IL FATTO Avvocatura Romana Anno MMCCVII Allo scopo di valorizzare l’occasione del conferimento delle medaglie d’oro ai Colleghi che hanno raggiunto i 50 anni di immacolato esercizio professionale ed ai Capi degli Uffici Giudiziari che hanno lasciato il servizio nell’ultimo anno, sono state indette manifestazioni in due giorni – venerdì 20 e sabato 21 dicembre 2002 – che sono state intitolate “Avvocatura Romana Anno MMCCVII” per enfatizzare la nostra qualificazione di essere l’Avvocatura più antica della civiltà giuridica occidentale: nell’anno 204 avanti Cristo fu infatti promulgata la Lex Cincia (o Lex Cinthia). Nella seconda giornata della manifestazione – impeccabilmente organizzata da Goffredo Barbantini e Donatella Cerè – ai festeggiati Colleghi e Magistrati è stato rivolto il seguente discorso. Colendissimi Signori Giudici Costituzionali e Presidente emerito della Corte, Signor Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Signor Sottosegretario, Collega nostro, Amico mio, Signor Presidente del Consiglio di Stato, Signori Presidenti della Corte di Appello e della Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti, Colendissimi Amici Magistrati e caro e stimatissimo Amico Avvocato Generale dello Stato Plinio Sacchetto, che - gli uni e l’altro - per aver tanto bene operato avete raggiunto i vertici della carriera e siete oggi nostri graditissimi Ospiti, Carissimi Colleghi, Maestri nostri, che avete con onore svolto per 50 anni il ministero forense, ricevendo ieri sera la medaglia d’oro, nella solenne intimità della nostra Aula, Signori Familiari degli Onorati, FORO ROMANO 5-6/2002 371 IL FATTO Chiarissimo Rappresentante del CNF, Colendissimi Professori, Maestri in rappresentanza delle nostre gloriose Università romane, Avvocati e Magistrati romani, che tutti avete pieno titolo per onorare i nostri “Seniores”, essendo anche Voi degni eredi della straordinaria tradizione culturale e professionale le cui origini affondano nel mito, Amici in rappresentanza delle Associazioni Forensi che si stanno avvicinando con amicizia al Consiglio, Giovani Colleghi, che assistete alla celebrazione dei meriti dei nostri Grandi, comprendendo che i pregi della Vostra giovinezza all’esordio professionale saranno più opportunamente esaltati nella prossima luminosa primavera, benvenuti tutti a questa nostra manifestazione di amicizia, di considerata stima e di compiacimento non immodesto, ma da tutti pienamente meritato. * * * Quale è il posto nel mondo dei nostri Avvocati e dei nostri Magistrati ? Q uando ancora potevo fare l’Avvocato e, particolarmente, in un periodo giovanile allorché avevo la fortuna di recarmi spesso in varie parti del mondo, osservavo, talvolta divertito, talaltra sbalordito, l’arretratezza culturale, il provincialismo etico-sociale di quegli altri ambienti giudiziari e forensi, pur appartenenti al mondo occidentale o - comunque - a paesi cosiddetti civili. In numerose altre occasioni già ho potuto segnalare mie esperienze a contatto con sistemi giuridici, giudiziari e negoziali, dalle connotazioni grottesche, ridicole: non ritengo di rinnovare qui, oggi, le mie invettive per quelle miserie, per tanta arretratezza. Vi assicuro che le nostre due gloriose categorie professionali, oggi qui tanto degnamente rappresentate, sono davvero le migliori del mondo. Ciò affermo con rigoroso senso di 372 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO responsabilità e di misura. Anzitutto per senso del dovere - ed in attuazione della giustizia distributiva e di quella retributiva cui siamo consacrati - va riconosciuto, va conclamato che noi siamo all’avanguardia etico-sociale e culturale nel nostro Paese, ma anche oltre i nostri confini, dove non esistono le nostre punte di diamante del progresso giuridico, dove non sono stati ancora raggiunti i traguardi della nostra avanzata civiltà: dove ancora esiste la pena di morte inflitta dallo stato (come in Cina), dove ancora si condanna un imputato senza un briciolo di motivazione (come negli Stati Uniti), dove si applica ancora il codice napoleonico (come in Belgio), dove il giudice istruttore che ha fatto incarcerare gli indagati fa parte anch’egli del collegio del tribunale della libertà, dove si reclamizza tanto volgarmente la professione forense come in Inghilterra, dove si leggono annunci economici di studi di procuratori legali che vantano di essere i più bravi a “preparare i testimoni” …… Tale nostro primato viene appannato anzitutto dalla benedetta attitudine ipercritica del nostro popolo, sempre pronto ad illudersi che in altri paesi tutto sia migliore. Certo è poi che il nostro stato contribuisce allo svilimento della mirabile funzione difensiva, lasciandoci operare in condizioni avvilenti di asfissia nei locali giudiziari troppo affollati, di demenziale attesa di 40 giorni per ottenere la copia di una sentenza, di bieco soffocamento della nostra vita per troppissime incombenze fiscalmente formali, di lotta continua per ottenere ai cittadini nostri pupilli una giustizia in tempi meno biblici …… e via elencando. Non meno sconfortanti sono le condizioni nelle quali il Magistrato è costretto a svolgere una funzione che pure dovrebbe essere considerata quasi sacrale. E’ in tale devastante situazione che, pure, siamo riusciti a reclamare costantemente un progredire, di cui i principi del giusto processo sono soltanto una tappa pur importanFORO ROMANO 5-6/2002 373 IL FATTO tissima, ma soltanto un traguardo, già superato nell’elaborazione interpretativa e dalla febbrile speculazione su nuovi e più avanzati principi. E’ questo nostro mondo che oggi noi dobbiamo esaltare, avendo rifiutato la compagnia qui di personaggi pur importantissimi, ma estranei alle nostre onorate categorie, personaggi che avrebbero cercato di fare qui una passerella, illuminandosi in questo evento che appartiene solo ai meritevoli. Lex Cinthia D i come noi Avvocati eravamo 2.207 anni fa - ed ancor prima - non possiamo dire molto in termini di certezze: la funzione difensiva sfuma nel mito e se ne può soltanto immaginare qualche iniziale connotato, inquadrandola nel mirabile sorgere dell’ordinamento giuridico, frutto dell’originalissimo estro romano. Altri oggi faranno qualche richiamo a quel periodo illuminato nel quale l’Avvocato doveva essere - ed era - vir bonus et dicendi peritus, proprio come deve essere - e come è - oggi. Il futuro si costruisce guardando al passato. Nella locandina di questa manifestazione abbiamo per vezzo menzionato la Lex Cynthia (ovvero, più filologicamente, ma meno eufonicamente: Cincia), legge promulgata nel 204 avanti Cristo: è beffarda la constatazione che già allora il compenso dovuto dal cliente al patrono era per legge inesigibile. Il cliente poteva tutt’al più “onorarsi” di sdebitarsi in qualche modo per il beneficio ricevuto da chi non aveva diritto di pretendere alcunché. Ora il nostro sistema tariffario, attualmente arretrato di oltre 8 anni, è inflazionato di controlli, pareri obbligatori e calmieri, venendo le nuove tariffe proposte colpite da tanti ostacoli, posti da varie leggi, tanto da far considerare più liberalizzata la vendita del pane del cui calmiere tutti sono a conoscenza. 374 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO Da tanto livore nei nostri confronti noi siamo duramente colpiti, ma andiamo orgogliosi del nostro coraggio di dire e della nostra voglia di fare che da sempre fanno ombra al potere. L’intollerante Napoleone avrebbe voluto tagliare la lingua agli Avvocati, all’Avvocato Cicerone tagliarono la testa, in molti paesi del terzo mondo nostri Colleghi vengono perseguitati, da noi ci rendono la vita penosa, colpendoci in ogni modo, perfino nei sacrosanti compensi. Il ruolo dell’Avvocatura romana in Italia I l Consiglio dell’Ordine attuale è un governo che piace agli Avvocati romani: saremmo ciechi se non ce ne fossimo accorti. Tanto evidente consenso è frutto soltanto della determinazione di riacquistare il prestigio che è l’unico capitale del singolo Avvocato, così come dell’intero Ordine. Le vicende che avevano portato al commissariamento dell’istituzione avevano attirato una luce negativa, ma già da tanti anni l’attività consiliare in tutti gli Ordini forensi si trascinava stancamente, senza offrire resistenza all’invadenza di altre categorie, che fossero i periti di infortunistica stradale, così come i consulenti del lavoro, i commercialisti, i notai, le aziende straniere di consulenza ed assistenza stragiudiziale, che hanno colonizzato perfino il settore delle privatizzazioni e delle dismissioni di patrimoni pubblici. A fronte di tanto colossale, variegata rapina a danno della categoria forense registriamo da anni anche l’inserimento nel campo dell’assistenza legale stragiudiziale di sindacati, di patronati e da ultimo di alcune sedicenti organizzazioni di pretesa tutela di consumatori, in realtà spesso niente di più di aziendine familiari, dalle quali vengono tenuti lontani gli aspiranti soci, per tenere appunto l’affare in famiglia. Grandi organizzazioni pubbliche e private, erogatrici di servizi pubblici, banche, istituti assicuratori, enti locali FORO ROMANO 5-6/2002 375 IL FATTO accettano però con entusiasmo simili “tutori” dei consumatori, agevolandone l’intervento, a danno di una vera, esperta assistenza legale professionale, perché a tali giganti dell’economia fa comodo trattare con sprovveduti, sedicenti sceriffi, che, per di più non sono