MISSALE ROMANUM EX DECRETO SS. CONCILII TRIDENTINI RESTITUTUM AUCTORITATE S. PII Pp. V PROMULGATUM B. JOANNIS Pp. XXIII CURA RECOGNITUM PREMESSA GENERALE I testi latini proposti concordano con l’Edizione Tipica del Messale promulgato dal Beato Papa Giovanni XXIII nel 1962. Sia il Ritus servandus che le Rubriche dell’Ordinario della Messa, seppur fedeli all’originale, sono state tradotte liberamente con aggiunte esplicative a cura di traduttori ed esperti di liturgia. Affinché la Santa Messa Tridentina, liberalizzata dal Motu Proprio "SUMMORUM PONTIFICUM” di Sua Santità Benedetto XVI, sia celebrata senza errori, illeciti e mancanze, si ricorda che è suggerito l’uso del Messale Romano in cartaceo, stampato con il permesso di un Presule Ordinario che controllata la fedeltà all’EDITIO TYPICA, ne autorizza la stampa per uso liturgico. INTRODUZIONE AL RITO STRAORDINARIO DEL MISSALE ROMANUM Questo Rito Straordinario del Missale Romanum o Ritus Sancti Pii V, splendore e gloria della Liturgia Gregoriana è chiamato anche con il titolo di Messa Tridentina o Messa di San Pio V o anche Messa Piana o Messa Papista. La celebrazione della Messa che segue le norme liturgiche del Concilio di Trento non costituisce l’originale latino della Messa che si ascolta quotidianamente nelle nostre chiese. Tale Messa corrisponde ad un impianto liturgico del tutto differente. Il rito sancito dalle riforme del papa San Pio V non è un rito composto ex novo ma raccoglie in sé secoli di tradizioni liturgiche risalenti dagli Apostoli stessi, riordinate e ricomposte nel VI secolo da San Gregorio Magno (da qui tale Liturgia è detta anche Gregoriana) per offrire alla Chiesa universale un rito uniforme e sprovvisto di confusione od elementi che potessero dare occasione a dubbi. Il rito tridentino della splendente Liturgia Gregoriana quindi richiede innanzitutto la conoscenza del latino ecclesiastico (che tutti i sacerdoti dovrebbero conoscere inquantochè è materia obbligatoria nella ratio studiorum dei Seminari) e dei riti che materialmente costituiscono la Liturgia tridentina, quindi una conoscenza e perché no, l’uso dell’Ufficiatura divina, ovvero del Breviarium Romanum, dei Sacramenti e dei Sacramentali secondo le indicazioni del Rituale Romanum e la conoscenza del Codex Juris Canonici del 1917, che seppur ampiamente superato dal Nuovo Codice del 1983 per ciò che riguarda le Norme e le Discipline che regolano la Chiesa Cattolica, possiede un ampia parte concernente il Diritto Liturgico della Messa Piana liberalizzata da Sua Santità Benedetto XVI. Un motivo di scoraggiamento per il Sacerdote che non conosce questa Messa e che si accosta per la prima volta a questo Rito, è l’abbondanza di regole e prescrizioni, le Rubriche, (da qui l’appellativo spesso dispregiativo di una “Messa rubricistica”), quasi che questa Messa sia ingessata da queste “regolette”. Dobbiamo considerare che la Liturgia Tridentina risponde alle esigenze dell’uomo che cerca Dio, e di Dio che viene incontro all’uomo stesso attraverso la sua presenza sacramentale. È quindi un liturgia sicura, certa ed esatta; tali caratteristiche non fanno che aumentare il pregio della liturgia uscita dalle decisioni conciliari di Trento perché è in grado di immettere il credente nel solco del Deposito della fede che si è espresso liturgicamente in modo uniforme sia dal punto di vista rituale che dal punto di vista teologico. Inoltre il rito tridentino è un rito che per generazioni ha formato le schiere dei cristiani di tutto il mondo. È ovvio considerare che, chi non ha conosciuto questa “straordinaria” ricchezza della liturgia e della fede, potrebbe rimanerne disorientato. Come fare quindi per superare una tale difficoltà? Bisogna a nostro avviso entrare umilmente dentro a questo Rito non indietreggiando, quasi saltando la Riforma Liturgica data dal Concilio Ecumenico Vaticano II, ma con questa riformata ricchezza apportata alla Liturgia, acquistare quel modus celebrandi amato, onorato e venerato da TUTTI i Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II. Dal punto di vista metodologico è infatti importante conoscere e fare propri ambedue gli Ordinari perché la Divina Liturgia stessa “possa respirare di nuovo nella sua perenne bellezza sempre nuova”. Il Ritus Sancti Pii V e il Ritus Pauli VI meritano quindi la stessa attenzione e richiedono la stessa preparazione a che tutto sia svolto correttamente e con gli occhi fissi su Gesù autore e perfezionatore della Fede, Sommo Sacerdote e Vittima che si offre nelle mani del Sacerdote per comunicare la Salvezza operata nel mistero Pasquale della sua Passione Morte e Resurrezione. Solo così si potrà realizzare l’augurio rivolto a tutti i Sacerdoti della Chiesa Cattolica da Papa Benedetto XVI quando si auspicava che i due Ordinari, espressione dell’UNICO Missale Romanum si “fecondino” a vicenda, senza confusione, nel rispetto di entrambe le identità e nella fedeltà alla Chiesa che ne trasmette le ricchezze! I libri Liturgici di Trento, escluso il Rituale Romanum, non conoscono nulla di facoltativo, ma ogni Messa è definita nei particolari. Il Sacerdote ha l’obbligo di preparare per tempo la Santa Messa prima di accedere all’altare. C’è una genuina sacralità insita nel Ritus Sancti Pii V. I riti, segni sensibili, eseguiti con calma e correttamente, con stile di autentica preghiera, e le preghiere ben recitate, perché profondamente comprese ed accolti nell’intimo, aiutano non solo chi celebra, ma principalmente chi partecipa alla Messa ad elevare il cuore e la mente solamente verso Dio. La Messa potrà allora essere la vera e principale forma di preghiera: i gesti diverranno comprensibili ed abituali facilitando la partecipazione di tutti. La Messa Tridentina riformata dal beato Giovanni XXIII si divide in due forme letta (o Messa Bassa) e cantata e/o solenne; quest’ultima se celebrata dal Vescovo, si dice Pontificale. Perché una Messa sia definita in questi tre modi, occorre che rispetti delle regole ben precise, circa i Ministri presenti, gli oggetti necessari, i riti collegati a ciascun stile di Messa. Non esistono mescolamenti di stili, per nessun motivo. Il Sacerdote che legge non si stupisca dunque quando incontrerà apertamente specificati divieti e obblighi. Quando l’Ordo Missæ parla di borsa, di velo, di manipolo, di Suddiacono… può lasciare interdetti coloro che conoscono solo la nuova liturgia. Abbiamo dunque cercato di colmare le principali lacune, senza appesantire con troppe descrizioni. Tuttavia non si parlerà delle cerimonie (le quali si possono conoscere con i manuali liturgici specifici) quanto piuttosto di Ministri, Oggetti e Spazi