante delle associazioni di Volontariato che collaborano nei servizi erogati dalla struttura e dal Direttore della struttura. La Casa Alloggio, la cui lista di richieste è piuttosto lunga, nel 2008 è in corso di ampliamento per 22 nuovi posti letto, nuovo centro diurno e altri locali logistici, ma tutti gli spazi interni verranno riadattati in funzione di un’utenza non autosufficiente, destinata ad aumentare progressivamente. Il tutto secondo quanto previsto dalla legge regionale n. 22/2002, che regola la materia. Tel: 0422 451118, fax 0422 454154, [email protected] La Farmacia Comunale Come accennato, in carico alla Paese Servizi è anche la nuova Farmacia Comunale, aperta in Via della Resistenza 10, nella rotonda del Centro Commerciale di Paese. Ad imporre la nuova presenza è stata la straordinaria crescita demografica registrata negli ultimi anni a Paese. La Farmacia garantisce un vasto assortimento di prodotti parafarmaceutici e specialità medicinali, disposti in scaffalature e spazi di facile consultazione; è fornita di attrezzature per una 141 gestione informatizzata per le procedure degli ordini, le consegne, il magazzino e le vendite. La cronaca dell’inaugurazione si legge nel settimanale diocesano “La Vita del Popolo” di domenica 24 giugno 2007, che titolava: “Inaugurata la nuova farmacia comunale - Un servizio ai cittadini”. Seguiva il servizio a firma dell’autore di questo libro, dal quale si evincono le finalità di questa nuova struttura impostata come stretto servizio sociale: “Sabato mattina 9 giugno scorso, a Paese, è stata inaugurata ufficialmente in Via della Resistenza (Centro Commerciale), la prima farmacia comunale. Va ad aggiungersi alla “Burlini”, operante da decenni nel capoluogo comunale, prima in Via Roma e poi in Piazza Andreatti, che da sola non poteva più assicurare un servizio adeguato al celere aumento demografico degli ultimi anni. Se ne parlava da tempo, ma a prendere l’iniziativa è stata la nuova società Paese Servizi, che fa capo al Comune stesso, la quale in pochi mesi le ha dato concretezza. “Non sarà solo un negozio di vendita di medicinali e affini – ha puntualizzato il Sindaco Valerio Mardegan – ma è stata pensata soprattutto come un servizio ai cittadini”. Servizio che si avvale di personale specializzato, guidato dal dott. Alberto Caratti, un veterano del settore che conosce bene la realtà locale, supportato da due giovani laureate, le quali sono in grado di offrire assistenza e consigli agli utenti. La farmacia si configura come struttura d’avanguardia, essendo attrezzata di un moderno laboratorio per alcuni tipi di analisi del sangue, per test epidemiologici e preparazione di sostanze farmacologiche. Con i proventi, ha ribadito il primo cittadino, l’Amministrazione intende promuovere nuovi servizi in favore delle persone, alcuni sono già allo studio e presto la cittadinanza ne sarà messa a conoscenza. Il taglio del nastro è avvenuto a cura del Sindaco stesso dopo la benedizione da parte del parroco di Paese don Giuseppe Tosin. Erano presenti alcune autorità locali, tra le quali il presidente della società Paese Servizi, Vito Guccione, il comandante della locale stazione dei Carabinieri, il direttore della casa Alloggio, oltre ad alcuni assessori e consiglieri comunali e ai Volontari San Martino.” (foto) La Farmacia Comunale è un centro di servizi integrato nel sistema sanitario nazionale, proponendo attività innovative con standard di qualità. Si avvale di tre giovani farmacisti, al servizio dei cittadini per la distribuzione delle specialità medicinali, parafarmaci, per dare informazione e consulenza sul corretto uso dei farmaci, per test di autoanalisi. Si propone di offrire una gamma qualificata di prodotti officinali, galenici, erboristici, omeopatici, fitoterapici, cosmesi, presidi medico-chirurgici, articoli sanitari, alimenti per l'infanzia, apparecchi medicali ed elettromedicali. La farmacia si avvale inoltre di un locale interno adeguatamente munito di apparecchiature certificate per l'autoanalisi, dove è possibile effettuare test per lo screening della pelle e dei principali valori del sangue in maniera rapida, funzionale e sicura, consentendo risultati precisi e affidabili, visualizzati poi in un apposito scontrino. Si tratta di un servizio che consente di conoscere tempestivamente la misura del proprio benessere, con una panoramica completa delle condizioni di salute, indispensabile nell'ambito della medicina generale, dello sport, della dietologia e in tanti altri. Tel. 0422 451565, Fax 0422 458942, [email protected]. 