controllati spietatamente da severe istituzioni forensi, ne’ da norme deontologiche sulla correttezza ed il conflitto di interessi. Ma cosa hanno fatto proprio le istituzioni forensi - oltre ad essere severe con i propri iscritti - dinanzi a tanto micidiale, corrosivo assedio . ? Negli ultimi decenni le istituzioni forensi, anziché rivendicare il primato dell’Avvocatura quasi ovunque trascuravano addirittura di coltivare l’orticello. In molti Consigli di Ordini i componenti, anziché impegnarsi ossessivamente - a favore dei cittadini e di tutti noi - a combattere il male di tanti surrogati dell’avvocatura, si limitavano a fare gli avvocati, contenti del pennacchio di consiglieri. E’ occorso allora un nostro impegno spasmodico, eccezionale, mentre - comunque - la nostra attività istituzionale “normale” è già di per sé ingigantita, sia per il lievitare di tutte le funzioni consiliari in dipendenza del costante aumento del numero degli iscritti, sia per l’attribuzione legale di numerosi e gravosi nuovi compiti, quali l’organizzazione delle difese di ufficio, l’ammissione al patrocinio a spese dello stato dei non abbienti, la pareristica nuova in tema di prestazioni difensive per i non abbienti: soltanto per le prestazioni difensive in campo penale per i non abbienti quest’anno abbiamo già emesso oltre 10.300 motivate delibere consiliari sulle note specifiche di onorati sottoposteci. Di fronte agli importantissimi, quanto gravosi, nuovi ruoli, così attribuiti dalle leggi alle istituzioni forensi, ci sarebbe da schernire i malevoli che 2 e 3 anni fa fantasticavano di sopprimere gli Ordini forensi. L’impegno più appassionato è stato però dedicato da questo Consiglio dell’Ordine forense romano, che da meno di 376 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO due anni governa l’eletta schiera, all’affermazione di un nuovo rinascimento, alla conquista doverosa di una inevitabile leadership tra le 165 istituzioni forensi meno grandi, con impegno ossessivo a favore di tutta la categoria. Tra le tante iniziative concrete merita menzione il successo nella resistenza al progetto di legge “Marzano-Valducci”, mirante a far abbandonare centinaia di migliaia di danneggiati alla mercè degli istituti assicuratori, privandoli dell’assistenza legale nella fase stragiudiziale e privando così anche i legali di un grande settore di onesta attività che finora aveva dato filo da torcere alle controparti. Non è possibile delineare le enormi dimensioni di questa vittoria, che ha conservato ai cittadini il sacrosanto diritto all’assistenza legale e ad una rilevante percentuale di professionisti forensi l’onesto pane quotidiano. Tale successo, ovviamente, giova non soltanto agli Avvocati romani, ma anche a quelli di ogni altro foro. Potremmo analogamente vantare numerose altre iniziative di ferma tutela dei cittadini e della categoria ma, per il limite di tempo che mi sono imposto, quale paradigma del nostro impegno spasmodico dovrà bastare l’esempio di quel successo. Non ci si è sottratti a scontri anche all’interno della categoria: non abbiamo esitato ad abbandonare l’Organismo Unitario dell’Avvocatura alla sua decadenza, dopo averne constatato la verbosa inadeguatezza a rappresentare la categoria; gli attivisti forensi interessati a quell’Organismo Unitario ci hanno rivolto qualche contumelia, ma una maggioranza “bulgara” di Colleghi romani ci ha confortato nella nostra scelta. Altri contrasti sono sorti con il Consiglio Nazionale Forense, non volendo noi accettare che quell’organo giurisdizionale pretendesse pure di rappresentare la categoria (pretesa imbarazzantemente velleitaria per un organo giurisdizionale, organo che ha poche e precise attribuzioni legali, tra le quali non vi è certo la rappresentanza della nostra categoria). FORO ROMANO 5-6/2002 377 IL FATTO Analogamente non abbiamo esitato a rifiutare di raccogliere coattivamente per il Consiglio Nazionale Forense il contributo capitario annuo di 50.000 lire da ciascuno delle migliaia di Colleghi romani, contributo preteso in forza di una remota disposizione legale precedente e contrastante con il sopravvenuto principio costituzionale in materia. Anche per tale fermezza ci siamo attirate sorde polemiche e minacce di azioni nei confronti dei nostri iscritti per la mancata nostra esazione di quel contributo. Pur umanamente dispiaciuti per tale contrasto, non ci siamo piegati e siamo pronti a reagire con durezza se i nostri iscritti venissero attaccati. Peraltro, pur nella convinzione di essere nel giusto, ci auguriamo sinceramente che si trovi una composizione della controversia, che sia onorevole per il CNF e per l’Avvocatura romana. Abbiamo tenuto alta la testa anche quando altri inaccettabili attacchi ci sono stati rivolti da qualche personaggio che - pur in alta posizione - avrebbe fatto meglio a non sentirsi offeso nella propria vanagloria da critiche sacrosante all’operato ministeriale, oppure da critiche sacrosante all’inefficienza organizzativa giudiziaria. La straordinaria attività del Consiglio in questi indimenticabili 22 mesi (appena) non è stata limitata a ricostituire il prestigio, unico nostro capitale nella società, ma abbiamo anche costruito nei cuori un forte senso di appartenenza, inventando una enorme attività culturale, alla ricerca dei saperi di fronte al nulla che avanza. Per tanto perseguire, abbiamo applicato ben sei Consiglieri alle attività culturali ed a quelle sociali, che ci vengono da tutti invidiate e che spaziano dalle “sfrenate” iniziative convegnistiche e di ricerca scientifica del Centro Studi, alla formazione degli aspiranti Avvocati svolta superbamente dalla Scuola Forense Romana “Vittorio Emanuele Orlando”, dalla nostra gloriosa rivista “Temi Romana”, al Notiziario (pubblicazioni che nella nuova veste contenutistica e grafica 378 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO ci dicono essere tanto apprezzati), dai corsi speciali per difensori di ufficio, per curatori fallimentari, sul diritto minorile, alle attività culturali più classiche (quanto estrose: dall’arte drammatica alla concertistica, alle frequenti visite culturali) dagli intrattenimenti giovanili collettivi, alle frequenti spedizioni all’estero e, last but not least, una appassionante quanto fortunata attività sportiva (dalla vittoria a Malta al campionato mondiale di calcio per avvocati, prevalendo su 54 squadre (contro giapponesi, argentini, tedeschi, olandesi, spagnoli: ero terrificato dalla loro bravura ma abbiamo vinto noi), alla vittoria alla corsa campestre, alle gare di vela di cui sono in corso le selezioni (con magistrati, notai, avvocati di altri fori: abbiamo vinto noi). Tanto noi facciamo, amministrando un numero di persone attivissime più che doppio di quello degli amministrati dal CSM, solo che noi non abbiamo autisti, ne’ autovetture con i lampeggiatori, ne’ palazzi, né tanti dipendenti. La nostra attività è amatoriale e per questo tanto appassionata. Il ruolo dell’Avvocatura romana all’estero A bbiamo abbandonato gli schemi della distratta parte cipazione a tante associazioni forensi internazionali, che sono una scialba proiezione delle ben più vive associazioni forensi italiane: abbiamo assunto un ruolo di primissimo piano nella costituzione dell’Ordine forense internazionale, guadagnandoci tale preminenza con il nostro fermo attacco al monopolio canadese delle migliaia di ben remunerate difese di ufficio dinanzi ai Tribunali penali internazionali; abbiamo sostenuto le nostre ferme, oserei dire magistrali, contestazioni affermando il nostro modello istituzionale e professionale a Parigi, a L’Aja, Montreal, infliggendo il colpo di grazia al monopolio altrui lo scorso luglio alla conclusione dei lavori della conferenza preparatoFORO ROMANO 5-6/2002 379 IL FATTO ria della Corte Penale Internazionale a New York e, pochi giorni dopo, alla conferenza intergovernativa di Roma. Fra tre mesi sarà finalmente costituito l’Ordine forense internazionale con un nostro decisivo ruolo. Insomma, non possiamo non compiacerci per quanto abbiamo ottenuto in termini di rispetto per l’Avvocatura romana e di considerazione per il nostro modello istituzionale e professionale, contro la colonizzazione nordamericana cui nessuno finora si era opposto. In aggiunta a tali risultati va severamente ribadito che è tramontato il tempo del festaiolo turismo forense: non si deve andare più all’estero occasionalmente, per fare una gita a spese dei nostri Colleghi, senza neppure degnarsi di svolgere una relazione. Lasciamo perdere, …… tanto le migliaia di Colleghi romani non danno ascolto agli ormai pochissimi che rimpiangono quelle gite. Ancora in tema internazionale e fuori delle appartenenze alle dette inutili associazioni internazionali, possiamo citare la nostra entrata in gioco nella penetrazione cultural-giuridica nel mondo giuridico cinese, ove è stato adottato il modello civilistico italiano. Ci hanno anche cercato per collaborare alla formazione di un nuovo corpo di giuristi nel distrutto Afghanistan, per cooperare a far rifiorire la civiltà tra le macerie. Ognuna di tali nostre attività meriterebbe una conferenza, ma valgano i cenni che ho fatto per far cogliere la possente portata del nuovo interesse dell’Avvocatura romana in campo internazionale. Le tante, recenti affermazioni dell’Avvocatura romana costituiscono il serto di alloro che offriamo ai nostri “Senioners”, ai quali ieri pomeriggio e questa