Sacri etc, limitandosi all’uso pratico e dovendone omettere, nostro malgrado, la splendente mistagogia. Nel Ritus Sancti Pii V che abbiamo perfezionato rispetto a quello proposto a settembre del 2007 abbiamo apportato delle modifiche nelle Rubriche per facilitarne la comprensione e l’utilizzo. Le parti in corsivo riguardano le rubriche per la Messa cantata o solenne che si distinguono dalla Messa letta o cantata, affinché il Sacerdote che non vi è interessato possa sorvolarle agevolmente, evitando un surplus di notizie che facilmente gli confonderebbero le idee. Il grassetto invece è usato per segnalare e mettere in guardia da elementi comuni ma divergenti rispetto alla Messa che normalmente è celebrata in tutte le Chiese e Parrocchie d’Italia. Infatti un Sacerdote che si trovasse nel dubbio, istintivamente opererebbe secondo quello che già conosce dalla sua esperienza… ad es. potrebbe essere indotto a ritenere qualche parte della Messa facoltativa oppure sentirsi autorizzato a celebrare dovunque e con qualsiasi cosa che abbia sottomano. *** Ci permettiamo di deporre, sotto lo sguardo e l'intercessione della Beata Vergine Maria, l'intero lavoro svolto per la Maggior Gloria di Dio. Alla Madre della Chiesa affidiamo opere ed intenzioni perché le orienti e le sostenga e perchè l'uomo nella riscoperta bellezza della liturgia possa incontrare la Salvezza. Qui immaculátam Vírginem Maríam, Fílii tui Genétricem, Matrem et Salútem pópuli Románi constituísti, ut, ipsa protegénte, fídei certámen certet intrépitus, in Apostolórum doctrína firmus consístant et inter mundi procéllas incédat secúrus, donec ad cæléstem civitátem lætus pervéniat. (dal Prefazio della Salus Populi Romani) COSE UTILI DA SAPERSI PER CHI IMPARA A CELEBRARE SECONDO IL RITO STABILITO DAL VETUS ORDO MISSÆ DEL MISSALE ROMANUM PARTICOLARITÀ DI ALCUNI TIPI DI MESSA GLI SPAZI SACRI I MINISTRI OGGETTI SACRI STRUTTURA DELL’ANNO LITURGICO PER IL SACERDOTE DIFFERENZE DI ALCUNI TIPI DI MESSE A. Messa privata NB. L'aggettivo "privata" si riferisce alla intenzione per la quale la messa è celebrata, e non è in alcun modo collegato alla quantità di persone che assistono al rito o al livello di solennità del medesimo. In quanto alle intenzioni del celebrante, le messe si distinguono in: 1. conventuali (la messa che è d'obbligo essere officiata dagli istituti con obbligo di coro), 2. pro populo (generalmente la Messa applicata secondo i Sacri Canoni, dai parroci al popolo che è sotto la loro cura spirituale), 3. ad mentem episcopi (secondo una intenzione particolare indicata dal vescovo o dal Papa), 4. private (l'intenzione è decisa dal sacerdote stesso, per sè o per altri). La stragrande maggioranza delle messe che vengono officiate sono private. In genere è consuetudine del popolo chiedere che venga applicata nella messa privata del sacerdote (feriale o domenicale) un' intenzione particolare, tradizionalmente legata al versamento di un' oblazione. Sono private, ad esempio, tutte le Messe che vengono officiate in suffragio di qualche defunto e anche tutte le messe domenicali eccetto la Messa pro populo cui il parroco è tenuto a celebrare in virtù del suo ufficio. Non si deve identificare questa classificazione con i termini "missa cum populo" e "missa sine populo", come se privato fosse sinonimo di "assenza di fedeli". Tale moderna terminologia è invalsa solo dall'introduzione del rito della Messa promulgato da Paolo VI, e lungi dal voler regolare una precedenza di intenzioni, vuole solo proporre due diversi tipi di schemi per l' Ordo Missae, a seconda che vi sia presente un'assemblea in grado di eseguire azioni liturgiche comunitarie come il canto d'ingresso, oppure no. Si ricordi infine che teologicamente il Sacerdote che celebra Messa non può mai agire da persona "privata", ma sempre in persona Christi e compiendo un’azione propria della Chiesa, e per l’Ordine Sacro ha la potestà di rappresentare la Chiesa tutta. È il dogma della communio Sanctorum. Con il Rito di San Pio V il Sacerdote può celebrare da solo, anche se normalmente si richiede che il Sacerdote abbia almeno una persona presente che risponda, preferibilmente un Ministrante 1. In ogni caso, il Sacerdote continua a pronunciare le formule rivolte al popolo usando il “Voi” anche senza che nessuno risponda (es. Dominus vobiscum, Confiteor… vobis fratres, Orate fratres, Benedicat vos, Ite Missa est). B. Messe dei defunti Si usano esclusivamente paramenti neri. Anche il velo del calice e la borsa sono neri, tuttavia il canopeo del Tabernacolo ed eventualmente il paliotto dell’Altare (se reca il SS. Sacramento, altrimenti si usa quello nero) devono essere violacei. Nella Messa funebre, al termine, viene impartita l’assoluzione al feretro o al tumulo con l’aspersione e la turificazione (incensazione) del catafalco; il Sacerdote depone la pianeta ed il manipolo, e indossa il piviale, nero anch’esso. All’inizio della Messa si omette il Salmo Iudica me, e, detta l’antifona Introibo ad Altare Dei, si procede col versetto Adiutorium nostrum in nomine Domini. Leggendo l’Introito, non si segna ma traccia una croce verso il Messale; l’Introito non è intermezzato dal Gloria Patri ma dal Requiem æternam. Al Vangelo si omettono le formule Jube e Dominus sit, il bacio del libro e le parole Per evangelica. All’Offertorio non si benedice l’acqua (ma si recita ugualmente la formula dell’infusione). Dopo il Pater non si dice l’Orazione Domine Jesu Christe, qui dixisti Apostolis tuis. All’Agnus Dei non si batte il petto, termina con dona eis requiem … dona eis requiem sempiternam. Non si dice Ite Missa est ma Requiescant in pace, non si imparte benedizione. Il Ministrante non bacia le ampolline all’Offertorio. Si omettono la prima incensazione dell’Altare, quella del Vangelo e, all’Offertorio, quella dei Ministri e fedeli, incensando solo Altare e Sacerdote. Nell’anniversario del defunto o in una Messa applicatagli si può impartire l’assoluzione al tumulo, con aspersione e turificazione. Il tumulo può essere costituito da una struttura apposita o anche da un lungo tavolo (o due tavoli disposti per lunghezza) coperto dalla coltre, drappo nero recante impressa una croce GLI SPAZI SACRI (vedi immagine e schema riportati in coda alla descrizione) Come già noto, la chiesa si suddivide in due spazi, cioè il presbiterio o luogo dei Ministri Sacri e la navata o luogo dei fedeli. In una chiesa tradizionale, tuttavia, la distinzione è ben più marcata rispetto che nelle chiese postconciliari, perché fra i due spazi si pone la divisione netta e sensibile della balaustra. • La balaustra è marmorea o lignea, e va coperta con una tovaglia