MISSALE ROMANUM
EX DECRETO SS. CONCILII TRIDENTINI
RESTITUTUM
AUCTORITATE S. PII Pp. V PROMULGATUM
B. JOANNIS Pp. XXIII CURA RECOGNITUM
PREMESSA GENERALE
I testi latini proposti concordano con l’Edizione Tipica del Messale promulgato dal
Beato Papa Giovanni XXIII nel 1962. Sia il Ritus servandus che le Rubriche
dell’Ordinario della Messa, seppur fedeli all’originale, sono state tradotte liberamente
con aggiunte esplicative a cura di traduttori ed esperti di liturgia.
Affinché la Santa Messa Tridentina, liberalizzata dal Motu Proprio "SUMMORUM
PONTIFICUM” di Sua Santità Benedetto XVI, sia celebrata senza errori, illeciti e
mancanze, si ricorda che è suggerito l’uso del Messale Romano in cartaceo, stampato
con il permesso di un Presule Ordinario che controllata la fedeltà all’EDITIO TYPICA,
ne autorizza la stampa per uso liturgico.
INTRODUZIONE AL
RITO STRAORDINARIO DEL
MISSALE ROMANUM
Questo Rito Straordinario del Missale Romanum o Ritus Sancti Pii V, splendore e gloria della
Liturgia Gregoriana è chiamato anche con il titolo di Messa Tridentina o Messa di San Pio V o
anche Messa Piana o Messa Papista.
La celebrazione della Messa che segue le norme liturgiche del
Concilio di Trento non costituisce l’originale latino della Messa che si
ascolta quotidianamente nelle nostre chiese. Tale Messa corrisponde
ad un impianto liturgico del tutto differente. Il rito sancito dalle
riforme del papa San Pio V non è un rito composto ex novo ma
raccoglie in sé secoli di tradizioni liturgiche risalenti dagli Apostoli
stessi, riordinate e ricomposte nel VI secolo da San Gregorio Magno
(da qui tale Liturgia è detta anche Gregoriana) per offrire alla Chiesa
universale un rito uniforme e sprovvisto di confusione od elementi
che potessero dare occasione a dubbi. Il rito tridentino della
splendente Liturgia Gregoriana quindi richiede innanzitutto la
conoscenza del latino ecclesiastico (che tutti i sacerdoti dovrebbero
conoscere inquantochè è materia obbligatoria nella ratio studiorum
dei Seminari) e dei riti che materialmente costituiscono la Liturgia
tridentina, quindi una conoscenza e perché no, l’uso dell’Ufficiatura
divina, ovvero del Breviarium Romanum, dei Sacramenti e dei
Sacramentali secondo le indicazioni del Rituale Romanum e la
conoscenza del Codex Juris Canonici del 1917, che seppur
ampiamente superato dal Nuovo Codice del 1983 per ciò che riguarda
le Norme e le Discipline che regolano la Chiesa Cattolica, possiede un
ampia parte concernente il Diritto Liturgico della Messa Piana
liberalizzata da Sua Santità Benedetto XVI.
Un motivo di scoraggiamento per il Sacerdote che non conosce questa
Messa e che si accosta per la prima volta a questo Rito, è
l’abbondanza di regole e prescrizioni, le Rubriche, (da qui
l’appellativo spesso dispregiativo di una “Messa rubricistica”), quasi
che questa Messa sia ingessata da queste “regolette”.
Dobbiamo considerare che la Liturgia Tridentina risponde alle
esigenze dell’uomo che cerca Dio, e di Dio che viene incontro all’uomo
stesso attraverso la sua presenza sacramentale. È quindi un
liturgia sicura, certa ed esatta; tali caratteristiche non fanno che
aumentare il pregio della liturgia uscita dalle decisioni conciliari di
Trento perché è in grado di immettere il credente nel solco del
Deposito della fede che si è espresso liturgicamente in modo uniforme
sia dal punto di vista rituale che dal punto di vista teologico. Inoltre
il rito tridentino è un rito che per generazioni ha formato le schiere
dei cristiani di tutto il mondo. È ovvio considerare che, chi non ha
conosciuto questa “straordinaria” ricchezza della liturgia e della fede,
potrebbe rimanerne disorientato.
Come fare quindi per superare una tale difficoltà?
Bisogna a nostro avviso entrare umilmente dentro a questo Rito non
indietreggiando, quasi saltando la Riforma Liturgica data dal
Concilio Ecumenico Vaticano II, ma con questa riformata
ricchezza apportata alla Liturgia, acquistare quel modus
celebrandi amato, onorato e venerato da TUTTI i Padri del
Concilio Ecumenico Vaticano II. Dal punto di vista metodologico
è infatti importante conoscere e fare propri ambedue gli Ordinari
perché la Divina Liturgia stessa “possa respirare di nuovo nella sua
perenne bellezza sempre nuova”. Il Ritus Sancti Pii V e il Ritus Pauli
VI meritano quindi la stessa attenzione e richiedono la stessa
preparazione a che tutto sia svolto correttamente e con gli occhi fissi
su Gesù autore e perfezionatore della Fede, Sommo Sacerdote e
Vittima che si offre nelle mani del Sacerdote per comunicare la
Salvezza operata nel mistero Pasquale della sua Passione Morte e
Resurrezione. Solo così si potrà realizzare l’augurio rivolto a tutti i
Sacerdoti della Chiesa Cattolica da Papa Benedetto XVI quando si
auspicava che i due Ordinari, espressione dell’UNICO Missale
Romanum si “fecondino” a vicenda, senza confusione, nel rispetto di
entrambe le identità e nella fedeltà alla Chiesa che ne trasmette le
ricchezze!
I libri Liturgici di Trento, escluso il Rituale Romanum, non
conoscono nulla di facoltativo, ma ogni Messa è definita nei
particolari.
Il Sacerdote ha l’obbligo di preparare per tempo la Santa Messa
prima di accedere all’altare. C’è una genuina sacralità insita nel
Ritus Sancti Pii V. I riti, segni sensibili, eseguiti con calma e
correttamente, con stile di autentica preghiera, e le preghiere ben
recitate, perché profondamente comprese ed accolti nell’intimo,
aiutano non solo chi celebra, ma principalmente chi partecipa alla
Messa ad elevare il cuore e la mente solamente verso Dio. La Messa
potrà allora essere la vera e principale forma di preghiera: i gesti
diverranno comprensibili ed abituali facilitando la partecipazione di
tutti.
La Messa Tridentina riformata dal beato Giovanni XXIII si divide in
due forme letta (o Messa Bassa) e cantata e/o solenne;
quest’ultima se celebrata dal Vescovo, si dice Pontificale.
Perché una Messa sia definita in questi tre modi, occorre che rispetti
delle regole ben precise, circa i Ministri presenti, gli oggetti
necessari, i riti collegati a ciascun stile di Messa. Non esistono
mescolamenti di stili, per nessun motivo.
Il Sacerdote che legge non si stupisca dunque quando incontrerà
apertamente specificati divieti e obblighi.
Quando l’Ordo Missæ parla di borsa, di velo, di manipolo, di
Suddiacono… può lasciare interdetti coloro che conoscono solo la
nuova liturgia.
Abbiamo dunque cercato di colmare le principali lacune, senza
appesantire con troppe descrizioni. Tuttavia non si parlerà delle
cerimonie (le quali si possono conoscere con i manuali liturgici
specifici) quanto piuttosto di Ministri, Oggetti e Spazi Sacri etc,
limitandosi all’uso pratico e dovendone omettere, nostro malgrado, la
splendente mistagogia.
Nel Ritus Sancti Pii V che abbiamo perfezionato rispetto a quello
proposto a settembre del 2007 abbiamo apportato delle modifiche
nelle Rubriche per facilitarne la comprensione e l’utilizzo.
Le parti in corsivo riguardano le rubriche per la Messa cantata o
solenne che si distinguono dalla Messa letta o cantata, affinché il
Sacerdote che non vi è interessato possa sorvolarle agevolmente,
evitando un surplus di notizie che facilmente gli confonderebbero le
idee.
Il grassetto invece è usato per segnalare e mettere in guardia da
elementi comuni ma divergenti rispetto alla Messa che normalmente
è celebrata in tutte le Chiese e Parrocchie d’Italia. Infatti un
Sacerdote che si trovasse nel dubbio, istintivamente opererebbe
secondo quello che già conosce dalla sua esperienza… ad es. potrebbe
essere indotto a ritenere qualche parte della Messa facoltativa
oppure sentirsi autorizzato a celebrare dovunque e con qualsiasi cosa
che abbia sottomano.
***
Ci permettiamo di deporre, sotto lo sguardo e l'intercessione della
Beata Vergine Maria, l'intero lavoro svolto per la Maggior Gloria di
Dio. Alla Madre della Chiesa affidiamo opere ed intenzioni perché le
orienti e le sostenga e perchè l'uomo nella riscoperta bellezza della
liturgia possa incontrare la Salvezza.
Qui immaculátam Vírginem Maríam, Fílii tui Genétricem, Matrem et
Salútem pópuli Románi constituísti, ut, ipsa protegénte, fídei certámen
certet intrépitus, in Apostolórum doctrína firmus consístant et inter
mundi procéllas incédat secúrus, donec ad cæléstem civitátem lætus
pervéniat.
(dal Prefazio della Salus Populi Romani)
COSE UTILI DA SAPERSI PER CHI IMPARA
A CELEBRARE SECONDO
IL RITO STABILITO DAL
VETUS ORDO MISSÆ DEL
MISSALE ROMANUM
PARTICOLARITÀ DI ALCUNI TIPI DI MESSA
GLI SPAZI SACRI
I MINISTRI
OGGETTI SACRI
STRUTTURA DELL’ANNO LITURGICO PER IL SACERDOTE
DIFFERENZE DI ALCUNI TIPI DI MESSE
A. Messa privata
NB. L'aggettivo "privata" si riferisce alla intenzione per la quale la
messa è celebrata, e non è in alcun modo collegato alla quantità di
persone che assistono al rito o al livello di solennità del medesimo.
In quanto alle intenzioni del celebrante, le messe si distinguono in:
1. conventuali (la messa che è d'obbligo essere officiata dagli istituti con
obbligo di coro),
2. pro populo (generalmente la Messa applicata secondo i Sacri Canoni, dai
parroci al popolo che è sotto la loro cura spirituale),
3. ad mentem episcopi (secondo una intenzione particolare indicata dal
vescovo o dal Papa),
4. private (l'intenzione è decisa dal sacerdote stesso, per sè o per altri).
La stragrande maggioranza delle messe che vengono officiate sono
private. In genere è consuetudine del popolo chiedere che venga applicata
nella messa privata del sacerdote (feriale o domenicale) un' intenzione
particolare, tradizionalmente legata al versamento di un' oblazione.
Sono private, ad esempio, tutte le Messe che vengono officiate in
suffragio di qualche defunto e anche tutte le messe domenicali eccetto la
Messa pro populo cui il parroco è tenuto a celebrare in virtù del suo ufficio.
Non si deve identificare questa classificazione con i termini "missa
cum populo" e "missa sine populo", come se privato fosse sinonimo di
"assenza di fedeli".
Tale moderna terminologia è invalsa solo dall'introduzione del rito della
Messa promulgato da Paolo VI, e lungi dal voler regolare una
precedenza di intenzioni, vuole solo proporre due diversi tipi di
schemi per l' Ordo Missae, a seconda che vi sia presente
un'assemblea in grado di eseguire azioni liturgiche comunitarie
come il canto d'ingresso, oppure no.
Si ricordi infine che teologicamente il Sacerdote che celebra Messa
non può mai agire da persona "privata", ma sempre in persona
Christi e compiendo un’azione propria della Chiesa, e per l’Ordine
Sacro ha la potestà di rappresentare la Chiesa tutta. È il dogma
della communio Sanctorum.
Con il Rito di San Pio V il Sacerdote può celebrare da solo, anche se
normalmente si richiede che il Sacerdote abbia almeno una persona presente
che risponda, preferibilmente un Ministrante 1. In ogni caso, il Sacerdote
continua a pronunciare le formule rivolte al popolo usando il “Voi” anche
senza che nessuno risponda (es. Dominus vobiscum, Confiteor… vobis
fratres, Orate fratres, Benedicat vos, Ite Missa est).
B. Messe dei defunti
Si usano esclusivamente paramenti neri. Anche il velo del calice e la
borsa sono neri, tuttavia il canopeo del Tabernacolo ed eventualmente il
paliotto dell’Altare (se reca il SS. Sacramento, altrimenti si usa quello nero)
devono essere violacei. Nella Messa funebre, al termine, viene impartita
l’assoluzione al feretro o al tumulo con l’aspersione e la turificazione
(incensazione) del catafalco; il Sacerdote depone la pianeta ed il manipolo, e
indossa il piviale, nero anch’esso.
All’inizio della Messa si omette il Salmo Iudica me, e, detta l’antifona
Introibo ad Altare Dei, si procede col versetto Adiutorium nostrum in nomine
Domini.
Leggendo l’Introito, non si segna ma traccia una croce verso il Messale;
l’Introito non è intermezzato dal Gloria Patri ma dal Requiem æternam.
Al Vangelo si omettono le formule Jube e Dominus sit, il bacio del libro e le
parole Per evangelica.
All’Offertorio non si benedice l’acqua (ma si recita ugualmente la formula
dell’infusione).
Dopo il Pater non si dice l’Orazione Domine Jesu Christe, qui dixisti
Apostolis tuis.
All’Agnus Dei non si batte il petto, termina con dona eis requiem … dona eis
requiem sempiternam.
Non si dice Ite Missa est ma Requiescant in pace, non si imparte
benedizione.
Il Ministrante non bacia le ampolline all’Offertorio. Si omettono la prima
incensazione dell’Altare, quella del Vangelo e, all’Offertorio, quella dei
Ministri e fedeli, incensando solo Altare e Sacerdote.
Nell’anniversario del defunto o in una Messa applicatagli si può impartire
l’assoluzione al tumulo, con aspersione e turificazione. Il tumulo può essere
costituito da una struttura apposita o anche da un lungo tavolo (o due tavoli
disposti per lunghezza) coperto dalla coltre, drappo nero recante impressa
una croce
GLI SPAZI SACRI
(vedi immagine e schema riportati in coda alla descrizione)
Come già noto, la chiesa si suddivide in due spazi, cioè il presbiterio o luogo
dei Ministri Sacri e la navata o luogo dei fedeli. In una chiesa tradizionale,
tuttavia, la distinzione è ben più marcata rispetto che nelle chiese
postconciliari, perché fra i due spazi si pone la divisione netta e sensibile
della balaustra.
•
La balaustra è marmorea o lignea, e va coperta con una tovaglia solo
in caso della Comunione generale. Poggia su un gradino, il quale è utile
perché vi si inginocchino i fedeli (possono anche disporsia alcuni
cuscini sul gradino). La balaustra circonda il presbiterio o santuario.
Nessun fedele salvo il sagrestano e i chierichetti dovrebbe
oltrepassarla, anche al di fuori della Messa. Chi vi si accosta, se
nell’Altare si conserva il SS. Sacramento, fa genuflessione, altrimenti
inchino alla Croce dell’Altare. Qualora non fosse possibile ovviare
all’assenza della balaustra, durante la Comunione gli Accoliti
stenderanno una tovaglia in sua vece, e i fedeli si comunicheranno
inginocchiandosi davanti a quella.
•
Il presbiterio oltre che separato è anche rialzato rispetto alla navata.
L’Altare secondo le prescrizioni del Cærimoniale Episcoporum ed i
commentatori sarà ulteriormente rialzato rispetto al presbiterio, con
almeno tre gradini. Lo spazio del presbiterio antistante i gradini
dell’Altare si chiama tecnicamente piano (planum).
•
Il gradino più alto dell’Altare, quello su cui starà il Sacerdote
durante la maggior parte della Messa,può essere di legno e prende il
nome di predella. L’Altare è virtualmente suddiviso in tre aree. Quella
al centro, dove il Sacerdote lo bacia, da dove si rivolge al popolo
voltandosi (tranne per il Prefazio), recita testi importanti (Kyrie,
Gloria, Credo) e svolge la parte centrale della Messa dall’Offertorio alla
Comunione. La seconda area è a destra guardando l’Altare, detto lato
dell’Epistola perché è lì che il ministro ordinato legge o canta
l’Epistola del giorno; qui si recitano diverse orazioni e si svolgono altri
riti. Infine il lato del Vangelo, a sinistra, ove si leggono le pericopi
evangeliche del giorno e, quasi ad ogni Messa, l’intero prologo del
Vangelo secondo S. Giovanni. Le due estremità dell’Altare si chiamano,
dal latino, cornua (spigolo): rispettivamente cornu Epistulae e cornu
Evangelii. Quando sono presenti alla Messa il Diacono ed il
Suddiacono, essi canteranno l’Epistola e il Vangelo ai lati
corrispondenti, ma non sulla predella, bensì in plano, cioè sotto i
gradini dell’Altare.
•
Da quanto si intuisce leggendo il punto precedente, in una chiesa
posteriore alla riforma del Concilio di Trento non esistono uno o più
amboni. Ci può essere tuttavia un pulpito sopraelevato da dove il
Sacerdote, rivestito dei paramenti, rivolge ai fedeli un sermone
esplicativo detto omelia o predica: esso è distinto dal presbiterio e
potrebbe persino essere in mezzo alla navata perché i fedeli ascoltino
meglio. Senza pulpito, il Sacerdote che predica si posizionerà al lato del
Vangelo ma rivolto ai fedeli.
•
Allo stesso modo non esiste la sede secondo le moderne accezioni. C’è
bensì uno scanno o sedilia, a tre posti e senza divisioni per il Sacerdote
e i Ministri che celebrano la Messa Solenne posizionato lungo la parete
destra del presbiterio, in cornu Epistole e rivolto verso la parallela
parte sinistra. Il trono del Vescovo, in uso nelle cerimonie pontificali, è
più vicino al moderno concetto di Cattedra episcopale ma niente nella
Liturgia Tridentina rimanda alle moderne concezione della sede o del
luogo dal quale il sacerdote presiede la Liturgia.
•
L’Altare solitamente è disposto verso Oriente o in fondo al
presbiterio. Si richiede tuttavia che il Sacerdote mantenga
l’orientamento di modo che, sia i fedeli che il ministro contemplino e
preghino orientati verso un unico punto convenzionale espressione e
segno del Cristo Redentore, “lux Oriens ex alto”. Preferibilmente
l’Altare è fisso, ben saldo su stipiti marmorei. Se c’è spazio tra esso e il
fondo del presbiterio o l’abside, questo spazio può essere utilizzato per
farvi porre il coro del Clero assistente.
•
Per la schola cantorum non esiste un luogo fisso obbligatorio, ma si
sceglie secondo le possibilità che offre la chiesa rispettandone sempre
le strutture e conservando la dignità di ciò che si compie.
•
La credenza, coperta dai drappi del colore dei paramenti da una
tovaglia, dovrebbe essere normalmente a destra dell’Altare, in cornu
Epistolae. Su di essa si dispongono le ampolline con il loro vassoio e il
catino del lavabo, il manutergio, il campanello per la Consacrazione, il
piattino per la Comunione, la tabella delle Preci Leonine per la Messa
privata o le altre tabelle della Messa cantata (vedi sotto in “Oggetti
sacri”), oppure quando è richiesto il secchiello dell’acqua benedetta e la
navicella con incenso e cucchiaino.
•
Infine la navata, perlopiù rettangolare, deve dare ai fedeli la
possibilità di inginocchiarsi, giacché essi devono stare genuflessi per
gran parte della Messa. La disposizione e il contegno devono mirare al
raccoglimento e alla sacralità.
•
Ultima menzione merita la sagrestia. Vi deve regnare l’ordine e il
rispetto per le cose sacre ivi custodite, e soprattutto non dovrebbe
accedervi nessuno che non abbia incarichi attinenti alla cura della
chiesa o al servizio liturgico. In ogni caso in sacrestia non deve trovare
spazio nessun vociare inutile o qualsiasi altra forma di crocicchio che
possa disturbare la preparazione dei sacerdoti che devono celebrare e
dei fedeli che stanno pregando. Sul bancone centrale, ove si dispongono
ordinatamente i paramenti, puliti ed intonsi, della Messa e delle
funzioni del giorno, deve campeggiare una Croce alla quale Sacerdote e
Ministri faranno inchino prima di uscire per la cerimonia e appena
rientrati.
Figura del presbiterio secondo quanto detto
1. Croce dell’Altare
2. Cupola (facoltativa)
3. Tabernacolo coperto da canopeo
4-9 Candelabri (questi si accendono per le Messe cantate)
10-11 Candele (queste si accendono per la Messa bassa)
12. Cartagloria dell’ultimo Vangelo
13. Cartagloria delle principali preci fisse
14. Cartagloria della preparazione del calice e del lavabo
15. Primo ripiano dell’Altare (per le candele)
16. Secondo ripiano dell’Altare
(tra i candelabri si possono collocare fino a tre
reliquiari per lato)
17. Altare coperto da tre tovaglie (e in più, fuori della Messa, velo coprialtare)
18. Stipiti dell’Altare
19. Paliotto (facoltativo)
20. Cornu Evangelii (al lato del Vangelo)
21. Cornu Epistulae (al lato dell’Epistola)
22. Plano (ai piedi dei gradini)
23-24 Primo e secondo gradino
25. Predella
26. Credenza coperta da tovaglia
27. Ampolline di acqua e vino su vassoio
28. Catinello per lavabo
29. Manutergio
30. Piattino della Comunione e tabella delle Preci
31. Sedile per il Sacerdote (usato solo nella Messa cantata o solenne)
32. Campanello per la Consacrazione
33. Balaustra munita di cancelletto
I MINISTRI
•
Il Sacerdote indossa: amitto, alba, cingolo, manipolo, stola, pianeta.
•
Il Diacono sopra amitto, alba, cingolo,
trasversalmente, poi il manipolo e la dalmatica;
•
Il Suddiacono è il chierico (seminarista) che ha ricevuto l'Ordine del
Suddiaconato, che dà la facoltà di accedere all’altare e di ministrare i
vasi sacri. Nella Messa solenne il Suddiacono ha anche il compito di
cantare l'Epistola, oltre che di aiutare il Diacono nel suo servizio.
Materia della sua ordinazione è la consegna del calice e della patena
vuoti da parte del Vescovo. Come gli ordini minori, il Suddiaconato è
d'istituzione ecclesiastica; secondo i teologi, e in particolare San
Tommaso d'Aquino, la Chiesa ha infatti il potere di dividere le facoltà
del Diacono (che è d'istituzione divina, insieme a quelle del Sacerdote e
del Vescovo, come insegna il Concilio di Trento) in più parti potenziali
la
stola
disposta
a seconda delle necessità. Insegne liturgiche del Suddiacono sono il
manipolo e la tunicella, ovvero come una dalmatica ma di foggia più
piccola, ed il velo omerale durante la Messa solenne, solo dall'Offertorio
fino al Pater.
Nella Chiesa latina alla ricezione del Suddiaconato è legato l'obbligo
formale del celibato, per cui la ricezione del Suddiaconato è
impedimento dirimente al matrimonio. Quindi canonicamente parlando
il Suddiaconato è considerato un Ordine Maggiore.
Papa Paolo VI con la lettera apostolica Ministeria quædam del 15
Agosto del 1972, soppresse l’antichissimo ordine del Suddiaconato,
ancora esistente nelle Chiese orientali ed gli ordini minori della Chiesa
latina: ostiariato ed esorcistato.
Nella liturgia l’ufficio del Suddiacono, può essere svolto (in mancanza)
da un altro Sacerdote che ne assume i paramenti (senza stola!), oppure,
secondo le rubriche del 1962, un chierico costituito in sacris
(ovviamente secondo la prassi giuridica precedente al CIC del 1983);
•
Il numero dei Ministri è fisso. Per la Messa bassa: uno o due
Ministranti. Per la Messa cantata: un Cerimoniere, un Turiferario e
due Accoliti. Per la Messa solenne: come per la cantata con in più un
Diacono e un Suddiacono. Tuttavia, se vi fossero altri Ministri o
Chierici, possono collocarsi in una zona a loro destinata del presbiterio
– o, in mancanza di spazio, dell’assemblea – in quanto coro, e, stando in
cotta (e stola al momento della Comunione se questa è Generale),
attendono al canto senza svolgere servizio liturgico, e ricevendo
un’incensazione a parte. Ma non è escluso che alcuni di essi accendano
dei ceri dalla Consacrazione alla Comunione, disponendosi in fila in
plano davanti all’Altare.
•
Come emerge leggendo il punto precedente, non è mai ammessa
dunque la concelebrazione. Solo nelle Ordinazioni Sacerdotali ed
Episcopali i neoconsacrati leggono sub secreto il Canone insieme al
Vescovo che lo proferisce ad alta voce (ma stando in ginocchio al loro
posto in plano).
•
I Ministranti o gli Accoliti, ed il Cerimoniere, indossano la veste
(solitamente nera) e la cotta, non il camice, riservato ai Ministri Sacri.
Non è ammessa mai e per nessuna ragione la possibilità di Ministranti
di sesso femminile, qualunque età abbiano.
•
Non esistono i “ministri straordinari della Comunione” e né gli
Accoliti possono svolgere questo compito. Soltanto il Sacerdote può
distribuire la S. Comunione. In caso di popolo eccezionalmente
numeroso, potrebbe farsi aiutare da un altro Sacerdote presente in
chiesa (stante in cotta e stola), oppure dal Diacono che avesse
l’autorizzazione del Vescovo e il consenso del Parroco.
•
In alcune rare Messe (Quattro Tempora, Veglia Pasquale) possono
avere più letture. In tal caso, quando si celebra con maggiore solennità
esterna, le letture dell’Antico Testamento, dette Prophetiæ, possono
essere cantate – in gregoriano secondo il loro tono proprio – da un
Ministro in cotta che sia in grado di farlo (se possibile, da un chierico
che abbia ricevuto l’Ordine Minore del Lettorato). Egli sta in plano, dal
lato dell’Epistola, rivolto verso l’Altare e non verso il popolo. Circa il
resto, l’Epistola va cantata dal Suddiacono e il Vangelo dal Diacono
nella Messa solenne, altrimenti entrambi dal solo Sacerdote.
•
La schola cantorum può essere sia maschile, sia femminile, sia mista.
In caso di schola completamente maschile, sarebbe bene che i cantori
indossassero veste e cotta.
OGGETTI SACRI
•
L’Altare è coperto da tre tovaglie, delle quali almeno una deve
coprire tutta la mensa e scendere ai lati sino a terra. Le candele non
possono essere a cera liquida ma necessariamente di cera naturale
bianca (cera comune, gialla, è prescritta solo per la liturgia funebre),
secondo la forma Romana: stretta e lunga. Esse vanno disposte
simmetricamente a destra e a sinistra, possibilmente scalate, avendo al
centro la Croce (quando pontifica il Vescovo si accende una settima
candela dietro la Croce). Al centro della mensa deve essere infissa la
Pietra Sacra contenente le Reliquie. Il paliotto è facoltativo, e deve
essere del colore liturgico del giorno (il nero è sostituito dal violaceo
quando si tratta dell’Altare del SS. Sacramento). L’Altare può essere
sormontato da un baldacchino o ciborio (obbligatorio quando sopra
l’aula della chiesa vi sono locali adibiti a uso profano) o da una grande
cupola; il Tabernacolo con la Croce disposta sopra di esso, possono
essere coperti da elementi con foggia simile ai baldacchini. Il
Tabernacolo o almeno la sua porticina, quando custodisce il SS.
Sacramento, va obbligatoriamente coperto con un canopeo, il
quale segue il colore liturgico del giorno o della Messa celebrata (ad
eccezione del nero, sostituito dal violaceo). Anche la pisside va coperta
da un velo, di colore bianco. L’ostensorio prima e dopo l’esposizione va
coperto da un velo bianco, così anche la sua teca custodita nel
Tabernacolo.
•
Il calice e la patena in quanto consacrati dal Vescovo per un uso
esclusivamente sacro, non possono essere toccati che da un
Sacerdote. Tuttavia il Parroco può concedere a qualcuno il
permesso esplicito di prepararli, coprendo almeno le mani con un
velo.
•
Non
si
usano
patene
“a
scodella”,
ma
solo
piatte
e
lievissimamente concave. Per consacrare le ostie dei fedeli si usa la
pisside con coperchio. Infatti la patena, sino all’offertorio e dopo la
Comunione, deve stare sul calice. I vasi sacri esigono che almeno il
loro interno sia dorato.
•
I lini che vengono a contatto con le Sacre Specie, benedetti
precedentemente dal vescovo, devono ricevere un primo lavaggio da
qualcuno che abbia ricevuto almeno il Suddiaconato, e l’acqua
di questo lavaggio va versata nel sacrario. Considerando il fatto che
nelle parrocchie questa figura è quasi impossibile trovarla, è opportuno
delegare ufficialmente un uomo pio (o anche una donna) a compier
questa mansione così delicata e pia. Fatto quindi questo primo
lavaggio, i lini, possono essere puliti come di consueto, con tutto il
dovuto riguardo.
•
L’acqua residua dell’ampollina e del lavabo, essendo benedetta,
va versata nel sacrario dopo la Messa. Il lavabo è infatti
amministrato con la medesima ampollina dell’acqua. Il vino restante
dell’ampollina, invece, non viene benedetto e può essere gettato. NB: se
il Sacerdote prevede di dover celebrare un’altra Messa nell’arco di tre
ore, non usa il vino nelle abluzioni ma solo l’acqua, perché non rompa il
digiuno eucaristico.
•
Il sacrario è presente in tutte le Chiese costruite prima della
riforma liturgica (anche se molti sono stati tolti o murati dopo la
riforma liturgica). È una buca coperta da botola (oppure si presenta
come un piccolo lavandino a forma di imbuto) che mette a contatto
direttamente con la terra di fondazione della Chiesa, benedetta dal
vescovo durante la posa della prima pietra. In esso si getta qualsiasi
cosa che sia stata benedetta o consacrata in modo che torni alla natura
creata da Dio e sia l’usura a consumarla. Qual’ora non ci fosse in
sacrestia o non si ha la certezza che lo scarico non sia stato
erroneamente chiuso o peggio collegato ad un scarico del lavandino
presente in sacrestia, è bene individuare un piccolo spazio di terra
attiguo alla sacrestia, recintato segnato magari con una piccola croce
confitta nel terreno.
•
Il Messale contiene di per sé tutte le formule e i testi della
Messa (comprese le letture
servono altri libri liturgici
3
4
e i toni cantati dal Sacerdote), non
se non quelli con le melodie per i
cantori [NB: va bene il Graduale, ma il migliore di tutti è il Liber
Usualis, che contiene il Kyriale, il proprio e l’ordinario di ogni Messa e
di ogni Divino Ufficio, e altri canti, tutto in gregoriano]. Durante la
Messa letta, il Messale è sfogliato direttamente dal Sacerdote, mai dal
Ministrante. Nella Messa cantata il Cerimoniere dispone il Messale
ma non lo sfogli dinnanzi al Sacerdote mentre nella e Messa solenne
spetta al Diacono. Il Messale non va poggiato sempre per lo stesso
verso, ma sarà dritto parallelamente all’Altare quando è in cornu
Epistulæ, obliquo con le pagine verso il Sacerdote quando in cornu
Evangelii o rientrato nel medesimo lato.
•
Non si amministrano mai sacramenti durante la Messa, ma
sempre separatamente.
•
Sull’Altare si dispongono tre tabelle o cartegloria, in verticale.
Quella di sinistra riporta il testo dell’ultimo Vangelo (Prologo del
Vangelo secondo S. Giovanni), quella centrale contiene le principali
preghiere fisse del Sacerdote, mentre quella di destra ha la formula per
l’infusione dell’acqua nel calice e il salmo del lavabo. Fuori dalla Messa
le cartegloria vengono rimosse o abbassate. Una quarta tabella sta
sulla credenza e viene porta al Sacerdote, alla fine della Messa letta,
dal Ministrante: essa contiene le Preci Leonine. Nella Messa cantata
invece possono usarsi altre tabelle, sempre prelevate dalla credenza: la
prima ha i testi per l’aspersione domenicale, poi i toni dell’intonazione
del Gloria, del Credo, dell’Ite Missa est.
•
L’uso del campanello alla Consacrazione è sempre obbligatorio
anche nella Messa privata, ad eccezion fatta per il periodo
intercorrente tra la Cœna Domini e la Veglia Pasquale.
•
L’unico strumento musicale teoricamente lecito è l’organo.
Tuttavia c’è stato sempre l’uso di consentire anche strumenti classici
(archi, legni, ottoni, e chitarra ma solo se suonati secondo il canone
proprio della musica classica etc.). Sono comunque esclusi gli
strumenti popolari (es. chitarra - se suonata con gli accordi strappando
le note con il plettro - , chitarra elettrica, batteria) o folk (es. tamburi e
tamburelli, cembali di vario genere); altrimenti si può sempre cantare
a cappella (sola voce umana). Il canto nella Messa, gregoriano o
polifonico, è sempre in latino. Sono vietate le esecuzioni di musica
registrata.
•
Il Vetus Ordo conosce alcuni paramenti che nel Novus sono
scomparsi o diversi. Ovviamente sono tutti necessari.
o
Il manipolo è come una stola, ma più piccola e molto corta, di
origine Medievale, da allacciarsi al braccio sinistro; è l’insegna
propria degli Ordini Maggiori, indica infatti il servizio:
Sacerdotale, Diaconale e Suddiaconale.
o
Il velo del calice si pone sopra la palla e copre il calice fino
alla base, almeno dal lato anteriore. [NB per conoscenza: i
Prænotanda del Messale di Paolo VI, compresa l’ultima edizione
promulgata, prescrivono ancora l’uso del velo. Esso è soltanto
caduto in disuso a causa dell’incuranza dei Sacerdoti].
o
La borsa è un grande quadrato di tela rigida nel quale si entra
il corporale piegato. Si tiene sopra il calice velato, viene rimossa
appena il calice è posto sull’Altare in cornu Evangelii con il lato
aperto rivolto verso il sacerdote e non verso l’alto. Borsa e
corporale si usano anche per l’esposizione e benedizione del SS.
Sacramento.
o
NB: Il velo del calice e la borsa sono considerati come un
complemento dei paramenti del Sacerdote. Ne seguono
infatti il colore liturgico e, quando possibile, la stessa foggia
(infatti spesso le sartorie ecclesiastiche vendono il complesso di
pianeta, stola, manipolo, velo e borsa; aggiungendovi talvolta
anche i paramenti per Diacono e Suddiacono). Per la loro
disposizione vedesi figura riportata in coda.
o
La tunicella è il paramento del Suddiacono, negli ultimi secoli
ha assunto la medesima foggia della dalmatica; il Suddiacono
dall’Offertorio al Pater, indossa anche il velo omerale.
o
Il Vescovo ha altri paramenti (calzari, chiroteche – cioè guanti –
etc… ed indossa sopra il camice la tunicella, la dalmatica e la
pianeta). Inoltre utilizza più mitrie (preziosa, aurifregata e
semplice) delle quali le prime due anche nel corso della stessa
celebrazione, la mitra preziosa quando accede e discende
dall’altare e la mitra aurifregiata nel resto del Pontificale. Circa
le altre particolarità si consulti un manuale di liturgia.
o
I Ministri Sacri quando procedono dalla sagrestia all’Altare e
viceversa possono indossare la berretta o tricorno (i religiosi
alzano sul capo il cappuccio del loro abito); l’assumono anche
quando stanno seduti sullo scanno durante le Messe cantate,
salvo toglierla per fare gli inchini prescritti. Chi tiene l’omelia
inoltre la indossa, deponendola alla fine.
o
La stola del Sacerdote sta incrociata e fermata con il cingolo
quando si trova sul camice (non quando è sulla cotta, cioè per
tutte le funzioni fuori dalla Messa). Quella del Diacono è
indossata trasversalmente, dalla spalla sinistra al fianco destro e
fermata con il cingolo. Il Suddiacono non ha mai la stola.
o
L’alba o camice ha un’unica foggia, cioè aperto sulle spalle e
allacciato davanti, perché le spalle e il collo siano visibilmente
coperti dall’amitto. Dunque non si usano camici con il collo chiuso
o aperto da cerniera. La si indossa sempre sulla talare o
sull’abito religioso. È usata solo per la Messa: nelle altre
cerimonie (fossero sacramenti, benedizioni o processioni etc.) il
Sacerdote indossa cotta e stola (abito corale) e, quando richiesto,
il piviale.
o
Negli ultimi decenni prima del Concilio si è introdotto l’uso di
sostituire la pianeta tradizionale con la casula. Bisogna rilevare
però che si trattava di casule ricalcanti l’antica foggia medievale,
dalle quali le casule che si vedono oggi sono abbastanza difformi.
Preparazione del calice
1.
Calice prima della preparazione
2.
Vi si pone sopra il purificatoio
3.
Poi la patena con l’ostia grande del Sacerdote (ed anche quella
il Ministrante in caso di Messa privata)
4.
La palla sopra la patena
piccola per
5.
Viene velato
6.
Il corporale viene entrato nella borsa
7.
La borsa con dentro il corporale si poggia sopra il calice velato.
Tenendo questo in mano, la sinistra al nodo del calice e la destra sopra la borsa per
tenerla ferma, il Sacerdote accompagnato dal Ministrante, fatta riverenza alla Croce
della sagrestia, si segna con l’acqua benedetta e sale all’Altare, sul quale lo porrà
estraendo e dispiegandovi sotto il corporale.