mattina riconosciamo il ruolo di nostri Maestri di cultura e di vita. Oggi consegneremo le medaglie d’oro all’Avvocato Generale dello Stato ed ai Magistrati che hanno lasciato i vertici 380 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO degli Uffici Giudiziari: li chiameremo per nome tra poco. Adesso è doveroso l’omaggio ai nostri Avvocati con 50 anni di immacolato esercizio professionale: Ve ne leggo i nomi con emozione; in due casi l’emozione cede alla commozione trattandosi di due Amici scomparsi pochi giorni fa, quasi alla stessa ora. Sono Paolo Agostinelli e Francesco Ciccotti, ne abbracciamo i Familiari con devozione ed affetto. Gli altri 41 Colleghi, che per 50 anni hanno subìto la fascinazione della consacrazione forense, sono: Avv Franco Agostini, Avv Massimo Antinucci, Avv Alessandro Bazzani, Avv Sergio Belardini, Avv Mario Beviglia Zampetti, Avv Francesco Caffarelli, Avv Sebastiano Calafiore, Avv Antonio Cauti, Avv Enrico Cesareo, Avv Vincenzo Colacino, Avv Otello Colapietro, Avv Lucio De Angelis, Avv Nicola Maria De Angelis, Avv Francesco De Leva, Avv Andrea Mattia De Marsanich, Avv Albero Dente, Avv Dario Di Gravio, Avv Giuseppe Frataccia, Avv Lorenzo Frattarolo, Avv Ugo Genovese, Avv Agostino Guidone, Avv Aurelio Improta, Avv Dante Martinelli, Avv Alessandro Mazzoni, Avv Mauro Mellini, Avv Antonio Montanaro, Avv Alberto Noé, Avv Aldo Pannain, Avv Maurizio Paoli, Avv Ennio Parrelli, Avv Attilio Pesaturo, Avv Enrico Primavera, Avv Renato Recca, Avv Giuseppe Rizzacasa, Avv Mario Russo, Avv Aldo Sabelli, Avv Giuseppe Schillaci, Avv Vittorio Spinazzola, Avv Nicolino Stella, Avv Gastone Tommassini, Avv Guido Varano. * * * Amici carissimi, nell’augurarci di essere degni di Voi, il Consiglio Vi ringrazia e Vi augura buon Natale. fb FORO ROMANO 5-6/2002 381 IL FATTO APPENDICE Discorsi, discorsi di Ennio Parrelli del 21.12.2002 (pag. 382) di Giovanni Paleologo del 21.12.2002 (pag. 388) di Federico Bucci del 18.01.2003 (pag. 399) Risparmiandoci il discorso reso dal nostro Presidente nell’Aula Avvocati del Palazzo di Giustizia il pomeriggio del 20 dicembre 2002, in occasione del conferimento delle medaglie d’oro ai Colleghi che avevano esercitato lodevolmente la professione forense per 50 anni, merita segnalare la brillante allocuzione rivolta – a nome degli emozionati nostri Seniores – dal Collega Mauro Mellini, che non ne ha redatto il testo. *** Per i nostri giovani Colleghi ho svolto un efficace intervento Simona Simeoni. *** L’indomani - sabato 21 dicembre - ha reso il suo intervento un altro “medagliato”, nostro ex Consigliere Segretario, il quale ha tratto le mosse dalla lex Cincia, alla quale erano intitolate le celebrazioni dei Colleghi nostri Maestri. Ecco il testo appassionato, appassionante e dotto del discorso di Ennio Parrelli. G entili Signore, Signori, Autorità, Magistrati, Avvocati dello Stato e Colleghi del libero Foro, da ultimi, ma più vicini al tema che mi è stato proposto e soprattutto dal mio cuore. Lo spunto per questo intervento mi è stato offerto con la Lex Cincia che, come noto, non è riferibile al passeraceo variopinto di egual nome. E subito mi sono chiesto quale sia 382 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO la specialità della legge e come possa oggi ricollegarsi agli avvocati e, in specie, agli avvocati che hanno concluso un così lungo arco di tempo professionale. Vediamo un po’. È noto che la proposta legislativa risale al 204 a.C. e propugnatore ne fu il Tribuno Marco Cincio Aliménto, debitamente sostenuto da Fabio Massimo (il Cunctàtor). La normativa era diretta a regolamentare le donazioni e fu formulata non come divieto di donare, ma di ricevere donazioni oltre un certo importo. Nel tempo la ragione fondante divenne la necessità di contrastare gli eccessi di arricchimento di un soggetto ai danni di altri soggetti a lui estranei. Sempre nel tempo, fu allargato il novero delle eccezioni al divieto fino a diventare illimitato tanto da relegare la legge Cincia nella parte più nebulosa della storia, dalla quale oggi, e in questa sede, riemerge quale erudito divertissement sérieux. Vien da dire con Eschilo nel Prometeo “il tempo, quel vecchio perenne, insegna di tutto alla fine”. Già, ma occorre anche dire che la legge era fin dall’origine catalogata tra le imperfette poiché il divieto delle donazioni non era sorretto da alcuna sanzione, salvo la facoltà di rivolgersi al Pretore e, quindi, di percorrere l’iter giudiziario. Ahinoi, sappiamo da sempre le lungaggini e gli incerti esiti delle liti congiunti alle stelle nel loro destino, se perfino Esiodo se ne duole nelle “Opere e giorni”. Non sarà che questo destino, direbbero i nostri detrattori, dalla nascita all’oblio della legge, trae cagione anche dal fatto che il divieto di ricevere donazioni si estese subito ai compensi degli avvocati per i quali si approdò perfino a sostenere che le loro prestazioni on dovessero essere retribuite, e da Augusto fino a… Nerone trovò sostenitori autorevoli e potenti, alla fine, inani. Ma prendiamola in positivo. Saltiamo, quindi, a Sant’Ivone nostro protettore e arcinoto per il suo “Advocatus et non latro FORO ROMANO 5-6/2002 383 IL FATTO res mirando populo” per approdare, con un salto necessitato di limiti obiettivi di questo intervento, a Sant’Alfonso de Liguori che formulò, tra l’altro, per l’avvocato “le dodici regole morali”nel suo aureo libretto “Degli obblighi de’ giudici, avvocati, accusatori e rei”. Perché, come è ovvio e come sappiamo in specie al tempo odierno, ci siamo tutti nella macchina giudiziaria e nei suoi guai. Delle dodici regole morali la conclusiva riassume i fondamentali requisiti per un avvocato, validi ancora oggi, e li indica nella scienza, nella diligenza, nella verità, nella fedeltà e nella giustizia. Non so se ci par poco! È, comunque, l’approdo al quale si perviene e si ancora tutt’oggi il buon esercizio della professione forense, che a partire dall’antica memoria di Cincio é passato attraverso alterne vicende sempre più attivando il senso di responsabilità dell’avvocato verso se stesso, verso i colleghi, verso la giustizia e verso la società. Sembra giusto ed equo rammentare che i nostri Consigli dell’Ordine hanno recepita ed estesa la vigilanza sull’esercizio professionale perché sia probo. E volentieri si dà atto che, in particolare, il nostro Consiglio dell’Ordine è tra i più solleciti. Non vorremmo passare sotto silenzio che il potere di autogoverno, particolarmente quello disciplinare, costituisce l’irrinunciabile presidio di cosa, incapace non solo di difendere l’altrui libertà, quanto la propria stessa che garantisce l’altrui. Se così non fosse, per la libertà dell’avvocato avremmo un vulnus che, sia pure per diversi, ma paragonabili fini il Pagano ammoniva che “Né solo col fatto ma colla potenza eziandio, ancora che non si arrechi violenza alcuna, offendesi la libertà. La sua delicatezza si è pur tale e tanta, che ogni ombra l’offusca, ogni più lieve fiato l’aduggia”. Come avvocati abbiamo la consapevolezza che partecipiamo in ogni controversia ad una “contesa” nella quale non è mai facile separare la passione dalle ragioni. Ma noi dobbiamo ricordare che la “Contesa” era una divinità che Esiodo 384 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO definisce “dal cuore violento… - e – odiosa…”, per ricercare e dipanare, con paziente onestà, il filo sincero che in ogni lite, attraverso le opposte ragioni, ci può condurre a prevenirla o quanto meno a scioglierne i nodi nel modo più possibile sereno. Ed è nella lite che, in ruoli diversi, avvocati (sia dello Stato che del libero Foro) e magistrati concorrono ad attuare la legge statuale che nel diritto in generale è il momento più rilevante e cogente. Concorrono (se l’immagine mutuata da Hegel, non appare azzardata) a realizzare il diritto quando questo rappresenta “l’ingresso di Dio nel mondo”. La letteratura, maggiore e minore, con la storia è ridondante di invettive ed elogi anche per i magistrati. E, per accomunarli agli avvocati anche nella citazione, potremo ricordare ancora una volta Esiodo che inveisce contro le decisioni emesse da “giudici, divoratori di doni” per esortarli a dimenticare “per sempre le vostre (le loro” inique sentenze”. E dunque, tante ombre per tutti noi, ma anche tanta luce; quella che accompagna le innumerevoli severe coscienze nelle quali si rispecchia il retto sentire in una con l’onesto operare, con la consapevolezza che l’adempimento del proprio dovere è sempre disadorno. Quanti magistrati ho incontrato e quanti così ne ricordo. In alcuni casi sentii il dovere di scrivere ai giudicanti lodando la correttezza della loro decisione. Erano, peraltro, decisioni sfavorevoli al mio cliente e rese da giudici di ben lontani distretti e nei quali solo occasionalmente mi ritrovai ad operare. Ne ebbi sempre una risposta commossa e grata e, sia detto con rammarico, con loro non ho più avuto occasione d’incontro. Anche ricordo, quando – recandomi in udienza, sempre con una certa trepidazione – sapevo che andavo ad apprendere da quella che era la nostra palestra sperimentale. Lo so, erano altri tempi, quando con l’abiurato vecchio codice di procedura, dalla notifica della citazione al deposito FORO ROMANO 5-6/2002 385 IL FATTO della sentenza potevano passare persino dieci, dico…anni?, ma no, dieci mesi! Allora, però, i giudici avevano mediamente un carico sul ruolo di 500 cause!! Alla fine di cinquanta