solo in caso della Comunione generale. Poggia su un gradino, il quale è utile perché vi si inginocchino i fedeli (possono anche disporsia alcuni cuscini sul gradino). La balaustra circonda il presbiterio o santuario. Nessun fedele salvo il sagrestano e i chierichetti dovrebbe oltrepassarla, anche al di fuori della Messa. Chi vi si accosta, se nell’Altare si conserva il SS. Sacramento, fa genuflessione, altrimenti inchino alla Croce dell’Altare. Qualora non fosse possibile ovviare all’assenza della balaustra, durante la Comunione gli Accoliti stenderanno una tovaglia in sua vece, e i fedeli si comunicheranno inginocchiandosi davanti a quella. • Il presbiterio oltre che separato è anche rialzato rispetto alla navata. L’Altare secondo le prescrizioni del Cærimoniale Episcoporum ed i commentatori sarà ulteriormente rialzato rispetto al presbiterio, con almeno tre gradini. Lo spazio del presbiterio antistante i gradini dell’Altare si chiama tecnicamente piano (planum). • Il gradino più alto dell’Altare, quello su cui starà il Sacerdote durante la maggior parte della Messa,può essere di legno e prende il nome di predella. L’Altare è virtualmente suddiviso in tre aree. Quella al centro, dove il Sacerdote lo bacia, da dove si rivolge al popolo voltandosi (tranne per il Prefazio), recita testi importanti (Kyrie, Gloria, Credo) e svolge la parte centrale della Messa dall’Offertorio alla Comunione. La seconda area è a destra guardando l’Altare, detto lato dell’Epistola perché è lì che il ministro ordinato legge o canta l’Epistola del giorno; qui si recitano diverse orazioni e si svolgono altri riti. Infine il lato del Vangelo, a sinistra, ove si leggono le pericopi evangeliche del giorno e, quasi ad ogni Messa, l’intero prologo del Vangelo secondo S. Giovanni. Le due estremità dell’Altare si chiamano, dal latino, cornua (spigolo): rispettivamente cornu Epistulae e cornu Evangelii. Quando sono presenti alla Messa il Diacono ed il Suddiacono, essi canteranno l’Epistola e il Vangelo ai lati corrispondenti, ma non sulla predella, bensì in plano, cioè sotto i gradini dell’Altare. • Da quanto si intuisce leggendo il punto precedente, in una chiesa posteriore alla riforma del Concilio di Trento non esistono uno o più amboni. Ci può essere tuttavia un pulpito sopraelevato da dove il Sacerdote, rivestito dei paramenti, rivolge ai fedeli un sermone esplicativo detto omelia o predica: esso è distinto dal presbiterio e potrebbe persino essere in mezzo alla navata perché i fedeli ascoltino meglio. Senza pulpito, il Sacerdote che predica si posizionerà al lato del Vangelo ma rivolto ai fedeli. • Allo stesso modo non esiste la sede secondo le moderne accezioni. C’è bensì uno scanno o sedilia, a tre posti e senza divisioni per il Sacerdote e i Ministri che celebrano la Messa Solenne posizionato lungo la parete destra del presbiterio, in cornu Epistole e rivolto verso la parallela parte sinistra. Il trono del Vescovo, in uso nelle cerimonie pontificali, è più vicino al moderno concetto di Cattedra episcopale ma niente nella Liturgia Tridentina rimanda alle moderne concezione della sede o del luogo dal quale il sacerdote presiede la Liturgia. • L’Altare solitamente è disposto verso Oriente o in fondo al presbiterio. Si richiede tuttavia che il Sacerdote mantenga l’orientamento di modo che, sia i fedeli che il ministro contemplino e preghino orientati verso un unico punto convenzionale espressione e segno del Cristo Redentore, “lux Oriens ex alto”. Preferibilmente l’Altare è fisso, ben saldo su stipiti marmorei. Se c’è spazio tra esso e il fondo del presbiterio o l’abside, questo spazio può essere utilizzato per farvi porre il coro del Clero assistente. • Per la schola cantorum non esiste un luogo fisso obbligatorio, ma si sceglie secondo le possibilità che offre la chiesa rispettandone sempre le strutture e conservando la dignità di ciò che si compie. • La credenza, coperta dai drappi del colore dei paramenti da una tovaglia, dovrebbe essere normalmente a destra dell’Altare, in cornu Epistolae. Su di essa si dispongono le ampolline con il loro vassoio e il catino del lavabo, il manutergio, il campanello per la Consacrazione, il piattino per la Comunione, la tabella delle Preci Leonine per la Messa privata o le altre tabelle della Messa cantata (vedi sotto in “Oggetti sacri”), oppure quando è richiesto il secchiello dell’acqua benedetta e la navicella con incenso e cucchiaino. • Infine la navata, perlopiù rettangolare, deve dare ai fedeli la possibilità di inginocchiarsi, giacché essi devono stare genuflessi per gran parte della Messa. La disposizione e il contegno devono mirare al raccoglimento e alla sacralità. • Ultima menzione merita la sagrestia. Vi deve regnare l’ordine e il rispetto per le cose sacre ivi custodite, e soprattutto non dovrebbe accedervi nessuno che non abbia incarichi attinenti alla cura della chiesa o al servizio liturgico. In ogni caso in sacrestia non deve trovare spazio nessun vociare inutile o qualsiasi altra forma di crocicchio che possa disturbare la preparazione dei sacerdoti che devono celebrare e dei fedeli che stanno pregando. Sul bancone centrale, ove si dispongono ordinatamente i paramenti, puliti ed intonsi, della Messa e delle funzioni del giorno, deve campeggiare una Croce alla quale Sacerdote e Ministri faranno inchino prima di uscire per la cerimonia e appena rientrati. Figura del presbiterio secondo quanto detto 1. Croce dell’Altare 2. Cupola (facoltativa) 3. Tabernacolo coperto da canopeo 4-9 Candelabri (questi si accendono per le Messe cantate) 10-11 Candele (queste si accendono per la Messa bassa) 12. Cartagloria dell’ultimo Vangelo 13. Cartagloria delle principali preci fisse 14. Cartagloria della preparazione del calice e del lavabo 15. Primo ripiano dell’Altare (per le candele) 16. Secondo ripiano dell’Altare (tra i candelabri si possono collocare fino a tre reliquiari per lato) 17. Altare coperto da tre tovaglie (e in più, fuori della Messa, velo coprialtare) 18. Stipiti dell’Altare 19. Paliotto (facoltativo) 20. Cornu Evangelii (al lato del Vangelo) 21. Cornu Epistulae (al lato dell’Epistola) 22. Plano (ai piedi dei gradini) 23-24 Primo e secondo gradino 25. Predella 26. Credenza coperta da tovaglia 27. Ampolline di acqua e vino su vassoio 28. Catinello per lavabo 29. Manutergio 30. Piattino della Comunione e tabella delle Preci 31. Sedile per il Sacerdote (usato solo nella Messa cantata o solenne) 32. Campanello per la Consacrazione 33. Balaustra munita di cancelletto I MINISTRI • Il Sacerdote indossa: amitto, alba, cingolo, manipolo, stola, pianeta. • Il Diacono sopra