142 STUDIO FISIOTERAPICO-KINESIOLOGICO AGOSTINI cav. GIUSEPPE & FIGLI Negli attuali anni del benessere la salute e la cura del corpo sono percepite come un’assoluta peculiarità, al pari della salvaguardia dell’ambiente, una necessità particolarmente sentita da chi pratica una vita sedentaria. Si assiste perciò ad un proliferare di palestre, piscine, centri benessere e fitness di ogni tipo, che spesso promettono risultati miracolosi. Ma anche in questo campo occorre essere oculati giacché c’è centro e centro e modo e modo di operare. La cura fisica del proprio corpo non dovrebbe essere, infatti, oggetto di improvvisazione o di manipolazioni da spiaggia, ma al contrario eseguita su prescrizione medica. A Paese primeggia in questo campo lo Studio Fisioterapico-Kinesiologico Agostini, forte di uno staff di operatori altamente preparati. Si tratta in sostanza di padre e figli, fisioterapisti a servizio della salute, in particolare nel trattamento di patologie legate ai disturbi della motricità e nella riabilitazione. Grazie a queste risorse, l’azienda familiare è in grado all’occorrenza di operare in team o in collaborazione con altre figure professionali. Lo Studio Agostini cav. Giuseppe & Figli ha origini non molto lontane, trattandosi in sostanza di sviluppo di “nuovi mestieri”. Nasce dall’intuito e dalla passione di due coniugi, già operatori infermieristici ospedalieri, Giuseppe Agostini (1946) e la moglie Paola Curtolo (1949), che non si adagiarono sul quieto vivere che offriva loro il sicuro posto di lavoro pubblico, ma vollero andare oltre. Fu così che Giuseppe, pur lavorando, frequentò i corsi di fisioterapia all’Università di Padova diplomandosi fisioterapista e già cinque anni dopo la sua assunzione all’Ospedale Regionale di Treviso ottenne la qualifica di ruolo attraverso un concorso interno. Con questa funzione fece l’operatore ospedaliero per altri vent’anni. Nel 1991 decise che era arrivato il momento di sganciarsi dal lavoro subalterno per far valere in proprio la sua specializzazione, mettendosi quindi ad esercitare a domicilio la libera professione di fisioterapista. Nel 1994, ottenuta l’agibilità dello studio, con annessa palestra, costruito presso l’abitazione di Paese, aprì ufficialmente l’attività in Via Giacomo Leopardi, 11. Intanto i figli crescevano e si laureavano sulla scia dei successi del padre. Non che questi se ne stesse adagiato sugli allori di conoscenze acquisite a suo tempo, perché in questo campo, come in quello medico, le scoperte si susseguono e occorre stare sempre aggiornati, trattandosi di operare per la salute. Giuseppe Agostini, infatti, continuò a studiare conseguendo sempre nuove conoscenze e specializzazioni, partecipando anche a convegni e meeting non solo in Italia, ma anche all’estero, e perfino all’università di Pechino dove, assieme al figlio Fabio, ha potuto acquisire particolari tecniche di massaggio e riabilitazione complementari alla medicina occidentale. Il primo dei figli a diplomarsi all’Isef (Istituto Superiore di Educazione Fisica) e poi a laurearsi in fisioterapia fu appunto il primogenito Fabio, classe 1974, seguito da Flavia (1976) pure diplomatasi all’Isef. I due, sotto gli occhi vigili del padre, emersero presto come ottimi collaboratori dello studio familiare, ma nel 2005 Flavia, sposandosi con un americano, prese il volo per Salt Lake City (U.S.A.), dove vive tuttora con il marito, facendosi apprezzare anche lì per il suo lavoro. Il suo posto nell’azienda casalinga fu presto occupato dalla sorella Martina (1982), 143 la più giovane degli Agostini, che ha conseguito il diploma di laurea in Scienze Motorie nel luglio 2007. Grazie a questi specialisti lo Studio Agostini è in grado di offrire un servizio multidisciplinare, svolgendo una vasta gamma di metodi e terapie per il ristabilimento fisico della persona. Se ne riportano alcune come esempio: rieducazione neuromotoria, posturale globale e respiratoria, terapia manuale (osteopatia, pompages) e normalizzazione articolare, ginnastica medica correttiva posturale, pilates, massoterapia tradizionale, orientale con digitopressione, massaggi Shiatsu, mobilitazione energetica, auricoloterapia, tecniche di bendaggio a contenzione adesiva, terapia fisica ed elettroterapia (radar, laser, ultrasuoni, magnetoterapia, elettrostimolazioni), elettroterapia antalgica (tens, diadinamiche, inteferenziali, ionoforesi), horizontal therapy, neurostimolazione interattiva interx, attività su pedana vibrante, e tante altre. Sono parecchie decine le persone di ambo i sessi che frequentano quotidianamente il centro, soprattutto per ginnastica medica di gruppo, data la versatilità degli orari giornalieri e della disponibilità di due grandi palestre attrezzate. Ma a richiesta, oltre alle cure fisiche suddette, si tengono anche lezioni individuali o per particolari categorie, quali anziani, ragazzi e bambini con coinvolgimenti didattici e in extra sede. Giuseppe Agostini, oltre che vantare una lunga esperienza di amministratore comunale, è stato spesso coinvolto da professionista nella riabilitazione e messa in forma di atleti e squadre di cui il panorama sportivo di Paese è particolarmente prolifico. Pure il figlio Fabio ne segue le orme. Lo Studio Agostini, grazie alle molteplici specializzazioni ed esperienze acquisite, ha la caratteristica fondamentale di svolgere un lavoro in maniera efficiente, migliorando nelle persone che lo frequentano la funzionalità degli organi interni e la percezione di sé stessi in un salutare equilibrio psicofisico. Epilogo Chiudo questa mia esperienza dopo aver visitato oltre cinquanta fra le più importanti aziende del terriorio comunale di Paese, non posso pertanto esimermi dal trarre alcune considerazioni. Una di queste, e mi