anni di esercizio professionale debbo ammettere di dovere tanto, e tanto assai, alla mia attività di avvocato durante la quale ho certamente più appreso e preso che dato. Se dovessi riassumere il mio maggiore apprendimento direi, parafrasando Miguel de Unamuno, che l’attività dell’avvocato non ha certezze né riposo, ma può essere vissuta in modo appassionantemente buono. Non so quale debba essere attualmente l’approccio migliore, ma so quello che si riteneva per buono e che mi fu consegnato e che ho cercato di praticare. Intendo riferirmi al primo e fondamentale approccio, a quello cioè con il cliente il quale non è mai una pecora da tosare né può essere riguardato come semplice contribuente al raggiungimento dei nostri bilanci economici. Egli è una persona che viene a confidarci un suo bisogno, una sua necessità che quasi sempre è umana ancor prima che materiale. So per esperienza che i compensi verranno e saranno dati e ricevuti con consensuale soddisfazione se tra professionista e cliente si sarà creato un comune sentire, solidale e di correttezza. Non sarei sincero se non iscrivessi, in una sorta di sintetico ricordo complessivo, il riconoscimento che la mia vita di avvocato è stata anche pubblicamente piena. Ed infatti, ho svolto l’attività per l’allora Sindacato Avvocati (ora Associazione Forense Italiana) in posizione esponenziale; sono stato tra i fondatori dell’O.U.A. – Organismo Unitario Avvocati – di cui ho presieduto l’Assemblea permanente nazionale; sono stato delegato alla Cassa di Previdenza; sono stato Consigliere e Segretario del nostro Consiglio dell’Ordine. In questo ultimo incarico, che specialmente ricordo, ho potuto approfondire la conoscenza dell’Ordine nel suo insie386 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO me e i tanti casi dei singoli Colleghi; ho affinato la mia sensibilità deontologica e ho avuto la fortuna di lavorare con tanti bravi Colleghi, che nell’insieme calorosamente abbraccio. Senza voler far torto a chi non menziono, ricordo in particolare Pietro d’Amelio, con il suo lucido e severo equilibrio, e Franco Coppi, maestro penalista al quale pubblicamente confessavo di rimanere affascinato dal suo ragionare e dalle sue esposizioni, tanto che mi prendeva i desiderio di assistere a qualche sua lezione universitaria. Non posso dimenticare, infine, l’amico Giovanni Cipollone che, talvolta appare ingenuo solo perché è, appunto, libero e ha saputo conservare la freschezza del fanciullo nell’essere compiutamente uomo. Nello scorcio degli ultimi anni ho avuto anche la ventura di essere deputato della XIII legislatura, dove ritengo di aver portato, sempre e con orgoglio, la mia testimonianza di avvocato. Debbo, infine, dire che l’umiltà di essere disposti all’ascolto per apprendere è una delle qualità essenziali che si richiede all’avvocato, e che la vita a me ha insegnato, talvolta aspramente quando ne ero dimentico. Debbo pertanto ritenere che ai requisiti richiesti da Alfonso de Liguori sia opportuno aggiungere la riflessione di Junger perché “è d’uopo distinguere fra il sapere qualcosa semplicemente e l’esserne persuasi”. In modo particolare l’avvocato deve essere intimamente persuaso che le sue scelte operose sono conformi a scienza, a diligenza, a fedeltà e giustizia. E poiché chiudo con un saluto riconoscente a tutti i presenti, mi sia permesso di chiedere venia per quanto posso aver detto errando, ma con un grazie a questa vita di avvocato che mi consente di dire con forza e allegria come Danao quando esce di scena: “…Si sono vecchio, ma fresco nel fondo di me, e sciolto di lingua”. *** FORO ROMANO 5-6/2002 387 IL FATTO Dopo l’interessante, brioso intervento di un giovane Avvocato, la Collega Cristina dello Siesto, ha preso la parola il Presidente della IV Sezione Giurisdizionale del Consiglio di Stato, Dott Giovanni Paleologo per i Magistrati che, nell’anno scorso, avevano lasciato i vertici degli Uffici Giudiziari e … … lasciato uno straordinario ricordo, ricevendo anch’essi la medaglia d’oro. Le parole del nostro illustre ospite: S ignor Presidente, Signore e Signori! richiestod’esprimere i ringraziamenti dei magistrati ordinari e dei membri del Consiglio di Stato e della Corte dei conti che ricevono alla cessazione delle loro funzioni una medaglia-ricordo dall’Ordine degli Avvocati di Roma, non è senza titubanza che prendo la parola dinanzi ad altri festeggiati di anzianità maggiori della nostra. Perché gli avvocati che l’Ordine intende egualmente onorare in un’unica cerimonia al compimento del cinquantennio della loro professione esercitano evidentemente da più di cinquant’anni. Questo non può essere detto di me, laureato bensì nel luglio 1952 ma entrato in magistratura soltanto nel 1955. Né di alcuno di noi. E’ vero che la legge, anche quando fosse nel futuro un poco ampliata, difficilmente permetterebbe a pubblici dipendenti di restare nelle funzioni di giudice per oltre mezzo secolo! Ad ogni modo, benché imbarazzantemente giovane, accolgo volentieri l’invito ad esprimere il nostro grazie sincero per un riconoscimento di cui conserveremo tutti memoria gratissima. Ai ringraziamenti vorrei aggiungere alcune osservazioni. *** Due cose sull’opera degli avvocati, rappresentati dall’Ordine che ci ospita. 388 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO Anzitutto ch’essa mi ha sempre colpito per la cordialità verso i colleghi. Eppure l’ufficio di patrono è quello di curare gli interessi dell’assistito opponendosi come meglio sa e può a quelli dell’avversario, ed all’attività del difensore di lui. Gli avvocati adempiono a ciò con scrupolo, accanimento e trepidazione. Ma con quanta obiettività nel descrivere la situazione storica, al fine di rappresentare i fatti pacifici in causa su cui, ad esempio, si fonda largamente il mio processo, che è il processo amministrativo! E prima, durante e dopo il dibattito, con quante evidenti considerazione e stima per i colleghi che fronteggiano! Che differenza rispetto ad altre professioni, le quali non implicano opposizione fra parti e mirano invece concordemente al benessere di ciascun membro del pubblico; professioni i cui esercenti danno più spesso l’impressione di accesi contrasti e reciproca inimicizia! Altro aspetto dell’opera degli avvocati al quale sono stato sempre sensibile è l’equanimità di cui essi danno prova verso i provvedimenti del giudice. Quante volte non sono rimasto io stesso sorpreso, nel trattare in camera di consiglio affari su cui avevo lungamente riflettuto, nel constatare la piega della discussione ed il tenore delle sue conclusioni! O perfino l’evoluzione degl’indirizzi generali del collegio, rispetto a date non lontane. Non tutte le ragioni considerate, anche in diritto, si riflettono di norma in modo adeguato nella motivazione della pronunzia. Né alcuno dei difensori potrebbe conoscere, prima del radicamento del grado di lite, quali saranno tali indirizzi, al tempo futuro della decisione. Eppure i patroni delle parti, sottoposti come sono al fuoco degli interessi, delle impazienze e delle passioni dei loro difesi, ricevono e valutano con serenità sentenze sfavorevoli che non avrebbero potuto completamente prevedere. E credo giustifichino spesso in cuor loro i giudici, più di quanto FORO ROMANO 5-6/2002 389 IL FATTO quelli perdenti abbiano giustificato in camera di consiglio le opinioni contrarie. Questa calma, questa accettazione e bontà d’animo, questo residuo dello sguardo del fanciullo senza il quale non si entra nel Regno dei Cieli, mi hanno sempre ammirato. *** Nel lasciare l’attività giudiziaria anch’io faccio, come tutti, un riassunto sommario del tempo cui ho assistito. Esso ha visto - mi pare - per la più gran parte del suo corso un peggioramento del servizio. Varie le ragioni di ciò. L’aumento complessivo della ricchezza e della cultura, la loro distribuzione più larga e meno ineguale, il sorgere d’innumerevoli persone e quasi-persone giuridiche, le regole e sanzioni capillari d’un mondo sempre più stretto, il conseguente proliferare dei rapporti, la ricerca approfondita di controllo sulle autorità, anche giudiziarie, hanno condotto ad un moltiplicarsi di giudizi, e d’incidenti nel giudizio, che la Repubblica non ha saputo tempestivamente assorbire. Da qui crescenti arretrati, con effetti varî ma tutti lontani dalla realizzazione della giustizia: smisurati vantaggi per lo stato di fatto; lunghissime, debilitanti e dispendiose attese; ed infine soluzioni per il loro stesso ritardo insoddisfacenti, quando non ormai del tutto inutili, oppure fonti di danni sproporzionati ed ulteriori, anche per terzi. La piena portata di questa situazione è apparsa ancor più insostenibile, quando confrontata con lo stato dei giudizi presso i nostri sopravvenienti partners europei, e sottoposta al vaglio degli impegni internazionali che noi stessi avevamo volontariamente assunti nella materia. Non credo, infatti, alcun Paese della Comunità abbia giudizî così lunghi come i nostri. Ecco quindi un effetto certamente benefico della Comunità Europea e dei movimenti internazionali di giustizia. 