amitto, alba, cingolo, trasversalmente, poi il manipolo e la dalmatica; • Il Suddiacono è il chierico (seminarista) che ha ricevuto l'Ordine del Suddiaconato, che dà la facoltà di accedere all’altare e di ministrare i vasi sacri. Nella Messa solenne il Suddiacono ha anche il compito di cantare l'Epistola, oltre che di aiutare il Diacono nel suo servizio. Materia della sua ordinazione è la consegna del calice e della patena vuoti da parte del Vescovo. Come gli ordini minori, il Suddiaconato è d'istituzione ecclesiastica; secondo i teologi, e in particolare San Tommaso d'Aquino, la Chiesa ha infatti il potere di dividere le facoltà del Diacono (che è d'istituzione divina, insieme a quelle del Sacerdote e del Vescovo, come insegna il Concilio di Trento) in più parti potenziali la stola disposta a seconda delle necessità. Insegne liturgiche del Suddiacono sono il manipolo e la tunicella, ovvero come una dalmatica ma di foggia più piccola, ed il velo omerale durante la Messa solenne, solo dall'Offertorio fino al Pater. Nella Chiesa latina alla ricezione del Suddiaconato è legato l'obbligo formale del celibato, per cui la ricezione del Suddiaconato è impedimento dirimente al matrimonio. Quindi canonicamente parlando il Suddiaconato è considerato un Ordine Maggiore. Papa Paolo VI con la lettera apostolica Ministeria quædam del 15 Agosto del 1972, soppresse l’antichissimo ordine del Suddiaconato, ancora esistente nelle Chiese orientali ed gli ordini minori della Chiesa latina: ostiariato ed esorcistato. Nella liturgia l’ufficio del Suddiacono, può essere svolto (in mancanza) da un altro Sacerdote che ne assume i paramenti (senza stola!), oppure, secondo le rubriche del 1962, un chierico costituito in sacris (ovviamente secondo la prassi giuridica precedente al CIC del 1983); • Il numero dei Ministri è fisso. Per la Messa bassa: uno o due Ministranti. Per la Messa cantata: un Cerimoniere, un Turiferario e due Accoliti. Per la Messa solenne: come per la cantata con in più un Diacono e un Suddiacono. Tuttavia, se vi fossero altri Ministri o Chierici, possono collocarsi in una zona a loro destinata del presbiterio – o, in mancanza di spazio, dell’assemblea – in quanto coro, e, stando in cotta (e stola al momento della Comunione se questa è Generale), attendono al canto senza svolgere servizio liturgico, e ricevendo un’incensazione a parte. Ma non è escluso che alcuni di essi accendano dei ceri dalla Consacrazione alla Comunione, disponendosi in fila in plano davanti all’Altare. • Come emerge leggendo il punto precedente, non è mai ammessa dunque la concelebrazione. Solo nelle Ordinazioni Sacerdotali ed Episcopali i neoconsacrati leggono sub secreto il Canone insieme al Vescovo che lo proferisce ad alta voce (ma stando in ginocchio al loro posto in plano). • I Ministranti o gli Accoliti, ed il Cerimoniere, indossano la veste (solitamente nera) e la cotta, non il camice, riservato ai Ministri Sacri. Non è ammessa mai e per nessuna ragione la possibilità di Ministranti di sesso femminile, qualunque età abbiano. • Non esistono i “ministri straordinari della Comunione” e né gli Accoliti possono svolgere questo compito. Soltanto il Sacerdote può distribuire la S. Comunione. In caso di popolo eccezionalmente numeroso, potrebbe farsi aiutare da un altro Sacerdote presente in chiesa (stante in cotta e stola), oppure dal Diacono che avesse l’autorizzazione del Vescovo e il consenso del Parroco. • In alcune rare Messe (Quattro Tempora, Veglia Pasquale) possono avere più letture. In tal caso, quando si celebra con maggiore solennità esterna, le letture dell’Antico Testamento, dette Prophetiæ, possono essere cantate – in gregoriano secondo il loro tono proprio – da un Ministro in cotta che sia in grado di farlo (se possibile, da un chierico che abbia ricevuto l’Ordine Minore del Lettorato). Egli sta in plano, dal lato dell’Epistola, rivolto verso l’Altare e non verso il popolo. Circa il resto, l’Epistola va cantata dal Suddiacono e il Vangelo dal Diacono nella Messa solenne, altrimenti entrambi dal solo Sacerdote. • La schola cantorum può essere sia maschile, sia femminile, sia mista. In caso di schola completamente maschile, sarebbe bene che i cantori indossassero veste e cotta. OGGETTI SACRI • L’Altare è coperto da tre tovaglie, delle quali almeno una deve coprire tutta la mensa e scendere ai lati sino a terra. Le candele non possono essere a cera liquida ma necessariamente di cera naturale bianca (cera comune, gialla, è prescritta solo per la liturgia funebre), secondo la forma Romana: stretta e lunga. Esse vanno disposte simmetricamente a destra e a sinistra, possibilmente scalate, avendo al centro la Croce (quando pontifica il Vescovo si accende una settima candela dietro la Croce). Al centro della mensa deve essere infissa la Pietra Sacra contenente le Reliquie. Il paliotto è facoltativo, e deve essere del colore liturgico del giorno (il nero è sostituito dal violaceo quando si tratta dell’Altare del SS. Sacramento). L’Altare può essere sormontato da un baldacchino o ciborio (obbligatorio quando sopra l’aula della chiesa vi sono locali adibiti a uso profano) o da una grande cupola; il Tabernacolo con la Croce disposta sopra di esso, possono essere coperti da elementi con foggia simile ai baldacchini. Il Tabernacolo o almeno la sua porticina, quando custodisce il SS. Sacramento, va obbligatoriamente coperto con un canopeo, il quale segue il colore liturgico del giorno o della Messa celebrata (ad eccezione del nero, sostituito dal violaceo). Anche la pisside va coperta da un velo, di colore bianco. L’ostensorio prima e dopo l’esposizione va coperto da un velo bianco, così anche la sua teca custodita nel Tabernacolo. • Il calice e la patena in quanto consacrati dal Vescovo per un uso esclusivamente sacro, non possono essere toccati che da un Sacerdote. Tuttavia il Parroco può concedere a qualcuno il permesso esplicito di prepararli, coprendo almeno le mani con un velo. • Non si usano patene “a scodella”, ma solo piatte e lievissimamente concave. Per consacrare le ostie dei fedeli si usa la pisside con coperchio. Infatti la patena, sino all’offertorio e dopo la Comunione, deve stare sul calice. I vasi sacri esigono che almeno il loro interno sia dorato. • I lini che vengono a contatto con le Sacre Specie, benedetti precedentemente dal vescovo, devono ricevere un primo lavaggio da qualcuno che abbia ricevuto almeno il Suddiaconato, e l’acqua di questo lavaggio va versata nel sacrario. Considerando il fatto che nelle parrocchie questa figura è quasi impossibile trovarla, è opportuno delegare ufficialmente un uomo pio (o anche una donna) a compier