STRUTTURA DELL'ANNO LITURGICO
Demonimazioni latine dei giorni della settimana:
Dominica: Domenica | Feria II: Lunedì | Feria III: Martedì | Feria IV:
Mercoledì | Feria V: Giovedì | Feria VI: Venerdì | Sabbato: Sabato
Tempo d’Avvento (paramenti di colore violaceo eccetto che nelle feste; rosa
la terza domenica):
- I – IV Domenica di Avvento
- Ferie IV, VI e Sabato della Terza settimana d’Avvento: Quattro Tempora
-24 Dicembre: Vigilia di Natale
Tempo di Natale (colore bianco eccetto che nelle feste dei Santi Apostoli e
Martiri):
- 25 Dicembre: Natale
- Ottava di Natale (sino all’1 gennaio). La Domenica intercorrente si
considera soltanto come Domenica tra l’Ottava
- 2 Gennaio: SS. Nome di Gesù
- Ferie dal 3 al 5 Gennaio
Tempo dell’Epifania (colore bianco eccetto che nelle feste dei Santi Apostoli
e Martiri):
- 6 Gennaio: Epifania
- Domenica dopo l’Epifania: Sacra Famiglia
- 13 Gennaio: Battesimo di N.S.G.C.
Tempo dopo l’Epifania (colore verde eccetto che nelle feste):
- dal 14 Gennaio alla Domenica di Settuagesima: numero di domeniche
variabili da 2 a 6, a seconda della data della Pasqua
Tempo di Settuagesima (colore violaceo eccetto che nelle feste):
Si chiamano domeniche di settuagesima, sessagesima e quinquagesima
le domeniche che precedono il mercoledì delle Ceneri Dalla domenica di
settuagesima fino al Sabato Santo la Chiesa non officia l'Alleluia, che è un
inno gioioso, ed usa paramenti viola, colore penitenziale.
Nelle celebrazioni di queste settimane si ricordano ai fedeli il peccato
originale, con la caduta dal Paradiso Terrestre, il diluvio universale inviato
per castigare i peccatori, il sacrificio di Abramo che riceve in dono da Dio la
vita del proprio figlio in premio alla propria dedizione.
Lo scopo è quello di richiamare l'attenzione dei fedeli sulla necessità di non
strafare durante il carnevale e di astenersi dal partecipare ad eccessive
manifestazioni di intemperanza.
- Domenica di Settuagesima (9 domeniche prima di Pasqua)
- Domenica di Sessagesima
- Domenica di Quinquagesima e due ferie seguenti, lunedì e martedì, prima
del Mercoledì delle Ceneri, che da inizio alla quaresima! (nella sola Diocesi di
Milano, la Quaresima ha inizio con la I Domenica di Quaresima)
Tempo di Quaresima (colore violaceo eccetto che nelle feste; rosa la quarta
domenica):
- Mercoledì delle Ceneri (Feria IV dopo la Domenica di Quinquagesima)
- I – IV Domenica di Quaresima
- Ferie IV (mercoledì) , VI (venerdì) e Sabbato della Prima settimana di
Quaresima: Quattro Tempora
Tempo di Passione (colore violaceo eccetto che nelle feste):
- I Domenica di Passione (V di Quaresima secondo il Novus Ordo).
- II Domenica di Passione o delle Palme (piviale e stola rossi per la
benedizione e processione; manipolo, stola e pianeta violacei per la Messa):
Settimana Santa:
- Feria II, III, IV (colore violaceo)
Sacro Triduo:
- Feria V in Cœna Domini (colore bianco)
- Feria VI in Passione et Morte Domini (colore nero, ma violaceo durante la
Comunione)
- Sabbato Sancto (paramenti violacei per la benedizione del fuoco, bianchi
per la processione del cero e il Preconio per il diacono, violacei per le
letture
e la benedizione dell’acqua, bianchi
dall’alleluia
per
la
rinnovazione delle promesse battesimali e la Messa)
Tempo Pasquale (colore bianco eccetto per le feste dei Santi Apostoli e
Martiri):
- Pasqua di Risurrezione (Novilunio dopo l’equinozio di primavera)
- Ottava di Pasqua (sino alla Domenica II di Pasqua o in Albis)
- III – V Domenica dopo Pasqua
- Rogazioni o Litanie Minori: Feria II e III dopo la V Domenica di Pasqua
(colore violaceo)
Tempo dell’Ascensione (colore bianco eccetto per le feste dei Santi Apostoli
e Martiri):
- Feria IV Vigilia dell’Ascensione
- Ascensione (Feria V dopo la V Domenica di Pasqua, sono 40 giorni dopo
Pasqua)
- Domenica e settimana dopo l’Ascensione
Tempo di Pentecoste (colore rosso):
- Vigilia di Pentecoste simile alla Veglia pasquale
- Domenica di Pentecoste (dieci giorni dopo l’Ascensione, 50 dopo Pasqua)
- Ottava di Pentecoste
- Ferie IV, VI e Sabato dell’Ottava di Pentecoste: Quattro Tempora
Tempo dopo Pentecoste (colore verde eccetto che nelle feste):
- SS. Trinità la domenica dopo Pentecoste (colore bianco)
- Corpus Domini la Feria V dopo la SS. Trinità (colore bianco)
- S. Cuore la Feria VI che segue la II Domenica dopo Pentecoste (colore
bianco)
- Numero di Domeniche variabile da 23 a 28. Qualora fossero più di 24, tra
la 23a e la 24a si integra il numero adottando la liturgia delle domeniche
dopo l’Epifania che fossero state omesse a suo tempo, ma procedendo a
ritroso (la domenica seguente alla 23a si inserisce la VI dopo l’Epifania, poi
la V, la IV etc), purché l’ultima Domenica dell’anno liturgico si celebri
sempre col formulario della 24a del Tempo dopo Pentecoste.
- Ferie IV (mercoledì) , VI (venerdì) e Sabbato della settimana seguente alla
festa dell’Esaltazione della Croce (14 Settembre): Quattro Tempora (colore
violaceo)
- La festa di Cristo Re è l’ultima Domenica di Ottobre (colore bianco)
Le Quattro Tempora cadono fra la terza e la quarta domenica di Avvento,
fra la prima e la seconda domenica di Quaresima, fra Pentecoste e la festa
della Santissima Trinità e la settimana seguente l'Esaltazione della Santa
Croce, (14 settembre).
Nel calendario liturgico della forma straordinaria del rito romano, le Quattro
Tempora sono quattro distinti periodi di tre giorni - mercoledì, venerdì e
sabato - di una stessa settimana approssimativamente equidistanti nel ciclo
dell'anno, destinati al digiuno e alla preghiera. Questi giorni erano
considerati particolarmente idonei per l'ordinazione del clero.
Le Tempora avevano inizio il primo mercoledì dopo il giorno delle Ceneri
(allora la prima domenica di Quaresima), Pentecoste, l'Esaltazione della
Santa Croce e Santa Lucia. Questo comportava, ad esempio, che se il [14
settembre] cadeva di martedì, le Tempora cadevano li 15, 17 e 18 settembre.
Perciò, le Tempora di settembre potevano cadere nella seconda o nella terza
settimana di settembre. Questa comunque fu sempre la terza settimana
liturgica di settembre, considerando la prima domenica di settembre quella
più prossima al 1° settembre (29 agosto piuttoto che 4 settembre). Per
semplificare il calendario liturgico, papa Giovanni XXIII stabilì che per terza
domenica dovesse intendersi la terza domenica dall'inizio del mese. Quindi
se il 14 settembre cadeva di domenica, le Tempora sarebbero state il 24, 26 e
27 settembre, 26.
La Chiesa Cattolica prescriveva il digiuno in tutti i giorni delle Quattro
Tempora e l'astinenza in ogni venerdì, e i fedeli erano invitati a confessarsi.
Questa regola è tutt’ora seguita dai Cattolici che osservano il calendario
liturgico del 1962.
Il 17 febbraio 1966, papa Paolo VI con il decreto Pænitemini escluse le
Quattro Tempora dai giorni di digiuno e astinenza.
NB. PER IL SACERDOTE:
Il giorno della Prima Messa (e tutte le volte che Celebrerà) il Sacerdote
recita questa preghiera:
FORMULA INTENTIONIS ANTE MISSAM
Ego volo celebrare Missam, et conficere Corpus et Sanguinem Domini
nostri Jesu Christi, juxta ritum sanctæ Romanæ Ecclesiæ, ad laudem
omnipotentis Dei totiusque Curiæ triumphantis, ad utlitatem meam
totiusque Curiæ militantis, pro omnibus, qui se commendaverunt
orationibus meis in genere et in specie, et pro felici statu sanctæ
Romanæ Ecclesiæ. Gaudium cum pace, ememdationem vitæ, spatium
veræ
pænitentiæ,
gratiam
et
consolationem
Sancti
Spiritus,
perseverantiam in bonis operibus, tribuat nobis omnipotens et misericors
Dominus. Amen.
***
Intendo celebrare questa Eucaristia e consacrare il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo,
secondo il rito di Santa Romana Chiesa, a lode di Dio Onnipotente e di tutta la sua corte celeste per il
mio bene e quello di tutta la Santa Chiesa militante (e purgante), per tutti coloro che si sono
raccomandati alle mie preghiere, in modo generale e in modo particolare, come anche per il felice stato
della Santa Chiesa Romana. Il Signore onnipotente e misericordioso ci conceda di gioire nella pace, il
perdono nella vita presente, il tempo per una vera penitenza, la grazia e la consolazione dello Spirito
Santo e la perseveranza nelle buone opere. Amen..
Oltre questa intenzione è bene formulare un’intenzione generale perpetua
all’inizio del proprio Ministero Sacerdotale con queste parole:
Intendo consacrare oggi e sempre tutte le ostie collocate
sul corporale!
Questo per evitare per esempio quegli scrupoli al momento della
consacrazione, oppure per evitare di consacrare quelle ostie che potrebbero
essere collocate da malintenzionati sotto la tovaglia, per utilizzarle a scopi
sacrileghi.
E bene però ricordare, soprattutto per le celebrazioni con il Novus Ordo, di
mettere l’intenzione qualora ci fossero oltre il numero di pissidi presenti
sull’altare, pissidi fuori o parzialmente fuori il Corporale! In quel caso è
necessario mettere l’intenzione solo per quella Celebrazione specifica quindi
non per sempre.
_______________________
1 Il costume antico, sino alle riforme dell’ultimo ventennio che ha preceduto il
Vaticano II (pontificati di Pio XII e Giovanni XXIII), prevedeva che il popolo assistesse
in silenzio e sempre inginocchiato (alzandosi in piedi per i due Vangeli), così da
favorire il raccoglimento e l’unione intima a Dio evitando distrazioni, mentre solo il
Ministrante aveva il compito di rispondere al Sacerdote in rappresentanza dei fedeli.
Di qui l’espressione, tuttora comune presso i ceti più popolari nonostante sia aborrita
dai liturgisti, “ascoltare la Messa”.
2 Il Suddiaconato era un Ordine Maggiore
3 C’è un solo ciclo di letture.
4 Per le altre funzioni occorrono: Rituale Romanum (unico volume) per i sacramenti,
benedizioni, esorcismi e varie; Memoriale Rituum per i riti delle funzioni liturgiche
straordinarie (processione della Candelora e delle Palme, Sacro Triduo etc), Pontificale
Romanum (unico volume) per le funzioni di spettanza del Vescovo, Liber Usualis
(unico volume) per il canto solenne della Messa e dell’Ufficio (Breviarium Romanum in
due o quattro volumi per la recita individuale o il canto semplice dell’Ufficio),
Martyrolugium Romanum per il canto del Martirologio annesso alla recita dell’Ora
Prima, Orationes in Benedictione Ss.mi Sacramenti per l’esposizione e benedizione col
SS. Sacramento, Cæremoniale Episcoporum per tutto quanto attiene alla persona del
Vescovo e ai riti delle sue cerimonie. Gli altri libri liturgici sono semplicemente degli
estratti pratici di questi già nominati: Graduale Romanum, Antiphonali (Diurnale e
Nocturnale) lo sono del Liber Usualis, Ordo Missæ Defunctorum lo è del Missale
Romanum etc.
Instructio de Musica Sacra et Sacra Liturgia
Rubricarum Instructum
Decretum Generale
Summorum Pontificum
Lettera a tutti i Vescovi del mondo
n
SACRA RITUUM CONGREGATIO
INSTRUCTIO
DE MUSICA SACRA ET
SACRA LITURGIA
SECONDO IL PENSIERO DELLE ENCICLICHE DI PIO XII
«MUSICAE SACRAE DISCIPLINA» E «MEDIATOR DEI»
Tre documenti di fondamentale importanza sono stati
emanati dai Sommi Pontefici, nell’epoca nostra, sulla Musica
sacra, e cioè: il Motu proprio di san Pio X, Tra le sollecitudini,
del 22 novembre 1903; la Costituzione Apostolica Divini
Cultus di Pio XI, di f. m., del 20 dicembre 1928; da ultimo la
Lettera Enciclica Musicae Sacrae disciplina del Sommo
Pontefice Pio XII, felicemente regnante, del 25 dicembre 1955;
vi furono inoltre vari altri documenti pontifici di minore entità
e decreti di questa Sacra Congregazione dei Riti, concernenti
l’ordinamento di ciò che si riferisce alla Musica sacra.
Tutti sanno che tra la Musica sacra e la sacra Liturgia
intercorre, per la loro stessa natura, una così stretta relazione,
che non è possibile fissare leggi o dare norme intorno all’una
trascurando l’altra. In realtà, anche nei ricordati documenti
pontifici e decreti della Sacra Congregazione dei Riti,
ricorrono continuamente cose relative alla Musica sacra e
insieme alla sacra Liturgia.
Atteso poi che lo stesso Sommo Pontefice Pio XII, prima
ancora di trattare della Musica sacra, aveva emanato, il 20
novembre 1947, l’altra gravissima Enciclica sulla Sacra
Liturgia Mediator Dei, nella quale con mirabile coordinamento
sono esposte la dottrina liturgica e le necessità pastorali, è
sembrato cosa molto opportuna raccogliere organicamente dai
ricordati documenti i punti principali concernenti la sacra
Liturgia, la Musica sacra e la loro efficacia pastorale, ed
esporli più in particolare per mezzo di una speciale Istruzione,
affinché ciò che è contenuto negli stessi documenti possa più
facilmente e sicuramente essere tradotto in pratica.
Alla redazione di questa Istruzione contribuirono a bella posta
uomini esperti nella Musica sacra e la Pontificia Commissione
costituita per la riforma generale della Liturgia.
La materia poi di questa Istruzione è trattata nell’ordine
seguente:
Capitolo I Nozioni generali (nn. 1-10).
Capitolo II Norme generali (nn. 11-21).
Capitolo III Norme speciali.
1. Delle principali azioni liturgiche nelle quali entra la Musica
sacra.
A) Della Messa.
a) Alcuni princìpi generali sulla partecipazione dei fedeli (nn.
22-23).
b) Della partecipazione dei fedeli nelle Messe in canto (nn. 2427).
c) Della partecipazione dei fedeli nelle Messe lette (nn. 28-34).
d) Della Messa conventuale, detta anche Messa in Coro (nn.
35-37).
e) Dell’assistenza dei sacerdoti al sacrosanto sacrificio della
Messa e delle cosiddette Messe sincronizzate (nn. 38-39).
B) Dell’Ufficio divino (nn. 40-46).
C) Della Benedizione eucaristica (n. 47).
2. Di alcuni generi di Musica sacra.
A) Della polifonia sacra (nn. 48-49).
B) Della Musica sacra moderna (n. 50).
C) Del canto popolare religioso (nn. 51-53).
D) Della Musica religiosa (nn. 54-55).
3. Dei libri di canto liturgico (nn. 56-59).
4. Degli strumenti musicali e delle campane.
A) Alcuni princìpi generali (n. 60).
B) Dell’organo classico e strumenti simili (nn. 61-67).
C) Della Musica sacra strumentale (nn. 68-69).
D) Degli strumenti musicali e delle macchine automatiche
(nn. 70-73).
E) Delle azioni sacre da trasmettersi per radio e televisione
(nn. 74-79).
F) Del tempo nel quale è proibito il suono degli strumenti
musicali (nn. 80-85).
G) Delle campane (nn. 86-92).
5. Delle persone che occupano una parte rilevante nella
Musica sacra e nella sacra Liturgia (nn. 93-103).
6. Della cultura della Musica sacra e della sacra Liturgia.
A) Della formazione generale del Clero e del popolo nella
Musica sacra e nella sacra Liturgia (nn. 104-112).
B) Degli istituti pubblici e privati per promuovere la Musica
sacra (nn. 113-118).
Premesse dunque alcune nozioni generali (Capitolo I), si
danno norme parimenti generali circa l’uso della Musica sacra
nella Liturgia (Capitolo II); posto questo fondamento, tutta la
materia viene trattata nel Capitolo III; nei singoli paragrafi
poi di questo capitolo si fissano dapprima alcuni princìpi più
importanti, dai quali discendono poi ovviamente le norme
speciali.
***
Capitolo I
NOZIONI GENERALI
1. «La sacra Liturgia costituisce il culto pubblico integrale del
Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue
membra1». Sono perciò «azioni liturgiche» quelle azioni sacre,
che, istituite da Gesù Cristo o dalla Chiesa, vengono eseguite
in loro nome secondo i libri liturgici approvati dalla Santa
Sede da persone a ciò legittimamente deputate, per rendere il
dovuto culto a Dio, ai Santi e Beati (cfr. can. 1256); le altre
azioni sacre, che vengono compiute sia in chiesa che fuori,
anche alla presenza o sotto la presidenza del sacerdote,
vengono chiamate «pii esercizi».
2. Il sacrosanto sacrificio della Messa è un atto di culto
pubblico, reso a Dio in nome di Cristo e della Chiesa, in
qualsiasi luogo e in qualunque modo venga celebrato; la
denominazione perciò di «Messa privata» si deve evitare.
3. Due sono le specie della Messa: Messa «in canto» e Messa
«letta».
Dicesi Messa in canto, se di fatto il celebrante canta quelle
parti che deve cantare secondo le rubriche; altrimenti dicesi
Messa
letta.
La Messa «in canto», inoltre, se è celebrata con l’assistenza dei
sacri ministri, è chiamata Messa solenne; se è celebrata senza
ministri sacri, è detta Messa cantata.
4. Sotto il nome di «Musica sacra» qui si intende:
a) Il canto gregoriano.
b) La polifonia sacra.
c) La Musica sacra moderna.
d) La Musica sacra per organo.
e) Il canto popolare religioso.
f) La Musica religiosa.
5. Il canto «gregoriano» da usarsi nelle azioni liturgiche è il
canto sacro della Chiesa romana, il quale per antica e
veneranda tradizione, religiosamente e fedelmente coltivato e
ordinato o modulato anche in tempi più recenti secondo
esemplari dell’antica tradizione, viene proposto per l’uso
liturgico nei rispettivi libri approvati dalla S. Sede. Il canto
gregoriano per natura sua non richiede che venga eseguito con
accompagnamento di organo o di altro strumento musicale.
6. Col nome di polifonia sacra si intende quel canto misurato a
più voci, senza accompagnamento di alcuno strumento, che,
sorto dalle melodie gregoriane, cominciò a fiorire nella Chiesa
latina durante il Medioevo, nella seconda metà del sec. XVI
ebbe come massimo cultore Pierluigi da Palestrina (15251594), e viene coltivato anche oggi da insigni maestri della
stessa
arte.
7. La «Musica sacra moderna» è quella musica, a più voci, non
escluso l’accompagnamento di strumenti musicali, la quale in
epoca più recente è composta secondo i progressi dell’arte
musicale. Essa però, essendo ordinata direttamente all’uso
liturgico, deve ispirarsi a sentimenti di pietà e di religione, e a
questa condizione è ammessa nell’uso liturgico.
8. La «Musica sacra per organo» è quella musica composta per
solo organo, la quale, fin dal tempo in cui l’organo tubolare fu
reso più adatto a sostenere un concerto, venne molto coltivata
da maestri insigni, e, qualora siano accuratamente rispettate
le leggi della Musica sacra, può servire non poco a dare
maggior decoro alla sacra Liturgia.
9. Il «Canto popolare religioso» è quel canto che sgorga
spontaneamente dal senso religioso di cui la creatura umana
fu arricchita dal Creatore stesso, e perciò è universale, lo si
ritrova cioè presso tutti i popoli.
Dato poi che lo stesso canto è adattissimo a permeare di
spirito cristiano la vita dei fedeli, privata e sociale, esso fu
molto coltivato nella Chiesa fin dai tempi più antichi2 e viene
raccomandato vivamente anche oggi per fomentare la pietà
dei fedeli e a dare maggior decoro agli esercizi pii, che anzi
talvolta può essere usato anche nelle azioni liturgiche3.
10. La «Musica religiosa» finalmente è quella che, sia per
l’intenzione dell’autore, sia per l’argomento e il fine dell’opera,
si propone di esprimere e suscitare sentimenti pii e religiosi e
perciò è molto utile alla religione4; dato però che non è
ordinata al culto divino ed ha un carattere più libero, nelle
azioni liturgiche non è ammessa.
***
Capitolo II
NORME GENERALI
11. Questa Istruzione ha vigore per tutti i riti della Chiesa
latina; pertanto, ciò che è detto del canto gregoriano vale
anche per il canto liturgico proprio degli altri riti latini,
qualora esista.
Col nome poi di «Musica sacra» in questa Istruzione si intende
talvolta il canto e il suono degli strumenti, talvolta soltanto il
suono degli strumenti, come può dedursi facilmente dal
contesto.
Finalmente con la parola «chiesa» ordinariamente si intende
ogni «luogo sacro», e cioè: la chiesa in senso stretto, l’oratorio
pubblico, semipubblico e privato (cfr. cann. 1154, 1161, 1188),
a meno che dal contesto non apparisca trattarsi delle sole
chiese in senso stretto.
12. Le azioni liturgiche devono essere eseguite a norma dei
libri liturgici legittimamente approvati dalla Sede Apostolica,
sia per la Chiesa universale, sia per qualche chiesa particolare
o famiglia religiosa (cfr. can. 1257); gli esercizi pii invece si
svolgono secondo le consuetudini e le tradizioni dei luoghi o di
ceti di persone, approvate dalla competente autorità
ecclesiastica (cfr. can. 1259).
Non è lecito frammischiare azioni liturgiche ed esercizi pii;
ma, se occorra, gli esercizi pii o precedano o seguano le azioni
liturgiche.
13. a) La lingua delle azioni liturgiche è la latina, a meno che
nei sopraddetti libri liturgici, sia generali che particolari, per
alcune azioni liturgiche sia esplicitamente ammessa un’altra
lingua, e salve quelle eccezioni che vengono appresso indicate.
b) Nelle azioni liturgiche celebrate in canto, non è lecito
cantare alcun testo liturgico tradotto letteralmente in lingua
volgare5 salvo concessioni particolari.
c) Le eccezioni particolari, concesse dalla S. Sede, alla legge di
usare unicamente nelle azioni liturgiche la lingua latina,
restano in vigore; non è lecito però, senza licenza della stessa
Santa Sede, dare ad esse una interpretazione più larga o
trasferirle ad altre regioni.
d) Negli esercizi pii si può usare qualsiasi lingua più
opportuna ai fedeli.
14. a) Nelle Messe in canto si deve usare unicamente la lingua
latina, non soltanto dal sacerdote celebrante e dai ministri,
ma anche dalla «Schola cantorum» o dai fedeli.
«Peraltro, là dove per una secolare o immemorabile
consuetudine, nel solenne Sacrificio Eucaristico [cioè nella
Messa in canto], dopo le sacre parole liturgiche cantate in
latino, vengano inseriti alcuni canti popolari in lingua volgare,
gli Ordinari dei luoghi potranno permettere che ciò si faccia,
"se per le circostanze locali e di persone, stimeranno che detta
[consuetudine] non possa essere prudentemente rimossa"
(can. 5), ferma restante la legge per la quale è stabilito che le
stesse parole liturgiche non siano cantate in volgare6».
b) Nelle Messe lette il sacerdote celebrante, il suo ministro e i
fedeli che insieme al sacerdote celebrante partecipano
direttamente all’azione liturgica, e cioè che dicono a voce alta
quelle parti della Messa che loro spettano (cfr. n. 31) devono
usare unicamente la lingua latina. Tuttavia se i fedeli, oltre
questa
partecipazione
liturgica
diretta,
desiderano
aggiungere, secondo la consuetudine dei luoghi, alcune
preghiere o canti popolari, lo possono fare anche nella propria
lingua.
c) È strettamente proibito recitare ad alta voce, insieme al
sacerdote celebrante, le parti del Proprio, dell’Ordinario e del
Canone della Messa in lingua latina o in traduzione verbale,
tanto da parte di tutti i fedeli che di qualche commentatore,
eccezione fatta per ciò che viene indicato al n. 31.
È desiderabile però che nelle domeniche e nei giorni festivi,
nelle Messe lette, il Vangelo e anche l’Epistola vengano letti
da qualche lettore in lingua volgare, per utilità dei fedeli.
Dalla Consacrazione poi al Pater noster si consiglia un sacro
silenzio.
15. Nelle sacre processioni descritte nei libri liturgici, si usi
quella lingua che gli stessi libri prescrivono o ammettono;
nelle altre processioni, invece, che vengono fatte a modo di pii
esercizi, si può usare quella lingua che sia più opportuna ai
fedeli che vi intervengono.
16. Il Canto gregoriano è il canto sacro, proprio e principale
della Chiesa romana; pertanto esso non solo si può usare in
tutte le azioni liturgiche, ma, a parità di condizione, è da
preferirsi agli altri generi di Musica sacra.
Perciò:
a) La lingua del canto gregoriano, come canto liturgico, è
unicamente la lingua latina.
b) Quelle parti delle azioni liturgiche che secondo le rubriche
sono da cantarsi dal sacerdote celebrante e dai suoi ministri,
si devono cantare unicamente secondo le melodie gregoriane,
quali sono proposte nelle edizioni tipiche, con la proibizione
dell’accompagnamento di qualsiasi strumento.
La «schola» e il popolo, quando rispondono secondo le rubriche
al sacerdote e ai ministri che cantano, devono usare anch’essi
unicamente le stesse melodie gregoriane.
c) Finalmente, là dove fu permesso con Indulti particolari che
nelle Messe in canto il sacerdote celebrante, il diacono o il
suddiacono, o il lettore, dopo il canto nella melodia gregoriana
dell’Epistola o della Lezione o del Vangelo, possano
proclamare gli stessi testi anche in lingua volgare, ciò deve
esser fatto leggendo a voce alta e chiara, con esclusione di
qualsiasi melodia gregoriana, autentica o imitata (cfr. n. 96 e).
17. La Polifonia sacra si può usare in tutte le azioni
liturgiche, ma a questa condizione: che vi sia una «schola» che
la possa eseguire a regola d’arte. Questo genere di Musica
sacra conviene specialmente alle azioni liturgiche che si
vogliono celebrare con maggiore splendore.
18. Parimente la Musica sacra moderna può essere ammessa
in tutte le azioni liturgiche, se in realtà risponde alla dignità,
alla gravità e santità della Liturgia, e vi sia una «schola» che
la possa eseguire a regola d’arte.
19. Il Canto popolare religioso si può usare liberamente negli
esercizi pii; nelle azioni liturgiche invece si osservi
strettamente ciò che sopra è stato stabilito, nn. 13-15.
20. La Musica religiosa poi sia esclusa assolutamente da tutte
le azioni liturgiche; negli esercizi pii peraltro si può
ammettere; quanto ai concerti in luoghi sacri, si osservino le
norme che vengono date appresso, nn. 54 e 55.
21. Tutto ciò che, a norma dei libri liturgici, deve essere
cantato, sia dal sacerdote e dai suoi ministri, sia dalla «schola»
o dal popolo, appartiene integralmente alla stessa sacra
Liturgia. Ciò posto:
a) È strettamente vietato cambiare in qualsivoglia modo
l’ordine del testo che si deve cantare, alterare le parole od
ometterle, o ripeterle inopportunamente. Anche nelle melodie
composte in forma di polifonia o di musica sacra moderna, le
singole parole del testo devono potersi percepire chiaramente
e distintamente.
b) Per la stessa ragione, in qualsiasi azione liturgica è
esplicitamente vietato di omettere, in tutto o in parte,
qualsiasi testo liturgico che si deve cantare, a meno che sia
disposto diversamente dalle rubriche.
c) Se tuttavia per ragionevole causa, ad esempio per il numero
ristretto di cantori o per la loro imperfetta perizia nell’arte del
canto o anche talvolta per la prolissità di qualche rito o
melodia, l’uno o l’altro testo liturgico che appartiene alla
«schola» non si possa cantare come è notato nei libri liturgici,
è permesso soltanto che quei testi possano essere cantati
integralmente o in retto tono o a modo di salmo, con
accompagnamento, se si vuole, di organo.
***
Capitolo III
NORME SPECIALI
1. DELLE PRINCIPALI AZIONI LITURGICHE NELLE QUALI ENTRA
LA MUSICA SACRA
A) DELLA MESSA
a) Alcuni princìpi generali intorno alla partecipazione dei
fedeli
22. La Messa richiede, per sua natura, che tutti i presenti vi
partecipino nel modo proprio a ciascuno.
a) Questa partecipazione deve essere in primo luogo interna,
attuata cioè con devota attenzione della mente e con affetti del
cuore, attraverso la quale i fedeli «strettissimamente si
uniscano al Sommo Sacerdote... e con Lui e per Lui offrano [il
Sacrificio] e con Lui si donino7».
b) La partecipazione però dei presenti diventa più piena se
all’attenzione interna si aggiunge una partecipazione esterna,
manifestata cioè con atti esterni, come sono la posizione del
corpo (genuflettendo, stando in piedi, sedendo), i gesti rituali,
soprattutto però le risposte, le preghiere e il canto.
Di questa partecipazione il Sommo Pontefice Pio XII, nella
Lettera enciclica sulla Liturgia Mediator Dei, parlando in
generale raccomanda quanto segue:
«Sono da lodarsi coloro che si studiano di far sì che la Liturgia
anche esternamente sia un’azione sacra, alla quale tutti i
presenti in realtà prendano parte. E ciò può avverarsi in vari
modi: quando cioè tutto il popolo, secondo le norme dei sacri
riti, risponde, conservando il giusto ordine, alle parole del
sacerdote, o eseguisce dei canti che rispondano alle varie parti
del Sacrificio, o fa l’uno e l’altro, o finalmente quando nella
Messa solenne risponde alle preghiere del celebrante e
partecipa anche al canto liturgico8».
Tale armonica partecipazione hanno di mira i documenti
pontifici quando parlano di «attiva partecipazione9», di cui
l’esempio principale è offerto dal sacerdote celebrante e dai
suoi ministri, i quali servono all’altare con la dovuta pietà
interna e con l’esatta osservanza delle rubriche e cerimonie.
c) Finalmente la partecipazione attiva diventa perfetta,
quando vi si aggiunge anche la partecipazione sacramentale,
per la quale cioè «i fedeli presenti partecipano non solo con
affetto spirituale, ma anche con la sacramentale Comunione,
affinché su di essi scendano più copiosi i frutti di questo
santissimo Sacrificio10».
d) Dato però che una cosciente e attiva partecipazione dei
fedeli non si può ottenere senza una loro sufficiente istruzione,
giova ricordare quella sapiente legge emanata dai Padri
Tridentini, con la quale si prescrive: «Il sacro Concilio
ingiunge ai pastori e ai singoli aventi cura di anime, che
frequentemente durante la celebrazione della Messa [cioè
nell’omelia dopo il Vangelo, ossia «quando si impartisce al
popolo cristiano la catechesi»], per se stessi o per mezzo di
altri, espongano una qualche parte di ciò che vien letto nella
Messa, e fra l’altro si spieghi un qualche mistero di questo
santissimo Sacrificio, specialmente nei giorni di domenica e
festivi11».
23. Occorre però ordinare i vari modi con i quali i fedeli
possano partecipare attivamente al sacrosanto Sacrificio della
Messa, in maniera che venga rimosso il pericolo di ogni abuso
e si possa raggiungere il fine principale della stessa
partecipazione, il più pieno culto cioè di Dio e l’edificazione dei
fedeli.
b) Della partecipazione dei fedeli nelle Messe in canto
24. La forma più nobile della celebrazione eucaristica la si ha
nella Messa solenne, nella quale la congiunta solennità delle
cerimonie, dei ministri e della Musica sacra rende manifesta
la magnificenza dei divini misteri e conduce la mente dei
presenti alla pia contemplazione degli stessi misteri. Ci si
dovrà preoccupare perciò che i fedeli abbiano una adeguata
stima di questa forma di celebrazione, partecipandovi in modo
opportuno, come viene in appresso indicato.
25. Nella Messa solenne dunque, l’attiva partecipazione dei
fedeli può essere di tre gradi:
a) Il primo grado si ha, quando tutti i fedeli danno cantando
le risposte liturgiche: Amen; Et cum spiritu tuo; Gloria tibi,
Domine; Habemus ad Dominum; Dignum et iustum est; Sed
libera nos a malo; Deo gratias. Si deve cercare con ogni cura
che tutti i fedeli, di ogni parte del mondo, possano dare
cantando queste risposte liturgiche.
b) Il secondo grado si ha quando tutti i fedeli cantano anche
le parti dell’Ordinario della Messa: Kyrie, eleison; Gloria in
excelsis Deo; Credo; Sanctus-Benedictus; Agnus Dei. Si deve
poi cercare di far sì che i fedeli imparino a cantare queste
stesse parti dell’Ordinario della Messa, soprattutto con le
melodie gregoriane più semplici. Se d’altra parte non
sapessero cantare tutte le singole parti, nulla vieta che i fedeli
ne cantino alcune delle più facili, come il Kyrie, eleison;
Sanctus-Benedictus; Agnus Dei, riservando il Gloria e il Credo
alla «schola cantorum».
Si deve cercare inoltre di far sì che in tutte le parti del mondo
i fedeli imparino queste più facili melodie gregoriane: Kyrie,
eleison; Sanctus-Benedictus, e Agnus Dei secondo il numero
XVI del Graduale Romano; il Gloria in excelsis Deo con Ite,
Missa est-Deo gratias, secondo il numero XV; il Credo poi
secondo il num. I o III. In questo modo si potrà ottenere quel
risultato tanto desiderabile, che i fedeli in tutto il mondo
possano manifestare, nell’attiva partecipazione al sacrosanto
Sacrificio della Messa, la loro fede comune anche con uno
stesso festoso concento12.
c) Il terzo grado finalmente si ha quando tutti i presenti
siano talmente preparati nel canto gregoriano da poter
cantare anche le parti del Proprio della Messa. Questa piena
partecipazione alla Messa in canto si deve sollecitare
soprattutto nelle comunità religiose e nei seminari.
26. È da tenersi in gran conto anche la Messa cantata, la
quale, sebbene sia priva dei ministri sacri e della piena
magnificenza delle cerimonie, è adornata però della bellezza
del canto e della Musica sacra.
È desiderabile che nelle domeniche e giorni festivi la Messa
parrocchiale o quella principale siano in canto.
Tutto ciò poi che è stato detto intorno alla partecipazione dei
fedeli nella Messa solenne vale anche pienamente per la
Messa cantata.
27. Nelle Messe in canto si tenga presente inoltre quanto
segue:
a) Se il sacerdote con i ministri fa l’ingresso in chiesa per una
via più lunga, niente impedisce che, dopo che sia stata cantata
l’antifona dell’Introito con il suo versetto, si cantino diversi
altri versetti dello stesso salmo; nel qual caso, dopo ogni
versetto o ogni due versetti, si può ripetere l’antifona e,
quando il celebrante è giunto all’altare, interrotto – se è il caso
– il salmo, si canta il Gloria Patri e per ultimo si ripete
l’antifona.
b) Dopo l’antifona all’Offertorio si possono cantare le antiche
melodie gregoriane di quei versetti, che una volta venivano
cantati dopo l’antifona. Se però l’antifona all’Offertorio è
desunta da qualche salmo, è lecito cantare altri versetti dello
stesso salmo; nel qual caso, dopo ogni versetto o ogni due
versetti, si può ripetere l’antifona e, terminato l’Offertorio, il
salmo si chiude col Gloria Patri e si ripete l’antifona. Se invece
l’antifona non è presa da un salmo, si può scegliere un altro
salmo adatto alla solennità. Terminata poi l’antifona
all’Offertorio, si può cantare anche qualche breve canto latino,
che sia intonato però a questa parte della Messa e non sia
protratto oltre la Secreta.
c) L’antifona alla Comunione di per sé si deve cantare mentre
il sacerdote celebrante si comunica. Se però ci sono dei fedeli
da comunicare, il canto della stessa antifona si cominci
mentre il sacerdote distribuisce la santa Comunione. Se la
stessa antifona alla Comunione è desunta da qualche salmo, è
lecito cantare altri versetti dello stesso salmo; nel qual caso,
dopo ogni versetto o ogni due versetti, si può ripetere
l’antifona e, terminata la Comunione, il salmo si chiude col
Gloria Patri e si ripete l’antifona. Se invece l’antifona non è
presa da un salmo, si può scegliere un salmo intonato alla
solennità e all’azione liturgica.
Terminata poi l’antifona alla Comunione, soprattutto se la
Comunione dei fedeli si prolunga molto, è lecito cantare anche
un altro breve canto latino, adatto all’azione sacra.