390 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO Il nostro cinquantennio si chiude così con un impulso verso il riordino dell’attività giudiziaria, con l’adozione dei primi idonei provvedimenti legislativi ed anche - mi pare con un’inversione di tendenza sui tempi di quell’attività. *** Da qui l’altra parte di questo discorso: con quali speranze io lasci la magistratura. Speranze che sono di necessità esclusivamente personali. Cessato dal servizio mi pare giusto ch’io esprima in quest’autorevole assemblea e per quello che valgono, alcune opinioni. Queste possono riassumersi in quattro punti. Anzitutto vorrei fosse, d’ora in poi, chiara ad ognuno la differenza tra diritto come costruzione logico-dogmatica e come fenomeno storico-effettuale. Ed il fatto che ove una di queste due facce sia difettosa, il sistema nel suo complesso non va. Il diritto è, da un lato, una costruzione logica aderente ai dati fissati dalle norme esplicite e che fornisce, per via di successive coerenti deduzioni, la valutazione di ogni stato di fatto. In questo la dottrina italiana mi sembra effettivamente avanzatissima. Ognuno ricorda libri splendidi che hanno accompagnato la sua vita. Simile ad un romanzo giallo era per me quello sui titoli di credito di Asquini; e chiari come il nostro migliore giornalismo quelli, pur così profondi, di procedura civile di Chiovenda o di frammenti d’un dizionario giuridico di Romano. Qui la semplicità è cartesiana e l’ordine perfetto. Ma il diritto non è solo questo. E’ anche idoneità a venire effettivamente applicato in tempo utile, e temuto e riverito da tutti per l’immancabilità della sua attuazione: i giudici sono stati definiti, in Inghilterra, come i leoni sotto il trono. E’ fonte di certezza legale. Legale perché non più discutibile e per ciò stesso superiore all’infinita accademia. Va ripetuto che la giustizia è certezza. Non certezza FORO ROMANO 5-6/2002 391 IL FATTO arbitraria ed illogica. Ma neppure dibattito svolgibile per sempre. La bontà e coerenza d’ogni soluzione restano in ogni caso opinabili. Il tempo impiegato a raggiungerla è invece misurabile esattamente. Su di esso non possono esservi dubbi. Da esso deriva buona parte degli effetti dell’intervento statale. E’ qui che il nostro sistema fa acqua. Tale sistema è creato per gli uomini. E gli uomini hanno vita finita ed interessi rivolti al futuro prossimo. Il meglio è nemico del bene. Il meglio tardivo è del resto in sé talora impossibile, quanto alla ricostruzione dei fatti. Comunque, è spesso inutile, e persino complessivamente dannoso. Occorre invece distinguere gli affari per importanza, anche economica, e per caratteri salienti. E prevedere per liti di natura tanto diversa fra loro percorsi ugualmente dissimili. A ciò stiamo cominciando a porre mano sul serio. Ben vengano i giudici di pace. Se ne amplî via via notevolmente il raggio d’azione. Li si educhi all’adempimento di compiti di buon senso nella soluzione rapida dei conflitti minori. Io credo tutti accetteremo il rischio di subire in quei casi - trasgressioni stradali, altri piccoli reati, affari civili di poca consistenza - decisioni rapide ma forse non rispondenti appieno ai dettami del diritto, purché si sia certi che nelle controversie maggiori i tribunali più alti possano ascoltarci subito ed attentamente, e presto più finemente decidere. Si dice talvolta che l’opera dei giudici onorari sta assai rivalutando nell’opinione pubblica quella dei giudici togati. A me pare invece che i primi rappresentino, sotto il profilo quantitativo, il futuro della nostra giustizia. Sempre del resto ci sono state note le ragioni che inducono a preferire la giustizia onoraria in date materie, come in quella tributaria salvo l’eccezionale possibilità di controlli finali da parte di corti supreme. Per similmente complesse ragioni vi sono materie, come il giudizio amministrativo, che non si prestano mai all’intervento della giustizia onoraria. Certo, anche l’opera di questi giudici va curata e migliora392 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO ta. E gli avvocati possono in larga parte cooperare ad irrobustirne le fila. *** Secondo. Il doppio grado di giudizio è effettivamente utile, almeno di regola. Benché molti giudici che ne sottolineano la generale necessità - come la nostra Corte costituzionale, la Corte di giustizia della Comunità europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo - giudichino poi essi stessi, sempre o molto spesso, in unica istanza. Il doppio grado sembra più discutibile in casi piccolissimi od - all’opposto dello spettro - in quelli che non tollerino ritardo o rovesciamento di pronunzie. Comunque, tutto sta a vedere come s’intenda il principio. Allo stesso modo ha bisogno d’interpretazione la regola per cui ogni parte interessata al giudizio debba essere rappresentata in ogni suo stadio: in qualche Paese si crede perfino che debba essere effettivamente presente, sicché basterà restare latitanti perché il giudizio penale non possa celebrarsi. Infiniti sono poi i soggetti potenzialmente interessati ad ogni affare. Non per questo - mi sembra - può richiedersi che siano tutti chiamati in giudizio, o consentirsi che tutti impugnino la sentenza resa fra altre persone. E tanto meno può farsi decorrere il tempo loro dato per impugnare, dalla conoscenza effettiva di questa. Ad una personalità straniera che ho avuto occasione di conoscere era stato chiesto in Italia come mai nel suo Paese i giudizi penali durassero poco, e nel nostro moltissimo. “Non so se questo sia vero - essa rispose - ma nei Paesi latini si mira a fare giustizia. Da noi si chiede solo se l’accusa abbia provato il suo caso contro l’imputato.” Fare giustizia, sta bene. E’ il nostro obiettivo. Purché non sia un’operazione resa impraticabile dalle complicazioni processuali, e magari resa da queste distruttiva di altri FORO ROMANO 5-6/2002 393 IL FATTO settori della vita pubblica. Il doppio grado non può dar luogo di regola ad una doppia verità, cui possa magari aggiungersi una terza, od una quarta. Non per questo vorrei accettare sistemi altrui, fosse anche del Paese che abbia il più alto prestigio giudiziario. Il più delle volte, neppure al dettaglio. Perché tutti gli ordinamenti hanno coerenze e compensazioni interne oltre che stretti collegamenti con la struttura della società cui ineriscono; e non si prestano a venire sbriciolati. Non per questo dobbiamo tenere gli occhi chiusi: ci spetta anzi di vegliare per migliorare le cose in Italia. Secondo i detti di Seneca: volo per aliena castra transire non ut transfuga sed ut explorator. Meum est quod bonum est. *** Terzo: la nostra Costituzione dice che contro ogni sentenza - a parte le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti - è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge. Questo è dunque ora un pieno diritto della parte. Dà così adito ad una terza ordinaria istanza, con la sola esclusione delle questione di puro fatto. Ciò deprezza l’opera di quella Corte, riducendola a giudice generale dei diritti in terzo grado. Ne moltiplica necessariamente i componenti, diminuendone la qualità ed il prestigio. E le rende impossibile di svolgere con cura adeguata il ruolo delle Corti supreme dei Paesi meglio organizzati, di soluzione definitiva ed esemplare dei pochi, pochissimi, casi di eccezionale importanza. Mi pare che sul punto la Costituzione dovrebbe essere emendata. Due gradi di giudizio debbono ordinariamente bastare. La Costituzione dovrebbe disporre, per esempio, che la Corte di Cassazione scelga quali ricorsi ammettere fra quelli che siano ad essa proposti per violazione di legge contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà 394 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO personale, pronunziati dagli organi giurisdizionali. Salve sempre le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra ed i ricorsi per regolamento di giurisdizione. Se l’attuale composizione dei giudici di secondo grado non sia idonea a dare affidamento di adeguata e conforme interpretazione del diritto per quasi tutte le liti, occorrerà rimediarvi. Occorre, infatti, che tutti i giudici ed in ispecie quelli delle liti più importanti, mantengano un sempre più alto livello qualitativo. *** Il che ci ha condotto al mio ultimo punto: la qualità di magistrati ed avvocati. Vale appena ripetere che il rapporto fra numeri e merito è di proporzione indiretta: maggiori i primi, via via minore a supporre la razionalità delle nomine - il secondo. Appunto per ciò si riserva a pochi il giudizio sui casi più importanti. Sui magistrati ed avvocati italiani può dirsi ed oggi in parte si è detto, molto di bene. In un breve volume di memorie pubblicato nel 1969 Jemolo osserva che la magistratura italiana fa miracoli, se si considera che essa progredisce in sostanza non per merito ma per anzianità, e che la resa d’ognuno è in buona parte facoltativa, in quanto non adeguatamente controllata. Nell’esprimere la speranza che il servizio migliori ancora, è tuttavia evidente che occorra concentrarsi sui punti deboli. I magistrati non sono nominati per preferenze e votazioni popolari, ma per obiettivi meriti di cultura. Mi pare immancabile ch’essi debbano venire selezionati per avanzamento in modo simile, potendosi anzi ormai aggiungere al giudizio sulla scienza quello, non meno rilevante, sul carattere. E se la magistratura dev’essere indipendente, l’avanzamento deve essere fatto dall’interno, cioè dai magistrati man mano più capaci, ossia, dai più alti. Per i soli magistrati ordinari, senza dubbio in ragione della FORO ROMANO 5-6/2002 395 IL FATTO loro tanto maggiore consistenza numerica, la Costituzione prevede che essi siano amministrati da un organismo elettivo, prevalentemente interno. La legge ha poi disposto