questa mansione così delicata e pia. Fatto quindi questo primo lavaggio, i lini, possono essere puliti come di consueto, con tutto il dovuto riguardo. • L’acqua residua dell’ampollina e del lavabo, essendo benedetta, va versata nel sacrario dopo la Messa. Il lavabo è infatti amministrato con la medesima ampollina dell’acqua. Il vino restante dell’ampollina, invece, non viene benedetto e può essere gettato. NB: se il Sacerdote prevede di dover celebrare un’altra Messa nell’arco di tre ore, non usa il vino nelle abluzioni ma solo l’acqua, perché non rompa il digiuno eucaristico. • Il sacrario è presente in tutte le Chiese costruite prima della riforma liturgica (anche se molti sono stati tolti o murati dopo la riforma liturgica). È una buca coperta da botola (oppure si presenta come un piccolo lavandino a forma di imbuto) che mette a contatto direttamente con la terra di fondazione della Chiesa, benedetta dal vescovo durante la posa della prima pietra. In esso si getta qualsiasi cosa che sia stata benedetta o consacrata in modo che torni alla natura creata da Dio e sia l’usura a consumarla. Qual’ora non ci fosse in sacrestia o non si ha la certezza che lo scarico non sia stato erroneamente chiuso o peggio collegato ad un scarico del lavandino presente in sacrestia, è bene individuare un piccolo spazio di terra attiguo alla sacrestia, recintato segnato magari con una piccola croce confitta nel terreno. • Il Messale contiene di per sé tutte le formule e i testi della Messa (comprese le letture servono altri libri liturgici 3 4 e i toni cantati dal Sacerdote), non se non quelli con le melodie per i cantori [NB: va bene il Graduale, ma il migliore di tutti è il Liber Usualis, che contiene il Kyriale, il proprio e l’ordinario di ogni Messa e di ogni Divino Ufficio, e altri canti, tutto in gregoriano]. Durante la Messa letta, il Messale è sfogliato direttamente dal Sacerdote, mai dal Ministrante. Nella Messa cantata il Cerimoniere dispone il Messale ma non lo sfogli dinnanzi al Sacerdote mentre nella e Messa solenne spetta al Diacono. Il Messale non va poggiato sempre per lo stesso verso, ma sarà dritto parallelamente all’Altare quando è in cornu Epistulæ, obliquo con le pagine verso il Sacerdote quando in cornu Evangelii o rientrato nel medesimo lato. • Non si amministrano mai sacramenti durante la Messa, ma sempre separatamente. • Sull’Altare si dispongono tre tabelle o cartegloria, in verticale. Quella di sinistra riporta il testo dell’ultimo Vangelo (Prologo del Vangelo secondo S. Giovanni), quella centrale contiene le principali preghiere fisse del Sacerdote, mentre quella di destra ha la formula per l’infusione dell’acqua nel calice e il salmo del lavabo. Fuori dalla Messa le cartegloria vengono rimosse o abbassate. Una quarta tabella sta sulla credenza e viene porta al Sacerdote, alla fine della Messa letta, dal Ministrante: essa contiene le Preci Leonine. Nella Messa cantata invece possono usarsi altre tabelle, sempre prelevate dalla credenza: la prima ha i testi per l’aspersione domenicale, poi i toni dell’intonazione del Gloria, del Credo, dell’Ite Missa est. • L’uso del campanello alla Consacrazione è sempre obbligatorio anche nella Messa privata, ad eccezion fatta per il periodo intercorrente tra la Cœna Domini e la Veglia Pasquale. • L’unico strumento musicale teoricamente lecito è l’organo. Tuttavia c’è stato sempre l’uso di consentire anche strumenti classici (archi, legni, ottoni, e chitarra ma solo se suonati secondo il canone proprio della musica classica etc.). Sono comunque esclusi gli strumenti popolari (es. chitarra - se suonata con gli accordi strappando le note con il plettro - , chitarra elettrica, batteria) o folk (es. tamburi e tamburelli, cembali di vario genere); altrimenti si può sempre cantare a cappella (sola voce umana). Il canto nella Messa, gregoriano o polifonico, è sempre in latino. Sono vietate le esecuzioni di musica registrata. • Il Vetus Ordo conosce alcuni paramenti che nel Novus sono scomparsi o diversi. Ovviamente sono tutti necessari. o Il manipolo è come una stola, ma più piccola e molto corta, di origine Medievale, da allacciarsi al braccio sinistro; è l’insegna propria degli Ordini Maggiori, indica infatti il servizio: Sacerdotale, Diaconale e Suddiaconale. o Il velo del calice si pone sopra la palla e copre il calice fino alla base, almeno dal lato anteriore. [NB per conoscenza: i Prænotanda del Messale di Paolo VI, compresa l’ultima edizione promulgata, prescrivono ancora l’uso del velo. Esso è soltanto caduto in disuso a causa dell’incuranza dei Sacerdoti]. o La borsa è un grande quadrato di tela rigida nel quale si entra il corporale piegato. Si tiene sopra il calice velato, viene rimossa appena il calice è posto sull’Altare in cornu Evangelii con il lato aperto rivolto verso il sacerdote e non verso l’alto. Borsa e corporale si usano anche per l’esposizione e benedizione del SS. Sacramento. o NB: Il velo del calice e la borsa sono considerati come un complemento dei paramenti del Sacerdote. Ne seguono infatti il colore liturgico e, quando possibile, la stessa foggia (infatti spesso le sartorie ecclesiastiche vendono il complesso di pianeta, stola, manipolo, velo e borsa; aggiungendovi talvolta anche i paramenti per Diacono e Suddiacono). Per la loro disposizione vedesi figura riportata in coda. o La tunicella è il paramento del Suddiacono, negli ultimi secoli ha assunto la medesima foggia della dalmatica; il Suddiacono dall’Offertorio al Pater, indossa anche il velo omerale. o Il Vescovo ha altri paramenti (calzari, chiroteche – cioè guanti – etc… ed indossa sopra il camice la tunicella, la dalmatica e la pianeta). Inoltre utilizza più mitrie (preziosa, aurifregata e semplice) delle quali le prime due anche nel corso della stessa celebrazione, la mitra preziosa quando accede e discende dall’altare e la mitra aurifregiata nel resto del Pontificale. Circa le altre particolarità si consulti un manuale di liturgia. o I Ministri Sacri quando procedono dalla sagrestia all’Altare e viceversa possono indossare la berretta o tricorno (i religiosi alzano sul capo il cappuccio del loro abito); l’assumono anche quando stanno seduti sullo scanno durante le Messe cantate, salvo toglierla per fare gli inchini prescritti. Chi tiene l’omelia inoltre la indossa, deponendola alla fine. o La stola del Sacerdote sta incrociata e fermata con il cingolo quando si trova sul camice (non quando è sulla cotta, cioè per tutte le funzioni fuori dalla Messa). Quella del Diacono è indossata trasversalmente, dalla spalla sinistra al fianco destro e fermata con il cingolo. Il Suddiacono non ha mai