I fedeli inoltre che si accostano alla sacra Comunione, possono
recitare insieme al sacerdote celebrante il triplice Domine,
non sum dignus.
d) Il Sanctus e il Benedictus, se sono cantati in gregoriano,
devono essere cantati senza interruzione, altrimenti il
Benedictus si canti dopo la Consacrazione.
e) Durante la Consacrazione ogni canto deve cessare e, dove
c’è la consuetudine, anche il suono dell’organo o di qualsiasi
altro strumento musicale.
f) Dopo la Consacrazione, se non c’è ancora da cantare il
Benedictus, si raccomanda un sacro silenzio fino al Pater
noster.
g) Mentre il sacerdote celebrante, alla fine della Messa,
benedice i fedeli, l’organo deve tacere; il sacerdote celebrante
poi deve pronunziare le parole della Benedizione in modo che
da tutti i fedeli possano essere intese.
c) Della partecipazione dei fedeli nelle Messe lette
28. Si deve cercare accuratamente di far sì che i fedeli
assistano anche alla Messa letta «non come estranei o muti
spettatori13», ma con quella partecipazione che è richiesta da
un tanto mistero e che reca frutti copiosissimi.
29. Il primo modo col quale i fedeli possono partecipare alla
Messa letta si ha quando ciascuno, di propria industria, vi
partecipa sia internamente, facendo attenzione cioè alle
principali parti della Messa, sia esternamente, secondo le
diverse approvate consuetudini delle varie regioni.
Sono degni soprattutto di lode coloro che, usando un piccolo
messale adatto alla propria capacità, pregano insieme al
sacerdote con le stesse parole della Chiesa. Dato però che non
tutti
sono
egualmente
preparati
a
comprendere
adeguatamente i riti e le formule liturgiche, e atteso inoltre
che le necessità spirituali non sono per tutti le stesse, né
restano sempre in ciascuno le medesime, per questi fedeli vi è
un’altra forma di partecipazione, più adatta e più facile,
quella cioè «di meditare piamente i misteri di Cristo o di fare
altri pii esercizi e dire altre preghiere, che, sebbene
differiscono per la forma dai sacri riti, nella loro natura però si
accordano con essi14».
Si noti inoltre che, se in qualche luogo vi è la consuetudine di
suonare l’organo durante la Messa letta, senza che i fedeli
partecipino alla Messa con preghiere comuni o con il canto, è
da riprovarsi l’uso di suonare quasi senza interruzione
l’organo, l’harmonium o qualche altro strumento musicale.
Questi strumenti dunque devono tacere:
a) Dall’ingresso del sacerdote all’altare fino all’Offertorio;
b) Dai primi versetti del Prefazio fino al Sanctus incluso;
c) Dove esiste la consuetudine, dalla Consacrazione fino al
Pater noster;
d) Dal Pater noster fino all’Agnus Dei incluso; durante la
confessione prima della Comunione dei fedeli; mentre si recita
il Dopocomunione e si dà la Benedizione alla fine della Messa.
30. Il secondo modo di partecipazione si ha quando i fedeli
partecipano al Sacrificio eucaristico con preghiere e canti in
comune. Si deve far sì che le preghiere e i canti siano
strettamente intonati alle singole parti della Messa, fermo
restando quanto è prescritto al n. 14 c.
31. Il terzo e più completo modo di partecipazione si ottiene
finalmente quando i fedeli rispondono liturgicamente al
sacerdote celebrante quasi «dialogando» con lui, e recitando a
voce chiara le parti loro proprie.
Di questa più completa partecipazione si possono distinguere
quattro gradi:
a) Primo grado, quando i fedeli danno al sacerdote celebrante
le risposte liturgiche più facili: Amen; Et cum spiritu tuo; Deo
gratias; Gloria tibi, Domine; Laus tibi, Christe; Habemus ad
Dominum; Dignum et iustum est; Sed libera nos a malo.
b) Secondo grado, quando i fedeli recitano inoltre quelle parti
che secondo le rubriche sono da dirsi dal ministrante; e, se la
Comunione è distribuita durante la Messa, recitano anche il
Confiteor e il triplice Domine, non sum dignus.
c) Terzo grado, se i fedeli recitano insieme al sacerdote
celebrante anche le parti dell’Ordinario della Messa, cioè:
Gloria in excelsis Deo; Credo; Sanctus-Benedictus; Agnus Dei.
d) Quarto grado, finalmente, se i fedeli recitano insieme al
sacerdote anche le parti appartenenti al Proprio della Messa:
Introito; Graduale; Offertorio; Comunione. Questo ultimo
grado può essere usato degnamente, come si conviene, solo da
scelte collettività più colte e ben preparate.
32. Nelle Messe lette tutto il Pater noster, dato che è una
preghiera adatta e usata fin dall’antichità come preparazione
alla Comunione, può essere recitato dai fedeli insieme al
sacerdote, ma solo in lingua latina, e coll’aggiunta da parte di
tutti dell’Amen, esclusa ogni recitazione in lingua volgare.
33. Nelle Messe lette i fedeli possono cantare canti popolari
religiosi, a condizione però che questi siano strettamente
intonati alle singole parti della Messa (cfr. n. 14 b).
34. Il sacerdote celebrante, soprattutto se la chiesa è grande e
il popolo numeroso, tutto ciò che secondo le rubriche deve
essere pronunziato a chiara voce, lo pronunzi con tale voce che
tutti i fedeli possano opportunamente e comodamente seguire
la sacra azione.
d) Della Messa «conventuale» detta anche Messa «in coro»
35. Tra le azioni liturgiche che eccellono per speciale dignità, è
giustamente da annoverarsi la Messa «conventuale» o «in
coro», quella cioè che si deve celebrare ogni giorno in
connessione con l’Ufficio divino, da parte di coloro che per
legge della Chiesa sono obbligati al coro.
La Messa infatti e l’Ufficio divino costituiscono l’insieme di
tutto il culto cristiano, cioè quella piena lode che ogni giorno
viene tributata, anche con solennità esterna e pubblica, a Dio
onnipotente.
Siccome però non è possibile compiere ogni giorno in tutte le
chiese questa pubblica e collegiale offerta di culto divino, essa
viene compiuta, quasi come sostituzione vicaria, da coloro che
sono a ciò deputati, in forza della legge del «coro»; ciò vale
soprattutto per le chiese cattedrali rispetto a tutta la diocesi.
Pertanto tutte le celebrazioni «in coro», ordinariamente
devono essere eseguite con particolare decoro e solennità,
adornate cioè di canto e di musica sacra.
36. La Messa perciò conventuale di per sé deve essere solenne
o almeno cantata.
Dove però per leggi particolari o per speciali Indulti è stato
dispensato dalla solennità della Messa «in coro», si eviti
almeno strettamente che durante la Messa conventuale siano
recitate le Ore canoniche. È raccomandato, invece, che la
Messa conventuale letta sia eseguita nella forma proposta al
n. 31, escluso però qualsiasi uso della lingua volgare.
37. Intorno alla Messa conventuale, si osservi inoltre quanto
segue:
a) Ogni giorno si deve dire una sola Messa conventuale, che
deve concordare con l’Ufficio recitato in coro, a meno che sia
disposto altrimenti dalle rubriche (Additiones et Variationes
in rubricis Missalis, tit. I, n. 4). L’obbligo tuttavia di celebrare
altre Messe in coro, in forza di pie fondazioni o per altra
legittima causa, resta immutato.
b) La Messa conventuale segue le norme della Messa in canto
o letta.
c) La Messa conventuale si deve dire dopo Terza, a meno che il
superiore della comunità, per grave causa, non ritenga
opportuno che sia celebrata dopo Sesta o Nona.
d) Le Messe conventuali «fuori coro», prescritte talvolta fino
ad ora dalle rubriche, sono soppresse.
e) Dell’assistenza dei sacerdoti al sacrosanto sacrificio della
Messa e delle cosiddette Messe «sincronizzate».
38. Premesso che la concelebrazione sacramentale nella
Chiesa latina è limitata ai casi stabiliti dal diritto; richiamata
poi in mente la risposta della Suprema S. Congregazione del
S. Offizio del 23 maggio 195715, con la quale si dichiara
invalida la concelebrazione del sacrificio della Messa da parte
di sacerdoti, che, pur indossando i paramenti sacri e avendo
qualsiasi intenzione, non proferiscono le parole della
consacrazione: non è proibito che, se più sacerdoti si
riuniscono insieme in occasione di Convegni, «uno solo celebri,
gli altri invece (o tutti o parecchi) assistano a questa sola
celebrazione e in essa ricevano la santa Comunione dalle mani
del celebrante», purché «ciò si faccia per giusto e ragionevole
motivo, e il Vescovo, per evitare l’ammirazione dei fedeli, non
abbia stabilito diversamente», e purché sotto questa maniera
di agire non si nasconda l’errore ricordato dal Sommo
Pontefice Pio XII, che cioè la celebrazione di una Messa, alla
quale assistono piamente cento sacerdoti, equivalga alla
celebrazione di cento Messe da parte di cento sacerdoti16.
39. Sono poi proibite le cosiddette «Messe sincronizzate», vale
a dire quelle Messe celebrate in questo modo particolare, che
cioè due o più sacerdoti, in uno o più altari, celebrano la
Messa così simultaneamente da eseguire allo stesso tempo
tutte le azioni e proferire tutte le parole, adoperando anche,
specialmente se il numero dei sacerdoti che così celebrano è
grande, alcuni strumenti moderni, con i quali si possa più
facilmente
ottenere
questa
assoluta
uniformità
o
«sincronizzazione».
B) DELL’UFFICIO DIVINO
40. L’Ufficio divino può essere recitato o «in coro», o «in
comune», o «da solo».
Si dice «in coro» se la recita dell’Ufficio divino è fatta da una
comunità, che per legge ecclesiastica sia obbligata al coro; «in
comune» invece, se è fatta da una comunità che non è
obbligata al coro.
L’Ufficio divino, però, in qualunque modo venga recitato, sia
in «in coro», sia «in comune», sia «da solo», quando viene
recitato da coloro che per legge ecclesiastica sono incaricati
della recita dell’Ufficio, si deve sempre ritenere come un atto
di culto pubblico, reso a Dio in nome della Chiesa.
41. L’Ufficio divino per natura sua è così ordinato da doversi
dire a cori alterni; anzi alcune parti di per sé dovrebbero
essere cantate.
42. Ciò posto, la recita dell’ufficio «in coro» si deve conservare
e favorire; la recita poi «in comune», come anche il canto
almeno di qualche parte dell’ufficio, a seconda delle condizioni
dei luoghi, dei tempi e delle persone, è vivamente
raccomandata.
43. La salmodia «in coro» o «in comune», sia che si faccia in
canto gregoriano che senza canto, sia grave e dignitosa, con
tono conveniente, con le dovute pause e con piena concordanza
delle voci.
44. Se i salmi di un’Ora canonica si debbano cantare, parte
almeno devono essere cantati in gregoriano, o un salmo sì e
l’altro no, o un versetto sì e l’altro no.
45. L’antica e veneranda consuetudine di cantare i Vespri
nelle domeniche e nei giorni festivi insieme al popolo, a norma
delle rubriche, dove esiste la si conservi; dove non esiste, per
quanto è possibile, la si introduca, alcune volte almeno
durante l’anno.
Cerchino inoltre gli Ordinari dei luoghi di far sì che, a causa
della Messa vespertina, non vada in disuso il canto dei Vespri
nelle domeniche e nei giorni festivi. Le Messe vespertine,
infatti, che l’Ordinario del luogo può permettere «se lo richieda
il bene spirituale di una notevole parte di fedeli17», non devono
essere a detrimento delle azioni liturgiche e degli esercizi pii,
con i quali il popolo cristiano usò santificare le feste.
Per la qual cosa l’uso di cantare i Vespri o di fare altri pii
esercizi con la Benedizione eucaristica, dove è in vigore, lo si
mantenga, anche se si celebra la Messa vespertina.
46. Nei Seminari poi di chierici, sia secolari che religiosi, si
reciti spesso in comune almeno una qualche parte dell’Ufficio
divino, e possibilmente in canto; nelle domeniche poi e nei
giorni festivi si cantino almeno i Vespri (can. 1367, 3°).
C) DELLA BENEDIZIONE EUCARISTICA
47. La Benedizione eucaristica è una vera azione liturgica;
perciò si deve fare come è descritta nel Rituale Romano, tit. X,
cap. V, n. 5.
Se tuttavia in qualche luogo esista per tradizione
immemorabile un altro modo di impartire la Benedizione
eucaristica, questo modo, con la licenza dell’Ordinario, può
essere conservato; si raccomanda però di introdurre con
prudenza l’uso romano della Benedizione eucaristica.
2. DI ALCUNI GENERI DI MUSICA SACRA
A) DELLA POLIFONIA SACRA
48. Le opere di autori di polifonia sacra, sia antichi che più
recenti, non si introducano nelle azioni liturgiche, se prima
non consti con certezza che sono composte o adattate in modo
da rispondere realmente alle norme e ai consigli adatti al
riguardo nella Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina.
(18) Nel dubbio si consulti la Commissione diocesana di
Musica
sacra.
49. Gli antichi monumenti di questa stessa arte, che giacciono
ancora negli archivi, siano diligentemente ricercati, si
provveda opportunamente, se necessario, alla loro
conservazione, e siano preparate da esperti le loro edizioni, sia
critiche che per l’uso liturgico.
B) DELLA MUSICA SACRA MODERNA
50. Le opere di Musica sacra moderna non si usino nelle
azioni liturgiche, se non sono composte secondo le leggi della
liturgia e della stessa arte di musica sacra, secondo lo spirito
della Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina19. Sulla qual
cosa il giudizio sarà dato dalla Commissione diocesana di
Musica sacra.
C) DEL CANTO POPOLARE RELIGIOSO
51. Il Canto popolare religioso deve essere molto
raccomandato e promosso; per suo mezzo infatti la vita
cristiana viene permeata di spirito religioso e la mente dei
fedeli viene elevata a cose più alte.
Tale canto popolare religioso ha un suo posto in tutte le
solennità della vita cristiana, sia pubbliche che domestiche, od
anche tra i prolungati lavori della vita quotidiana; una parte
però ancor più nobile l’occupa in tutti i pii esercizi, da farsi sia
in chiesa che fuori; talvolta infine è ammesso nelle stesse
azioni liturgiche, secondo le norme date sopra (nn. 13-15).
52. Affinché poi i canti popolari religiosi raggiungano il loro
fine, «è necessario che siano conformi pienamente alla
dottrina della Fede cattolica, che la presentino e spieghino
rettamente, che usino una lingua piana e una melodia
semplice, che siano immuni da sovrabbondanza di parole
gonfie e vuote, e infine che, sebbene brevi e facili, abbiano una
certa religiosa dignità e compostezza20». Gli Ordinari dei
luoghi abbiano sollecita cura perché queste prescrizioni siano
osservate.
53. Si raccomanda perciò a tutti coloro cui spetta che i canti
popolari religiosi, anche dei tempi passati, tramandati per
iscritto o a voce, siano opportunamente raccolti e, con
l’approvazione degli Ordinari dei luoghi, siano stampati per
uso dei fedeli.
D) DELLA MUSICA RELIGIOSA
54. Si deve anche stimare molto e opportunamente coltivare
quella musica che, sebbene per la sua particolare indole non
può essere ammessa nelle azioni liturgiche, ciò nondimeno
tende a produrre negli ascoltatori affetti religiosi e a favorire
la stessa religione, e perciò a buon diritto è chiamata musica
religiosa.
55. Le sedi proprie per l’esecuzione delle opere di musica
religiosa sono gli auditori destinati ai concerti di musica o le
sale destinate a spettacoli o congressi, non al certo le chiese,
consacrate al culto di Dio.
Se peraltro in qualche luogo mancasse un auditorio musicale o
altra sala conveniente, e nondimeno si ritenesse che il
concerto di musica religiosa possa essere di utilità spirituale
ai fedeli, l’Ordinario del luogo potrà permettere un tale
concerto in qualche chiesa, osservando però quanto segue:
a) Per ogni singola esecuzione di concerto si richiede il
permesso scritto dell’Ordinario del luogo;
b) Per ottenere questo permesso è necessario farlo precedere
da una domanda scritta, nella quale si devono specificare: il
tempo del concerto, gli argomenti delle opere, i nomi dei
maestri (dell’organista e del direttore del coro) e degli artisti;
c) L’Ordinario del luogo non conceda il permesso se, dopo aver
sentito il parere della Commissione diocesana di Musica sacra
e se mai anche il consiglio di altri esperti in materia, non gli
consti chiaramente che le opere da eseguirsi sono rilevanti
non solo per vera arte, ma anche per sincera pietà cristiana; e
inoltre che le persone deputate ad eseguire il concerto sono
dotate delle qualità di cui ai nn. 97 e 98.
d) A tempo debito si porti via il Ss. Sacramento dalla chiesa e
si riponga in qualche cappella od anche, con decoro, in
sacrestia; altrimenti si avvertano gli ascoltatori che il Ss.mo
Sacramento è presente in chiesa, e il rettore della chiesa curi
con diligenza che non avvenga alcuna irriverenza allo stesso
Sacramento;
e) Se si debbono acquistare i biglietti d’ingresso o distribuire i
programmi del concerto, tutto ciò si faccia fuori della chiesa;
f) I musicisti, i cantori e gli ascoltatori si comportino e siano
vestiti in modo tale che non si venga meno a quella gravità,
che assolutamente si conviene alla santità del luogo sacro;
g) A seconda delle circostanze conviene che il concerto si
chiuda con qualche pio esercizio o meglio ancora con la
Benedizione eucaristica, e ciò affinché la elevazione spirituale
delle menti, che il concerto intende procurare, venga quasi
completata con un’azione sacra.
3. DEI LIBRI DI CANTO LITURGICO
56. I libri di canto liturgico della Chiesa Romana di cui finora
si ha l’edizione tipica sono:
Il Graduale Romano, con l’Ordinario della Messa.
L’Antifonale Romano per le Ore diurne.
L’Ufficio dei Defunti, della Settimana Santa e della Natività
di N. S. G. C.
57. La Santa Sede rivendica a sé tutti i diritti di proprietà e di
uso su tutte le melodie gregoriane che sono contenute nei libri
liturgici della Chiesa Romana da essa approvati.
58. Ritengono il loro valore il Decreto della S. Congregazione
dei Riti dell’11 agosto 1905, ossia l’«Istruzione sulla edizione e
approvazione dei libri contenenti il canto liturgico
gregoriano21», nonché la susseguente «Dichiarazione circa
l’edizione e l’approvazione dei libri contenenti il canto liturgico
gregoriano» del 14 febbraio 190622, e l’altro Decreto del 24
febbraio 1911 su alcune questioni particolari circa
l’approvazione dei libri di canto «Propri» di qualche diocesi o
famiglia religiosa23.
Le disposizioni poi che la stessa S. Congregazione dei Riti
fissò il 10 agosto 1946 «Sulla facoltà di pubblicare i libri
liturgici24» valgono anche per i libri di canto liturgico.
59. Il Canto gregoriano autentico è dunque quello che viene
presentato nelle edizioni «tipiche» vaticane, o che dalla S.
Congregazione dei Riti è stato approvato per qualche chiesa
particolare o famiglia religiosa, e pertanto dagli editori,
muniti della debita facoltà, deve essere riprodotto con ogni
fedeltà in tutto, nella melodia cioè e nel testo.
I segni, poi, detti ritmici, introdotti nel canto gregoriano per
autorità privata, sono permessi, purché si conservi integro il
valore e la natura delle note che si trovano nei libri vaticani di
canto liturgico.
4. DEGLI STRUMENTI MUSICALI E DELLE CAMPANE
A) ALCUNI PRINCÌPI GENERALI
60. Circa l’uso degli strumenti musicali nella sacra Liturgia si
tengano presenti questi princìpi:
a) Attesa la natura, la santità e la dignità della sacra
Liturgia, l’uso di qualsiasi strumento musicale di per sé
dovrebbe essere perfettissimo. Perciò è meglio che un concerto
di strumenti (sia di solo organo, sia di altri strumenti) venga
omesso del tutto, piuttosto che eseguirlo male; e generalmente
è meglio fare bene qualche cosa anche se limitata, piuttosto
che tentare cose maggiori per le quali manchino i mezzi
proporzionati.
b) Si deve poi tener conto della differenza che passa fra la
musica sacra e la profana. Vi sono infatti degli strumenti
musicali che per loro natura e origine – come l’organo classico
– sono ordinati direttamente alla Musica sacra; o altri che
facilmente si adattano all’uso liturgico, come alcuni strumenti
ad arco; ci sono invece altri strumenti che, a giudizio comune,
sono così propri della musica profana, che non si possono
affatto adattare ad uso sacro.
c) Finalmente sono ammessi nella sacra Liturgia solo quegli
strumenti che vengono trattati con azione personale
dell’artista, non quelli invece che vengono suonati in modo
meccanico o automatico.
B) DELL’ORGANO CLASSICO E STRUMENTI SIMILI
61. Il principale e solenne strumento musicale liturgico della
Chiesa latina fu e rimane l’organo classico o tubolare.
62. L’organo destinato al servizio liturgico, anche se piccolo,
sia costruito con arte, e sia dotato di quelle voci che
convengono all’uso sacro; prima di usarlo sia ritualmente
benedetto; e, quale cosa sacra, sia custodito con ogni diligenza.
63. Oltre l’organo classico, è ammesso l’uso anche di quello
strumento che vien chiamato «harmonium»; con questa
condizione però, che, per il timbro delle voci e l’ampiezza del
suono, risponda all’uso sacro.
64. Quell’organo però imitato, detto «elettrofonico», si può
tollerare provvisoriamente nelle azioni liturgiche quando non
ci siano i mezzi per procurarsi un organo tubolare, anche
piccolo. Tuttavia nei singoli casi occorre il permesso esplicito
dell’Ordinario del luogo. Questi poi consulti prima la
Commissione diocesana di Musica sacra o altri esperti in
materia, i quali cerchino di suggerire tutti quegli accorgimenti
che rendano tale strumento più rispondente all’uso sacro.
65. I suonatori degli strumenti, di cui ai nn. 61-64, è
necessario che siano sufficientemente esperti nella loro arte,
sia per accompagnare i canti sacri, sia per una esecuzione
strumentale, sia per suonare degnamente l’organo solo; che
anzi, siccome molto spesso occorre di dovere improvvisare,
durante le azioni liturgiche, delle sonate che si addicano ai
vari momenti della stessa azione, gli stessi suonatori devono
conoscere in teoria e in pratica le leggi che riguardano l’organo
e la Musica sacra in generale.
Questi suonatori cerchino di custodire religiosamente gli
strumenti loro affidati. Tutte le volte poi che siedono
all’organo, nelle sacre funzioni, siano consci della parte attiva
che esercitano a gloria di Dio e a edificazione dei fedeli.
66. Il suono dell’organo, sia che accompagni azioni liturgiche o
pii esercizi, deve essere diligentemente adattato alla qualità
del tempo o del giorno liturgico, alla natura degli stessi riti ed
esercizi, come anche alle loro singole parti.
67. Se non vi sia un’antica consuetudine o una qualche
ragione particolare, riconosciuta dall’Ordinario del luogo, che
consigli diversamente, l’organo sia collocato presso all’altare
maggiore, nel luogo più adatto, ma sempre in modo che i
cantori o i musicisti che stanno nella cantoria non siano
veduti dai fedeli radunati in chiesa.
C) DELLA MUSICA SACRA STRUMENTALE
68. Nelle azioni liturgiche, specialmente nei giorni più solenni,
si possono adoperare anche altri strumenti musicali oltre
l’organo – in primo luogo quelli ad arco – con o senza l’organo,
per un concerto musicale o per accompagnare il canto,
osservando però strettamente le norme che derivano dai
princìpi sopra esposti (n. 60), le quali sono:
a) Che si tratti di strumenti musicali che veramente si
possano adattare all’uso sacro;
b) Che il suono di questi strumenti venga emesso in tal modo e
gravità e quasi con religiosa purezza, da evitare qualsiasi
clamore di musica profana e favorire la pietà dei fedeli;
c) Che il direttore, l’organista e gli artisti conoscano bene l’uso
degli strumenti e le leggi della Musica sacra.
69. Gli Ordinari dei luoghi, per mezzo specialmente della
Commissione
diocesana
di
Musica
sacra,
vigilino
attentamente affinché le dette prescrizioni intorno all’uso
degli strumenti nella sacra Liturgia siano realmente
osservate; né tralascino, se ne sia il caso, di emanare su tale
argomento norme particolari, adattate alle condizioni e alle
provate
consuetudini.
D) DEGLI STRUMENTI MUSICALI E DELLE MACCHINE
AUTOMATICHE
70. Gli strumenti musicali che, secondo il senso comune e
l’uso, appartengono soltanto alla musica profana siano
completamente esclusi da ogni azione liturgica e dagli esercizi
pii.
71. L’uso degli strumenti e delle macchine automatiche, come:
l’autoorgano, il grammofono, la radio, il dittafono o
magnetofono, e altri simili, è assolutamente proibito nelle
azioni liturgiche e negli esercizi pii, sia che si facciano in
chiesa che fuori di chiesa, anche se si tratti soltanto di
diffondere discorsi sacri o musica sacra, oppure di sostituire o
anche di sostenere il canto dei cantori o dei fedeli.
È lecito tuttavia usare queste macchine, anche in chiesa, fuori
però delle azioni liturgiche e dei pii esercizi, quando si tratta
di ascoltare la voce del Sommo Pontefice, dell’Ordinario del
luogo, o di altri oratori sacri; od anche per istruire i fedeli
nella dottrina cristiana, oppure nel canto sacro o religioso
popolare; e infine per dirigere e sostenere il canto del popolo
nelle processioni da farsi fuori di chiesa.
72. È lecito peraltro l’uso degli strumenti detti «amplificatori»,
anche nelle azioni liturgiche e pii esercizi, se si tratta di
amplificare la viva voce del sacerdote celebrante oppure del
«commentatore» o di altri che, secondo le rubriche o per ordine
del rettore della chiesa, possono parlare.
73. L’uso nelle chiese delle macchine da proiezione,
specialmente poi di quelle cinematografiche, sia che le
proiezioni siano mute che sonore, e per qualsiasi motivo per
quanto pio, religioso o benefico, è assolutamente proibito.
Nel costruire inoltre o nell’approntare le sale per convegni e
specialmente per spettacoli, presso o, in mancanza di altro
luogo, sotto la chiesa, si eviti che vi sia accesso dalle stesse
sale alla chiesa, e che il rumore da esse proveniente disturbi
in alcun modo la santità e il silenzio del luogo sacro.
E) DELLE AZIONI SACRE DA TRASMETTERSI PER
RADIO E TELEVISIONE
74. Per trasmettere attraverso la radio o la televisione azioni
liturgiche o pii esercizi, fatti sia dentro che fuori di chiesa, si
richiede il permesso espresso dell’Ordinario del luogo; questi
non conceda tale permesso se prima non gli consti:
a) Che il canto e la musica sacra rispondano pienamente alle
leggi sia della Liturgia che della Musica sacra;
b) Inoltre, se si tratta di trasmissione televisiva, che tutti
coloro che svolgono una parte nella funzione sacra siano così
ben preparati, da risultarne una celebrazione veramente
conforme alle rubriche e del tutto degna.
L’Ordinario del luogo può concedere questo permesso in modo
abituale per le trasmissioni che si eseguiscono regolarmente
dalla stessa chiesa, quando, tutto considerato, sia sicuro che
sono osservate diligentemente tutte le condizioni richieste.
75. Gli apparecchi per la trasmissione televisiva, per quanto è
possibile, non si introducano nel presbiterio; comunque mai si
collochino tanto vicino all’altare da intralciare i riti sacri.
Inoltre gli operatori addetti a questi apparecchi si comportino
con quella compostezza che conviene al luogo e al rito sacro e
non disturbi affatto la pietà dei presenti, specialmente in quei
momenti che richiedono il massimo raccoglimento.
76. Le norme stabilite nell’articolo precedente devono essere
osservate anche dai «fotografi»: ed anzi con maggior diligenza,
attesa la grande facilità con la quale possono portarsi con le
loro macchine su qualunque punto.
77. Tutti i rettori di chiese curino che siano fedelmente
osservate le prescrizioni dei nn. 75-76; gli Ordinari dei luoghi
non tralascino di impartire quelle più accurate norme che le
circostanze per caso richiedessero.
78. Poiché la trasmissione radiofonica esige per natura sua
che gli ascoltatori la possano seguire senza interruzione, nella
Messa trasmessa per radio è bene che il sacerdote celebrante,
specialmente se manca qualche «commentatore», pronunci con
voce alquanto più elevata quelle parole che, secondo le
rubriche, dovrebbero recitarsi sottovoce; similmente con voce
più forte quelle che dovrebbero dirsi ad alta voce, di modo che
gli ascoltatori possano seguire comodamente tutta la Messa.
79. È opportuno finalmente che, prima della trasmissione
della santa Messa per radio o per televisione, gli ascoltatori o
gli spettatori siano avvertiti che tale audizione o visione non è
sufficiente a soddisfare il precetto di ascoltare la Messa.
F) DEL TEMPO NEL QUALE È PROIBITO IL SUONO
DEGLI STRUMENTI MUSICALI
80. Poiché il suono dell’organo e più ancora degli altri
strumenti costituisce un ornamento della sacra Liturgia, l’uso
degli stessi strumenti deve essere regolato secondo il grado di
letizia con la quale si distinguono i singoli giorni o tempi
liturgici.
81. In tutte le azioni liturgiche quindi, eccetto soltanto la
Benedizione eucaristica, il suono dell’organo e di tutti gli altri
strumenti musicali è proibito:
a) Nel tempo d’Avvento, cioè dai primi Vespri della prima
domenica di Avvento fino a Nona della Vigilia di Natale;
b) Nel tempo di Quaresima e di Passione, ossia dal Maturino
del mercoledì delle Ceneri fino all’inno Gloria in excelsis Deo
nella Messa solenne della Veglia pasquale;
c) Nelle ferie e nel sabato delle quattro Tempora di settembre,
se si fa l’Ufficio e la Messa di esse;
d) In tutti gli Uffici e le Messe dei defunti.
82. Il suono degli altri strumenti, eccettuato quello
dell’organo, è proibito inoltre nelle domeniche di
Settuagesima, Sessagesima e Quinquagesima e nelle ferie che
fanno seguito ad esse.
83. Tuttavia nei giorni e nei tempi proibiti, di cui sopra, si
stabiliscono le seguenti eccezioni:
a) Il suono dell’organo e degli strumenti è permesso nelle feste
di precetto e giorni feriati (eccetto le domeniche), nonché nelle
feste del patrono principale del luogo, del titolare o
dell’anniversario della dedicazione della propria chiesa e del
titolo o fondatore della famiglia religiosa, oppure se occorra
una qualche solennità straordinaria.
b) Il suono dell’organo soltanto o dell’armonio è permesso
nelle domeniche terza di Avvento e quarta di Quaresima;
inoltre nella « Missa chrismatis » del Giovedì santo, e all’inizio
della Messa solenne vespertina in « Cena Domini » fino alla
fine dell’inno Gloria in excelsis Deo;
c) Parimente è permesso il suono dell’organo e dell’armonio,
ma solo per sostenere il canto dei fedeli, nella Messa e nei
Vespri.
Gli Ordinari dei luoghi possono determinare con maggior
precisione queste proibizioni o permissioni, secondo le provate
consuetudini dei luoghi o delle regioni.
84. Per tutto il Triduo sacro, cioè dalla mezzanotte nella quale
comincia la feria quinta in «Cena Domini» fino all’inno Gloria
in excelsis Deo nella Messa solenne della Veglia pasquale,
l’organo e l’armonio tacciano assolutamente, e non si usino
neanche per sostenere il canto, salvo le eccezioni sopra
stabilite al n. 83 b. Il suono poi dell’organo e dell’armonio
durante questo triduo è proibito senza alcuna eccezione, anche
nei pii esercizi, nonostante qualsiasi consuetudine in
contrario.
85. I rettori di chiese, o chi di dovere, non tralascino di
spiegare bene ai fedeli la ragione di questo silenzio liturgico,
né dimentichino di adoperarsi perché negli stessi giorni e
tempi si osservino anche le altre prescrizioni liturgiche di non
ornare gli altari.
G) DELLE CAMPANE
86. Tutti coloro cui spetta sono tenuti a mantenere
religiosamente nella Chiesa latina l’uso antichissimo delle
campane.
87. Le campane non si mettano in uso per le chiese se prima
non siano state solennemente consacrate o almeno benedette;
da questo momento siano conservate con la dovuta cura come
cose sacre.
88. Le provate consuetudini e i vari modi di suonare le
campane, a seconda dei diversi scopi di tale suono, siano
diligentemente mantenute; e non tralascino gli Ordinari dei
luoghi di raccogliere le norme tradizionali e usuali a questo
riguardo, o di prescriverne, qualora mancassero.
89. I nuovi sistemi tendenti a rendere più ampio il suono delle
campane o più facile il suonarle, sentito il parere di
competenti, possono essere approvati dagli Ordinari dei
luoghi; in dubbio, poi, si proponga la questione a questa S.
Congregazione dei Riti.
90. Oltre ai diversi usuali e provati modi di suonare le
campane, di cui sopra al n. 88, esistono, in qualche parte,
apparati di più campanelle sospese nella stessa torre
campanaria, attraverso le quali vengono eseguite varie
melodie e concerti. Un tale gioco di campanelle, che
comunemente
è
chiamato
«carillon»
(in
tedesco
«Glockenspiel»), è escluso assolutamente da ogni uso liturgico.
Le campanelle poi destinate a tale uso non possono essere né
consacrate né benedette secondo il solenne rito del Pontificale
Romano, ma solo con la semplice benedizione.
91. Occorre far di tutto perché ogni chiesa, oratorio pubblico e
semipubblico, sia fornito di almeno una o due campane anche
piccole; è strettamente proibito però di adoperare, in luogo
delle sacre campane, qualsiasi macchina o strumento con i
quali si imiti o si amplifichi meccanicamente o
automaticamente il suono delle campane; è lecito tuttavia
usare questo genere di macchine o strumenti, quando si
adoperino a modo di «carillon», secondo quanto prescritto
sopra.
92. Del resto si osservino scrupolosamente le prescrizioni dei
cann. 1169, 1185 e 612 del Codice di Diritto Canonico.
5. DELLE PERSONE CHE OCCUPANO UNA PARTE
NELLA MUSICA SACRA E NELLA SACRA LITURGIA
RILEVANTE
93. Il Sacerdote celebrante presiede a tutta l’azione liturgica.
Tutti gli altri vi partecipano alla propria maniera. Pertanto:
a) I chierici che, nella maniera e nella forma stabilite dalle
rubriche, ossia in quanto chierici partecipano all’azione
liturgica, sia che fungano da ministri sacri o da ministri
inferiori, o svolgano una parte anche in coro o nella «schola
cantorum», esercitano un servizio ministeriale proprio e
diretto, e ciò in forza dell’ordinazione o dell’assunzione allo
stato clericale.
b) I laici invece prestano una partecipazione liturgica attiva, e
ciò per il carattere battesimale, in forza del quale anche nel
sacrosanto Sacrificio della Messa offrono a Dio Padre, col
sacerdote, nel modo loro proprio, la vittima divina25.
c) I laici però di sesso maschile, sia fanciulli che giovani o
adulti, quando vengono deputati dalla competente autorità
ecclesiastica al ministero dell’altare o ad eseguire la Musica
sacra, se assolvono tale ufficio nel modo e nella forma voluta
dalle rubriche, esercitano anch’essi un servizio ministeriale
diretto, ma delegato, a condizione peraltro, se si tratta del
canto, che costituiscano un «coro» o una «schola cantorum».
94. Il sacerdote celebrante e i ministri sacri, oltre
all’osservanza accurata delle rubriche, è necessario che si
studino di assolvere, per quanto possono, correttamente,
distintamente e con grazia, le parti che devono essere cantate.
95. Quando si può fare una scelta di persone per celebrare
un’azione liturgica, è bene che si preferiscano quelli che sono
più abili nel canto; specialmente se si tratti di azioni
liturgiche più solenni, e di quelle che esigano un canto più
difficile, o che vengano trasmesse per radio o per televisione.
96. La partecipazione attiva dei fedeli, specialmente alla
santa Messa e ad alcune azioni liturgiche più complesse, si
potrà ottenere più facilmente, se vi intervenga un qualche
«commentatore», il quale, al momento opportuno e con poche
parole, interpreti gli stessi riti o le preghiere o le letture, sia
del sacerdote celebrante che dei sacri ministri, e diriga la
partecipazione esterna dei fedeli, cioè le loro risposte, le
preghiere e i canti. Un tale commentatore può essere
ammesso osservando però le seguenti norme:
a) Conviene che l’ufficio del commentatore sia assolto da un
sacerdote o almeno da un chierico; in mancanza di questi si
può affidare ad un laico commendevole per costumi cristiani e
ben preparato a tale ufficio. Le donne però non possono mai
assolvere l’ufficio di commentatore; questo solo si permette,
che, in caso di necessità, una donna guidi, in certo modo, il
canto o le preghiere dei fedeli.
b) Il commentatore, se è sacerdote o chierico, sia vestito della
cotta, stia nel presbiterio o alla balaustra o nell’ambone o sul
pulpito; se invece è laico, stia davanti ai fedeli nel luogo più
opportuno, ma fuori del presbiterio o del pulpito.
c) Le spiegazioni e gli avvertimenti da darsi dal commentatore
siano preparate in scritto, poche, molto sobrie, proferite a
tempo opportuno e con voce moderata; mai si sovrappongano
alle preghiere del celebrante; in una parola: siano così
disposte da essere di aiuto, non di impedimento alla pietà dei
fedeli.
d) Nel dirigere le preghiere dei fedeli, il commentatore ricordi
le prescrizioni di cui sopra al n. 14 c.
e) Nei luoghi ove la Santa Sede ha permesso, dopo il canto del
testo latino, la lettura dell’Epistola e del Vangelo in lingua
volgare, il commentatore non si può sostituire, per questa
proclamazione, al celebrante, al diacono, al suddiacono o al
lettore (cfr. n. 16 c).
f) Il commentatore tenga conto del celebrante e accompagni la
sacra azione così che essa non debba essere né ritardata né
interrotta, di modo che tutta l’azione liturgica riesca
armonica, degna e devota.