nello stesso senso anche per altre magistrature. Occorre ovviamente disciplinare tali organismi in modo idoneo ed assicurarne il buon funzionamento, tenendo pure conto del fatto che corpi elettorali via via più piccoli possono essere spinti a richiedere agli eletti di curare gli interessi della categoria piuttosto che quelli del pubblico. Ed in essa, gli interessi della media; non dei migliori, che sono quindi demotivati. Occorre conciliare l’indipendenza del singolo magistrato con la necessità che qualità e quantità del suo lavoro vengano sottoposti a valutazione. Bisogna cioè evitare che l’indipendenza trasmodi alcune volte in indifferenza, o che l’imparzialità si cangi in irresponsabilità. Non v’è potere senza responsabilità. I magistrati debbono considerarsi un corpo solidalmente responsabile verso la cittadinanza che rappresentano e servono. Quelli penali non debbono sprecare il tempo giudiziario - e degli ausiliari della giustizia ed il denaro del pubblico - né sottoporre ingiustamente privati a pregiudizi ed ansie, avviando azioni che non abbiano sufficiente probabilità di successo conclusivo. Tutti debbono adeguarsi lealmente alla giurisprudenza dei giudici superiori, per ridurre la possibilità di successo delle impugnative e dunque per disincentivare le parti a proporle. I cambiamenti di giurisprudenza che paiano al pubblico opportuni potranno essere apportati con legge. E quelli che sembrino assolutamente necessari ai giudici superiori potranno essere introdotti da loro una volta per tutte. Gli innovatori degli altri gradi di giudizio potranno dunque aspettare di passare per meriti alla Corte superiore prima d’aspirare al pericoloso privilegio. Pericoloso perché anche quelli supremi debbono rispettare la loro giurisprudenza, per non contraddire - per di più, con effetto retroattivo - le certezze da loro stessi fornite al 396 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO Paese. Infatti i membri dei collegi giudiziari non sono pretori che debbano occuparsi solo degli affari su cui riferiscono ed ignorare gli atti. Né i collegi sono monadi, indipendenti dalle decisioni adottate anteriormente. Rese cioè da predecessori che non vanno sottovalutati, ma seguiti con fiducia, e le cui ragioni non sono talvolta esplicitamente esposte perché ciò era stato fatto da altri e spesso da molti altri ancor prima, con pronunzie che non ci si cura di ricercare. Il ripetuto cambiamento dell’assetto dei rapporti contenziosi dà luogo ad effetti deleteri. E l’appello ritarda in sé la giustizia. Attualmente nel mio processo, cioè in quello amministrativo, la proporzione degli appelli accolti rispetto a quelli proposti in Italia e più che doppia a confronto della Francia. Ciò ridonda a svantaggio e demerito del nostro Paese, ed ha prodotto infiniti drammi privati e pubblici, ignoti alla comunità. In ogni campo il criterio della buona gestione del tempo dei processi, cioè del rapido andamento della giustizia, dev’essere sempre tenuto presente da tutti. Questo vale pure per gli avvocati. Non ho alcun titolo per occuparmi della parte della loro attività che concerne i contatti con i clienti. Ma anche a parlare solo dei rapporti con il giudice, essi debbono ricordare sempre d’essere indispensabili co-autori della giustizia. Non soltanto di quella che concerne il loro caso attuale: della giustizia tutta intera. Debbono porsi ad ogni istante nei panni del giudice. Di cosa ha esso bisogno? Anzitutto dell’esposizione immediata ed esauriente dei fatti: si ricordi che il collegio non ne conosce alcuno. Soccorre di nuovo il richiamo ai migliori giornalisti. Ma non - si spera - alla storiella talvolta ripetuta: buoni giornalisti sono quelli che rendono chiare agli altri le cose che essi stessi non capiscono. Poi la brevità e chiarezza delle tesi di diritto, da controllare sempre portandole alle conseguenze ultime; e la ricerca accurata ed ovviamente fedele, dei precedenti di giurisprudenza. FORO ROMANO 5-6/2002 397 IL FATTO Non è compito degli avvocati essere imparziali. Spetta loro invece di fornire una soluzione della lite favorevole alla parte, attendibile e per quanto possibile semplice, nella speranza che essa sia condivisa. In ciò è controproducente essere verbosi: gli scritti brevi vengono studiati con cura maggiore e più facilmente ricordati. Quelli lunghi ed astrusi tentano di mascherare la mancanza di ragioni. Del resto gli avvocati sono tenuti in coscienza non già a fare buona impressione sul cliente sprovveduto, ma a risparmiare il tempo del giudice, sottoponendogli solo argomenti attendibilmente utili. V’è un terrorismo qualche volta praticato pure da Studi noti, e forse segno dell’alterigia intellettuale di chi creda di essere superiore alla norma, che consiste nella confezione di scritti illeggibili per mole, per complessità e financo per disordine, di cui si suppone il giudice non potrà liberarsi se non accogliendo una qualunque delle tesi dell’altrimenti incontenibile espositore, e dando così ragione alla parte da lui rappresentata. Questa pratica va adeguatamente colpita. Nel seguire la via contraria gli avvocati renderanno, a prezzo d’ulteriori sacrificî - perché l’essere breve costa tempo e fatica - nuovi servizi all’Italia. Collaboreranno sempre meglio a che il nostro Paese acquisti anche nel campo della rapidità della giustizia la posizione di preminenza nel mondo che gli spetta per la sua storia e ch’esso tiene attualmente in tanti altri settori. Ed a che i nostri concittadini siano serviti come meritano. *** Ecco dunque le mie speranze. Ambiziose, ma non volte al futuro necessariamente immediato. Quelle esposte a minori delusioni si riferiscono forse a cose che giudici ed avvocati possono fare da sé, senza attese di ricambi legislativi o costituzionali. Perché mentre ogni cambiamento ha dei costi, il progetto d’innovazioni legisla398 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO tive ha in più pericoli suoi propri. Speranze forse sbagliate. Ma non ignobili. Espresse mentre si attenua od annulla il rischio d’interessi personali, sine ira et studio, quorum causas procul habeo. I magistrati in rappresentanza dei quali ho inadeguatamente parlato oggi mi perdoneranno se esse non coincidono del tutto con le loro, come forse avverrà anche per quelle degli avvocati premiati insieme a noi, da cui abbiamo così spesso appreso e nella cui gradita ed onorevole compagnia abbiamo in tanti decenni lavorato. Reitero il nostro ringraziamento all’Ordine di Roma ed al suo Presidente. Prima di me ha parlato brillantemente la rappresentante dei giovani avvocati romani. Voglia credere che a lei ed a loro vanno la nostra simpatia ed il nostro augurio. Le loro forze, il loro ottimismo, la loro buona volontà costituiscono la nostra consolazione. *** Infine ha preso la parola altro nostro ex Consigliere, non ancora in età da “medaglia d’oro”, il Prof Franco Coppi che ci ha affascinati con la sua oratoria, emozionandoci con la narrazione dei fasti dell’Avvocatura romana. Di quella sinfonia non abbiamo il testo, restando così dei privilegiati i suoi ascoltatori. *** Pubblichiamo infine il discorso del nostro Presidente in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario 2003 della Corte di Appello di Roma. S ignori Giudici Costituzionali, Signor Cardinale, Signo ri Rappresentanti del Governo del Nostro Paese, Si- FORO ROMANO 5-6/2002 399 IL FATTO gnori Parlamentari, Signor Presidente del Consiglio di Stato, Signor Presidente della Corte dei Conti, Signor Primo Presidente Emerito della Corte Suprema, Signor Rappresentante del Consiglio Superiore della Magistratura, Signor Presidente della Corte di Appello, Signor Avvocato Generale,Autorità civili e militari, Colendissimi Magistrati del distretto di Roma e della Regione Lazio, carissimi Colleghi, Signore e Signori. La relazione del Titolare attuale della posizione apicale della Procura Generale merita vivissimo apprezzamento per la diligenza scrupolosa nella elencazione di fatti e per la deduzione intelligente delle cause - nel nostro distretto delle patologie della società in generale e dell’amministrazione della giustizia in particolare. Ma, soprattutto, la relazione che abbiamo ascoltato merita vivissimo apprezzamento per le coraggiose denuncie pioneristicamente rivolte alle esiziali leggi “Breganze” ed alla incredibile mancata applicazione della legge sulla responsabilità civile dei Magistati. Parlando con la franchezza degli Avvocati, dobbiamo sconfortantemente prevedere che, anche quest’anno, tanto ammirevole sforzo del Reggitore della Procura Generale risulterà vano. Non ci resta che esprimere la gratitudine dell’Avvocatura per la tanto pregevole relazione. È una esigenza deontologica aggiungere, alla lode sentita per l’opera del Relatore che mi ha preceduto, l’espressione della gratitudine e dell’apprezzamento per l’opera quotidiana di tutti gli altri Magistrati del distretto, con i quali gli Avvocati sono coautori della Giustizia. Esemplare al riguardo è il rapporto di permanente cooperazione - dettata da stima e considerazione - tra la Presidenza della Corte ed il Consiglio dell’Ordine forense più importante d’Europa. Un anno fa, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario della nostra Corte territoriale, stavo introducen400 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO do, dinanzi al Ministro della Giustizia, il tema del grande valore della nostra Magistratura, ma fui