la stola. o L’alba o camice ha un’unica foggia, cioè aperto sulle spalle e allacciato davanti, perché le spalle e il collo siano visibilmente coperti dall’amitto. Dunque non si usano camici con il collo chiuso o aperto da cerniera. La si indossa sempre sulla talare o sull’abito religioso. È usata solo per la Messa: nelle altre cerimonie (fossero sacramenti, benedizioni o processioni etc.) il Sacerdote indossa cotta e stola (abito corale) e, quando richiesto, il piviale. o Negli ultimi decenni prima del Concilio si è introdotto l’uso di sostituire la pianeta tradizionale con la casula. Bisogna rilevare però che si trattava di casule ricalcanti l’antica foggia medievale, dalle quali le casule che si vedono oggi sono abbastanza difformi. Preparazione del calice 1. Calice prima della preparazione 2. Vi si pone sopra il purificatoio 3. Poi la patena con l’ostia grande del Sacerdote (ed anche quella il Ministrante in caso di Messa privata) 4. La palla sopra la patena piccola per 5. Viene velato 6. Il corporale viene entrato nella borsa 7. La borsa con dentro il corporale si poggia sopra il calice velato. Tenendo questo in mano, la sinistra al nodo del calice e la destra sopra la borsa per tenerla ferma, il Sacerdote accompagnato dal Ministrante, fatta riverenza alla Croce della sagrestia, si segna con l’acqua benedetta e sale all’Altare, sul quale lo porrà estraendo e dispiegandovi sotto il corporale. STRUTTURA DELL'ANNO LITURGICO Demonimazioni latine dei giorni della settimana: Dominica: Domenica | Feria II: Lunedì | Feria III: Martedì | Feria IV: Mercoledì | Feria V: Giovedì | Feria VI: Venerdì | Sabbato: Sabato Tempo d’Avvento (paramenti di colore violaceo eccetto che nelle feste; rosa la terza domenica): - I – IV Domenica di Avvento - Ferie IV, VI e Sabato della Terza settimana d’Avvento: Quattro Tempora -24 Dicembre: Vigilia di Natale Tempo di Natale (colore bianco eccetto che nelle feste dei Santi Apostoli e Martiri): - 25 Dicembre: Natale - Ottava di Natale (sino all’1 gennaio). La Domenica intercorrente si considera soltanto come Domenica tra l’Ottava - 2 Gennaio: SS. Nome di Gesù - Ferie dal 3 al 5 Gennaio Tempo dell’Epifania (colore bianco eccetto che nelle feste dei Santi Apostoli e Martiri): - 6 Gennaio: Epifania - Domenica dopo l’Epifania: Sacra Famiglia - 13 Gennaio: Battesimo di N.S.G.C. Tempo dopo l’Epifania (colore verde eccetto che nelle feste): - dal 14 Gennaio alla Domenica di Settuagesima: numero di domeniche variabili da 2 a 6, a seconda della data della Pasqua Tempo di Settuagesima (colore violaceo eccetto che nelle feste): Si chiamano domeniche di settuagesima, sessagesima e quinquagesima le domeniche che precedono il mercoledì delle Ceneri Dalla domenica di settuagesima fino al Sabato Santo la Chiesa non officia l'Alleluia, che è un inno gioioso, ed usa paramenti viola, colore penitenziale. Nelle celebrazioni di queste settimane si ricordano ai fedeli il peccato originale, con la caduta dal Paradiso Terrestre, il diluvio universale inviato per castigare i peccatori, il sacrificio di Abramo che riceve in dono da Dio la vita del proprio figlio in premio alla propria dedizione. Lo scopo è quello di richiamare l'attenzione dei fedeli sulla necessità di non strafare durante il carnevale e di astenersi dal partecipare ad eccessive manifestazioni di intemperanza. - Domenica di Settuagesima (9 domeniche prima di Pasqua) - Domenica di Sessagesima - Domenica di Quinquagesima e due ferie seguenti, lunedì e martedì, prima del Mercoledì delle Ceneri, che da inizio alla quaresima! (nella sola Diocesi di Milano, la Quaresima ha inizio con la I Domenica di Quaresima) Tempo di Quaresima (colore violaceo eccetto che nelle feste; rosa la quarta domenica): - Mercoledì delle Ceneri (Feria IV dopo la Domenica di Quinquagesima) - I – IV Domenica di Quaresima - Ferie IV (mercoledì) , VI (venerdì) e Sabbato della Prima settimana di Quaresima: Quattro Tempora Tempo di Passione (colore violaceo eccetto che nelle feste): - I Domenica di Passione (V di Quaresima secondo il Novus Ordo). - II Domenica di Passione o delle Palme (piviale e stola rossi per la benedizione e processione; manipolo, stola e pianeta violacei per la Messa): Settimana Santa: - Feria II, III, IV (colore violaceo) Sacro Triduo: - Feria V in Cœna Domini (colore bianco) - Feria VI in Passione et Morte Domini (colore nero, ma violaceo durante la Comunione) - Sabbato Sancto (paramenti violacei per la benedizione del fuoco, bianchi per la processione del cero e il Preconio per il diacono, violacei per le letture e la benedizione dell’acqua, bianchi dall’alleluia per la rinnovazione delle promesse battesimali e la Messa) Tempo Pasquale (colore bianco eccetto per le feste dei Santi Apostoli e Martiri): - Pasqua di Risurrezione (Novilunio dopo l’equinozio di primavera) - Ottava di Pasqua (sino alla Domenica II di Pasqua o in Albis) - III – V Domenica dopo Pasqua - Rogazioni o Litanie Minori: Feria II e III dopo la V Domenica di Pasqua (colore violaceo) Tempo dell’Ascensione (colore bianco eccetto per le feste dei Santi Apostoli e Martiri): - Feria IV Vigilia dell’Ascensione - Ascensione (Feria V dopo la V Domenica di Pasqua, sono 40 giorni dopo Pasqua) - Domenica e settimana dopo l’Ascensione Tempo di Pentecoste (colore rosso): - Vigilia di Pentecoste simile alla Veglia pasquale - Domenica di Pentecoste (dieci giorni dopo l’Ascensione, 50 dopo Pasqua) - Ottava di Pentecoste - Ferie IV, VI e Sabato dell’Ottava di Pentecoste: Quattro Tempora Tempo dopo Pentecoste (colore verde eccetto che nelle feste): - SS. Trinità la domenica dopo Pentecoste (colore bianco) - Corpus Domini la Feria V dopo la SS. Trinità (colore bianco) - S. Cuore la Feria VI che segue la II Domenica dopo Pentecoste (colore bianco) - Numero di Domeniche variabile da 23 a 28. Qualora fossero più di 24, tra la 23a e la 24a si integra il numero adottando la liturgia delle domeniche dopo l’Epifania che fossero state omesse a suo tempo, ma procedendo a ritroso (la domenica seguente alla 23a si inserisce la VI dopo l’Epifania, poi la V, la IV etc), purché l’ultima Domenica dell’anno liturgico si celebri sempre col formulario della 24a del Tempo dopo Pentecoste. - Ferie IV (mercoledì) , VI (venerdì) e Sabbato della settimana seguente alla festa dell’Esaltazione della Croce (14 Settembre): Quattro Tempora (colore violaceo) - La festa di Cristo Re è l’ultima Domenica di Ottobre (colore bianco) Le Quattro Tempora cadono fra la terza e la quarta domenica di Avvento, fra la prima e la seconda domenica di Quaresima, fra Pentecoste e la festa della Santissima Trinità e la settimana seguente l'Esaltazione