97. Tutti coloro che hanno una parte nella Musica sacra, come
i compositori, gli organisti, i maestri di coro, i cantori, o anche
i suonatori di strumenti musicali, dato che partecipano
direttamente e immediatamente alla sacra Liturgia, devono
rifulgere, innanzi tutto, sopra gli altri fedeli per l’esempio di
vita cristiana.
98. Gli stessi, oltre alla detta esemplarità di fede e di vita
cristiana, debbono possedere una maggiore o minore
formazione nella sacra Liturgia e nella Musica sacra, a
seconda della loro condizione e partecipazione liturgica. E
cioè:
a) Gli autori o compositori di Musica sacra devono avere una
conoscenza abbastanza completa della scienza della stessa
sacra Liturgia, sotto l’aspetto storico, dogmatico o dottrinale,
pratico o rubricale; devono conoscere anche la lingua latina;
finalmente siano profondamente periti nelle leggi dell’arte
della Musica sacra e insieme profana, e nella storia della
musica.
b) Anche gli organisti e i maestri di coro abbiano una scienza
abbastanza ampia della sacra Liturgia e una sufficiente
cognizione della lingua latina; finalmente ciascuno sia così
ben istruito nella propria arte, da poter compiere il proprio
ufficio con dignità e competenza.
c) Anche ai cantori, tanto fanciulli che adulti, sia impartita, a
seconda delle loro capacità, una tale istruzione sulle azioni
liturgiche e sui testi che devono cantare, da poter eseguire il
canto stesso con quella intelligenza di mente e affetto di cuore,
che è richiesto dal «razionale ossequio» del loro servizio. Si
istruiscano anche nel pronunziare rettamente e distintamente
le parole latine. I rettori di chiese, o chi di dovere, vigilino
attentamente che nel luogo dove stanno i cantori regni il buon
ordine e una sincera devozione.
d) Finalmente i suonatori di strumenti musicali, che devono
eseguire la Musica sacra, non solo devono essere periti
ciascuno nel proprio strumento a regola d’arte, ma devono
saperne adattare l’uso anche alle leggi della Musica sacra, e
devono essere forniti di tale cognizione di cose liturgiche da
saper armonicamente congiungere l’esercizio esterno dell’arte
con una devota pietà.
99. È molto desiderabile che le chiese cattedrali, e almeno
quelle parrocchiali o altre chiese di maggiore importanza,
abbiano un proprio e stabile «coro» musicale o «schola
cantorum», la quale possa prestare un
ministeriale, a norma dell’articolo 93 a e c.
vero
servizio
100. Se in qualche luogo poi un tal «coro» musicale non si può
costituire, si permette di costituire un coro di fedeli, sia
«misto», sia solo di donne o di fanciulle. Un coro però di questo
genere sia collocato in un luogo proprio, fuori del presbiterio o
della balaustra; gli uomini poi stiano separati dalle donne o
fanciulle, evitando scrupolosamente qualsiasi inconveniente.
Gli Ordinari dei luoghi non tralascino di emanare delle norme
precise su questa materia, della cui osservanza sono
responsabili i rettori di chiese26.
101. È desiderabile e raccomandabile che gli organisti, i
maestri di coro, i cantori, i musicisti e gli altri addetti al
servizio della chiesa, prestino la loro opera in spirito di pietà e
di religione, per amore di Dio senza alcun stipendio. Che se
non potranno prestare la stessa opera gratuitamente, la
giustizia cristiana e la carità al tempo stesso esigono che i
superiori ecclesiastici, a seconda delle diverse e provate
consuetudini locali, tenendo conto anche delle prescrizioni
delle leggi civili, diano ad essi la giusta retribuzione.
102. È inoltre conveniente che gli Ordinari dei luoghi, sentito
anche il parere della Commissione di Musica sacra, fissino
una tabella nella quale si stabilisca per tutta la diocesi lo
stipendio da dare alle diverse persone nominate nel
precedente articolo.
103. È necessario finalmente che per le stesse persone sia
accuratamente provveduto a tutto ciò che concerne la
cosiddetta «Previdenza sociale», tenendo conto delle leggi civili
se esistano o, in mancanza di esse, secondo le norme da
emanarsi opportunamente dagli stessi Ordinari.
6. DELLA
CULTURA DELLA
MUSICA
SACRA E DELLA SACRA
LITURGIA
A) DELLA FORMAZIONE GENERALE DEL CLERO E DEL
POPOLO NELLA MUSICA SACRA E NELLA SACRA
LITURGIA
104. La Musica sacra è strettamente connessa con la Liturgia;
il canto sacro poi appartiene integralmente alla stessa
Liturgia (n. 21); il canto religioso popolare infine è usato
largamente negli esercizi pii, talvolta anche nelle azioni
liturgiche (n. 19). Di qui si comprende facilmente, che
l’istruzione nella Musica sacra e nella sacra Liturgia non si
può separare, e che l’una e l’altra appartengono alla vita
cristiana, in misura certamente diversa, secondo i vari stati e
ordini dei chierici e dei fedeli. Tutti pertanto devono avere
almeno una qualche formazione, adatta al proprio stato, sulla
sacra Liturgia e la Musica sacra.
105. La scuola di educazione cristiana, prima e naturale, è la
stessa famiglia cristiana, nella quale i fanciulli sono condotti
insensibilmente a conoscere e praticare la fede cristiana.
Bisogna dunque far sì che i fanciulli, secondo la loro età e
capacità, imparino a partecipare ai pii esercizi e anche alle
azioni liturgiche, specialmente al Sacrificio della Messa, e
incomincino a conoscere ed amare il canto religioso, in
famiglia e in chiesa (cfr. sopra nn. 9, 51-53).
106. Nelle scuole, quindi, che si è soliti chiamare primarie o
elementari, si osservi quanto segue:
a) Se sono dirette da cattolici e possono seguire ordinamenti
propri, bisogna provvedere che i fanciulli apprendano più
largamente nelle stesse scuole i canti popolari e sacri, in modo
particolare però che siano più accuratamente istruiti, a
seconda delle loro capacità, sul santo Sacrificio della Messa e
sul modo di parteciparvi, e imparino a cantare le melodie
gregoriane più semplici.
b) Se poi si tratta di scuole pubbliche, soggette alle leggi civili,
gli Ordinari dei luoghi cerchino di emanare delle opportune
norme, con le quali si provveda alla necessaria educazione dei
fanciulli nella sacra Liturgia e nel canto sacro.
107. Le norme stabilite per le scuole primarie o elementari a
maggior ragione si devono inculcare nelle cosiddette scuole
medie o secondarie, nelle quali gli adolescenti dovrebbero
conseguire quella maturità che si richiede per condurre
rettamente la vita sociale e religiosa.
108. L’educazione liturgica e musicale finora descritta è
finalmente da portare più in alto in quei sommi istituti di
lettere e scienze che si chiamano «università degli studi». È
infatti sommamente importante, che coloro i quali, compiuti
gli studi superiori, sono assunti ai più gravi uffici della vita
sociale, abbiano anche raggiunto una più completa formazione
in tutta la vita cristiana. Si studino perciò tutti i sacerdoti,
alle cui cure sono affidati in qualsiasi modo gli studenti
universitari, di condurli teoricamente e praticamente ad una
più profonda conoscenza e partecipazione alla sacra Liturgia,
usando anche per questi studenti, se le circostanze lo permettano, quella forma della santa Messa, di cui ai nn. 26 e 31.
109. Se una qualche conoscenza della sacra Liturgia e della
Musica sacra è richiesta da tutti i fedeli, è necessario che i
giovani candidati al sacerdozio acquistino una piena e solida
formazione tanto nella sacra Liturgia in generale come nel
canto sacro. Perciò quanto è stabilito al riguardo nel Diritto
Canonico (cann. 1364, 1°, 3°; 1365 § 2) o è ordinato più
particolarmente dalla competente autorità (cfr. specialmente
la Cost. Apost. Divini cultus sulla Liturgia e sul canto
gregoriano e sulla Musica sacra da promuoversi sempre più,
del 20 dic. 1928), (27) dovrà essere osservato esattamente da
coloro cui spetta, onerata la loro coscienza.
110. Anche ai Religiosi d’ambo i sessi, nonché ai sodali degli
Istituti secolari, si dia una solida e progressiva formazione fin
dal probandato e noviziato, sia nella sacra Liturgia come nel
canto sacro.
Si provveda inoltre che nelle comunità religiose d’ambo i sessi
e nei Collegi da esse dipendenti vi siano maestri idonei, che
possano insegnare, dirigere ed accompagnare il canto sacro.
Abbiano cura i Superiori degli stessi Religiosi e Religiose che
nelle loro comunità non soltanto dei gruppi scelti, ma tutti i
sodali vengano sufficientemente esercitati nel canto sacro.
111. Ci sono poi delle chiese nelle quali, per la loro qualità,
conviene che la sacra Liturgia e la Musica sacra si svolgano
con particolare decoro e splendore, cioè le chiese parrocchiali
maggiori, le collegiate, le cattedrali, le abbaziali, le religiose, o
i santuari maggiori. Coloro che sono addetti a tali chiese, sia
chierici che ministranti, o artisti musicali, si studino con ogni
cura e sollecitudine di rendersi atti e preparati a compiere
egregiamente il canto sacro e le azioni liturgiche.
112. Infine si deve avere un particolare criterio nell’introdurre
e nel disciplinare la sacra Liturgia e il canto sacro nelle
Missioni
estere.
Anzitutto si deve distinguere tra i popoli dotati di una cultura,
talvolta millenaria e ricchissima, e popoli privi ancora di una
cultura superiore.
Ciò posto bisogna tener presenti alcune norme generali, e cioè:
a) I sacerdoti che vengono inviati alle Missioni estere devono
avere una adeguata formazione nella sacra Liturgia e nel
canto sacro.
b) Se si tratta di popoli che si distinguono per una propria
cultura musicale, si studino i missionari, adottando tutte le
precauzioni necessarie, di servirsi nell’uso sacro anche della
musica indigena; cerchino soprattutto di disporre gli esercizi
pii in modo che i fedeli indigeni possano effondere la loro
anima religiosa anche nella propria lingua e con melodie
adattate all’indole della loro gente. Né si dimentichi che, come
è comprovato, gli indigeni alle volte possono cantare con
facilità le stesse melodie gregoriane, perché molto spesso esse
hanno una certa affinità con le loro cantilene.
c) Se si tratta poi di popoli meno colti, ciò che viene sopra
proposto sotto la lettera b), bisogna temperarlo in modo da
adattarlo alla particolare capacità e indole di quei popoli.
Dove poi la vita familiare e sociale di questi popoli è pervasa
di un grande sentimento religioso, i missionari usino una
diligente cura, non solo per non spegnere lo stesso spirito
religioso, ma, allontanate le superstizioni, renderlo piuttosto
cristiano, per mezzo specialmente di esercizi pii.
B) DEGLI ISTITUTI PUBBLICI
PROMUOVERE LA MUSICA SACRA
E
PRIVATI
PER
113. I parroci e i rettori di chiese curino diligentemente che
per compiere le azioni liturgiche e gli esercizi pii si abbiano a
disposizione fanciulli o giovani o anche degli uomini
«ministranti», che si raccomandano per la pietà, ben istruiti
nelle cerimonie, e abbastanza esercitati anche nel canto sacro
e popolare religioso.
114. Al canto sacro e popolare si ricollega in modo particolare
quella lodevole istituzione, denominata «Pueri cantores», più
volte raccomandata dalla Santa Sede28.
È certamente desiderabile e bisogna adoperarsi perché tutte le
chiese abbiano un proprio coro di fanciulli cantori, i quali
siano egregiamente istruiti nella sacra Liturgia e
specialmente nell’arte del cantare bene e con devozione.
115. Si raccomanda perciò che in ogni diocesi si abbia un
istituto o una scuola di canto e di organo, nella quale si
formino debitamente gli organisti, i maestri di coro, i cantori o
anche i suonatori di altri strumenti.
Talvolta sarà assai meglio che un tale istituto venga eretto,
unendo gli sforzi, da più diocesi. I parroci o i rettori di chiese
non trascurino di indirizzare a tali scuole giovani scelti e
favorirne opportunamente gli studi.
116. Assai opportuni sono da considerarsi infine quegli istituti
superiori o accademie che hanno espressamente lo scopo di
promuovere più largamente la Musica sacra. Tra questi
istituti poi occupa il primo posto il Pontificio Istituto di
Musica sacra, fondato in Roma da San Pio X.
Gli Ordinari dei luoghi abbiano cura di mandare alcuni
sacerdoti che abbiano particolare disposizione e amore per
questa arte ai detti istituti, e specialmente al Pontificio
Istituto romano di Musica sacra.
117. Oltre agli istituti per l’insegnamento della Musica sacra,
sono state fondate diverse associazioni che, sotto il nome di S.
Gregorio Magno o di S. Cecilia o di altri Santi, si propongono
in vari modi di coltivare la stessa Musica sacra. Dal
moltiplicarsi di queste associazioni e dalla loro confederazione,
nazionale o internazionale, la Musica sacra potrà ottenere
grandi vantaggi.
118. In ciascuna diocesi, già fin dai tempi di S. Pio X, deve
esserci una speciale Commissione di Musica sacra29. I membri
di questa Commissione, sia sacerdoti che laici, devono essere
nominati dall’Ordinario del luogo, il quale scelga uomini
competenti per dottrina ed esperienza nei vari generi della
Musica sacra.
Niente impedisce che gli Ordinari di più diocesi costituiscano
una Commissione comune.
Siccome poi la Musica sacra è strettamente connessa con la
Liturgia, e questa con l’Arte sacra, si devono costituire in
ciascuna diocesi anche le Commissioni di Arte sacra30 e di
sacra Liturgia31. Niente vieta però, anzi talvolta è
consigliabile, che le tre ricordate Commissioni non si
riuniscano separatamente, ma insieme e, consultandosi a
vicenda, cerchino di trattare e di risolvere i problemi comuni.
Del resto, gli Ordinari dei luoghi sorveglino che le predette
Commissioni si riuniscano frequentemente a seconda delle
circostanze; è auspicabile anche che gli stessi Ordinari
presiedano qualche volta queste adunanze.
***
Questa Istruzione sulla Musica sacra e la sacra Liturgia è
stata sottoposta dall’infrascritto Cardinale Prefetto della S.
Congregazione dei Riti al SS.mo Signor Nostro Pio Papa XII.
Sua Santità si è degnata di approvarla in modo speciale, in
tutto e nelle singole parti, e di confermarla con la Sua
autorità, ed ha ordinato di promulgarla perché sia osservata
con diligenza da tutti coloro cui spetta. Nonostante qualsiasi
cosa in contrario.
Roma, dal Palazzo della Sacra Congregazione dei Riti, nella
festa di S. Pio X, 3 settembre 1958.
G. Card. CICOGNANI, Prefetto
† A. Carinci, Arciv. di Seleucia, Segretario
_____________
(1) Lettera enciclica Mediator Dei, del 20 nov. 1947; A. A. S. 39 (1947) 528-29.
(2) Cfr. Ef. 5, 18-20; Col. 3, 16.
(3) Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina, del 25 dic. 1955: A. A. S. 48
(1956) 13-14.
(4) Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina: A. A. S. 48 (1950) 18.
(5) Motu proprio Tra le sollecitudini, del 22 nov. 1903, n. 7: A. S. S. 36 (1903-04)
334; Decr. auth. S. C. R. 4121.
(6) Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina: A. A. S. 48 (1956) 16-17.
(7) Lettera enciclica Mediator Dei, del 20 nov. 1947: A. A. S. 39 (1947) 552.
(8) A. A. S. 39 (1947) 560.
(9) Lettera enciclica Mediator Dei: A. A. S. 39 (1947) 530-537.
(10) S. Conc. Trid. Sess. 22, cap. 6. Cfr. anche la Lettera enciclica Mediator Dei
(A. A. S. 39 [1947] 565): «È molto opportuno, ciò che del resto è stabilito dalla
Liturgia, che il popolo acceda alla sacra Eucaristia, dopo che il sacerdote avrà
gustato della Mensa divina».
(11) S. Conc. Trid. Sess. 22, cap. 8; Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina:
A. A. S. 48 (1956) 17.
(12) Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina: A. A. S. 48 (1956) 16.
(13) Costituzione Apostolica Divini cultus, del 20 dic. 1928: A. A. S. 21 (1929) 40.
(14) Lettera enciclica Mediator Dei: A. A. S. 39 (1947) 560-561.
(15) A. A. S. 49 (1957) 370.
(16) Cfr. I Discorsi del Sommo Pontefice Pio XII agli E.mi PP. Cardinali e ai
Vescovi, del 2 nov. 1954 (A. A. S. 46 [1954] 669-670) e ai partecipanti al
Congresso internazionale di Liturgia Pastorale di Assisi, del 22 sett. 1956 (A. A.
S. 48 [1956] 716-717).
(17) Costituzione Apostolica Christus Dominus, del 6 genn. 1953 (A. A. S. 45
[1953] 15-24); Istruzione della Suprema S. Congregazione del Sant’Uffizio dello
stesso giorno (A. A. S. 45 [1953] 47-51); Motu proprio Sacram Communionem, del
19 marzo 1957 (A. A. S. 49 [1957] 177-178).
(18) A. A. S. 48 (1956) 18-20.
(19) A A. S. 48 (1956) 19-20.
(20) Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina: A. A. S. 48 (1956) 20.
(21) Decr. auth. S. C. R. 4166.
(22) Decr. auth. S. C. R. 4178.
(23) Decr. auth. S. C. R. 4260.
(24) A. A. S. 38 (1946) 371-372.
(25) Lettera enciclica Mystici Corporis Christi, del 29 giugno 1943: A. A. S. 35
(1943) 232-233; Lettera enciclica Mediator Dei, del 20 nov. 1947: A. A. S. 39
(1947) 555-556.
(26) Cfr. Decr. auth. S. C. R. 3964, 4210, 4231, e Lettera enciclica Musicae sacrae
disciplina: A. A. S. 48 (1956) 23.
(27) A. A. S. 31 (1929) 33-41.
(28) Costituzione Apostolica Divini cultus: A. A. S. 21 (1929) 28; Lettera enciclica
Musicae sacrae disciplina: A. A. S. 48 (1956) 23.
(29) Motu proprio Tra le sollecitudini, del 22 nov. 1903: A. A. S. 36 (1903-1904) n.
24; Decr. auth. S. C. R. 4121.
(30) Lettera circolare della Segreteria di Stato del 1 sett. 1924, Prot. 34215.
(31) Lettera enciclica Mediator Dei, del 20 nov. 1947: A. A. S. 39 (1947) 561-562.
xc
LITTERÆ APOSTOLICÆ
MOTU PROPRIO DATÆ
RUBRICARUM INSTRUCTUM
CON LA QUALE SI APPROVANO
LE NUOVE RUBRICHE DEL BREVIARIO E
DEL MESSALE ROMANO
di Sua Santità
B. PAPA GIOVANNI XXIII
La Sede Apostolica, specialmente dopo il Concilio Tridentino,
ha sempre avuto cura di definire nel modo più preciso e di
ordinare nel modo più compiuto il codice delle rubriche che
ordinano e regolano il culto pubblico della Chiesa. Poiché nel
corso del tempo sono state introdotte molte correzioni,
modifiche ed aggiunte, l'intero sistema delle rubriche si è
abbondantemente accresciuto, non sempre rispettando un
vero ordine logico, e non senza nuocere alla chiarezza e alla
semplicità originarie.
Non c'è dunque da stupirsi se il Nostro Predecessore Papa Pio
XII, di felice memoria, accogliendo le richieste di molti
Vescovi, stabilì che le rubriche del Breviario e del Messale
Romano, in certi punti, dovessero essere redatte in forma più
semplice, il che avvenne mediante un Decreto generale della
S. Congregazione dei Riti il 23 marzo 1955.
Il successivo anno 1956, mentre si stavano compiendo gli studi
preparatori per una riforma liturgica generale, lo stesso
Nostro Predecessore pensò di chiedere il parere dei Vescovi
circa una revisione liturgica del Breviario Romano. Dopo aver
soppesato le loro risposte, decise che si doveva intraprendere
una riforma sistematica e generale delle rubriche del
Breviario e del Messale, e ne conferì l'incarico a quella
Commissione speciali di uomini competenti, alla quale erano
stati affidati anche gli studi per una riforma generale della
liturgia.
Noi, per quanto Ci riguarda, dopo che, ispirati da Dio,
decretammo la convocazione di un Concilio ecumenico,
abbiamo molto riflettuto su ciò che bisognasse fare circa
l'opera intrapresa dal Nostro Predecessore.
Esaminata la questione a lungo e con coscienza, siamo giunti
alla conclusione che i più importanti princìpi concernenti la
riforma liturgica generale dovessero essere proposti ai Padri
durante il prossimo Concilio ecumenico; la correzione delle
rubriche del Breviario e del Messale, invece, non poteva essere
rimandata oltre.
Questo corpus di rubriche del Breviario e del Messale
Romano, preparato da uomini competenti della S.
Congregazione dei Riti e diligentemente curato dalla suddetta
Pontificia Commissione per la riforma liturgica generale, Noi
stessi, di moto proprio e certa scienza, in virtù della Nostra
Autorità Apostolica, abbiamo deciso di approvare, ordinando
quanto segue:
1. Il nuovo codice delle rubriche del Breviario e del Messale
Romano, diviso in tre parti, e cioè:
Rubriche generali, Rubriche generali del Breviario Romano, e
Rubriche generali del Messale Romano, che sarà presto
pubblicato dalla Nostra Sacra Congregazione dei Riti,
stabiliamo che debba essere osservato da tutti coloro che
seguono il rito romano a partire dal 1° gennaio del prossimo
anno 1961.
Coloro che osservano un altro rito latino, poi, sono tenuti a
conformarsi il più possibile sia al nuovo codice che al
calendario, in tutto ciò che non è strettamente proprio del loro
rito.
2. Il 1° gennaio dell'anno 1961 cessano di essere in vigore le
Rubricae generales del Breviario e del Messale Romano e le
Additiones et variationes apportate alle rubriche del Breviario
e del Messale Romano a norma della Bolla Divino afflatu del
Nostro Predecessore S. Pio X, che finora erano poste all'inizio
di tali libri. Parimenti cessa di essere in vigore il Decreto
generale della S. Congregazione dei Riti del 23 Marzo 1955 De
rubricis ad simpliciorem formam redigendis, ripreso in questa
nuova redazione delle rubriche. Sono infine abrogati i decreti
e le risposte a dubbi della medesima S. Congregazione che non
concordino con questa nuova forma delle rubriche.
3. Allo stesso modo, statuti, privilegi, indulti e concessioni di
qualsiasi genere, per quanto secolari e immemorabili,
ancorché specialissimi e degni di particolare menzione, ma che
non sono conformi a queste rubriche, sono revocati.
4. Gli editori dei libri liturgici, regolarmente approvati e
autorizzati dalla Santa Sede, possono preparare le nuove
edizioni del Breviario e del Messale Romano ordinati secondo
il nuovo codice delle rubriche; per preservare la necessaria
uniformità delle nuove edizioni, la S. Congregazione dei Riti
dia istruzioni particolari.
5. All'inizio delle nuove edizioni del Breviario e del Messale
Romano, omessi i testi delle rubriche di cui al n. 2, si ponga il
testo delle nuove rubriche: nel Breviario le Rubriche generali
e le Rubriche generali del Breviario Romano; nel Messale le
Rubriche generali e le Rubriche generali del Messale Romano.
6. Infine, tutti coloro a cui spetta abbiano cura di conformare
al più presto i Calendari e i Propri, sia diocesani che religiosi,
alla norma e allo spirito della nuova redazione delle rubriche e
del calendario, e di farli approvare dalla S. Congregazione dei
Riti.
Stabilite dunque queste disposizioni, riteniamo sia Nostro
dovere Apostolico aggiungere alcune esortazioni.
Con questa nuova disposizione delle rubriche, se da un lato
tutto il codice delle rubriche del Breviario e del Messale
Romano è stato redatto in forma migliore, suddiviso in ordine
più chiaro e riassunto in testo unico, dall'altro sono state
introdotte alcune modifiche speciali che riducono un poco la
durata dell'Ufficio divino. Ciò, del resto, era nel desiderio di
molti Vescovi, soprattutto in considerazione di quei numerosi
sacerdoti che di giorno in giorno sono sempre più gravati dai
loro impegni pastorali. Nondimeno, Noi con animo paterno
esortiamo costoro e tutti quelli che sono tenuti alla recita
dell'Ufficio divino a compensare la diminuzione della durata
dell'Ufficio divino con una maggior diligenza e devozione.
Poiché, inoltre, anche la lettura dei santi Padri è stata un poco
alleggerita, esortiamo vivamente tutti i chierici ad avere
sottomano le opere dei Padri, così ricche di saggezza e di pietà,
per leggerle e meditarle assiduamente.
Ciò che abbiamo deciso e ordinato con questa Nostra Lettera
in forma di motu proprio, sia scrupolosamente rispettato ed
eseguito, nonostante qualsiasi cosa in contrario, ancorché
degna di specialissima e singolare menzione.
Dato in Roma, presso S. Pietro, il 25 luglio dell'anno 1960,
secondo del Nostro Pontificato.
SACRA RITUUM CONGREGATIO
DECRETUM GENERALE
COL QUALE SI PROMULGA IL NUOVO CODICE
DELLE RUBRICHE DEL BREVIARIO E DEL MESSALE
ROMANO
Il nuovo codice delle rubriche del Breviario e del Messale
Romano, che la Santità di Nostro Signore Papa Giovanni
XXIII ha approvato con la Lettera Apostolica in forma di motu
proprio: Rubricarum instructum il 25 luglio dell'anno
corrente, affidandone la promulgazione a questa S.
Congregazione, la S. Congregazione dei Riti, con questo
Decreto generale, promulga e dichiara promulgato, perché
venga inserito nelle nuove edizioni del Breviario e del Messale
romano e sia osservato da tutti coloro a cui spetta a partire
dal 1° gennaio del prossimo anno 1961.
Affinché i libri liturgici tuttora in uso possano continuare ad
essere impiegati, al codice delle rubriche si aggiungono alcune
"Variazioni" per adattare i Breviari ed i Messali, come pure il
Martirologio.
Ex ædibus S. Rituum Congregationis, die 26 iulii anni 1960.
† Caietanus Card. CICOGNANI, Ep. Tusculanus, Præfectus.
L.
S.
Henricus Dante, a secretis.
LITTERÆ APOSTOLICÆ
MOTU PROPRIO DATÆ
SUMMORUM PONTIFICUM
SULL’USO DELLA LITURGIA ROMANA
ANTERIORE ALLA RIFORMA DEL 1970
di Sua Santità
BENEDETTO XVI
I Sommi Pontefici fino ai nostri giorni ebbero costantemente cura che la
Chiesa di Cristo offrisse alla Divina Maestà un culto degno, “a lode e
gloria del Suo nome” ed “ad utilità di tutta la sua Santa Chiesa”.
Da tempo immemorabile, come anche per l’avvenire, è necessario
mantenere il principio secondo il quale “ogni Chiesa particolare deve
concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della
fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente
accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere
osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità
della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla
sua legge di fede”1.
Tra i Pontefici che ebbero tale doverosa cura eccelle il nome di san
Gregorio Magno, il quale si adoperò perché ai nuovi popoli dell’Europa si
trasmettesse sia la fede cattolica che i tesori del culto e della cultura
accumulati dai Romani nei secoli precedenti. Egli comandò che fosse
definita e conservata la forma della sacra Liturgia, riguardante sia il
Sacrificio della Messa sia l’Ufficio Divino, nel modo in cui si celebrava
nell’Urbe. Promosse con massima cura la diffusione dei monaci e delle
monache, che operando sotto la regola di san Benedetto, dovunque
unitamente all’annuncio del Vangelo illustrarono con la loro vita la
salutare massima della Regola: “Nulla venga preposto all’opera di Dio”
(cap. 43). In tal modo la sacra Liturgia celebrata secondo l’uso romano
arricchì non solo la fede e la pietà, ma anche la cultura di molte
popolazioni.
Consta infatti che la liturgia latina della Chiesa nelle varie sue forme, in
ogni secolo dell’età cristiana, ha spronato nella vita spirituale numerosi
Santi e ha rafforzato tanti popoli nella virtù di religione e ha fecondato la
loro pietà. Molti altri Romani Pontefici, nel corso dei secoli, mostrarono
particolare sollecitudine a che la sacra Liturgia espletasse in modo più
efficace questo compito: tra essi spicca S. Pio V, il quale sorretto da
grande zelo pastorale, a seguito dell’esortazione del Concilio di Trento,
rinnovò tutto il culto della Chiesa, curò l’edizione dei libri liturgici,
emendati e “rinnovati secondo la norma dei Padri” e li diede in uso alla
Chiesa latina.
Tra i libri liturgici del Rito romano risalta il Messale Romano, che si
sviluppò nella città di Roma, e col passare dei secoli a poco a poco prese
forme che hanno grande somiglianza con quella vigente nei tempi più
recenti. “Fu questo il medesimo obiettivo che seguirono i Romani
Pontefici nel corso dei secoli seguenti assicurando l’aggiornamento o
definendo i riti e i libri liturgici, e poi, all’inizio di questo secolo,
intraprendendo una riforma generale”2.
Così agirono i nostri Predecessori Clemente VIII, Urbano VIII, San Pio
X3, Benedetto XV, Pio XII e il B. Giovanni XXIII.
Nei tempi più recenti, il Concilio Vaticano II espresse il desiderio che la
dovuta rispettosa riverenza nei confronti del culto divino venisse ancora
rinnovata e fosse adattata alle necessità della nostra età. Mosso da
questo desiderio, il nostro Predecessore, il Sommo Pontefice Paolo VI, nel
1970 per la Chiesa latina approvò i libri liturgici riformati e in parte
rinnovati. Essi, tradotti nelle varie lingue del mondo, di buon grado
furono accolti da Vescovi, sacerdoti e fedeli. Giovanni Paolo II rivide la
terza edizione tipica del Messale Romano. Così i Romani Pontefici hanno
operato “perché questa sorta di edificio liturgico [...] apparisse
nuovamente splendido per dignità e armonia”4.
Ma in talune regioni non pochi fedeli aderirono e continuano ad aderire
con tanto amore ed affetto alle antecedenti forme liturgiche, le quali
avevano imbevuto così profondamente la loro cultura e il loro spirito, che
il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, mosso dalla cura pastorale nei
confronti di questi fedeli, nell’anno 1984 con lo speciale indulto
“Quattuor abhinc annos”, emesso dalla Congregazione per il Culto
Divino, concesse la facoltà di usare il Messale Romano edito dal B.
Giovanni XXIII nell’anno 1962; nell’anno 1988 poi Giovanni Paolo II di
nuovo con la Lettera Apostolica “Ecclesia Dei”, data in forma di Motu
proprio, esortò i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale
facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero.
A seguito delle insistenti preghiere di questi fedeli, a lungo soppesate già
dal Nostro Predecessore Giovanni Paolo II, e dopo aver ascoltato Noi
stessi i Padri Cardinali nel Concistoro tenuto il 22 marzo 2006, avendo
riflettuto approfonditamente su ogni aspetto della questione, dopo aver
invocato lo Spirito Santo e contando sull’aiuto di Dio, con la presente
Lettera Apostolica STABILIAMO quanto segue:
Art. 1. Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione
ordinaria della “lex orandi” (“legge della preghiera”) della Chiesa
cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da S. Pio
V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir considerato come
espressione straordinaria della stessa “lex orandi” e deve essere tenuto
nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due
espressioni della “lex orandi” della Chiesa non porteranno in alcun modo
a una divisione nella “lex credendi” (“legge della fede”) della Chiesa; sono
infatti due usi dell’unico rito romano. Perciò è lecito celebrare il Sacrificio
della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal
B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria
della Liturgia della Chiesa. Le condizioni per l’uso di questo Messale
stabilite dai documenti anteriori “Quattuor abhinc annos” e “Ecclesia
Dei”, vengono sostituite come segue:
Art. 2. Nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di
rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito
dal beato Papa Giovanni XXIII nel 1962, oppure il Messale Romano
promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno,
eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro
Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede
Apostolica, né del suo Ordinario.
Art. 3. Le comunità degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita
apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano, che nella celebrazione
conventuale o “comunitaria” nei propri oratori desiderano celebrare la
Santa Messa secondo l’edizione del Messale Romano promulgato nel
1962, possono farlo. Se una singola comunità o un intero Istituto o
Società vuole compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o
permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a
norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari.
Art. 4. Alle celebrazioni della Santa Messa di cui sopra all’art. 2, possono
essere ammessi – osservate le norme del diritto – anche i fedeli che lo
chiedessero di loro spontanea volontà.
Art. 5. § 1. Nelle parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli
aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri
le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del
Messale Romano edito nel 1962. Provveda a che il bene di questi fedeli si
armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida
del Vescovo a norma del can. 392, evitando la discordia e favorendo
l’unità di tutta la Chiesa.
§ 2. La celebrazione secondo il Messale del B. Giovanni XXIII può aver
luogo nei giorni feriali; nelle domeniche e nelle festività si può anche
avere una celebrazione di tal genere.
§ 3. Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le
celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze
particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad
esempio pellegrinaggi.
§ 4. I sacerdoti che usano il Messale del B. Giovanni XXIII devono essere
idonei e non giuridicamente impediti.
§ 5. Nelle chiese che non sono parrocchiali né conventuali, è compito del
Rettore della chiesa concedere la licenza di cui sopra.
Art. 6. Nelle Messe celebrate con il popolo secondo il Messale del B.
Giovanni XXIII, le letture possono essere proclamate anche nella lingua
vernacola, usando le edizioni riconosciute dalla Sede Apostolica.
Art. 7. Se un gruppo di fedeli laici fra quelli di cui all’art. 5 § 1 non abbia
ottenuto soddisfazione alle sue richieste da parte del parroco, ne informi
il Vescovo diocesano. Il Vescovo è vivamente pregato di esaudire il loro
desiderio. Se egli non può provvedere per tale celebrazione, la cosa venga
riferita alla Commissione Pontificia “Ecclesia Dei”.
Art. 8. Il Vescovo, che desidera rispondere a tali richieste di fedeli laici,
ma per varie cause è impedito di farlo, può riferire la questione alla
Commissione “Ecclesia Dei”, perché gli offra consiglio e aiuto.
Art. 9 § 1. Il parroco, dopo aver considerato tutto attentamente, può
anche concedere la licenza di usare il rituale più antico
nell’amministrazione dei sacramenti del Battesimo, del Matrimonio,
della Penitenza e dell’Unzione degli infermi, se questo consiglia il bene
delle anime.
§ 2. Agli Ordinari viene concessa la facoltà di celebrare il sacramento
della Confermazione usando il precedente antico Pontificale Romano,
qualora questo consigli il bene delle anime.
§ 3. Ai chierici costituiti “in sacris” è lecito usare il Breviario Romano
promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962.
Art. 10. L’Ordinario del luogo, se lo riterrà opportuno, potrà erigere una
parrocchia personale a norma del can. 518 per le celebrazioni secondo la
forma più antica del rito romano, o nominare un cappellano, osservate le
norme del diritto.
Art. 11. La Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, eretta da Giovanni
Paolo II nel 19885, continua ad esercitare il suo compito.
Tale Commissione abbia la forma, i compiti e le norme, che il Romano
Pontefice le vorrà attribuire.
Art. 12. La stessa Commissione, oltre alle facoltà di cui già gode,
eserciterà l’autorità della Santa Sede vigilando sulla osservanza e
l’applicazione di queste disposizioni.
Tutto ciò che da Noi è stato stabilito con questa Lettera Apostolica data a
modo di Motu proprio, ordiniamo che sia considerato come “stabilito e
decretato” e da osservare dal giorno 14 settembre di quest’anno, festa
dell’Esaltazione della Santa Croce, nonostante tutto ciò che possa esservi
in contrario.
______________________
Institutio generalis Missalis Romani, Editio tertia, 2002, 397
2
IOANNES PAULUS PP. II, Litt. ap. Vicesimus quintus annus (4 Decembris 1988), 3: AAS 81 (1989),
899.
3
Ibid.
4
PIUS PP. X, Litt. Ap. Motu proprio datae Abhinc duos annos (23 Octobris 1913): AAS 5 (1913),
449-450; cfr IOANNES PAULUS II, Litt. ap. Vicesimus quintus annus (4 Decembris 1988), 3: AAS
81 (1989), 899.
5
Cfr IOANNES PAULUS PP. II, Litt. ap. Motu proprio datae Ecclesia Dei (2 iulii 1988), 6: AAS 80
(1988), 1498.
1
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LETTERA DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
AI VESCOVI DI TUTTO IL MONDO
PER PRESENTARE IL "MOTU PROPRIO"
SULL’USO DELLA LITURGIA ROMANA
ANTERIORE ALLA RIFORMA DEL 1970
Cari Fratelli nell’Episcopato,
con grande fiducia e speranza metto nelle vostre mani di
Pastori il testo di una nuova Lettera Apostolica "Motu Proprio
data" sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma
effettuata nel 1970. Il documento è frutto di lunghe riflessioni,
di molteplici consultazioni e di preghiera.
Notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno
creato non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti
tra loro che vanno da un’accettazione gioiosa ad
un’opposizione dura, per un progetto il cui contenuto in realtà
non era conosciuto.
A questo documento si opponevano più direttamente due
timori, che vorrei affrontare un po’ più da vicino in questa
lettera.
In primo luogo, c’è il timore che qui venga intaccata l’Autorità
del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni
essenziali – la riforma liturgica – venga messa in dubbio. Tale
timore è infondato. Al riguardo bisogna innanzitutto dire che
il Messale, pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori
edizioni da Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma
normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica.
L’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio,
che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII
nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere
usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica.
Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale
Romano come se fossero "due Riti". Si tratta, piuttosto, di un
uso duplice dell’unico e medesimo Rito.
Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma
extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare
l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai
giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di
principio,
restò
sempre
permesso.
Al
momento
dell’introduzione del nuovo Messale, non è sembrato
necessario di emanare norme proprie per l’uso possibile del
Messale anteriore. Probabilmente si è supposto che si sarebbe
trattato di pochi casi singoli che si sarebbero risolti, caso per
caso, sul posto. Dopo, però, si è presto dimostrato che non
pochi rimanevano fortemente legati a questo uso del Rito
romano che, fin dall’infanzia, era per loro diventato familiare.
Ciò avvenne, innanzitutto, nei Paesi in cui il movimento
liturgico aveva donato a molte persone una cospicua
formazione liturgica e una profonda, intima familiarità con la
forma anteriore della Celebrazione liturgica.
Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo
Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno
esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si
trovavano però più in profondità. Molte persone, che
accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio
Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi,
desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara,
della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti
luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del
nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come
un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la
quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del
sopportabile.
Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo
con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto
profondamente siano state ferite, dalle deformazioni
arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente
radicate nella fede della Chiesa.
Papa Giovanni Paolo II si vide, perciò, obbligato a dare, con il
Motu Proprio "Ecclesia Dei" del 2 luglio 1988, un quadro
normativo per l’uso del Messale del 1962, che però non
conteneva prescrizioni dettagliate, ma faceva appello, in modo
più generale, alla generosità dei Vescovi verso le "giuste
aspirazioni" di quei fedeli che richiedevano quest’uso del Rito
romano. In quel momento il Papa voleva, così, aiutare
soprattutto la Fraternità San Pio X a ritrovare la piena unità
con il Successore di Pietro, cercando di guarire una ferita
sentita sempre più dolorosamente.
Purtroppo questa riconciliazione finora non è riuscita; tuttavia
una serie di comunità hanno utilizzato con gratitudine le
possibilità di questo Motu Proprio. Difficile è rimasta, invece,
la questione dell’uso del Messale del 1962 al di fuori di questi
gruppi, per i quali mancavano precise norme giuridiche,
anzitutto perché spesso i Vescovi, in questi casi, temevano che
l’autorità del Concilio fosse messa in dubbio.
Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la
richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla
generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel
frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone
scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e
vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di
incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia. Così è
sorto un bisogno di un regolamento giuridico più chiaro che, al
tempo del Motu Proprio del 1988, non era prevedibile; queste
Norme intendono anche liberare i Vescovi dal dover sempre di
nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni.
In secondo luogo, nelle discussioni sull’atteso Motu Proprio,
venne espresso il timore che una più ampia possibilità dell’uso
del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura
a spaccature nelle comunità parrocchiali. Anche questo timore
non mi sembra realmente fondato. L’uso del Messale antico
presuppone una certa misura di formazione liturgica e un
accesso alla lingua latina; sia l’una che l’altra non si trovano
tanto di frequente. Già da questi presupposti concreti si vede
chiaramente che il nuovo Messale rimarrà, certamente, la
forma ordinaria del Rito Romano, non soltanto a causa della
normativa giuridica, ma anche della reale situazione in cui si
trovano le comunità di fedeli.
È vero che non mancano esagerazioni e qualche volta aspetti
sociali indebitamente vincolati all’attitudine di fedeli legati
all’antica tradizione liturgica latina. La vostra carità e
prudenza pastorale sarà stimolo e guida per un
perfezionamento. Del resto le due forme dell’uso del Rito
Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico
potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei
nuovi prefazi. La Commissione "Ecclesia Dei" in contatto con i
diversi enti dedicati all’ "usus antiquior" studierà le possibilità
pratiche. Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di
Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto
non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti
all’antico uso.
La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire
le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel
celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni;
ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità
teologica di questo Messale.
Sono giunto, così, a quella ragione positiva che mi ha motivato
ad aggiornare mediante questo Motu Proprio quello del 1988.
Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno
della Chiesa. Guardando al passato, alle divisioni che nel
corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha
continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la
divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da
parte dei responsabili della Chiesa per conservare o
conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che
le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di
colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare.
Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti
gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il
desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità
o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in mente una frase della
Seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: "La nostra
bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è
tutto aperto per voi.
Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece
che siete allo stretto… Rendeteci il contraccambio, aprite
anche voi il vostro cuore!" (2 Cor 6,11–13). Paolo lo dice certo
in un altro contesto, ma il suo invito può e deve toccare anche
noi, proprio in questo tema. Apriamo generosamente il nostro
cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa offre
spazio.
Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del
Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e
progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni
anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non
può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura,
giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze
che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e
di dar loro il giusto posto. Ovviamente per vivere la piena
comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso
antico non possono, in linea di principio, escludere la
celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti
coerente con il riconoscimento del valore e della santità del
nuovo rito l’esclusione totale dello stesso.
In conclusione, cari Confratelli, mi sta a cuore sottolineare che
queste nuove norme non diminuiscono in nessun modo la
vostra autorità e responsabilità, né sulla liturgia né sulla
pastorale dei vostri fedeli. Ogni Vescovo, infatti, è il
moderatore della liturgia nella propria diocesi (cfr.
Sacrosanctum Concilium, n. 22: "Sacrae Liturgiae moderatio
ab Ecclesiae auctoritate unice pendet quae quidem est apud
Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud Episcopum").
Nulla si toglie quindi all’autorità del Vescovo il cui ruolo,
comunque, rimarrà quello di vigilare affinché tutto si svolga
in pace e serenità. Se dovesse nascere qualche problema che il
parroco non possa risolvere, l’Ordinario locale potrà sempre
intervenire, in piena armonia, però, con quanto stabilito dalle
nuove norme del Motu Proprio.
Inoltre, vi invito, cari Confratelli, a scrivere alla Santa Sede
un resoconto sulle vostre esperienze, tre anni dopo l’entrata in
vigore di questo Motu Proprio. Se veramente fossero venute
alla luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per
trovare rimedio.
Cari Fratelli, con animo grato e fiducioso, affido al vostro
cuore di Pastori queste pagine e le norme del Motu Proprio.
Siamo sempre memori delle parole dell’Apostolo Paolo dirette
ai presbiteri di Efeso: "Vegliate su voi stessi e su tutto il
gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come
Vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con
il suo sangue" (Atti 20,28).
Affido alla potente intercessione di Maria, Madre della
Chiesa, queste nuove norme e di cuore imparto la mia
Benedizione Apostolica a Voi, cari Confratelli, ai parroci delle
vostre diocesi, e a tutti i sacerdoti, vostri collaboratori, come
anche a tutti i vostri fedeli.
Dato presso San Pietro, il 7 luglio 2007
BENEDICTUS PP. XVI
Rubricæ Generales
Rubricæ Generales Missalis Romani
xa
RUBRICÆ GENERALES
Missale Romanum, Typis Poliglottis Vaticanis 1962
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
NORME GENERALI
IL GIORNO LITURGICO IN GENERALE
LE DOMENICHE
LE FERIE
LE VIGILIE
LE FESTE E IL CALENDARIO
LE OTTAVE
I TEMPI DELL'ANNO
SANTA MARIA IN SABATO
LE LITANIE MAGGIORI E MINORI
LA PRECEDENZA DEI GIORNI LITURGICI
L'OCCORENZA DEI GIORNI LITURGICI
OCCORENZA ACC. E TRASLAZIONE DEI GIORNI LITURGICI
OCCORENZA PERP. E RIPOSIZIONE DEI GIORNI LITURGICI
LA CONCORRENZA DEI GIORNI LITURGICI
LE COMMEMORAZIONI
LA CONCLUSIONE DELLE ORAZIONI
IL COLORE DEI PARAMENTI
IMPIEGO E NATURA DEI PARAMENTI
CAPITOLO I
NORME GENERALI
1. Le seguenti rubriche riguardano il rito romano.
2. Per “calendario” s’intende sia il Calendario ad uso della Chiesa
universale, sia i calendari particolari.
3. Le seguenti rubriche generali valgono tanto per il Breviario quanto per
il Messale. Eventuali eccezioni sono specificate nelle rubriche particolari
che si trovano nel Breviario e nel Messale redatti conformemente a queste
rubriche.
CAPITOLO II
IL GIORNO LITURGICO IN GENERALE
4. Il giorno liturgico è il giorno santificato dalle azioni liturgiche, in
particolare dal Sacrificio eucaristico e dalla preghiera pubblica della
Chiesa, ossia l’Ufficio divino; e decorre da mezzanotte a mezzanotte.
5. La celebrazione del giorno liturgico decorre, di per sé, da Mattutino a
Compieta. Vi sono però alcuni giorni solenni in cui l’Ufficio comincia dai I
Vespri, il giorno precedente.
Vi è infine una celebrazione liturgica non completa, costituita soltanto da
una commemorazione nell’Ufficio e nella Messa del giorno liturgico in
corso.
6. Ogni giorno si celebra una domenica, una feria, una vigilia, una festa o
un’ottava, secondo il calendario e la precedenza dei giorni liturgici.
7. La precedenza tra i diversi giorni liturgici è determinata unicamente
dall’apposita tabella di cui al n. 91.
8. I giorni liturgici sono di prima, seconda, terza o quarta classe.
CAPITOLO III
LE DOMENICHE
9. Per “domenica” s’intende il giorno del Signore che cade all’inizio di ogni
settimana.
10. Le domeniche sono di I o di II classe.
11. Sono domeniche di I classe:
a) le quattro domeniche d’Avvento;
b) le quattro domeniche di Quaresima;
c) le due domeniche di Passione;
d) la domenica di Resurrezione o di Pasqua;
e) la domenica in albis;
f) la domenica di Pentecoste.
Le domeniche di Pasqua e di Pentecoste sono al tempo stesso feste di I
classe con ottava.
12. Tutte le altre domeniche sono di II classe.
13. L’Ufficio della domenica comincia dai I Vespri, il sabato precedente, e
termina dopo Compieta della domenica stessa.
14. La domenica si celebra nel suo giorno, secondo le rubriche. L’Ufficio e
la Messa della domenica impedita non si anticipano né si riprendono.
15. Una domenica di I classe, in caso di occorrenza, prevale su qualsiasi
festa.
Tuttavia, la festa dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria
prevale sulla domenica d’Avvento occorrente.
Per quanto riguarda la concorrenza, si osservi la norma di cui ai nn. 104105.
16. Una domenica di II classe, in caso di occorrenza, prevale sulle feste di
II classe.
Tuttavia:
a) una festa del Signore di I o II classe, che cade in una domenica di II
classe, prende il posto della domenica, con tutti i suoi diritti e privilegi:
della domenica, quindi, non si fa alcuna commemorazione;
b) la domenica di II classe prevale sulla Commemorazione di tutti i
Fedeli defunti.
Per quanto riguarda la concorrenza, si osservi la norma di cui ai nn. 104105.
17. La domenica, di per sé, esclude l’assegnazione perpetua delle feste.
Fanno eccezione:
a) la festa del Ss. Nome di Gesù, che va celebrata la domenica che cade
tra il 2 e il 5 gennaio (altrimenti il 2 gennaio);
b) la festa della S. Famiglia di Gesù, Maria, Giuseppe, che va celebrata
la prima domenica dopo l’Epifania;
c) la festa della Ss. Trinità, che va celebrata la prima domenica dopo
Pentecoste;
d) la festa di N. S. Gesù Cristo Re, che va celebrata l’ultima domenica
di ottobre;
e) le feste del Signore di I classe che, nei calendari particolari, sono
assegnate ad una domenica di II classe.
Queste feste prendono il posto della domenica occorrente, con tutti i suoi
diritti e privilegi: della domenica, quindi, non si fa alcuna
commemorazione.
18. Le domeniche dopo l’Epifania impedite dalla Settuagesima si
trasferiscono dopo la XXIII domenica dopo Pentecoste, in questo ordine:
a) se vi sono 25 domeniche dopo Pentecoste, la 24a sarà quella indicata
come VI dopo l’Epifania;
b) se vi sono 26 domeniche dopo Pentecoste, la 24a sarà quella indicata
come V dopo l’Epifania; e la 25a quella indicata come VI;
c) se vi sono 27 domeniche dopo Pentecoste, la 24a sarà quella indicata
come IV dopo l’Epifania; la 25a quella indicata come V; e la 26a quella
indicata come VI;
d) se vi sono 28 domeniche dopo Pentecoste, la 24a sarà quella indicata
come III dopo l’Epifania; la 25a quella indicata come IV; la 26a quella
indicata come V; e la 27a quella indicata come VI.
Per ultima si pone sempre la domenica indicata come XXIV dopo
Pentecoste, omettendo, se ce ne fosse bisogno, le domeniche che non
possono avere luogo.
19. Per “prima domenica del mese” s’intende quella che cade per prima nel
corso del mese, cioè dal primo al settimo giorno del mese; e per “ultima
domenica” quella che precede immediatamente il primo giorno del mese
successivo.
Allo stesso modo, per computare la prima domenica dei mesi di agosto,
settembre, ottobre e novembre, onde regolare la lettura delle Scritture, si
considera “prima domenica del mese” quella che cade dal primo al settimo
giorno del mese.
20. La prima domenica d’Avvento è quella che cade il 30 novembre o che è
più vicina a questa data.
CAPITOLO IV
LE FERIE
21. Per “feria” s’intende ciascuno dei giorni della settimana, esclusa la
domenica.
22. Le ferie sono di prima, seconda, terza o quarta classe.
23. Sono ferie di I classe:
a) il mercoledì delle Ceneri;
b) tutte le ferie della Settimana santa.
Queste ferie prevalgono su qualsiasi festa e ammettono una sola
commemorazione privilegiata.
24. Sono ferie di II classe:
a) le ferie d’Avvento dal 17 al 23 dicembre;
b) le ferie delle Quattro Tempora d’Avvento, di Quaresima e di
settembre.
Queste ferie prevalgono sulle feste particolari di II classe; e, se sono
impedite, se ne deve fare commemorazione.
25. Sono ferie di III classe:
a) le ferie di Quaresima e di Passione, dal giovedì dopo le ceneri al
sabato che precede la II domenica di Passione compreso, eccetto quelle
menzionate al numero precedente; esse prevalgono sulle feste di III
classe;
b) le ferie d’Avvento fino al 16 dicembre compreso, eccetto quelle
menzionate al numero precedente; esse cedono il posto alle feste di III
classe.
Se queste ferie sono impedite, se ne deve fare commemorazione.
26. Tutte le ferie non menzionate ai nn. 23-25 sono ferie di IV classe, delle
quali non si fa mai commemorazione.
27. L’Ufficio della feria comincia dal Mattutino e termina, di per sé, dopo
Compieta; ma l’Ufficio del sabato, eccetto quello del sabato santo, termina
dopo Nona.
CAPITOLO V
LE VIGILIE
28. Per “vigilia” s’intende il giorno liturgico che precede una festa ed ha il
compito di prepararla.
La vigilia di Pasqua, tuttavia, non essendo un giorno liturgico, si celebra
in un modo suo proprio, che è quello della veglia.
29. Le vigilie sono di prima, seconda o terza classe.
30. Sono vigilie di I classe:
a) la vigilia della Natività del Signore, che, in caso di occorrenza,
prende il posto della IV domenica d’Avvento, della quale, quindi, non si
fa alcuna commemorazione;
b) la vigilia di Pentecoste.
Queste vigilie prevalgono su qualsiasi festa e non ammettono alcuna
commemorazione.
31. Sono vigilie di II classe:
a) la vigilia dell’Ascensione del Signore;
b) la vigilia dell’Assunzione della beata Vergine Maria;
c) la vigilia della Natività di S. Giovanni Battista;
d) la vigilia dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo;
Queste vigilie prevalgono sui giorni liturgici di III e IV classe e, se sono
impedite, se ne deve fare commemorazione, secondo le rubriche.
32. Vigilia di III classe è la vigilia di S. Lorenzo.
Questa vigilia prevale sui giorni liturgici di IV classe e, se è impedita, se
ne deve fare commemorazione, secondo le rubriche.
33. Una vigilia di II o III classe si omette del tutto se cade in una
domenica qualsiasi o in una festa di I classe, oppure se la festa che
precede è stata trasferita ad un altro giorno o è stata ridotta a
commemorazione.
34. L’Ufficio della vigilia comincia dal Mattutino e termina quando
comincia l’Ufficio della festa seguente.
CAPITOLO VI
LE FESTE E IL CALENDARIO
A) Natura e proprietà delle feste
35. Per “festa” s’intende il giorno liturgico nel quale il culto pubblico della
Chiesa è specialmente rivolto al ricordo dei misteri del Signore o alla
venerazione della beata Vergine Maria, degli Angeli, dei Santi o dei Beati.
36. Le feste sono di prima, seconda o terza classe.
37. Le feste si celebrano in questo modo:
a) le feste di I classe sono annoverate tra i giorni più solenni; il loro
Ufficio comincia dai I Vespri, il giorno precedente;
b) le feste di II e III classe hanno un Ufficio che, di per sé, decorre da
Mattutino a Compieta del giorno medesimo;
c) tuttavia, le feste del Signore di II classe acquistano i I Vespri ogni
volta che, in caso di occorrenza, prendono il posto di una domenica di II
classe.
38. Le feste sono universali o particolari; le feste particolari sono proprie o
concesse.
39. Le feste universali sono quelle iscritte dalla Santa Sede nel calendario
della Chiesa universale.
Queste feste devono essere celebrate, secondo le rubriche, da tutti coloro
che seguono il rito romano.
40. Le feste particolari sono quelle che, per diritto o per indulto della
Santa Sede, sono iscritte nei calendari particolari.
Queste feste devono essere celebrate, secondo le rubriche, da tutti coloro
che seguono tale calendario, e solo per speciale indulto della Santa Sede
possono essere espunte dal calendario o cambiate di grado.
41. Le feste particolari che per diritto devono essere iscritte nel calendario
sono le feste proprie:
a) di ogni nazione, regione o provincia, sia ecclesiastica che civile (n.
42);
b) di ogni diocesi o territorio ecclesiastico governato da un “Ordinario
del luogo” (n. 43);
c) di ogni luogo, paese o città (n. 44);
d) di ogni chiesa od oratorio pubblico o semi-pubblico che tiene il posto
della chiesa (n. 45);
e) di ogni Ordine o Congregazione (n. 46).
42. Le feste proprie di ogni nazione, regione o provincia, sia ecclesiastica
che civile, sono:
a) la festa del Patrono principale regolarmente costituito (I classe);
b) la festa del Patrono secondario regolarmente costituito (II classe).
43. Le feste proprie di ogni diocesi o territori ecclesiastico governato da un
“Ordinario del luogo” sono:
a) la festa del Patrono principale regolarmente costituito (I classe);
b) l’anniversario della Dedicazione della chiesa cattedrale (I classe);
c) la festa del Patrono secondario regolarmente costituito (II classe);
d) le feste di Santi e Beati, regolarmente iscritti nel Martirologio o
nella sua Appendice, che hanno relazioni particolari con la diocesi,
come l’origine, il soggiorno prolungato, la morte (II o III classe, o
commemorazione).
44. Le feste proprie di ogni luogo, paese o città sono:
a) la festa del Patrono principale regolarmente costituito (I classe);
b) la festa del Patrono secondario regolarmente costituito (II classe).
45. Le feste proprie di ogni chiesa od oratorio pubblico o semi-pubblico che
tiene il posto della chiesa sono:
a) l’anniversario della Dedicazione, se sono consacrati (I classe);
b) la festa del Titolare, se sono consacrati o almeno solennemente
benedetti (I classe);
c) la festa del Santo, regolarmente iscritto nel Martirologio o nella sua
Appendice, di cui ivi si conserva il corpo (II classe);
d) la festa del Beato, regolarmente iscritto nel Martirologio o nella sua
Appendice, di cui ivi si conserva il corpo (III classe);
46. Le feste proprie di ogni Ordine o Congregazione sono:
a) la festa del Titolare (I classe);
b) la festa del Fondatore canonizzato (I classe) o beatificato (II classe);
c) in tutto l’Ordine o Congregazione: la festa del Patrono principale
regolarmente costituito di tutto l’Ordine o Congregazione; nelle singole
province: la festa del Patrono principale regolarmente costituito di
ciascuna provincia religiosa (I classe);
d) la festa del Patrono secondario, come sopra (II classe);
e) le feste dei Santi o Beati che furono membri di quell’Ordine o
Congregazione (II o III classe, o commemorazione).
47. Le feste particolari concesse sono quelle che si iscrivono nei calendari
particolari per indulto della Santa Sede.
B) Il calendario e le feste da iscrivervi
48. Il calendario è universale oppure particolare, cioè proprio.
49. Il calendario universale è il calendario ad uso della Chiesa universale,
posto all’inizio del Breviario e del Messale.
50. Il calendario particolare, cioè proprio, è diocesano o religioso; e si
redige inserendo nel calendario universale le feste particolari.
Tale calendario particolare perpetuo dev’essere redatto rispettivamente
dall’Ordinario del luogo o dal Superiore generale dell’Istituto religioso su
consiglio del proprio Capitolo o Consiglio generale, e dev’essere approvato
dalla S. Congregazione dei Riti.
51. Ogni diocesi e ogni altro territorio ecclesiastico governato da un
“Ordinario del luogo” ha un calendario diocesano.
52. Nel calendario diocesano, oltre alle feste universali, si devono
iscrivere:
a) le feste proprie (n. 42) e concesse di tutta la nazione, regione o
provincia, sia ecclesiastica che civile;
b) le feste proprie (n. 43) e concesse di tutta la diocesi.
53. Sulla base di tale calendario diocesano si redige:
a) il calendario di ciascun luogo, aggiungendovi le feste proprie (n. 44) e
concesse;
b) il calendario di ciascuna chiesa od oratorio, aggiungendovi le feste
del proprie (n. 44) e concesse del luogo, e le feste proprie (n. 45) e
concesse della chiesa stessa;
c) il calendario delle Congregazioni religiose o Istituti di diritto
pontificio che non sono tenuti alla recita dell’Ufficio divino, e delle
Congregazioni di diritto diocesano, aggiungendovi le feste proprie (n.
44) e concesse del luogo, nonché le feste proprie (nn. 45 e 46) e concesse
delle stesse Congregazioni o Istituti.
54. Hanno un calendario religioso:
a) gli Ordini regolari, e le Monache e le Suore del medesimo Ordine,
come pure i Terziari ad esso aggregati che vivono in comune ed
emettono i voti semplici;
b) le Congregazioni religiose o Istituti maschili e femminili di diritto
pontificio, retti da un unico Superiore generale, se sono tenuti, per
qualsiasi titolo, alla recita dell’Ufficio divino.
55. Nel calendario religioso, oltre alle feste universali, si devono iscrivere
le feste proprie (n. 46) e concesse del medesimo Ordine o Congregazione.
56. Sulla base di tale calendario religioso si redige:
a) il calendario di ciascuna provincia religiosa, aggiungendovi le feste
proprie (n. 46) e concesse;
b) il calendario di ciascuna chiesa od oratorio, aggiungendovi le feste
proprie (n. 45) e concesse, nonché quelle di cui al numero seguente: si
tratta del calendario di una casa religiosa.
57. In ogni diocesi e luogo, i religiosi, anche coloro che seguono un rito
diverso da quello romano, sono tenuti a celebrare, insieme al clero
diocesano:
a) la festa del Patrono principale della nazione, della regione o
provincia, sia ecclesiastica che civile, della diocesi, del luogo o paese o
città (I classe);
b) l’anniversario della Dedicazione della chiesa cattedrale (I classe);
c) le eventuali altre feste attualmente di precetto, con lo stesso grado
che hanno nel calendario diocesano.
58. I Religiosi, nella celebrazione delle feste dei Santi dell’Ordine o della
Congregazione, sono tenuti a conformarsi al clero diocesano per ciò che
riguarda il giorno e l’Ufficio più proprio, laddove questi Santi sono
venerati come Patroni principali (n. 57 a).
Parimenti, se le feste di Santi o Beati di qualche Ordine o Congregazione
sono celebrate dal clero di qualche diocesi o luogo con grado superiore o
Ufficio più proprio, possono essere celebrate con lo stesso grado superiore
o con l’Ufficio più proprio anche dai Religiosi del medesimo Ordine o
Congregazione, purché queste feste, in entrambi i calendari, siano iscritte
allo stesso giorno.
C) Il giorno proprio delle feste
59. Le feste già introdotte nei calendari si celebrano nel giorno loro
assegnato.
60. Per le nuove feste universali, si osservi quanto segue:
a) le feste dei Santi saranno di norma assegnate al giorno natalizio,
cioè al giorno in cui il Santo è nato alla vita eterna; se questo giorno,
per qualsiasi ragione, è impedito, tali feste saranno assegnate ad un
giorno stabilito dalla Santa Sede, che sarà considerato come giorno
quasi-natalizio;
b) per le altre feste, il giorno sarà assegnato dalla Santa Sede.
61. Per le nuove feste particolari, si osservi quanto segue:
a) le feste proprie di Santi o Beati saranno di norma assegnate al
giorno natalizio, a meno che questo non sia impedito o che la Santa
Sede non disponga diversamente. Tuttavia, le feste proprie di un luogo
o di una chiesa, che sono iscritte con grado inferiore anche nel
calendario universale o diocesano o religioso, devono essere celebrate
nello stesso giorno assegnato nel calendario universale o diocesano o
religioso;
b) se s’ignora il giorno natalizio, le feste saranno assegnate, previa
approvazione della Santa Sede, ad un giorno che nel calendario
perpetuo diocesano o religioso sia di IV classe;
c) se invece il giorno natalizio è perpetuamente impedito per tutta la
diocesi, Istituto religioso o chiesa propria, in tale calendario particolare
le feste, se sono di I o II classe, saranno assegnate al primo giorno
seguente che non sia di I o II classe; se sono di III classe, saranno
assegnate al primo giorno seguente che sia libero da altre feste o Uffici
di grado pari o superiore;
d) le feste particolari concesse per indulto saranno iscritte nel
calendario al giorno assegnato dalla Santa Sede nell’atto di
concessione.
62. I Santi o i Beati che, per qualsiasi ragione, sono iscritti nel calendario
in un’unica festa, quando sono dello stesso grado si celebrano sempre
insieme come si trovano nel Breviario romano, anche se uno o qualcuno di
loro fosse più proprio.
Quindi:
a) se uno o alcuni di tali Santi dovessero essere celebrati con una festa
di I classe, si celebra l’Ufficio solo di questi, omettendo i compagni;
b) se uno o alcuni di tali Santi o Beati fossero più propri e dovessero
essere celebrati con grado superiore, si celebra l’Ufficio dei più propri,
con la commemorazione dei compagni.
CAPITOLO VII
LE OTTAVE
A) Le ottave in generale
63. L’ottava è la celebrazione delle feste maggiori protratta per otto giorni
consecutivi.
64. Si celebrano soltanto le ottave della Natività del Signore, di Pasqua e
di Pentecoste; tutte le altre, sia nel calendario universale che nei
calendari particolari, sono abolite.
65. Le ottave sono di I o di II classe.
B) Le ottave di I classe
66. Sono ottave di I classe quelle di Pasqua e di Pentecoste. I giorni
durante queste ottave sono di I classe.
C) L’ottava di II classe
67. Ottava di II classe è quella della Natività del Signore. I giorni durante
questa ottava sono di II classe, mentre l’ottavo giorno è di I classe.
68. L’ottava di Natale è ordinata in modo particolare, e cioè:
a) il 26 dicembre si celebra la festa di S. Stefano Protomartire (II
classe);
b) il 27 dicembre si celebra la festa di S. Giovanni Apostolo ed
Evangelista (II classe);
c) il 28 dicembre si celebra la festa dei Ss. Innocenti Martiri (II classe);
d) il 29 dicembre si fa commemorazione di S. Tommaso Vescovo e
Martire;
e) il 31 dicembre si fa commemorazione di S. Silvestro Papa e
Confessore;
f) quanto alle feste particolari, sono ammesse soltanto quelle di I classe
e in onore di quei Santi che nel calendario universale si celebrano in
questi giorni, anche come semplice commemorazione; le altre si
trasferiscono dopo l’ottava.
69. Della domenica fra l’ottava di Natale, cioè quella che cade dal 26 al 31
dicembre, si celebra sempre l’Ufficio con commemorazione della festa
eventualmente occorrente, a meno che tale domenica non cada in una
festa di I classe: in questo caso si dice l’Ufficio della festa, con
commemorazione della domenica.
70. Le norme particolari per ordinare l’Ufficio e la Messa durante l’ottava
di Natale si trovano nelle rubriche del Breviario e del Messale.
CAPITOLO VIII
I TEMPI DELL’ANNO
A) Il tempo d’Avvento
71. Il tempo del sacro Avvento decorre dai I Vespri della I domenica
d’Avvento fino a Nona compresa della vigilia della Natività.
B) Il tempo natalizio
72. Il tempo natalizio decorre dai I Vespri della Natività fino al 13 gennaio
compreso.
Quest’arco di tempo comprende:
a) il tempo della Natività, che decorre dai I Vespri della Natività del
Signore fino a Nona compresa del 5 gennaio;
b) il tempo dell’Epifania, che decorre dai I vespri dell’Epifania del
Signore fino al 13 gennaio compreso.
C) Il tempo di Settuagesima
73. Il tempo di Settuagesima decorre dai I Vespri della domenica di
Settuagesima fino a dopo Compieta del martedì della settimana di
Quinquagesima.
D) Il tempo quaresimale
74. Il tempo quaresimale decorre dal Mattutino del mercoledì delle ceneri
fino alla Messa della Vigilia pasquale esclusa.
Quest’arco di tempo comprende:
a) il tempo di Quaresima, che decorre dal Mattutino del mercoledì delle
ceneri fino a Nona compresa del sabato che precede la I domenica di
Passione;
b) il tempo di Passione, che decorre dai I Vespri della I domenica di
passione fino alla Messa della Vigilia pasquale esclusa.
75. La settimana che va dalla II domenica di Passione o delle palme fino
al sabato santo compreso si dice Settimana santa; gli ultimi tre giorni di
tale settimana si chiamano Triduo sacro.
E) Il tempo pasquale
76. Il tempo pasquale decorre dall’inizio della Messa della Vigilia
pasquale fino a Nona compresa del sabato nell’ottava di Pentecoste.
Quest’arco di tempo comprende:
a) il tempo di Pasqua, che decorre dall’inizio della Messa della Vigilia
pasquale fino a Nona compresa della vigilia dell’Ascensione;
b) il tempo dell’Ascensione, che decorre dai I Vespri dell’Ascensione del
Signore fino a Nona compresa della vigilia di Pentecoste;
c) l’ottava di Pentecoste, che decorre dalla Messa della vigilia di
Pentecoste fino a Nona compresa del sabato seguente.
F) Il tempo «per annum»
77. Il tempo «per annum» decorre dal 14 gennaio fino a Nona compresa del
sabato che precede la domenica di Settuagesima, e dai I Vespri della festa
della Ss. Trinità, cioè della I domenica dopo Pentecoste, fino a Nona
compresa del sabato che precede la I domenica d’Avvento.
CAPITOLO IX
SANTA MARIA IN SABATO
78. Nei sabati di IV classe si celebra l’Ufficio di santa Maria in sabato.
79. L’Ufficio di santa Maria in sabato comincia dal Mattutino e termina
dopo Nona.
CAPITOLO X
LE LITANIE MAGGIORI E MINORI
A) Le Litanie maggiori
80. Le Litanie maggiori sono assegnate al giorno 25 aprile; se però in tale
giorno cade la domenica o il lunedì di Pasqua, si trasferiscono al martedì
seguente.
81. Le Litanie maggiori non riguardano l’Ufficio, ma soltanto la Messa. La
loro commemorazione non dev’essere considerata una commemorazione
«del Tempo»
82. Secondo le condizioni e le consuetudini delle chiese e dei luoghi, di cui
solo giudice è l’Ordinario, in questo giorno si fa una processione nella
quale si dicono le Litanie dei Santi (che però non vanno duplicate) con le
relative preghiere.
83. Ma se tale processione non può avere luogo, gli Ordinari istituiscano
delle suppliche particolari, nelle quali si dicano le Litanie dei Santi e le
altre preghiere che ordinariamente si fanno durante la processione.
84. Tutti coloro che sono obbligati alla recita dell’Ufficio divino e non
assistono alla processione o alle suppliche particolari di cui al numero
precedente, sono tenuti a dire in questo giorno le Litanie dei Santi con le
relative preghiere, in latino.
85. Se durante la processione o le altre suppliche particolari, secondo la
consuetudine del luogo, le Litanie dei Santi con le relative preghiere
vengono recitate in lingua volgare insieme ai fedeli, coloro che sono tenuti
alla recita dell’Ufficio divino e partecipano a queste suppliche non sono
tenuti a ripetere tali preghiere in latino.
86. La Messa delle Rogazioni si dice normalmente dopo la processione,
secondo quanto stabilito ai nn. 346-347. Tuttavia, è opportuno che la
Messa delle Rogazioni venga celebrata anche dopo le suppliche particolari
che sostituiscono la processione, anche se hanno luogo nelle ore
pomeridiane.
B) Le Litanie minori o Rogazioni
87. Le Litanie minori o Rogazioni, di per sé, sono assegnate al lunedì, al
martedì e al mercoledì prima della festa dell’Ascensione del Signore.
Agli Ordinari dei luoghi, tuttavia, si concede la facoltà di trasferirle ad
altri tre giorni consecutivi più adatti, secondo la situazione, la
consuetudine o la necessità delle diverse regioni.
88. Le Litanie minori non riguardano l’Ufficio, ma soltanto la Messa che è
legata alla processione o alle altre suppliche particolari.
89. Per quanto riguarda la processione o le altre suppliche particolari e la
Messa o la commemorazione, si osservi quanto stabilito a proposito delle
Litanie maggiori (nn. 81-83 e 86).
90. In questi giorni, le Litanie dei Santi con le relative preghiere vengono
recitate solo durante la processione o le altre suppliche (cfr. n. 85).
Pertanto, coloro che sono obbligati alla recita dell’Ufficio divino e non
assistono alla processione né alle altre suppliche particolari, in questi
giorni non sono tenuti a dire le Litanie dei Santi con le relative preghiere.
CAPITOLO XI
LA PRECEDENZA DEI GIORNI LITURGICI
91. La precedenza dei giorni liturgici, abolito qualunque altro titolo o
regola, è regolata unicamente dalla seguente
TABELLA DEI GIORNI LITURGICI
DISPOSTI SECONDO L’ORDINE DI PRECEDENZA
Giorni liturgici di I classe
1. Festa della Natività del Signore, domenica di Resurrezione e domenica
di Pentecoste (I classe con ottava).
2. Triduo sacro.
3. Feste dell’Epifania e dell’Ascensione del Signore, della Ss. Trinità, del
Ss. Corpo di Cristo, del S. Cuore di Gesù e di Cristo Re.
4. Feste dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione della beata Vergine
Maria.
5. Vigilia e ottavo giorno della Natività del Signore.
6. Domeniche d’Avvento, di Quaresima, di Passione, e domenica in albis.
7. Ferie di I classe non menzionate sopra, e cioè: mercoledì delle ceneri;
lunedì, martedì e mercoledì della Settimana santa.
8. Commemorazione di tutti i Fedeli defunti, che però cede il posto alla
domenica occorrente.
9. Vigilia di Pentecoste.
10. Giorni durante l’ottava di Pasqua e Pentecoste.
11. Feste di I classe della Chiesa universale non menzionate sopra.
12. Feste proprie di I classe, e cioè:
1) Festa del Patrono principale regolarmente costituito: a) della
nazione, b) della regione o provincia, sia ecclesiastica che civile, c) della
diocesi.
2) Anniversario della Dedicazione della chiesa cattedrale.
3) Festa del Patrono principale regolarmente costituito del luogo, paese
o città.
4) Festa e anniversario della Dedicazione della chiesa propria, o
dell’oratorio pubblico o semi-pubblico che tiene il posto della chiesa.
5) Festa del Titolare della chiesa propria.
6) Festa del Titolare dell’Ordine o Congregazione.
7) Festa del Fondatore canonizzato dell’Ordine o Congregazione.
8) Festa del Patrono principale regolarmente costituito dell’Ordine o
Congregazione, e della provincia religiosa.
13. Feste concesse di I classe, prima quelle mobili, poi quelle fisse.
Giorni liturgici di II classe
14. Feste del Signore di II classe, prima quelle mobili, poi quelle fisse.
15. Domeniche di II classe.
16. Feste di II classe della Chiesa universale che non sono del Signore.
17. Giorni durante l’ottava della Natività del Signore.
18. Ferie di II classe, e cioè: ferie d’Avvento dal 17 al 23 dicembre
compreso, e ferie delle Quattro Tempora d’Avvento, di Quaresima e di
settembre.