sembra la più significativa dal mio punto di vista, è che il lavoro necessita sì di formazione, di esperienza e conoscenza ma anche di una certa cultura per guardare oltre il tornaconto personale. Lavoro e cultura devono per forza di cose andare a braccetto tra loro. Produrre oggi senza pensare al domani, alle generazioni future, vorrebbe dire che il mondo ha gli anni contati. Lo sviluppo è veramente tale quando tiene conto del diritto dei cittadini a vivere in un ambiente compatibile. Lavorare e fare soldi senza tener conto del bene comune non è giustificabile da nessun punto di vista. Le risorse non sono inesauribili, come non si può pensare di continuare a produrre con i vecchi sistemi. Il Trattato di Kyoto non è un capriccio, ma un dovere. Ci si deve criticamente chiedere se ciò che facciamo oggi sia conciliabile con il domani che è dietro l’angolo. Cultura e formazione devono perciò precedere gli interessi economici. 144 In questo percorso attraverso l’Impresa Paese ho conosciuto imprenditori con orientamenti diversi, ma quelli che mi hanno fatto pensare di più e ai quali sono grato per il messaggio trasmessomi, sono coloro che ritengo colti e saggi, consapevoli che il denaro non è, e non deve essere, “tutto”. Imprenditori che hanno capito che la salute pubblica è fondamentale; che le risorse non sono riproducibili; che c’è un limite da non valicare, che questo non può essere imposto dall’alto ma deve venire dalla propria sensibilità ed autoregolamentazione. Ne ho conosciuto altri che si sentono vittime del sistema, salvo poi scoprire che non sono stati soddisfatti in richieste che andavano contro ogni logica, che si sentono perseguitati perché viene loro negata la possibilità di ampliarsi in zone inconciliabili con l’ambiente e le infrastrutture circostanti. Gente che pretenderebbe di avere le mani libere con la giustificazione che “creano ricchezza”, anche quando si tratta di andare contro l’interesse comune. Questa ottusità non onora il mondo imprenditoriale e dimostra una mancanza di responsabilità e cultura della condivisione. Chi ha responsabilità pubbliche è giusto che faccia il proprio dovere e non ceda ai ricatti. Ho conosciuto aziende – e sono la maggioranza - innovative e competitive guidate da imprenditori ai quali si teve fare tanto di cappello perché hanno saputo realizzarsi con questa consapevolezza, che il proprio interesse va rapportato ad altri interessi, conquistandosi una stima che va oltre il lavoro che svolgono. Sono questi che creano vera ricchezza e fanno onore a se stessi e a Paese. A loro deve andare la riconoscenza della società civile. Bibliografia Mariano Berti: “Famiglie d’altri tempi” – vol. I, II, III Lorenzo Morao, Giovanni Bacchion: “Civiltà e Memorie di una terra di Campagna” Ottorino Sottana: “C’era una volta il contadino” – De Bastiani Editore 1986 Fondazione Corazzin: “Il sindacalismo agricolo veneto nel primo dopoguerra e l’opera di Giuseppe Corazzin” - Cassamarca 1985 Emanuele Bellò e Gianni Anselmi: “Mistieri de Marca” – 1997 Comune di Paese: “Paese, ambiente, storia, aspetti di vita quotidiana” - 1989 Comuni del Veneto: “Paese” – dir. Sante Rossetto 2004 Pro Loco Postioma: “Postioma, itinerari nella memoria storica” - 1997 Canova Editrice: “Cento Anni di Manifesti” - 1996 Canova Editrice: “I manifesti della Marca operosa” – 1996 Canova Editrice: “Lumi di progresso” – 1996 Soroptimist Club e Ass. Artigiani Mara Trevigiana: “L’impresa artigiana a titolarità femminile nella provincia di Treviso” - 1984 S. Tramontin: “Le Leghe Bianche e l’opera di G. Corazzin a Treviso: 1910-25” – 1982 G. Sabbatucci, V. Vidotto: “Il mondo contemporaneo – dal 1848 ad oggi”. Laterza John Steinbeck: “Furore” – 1939. RCS Libri S.p.A. Milano 1940-2007 Collana “Strutture Ambientali” - Centro Internazionale Ricerche sulle Strutture Ambientali “Pio Manzù”, Verucchio (Rimini) L. Martinelli, L. Pinzi: “Dove ieri si fabbricavano bombe” – 2004 145 M. Ogniben, M. Piovesan, B. Vettorel: “In Cina non serve lavare piatti” – Sinnos Editrice 2006 Beppe Severgnini: “La testa degli Italiani” – RCS Libri S.p.A. Milano 2005 Libro: “Guida di Treviso e Provincia” – 1925 Settimanale diocesano “La Vita del Popolo” Quotidiano di Treviso “Il Gazzettino” Ringraziamenti Rino Franceschi Giuseppe Tassetto Pietro e Silvana Polon Policarpo Montini Franco Pozzebon Giovanni Billio Lino Bordignon Luigina Vettorello-Orsella Abramo Bellio Giuliano Callegari Renato Callegari Pro Loco Comunale di Paese Gioachino Agnoletto 146 SOMMARIO SALUTO DEL SINDACO................................................................................ 1 PREFAZIONE DI …………………………………… ................................................ 1 PROLOGO ................................................................................................... 1 UN COLPO DI SCENA................................................................................... 4 LA CIVILTÀ CONTADINA ............................................................................. 4 IL LAVORO AGRESTE NEL COMUNE DI PAESE ............................................ 8 LA COOPERATIVA AGRICOLA COMUNALE.................................................................................................... 