della Santa Croce, (14 settembre). Nel calendario liturgico della forma straordinaria del rito romano, le Quattro Tempora sono quattro distinti periodi di tre giorni - mercoledì, venerdì e sabato - di una stessa settimana approssimativamente equidistanti nel ciclo dell'anno, destinati al digiuno e alla preghiera. Questi giorni erano considerati particolarmente idonei per l'ordinazione del clero. Le Tempora avevano inizio il primo mercoledì dopo il giorno delle Ceneri (allora la prima domenica di Quaresima), Pentecoste, l'Esaltazione della Santa Croce e Santa Lucia. Questo comportava, ad esempio, che se il [14 settembre] cadeva di martedì, le Tempora cadevano li 15, 17 e 18 settembre. Perciò, le Tempora di settembre potevano cadere nella seconda o nella terza settimana di settembre. Questa comunque fu sempre la terza settimana liturgica di settembre, considerando la prima domenica di settembre quella più prossima al 1° settembre (29 agosto piuttoto che 4 settembre). Per semplificare il calendario liturgico, papa Giovanni XXIII stabilì che per terza domenica dovesse intendersi la terza domenica dall'inizio del mese. Quindi se il 14 settembre cadeva di domenica, le Tempora sarebbero state il 24, 26 e 27 settembre, 26. La Chiesa Cattolica prescriveva il digiuno in tutti i giorni delle Quattro Tempora e l'astinenza in ogni venerdì, e i fedeli erano invitati a confessarsi. Questa regola è tutt’ora seguita dai Cattolici che osservano il calendario liturgico del 1962. Il 17 febbraio 1966, papa Paolo VI con il decreto Pænitemini escluse le Quattro Tempora dai giorni di digiuno e astinenza. NB. PER IL SACERDOTE: Il giorno della Prima Messa (e tutte le volte che Celebrerà) il Sacerdote recita questa preghiera: FORMULA INTENTIONIS ANTE MISSAM Ego volo celebrare Missam, et conficere Corpus et Sanguinem Domini nostri Jesu Christi, juxta ritum sanctæ Romanæ Ecclesiæ, ad laudem omnipotentis Dei totiusque Curiæ triumphantis, ad utlitatem meam totiusque Curiæ militantis, pro omnibus, qui se commendaverunt orationibus meis in genere et in specie, et pro felici statu sanctæ Romanæ Ecclesiæ. Gaudium cum pace, ememdationem vitæ, spatium veræ pænitentiæ, gratiam et consolationem Sancti Spiritus, perseverantiam in bonis operibus, tribuat nobis omnipotens et misericors Dominus. Amen. *** Intendo celebrare questa Eucaristia e consacrare il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, secondo il rito di Santa Romana Chiesa, a lode di Dio Onnipotente e di tutta la sua corte celeste per il mio bene e quello di tutta la Santa Chiesa militante (e purgante), per tutti coloro che si sono raccomandati alle mie preghiere, in modo generale e in modo particolare, come anche per il felice stato della Santa Chiesa Romana. Il Signore onnipotente e misericordioso ci conceda di gioire nella pace, il perdono nella vita presente, il tempo per una vera penitenza, la grazia e la consolazione dello Spirito Santo e la perseveranza nelle buone opere. Amen.. Oltre questa intenzione è bene formulare un’intenzione generale perpetua all’inizio del proprio Ministero Sacerdotale con queste parole: Intendo consacrare oggi e sempre tutte le ostie collocate sul corporale! Questo per evitare per esempio quegli scrupoli al momento della consacrazione, oppure per evitare di consacrare quelle ostie che potrebbero essere collocate da malintenzionati sotto la tovaglia, per utilizzarle a scopi sacrileghi. E bene però ricordare, soprattutto per le celebrazioni con il Novus Ordo, di mettere l’intenzione qualora ci fossero oltre il numero di pissidi presenti sull’altare, pissidi fuori o parzialmente fuori il Corporale! In quel caso è necessario mettere l’intenzione solo per quella Celebrazione specifica quindi non per sempre. _______________________ 1 Il costume antico, sino alle riforme dell’ultimo ventennio che ha preceduto il Vaticano II (pontificati di Pio XII e Giovanni XXIII), prevedeva che il popolo assistesse in silenzio e sempre inginocchiato (alzandosi in piedi per i due Vangeli), così da favorire il raccoglimento e l’unione intima a Dio evitando distrazioni, mentre solo il Ministrante aveva il compito di rispondere al Sacerdote in rappresentanza dei fedeli. Di qui l’espressione, tuttora comune presso i ceti più popolari nonostante sia aborrita dai liturgisti, “ascoltare la Messa”. 2 Il Suddiaconato era un Ordine Maggiore 3 C’è un solo ciclo di letture. 4 Per le altre funzioni occorrono: Rituale Romanum (unico volume) per i sacramenti, benedizioni, esorcismi e varie; Memoriale Rituum per i riti delle funzioni liturgiche straordinarie (processione della Candelora e delle Palme, Sacro Triduo etc), Pontificale Romanum (unico volume) per le funzioni di spettanza del Vescovo, Liber Usualis (unico volume) per il canto solenne della Messa e dell’Ufficio (Breviarium Romanum in due o quattro volumi per la recita individuale o il canto semplice dell’Ufficio), Martyrolugium Romanum per il canto del Martirologio annesso alla recita dell’Ora Prima, Orationes in Benedictione Ss.mi Sacramenti per l’esposizione e benedizione col SS. Sacramento, Cæremoniale Episcoporum per tutto quanto attiene alla persona del Vescovo e ai riti delle sue cerimonie. Gli altri libri liturgici sono semplicemente degli estratti pratici di questi già nominati: Graduale Romanum, Antiphonali (Diurnale e Nocturnale) lo sono del Liber Usualis, Ordo Missæ Defunctorum lo è del Missale Romanum etc. Instructio de Musica Sacra et Sacra Liturgia Rubricarum Instructum Decretum Generale Summorum Pontificum Lettera a tutti i Vescovi del mondo n SACRA RITUUM CONGREGATIO INSTRUCTIO DE MUSICA SACRA ET SACRA LITURGIA SECONDO IL PENSIERO DELLE ENCICLICHE DI PIO XII «MUSICAE SACRAE DISCIPLINA» E «MEDIATOR DEI» Tre documenti di fondamentale importanza sono stati emanati dai Sommi Pontefici, nell’epoca nostra, sulla Musica sacra, e cioè: il Motu proprio di san Pio X, Tra le sollecitudini, del 22 novembre 1903; la Costituzione Apostolica Divini Cultus di Pio XI, di f. m., del 20 dicembre 1928; da ultimo la Lettera Enciclica Musicae Sacrae disciplina del Sommo Pontefice Pio XII, felicemente regnante, del 25 dicembre 1955; vi furono inoltre vari altri documenti pontifici di minore entità e decreti di questa Sacra Congregazione dei Riti, concernenti l’ordinamento di ciò che si riferisce alla Musica sacra. Tutti sanno che tra la Musica sacra e la sacra Liturgia intercorre, per la loro stessa natura, una così stretta relazione, che non è possibile fissare leggi o dare norme intorno all’una trascurando l’altra. In realtà, anche nei ricordati documenti pontifici e decreti della Sacra Congregazione dei Riti, ricorrono