19. Feste proprie di II classe, e cioè:
1) Festa del Patrono secondario regolarmente costituito: a) della
nazione, b) della regione o provincia, sia ecclesiastica che civile, c) della
diocesi, d) del luogo, paese o città.
2) Feste di Santi o Beati di cui al n. 43 d.
3) Feste di Santi propri di una chiesa (n. 45 c).
4) Festa del Fondatore beatificato dell’Ordine o Congregazione (n. 46
b).
5) Festa del Patrono secondario regolarmente costituito dell’Ordine o
Congregazione, e della provincia religiosa (n. 46 d).
6) Feste di Santi o Beati di cui al n. 46 e.
20. Feste concesse di II classe, prima quelle mobili, poi quelle fisse.
21. Vigilie di II classe.
Giorni liturgici di III classe
22. Ferie di Quaresima e di Passione, dal giovedì dopo le ceneri fino al
sabato che precede la II domenica di Passione compreso, eccetto le ferie
delle Quattro Tempora.
23. Feste di III classe iscritte nei calendari particolari, prima le feste
proprie, e cioè:
1) Feste di Santi o Beati di cui al n. 43 d.
2) Feste di Beati propri di una chiesa (n. 45 d).
3) Feste di Santi o Beati di cui al n. 46 e; e poi le feste concesse, prima
quelle mobili, poi quelle fisse.
24. Feste di III classe iscritte nel calendario della Chiesa universale,
prima quelle mobili, poi quelle fisse.
25. Ferie d’Avvento fino al 16 dicembre compreso, eccetto le ferie delle
Quattro Tempora.
26. Vigilia di III classe.
Giorni liturgici di IV classe
27. Ufficio di santa Maria in sabato.
28. Ferie di IV classe.
CAPITOLO XII
L’OCCORRENZA DEI GIORNI LITURGICI
92. Si dice “occorrenza” l’incontro di due o più Uffici nello stesso giorno.
L’occorrenza si dice accidentale quando un giorno mobile e un giorno fisso
coincidono solo in certi anni; e perpetua quando due giorni liturgici
coincidono ogni anno.
93. Per effetto dell’occorrenza, l’Ufficio del giorno liturgico di grado
inferiore cede il posto all’Ufficio di grado superiore, il che può avvenire per
omissione, commemorazione, traslazione o riposizione dell’Ufficio meno
nobile, secondo quanto indicato nei numeri successivi.
94. Una commemorazione assegnata ad un giorno fisso non può essere
trasferita o riposta insieme alla festa da trasferire o riporre, ma si fa nel
suo giorno proprio oppure si omette, secondo le rubriche.
CAPITOLO XIII
OCCORRENZA ACCIDENTALE E TRASLAZIONE
DEI GIORNI LITURGICI
95. Il diritto di traslazione ad un altro giorno, a causa dell’occorrenza
accidentale con un giorno liturgico che nella tabella della precedenza è di
rango superiore, spetta solo alle feste di I classe. Le altre feste,
accidentalmente impedite da un Ufficio di grado superiore, si
commemorano oppure per quell’anno si omettono del tutto, secondo le
rubriche.
Ma se due feste della medesima Persona divina o dello stesso Santo o
Beato cadono nello stesso giorno, si celebra la festa che nella tabella della
precedenza è di rango superiore, e l’altra si omette.
96. Una festa di I classe, impedita da un giorno che nella tabella della
precedenza è di rango superiore, si trasferisce al primo giorno seguente
che non sia di I o II classe.
Tuttavia:
a) la festa dell’Annunciazione della beata Vergine Maria, quando va
trasferita dopo Pasqua, si trasferisce, come suo giorno proprio, al
lunedì dopo la domenica in albis;
b) la Commemorazione di tutti i Fedeli defunti, quando cade in
domenica, si trasferisce, come suo giorno proprio, al lunedì seguente.
97. Se nello stesso giorno cadono più feste di I classe, quel giorno si celebri
la festa che nella tabella della precedenza è di rango superiore, e le altre
si trasferiscano secondo l’ordine con cui sono iscritte nella suddetta
tabella.
98. Allo stesso modo, se si devono trasferire contemporaneamente più feste
di I classe, si osservi l’ordine con cui sono iscritte nella tabella della
precedenza; in caso di parità, ha la precedenza l’Ufficio impedito per
primo.
99. Le feste traslate hanno lo stesso grado della loro originaria
collocazione.
CAPITOLO XIV
OCCORRENZA PERPETUA E RIPOSIZIONE DEI
GIORNI LITURGICI
100. Il diritto di riposizione ad un altro giorno, a causa dell’occorrenza
perpetua con un giorno liturgico che nella tabella della precedenza è di
rango superiore, spetta a tutte le feste di I e II classe, come pure alle feste
particolari di III classe che non cadano in Avvento o in Quaresima,
quando sono impedite in tutta la diocesi, in tutto l’Ordine o Congregazione
o nella propria chiesa.
Invece, le feste di III classe della Chiesa universale perpetuamente
impedite in un calendario particolare, come pure le feste di III classe della
diocesi, o dell’Ordine o Congregazione, perpetuamente impedite solo in
alcune chiese, si commemorano oppure si omettono del tutto, secondo le
rubriche.
101. Le feste da riporre, se sono di I o II classe, sono assegnate al primo
giorno seguente che non sia di I o II classe; se sono di III classe, sono
assegnate al primo giorno seguente che sia libero da Uffici di grado pari o
superiore.
102. Il giorno in cui si ripongono le feste perpetuamente impedite è
considerato come giorno proprio, e la festa riposta ha lo stesso grado della
sua originaria collocazione.
CAPITOLO XV
LA CONCORRENZA DEI GIORNI LITURGICI
103. Si dice “concorrenza” l’incontro dei Vespri del giorno liturgico in corso
coi primi Vespri del giorno liturgico seguente.
104. In caso di concorrenza, hanno la precedenza i Vespri del giorno
liturgico di grado superiore, e gli altri si commemorano, secondo le
rubriche.
105. Tuttavia, quando i giorni liturgici i cui Vespri sono in concorrenza
sono della stessa classe, si dicono integralmente i Vespri dell’Ufficio in
corso e si fa commemorazione dell’Ufficio seguente, secondo le rubriche.
CAPITOLO XVI
LE COMMEMORAZIONI
106. Quanto si stabilisce qui a proposito delle commemorazioni vale sia
per la Messa che per l’Ufficio, tanto in caso di occorrenza che di
concorrenza.
107. Le commemorazioni sono privilegiate od ordinarie.
108. Le commemorazioni privilegiate si fanno alle Lodi e ai Vespri, e a
tutte le Messe; le commemorazioni ordinarie si fanno solo alle Lodi, alle
Messe conventuali e a tutte le Messe lette.
109. Sono commemorazioni privilegiate quelle:
a) della domenica;
b) di un giorno liturgico di I classe;
c) dei giorni durante l’ottava di Natale;
d) delle ferie delle Quattro Tempora di settembre;
e) delle ferie d’Avvento, di Quaresima e di Passione;
f) delle Litanie maggiori, alla Messa.
Tutte le altre commemorazioni sono commemorazioni ordinarie.
110. Nell’Ufficio e nella Messa di S. Pietro si fa sempre commemorazione
di S. Paolo, e viceversa. Tale commemorazione si dice inseparabile; e le
due orazioni devono ritenersi fuse in una sola, così che, nel computare il
numero di orazioni, le si considerino come una sola.
Pertanto:
a) nell’Ufficio di S. Pietro o di S. Paolo, alle Lodi e ai Vespri, si
aggiunge all’orazione del giorno l’orazione dell’altro Apostolo con una
sola conclusione, senza antifona né versetto;
b) nella Messa di S. Pietro o di S. Paolo, si aggiunge all’orazione del
giorno l’orazione dell’altro Apostolo con una sola conclusione;
c) quando l’orazione di uno di questi Apostoli deve aggiungersi a modo
di commemorazione, a questa orazione si aggiunge immediatamente
quella dell’altro Apostolo, prima di ogni ulteriore commemorazione.
111. Le norme per ammettere le commemorazioni sono le seguenti:
a) nei giorni liturgici di I classe e nelle Messe in canto non conventuali,
è ammessa una sola commemorazione privilegiata;
b) nelle domeniche di II classe è ammessa una sola commemorazione,
cioè quella di una festa di II classe, che però si omette se si deve fare
una commemorazione privilegiata;
c) negli altri giorni liturgici di II classe è ammessa una sola
commemorazione, o una privilegiata o una ordinaria;
d) nei giorni liturgici di III e IV classe sono ammesse due sole
commemorazioni.
112. Per quanto riguarda le commemorazioni e le orazioni, si osservi
inoltre quanto segue:
a) l’Ufficio, la Messa o la commemorazione di una festa o mistero di una
Persona divina esclude la commemorazione o l’orazione di un’altra
festa o mistero della medesima Persona divina;
b) l’Ufficio, la Messa o la commemorazione della domenica esclude la
commemorazione o l’orazione di una festa o mistero del Signore, e
viceversa;
c) l’Ufficio, la Messa o la commemorazione del Proprio del Tempo
esclude un’altra commemorazione del Proprio del Tempo;
d) l’Ufficio, la Messa o la commemorazione della beata Vergine Maria,
di un Santo o di un Beato esclude un’altra commemorazione od
orazione nella quale si invochi l’intercessione della stessa beata
Vergine Maria, dello stesso Santo o dello stesso Beato; questo però non
vale per l’orazione della domenica o della feria nella quale s’invochi lo
stesso Santo.
113. Si fa per prima la commemorazione del Proprio del Tempo. Per
ammettere e ordinare le altre commemorazioni, si osservi l’ordine della
tabella della precedenza.
114. Qualsiasi commemorazione che oltrepassi il numero stabilito per
ciascun giorno liturgico si omette.
CAPITOLO XVII
LA CONCLUSIONE DELLE ORAZIONI
115. La conclusione delle orazioni, sia alla Messa che all’Ufficio, è questa:
a) se l’orazione è rivolta al Padre, si conclude: Per Dóminum nostrum
Iesum Christum Fílium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitáte
Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula sæculórum. Amen;
b) se l’orazione è rivolta al Padre, ma all’inizio si menziona il Figlio, si
conclude: Per eúndem Dóminum nostrum, ecc. come sopra;
c) se l’orazione è rivolta al Padre, ma alla fine si menziona il Figlio, si
conclude: Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus,
per ómnia sǽcula seculórum. Amen;
d) se l’orazione è rivolta al Figlio, si conclude: Qui vivis et regnas cum
Deo Patre in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula
sæculórum. Amen;
e) se nell’orazione si menziona lo Spirito Santo, nella conclusione si
dice: ... in unitáte eiúsdem Spíritus Sancti, ecc.
116. Si mantengano le conclusioni particolari riportate a suo luogo nei
libri liturgici.
CAPITOLO XVIII
IL COLORE DEI PARAMENTI
A) Il colore dei paramenti in generale
117. I paramenti dell’altare, del celebrante e dei ministri devono essere
del colore richiesto dall’Ufficio e dalla Messa del giorno o da un’altra
Messa che si celebra fuori dall’ordine dell’Ufficio, secondo la consuetudine
della Chiesa romana, che utilizza cinque colori: bianco, rosso, verde, viola
e nero.
Tuttavia, gli indulti e le legittime consuetudini circa l’uso di altri colori
restano in vigore.
Nei paesi di Missione dove, a causa di una comprovata e autentica
tradizione dei popoli indigeni, il significato che la Chiesa romana ha
attribuito a questo o a quel colore non si accorda col significato
tradizionalmente inteso da tali popoli, la Conferenza Episcopale della
regione ha facoltà di sostituire il colore inadatto con un altro più
adeguato; questo, però, non avvenga senza consultare la S. Congregazione
dei Riti.
118. Per quanto riguarda il colore dei paramenti alle Messe votive lette di
IV classe, ci si attenga alle prescrizioni di cui al n. 323.
B) Il colore bianco
119. Il colore bianco dev’essere usato all’Ufficio e alla Messa del Tempo:
a) dalla festa della Natività del Signore fino al termine del tempo
dell’Epifania;
b) dalla Messa della Vigilia pasquale fino alla Messa della vigilia di
Pentecoste esclusa.
120. Il colore bianco dev’essere usato all’Ufficio e alla Messa delle feste:
a) del Signore, eccettuate le feste dei misteri e degli strumenti della
Passione;
b) della beata Vergine Maria, anche alla benedizione e alla processione
delle candele il 2 febbraio;
c) dei Ss. Angeli;
d) di Tutti i Santi (1° novembre);
e) dei Santi non Martiri;
f) di S. Giovanni Apostolo ed Evangelista (27 dicembre); della Cattedra
di S. Pietro (22 febbraio); della Conversione di S. Paolo (25 gennaio);
della Natività di S. Giovanni Battista (24 giugno).
121. Il colore bianco è richiesto alle Messe votive:
a) che corrispondo alle feste di cui al numero precedente;
b) di N. S. Gesù Cristo sommo ed eterno Sacerdote;
c) dell’incoronazione del Sommo Pontefice e degli anniversari del
Sommo Pontefice e del Vescovo diocesano;
d) «per gli sposi».
122. Infine, il colore bianco dev’essere usato il giovedì santo alla Messa
crismale e alla Messa della Cena del Signore; parimenti dev’essere usato
dal diacono per il canto del preconio pasquale e dal celebrante per il
rinnovo delle promesse battesimali, nella Vigilia pasquale.
C) Il colore rosso
123. Il colore rosso dev’essere usato all’Ufficio e alla Messa del Tempo
dalla Messa della vigilia di Pentecoste fino a Nona del sabato seguente.
124. Il colore rosso dev’essere usato all’Ufficio e alla Messa delle feste:
a) dei misteri e degli strumenti della Passione del Signore;
b) dei Santi Apostoli ed Evangelisti nel loro giorno natalizio, eccetto che
nella festa di S. Giovanni (27 dicembre);
c) della Commemorazione di S. Paolo Apostolo (30 giugno);
d) della Commemorazione di tutti i Ss. Sommi Pontefici;
e) dei Santi Martiri, quando se ne celebra il martirio, l’invenzione o la
traslazione;
f) delle Sante Reliquie.
125. Il colore rosso è richiesto alle Messe votive:
a) della Passione del Signore;
b) dello Spirito Santo;
c) dei Misteri e dei Santi di cui al numero precedente;
d) per l’elezione del Sommo Pontefice.
126. Infine, il colore rosso dev’essere usato nella II domenica di Passione o
delle palme per la benedizione e la processione dei rami.
D) Il colore verde
127. Il colore verde dev’essere usato all’Ufficio e alla Messa del Tempo:
a) dal 14 gennaio al sabato prima della Settuagesima;
b) dal lunedì che segue la I domenica dopo Pentecoste al sabato prima
dell’Avvento.
Fanno eccezione le ferie delle Quattro Tempora di settembre e le vigilie di
II e III classe, fuori dal tempo pasquale.
E) Il colore viola
128. Il colore viola dev’essere usato all’Ufficio e alla Messa del Tempo:
a) dalla I domenica d’Avvento fino alla vigilia della Natività compresa;
b) dalla domenica di Settuagesima fino alla Vigilia pasquale, eccetto
che: alla benedizione e alla processione delle palme nella II domenica di
passione; il giovedì santo alla Messa crismale e alla Messa della Cena
del Signore; nell’Azione liturgica del venerdì santo fino alla Comunione
esclusa; al canto del preconio pasquale (per il diacono) e al rinnovo
delle promesse battesimali (per il celebrante) nella Vigilia pasquale;
c) nelle ferie delle Quattro Tempora di settembre;
d) nelle vigilie di II e III classe, fuori dal tempo pasquale.
129. Il colore viola è richiesto alle Messe votive:
a) per la propagazione della Fede;
b) per la difesa della Chiesa;
c) per l’unità della Chiesa;
d) in tempo di guerra;
e) per la pace;
f) per evitare la pestilenza;
g) per la remissione dei peccati;
h) per i pellegrini e i viaggiatori;
i) per i malati;
l) per domandare la grazia di ben morire;
m) per qualunque necessità.
130. Il colore viola dev’essere usato anche:
a) alla processione e alla Messa delle Litanie maggiori e minori;
b) alla benedizione delle ceneri;
c) alla Comunione nell’Azione liturgica del venerdì santo;
d) alle Messe della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti che si
celebrano durante l’esposizione del Ss. Sacramento per la preghiera
delle Quarantore.
131. I paramenti di colore rosa si possono utilizzare la III domenica
d’Avvento e la IV domenica di Quaresima, ma solo all’Ufficio e alla Messa
della domenica.
F) Il colore nero
132. Il colore nero dev’essere usato:
a) nell’Azione liturgica del venerdì santo, fino alla Comunione esclusa;
b) all’Ufficio e alla Messa dei defunti, eccettuato il caso di cui al n.130
d.
Capitolo XIX
IMPIEGO E NATURA DEI PARAMENTI
133. Alla Messa il sacerdote celebrante porta sempre la pianeta o casula.
134. Il Vescovo e gli altri godono dell’uso delle insegne pontificali, quando
celebrano solennemente, portano la pianeta sopra la dalmatica e la
tunicella. Il Vescovo porta la pianeta sopra la dalmatica e la tunicella
anche alla Messa letta:
a) per la consacrazione di un Vescovo;
b) per il conferimento dei sacri Ordini;
c) per la benedizione di un Abate;
d) per la benedizione di una Badessa;
e) per la benedizione e la consacrazione delle Vergini;
f) per la consacrazione di una chiesa o di un altare.
Tuttavia, i Vescovi e gli altri di cui sopra possono astenersi, per una
giusta causa, dal portare la dalmatica e la tunicella sotto la pianeta.
135. Il piviale si usa:
a) all’Ufficio delle Lodi e dei Vespri, quando si celebrano solennemente;
b) alle benedizioni che si fanno all’altare;
c) alle processioni;
d) all’assoluzione sul cadavere o sul tumulo;
e) alla Messa pontificale, da parte del prete assistente;
f) alle orazioni solenni, nell’Azione liturgica del venerdì santo;
g) nella Vigilia pasquale.
136. Quando il celebrante porta il piviale non usa mai il manipolo; e se
non può avere il piviale, alle benedizioni che si fanno all’altare, il
sacerdote sta in camice e stola, senza pianeta né manipolo.
137. Il diacono e il suddiacono indossano rispettivamente la dalmatica e la
tunicella quando servono il sacerdote:
a) alla Messa;
b) alle benedizioni all’altare;
c) alle processioni.
Tuttavia, quando il sacerdote sta senza piviale, anche i ministri stanno
senza dalmatica e tunicella. Le pianete piegate e lo stolone non si usano
più.
RUBRICÆ GENERALES
MISSALIS ROMANI
Missale Romanum, Typis Poliglottis Vaticanis 1962
NOZIONI E NORME GENERALI
CALENDARIO DA USARSI NELLA MESSA
LA MESSA CONVENTUALE
LA MESSA NELLE DOMENICHE E NELLE FERIE
LE MESSE FESTIVE
LE MESSE VOTIVE
A) Messe votive in generale
B) Messe votive di prima classe
C) Messe votive di seconda classe
D) Messe votive di terza classe
E) Messe votive di quarta classe
VII
LE MESSE DEI DEFUNTI
A) Le Messe dei defunti in generale
B) Le Messe dei defunti di prima classe
C) Le Messe dei defunti di seconda classe
D) Le Messe dei defunti di terza classe
E) Le Messe dei defunti di quarta classe o quotidiane
VIII LE DIVERSE PARTI DELLA MESSA
A) Il salmo, la confessione, l'incensazione
B) L'antifona d'Introito e il Kýrie
C) L'inno di Gloria
D) Le orazioni
E) Dalle letture al Vangelo
F) Il simbolo
G) L'antifona d'Offertorio e le orazioni secrete
H) Il prefazio
I) Dal canone della messa fino a dopo comunione
L) La conclusione della Messa
IX
COSA BISOGNA DIRE AD ALTA O SOTTOVOCE
X
PER INGINOCCHIARSI, SEDERSI E STARE IN PIEDI
XI
LA PREPARAZIONE DELL'ALTARE PER LA MESSA
I
II
III
IV
V
VI
CAPITOLO I
NOZIONI E NORME GENERALI
269. Il santo Sacrificio della Messa, celebrato secondo i canoni e le
rubriche, è un atto di culto pubblico, reso a Dio in nome di Cristo e della
Chiesa. L’espressione «Messa privata» è dunque da evitarsi.
270. La Messa insieme all’Ufficio divino costituisce il vertice di tutto il
culto cristiano; perciò la Messa, di per sé, dev’essere conforme all’Ufficio
del giorno.
Esistono tuttavia alcune Messe fuori dall’ordine dell’Ufficio, cioè le Messe
votive e quelle dei defunti.
271. Vi sono due tipi di Messe: la Messa in canto e la Messa letta.
La Messa si dice in canto se il sacerdote effettivamente canta quelle parti
che le rubriche prescrivono di cantare; altrimenti si dice letta.
La Messa in canto, poi, se è celebrata con l’assistenza dei sacri ministri, si
dice Messa solenne; se è celebrata senza sacri ministri, si dice Messa
cantata.
Infine, la Messa solenne che viene celebrata dal Vescovo o da altri che
hanno questa facoltà con le solennità prescritte dai libri liturgici, si dice
Messa pontificale.
272. La Messa, per sua natura, richiede che tutti i presenti vi partecipino,
ciascuno nel modo suo proprio.
Le diverse modalità con cui i fedeli possono partecipare attivamente al
santo Sacrificio devono essere opportunamente regolate, in modo da
evitare il pericolo di qualsiasi abuso e ottenere il fine principale di tale
partecipazione: maggior pienezza del culto di Dio ed edificazione dei
fedeli.
Di questa partecipazione attiva dei fedeli si è ampiamente trattato
nell’Istruzione sulla Musica sacra e la sacra Liturgia, promulgata dalla S.
Congregazione dei Riti il 3 settembre 1958.
273. Le seguenti rubriche valgono sia per le Messe in canto che per le
Messe lette, salvo diversa specificazione.
CAPITOLO II
IL CALENDARIO DA USARSI NELLA
CELEBRAZIONE DELLA MESSA
274. La Messa dev’essere detta secondo il calendario o della chiesa od
oratorio in cui viene celebrata, o del luogo, o dello stesso sacerdote
celebrante, o della Chiesa universale, come qui di seguito spiegato.
275. In una chiesa od oratorio pubblico, ogni sacerdote, sia diocesano che
religioso, è tenuto a celebrare secondo il calendario di tale chiesa od
oratorio pubblico.
Questa norma va osservata anche nell’oratorio semipubblico principale di
un seminario, casa religiosa, collegio, ospedale, carcere e simili.
276. Negli oratori secondari di un seminario, casa religiosa, collegio,
ospedale, carcere e simili, ogni sacerdote può seguire o il calendario di tale
oratorio o il proprio calendario.
277. Negli oratori privati e quando celebra su un altare portatile fuori da
un luogo sacro, ogni sacerdote può seguire o il calendario del luogo (n. 53
a) o il proprio calendario.
278. Ogni sacerdote, anche se ha facoltà di seguire il proprio calendario,
deve celebrare la Messa delle feste del Patrono principale della nazione,
regione o provincia, sia ecclesiastica che civile, della diocesi, paese o città,
come pure l’anniversario della Dedicazione della chiesa cattedrale e le
eventuali altre feste attualmente di precetto.
279. L’oratorio stabilito in modo permanente sulle navi è un oratorio
pubblico, e vi si deve impiegare il calendario della Chiesa universale. Ma
quando un sacerdote celebra fuori da tale oratorio, su un altare portatile,
può impiegare o il calendario della Chiesa universale o il proprio
calendario. Può fare altrettanto chi celebra legittimamente durante un
viaggio aereo, fluviale o ferroviario.
280. Nei seminari e nei collegi di chierici diocesani affidati a Religiosi,
come pure nei seminari e collegi di chierici interdiocesani, regionali,
nazionali ed internazionali affidati a Religiosi, si deve usare lo stesso
calendario prescritto per la recita dell’Ufficio divino (nn. 154-155).
[154. Nei seminari e nei collegi di chierici diocesani affidati a
Religiosi, per la recita dell’Ufficio divino in comune, sia i chierici
sia i religiosi che recitano l’Ufficio con i chierici, devono seguire il
calendario del luogo (n. 53 a), aggiungendovi le feste della chiesa
del seminario o del collegio (n. 45), con la facoltà di aggiungere
anche la festa del Titolare e del santo Fondatore dei Religiosi ai
quali è affidato il seminario.
155. Nei seminari e nei collegi di chierici interdiocesani, regionali,
nazionali ed internazionali di chierici, per la recita dell’Ufficio
divino in comune si deve seguire il calendario della Chiesa
universale, aggiungendovi le feste del Patrono principale della
nazione, regione o provincia, sia ecclesiastica che civile, diocesi,
paese o città, l’anniversario della Dedicazione della chiesa
cattedrale della diocesi e le eventuali altre feste attualmente di
precetto, come pure le feste della chiesa del seminario o collegio (n.
45).
Se tale seminario è affidato a Religiosi, anch’essi devono osservare
il calendario della Chiesa universale quando recitano l’Ufficio
divino in comune con i chierici, con la facoltà di aggiungervi la
festa del Titolare dell’Ordine o Congregazione e del santo
Fondatore dei Religiosi ai quali è affidato il seminario.]
281. Nei collegi e nelle case interprovinciali, nazionali e internazionali di
Religiosi, si deve usare il calendario proprio di tutto l’Ordine o
Congregazione (n. 55), aggiungendovi solo le feste di cui al n. 57.
282. Il calendario diocesano, con l’aggiunta delle feste proprie del luogo e
della chiesa od oratorio, dev’essere utilizzato:
a) nelle chiese cattedrali, anche se affidate a Religiosi;
b) nelle chiese e oratori del clero diocesano, anche se hanno annesso un
coro di Religiosi che comunica con la chiesa solo per mezzo di grate;
c) nelle chiese e oratori dei Religiosi di entrambi i sessi che non hanno
un calendario proprio, aggiungendo in questo caso le loro feste proprie e
concesse;
d) nelle chiese e oratori dei Religiosi che sono affidate al clero diocesano
o hanno annesso un coro di Canonici; non però se la chiesa o l’oratorio
fosse affidato a un sacerdote in particolare;
e) nella chiesa e oratorio principale di un seminario, anche se affidato a
Religiosi, con la facoltà di aggiungere le feste di cui al n. 154.
283. Il calendario religioso, con l’aggiunta delle feste di cui al n. 57 e delle
feste proprie della chiesa od oratorio, dev’essere utilizzato:
a) nelle chiese e oratori principali dei Religiosi che hanno un calendario
proprio, anche se sono parrocchiali;
b) nelle chiese e oratori del clero diocesano che sono affidati a Religiosi
o nei quali i Religiosi recitano l’Ufficio divino, anche se sono
parrocchiali; non però se la chiesa o l’oratorio fosse affidato a un
Religioso in particolare;
c) nelle chiese e oratori dei Terziari di entrambi i sessi, anche se
recitano soltanto il piccolo Ufficio della B. Vergine Maria;
d) negli oratori secondari di un seminario affidato a Religiosi, se tali
oratori servono solo per i Religiosi.
284. Il sacerdote che celebra in una chiesa od oratorio in cui vige un rito
diverso dal proprio, deve attenersi al calendario di tale chiesa od oratorio
per quel che riguarda le feste e il loro grado, le commemorazioni e la
colletta imperata. Nell’ordinare la Messa deve prendere le parti variabili
proprie dell’altro rito, mantenendo le cerimonie e l’Ordinario del proprio
rito.
CAPITOLO III
LA MESSA CONVENTUALE
285. Per “Messa conventuale” s’intende la Messa conforme all’Ufficio
divino che dev’essere celebrata quotidianamente da coloro che, per le leggi
ecclesiastiche, hanno l’obbligo del coro.
286. Ogni giorno si dice una sola Messa conventuale, che deve
corrispondere all’Ufficio recitato in coro, salvo i giorni di cui ai nn. 289294.
Resta in vigore, tuttavia, l’obbligo derivante da pie fondazioni o altra
legittima causa, di celebrare in coro altre Messe.
287. La Messa conventuale dev’essere celebrata dopo Terza, a meno che il
superiore della comunità, per una grave causa, non decida di trasferirla
dopo Sesta o Nona.
Nella vigilia di Pentecoste, la Messa conventuale si dice dopo Nona.
288. La Messa conventuale di per sé dev’essere solenne o almeno cantata.
Dove però per leggi particolari o speciali indulti si è dispensati dalla
solennità della Messa in coro, è opportuno che i corali prestino una
partecipazione liturgica diretta alla Messa conventuale letta, recitando
almeno le parti dell’Ordinario della Messa. Inoltre agli stessi corali è
proibito continuare coralmente le Ore canoniche durante la Messa
conventuale.
289. In tutte le ferie di IV classe, se non è prescritto altrimenti, al posto
della Messa conventuale conforme all’Ufficio del giorno, si può dire, senza
commemorazione della feria:
a) o la Messa corrispondente ad una commemorazione eventualmente
occorrente nell’Ufficio del giorno;
b) o la Messa del Mistero, Santo o Beato il cui elogio si trova quel
giorno nel Martirologio o nella sua Appendice approvata per le
rispettive Chiese;
c) o una delle Messe votive che nel Messale sono disposte secondo i
giorni della settimana per la Messa conventuale;
d) o qualunque altra Messa che può essere celebrata come votiva.
290. La Messa conventuale per i defunti sacerdoti, benefattori ed altri,
fuori dal tempo natalizio e pasquale:
a) dev’essere detta ogni mese, eccettuato il mese di novembre, nella prima
feria di IV classe;
b) può essere detta, ogni settimana, nella prima feria di IV classe.
Si prende la Messa «quotidiana» con l’orazione Deus, véniæ largítor.
291. Nei giorni delle Litanie maggiori e minori, dove ha luogo la
processione o altre suppliche particolari, come Messa conventuale si deve
dire la Messa delle Rogazioni (nn. 346-347).
292. Nel giorno dell’incoronazione del Sommo Pontefice e negli
anniversari dello stesso Sommo Pontefice e del Vescovo diocesano, nelle
chiese cattedrali e collegiate come Messa conventuale si deve dire la
Messa di tali anniversari, secondo i nn. 362-363.
293. Nell’anniversario dell’ultimo Vescovo defunto, come pure
nell’anniversario che si celebra nell’ottavario dei defunti per le anime di
tutti i Vescovi e Canonici defunti della chiesa cattedrale, nella stessa
chiesa cattedrale come Messa conventuale si deve dire la Messa di tali
anniversari.
294. Negli anniversari di tutti i defunti di qualche Capitolo o Ordine o
Congregazione obbligata al coro, come Messa conventuale si deve dire la
Messa di tali anniversari.
295. Nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti, come
Messa conventuale si dice la prima di quel giorno; e i corali sono tenuti a
partecipare solo ad essa.
296. Nella festa della Natività del Signore, in coro si dicono due Messe
conventuali: quella della notte e quella del giorno.
297. Quando il Vescovo celebra solennemente la Messa o vi assiste, oppure
quando in coro si canta una Messa non conforme all’Ufficio, in occasione di
qualche solennità esterna, i corali sono tenuti a partecipare soltanto a tale
Messa, quantunque non applicata per i benefattori, fermo restando
l’obbligo di applicare per essi un’altra Messa da parte di colui al quale
spetta.
CAPITOLO IV
LA MESSA NELLE DOMENICHE E NELLE FERIE
298. Tutte le domeniche, sia di I che di II classe, hanno una Messa
propria. Tuttavia, le domeniche dopo l’Epifania che vengono trasferite tra
la XXIII e la XXIV domenica dopo Pentecoste prendono le antifone
d’Introito, Offertorio e Comunione, nonché il graduale e l’Allelúia col suo
versetto, dalla XXIII domenica dopo Pentecoste, mantenendo orazioni,
Epistola e Vangelo propri.
299. Hanno una Messa propria tutte le ferie del tempo di Quaresima e
Passione, come pure le ferie delle Quattro Tempora d’Avvento e di
settembre. Nelle altre ferie si dice la Messa della domenica precedente, a
meno che le rubriche non dispongano altrimenti.
300. Nei sabati delle Quattro Tempora e nel sabato «Sitiéntes», la Messa
nella quale si conferiscono gli Ordini sacri dev’essere del sabato, anche se
coincidesse con una festa di I o II classe.
CAPITOLO V
LE MESSE FESTIVE
301. Per Messa festiva in senso stretto s’intende la Messa del Mistero,
Santo o Beato celebrata secondo l’ordine dell’Ufficio.
302. In senso lato si dicono Messe festive anche:
a) la Messa di una festa di III classe impedita da un’altra festa del
medesimo grado;
b) la Messa di una commemorazione occorrente nell’Ufficio del giorno;
c) la Messa del Mistero, Santo o Beato il cui elogio si trova quel giorno
nel Martirologio o nella sua Appendice approvata per le rispettive
Chiese.
303. Le Messe festive di cui al numero precedente godono di tutti i diritti
liturgici che avrebbero se la festa fosse celebrata con Ufficio completo.
Tuttavia:
a) la Messa di una festa di III classe impedita si può dire nel suo giorno
solo se la festa che la impedisce è pure di III classe;
b) la Messa di una commemorazione occorrente nell’Ufficio del giorno, e
la Messa del Mistero, Santo o Beato il cui elogio si trova quel giorno nel
Martirologio o nella sua Appendice approvata per le rispettive Chiese,
si può dire solo se coincide con un giorno liturgico di IV classe.
304. Le Messe festive in senso lato sono proibite nelle chiese che hanno
una sola Messa:
a) quando urge l’obbligo della Messa conventuale che non possa essere
soddisfatto da un altro sacerdote, a meno che la Messa, secondo il n.
289, non possa essere detta come conventuale;
b) quando nei giorni delle Litanie si deve dire, secondo le rubriche, la
Messa delle Rogazioni.
305. Per scegliere il formulario della Messa festiva non conventuale, si
osservi quanto segue:
a) per le feste che si trovano nel Proprio del Santi, si prende la Messa
assegnata dal Messale al suo giorno. Tuttavia, al posto della Messa del
Comune si può prendere, a scelta del sacerdote celebrante, la Messa
propria della medesima festa che si trovasse tra le Messe per alcuni
luoghi;
b) per le feste che non si trovano nel Proprio dei Santi, si prende la
Messa del Comune. Quando nel medesimo Comune vi sono diversi
formulari, la scelta spetta al sacerdote celebrante. Nei singoli Comuni,
inoltre, le Epistole e i Vangeli che si trovano nelle Messe stesse o al
termine di tutto il Comune, possono essere impiegati in qualunque
Messa del medesimo Comune.
CAPITOLO VI
LE MESSE VOTIVE
A) Le Messe votive in generale
306. Per “Messa votiva” s’intende la Messa che si dice al di fuori
dell’ordine dell’Ufficio o della commemorazione del giorno corrente, o che
non è del Mistero o del Santo il cui elogio si trova quel giorno nel
Martirologio.
307. La Messa votiva può essere:
a) dei misteri del Signore;
b) della beata Vergine Maria;
c) degli Angeli;
d) dei Santi;
e) per diverse intenzioni.
308. Come Messe votive dei misteri del Signore si possono celebrare:
a) nella Chiesa universale, quelle:
1. della Ss. Trinità;
2. del Ss. Nome di Gesù;
3. del Ss. Cuore di Gesù;
4. del preziosissimo Sangue di N. S. G. C.;
5. di Cristo Re;
6. del Ss. Sacramento dell’Eucaristia;
7. di N. S. Gesù Cristo sommo ed eterno Sacerdote;
8. della santa Croce;
9. della Passione del Signore;
10. della santa Famiglia di Gesù, Maria, Giuseppe;
11. dello Spirito Santo.
b) nelle singole chiese, oltre alle Messe sopra menzionate, tutte le
Messe delle feste del Signore che sono iscritte nei calendari particolari,
e le altre Messe votive specialmente concesse.
Tuttavia, non si possono celebrare come votive le Messe che si riferiscono
ai misteri della vita del Signore.
309. Come Messe votive della Beata Vergine Maria si possono celebrare:
a) nella Chiesa universale, le Messe di santa Maria in sabato assegnate
nel Messale secondo i diversi tempi dell’anno, nonché tutte le Messe
delle feste della B. Vergine Maria che sono iscritte nel calendario
universale;
b) nelle singole chiese, oltre alle Messe sopra menzionate, tutte le
Messe delle feste della B. Vergine Maria che sono iscritte nei calendari
particolari, e le altre Messe votive specialmente concesse.
Le parti che devono essere variate a seconda dei diversi tempi dell’anno
e mancano in queste Messe, si prendono dal Comune delle feste della B.
Vergine Maria.
Tuttavia, non si possono celebrare come votive le Messe che si riferiscono
ai misteri della vita della B. Vergine Maria, eccetto la Messa della sua
Immacolata Concezione.
310. Come Messe votive degli Angeli si possono celebrare:
a) le Messe delle singole feste degli Angeli;
b) la Messa votiva degli Angeli assegnata al martedì.
311. Come Messe votive dei Santi si possono celebrare le Messe di
qualunque Santo canonizzato il cui elogio si trova nel Martirologio romano
o nella sua Appendice approvata per le rispettive Chiese.
312. Le Messe votive dei Beati sono permesse, per Indulto Apostolico,
unicamente durante il triduo che si celebra in loro onore nell’anno che
segue la beatificazione.
313. Le Messe votive «per diverse intenzioni» si trovano nel Messale o nella
sua Appendice approvata per qualche chiesa, e devono essere celebrate in
particolari circostanze o necessità.
314. Come Messa votiva dei misteri del Signore si prende la Messa della
rispettiva festa, a meno che non sia espressamente indicato di utilizzarne
un’altra; oppure si prende l’apposita Messa votiva.