interrotto ad una mia osservazione amichevolmente ironica. Dunque oggi ho il dovere di riprendere quel discorso ed affermare il primato indiscutibilmente mondiale della nostra Magistratura e della nostra Avvocatura. Ciò posso affermare, ciò debbo affermare in piena coscienza, a ragion veduta dopo 33 anni di esperienza professionale anche all’estero, e dopo 18 anni di esperienza consiliare, fruendo così di un impareggiabile osservatorio. Il grande Avvocato Piero Calamandrei, docente universitario, costituente, poeta e pittore, mi ha fatto un torto: è sua l’opera intitolata “Elogio dei Giudici scritto da un Avvocato”. Il torto che quel nostro Grande mi ha fatto è stato scriverlo lui, per primo, quel libro: l’ “Elogio dei Giudici scritto da un Avvocato”. Non mi resta che scrivere… il secondo volume. Non è consentibile che, per la solita attitudine nazionale all’ammirazione per tutto ciò che è straniero, si favoleggi di meriti altrui, non riconoscendo il primato etico, culturale e professionale della nostra Avvocatura e della nostra Magistratura. In altre occasioni ho riferito in dettaglio le evidenze dell’altrui provincialismo, dell’altrui modestia e, in alcuni casi, addirittura dell’altrui barbarie, dinanzi alla nostra civiltà giuridica che, non a caso, è sorta proprio qui, mirabilmente, duemila e cinquecento anni fa, mentre altri, per oltre un millennio, hanno continuato a pascolare le capre. Questa è invece l’occasione per osservazioni puntuali sullo stato dell’amministrazione della giustizia nel nostro ambito territoriale, anche se - per riguardo a tutti e, soprattutto, per riguardo verso gli illustri Relatori che mi seguiranno - debbo limitarmi a non dipingere un affresco, ma a pochi cenni, ahimè alcuni critici. Cinque giorni fa il Procuratore Generale presso la Corte di FORO ROMANO 5-6/2002 401 IL FATTO Cassazione ha fatto notare che i problemi gravissimi che ci occupano non dipendono da carenze di qualità personali, ma da inefficienza. È vero. Impostomi di limitarmi a cenni, per quanto riguarda l’amministrazione della giustizia dinanzi al Giudice di Pace di Roma, menzionerò il dato assurdo della durata di oltre due ore, in locale asfissiante, della fila per poter chiedere l’iscrizione a ruolo di una causa dinanzi quell’Ufficio Giudiziario romano. Oltre due ore di fila … oltre due ore di vita … ogni giorno. C’è da gridare: aiuto! Ma questo è soltanto l’inizio dell’attività dell’Avvocato dinanzi al Giudice di Pace di Roma, secondo quanto ci appresta l’organizzazione giudiziaria. Dovendo esprimermi per cenni, passo direttamente al Tribunale di Roma, la cui organizzazione in preteso, costante, vertiginoso miglioramento è ricorrentemente esaltata da un quotidiano romano. Nel settembre dell’anno 2001, tra le tante carenze - che smentivano fastidiose, quanto croniche vanterie - lamentammo l’indecenza del ritardo di 40 giorni nel rilascio della copia di una sentenza e l’indecenza dell’affollamento dell’Ufficio Copie; dopo un miglioramento della situazione e l’interessamento del Consiglio Superiore della Magistratura, dopo 15 mesi siamo d’accapo: la fila per chiedere il rilascio della copia di una sentenza straripa fuori della stanza, lungo il corridoio. Per l’iscrizione di una causa a ruolo il Tribunale di Roma - con un’ora di fila -non batte l’Ufficio del Giudice di Pace, ma anche un’ora di vita, così persa nel Tribunale della Capitale per chiedere l’iscrizione di una causa a ruolo, batte probabilmente ogni record mondiale. Anche ottenere l’informazione dai terminalisti su una causa pendente nel Tribunale di Roma comporta un’ora di fila. 402 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO E’ desolante, … Nella relazione svolta cinque giorni fa dal Procuratore Generale presso la Corte Suprema, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario di quell’Ufficio, è stato riferito, con compiacimento, un dato probabilmente segnalato dal Tribunale di Roma: la riduzione del 25% - mi sembra - del carico delle cause pendenti dinanzi a quell’Ufficio Giudiziario romano. Poiché in ore di punta sono sempre più intasati i corridoi degli edifici delle sezioni civili del Tribunale di Roma, a prescindere da considerazioni sulle esigenze di igiene e sicurezza del lavoro, c’è da chiedersi se il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione o, prima ancora, chi gli ha fornito il dato promozionale della riduzione del carico delle cause pendenti abbia tenuto conto dell’enorme sgravio di un bacino di utenza di circa 500.000 cittadini, le controversie dei quali non competono più al Tribunale di Roma, ma a quello di Tivoli (con 79 comuni), al Tribunale di Civitavecchia (per il comune di Fiumicino che ha l’enorme contenzioso anche laburistico derivante dalla sede aeroportuale) ed al Tribunale di Velletri (per la popolosa zona di Pomezia). Se non si fosse tenuto conto di tali notevoli sottrazioni non ci sarebbe da esultare per la riduzione del carico delle cause pendenti dinanzi al Tribunale di Roma. Lasciamo perdere. Non è piuttosto ammirevole il riserbo che da qualche anno è stato imposto a tutta la Procura della Repubblica di Roma dal suo Capo ... ? A Roma dunque non va tutto male: anche l’organizzazione del TAR e del Consiglio di Stato costituiscono quelli sì modelli da imitare. Invece, l’organizzazione dell’amministrazione della giustizia ordinaria è gravemente carente in ogni ufficio, perfino nella sezione distaccata di Ostia del Tribunale di Roma: lì il Presidente di quella sezione non si vanta, manifestando FORO ROMANO 5-6/2002 403 IL FATTO anzi coinvolgente costernazione per la sottrazione di personale amministrativo precario, che indurrà un calo di efficienza in quella oasi, che tanto mirabile prova ha dato nel breve tempo da quando è stata istituita. Una pur breve menzione merita la situazione in campo penalistico, vista dagli Avvocati. Dall’aprile 2001 gli Ordini forensi sono stati onerati, dalla legge di riforma della difesa di Ufficio e dalla legge sul patrocinio dei non abbienti, di un compito immane, quello cioè di dare concreta attuazione - senza alcun contributo finanziario da parte dello Stato - alla organizzazione: 1) della nuova pareristica consiliare per i giudizi di congruità sugli onorari dei difensori di ufficio e dei difensori dei cittadini ammessi al patrocinio a spese dello Stato, nuova legge pareristica che ad oggi ha complessivamente superato le 13.000 unità; 2) formazione degli elenchi dei difensori di ufficio nei processi penali e dei difensori dei non abbienti nei processi penali, civili ed amministrativi, la cui costituzione è subordinata alla valutazione dei requisiti di ciascun richiedente la iscrizione; 3) della formazione dei difensori di ufficio, attraverso la organizzazione del corso annuale abilitante. 4) di uno sportello aperto al pubblico, per la presentazione delle domande dei cittadini non abbienti di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nelle controversie civili ed amministrative, e della preparazione delle relative pratiche; 5) delle delibazioni di tali istanze, attraverso il vaglio dei requisiti di ammissibilità formale e, soprattutto, di proponibilità - nel merito - dell’azione giudiziaria che si intende assumere da parte dell’istante. Tale ultima attività impone che il Consigliere di volta in volta delegato alla istruttoria riferisca al Consiglio le questioni poste dalle singole pratiche, il cui numero non è mai inferiore alle cinquanta settimanali, numero peraltro certamente destinato a crescere. 404 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO Questi compiti aggiuntivi gravosissimi, del tutto inediti, stanno cambiando - hanno già cambiato - il ruolo e la funzione stessa del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, che ha assunto decisamente i connotati di una pubblica istituzione così sempre più protagonista nel presidio del diritto fondamentale di ogni persona, il diritto alla difesa. Parallelamente a questo sforzo, il Consiglio dell’Ordine di Roma, che è divenuto un vero e proprio punto di riferimento nazionale in queste materie, sta adeguando e rafforzando la propria vigilanza disciplinare, con specifico riguardo alla correttezza professionale degli avvocati che assolvono un munus pubblico, quali i difensori di ufficio, o comunque una attività che, in quanto destinata ad essere remunerata dallo Stato, deve essere ispirata a criteri di assoluta limpidità deontologica, oltre che alla più generosa abnegazione personale. A fronte di tale impegno, tuttavia, dobbiamo rilevare, non senza amarezza, una considerazione non sempre adeguata da parte della Autorità Giudiziaria. In molti casi, anzi, dobbiamo registrare, in più di un segmento della Magistratura romana, piuttosto che la necessaria collaborazione in questo aggiuntivo sforzo istituzionale davvero improbo, una sorta di resistenza passiva, espressione in realtà di un atteggiamento critico rispetto a queste due riforme, quando non atteggiamenti esplicitamente ostili. Non sapremmo infatti come altrimenti considerare la quasi sistematica indifferenza - nella liquidazione degli onorari dei difensori di ufficio o dei non abbienti - al parere di congruità da noi pur espresso con scrupolo ed attenzione, secondo criteri di rigorosa aderenza alle ormai vecchissime tariffe professionali. Assistiamo - e si tratta della assoluta maggioranza dei casi - a decurtazioni degli onorari tanto imponenti (spesso fino al 60 o 70% in meno