12 L’AZIENDA AGRICOLA TONON............................................................................................................................ 17 IL COMMERCIO .........................................................................................18 I NEGOZI DI ALIMENTARI..................................................................................................................................... 23 I NEGOZI COMMERCIALI....................................................................................................................................... 25 OSTERIE E LOCANDE ............................................................................................................................................. 27 La Trattoria Parisotto di Postioma ................................................................................................................... 30 L’ARTIGIANATO E LE ATTIVITÀ PROFESSIONALI ......................................31 Paese: le attività negli anni Venti ..................................................................................................................... 37 Porcellengo: le attività nella prima metà del XX secolo ......................................................................... 40 Un artigiano d’altri tempi: Guerrino Callegari............................................................................................. 41 DONNE E IMPRESE ....................................................................................46 IMPRESE E AMBIENTE...............................................................................47 L’INDUSTRIA .............................................................................................48 LA “MARNATI & LARIZZA” (SIMMEL) .............................................................................................................. 50 LE INDUSTRIE MONTINI........................................................................................................................................ 51 IL PASTIFICIO VETTORELLO DI PORCELLENGO ....................................................................................... 56 I SERVIZI...................................................................................................58 147 I NUOVI SERVIZI ....................................................................................................................................................... 59 LE AZIENDE COMMERCIALI DI PAESE .......................................................60 ARTURO ROSSETTO ARREDAMENTI............................................................................................................... 60 BACCHION MARIA .................................................................................................................................................... 63 CENTRO COMMERCIALE “LA CASTELLANA” .............................................................................................. 64 CERAMICHE “IRIS” di Giordano Nasato......................................................................................................... 66 CITTÁ INFORMATICA TREVISO s.n.c.............................................................................................................. 68 COLUSSO FERRAMENTA DI PAESE.................................................................................................................. 70 CONSORZIO AGRARIO DI TREVISO E BELLUNO ........................................................................................ 71 COOPERATIVA AGRICOLA MONTELLO Soc. Coop. r.l. ............................................................................ 73 FOTO ALCIDE BARBISAN ...................................................................................................................................... 74 GAIVI s.r.l. ................................................................................................................................................................... 76 LA STORIA s.r.l. – Club degli Spaghetti .......................................................................................................... 78 MACELLERIA “POSTUMIA” di Martini Mario e Rino & C. s.a.s............................................................ 80 MACELLERIA MODESTO ....................................................................................................................................... 80 MINELLO ANGELO s.a.s. di Minello Sergio, Minello Antonio & C....................................................... 83 OROLOGERIA-OREFICERIA VISENTIN............................................................................................................ 84 P SERVICE s.r.l. di Postioma............................................................................................................................... 88 PAVAN ANGELO & FIGLI s.r.l. ............................................................................................................................. 