315. Come Messa votiva della B. Vergine Maria, degli Angeli e dei Santi si
prende la Messa della rispettiva festa, se si trova nel Messale, sia nel
Proprio dei Santi che tra le Messe per alcuni luoghi, a meno che nel
Messale non vi sia un’altra Messa espressamente indicata come votiva.
Se la festa non si trova nel Messale, la Messa si prende dal Comune.
Quando nel medesimo Comune vi sono diversi formulari, la scelta spetta
al sacerdote celebrante. Nei singoli Comuni, inoltre, le Epistole e i Vangeli
che si trovano nelle Messe stesse o al termine di tutto il Comune, possono
essere impiegati in qualunque Messa del medesimo Comune.
Si osservino le rubriche per cambiare quelle parti o parole che variano a
seconda dei tempi dell’anno e del carattere puramente votivo di queste
Messe.
316. Per una particolare necessità si prende la Messa votiva propria, se si
trova nel Messale; se manca, si prende la Messa «per qualunque
necessità», utilizzando, al posto delle orazioni di tale Messa, le orazioni
adeguate alla necessità occorrente, se presenti tra le «Orazioni diverse».
317. Qualunque Messa votiva dei misteri del Signore, della B. Vergine
Maria o di un Santo, è proibita quando occorre un giorno liturgico di I o II
classe in cui si celebra l’Ufficio della stessa Persona. In questo caso, al
posto della Messa votiva, si deve dire la Messa dell’Ufficio occorrente. Se
invece occorre un giorno liturgico di III o IV classe, si può scegliere tra la
Messa dell’Ufficio del giorno e la Messa votiva, senza la commemorazione
dell’altra.
318. L’orazione della Messa votiva impedita si aggiunge, con una sola
conclusione, all’orazione della Messa del giorno solo nel caso in cui la
Messa votiva sia di I o II classe e non occorra un giorno di cui ai nn. 1, 2, 3
e 8 nella tabella della precedenza.
Della Messa votiva di III classe impedita non
commemorazione nella Messa dell’Ufficio occorrente.
si
fa
alcuna
319. Per ammettere e ordinare le orazioni nelle Messe votive, si osservi
quanto stabilito per le singole classi di Messe votive (nn. 330 b, 343 b, 386
b, 389 b).
320. Per quanto riguarda l’inno angelico e il simbolo alle Messe votive, si
osservi quanto stabilito per le singole classi di Messe votive, e ai nn. 431432 e 475-476.
321. Nelle Messe votive si omette l’eventuale sequenza.
322. Si dice il prefazio proprio di ciascuna Messa votiva; in mancanza, si
dice il prefazio del Tempo o il prefazio comune, secondo le norme generali.
323. Il colore dei paramenti alle Messe votive dev’essere quello proprio di
ciascuna Messa; ma alle Messe votive lette di IV classe non conventuali, si
può utilizzare anche il colore dell’Ufficio del giorno, mantenendo tuttavia
il colore viola e nero per le Messe che di per sé lo richiedono.
324. A meno che in rubriche particolari non si stabilisca diversamente, la
Messa votiva può essere in canto o letta.
325. Le Messe votive sono di I, II, III o IV classe; delle singole classi si
tratta nei numeri seguenti.
326. Qualunque Messa votiva è proibita nelle chiese che hanno una sola
Messa:
a) quando urge l’obbligo della Messa conventuale che non possa essere
soddisfatto da un altro sacerdote, eccettuate le Messe votive che in
alcuni giorni possono (n. 289) o devono (nn. 290-294) essere dette come
Messe conventuali;
b) il 2 febbraio, se si fa la benedizione delle candele;
c) nei giorni delle Litanie maggiori e minori, se si dice la Messa delle
Rogazioni (n. 346).
327. Quando, nelle rubriche o in un indulto particolare, una Messa votiva
è indicata come votiva di una certa classe, va ordinata secondo le norme e
i privilegi stabiliti per tale classe di Messe votive.
B) Le Messe votive di I classe
I - Le Messe votive di I classe in generale
328. Per “Messa votiva di I classe” s’intende la Messa votiva che si può
celebrare in tutti i giorni liturgici, esclusi quelli di cui ai nn. 1-8 nella
tabella della precedenza, e salvo quanto è stabilito al n. 332.
329. Le Messe votive di I classe previste dalle rubriche generali sono:
a) le Messe della Dedicazione nell’atto di consacrazione di una chiesa
(nn. 331-334);
b) le Messe in canto del Ss. Sacramento dell’Eucaristia nelle solenni
celebrazioni di un Congresso eucaristico (n. 335);
c) le Messe in canto dei misteri del Signore, della B. Vergine Maria, di
un Santo o Beato, in occasione di una celebrazione straordinaria (n. 340
a).
330. I privilegi delle Messe votive di I classe sono i seguenti:
a) si dicono con Glória e Credo;
b) escludono tutte le commemorazioni non privilegiate e la colletta
imperata dall’Ordinario del luogo;
c) l’orazione della Messa votiva impedita si aggiunge, con una sola
conclusione, all’orazione della Messa del giorno, purché non occorra un
giorno di cui ai nn. 1, 2, 3 e 8 nella tabella della precedenza;
d) se sono celebrate in canto, si usa il tono solenne.
II - La Messa della Dedicazione nell’atto di consacrazione di una chiesa
331. La consacrazione delle chiese può essere compiuta, per diritto, in
qualsiasi giorno, ma è preferibile compierla nelle domeniche e nei giorni
festivi. Essa, tuttavia, è proibita nella vigilia e nella festa della Natività
del Signore, nelle feste dell’Epifania, dell’Ascensione e del Corpo di Cristo,
nei giorni che vanno dalla II domenica di Passione o delle palme fino alla
domenica di Resurrezione comprese, nella domenica di Pentecoste e nel
giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti.
332. La Messa della dedicazione nell’atto di consacrazione di una chiesa
od oratorio è parte integrante di tutto il rito della consacrazione; pertanto
la si deve celebrare ogni volta che una chiesa o un oratorio viene
consacrato, anche nei giorni in cui le altre Messe votive di I classe sono
proibite.
333. Nella Messa della Dedicazione nell’atto di consacrazione di una
chiesa si aggiunge, con una sola conclusione, l’orazione del Mistero o del
Santo in onore del quale la chiesa od oratorio viene consacrato, e non è
ammessa nessuna ulteriore commemorazione, neppure privilegiata.
334. Le altre Messe che si celebrano nella chiesa od oratorio nel giorno
della consacrazione, dopo il compimento del rito, possono essere della
Dedicazione, come votive di I classe.
III - Le Messe nei Congressi eucaristici
335. Nei singoli giorni di un Congresso eucaristico diocesano, regionale,
nazionale o internazionale, la Messa principale, purché sia in canto, può
essere del Ss. Sacramento dell’Eucaristia, come votiva di I classe.
336. Nelle altre pubbliche funzioni di tali Congressi, la Messa del Ss.
Sacramento dell’Eucaristia può essere celebrata come votiva di II classe.
337. I singoli sacerdoti che partecipano al Congresso eucaristico possono
celebrare la Messa del Ss. Sacramento dell’Eucaristia come votiva di III
classe.
IV - Le Messe votive in alcune celebrazioni straordinarie
338. I privilegi indicati in questo paragrafo spettano alle Messe:
a) del triduo o dell’ottavario che si celebra in onore di qualche Santo o
Beato nell’anno che segue la canonizzazione o beatificazione;
b) di alcune celebrazioni straordinarie, protratte per un triduo o per un
ottavario, in occasione, per esempio, di un centenario. Sono però escluse
le celebrazioni straordinarie in onore dei Beati.
339. Per compiere le celebrazioni di cui al numero precedente è necessario
uno speciale indulto della Santa Sede.
340. Nei singoli giorni di queste celebrazioni sono permesse:
a) una sola Messa in canto del mistero del Signore, della B. Maria
Vergine, del Santo o Beato in onore del quale si compiono le
celebrazioni, come votiva di I classe;
b) tutte le Messe lette, di cui al punto precedente, come votive di II
classe.
C) Le Messe votive di II classe
I - Le Messe votive di II classe in generale
341. Per “Messa votiva di II classe” s’intende la Messa votiva che si può
celebrare in tutti i giorni liturgici di II, III e IV classe.
Tuttavia, la Messa per gli Sposi e la Messa di ringraziamento nel 25° o
50° anniversario del matrimonio sono proibite in tutte le domeniche.
342. Le Messe votive di II classe previste dalle rubriche generali sono:
a) la Messa in occasione della benedizione solenne di una chiesa od
oratorio, e della consacrazione di un altare (n. 345);
b) la Messa delle Rogazioni nei giorni delle Litanie maggiori e minori
(nn. 346-347);
c) le Messe votive in occasione della preghiera delle Quarantore o di
un’altra esposizione del Ss. Sacramento (nn. 348-355);
d) le Messe della solennità esterna delle feste (nn. 356-361);
e) la Messa nel giorno dell’incoronazione del Sommo Pontefice e negli
anniversari del Papa e del Vescovo diocesano (nn. 362-365);
f) la Messa per una causa grave e pubblica (nn. 366-368);
g) la Messa «per la propagazione della Fede» (n. 369);
h) le Messe per alcune occasioni particolari (nn. 370-372);
i) le Messe votive nei santuari (nn. 373-377);
l) la Messa votiva per gli Sposi e la Messa di ringraziamento nel 25° o
50° anniversario del matrimonio (nn. 378-382).
343. I privilegi delle Messe votive di II classe sono i seguenti:
a) si dicono col Glória, salvo quando si usano paramenti di colore viola;
ma senza il Credo, a meno che non lo si debba dire in ragione della
domenica o dell’ottava occorrente;
b) ammettono una sola commemorazione ed escludono la colletta
imperata dall’Ordinario del luogo;
c) l’orazione della Messa votiva impedita si aggiunge, con una sola
conclusione, all’orazione della Messa del giorno, purché non occorra un
giorno di cui ai nn. 1, 2, 3 e 8 nella tabella della precedenza, e salvo
quanto è stabilito n. 380;
d) se sono celebrate in canto, si usa il tono solenne.
344. Le Messe votive di II classe sono regolate dalle norme generali
esposte al n. 343; le norme particolari relative a ciascuna Messa sono qui
di seguito indicate.
II - La Messa votiva in occasione della benedizione solenne di una chiesa
od oratorio,
e della consacrazione di un altare
345. In occasione della benedizione solenne di una chiesa od oratorio e
della consacrazione di un altare, terminato il rito, si dice, come votiva di II
classe, la Messa del Mistero o del Santo in onore del quale è stata
benedetta la chiesa o l’oratorio, oppure è stato consacrato l’altare.
III - La Messa delle Rogazioni nei giorni delle Litanie maggiori e minori
346. Nei giorni delle Litanie maggiori e minori (nn. 80-90), nelle chiese in
cui si fa la processione o, secondo le prescrizioni dell’Ordinario del luogo,
si celebrano suppliche particolari (n. 83), si dice, come votiva di II classe,
la Messa delle Rogazioni (cfr. n. 86).
347. La Messa delle Rogazioni, oppure la Messa del giorno che sostituisce
la Messa votiva impedita, va considerata come parte integrante di tutta
l’azione liturgica; e normalmente si celebra alla fine della processione o
delle altre suppliche particolari.
IV - Le Messe votive in occasione della preghiera delle Quarantore
o di un’altra esposizione del Ss. Sacramento
348. Prima di esporre e riporre il Ss. Sacramento per la preghiera delle
Quarantore, sia continua che interrotta, allo stesso altare dell’esposizione
si celebra in canto, come votiva di II classe, la Messa del Ss. Sacramento
dell’Eucaristia.
349. Nel giorno intermedio dell’esposizione, ad un altare in cui non è
esposto il Ss. Sacramento, si può celebrare in canto, come votiva di II
classe, o la Messa del Ss. Sacramento dell’Eucaristia o un’altra Messa
votiva adatta alle particolari necessità del luogo.
350. Nei giorni in cui le rubriche consentono le Messe votive di IV classe, è
conveniente che le Messe celebrate nella chiesa in cui si svolge la
preghiera delle Quarantore siano del Ss. Sacramento dell’Eucaristia.
351. Nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti:
a) l’esposizione del Ss. Sacramento deve seguire e la riposizione
precedere la Messa in canto o principale;
b) durante l’esposizione, le Messe dell’Ufficio del giorno si dicono coi
paramenti viola, e non all’altare dell’esposizione.
352. Il 2 febbraio, il mercoledì delle Ceneri e la II domenica di Passione o
delle palme, se si compie la benedizione rispettivamente delle candele,
delle ceneri o delle palme, il Ss. Sacramento esposto per l’adorazione delle
Quarantore, durante la benedizione, la processione o l’imposizione delle
ceneri, o si trasferisce ad un altro altare dove l’adorazione può essere
continuata senza detrimento della pietà dei fedeli, oppure si ripone e
l’adorazione si riprende al termine della benedizione, processione o
imposizione delle ceneri. È opportuno che queste norme siano osservate
anche nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti per la
Messa principale del giorno e per la seguente assoluzione al tumulo.
353. Prima di esporre il Ss. Sacramento per una pubblica adorazione che
duri un’intera giornata, si può dire, come votiva di II classe, la Messa del
Ss. Sacramento dell’Eucaristia.
354. Prima di esporre il Ss. Sacramento per una pubblica adorazione che
duri soltanto alcune ore, si dice la Messa del giorno, senza
commemorazione del Ss. Sacramento.
Tuttavia, nei giorni in cui sono consentite le Messe votive di IV classe, è
più opportuno dire la Messa del Ss. Sacramento dell’Eucaristia.
355. Nelle Messe che, durante l’adorazione, si celebrano per indulto
all’altare dell’esposizione, si aggiunge, con una sola conclusione, l’orazione
del Ss. Sacramento dell’Eucaristia, purché non occorra una domenica o
l’Ufficio o la Messa o una commemorazione di N. S. Gesù Cristo.
V - Le Messe votive della solennità esterna delle feste
356. Per “solennità esterna di una festa” s’intende la celebrazione della
stessa festa senza Ufficio, per il bene dei fedeli, o nel giorno in cui la festa
è impedita, o in domenica, quando tale festa cade durante la settimana, o
in un altro giorno stabilito.
357. La solennità esterna spetta per diritto ad alcune feste, ad altre viene
concessa per indulto.
358. La solennità esterna spetta per diritto soltanto:
a) alla festa del Ss. Cuore di Gesù;
b) alla festa della B. Vergine Maria del Rosario, nella I domenica di
ottobre;
c) alla festa della Purificazione della B. Vergine Maria, se l’azione
liturgica di questo giorno è trasferita, col permesso della Santa Sede,
alla domenica, ma solo per la Messa che segue la benedizione e
processione delle candele;
d) alla festa del Patrono principale regolarmente costituito della
nazione, della regione o provincia, sia ecclesiastica che civile, della
diocesi, del luogo, paese o città;
e) alla festa del Patrono principale regolarmente costituito dell’Ordine o
Congregazione, e della provincia religiosa;
f) alla festa del Patrono regolarmente costituito di associazioni o
istituzioni, nelle chiese e oratori dove i fedeli si riuniscono per celebrare
il loro Patrono;
g) alle feste dell’anniversario della Dedicazione e del Titolare della
propria chiesa;
h) alle feste del Titolare e del Fondatore canonizzato dell’Ordine o
Congregazione;
i) alle feste o commemorazioni, iscritte nel calendario della Chiesa
universale o in un calendario proprio, che si celebrano con particolare
concorso di popolo: il giudizio spetta all’Ordinario del luogo.
359. La solennità esterna, se spetta per diritto, salvo quanto stabilito al n.
358 per alcune solennità esterne, si può celebrare o nello stesso giorno in
cui la festa è impedita, o nella domenica che immediatamente precede o
segue l’Ufficio della festa impedita, o in un altro giorno da stabilirsi
dall’Ordinario del luogo, secondo le rubriche.
Se invece viene concessa per indulto speciale, la solennità esterna è
assegnata a un giorno stabilito.
360. Della festa di cui si celebra la solennità esterna si possono celebrare,
come votive di II classe, una Messa in canto e una letta oppure due Messe
lette, eccettuato il caso di cui al n. 358 c.
361. Le solennità esterne già concesse per indulto speciale a diocesi,
chiese o famiglie religiose restano in vigore con le seguenti restrizioni:
sono proibite nei giorni liturgici di I classe e non si possono mai celebrare
più di due Messe della medesima solennità.
VI - La Messa votiva nel giorno dell’incoronazione del Sommo Pontefice e
negli anniversari del Papa e del Vescovo diocesano
362. Nel giorno dell’incoronazione del Sommo Pontefice, nell’anniversario
dell’incoronazione del Sommo Pontefice, nell’anniversario o dell’elezione o
della consacrazione o del trasferimento del Vescovo diocesano (nel giorno
da scegliersi una volta per tutte dal Vescovo stesso), nelle chiese cattedrali
e collegiate, come Messa conventuale, si dice la Messa propria di tali
anniversari, come votiva di II classe.
363. Se tale Messa fosse impedita, si osservi quanto segue:
a) se l’anniversario dell’incoronazione del Sommo Pontefice è impedito
in perpetuo per tutta la Chiesa, o se l’anniversario del Vescovo è
impedito in perpetuo per tutta la diocesi, si ripone stabilmente nel
primo giorno non impedito. Similmente si ripone l’anniversario del
Vescovo diocesano, se occorre nello stesso giorno dell’incoronazione del
Sommo Pontefice o nel suo anniversario;
b) se sono impediti soltanto accidentalmente da uno dei giorni di cui ai
nn. 1, 2, 3 e 8 nella tabella della precedenza, si trasferiscono al primo
giorno che non sia di I classe.
364. Negli stessi giorni di cui al n. 362, in tutte le chiese e in tutte le
Messe, eccettuate quelle dei defunti, si aggiunge l’orazione per il Papa o
per il Vescovo, come indicato al n. 499. Questa orazione, tuttavia, si
trasferisce ogni qualvolta si trasferisce la Messa nelle chiese cattedrali e
collegiate.
365. Nelle singole chiese, nel giorno in cui si svolgono particolari
celebrazioni in onore del Sommo Pontefice, è permessa, previo consenso
dell’Ordinario del luogo, una sola Messa «Nell’anniversario
dell’incoronazione del Papa», come votiva di II classe.
VII - La Messa votiva per una causa grave e pubblica
366. Per “Messa votiva per una causa grave e pubblica” s’intende la Messa
che, per comando o con il consenso dell’Ordinario del luogo, si celebra con
concorso di popolo per qualche grave necessità o utilità spirituale o
temporale, che riguarda tutta la comunità o notevole parte di essa.
367. In ciascuna chiesa si può dire una sola Messa votiva per una causa
grave e pubblica; si prende la Messa adatta alla necessità o, in mancanza,
la «Messa per qualunque necessità», secondo quanto indicato al n. 366.
368. Quando occorresse una grave necessità o una calamità pubblica e non
ci fosse tempo di ricorrere all’Ordinario del luogo, il parroco può
comandare nella sua parrocchia la Messa votiva di cui al n. 366.
VIII - La Messa «per la propagazione della Fede»
369. In ciascuna chiesa, nel giorno in cui si compiono particolari
celebrazioni per le Missioni e in occasione di un Congresso missionario, si
può celebrare, come votiva di II classe, una sola Messa «per la
propagazione della Fede».
IX - Le Messe votive per alcune occasioni particolari
370. Le Messe di cui si tratta in questo paragrafo riguardano le
celebrazioni particolari proprie di alcune associazioni o di una parte
soltanto di fedeli.
Queste celebrazioni particolari sono:
a) per le parrocchie: l’inizio e la fine della sacra Missione al popolo; i
principali giubilei della parrocchia, del parroco o di un altro sacerdote
dimorante nella parrocchia; le solenni celebrazioni straordinarie e
simili;
b) per scuole, collegi, seminari e altri istituti di questo genere: l’inizio e
la fine dell’anno scolastico; i giubilei straordinari, come il
cinquantesimo o il centesimo anniversario della loro fondazione;
c) per le case religiose: le solennità della vestizione e della professione;
l’inizio e la fine del Capitolo generale e provinciale; i principali giubilei
della Religione, della provincia e della casa; il venticinquesimo o
cinquantesimo anniversario della professione o dell’ordinazione
sacerdotale dei membri;
d) per varie associazioni, come confraternite, pie società, unioni
professionali e simili: i convegni generali annui; i convegni straordinari
di più associazioni dello stesso genere; i principali giubilei e simili
occasioni;
e) per le case di esercizi spirituali: l’inizio e la fine del corso di esercizi o
un convegno straordinario;
f) per ospedali, caserme, carceri e istituti simili: le celebrazioni religiose
straordinarie e le altre festività da celebrarsi in modo o in tempo
straordinario.
371. Questa Messa, unica per le singole occasioni, è votiva di II classe, e
può essere celebrata per comando o con il consenso del rispettivo
Ordinario.
372. Per le suddette circostanze si scelga la Messa adatta, secondo le
diverse occasioni: per esempio, la Messa dello Spirito Santo, di
ringraziamento, di un mistero del Signore, della B. Vergine Maria o di un
Santo, oppure una delle Messe votive per diverse intenzioni.
X - Le Messe votive nei santuari
373. Per “santuario” s’intende una chiesa o edificio sacro dedicato al
pubblico esercizio del culto divino che, per un particolare motivo di pietà
(per esempio un’immagine sacra ivi venerata, una reliquia ivi custodita,
un miracolo che Dio vi ha operato, una particolare indulgenza che vi si
può lucrare), è divenuto per i fedeli meta di pellegrinaggi per ottenere
grazie o adempiere voti.
374. Le Messe votive concesse o da concedersi, per indulto della Santa
Sede, ai santuari e ad altri luoghi pii sono Messe votive di II classe.
375. Tale Messa votiva si può celebrare ad ogni altare del santuario nei
singoli giorni in cui sono permesse le Messe votive di II classe, ma solo da
parte dei sacerdoti pellegrini, oppure quando la Messa si dice in favore dei
pellegrini.
376. Parimenti, i sacerdoti che visitano un luogo pio vi possono celebrare
una Messa votiva di II classe.
377. All’infuori dei casi previsti ai nn. 375 e 376, la Messa votiva si può
celebrare solo come votiva di IV classe.
XI - La Messa votiva «per gli Sposi» e la Messa di ringraziamento nel 25° o
50° anniversario del matrimonio
378. La Messa votiva «per gli Sposi» o almeno la sua orazione nella Messa
del giorno impediente, è permessa ogni qualvolta si celebrano le nozze, sia
al di fuori dei tempi proibiti, sia nei tempi proibiti, se l’Ordinario del
luogo, per una giusta causa, ha permesso la solenne benedizione nuziale.
379. Oltre che nei giorni in cui sono proibite le Messe votive di II classe, la
Messa «per gli Sposi» è proibita anche nelle domeniche e quando, secondo
il n. 381 c, non si può dare la benedizione nuziale.
380. Quando è proibita la Messa «per gli Sposi» ma è permessa la
benedizione nuziale, si dice la Messa dell’Ufficio del giorno, alla cui
orazione si aggiunge, con una sola conclusione, l’orazione della Messa
votiva impedita, anche nei giorni in cui, secondo il n. 343 c, è proibita la
commemorazione della Messa votiva di II classe impedita; e durante tale
Messa si dà la benedizione nuziale come al solito.
Quando sono proibite sia la Messa «per gli Sposi» che la benedizione
nuziale, la Messa insieme alla benedizione può essere trasferita al giorno
più opportuno non impedito dopo la celebrazione del matrimonio.
381. Per quanto riguarda la Messa «per gli Sposi» e la benedizione
nuziale, si osservi inoltre quanto segue:
a) la benedizione nuziale è inseparabile dalla Messa. Pertanto non può
essere data fuori dalla Messa, se non per Indulto Apostolico; in tal caso,
va impartita secondo la formula che si trova nel Rituale romano, tit.
VIII, cap. III;
b) la benedizione nuziale durante la Messa dev’essere impartita dal
sacerdote che celebra la Messa, anche se al matrimonio avesse assistito
un altro sacerdote;
c) la benedizione nuziale si omette se gli sposi non sono presenti, e se
entrambi o uno dei due hanno già ricevuto la benedizione, fatta salva,
dove vige, la consuetudine di impartire di nuovo la benedizione se solo
l’uomo l’avesse già ricevuta;
d) nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti e nel
Triduo sacro, sono proibite sia la Messa votiva, sia la sua
commemorazione nella Messa del giorno, sia la benedizione nuziale
durante la Messa.
382. Per il ringraziamento nel 25° o 50° anniversario del matrimonio, si
può dire, come votiva di II classe, la Messa della Ss. Trinità o della B.
Vergine Maria, aggiungendo alla prima orazione, con una sola
conclusione, l’orazione per il rendimento di grazie.
Terminata la Messa, si dicono per i coniugi le preghiere che si trovano nel
Rituale romano, tit. VIII, cap. VII.
XII - Altre Messe votive di II classe
383. Oltre alle Messe votive di II classe elencate ai numeri precedenti,
vanno ricordate le Messe votive lette che sono permesse, come votive di II
classe, nelle celebrazioni di un Congresso eucaristico (n. 336) e in alcune
occasioni straordinarie (n. 340 b).
D) Le Messe votive di III classe
384. Per “Messa votiva di III classe” s’intende la Messa votiva che può
essere celebrata nei giorni liturgici di III e IV classe.
385. Le Messe votive di III classe previste dalle rubriche generali sono:
a) una sola Messa di N. S. Gesù Cristo sommo ed eterno Sacerdote, il
primo giovedì o il primo sabato di ogni mese, nelle chiese e oratori dove
quel giorno si compiono particolari esercizi di pietà per la santificazione
del clero;
b) due Messe del Ss. Cuore di Gesù, il primo venerdì di ogni mese,
nelle chiese e oratori dove quel giorno si compiono particolari esercizi di
pietà in onore del Ss. Cuore;
c) una sola Messa del Cuore Immacolato della B. Vergine Maria, il
primo sabato di ogni mese, nelle chiese e oratori dove quel giorno si
compiono particolari esercizi di pietà in onore del Cuore Immacolato
della B. Vergine Maria.
A queste bisogna aggiungere la Messa del Ss. Sacramento
dell’Eucaristia che è concessa ai singoli sacerdoti nei giorni di un
Congresso eucaristico (n. 337).
386. Le Messe votive di III classe sono ordinate nel modo seguente:
a) si dicono col Glória, ma sempre senza il Credo;
b) ammettono due commemorazioni, o una commemorazio-ne e la
colletta imperata dall’Ordinario del luogo;
c) se sono celebrate in canto, si usa il tono solenne;
d) quando sono proibite, non si commemorano nella Messa del giorno.
E) Le Messe votive di IV classe
387. La Messa votiva di IV classe è la Messa votiva che si può celebrare
soltanto nei giorni liturgici di IV classe.
388. Come Messa votiva di IV classe si può prendere qualsiasi Messa che
le rubriche permettono di celebrare come votiva. Si richiede, tuttavia, una
giusta causa, come la necessità, l’utilità o la devozione del sacerdote
celebrante o dei fedeli.
389. Le Messe votive di IV classe sono ordinate nel modo seguente:
a) non si dice il Glória, eccetto che alla Messa degli Angeli, in qualsiasi
giorno, e alle Messe della B. Vergine Maria che si celebrano in sabato;
b) oltre all’orazione della Messa, si possono dire altre due orazioni, tra le
quali bisogna annoverare sia le commemorazioni dell’Ufficio del giorno o
occorrenti nell’Ufficio del giorno, sia la colletta imperata dall’Ordinario del
luogo, sia l’orazione votiva;
c) il Credo si omette sempre;
d) se sono celebrate in canto, si usa il tono feriale.
CAPITOLO VII
LE MESSE DEI DEFUNTI
A) Le Messe dei defunti in generale
390. Le Messe dei defunti che si celebrano nel giorno della
Commemorazione di tutti i Fedeli defunti sono conformi all’ordine
dell’Ufficio; tutte le altre Messe dei defunti sono al di fuori dell’ordine
dell’Ufficio.
391. Nelle Messe dei defunti non si fa alcuna commemorazione dell’Ufficio
del giorno corrente.
392. Le Messe dei defunti sono di I, II, III o IV classe; delle singole classi
si tratta nei numeri seguenti.
393. Qualsiasi Messa dei defunti, compresa quella esequiale, è proibita:
a) nelle chiese e oratori dove, per qualunque ragione, è in corso
l’esposizione del Ss. Sacramento, per tutto il tempo dell’esposizione.
Fanno eccezione le Messe nel giorno della Commemorazione di tutti i
Fedeli defunti (n. 352);
b) nelle chiese che hanno una sola Messa, quando urge l’obbligo della
Messa conventuale che non possa essere soddisfatto da un altro
sacerdote, a meno che la stessa Messa dei defunti non possa o debba
essere detta come conventuale;
c) nelle chiese che hanno una sola Messa, il 2 febbraio e il mercoledì
delle Ceneri, se si fa la benedizione rispettivamente delle candele e
delle ceneri; e nei giorni delle Litanie maggiori e minori, se si deve dire
la Messa delle Rogazioni.
394. La prima Messa tra quelle riportate nel giorno della
Commemorazione di tutti i Fedeli defunti, con le orazioni proprie
assegnate nel Messale tra le orazioni diverse per i defunti, si prende:
a) per il Sommo Pontefice, i Cardinali, i Vescovi e i Sacerdoti defunti, in
tutte le Messe di I, II e III classe;
b) negli anniversari di tutti i defunti di un certo Ordine o
Congregazione clericale.
395. La Messa «Nel giorno della morte o della deposizione del defunto» si
dice per i defunti non sacerdoti:
a) nella Messa esequiale;
b) nella Messa per il giorno della morte;
c) nelle Messe dopo l’arrivo della notizia della morte;
d) per la definitiva sepoltura del defunto;
e) nel 3°, 7° e 30° giorno, utilizzando le orazioni proprie.
396. La Messa «Nell’anniversario dei defunti» si dice negli anniversari dei
defunti che non sono sacerdoti.
397. La Messa «quotidiana» si dice per tutti i defunti di ogni ordine e
grado, fuori dai giorni sopra elencati.
398. Per quanto riguarda le orazioni alle Messe dei defunti, si osservi
quanto segue:
a) in tutte le Messe dei defunti, sia in canto che lette, si dice
normalmente una sola orazione, a meno che non si debba aggiungere
l’orazione imperata per i defunti, secondo il n. 458, o si possa
aggiungere l’orazione votiva per i defunti, secondo il n. 468;
b) nelle Messe dei defunti di IV classe, se sono applicate per
determinati defunti, si dice l’orazione conveniente, da prendersi nel
Messale tra le orazioni diverse per i defunti; se invece sono applicate
per i defunti in generale, o se s’ignora l’intenzione, si dice l’orazione
Fidélium;
c) nelle Messe dei defunti è proibita qualsiasi orazione che non sia dei
defunti.
399. La sequenza Dies iræ:
a) è obbligatoria solo nelle Messe dei defunti di I classe. Tuttavia, nel
giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti, quando si
celebrano tre Messe senza interruzione, la sequenza si deve dire solo
nella Messa principale o nella prima Messa; nelle altre Messe, a meno
che non siano in canto, si può omettere;
b) si può omettere nelle Messe dei defunti di II, III e IV classe.
400. Qualsiasi Messa dei defunti può essere in canto o letta.
401. L’assoluzione sul cadavere o sul tumulo:
a) dev’essere impartita dopo la Messa esequiale;
b) può essere impartita dopo le altre Messe dei defunti;
c) può essere impartita, per una causa ragionevole, anche dopo le
Messe che non sono dei defunti.
B) Le Messe dei defunti di I classe
I - Le Messe dei defunti di I classe in generale
402. Le Messe dei defunti di I classe sono:
a) le Messe nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti;
b) la Messa esequiale.
II - Le Messe nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti
403. Nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti ogni
sacerdote può celebrare tre Messe, quelle cioè assegnate nel Messale per
questo giorno.
404. Nel celebrare le Messe di questo giorno, si osservi quanto segue:
a) chi celebra una sola Messa, usa la prima; chi ne celebra due, usa la
prima e la seconda;
b) chi celebra la Messa in canto o conventuale usa la prima, con la
facoltà di anticipare la seconda e la terza;
c) chi celebra più Messe in canto in chiese diverse, deve sempre usare
la prima;
d) se invece si celebrano più Messe in canto nella stessa chiesa, si usa
innanzi tutto la prima, poi la seconda e infine la terza.
III - La Messa esequiale
405. Per “Messa esequiale” s’intende l’unica Messa dei defunti che è
direttamente connessa con le esequie di un defunto.
Questa Messa, di per sé, dev’essere celebrata presente il cadavere; ma, per
una causa ragionevole, si può anche celebrare assente o già sepolto il
cadavere.
406. La Messa esequiale è proibita:
a) nei giorni di cui ai nn. 1, 2, 3, 4, 5 e 6 nella tabella della precedenza;
b) nelle feste di precetto comprese tra quelle di cui al n. 11 nella tabella
della precedenza;
c) nell’anniversario della Dedicazione e nella festa del Titolare della
chiesa in cui si svolge il funerale;
d) nella festa del Patrono principale del paese o città;
e) nella festa del Titolare e del Santo Fondatore dell’Ordine o
Congregazione cui appartiene la chiesa nella quale si svolge il funerale.
407. Se l’Ufficio di una festa di cui al n. 406 viene trasferito
accidentalmente a un altro giorno, secondo le rubriche, la Messa esequiale
è proibita nel giorno in cui la festa è impedita, ed è permessa nel giorno in
cui viene trasferito l’Ufficio; se la solennità esterna di una festa si celebra
in domenica, la Messa esequiale è proibita nel giorno in cui si celebra la
solennità esterna, non però nel giorno della festa.
408. Quando la Messa esequiale è proibita o, per una causa ragionevole,
non si può celebrare contestualmente alle esequie, la si può trasferire al
primo giorno non impedito.
409. Nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti, come
Messa esequiale si prende la prima Messa del giorno con le orazioni che si
sarebbero dette alla Messa esequiale per il rispettivo defunto. Se però la
prima Messa si celebra per l’Ufficio del giorno, come Messa esequiale si
prende la seconda o, se anche questa fosse già stata celebrata, la terza.
C) Le Messe dei defunti di II classe
I - Le Messe dei defunti di II classe in generale
410. Le Messe dei defunti di II classe sono:
a) le Messe per il giorno della morte;
b) la Messa dopo l’arrivo della notizia della morte;
c) la Messa per la definitiva sepoltura del defunto.
411. Tutte le Messe dei defunti di II classe si dicono come nel giorno della
morte; sono permesse purché:
a) si applichino per il defunto stesso;
b) non occorra un giorno liturgico di I classe o una domenica.
Se la Messa per il giorno della morte viene detta dopo più di otto giorni
dalla morte o sepoltura del defunto, nell’orazione e nella dopocomunione si
omette l’avverbio hódie.
II - Le Messe per il giorno della morte
412. Per “Messe per il giorno della morte” s’intendono le Messe che
vengono celebrate per un defunto dal giorno della morte fino al giorno
della sepoltura:
a) sia nell’oratorio privato dello stesso defunto, purché il cadavere sia
fisicamente presente in casa;
b) sia nella chiesa od oratorio del luogo dove il defunto è morto, è
seppellito o ebbe il domicilio;
c) sia nella chiesa od oratorio dove si celebra la Messa esequiale, anche
separata dal funerale del defunto.
III - La Messa dopo l’arrivo della notizia della morte
413. Per “Messa dopo l’arrivo della notizia della morte” s’intende l’unica
Messa che può essere celebrata per un defunto in qualsiasi chiesa od
oratorio, nel giorno più opportuno dopo l’arrivo della notizia della morte.
IV - La Messa per la definitiva sepoltura del defunto
414. Per “Messa per la definitiva sepoltura del defunto” s’intende l’unica
Messa che può essere celebrata nella chiesa od oratorio del luogo in cui il
corpo del defunto, già inumato, viene trasferito alla definitiva sepoltura,
nello stesso giorno della definitiva sepoltura.
D) Le Messe dei defunti di III classe
I - Le Messe dei defunti di III classe in generale
415. Le Messe dei defunti di III classe sono:
a) la Messa nel 3°, 7° e 30° giorno dalla morte o sepoltura del defunto;
b) la Messa «nell’anniversario»;
c) le Messe dei defunti nelle chiese e cappelle dei cimiteri;
d) le Messe dei defunti durante l’ottavario della Commemorazione di
tutti i Fedeli defunti.
416. Le Messe dei defunti di III classe sono proibite nei giorni liturgici di I
e II classe; si usa il formulario qui di seguito indicato per le singole Messe,
a meno che, secondo il n. 394, non si debba prendere la prima Messa della
Commemorazione di tutti i Fedeli defunti.
II - La Messa nel 3°, 7° e 30° giorno dalla morte o sepoltura
417. Nel 3°, 7° e 30° giorno dalla morte o sepoltura del defunto, in
qualunque chiesa od oratorio può essere detta per lo stesso defunto una
sola Messa come nel giorno della morte, utilizzando le orazioni proprie che
si trovano alla fine di tale Messa.
Quando questa Messa è impedita dalle rubriche, può essere trasferita al
giorno più vicino non impedito.
Tali Messe possono essere anche più di una nei giorni in cui sono
permesse le Messe dei defunti di IV classe.