del valore da noi ritenuto congruo) quanto sostanzialmente (e non di rado anche letteralmente) immotivate. Allo stesso modo, vorremmo che le pur legittime critiche FORO ROMANO 5-6/2002 405 IL FATTO alla operatività - per esempio - del Call Center da noi organizzato per la indicazione informatizzata dei nominativi dei difensori di ufficio richiesti dalla Autorità Giudiziaria si traducesse in una più convinta collaborazione (per esempio sollecitando gli Uffici a servirsi dell’accesso informatico con le passwords, già da noi generate, piuttosto che ingolfare il centralino con le chiamate telefoniche, per poi lamentare la lentezza delle risposte). Insomma, auspichiamo davvero che gli Uffici Giudiziari romani assumano, in queste delicate questioni, un atteggiamento di piena, fattiva collaborazione con l’Ordine forense, scevra di riserve mentali o resistenze passive, nel comune interesse del funzionamento della macchina giudiziaria. Nel concludere questo mio dire, rivolto per senso del dovere e con sincero spirito di cooperazione per il bene comune, non posso ignorare un problema apparentemente estraneo all’amministrazione della giustizia. I parcheggi. Per il cittadino e per il suo avvocato rivolgersi all’amministrazione giudiziaria significa innanzitutto raggiungere gli uffici giudiziari, i quali - nella capitale d’Italia, tra le più importanti metropoli mondiali - hanno subìto una devastante diaspora, con spaventose complicazioni di spostamenti e di parcheggio. Valga per descrivere l’inammissibile situazione di degrado organizzativo terzomondista l’ultima ... perla. Non mi riferisco a quanto è stato fatto, anzi mal fatto, improvvidamente fatto anni fa, ma ad un ennesimo attentato alle coronarie del cittadino e del suo avvocato, attentato perpetrato poco tempo fa con effetti … permanenti. Mi riferisco al trasferimento della Sezione Lavoro della Corte di Appello, dall’edificio di via Lepanto-Viale Giulio Cesare ad un nuovo apposito edificio in via Rossetti, proprio qui di fronte: mentre fino a pochi mesi fa le cancellerie e le aule di udienza delle sezioni lavoro e Previdenza del primo 406 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO grado e del secondo grado erano distanti davvero pochi metri, immediata trasferibilità degli Avvocati da un’Aula di udienza all’altra e con facilissimo trasferimento dei fascicoli dalla cancelleria della Sezione Lavoro e Previdenza del Tribunale a quella della Corte di Appello, il tutto con rapidità e sicurezza, ora tutto è stato assurdamente complicato, senza che coloro che hanno avuto una tale alzata di ingegno si fossero consultati preventivamente, doverosamente nel momento progettuale con le istituzioni forensi: Consigli degli Ordini di Roma, Cassino, Civitavecchia, Frosinone, Latina, Rieti, Tivoli, Velletri, Viterbo, anche se è intuitivo che il danno di gran lunga maggiore lo subiscono i cittadini e gli avvocati romani, per i quali i giudici laburisti di primo grado erano a pochi metri da quelli del secondo grado. L’edificio di Via Lepanto-Viale Giulio Cesare era ed è raggiungibile con numerosi mezzi pubblici, compresa la metropolitana, mentre quello della nuova sistemazione della Sezione Lavoro della Corte di Appello qui di fronte, è notevolmente distante dalla fermata di pochi autobus; ma - soprattutto - è stato creato un problema di traffico e quello tremendo del parcheggio, problema di assurdità colossale. Invero, un avvocato laburista che debba comparire ad una udienza del Tribunale-Lavoro e ad altra udienza della Corte di Appello-Lavoro non potrà che desolatamente lasciare il parcheggio faticosissimamente trovato nei pressi di viale Giulio Cesare e venire allo sbaraglio qui, in via Rossetti, dove già alle 8.30 di mattina i penalisti che debbono raggiungere la città giudiziaria non trovano posto, neppure per un ciclomotore, e tantomeno - più tardi - i civilisti, per i quali le udienze in Corte d’Appello in via Rossetti iniziano alle 9.30. Ora gli avvocati laburisti si aggiungono alla moltitudine dei colleghi in cerca di un improbabile parcheggio nella zona della città giudiziaria. Il trasferimento della Sezione Lavoro della Corte d’Appello riguarda quotidianamente centinaia di avvocati laburisti e FORO ROMANO 5-6/2002 407 IL FATTO danneggia ulteriormente i penalisti ed i civilisti che debbono venire in questo edificio delle Sezioni Civili della Corte di Appello. Appreso, un anno e mezzo fa, un tale disegno ordito già prima dell’insediamento dell’attuale Presidente della Corte, che non ne ha responsabilità, il Presidente dell’Ordi-ne forense romano, protestò vibratamente contro la cata-strofe progettata e, forse, per quelle sacrosante contumelie il trasferimento non fu allora attuato, ma poi, improvvisamente, pochi mesi fa, è avvenuto il trasloco, anzi, in linguaggio penalistico si è ... “consumato” il trasloco. Lascia sbalorditi la gravità di tale ennesimo colpo inferto … innanzitutto al buon senso. La clandestinità del progetto, a lungo mantenuta, deve far pensare che coloro che ne erano gli ideatori si aspet-tavano il forte biasimo della pubblica istituzione forense. Il tema potrebbe apparire pedestre ma la giustizia si raggiunge ... potendo raggiungere gli uffici giudiziari. In conclusione gli avvocati sono essi stessi cittadini che, per di più, hanno l’onore e l’onere, l’orgoglio e la responsabilità, di difendere altri cittadini. E’ dunque ovvio che è nell’interesse dei cittadini che contestiamo le non condivisibili riforme dell’amministrazione giudiziaria, riforme che da anni vanno privando gli utenti della giustizia di garanzie, quali la garanzia della collegialità delle decisioni. La soluzione ai mali della giustizia e, per tutti, la soluzione all’abominevole ritardo biblico nella definizione delle cause civili è -invero- semplicissima; bastano tre elementi: l’aumento del numero dei magistrati, il controllo intelligente giammai vessatorio o condizionante - della loro efficienza e la puntualità della condanna della parte soccombente al rimborso pieno delle spese di lite: basterebbe perfino applicare le pur ridicole, vecchie tariffe forensi, ferme all’anno 1994. E’ ora di finirla con il lasciare illecitamente l’onere dei costi 408 FORO ROMANO 5-6/2002 IL FATTO della giustizia sulla schiena di chi ha avuto ragione, mentre la parte che ha avuto torto -ed a volte si tratta di organizzazioni poderose, finanziarie, imprenditoriali, sinda-cali- può impunemente continuare a promuovere ulteriori gradi di giudizio, insegnando a tutti che il torto la fa franca. Tanto poco basterebbe a stroncare il pretestuoso proliferare di liti giudiziarie. Perché il legislatore ed i giudici non ci sentono ... ? Le energie così guadagnate ben potrebbero allora applicarsi al settore penale. I torti che per neghittosità, leggerezza, supponenza, superficialità si fanno - pur non dolosamente - agli avvocati sono torti fatti ai rappresentanti dei cittadini italiani, in nome dei quali pure si amministra la giustizia. Le istituzioni statali in genere, giudiziarie e ministeriali in particolare, debbono ascoltare la voce, il monito, la sollecitazione delle pubbliche istituzioni forensi, o almeno ... dovrebbero, perchè nella realtà non lo fanno. Sempre per limitarmi ad un solo conclusivo esempio, menziono una delle tante Commissioni ministeriali, composta senza la designazione, l’apporto delle istituzioni forensi, senza il patrimonio di conoscenza di coloro che, a titolo onorifico, con passione e competenza, si prodigano per il bene comune. Faccio l’esempio della c.d. “Commissione Vietti”, che ha curato e concluso la predisposizione di un progetto di legge di riforma-quadro delle professioni intellettuali. Ebbene, non mi risulta che in quella Commissione il Ministero abbia pensato di chiamare gli esponenti dei Consigli degli Ordini forensi, governi territoriali di 140.000 onorati galantuomini. In tale situazione non sorprende che il testo di un tale progetto, che tanto incide sulla nostra vita, non ci sia stato somministrato - neppure dopo - dal Ministero, ne’ dalla Commissione Vietti, ma ci sia stato accidentalmente comunicato da una piccola associazione professionale. FORO ROMANO 5-6/2002 409 IL FATTO Ad un nostro collega, l’Avv. Marco Tullio Cicerone, tagliarono la testa, Napoleone voleva tagliare la lingua agli avvocati … gli attuali reggitori della cosa pubblica ci vogliono cambiare la vita … senza neppure informarcene. Ora basta. Noi non apprezzeremmo i Magistrati che scendessero in piazza, ma se qualcuno attentasse all’indipendenza dei nostri Giudici e dei nostri Procuratori della Repubblica, essi non dovranno sbracciarsi, basteremo noi a fare le barricate. Considereremmo un attentato all’indipendenza della Magistratura - ove mai perpetrato in un futuro remoto e barbaro - come un attentato a tutti noi. È appena il caso di far rilevare che la nostra occhiuta vigilanza, a salvaguardia dell’autonomia e dell’indipendenza della Magistratura, in alcun modo sminuisce l’esigenza assoluta della separazione delle carriere tra il giudice terzo e l’altra parte: l’evidenza di tale esigenza, anzitutto etica, non può che essere certamente da tutti condivisa. Infine, e con il nostro deferente saluto, intendo fermamente assicurare che, pur oppressi ingiustamente da tanti problemi, gli onorati galantuomini che appartengono ai nostri Fori continueranno ad impegnarsi, con sacrificio, lealtà e passione per il bene del Paese. 410 FORO ROMANO 5-6/2002