89 TRADIZIONE MODA s.r.l........................................................................................................................................ 91 LE AZIENDE ARTIGIANALI DI PAESE .........................................................92 ARTE ORGANARIA di Alessandro Girotto ...................................................................................................... 92 BIONDO MARIO s.n.c. di Mario Biondo & C.................................................................................................. 96 BIONDO PIETRO dei F.lli Biondo s.n.c. .......................................................................................................... 97 CASA ORGANARIA SAVERIO GIROTTO .......................................................................................................... 98 COMET BILIBIO ....................................................................................................................................................... 100 FOTO DE MARTIN di De Martin Giuliano..................................................................................................... 101 G.P. di GIAMPAOLO POZZEBON ....................................................................................................................... 103 LATTONERIE PIVA s.r.l........................................................................................................................................ 104 148 MESTRINER & PICCOLI s.n.c............................................................................................................................ 106 MOBILI MARCONATO SILVANO........................................................................................................................ 108 PAESANA SERRAMENTI di De Marchi & Murer s.n.c. ............................................................................ 109 POZZEBON-MINOTTI & C. s.n.c........................................................................................................................ 110 S.I.L.L.C. s.n.c.......................................................................................................................................................... 112 TOP GRES di Gino Dalle Crode & Figli.......................................................................................................... 113 TREVIGIANA SCAVI di Porcellengo................................................................................................................. 115 VENDRAMIN CORRADO – FERRO D’ELITE ................................................................................................. 117 LE AZIENDE INDUSTRIALI DI PAESE........................................................118 ACQUA MINERALE SAN BENEDETTO S.p.A................................................................................................ 118 ARREDAMENTI MARIO MORETTI & FIGLI s.r.l. ....................................................................................... 122 BASSO Cav. ANGELO SpA COSTRUZIONI GENERALI.............................................................................. 123 BIASUZZI GROUP .................................................................................................................................................... 125 COSTRUZIONI BONAZZA di Bonazza Antonio & C. s.n.c. ..................................................................... 127 COSTRUZIONI EDILI GIROTTO......................................................................................................................... 128 GENERAL FILTER ITALIA S.p.A. ...................................................................................................................... 130 LUNAZZI TINTORIA INDUSTRIALE S.p.A. .................................................................................................... 132 MASTELLA s.r.l........................................................................................................................................................ 134 SEVERIN COSTRUZIONI GENERALI s.r.l...................................................................................................... 135 STAMPERIA NARDI S.R.L. – Screenprinting on textile since 1967.................................................. 136 LE AZIENDE SERVIZI DI PAESE ...............................................................138 LIDIA PIETROBON ACCONCIATURE............................................................................................................... 138 PAESE SERVIZI s.r.l. ............................................................................................................................................. 139 STUDIO FISIOTERAPICO-KINESIOLOGICO AGOSTINI cav. GIUSEPPE & FIGLI ......................... 143 EPILOGO..................................................................................................144 BIBLIOGRAFIA .........................................................................................145 RINGRAZIAMENTI ....................................................................................146 SOMMARIO ..............................................................................................147 149 150