III - La Messa «nell’anniversario»
418. Per anniversario in senso stretto s’intende la ricorrenza annuale del
giorno della morte o sepoltura di un defunto; in senso lato s’intende o
l’anniversario che si celebra per fondazione, una volta all’anno, in un
giorno che non è quello della morte o sepoltura, o la celebrazione che si
svolge una volta all’anno per tutti i defunti di un ceto di persone, nel
giorno stabilito per fondazione o per consuetudine del ceto, oppure nel
giorno da stabilirsi dal ceto o dal sacerdote celebrante.
419. In questi giorni, in qualsiasi chiesa od oratorio è permessa una sola
Messa, che dev’essere dell’anniversario; e quando è proibita dalla
rubriche, può essere trasferita al giorno più vicino non impedito.
Tali Messe possono essere anche più di una nei giorni in cui sono
permesse le Messe dei defunti di IV classe.
IV - Le Messe nelle chiese e cappelle dei cimiteri
420. Per “chiese o cappelle dei cimiteri” s’intendono:
a) la chiesa o l’oratorio pubblico principale di un cimitero nel quale
attualmente si seppelliscono i cadaveri, purché tale chiesa od oratorio
non abbia annesso l’onere del coro o la cura di anime;
b) la cappella di un sepolcreto particolare, regolarmente eretta entro i
confini del cimitero.
421. Le Messe che si celebrano in questi luoghi, purché siano applicate per
i defunti, possono essere “de requie”; si dice la Messa «quotidiana» con
l’orazione conveniente.
V - Le Messe dei defunti durante l’ottavario della Commemorazione di
tutti i Fedeli defunti
422. Durante l’ottavario che decorre dal giorno della Commemorazione di
tutti i Fedeli defunti compreso, tutte le Messe che si applicano per tutti o
per qualche defunto possono essere “de requie”; si dice la Messa
«quotidiana» con l’orazione conveniente.
E) Le Messe dei defunti di IV classe o «quotidiane»
423. Le Messe dei defunti di IV classe sono le altre Messe dei defunti
«quotidiane», che si possono celebrare, al posto della Messa conforme
all’Ufficio del giorno, solo nelle ferie di IV classe, fuori dal tempo natalizio.
È assai opportuno che queste Messe dei defunti di IV classe siano dette
solo quando sono veramente applicate per i defunti, sia in generale che in
particolare.
CAPITOLO VIII
LE DIVERSE PARTI DELLA MESSA
A) Il salmo Iúdica me, Deus, la confessione e l’incensazione dell’altare
424. Il salmo Iúdica me, Deus con la sua antifona e la confessione con
relativa assoluzione si dicono, davanti ai gradini dell’altare, in qualsiasi
Messa sia in canto che letta; però si omettono, insieme ai versetti seguenti
e alle preghiere Aufer a nobis e Orámus te, Dómine, nei seguenti casi:
a) nella Messa della festa della Purificazione della B. Vergine Maria
che segue la benedizione e processione delle candele;
b) nella Messa del mercoledì delle Ceneri che si dice dopo la
benedizione e imposizione delle ceneri;
c) nella Messa della II domenica di Passione o delle palme che segue la
benedizione e processione dei rami;
d) nella Messa della Vigilia pasquale;
e) nella Messa delle Rogazioni che segue la processione delle Litanie
maggiori e minori;
f) nelle Messe che seguono alcune consacrazioni, secondo le rubriche del
Pontificale romano.
425. Il salmo Iúdica me, Deus si omette:
a) nelle Messe del Tempo dalla I domenica di Passione fino al giovedì
della Cena del Signore;
b) nelle Messe dei defunti.
426. Le incensazioni che si devono fare alla Messa solenne, si possono fare
anche a tutte le Messe cantate.
B) L’antifona d’Introito e il Kýrie, eléison
427. All’Introito si dice l’antifona con il versetto del salmo e il Glória Patri;
al termine si ripete l’antifona.
L’antifona d’Introito con il salmo e il Glória Patri manca nella Messa della
Vigilia pasquale.
428. Il Glória Patri all’Introito si omette nelle Messe del Tempo dalla I
domenica di Passione fino al giovedì della Cena del Signore, e nelle Messe
dei defunti.
429. Nel tempo pasquale, dopo l’antifona d’Introito si aggiungono, se non
ci fossero già, due Allelúia. Al contrario, in qualunque antifona d’Introito,
l’Allelúia si omette quando la Messa viene detta fuori dal tempo pasquale,
a meno che per certe Messe non sia indicato diversamente.
430. Il Kýrie, eléison si dice nove volte dopo la ripetizione dell’antifona
d’Introito, cioè tre volte Kýrie, eléison, tre volte Christe, eléison, e tre
volte Kýrie, eléison.
C) L’inno Glória in excélsis
431. L’inno Glória in excélsis si dice:
a) nelle Messe conformi all’Ufficio del giorno, quando a Mattutino si è
detto l’inno Te Deum;
b) nelle Messe festive di cui al n. 302;
c) nelle Messe del giovedì della Cena del Signore, e nella Messa della
Vigilia pasquale;
d) nelle Messe votive di I, II e III classe, a meno che non si usino i
paramenti viola;
e) nelle Messe votive di IV classe degli Angeli, in qualsiasi giorno, e
nelle Messe della B. Vergine Maria che si celebrano in sabato.
432. L’inno Glória in excélsis si omette:
a) nelle Messe conformi all’Ufficio del giorno, quando a Mattutino non
si è detto l’inno Te Deum;
b) in tutte le Messe in cui si usano i paramenti viola;
c) nelle Messe votive di IV classe, eccettuate quelle di cui n. 431 e;
d) nelle Messe dei defunti.
D) Le orazioni
I - Le orazioni in generale
433. Per “orazioni”, alla Messa, s’intendono:
a) l’orazione della Messa che si celebra;
b) le orazioni di un Ufficio commemorato e di una commemorazione
occorrente;
c) le altre orazioni prescritte dalle rubriche (nn. 447-453);
d) l’orazione imperata dall’Ordinario del luogo (nn. 454-460);
e) l’orazione votiva che, in alcuni giorni liturgici, può essere detta a
scelta del sacerdote celebrante (nn. 461-465).
434. Nel numero delle orazioni stabilito per i singoli giorni liturgici sono
comprese tanto l’orazione della Messa e le commemorazioni quanto le
altre orazioni prescritte dalle rubriche o imperate dall’Ordinario del luogo
o votive. Pertanto, dopo l’orazione della Messa:
a) nei giorni liturgici di I classe, nelle Messe votive di I classe e nelle
Messe in canto non conventuali, non è ammessa nessuna altra
orazione, eccetto l’orazione da dirsi con una sola conclusione e una sola
commemorazione privilegiata, salvo quanto prescritto al n. 333;
b) nelle domeniche di II classe non è ammessa nessuna altra orazione,
eccetto la commemorazione di una festa di II classe, che tuttavia si
omette se si deve fare una commemorazione privilegiata;
c) negli altri giorni liturgici di II classe e nelle Messe votive di II classe,
è ammessa una sola altra orazione, cioè o una privilegiata o una
ordinaria;
d) nei giorni liturgici di III e IV classe e nelle Messe votive di III e IV
classe sono ammesse soltanto due orazioni.
435. Qualsiasi orazione che superi il numero stabilito per i singoli giorni
liturgici si omette; in ogni caso, non è lecito per nessun pretesto
oltrepassare il numero di tre orazioni.
436. L’orazione propria della Messa si dice sempre con la sua conclusione,
a meno che non vi si debba unire, con una stessa conclusione, un’altra
orazione, come spiegato ai nn. 444-445.
437. Si dicono sempre con una seconda conclusione:
a) le commemorazioni;
b) l’orazione imperata dall’Ordinario del luogo;
c) l’orazione votiva.
438. Se due orazioni, nella prima o nella seconda parte, sono composte più
o meno dalle stesse parole, l’orazione che viene per seconda:
a) se è del Tempo, si sostituisce con l’orazione della domenica o della
feria seguente;
b) se è di un Santo, si sostituisce con un’altra orazione dello stesso
Comune o di un Comune simile;
c) se si tratta dell’orazione imperata, si omette.
439. Nelle orazioni di un Ufficio traslato o riposto non si devono cambiare
le parole hanc o hodiérnam o præséntem diem, o simili.
440. Quando nel Messale si trovano le parole Flectámus génua, Leváte,
queste devono essere proferite dal diacono nella Messa solenne, dal
celebrante nelle altre Messe; e dopo le parole Flectámus génua, tutti,
insieme al celebrante, s’inginocchiano e pregano in silenzio per un po’ di
tempo; detto Leváte, tutti si alzano e il celebrante dice l’orazione.
441. Per quanto riguarda la qualità e il numero delle orazioni alle Messe
dei defunti, si osservi quanto riportato al n. 398.
II - Le orazioni alle Messe con più letture
442. Alle Messe con più letture (nn. 467-468) le commemorazioni e le altre
orazioni vanno poste dopo l’orazione che precede l’ultima lettura, ossia
l’Epistola; e questa orazione è la sola da computare per definire il numero
complessivo delle orazioni.
443. Per commemorare una feria la cui Messa ha più letture, si prende la
prima orazione, cioè quella che si è detta alle Lodi.
III - Le orazioni che si devono unire con una sola conclusione all’orazione
della Messa
444. All’orazione della Messa si aggiunge, con una sola conclusione,
un’altra orazione, solo se si tratta:
a) dell’orazione rituale (n. 447);
b) dell’orazione di una Messa votiva di I o II classe impedita (nn. 330 c,
343 c);
c) di un’altra orazione che le rubriche espressamente prescrivono o
consentono di unire con una sola conclusione all’orazione della Messa
(nn. 110, 355, 449, 451, 453).
445. All’orazione della Messa si può unire con una sola conclusione una
sola altra orazione.
Se all’orazione della Messa si dovessero unire, secondo le rubriche, più
orazioni con una sola conclusione, se ne mantiene una sola, secondo
l’ordine indicato al n. 444; le altre si omettono.
446. L’orazione da unirsi con una sola conclusione all’orazione della Messa
si conta come una sola con la prima; e dev’essere detta anche alle Messe in
canto.
IV - Le orazioni rituali
447. Per “orazione rituale” s’intende l’orazione da dirsi nella Messa che è
connessa con le seguenti benedizioni o consacrazioni:
a) consacrazione di un Vescovo;
b) conferimento dei sacri Ordini;
c) benedizione di un Abate;
d) benedizione di una Badessa;
e) benedizione e consacrazione delle Vergini;
f) benedizione di un cimitero;
g) riconciliazione di una chiesa;
h) riconciliazione di un cimitero.
Queste orazioni, che si trovano tra le Messe votive per diverse intenzioni,
devono sempre essere unite con una sola conclusione all’orazione della
Messa.
448. Nelle Messe in cui si aggiunge l’orazione rituale sono escluse tutte le
altre orazioni, salvo le commemorazioni privilegiate.
V - Le orazioni nel giorno dell’incoronazione del Sommo Pontefice e negli
anniversari del Papa e del Vescovo diocesano
449. Nel giorno dell’incoronazione del Sommo Pontefice e nel suo
anniversario, e nell’anniversario o dell’elezione o della consacrazione o del
trasferimento del Vescovo diocesano (nel giorno da scegliersi una volta per
tutte dal Vescovo stesso), in tutte le Messe, eccettuate quelle dei defunti,
all’orazione della Messa si aggiunge con una sola conclusione l’orazione
per il Papa o per il Vescovo, purché non occorra un giorno liturgico di cui
ai nn. 1, 2, 3 e 8 nella tabella della precedenza (cfr. n. 363).
450. Quando è impedita, l’orazione per il Papa o per il Vescovo si
trasferisce al giorno più vicino non impedito, nello stesso modo in cui si
trasferisce la Messa conventuale per gli stessi anniversari nelle chiese
cattedrali e collegiate (n. 364).
VI - L’orazione per il sacerdote celebrante nell’anniversario
della propria Ordinazione sacerdotale
451. Nell’anniversario della propria Ordinazione sacerdotale, ogni
sacerdote può aggiungere all’orazione della Messa, con una sola
conclusione, l’orazione per se stesso, purché non occorra un giorno
liturgico di cui ai nn. 1, 2, 3 e 8 nella tabella della precedenza.
452. Quando è impedita, l’orazione per il sacerdote celebrante può essere
trasferita al giorno più vicino non impedito.
VII - L’orazione «per la propagazione della Fede»
453. Nella penultima domenica d’ottobre, o in un’altra domenica fissata
dall’Ordinario del luogo «per le Missioni», in tutte le Messe, all’orazione
della Messa si aggiunge con una sola conclusione l’orazione per la
propagazione della Fede, purché non occorra un giorno liturgico di cui ai
nn. 1, 2, 3 e 8 nella tabella della precedenza.
VIII - L’orazione imperata
454. Per “orazione imperata” s’intende l’orazione che l’Ordinario del luogo
può prescrivere per una grave e pubblica necessità o calamità.
455. L’Ordinario del luogo può prescrivere come imperata qualsiasi
orazione desunta dalle Messe che si possono celebrare come votive o dalle
orazioni per diverse intenzioni o dalle Messe e orazioni per i defunti.
456. È molto opportuno che l’Ordinario del luogo non prescriva l’orazione
imperata in modo permanente, ma solo per una causa veramente grave e
per un periodo di tempo che non ecceda la durata della vera necessità.
457. L’orazione imperata:
a) dev’essere una sola;
b) dev’essere detta da tutti i sacerdoti che celebrano la Messa nelle
chiese ed oratori, anche esenti, della diocesi;
c) non si aggiunge mai con una sola conclusione all’orazione della
Messa, ma si dice dopo le commemorazioni privilegiate;
d) è proibita in tutti i giorni liturgici di I e II classe, nelle Messe votive
di I e II classe, nelle Messe in canto, e quando le commemorazioni
privilegiate completano il numero di orazioni stabilito per i singoli
giorni liturgici.
458. L’orazione imperata per i defunti si dice soltanto nelle ferie di IV
classe e nelle Messe votive o dei defunti lette di IV classe.
459. Nel caso di una pubblica necessità o calamità che, per sua natura,
duri lungo tempo (per esempio una guerra, una pestilenza e simili),
l’Ordinario del luogo può prescrivere un’orazione imperata conveniente
per tutto il tempo dell’infausto evento; però tale orazione:
a) si dice soltanto il lunedì, il mercoledì e il venerdì;
b) è proibita negli stessi giorni e Messe di cui al n. 457 d.
460. Se occorresse una grave e pubblica necessità o calamità
particolarmente urgente e non ci fosse tempo di ricorrere all’Ordinario del
luogo, il parroco, entro i limiti della sua parrocchia, anche per le chiese ed
oratori esenti, può prescrivere un’orazione conveniente da dirsi per tre
giorni consecutivi. Tale orazione è proibita negli stessi giorni e Messe in
cui è proibita l’orazione imperata dall’Ordinario del luogo (n. 457 d), che,
se fosse prescritta, si omette.
IX - L’orazione votiva
461. Nei giorni liturgici di IV classe ogni sacerdote può aggiungere una
sola orazione a sua scelta in tutte le Messe lette non conventuali.
462. L’orazione votiva può essere desunta o dalle Messe che si possono
celebrare come votive o dalle orazioni per diverse intenzioni o dalle Messe
e orazioni per i defunti.
463. Tale orazione si pone all’ultimo posto, dopo le altre orazioni, e non
deve superare il limite delle tre orazioni.
464. L’orazione votiva per i defunti si può aggiungere solo alle Messe lette
non conventuali dei defunti di IV classe.
465. Nell’orazione A cunctis si può nominare o il Titolare della propria
chiesa, o qualsiasi Patrono principale, o il Fondatore o il Titolare
dell’Ordine o Congregazione. Si osservino inoltre le rubriche che si
trovano nel Messale a proposito di questa orazione.
E) Dalle letture al Vangelo
466. Dopo le orazioni si dice l’Epistola, al termine della quale si risponde
Deo grátias.
467. L’Epistola è preceduta da una sola lettura:
a) nei mercoledì delle Quattro Tempora;
b) nel mercoledì della IV settimana di Quaresima;
c) nel mercoledì della Settimana santa.
Alla fine di tale lettura si risponde Deo grátias.
468. L’Epistola è preceduta da cinque letture nei sabati delle Quattro
Tempora; alla fine di ogni lettura, eccettuata quella del profeta Daniele, si
risponde Deo grátias.
Alle Messe conventuali e alle Messe nelle quali si conferiscono i sacri
Ordini, si devono dire sempre tutte le letture con le orazioni e i versetti;
alle altre Messe, sia in canto che lette, si può dire soltanto la prima
orazione (quella conforme all’Ufficio), preceduta dal Flectámus génua, se
va detto, e la prima lettura con i suoi versetti; quindi, detto come al solito
Dóminus vobíscum, Et cum spíritu tuo e Orémus, si dice la seconda
orazione senza Flectámus génua, cui fanno seguito la altre
commemorazioni eventualmente occorrenti e, omesse le letture successive
con i loro versetti e orazioni, si passa direttamente all’ultima lettura
(ossia l’Epistola), seguita dal tratto e, nel sabato dopo Pentecoste, dalla
sequenza.
469. Dopo l’Epistola si dice il graduale, l’Allelúia con i suoi versetti o il
tratto, come indicato nel Messale a suo luogo.
470. La sequenza si dice prima dell’ultimo Allelúia o dopo il tratto. Si
omette nelle Messe votive. Per quanto riguarda la sequenza Dies iræ, si
osservino le norme di cui al n. 399.
471. All’inizio del Vangelo si dice Dóminus vobíscum e si risponde Et cum
spíritu tuo; quindi Sequéntia (o Inítium) sancti Evangélii secúndum N., e
si risponde Glória tibi, Dómine; alla fine si risponde Laus tibi, Christe.
472. Nella Settimana santa, prima della lettura della storia della Passione
del Signore non si dice Dóminus vobíscum, né Sequéntia sancti Evangélii
secúndum N., Glória tibi, Dómine, bensì Pássio Dómini nostri Iesu Christi
secúndum N., e alla fine non si risponde Laus tibi, Christe.
473. Alle Messe in canto, tutto ciò che il diacono, il suddiacono o il lettore
cantano o leggono in forza del proprio ufficio, viene omesso dal celebrante.
474. Dopo il Vangelo, specialmente nelle domeniche e nelle feste di
precetto, si tenga, secondo l’opportunità, una breve omelia per il popolo.
L’omelia, se è tenuta da un sacerdote diverso dal celebrante, non deve
sovrapporsi alla celebrazione della Messa, impedendo la partecipazione
dei fedeli; in questo caso, quindi, si deve sospendere la celebrazione della
Messa e riprenderla solo dopo il termine dell’omelia.
F) Il simbolo
475. Dopo il Vangelo o l’omelia, si dice il simbolo:
a) in tutte le domeniche, anche se il loro Ufficio cede il posto a qualche
festa o si celebra una Messa votiva di II classe;
b) nelle feste di I classe e nelle Messe votive di I classe;
c) nelle feste di II classe del Signore e della B. Vergine Maria;
d) durante le ottave della Natività del Signore, di Pasqua e di
Pentecoste, anche nelle feste occorrenti e nelle Messe votive;
e) nelle feste natalizie degli Apostoli e degli Evangelisti, e nelle feste
della Cattedra di S. Pietro e di S. Barnaba Apostolo.
476. Non si dice il simbolo:
a) nella Messe crismale e nella Messa della Cena del Signore, il giovedì
santo, e nella Messa della Vigilia pasquale;
b) nelle feste di II classe, eccettuate quelle di cui al n. 475 c ed e;
c) nelle Messe votive di II classe;
d) nelle Messe festive e votive di III e IV classe;
e) a motivo di una commemorazione occorrente nella Messa;
f) nelle Messe dei defunti.
G) L’antifona d’Offertorio e le orazioni secrete
477. Dopo il simbolo o, se non bisogna dirlo, dopo il Vangelo o l’omelia, si
dice Dóminus vobíscum e si risponde Et cum spíritu tuo; quindi si
aggiunge Orémus e l’antifona d’Offertorio, che manca solo nella Messa
della Vigilia pasquale.
478. Nel tempo pasquale all’antifona d’Offertorio si aggiunge, se non ci
fosse già, un Allelúia. E si mantiene l’Allelúia che talvolta si trova al
termine dell’antifona d’Offertorio fuori dal tempo pasquale, eccetto che
dalla Settuagesima a Pasqua.
479. L’offerta dell’ostia e del calice e ciò che segue si svolgono come
indicato nell’Ordinario della Messa.
480. L’orazione «secreta» si dice sottovoce, senza Dóminus vobíscum né
Orémus. E si dicono tante orazioni secrete quante sono le orazioni che
sono state dette all’inizio della Messa. Si dicono nello stesso ordine e si
concludono come le altre orazioni.
481. La conclusione dell’ultima orazione secreta si dice sottovoce fino alle
parole Per ómnia sæcula sæculórum, che si proferiscono ad alta voce.
H) Il prefazio
482. Si dice il prefazio proprio di ciascuna Messa; in mancanza, si dice il
prefazio del Tempo, altrimenti il prefazio comune.
482. Non si dice mai il prefazio proprio di una commemorazione
occorrente nella Messa.
484. Il prefazio della Natività del Signore si dice:
a) come prefazio proprio alle Messe della Natività del Signore e della
sua ottava, e della Purificazione della B. Vergine Maria;
b) come prefazio del Tempo, durante l’ottava di Natale, anche alle
Messe che avrebbero un prefazio proprio, eccettuate quelle Messe che
hanno un prefazio proprio dei misteri o delle Persone divine; e dal 2 al
5 gennaio.
485. Il prefazio dell’Epifania del Signore si dice:
a) come prefazio proprio alle Messe della festa dell’Epifania e della
Commemorazione del Battesimo di N. S. Gesù Cristo;
b) come prefazio del Tempo dal 7 al 13 gennaio.
486. Il prefazio della Quaresima si dice:
a) come prefazio proprio alle Messe del Tempo dal mercoledì delle
ceneri fino al sabato che precede la I domenica di Passione;
b) come prefazio del Tempo alle Messe che si celebrano in questo tempo
e non hanno prefazio proprio.
487. Il prefazio della santa Croce si dice:
a) come prefazio proprio alle Messe del Tempo dalla I domenica di
Passione fino al giovedì della Cena del Signore; alle Messe sia festive
che votive della santa Croce, della Passione del Signore e degli
strumenti della Passione del Signore, del preziosissimo Sangue di N. S.
Gesù Cristo, del Ss. Redentore;
b) come prefazio del Tempo, dalla I domenica di passione fino al
mercoledì santo, a tutte le Messe che non hanno prefazio proprio.
488. Il prefazio della Messa crismale si dice nel giovedì della Cena del
Signore, alla sua Messa.
489. Il prefazio pasquale si dice:
a) come prefazio proprio alle Messe del Tempo dalla Messa della Vigilia
pasquale fino alla vigilia dell’Ascensione del Signore;
b) come prefazio del Tempo alle altre Messe che si celebrano in questo
tempo e non hanno prefazio proprio.
490. Il prefazio dell’Ascensione del Signore si dice:
a) come prefazio proprio nella festa dell’Ascensione;
b) come prefazio del Tempo, dal venerdì dopo l’Ascensione fino al
venerdì prima della vigilia di Pentecoste, a tutte le Messe che non
hanno prefazio proprio.
491. Il prefazio del Ss. Cuore di Gesù si dice alle Messe festive e votive del
Ss. Cuore di Gesù.
492. Il prefazio di N. S. Gesù Cristo Re si dice alle Messe festive e votive di
N. S. Gesù Cristo Re.
493. Il prefazio dello Spirito Santo si dice:
a) come prefazio proprio alle Messe del Tempo dalla vigilia di
Pentecoste fino al sabato seguente, e alle Messe festive e votive dello
Spirito Santo;
b) come prefazio del Tempo alle altre Messe che si celebrano in questo
tempo e non hanno prefazio proprio.
494. Il prefazio della Ss. Trinità si dice:
a) come prefazio proprio alle Messe festive e votive della Ss. Trinità;
b) come prefazio del Tempo nelle domeniche d’Avvento, e in tutte le
domeniche di II classe fuori dal tempo natalizio e pasquale.
495. Il prefazio della beata Vergine Maria si dice alle Messe festive e
votive della beata Vergine Maria, eccetto che nella festa della
Purificazione.
496. Il prefazio di S. Giuseppe si dice alle Messe festive e votive di S.
Giuseppe.
497. Il prefazio degli Apostoli si dice alle Messe festive e votive degli
Apostoli e degli Evangelisti.
498. Il prefazio comune si dice alle Messe che non hanno prefazio proprio e
non devono prendere il prefazio del Tempo.
499. Il prefazio dei defunti si dice alle Messe dei defunti.
I) Dal Canone della Messa fino alla dopocomunione
500. Dopo il prefazio e il Sanctus si dice sottovoce il Canone della Messa,
come nell’Ordinario della Messa.
501. Quando nel Canone si devono cambiare Communicántes, Hanc ígitur
e Qui prídie, ciò è indicato a suo luogo nelle Messe proprie.
502. Il momento proprio per distribuire la santa Comunione ai fedeli è
durante la Messa, dopo la Comunione del sacerdote celebrante, che deve
distribuirla personalmente a coloro che la richiedono; tuttavia, se il
numero dei comunicandi è grande, conviene che sia aiutato da uno o più
altri sacerdoti.
È assai sconveniente che, allo stesso altare in cui si sta celebrando la
Messa, la santa Comunione sia distribuita da un altro sacerdote fuori dal
momento proprio della Comunione.
Per una causa ragionevole, è permesso distribuire la santa Comunione
anche immediatamente prima o dopo la Messa, e anche al di fuori della
Messa: in questi casi si utilizza il formulario prescritto nel Rituale
Romano, tit. V, cap. II, nn. 1-10.
503. Quando si distribuisce la santa Comunione durante la Messa, il
celebrante, dopo aver consumato il preziosissimo Sangue, omesse la
confessione e l’assoluzione, dice Ecce Agnus Dei e tre volte Dómine, non
sum dignus, e procede immediatamente alla distribuzione della santa
Eucaristia.
504. Terminati il Canone e la Comunione, si dice l’antifona di Comunione,
al termine della quale, nel tempo pasquale, si aggiunge, se non ci fosse
già, un Allelúia; e si mantiene l’Allelúia che talvolta si trova al termine di
tale antifona fuori dal tempo pasquale, eccetto che dalla Settuagesima a
Pasqua.
505. Le orazioni dopo la Comunione si dicono nello stesso numero, modo e
ordine delle orazioni all’inizio della Messa.
506. Nelle Messe delle ferie di Quaresima e di Passione, eccettuato il
Triduo sacro, terminata l’ultima orazione dopo la Comunione si aggiunge
l’Orazione sopra il popolo, che si dice sempre con la sua conclusione ed è
preceduta da Orémus, Humiliáte cápita vestra Deo. Questa orazione
dev’essere detta anche quando fosse preceduta da tre orazioni dopo la
Comunione.
L) La conclusione della Messa
507. Alla fine della Messa si dice Ite, missa est e si risponde Deo grátias.
Tuttavia:
a) alla Messa vespertina della Cena del Signore seguita dalla solenne
riposizione del Ss. Sacramento e alle altre Messe seguite da una
processione, si dice Benedicámus Dómino e si risponde Deo grátias;
b) durante l’ottava di Pasqua, alle Messe del Tempo, all’Ite, missa est e
al seguente Deo grátias si aggiungono due Allelúia;
c) alle Messe dei defunti si dice Requiéscant in pace e si risponde
Amen.
508. Dopo aver detto il Pláceat, si dà la benedizione, che si omette soltanto
quando si è detto Benedicámus Dómino o Requiéscant in pace.
509. Come ultimo Vangelo, in tutte le Messe, si dice normalmente l’inizio
del Vangelo secondo Giovanni.
Tuttavia, nella II domenica di Passione o delle palme, in tutte le Messe
che non seguono la benedizione e processione dei rami si dice un ultimo
Vangelo proprio.
510. L’ultimo Vangelo si omette del tutto:
a) alle Messe in cui si è detto Benedicámus Dómino, secondo il n. 507 a;
b) nella festa della Natività del Signore, alla terza Messa;
c) nella II domenica di Passione o delle palme, alla Messa che segue la
benedizione e processione dei rami;
d) alla Messa della Vigilia pasquale;
e) alle Messe dei defunti seguite dall’assoluzione sul tumulo;
f) alle Messe che seguono certe consacrazioni, secondo le rubriche del
Pontificale romano.
CAPITOLO IX
CHE COSA BISOGNA DIRE AD ALTA VOCE O
SOTTOVOCE NELLA MESSA
511. Alla Messa letta, si dicono ad alta voce:
a) le parole In nómine Patris, ecc.; il salmo Iúdica me, Deus con la sua
antifona; la confessione e ciò che segue fino a Orémus compreso; le
orazioni Aufer a nobis e Orámus te, Dómine si dicono sottovoce;
b) l’antifona d’Introito con il suo versetto e il Glória Patri; e il Kýrie,
eléison;
c) l’inno Glória in excélsis;
d) Dóminus vobíscum, Orémus, Flectámus génua - Leváte, e le
orazioni;
e) le letture, l’Epistola, il graduale, il tratto, l’Allelúia col suo versetto,
la sequenza e il Vangelo;
f) il simbolo;
g) Dóminus vobíscum, Orémus, l’antifona d’Offertorio, e le parole
Oráte, fratres;
h) il prefazio e il Sanctus-Benedíctus;
i) le parole Nobis quoque peccatóribus; la preghiera del Signore con la
sua introduzione; Per ómnia sæcula sæculórum e Pax Dómini sit
semper vobíscum; Agnus Dei, ecc.; le parole Dómine, non sum dignus
prima della Comunione del sacerdote celebrante; le formule della
Comunione dei fedeli; l’antifona di Comunione, Dóminus vobíscum e le
orazioni dopo la Comunione; le parole Humiliáte cápita vestra Deo e
l’orazione sopra il popolo;
l) Ite, missa est o Benedicámus Dómino o Requiéscant in pace; la
benedizione e l’ultimo Vangelo.
Il resto si dice sottovoce.
512. Il sacerdote abbia cura di pronunciare ciò che va detto ad alta voce in
modo chiaro e distinto, non troppo velocemente, per poter comprendere ciò
che legge, né troppo lentamente, per non annoiare gli ascoltatori; né a
voce troppo alta, se celebra a un altare secondario, per non disturbare
coloro che nel medesimo tempo celebrassero nella stessa chiesa; né a voce
talmente bassa da non poter essere udito da chi gli sta vicino. Pronunci
invece ciò che va detto sottovoce in modo da poter essere udito solo da se
stesso e non da chi gli sta vicino.
513. Alla Messa solenne, il celebrante:
a) dice in canto: Dóminus vobíscum, ogni volta che occorre, eccetto che
nei versetti dopo la confessione; le orazioni; Orémus prima dell’antifona
d’Offertorio, Per ómnia sæcula sæculórum e il prefazio; Per ómnia
sæcula sæculórum con il Pater noster e la sua introduzione; Per ómnia
sæcula sæculórum col Pax Dómini;
b) intona il Glória e il Credo, quando vanno detti;
c) dice ad alta voce le formule della Comunione dei fedeli e le parole
della benedizione alla fine della Messa;
d) dice con voce conveniente le parti alle quali i sacri ministri devono
rispondere;
e) dice sottovoce tutte le altre cose che nella Messa letta si dicono ad
alta voce;
f) omette tutto ciò che viene detto dai sacri ministri o dal lettore.
514. Alle Messe cantate, cioè senza sacri ministri, il celebrante è tenuto ad
osservare quanto stabilito al numero precedente e, inoltre, a dire in canto
le parti proprie dei sacri ministri. L’Epistola può essere cantata da un
lettore. Se non è cantata da un lettore, è sufficiente che sia letta senza
canto dallo stesso celebrante, che tuttavia può cantarla nel modo
consueto.
515. Il tono solenne, nel canto delle orazioni, del prefazio e del Pater
noster, si usa:
a) nelle domeniche;
b) nelle Messe festive e nella Messa dell’Ufficio di S. Maria in sabato;
c) nelle vigilie di I classe;
d) nel giovedì della Cena del Signore e nella Messa della Vigilia
Pasquale;
e) durante le ottave;
f) nelle Messe votive di I, II e III classe.
516. Il tono feriale si usa:
a) nelle ferie;
b) nelle vigilie di II e III classe;
c) nelle Messe votive di IV classe;
d) nelle Messe dei defunti.
CAPITOLO X
NORME PER INGINOCCHIARSI, SEDERSI E
STARE IN PIEDI DURANTE LA MESSA
517. Alla Messa letta, il sacerdote celebrante s’inginocchia
a) quando il Ritus servandus in celebratione Missæ o l’Ordinario della
Messa o il Proprio di ciascuna Messa prescrivono d’inginocchiarsi;
b) quando il Ss. Sacramento è presente sull’altare (fuori dal
tabernacolo), ogni volta che va al centro dell’altare o se ne allontana.
518. Alle Messe in canto, il sacerdote celebrante s’inginocchia:
a) quando deve inginocchiarsi alla Messa letta. Tuttavia, alle parole
che devono essere cantate da altri, non s’inginocchia quando egli stesso
legge tali parole, ma quando esse sono dette in canto, secondo le
rubriche, dai ministri o dal coro;
b) però alle parole Et incarnátus est, nel simbolo, il sacerdote
celebrante s’inginocchia sempre quando egli stesso recita tali parole;
quando esse sono cantate, se non è seduto s’inginocchia di nuovo, se
invece è seduto non s’inginocchia, ma china profondamente il capo,
dopo averlo scoperto, eccetto che alle tre Messe della Natività del
Signore e alla Messa dell’Annunciazione della B. Maria Vergine, nelle
quali, al canto di queste parole, tutti s’inginocchiano.
519. I ministri, alle Messe in canto, s’inginocchiano sempre insieme al
sacerdote celebrante, eccettuati il suddiacono, quando tiene il libro per il
Vangelo, e gli accoliti, quando portano i candelieri: essi, in tal caso, non
s’inginocchiano. E quando il diacono canta quelle parole che richiedono la
genuflessione, egli s’inginocchia verso il libro, il celebrante e tutti gli altri
verso l’altare. Alla Consacrazione, poi, i ministri genuflettono su
entrambe le ginocchia.
520. In coro, coloro che non sono Prelati s’inginocchiano alla confessione
col suo salmo e alla benedizione del celebrante al termine della Messa. I
Prelati e i Canonici, alla benedizione, chinano profondamente il capo.
521. In coro, inoltre, tutti, anche i Prelati, s’inginocchiano:
a) alla Consacrazione;
b) durante la Comunione dei fedeli;
c) nelle Messe delle ferie d’Avvento, di Quaresima e di Passione, delle
Quattro Tempora di settembre, delle vigilie di II e III classe fuori dal
tempo pasquale e nelle Messe dei defunti: alle orazioni che precedono
l’Epistola, dopo il Dóminus vobíscum; dal termine del Sanctus fino al
Pater noster con la sua introduzione escluso; e alle orazioni dopo la
Comunione e sopra il popolo;
d) quando i ministri o il coro cantano parole che richiedono la
genuflessione.
522. Parimenti in coro tutti genuflettono su un solo ginocchio:
a) quando il celebrante, nel simbolo, recita le parole Et incarnátus est,
ecc.;
b) quando, nell’ultimo Vangelo, dice le parole Et Verbum caro factum
est.
523. Alla Messa solenne il celebrante può sedere tra il diacono e il
suddiacono su uno scanno collocato presso l’altare, dalla parte
dell’Epistola, mentre si cantano il Kýrie, eléison, il Glória in excélsis, la
sequenza e il Credo; negli altri momenti sta in piedi all’altare o
s’inginocchia, come sopra spiegato.
524. In coro, coloro che effettivamente cantano non siedono mai; gli altri,
invece, possono sedere:
a) quando siede il celebrante;
b) mentre si cantano le letture, l’Epistola, il graduale il tratto, l’Allelúia
col suo versetto e la sequenza;
c) dall’Offertorio fino all’incensazione del coro o, se il coro non viene
incensato, fino al prefazio;
b) dal termine della Comunione fino al Dóminus vobíscum che precede
le orazioni dopo la Comunione.
Negli altri momenti stanno in piedi o s’inginocchiano, come sopra
spiegato.
CAPITOLO XI
LA PREPARAZIONE DELL’ALTARE PER LA
MESSA
525. L’altare su cui si celebra il santo Sacrificio della Messa dev’essere
tutto in pietra e regolarmente consacrato; o almeno avere una tavola di
pietra, detta pietra sacra, pure regolarmente consacrata, che sia
abbastanza grande da contenere l’ostia e la maggior parte del calice; o
anche, per Indulto Apostolico, un antimensium regolarmente benedetto.
526. L’altare sia coperto da tre tovaglie regolarmente benedette, di cui
una sia tanto lunga da arrivare, ai lati, fino a terra.
527. Sopra l’altare deve trovarsi, al centro, una croce piuttosto grande col
Crocifisso e, da una parte e dall’altra, i candelieri richiesti dal tipo di
Messa con i ceri accesi. Vi si pongano anche le cosiddette «tabelle delle
secrete» o «carteglorie», ma solo per il tempo della Messa; e, al lato
dell’Epistola, un cuscino o leggio su cui appoggiare il Messale.
528. Dalla parte dell’Epistola, sopra una credenza a ciò predisposta, si
preparino le ampolline del vino e dell’acqua, la bacinella e il manutergio,
il campanello e il piattello per la Comunione dei fedeli.
529. Sull’altare non si ponga nulla che non serva al sacrificio della Messa
o all’ornamento dell’altare stesso.
530. Si conservi, dove vige, l’uso di accendere un cero presso l’altare dalla
Consacrazione alla Comunione.
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Missale Romanum VO Introduzione