continuamente cose relative alla Musica sacra e insieme alla sacra Liturgia. Atteso poi che lo stesso Sommo Pontefice Pio XII, prima ancora di trattare della Musica sacra, aveva emanato, il 20 novembre 1947, l’altra gravissima Enciclica sulla Sacra Liturgia Mediator Dei, nella quale con mirabile coordinamento sono esposte la dottrina liturgica e le necessità pastorali, è sembrato cosa molto opportuna raccogliere organicamente dai ricordati documenti i punti principali concernenti la sacra Liturgia, la Musica sacra e la loro efficacia pastorale, ed esporli più in particolare per mezzo di una speciale Istruzione, affinché ciò che è contenuto negli stessi documenti possa più facilmente e sicuramente essere tradotto in pratica. Alla redazione di questa Istruzione contribuirono a bella posta uomini esperti nella Musica sacra e la Pontificia Commissione costituita per la riforma generale della Liturgia. La materia poi di questa Istruzione è trattata nell’ordine seguente: Capitolo I Nozioni generali (nn. 1-10). Capitolo II Norme generali (nn. 11-21). Capitolo III Norme speciali. 1. Delle principali azioni liturgiche nelle quali entra la Musica sacra. A) Della Messa. a) Alcuni princìpi generali sulla partecipazione dei fedeli (nn. 22-23). b) Della partecipazione dei fedeli nelle Messe in canto (nn. 2427). c) Della partecipazione dei fedeli nelle Messe lette (nn. 28-34). d) Della Messa conventuale, detta anche Messa in Coro (nn. 35-37). e) Dell’assistenza dei sacerdoti al sacrosanto sacrificio della Messa e delle cosiddette Messe sincronizzate (nn. 38-39). B) Dell’Ufficio divino (nn. 40-46). C) Della Benedizione eucaristica (n. 47). 2. Di alcuni generi di Musica sacra. A) Della polifonia sacra (nn. 48-49). B) Della Musica sacra moderna (n. 50). C) Del canto popolare religioso (nn. 51-53). D) Della Musica religiosa (nn. 54-55). 3. Dei libri di canto liturgico (nn. 56-59). 4. Degli strumenti musicali e delle campane. A) Alcuni princìpi generali (n. 60). B) Dell’organo classico e strumenti simili (nn. 61-67). C) Della Musica sacra strumentale (nn. 68-69). D) Degli strumenti musicali e delle macchine automatiche (nn. 70-73). E) Delle azioni sacre da trasmettersi per radio e televisione (nn. 74-79). F) Del tempo nel quale è proibito il suono degli strumenti musicali (nn. 80-85). G) Delle campane (nn. 86-92). 5. Delle persone che occupano una parte rilevante nella Musica sacra e nella sacra Liturgia (nn. 93-103). 6. Della cultura della Musica sacra e della sacra Liturgia. A) Della formazione generale del Clero e del popolo nella Musica sacra e nella sacra Liturgia (nn. 104-112). B) Degli istituti pubblici e privati per promuovere la Musica sacra (nn. 113-118). Premesse dunque alcune nozioni generali (Capitolo I), si danno norme parimenti generali circa l’uso della Musica sacra nella Liturgia (Capitolo II); posto questo fondamento, tutta la materia viene trattata nel Capitolo III; nei singoli paragrafi poi di questo capitolo si fissano dapprima alcuni princìpi più importanti, dai quali discendono poi ovviamente le norme speciali. *** Capitolo I NOZIONI GENERALI 1. «La sacra Liturgia costituisce il culto pubblico integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra1». Sono perciò «azioni liturgiche» quelle azioni sacre, che, istituite da Gesù Cristo o dalla Chiesa, vengono eseguite in loro nome secondo i libri liturgici approvati dalla Santa Sede da persone a ciò legittimamente deputate, per rendere il dovuto culto a Dio, ai Santi e Beati (cfr. can. 1256); le altre azioni sacre, che vengono compiute sia in chiesa che fuori, anche alla presenza o sotto la presidenza del sacerdote, vengono chiamate «pii esercizi». 2. Il sacrosanto sacrificio della Messa è un atto di culto pubblico, reso a Dio in nome di Cristo e della Chiesa, in qualsiasi luogo e in qualunque modo venga celebrato; la denominazione perciò di «Messa privata» si deve evitare. 3. Due sono le specie della Messa: Messa «in canto» e Messa «letta». Dicesi Messa in canto, se di fatto il celebrante canta quelle parti che deve cantare secondo le rubriche; altrimenti dicesi Messa letta. La Messa «in canto», inoltre, se è celebrata con l’assistenza dei sacri ministri, è chiamata Messa solenne; se è celebrata senza ministri sacri, è detta Messa cantata. 4. Sotto il nome di «Musica sacra» qui si intende: a) Il canto gregoriano. b) La polifonia sacra. c) La Musica sacra moderna. d) La Musica sacra per organo. e) Il canto popolare religioso. f) La Musica religiosa. 5. Il canto «gregoriano» da usarsi nelle azioni liturgiche è il canto sacro della Chiesa romana, il quale per antica e veneranda tradizione, religiosamente e fedelmente coltivato e ordinato o modulato anche in tempi più recenti secondo esemplari dell’antica tradizione, viene proposto per l’uso liturgico nei rispettivi libri approvati dalla S. Sede. Il canto gregoriano per natura sua non richiede che venga eseguito con accompagnamento di organo o di altro strumento musicale. 6. Col nome di polifonia sacra si intende quel canto misurato a più voci, senza accompagnamento di alcuno strumento, che, sorto dalle melodie gregoriane, cominciò a fiorire nella Chiesa latina durante il Medioevo, nella seconda metà del sec. XVI ebbe come massimo cultore Pierluigi da Palestrina (15251594), e viene coltivato anche oggi da insigni maestri della stessa arte. 7. La «Musica sacra moderna» è quella musica, a più voci, non escluso l’accompagnamento di strumenti musicali, la quale in epoca più recente è composta secondo i progressi dell’arte musicale. Essa però, essendo ordinata direttamente all’uso liturgico, deve ispirarsi a sentimenti di pietà e di religione, e a questa condizione è ammessa nell’uso liturgico. 8. La «Musica sacra per organo» è quella musica composta per solo organo, la quale, fin dal tempo in cui l’organo tubolare fu reso più adatto a sostenere un concerto, venne molto coltivata da maestri insigni, e, qualora siano accuratamente rispettate le leggi della Musica sacra, può servire non poco a dare maggior decoro alla sacra Liturgia. 9. Il «Canto popolare religioso» è quel canto che sgorga spontaneamente dal senso religioso di cui la creatura umana fu arricchita dal Creatore stesso, e perciò è universale, lo si ritrova cioè presso tutti i popoli. Dato poi che lo stesso canto è adattissimo a permeare di spirito cristiano la vita dei fedeli, privata e sociale, esso fu molto coltivato nella Chiesa fin dai tempi più antichi2 e viene raccomandato vivamente anche oggi per fomentare la pietà dei fedeli e a dare maggior decoro agli esercizi pii, che anzi talvolta può essere usato anche nelle azioni liturgiche3. 10. La «Musica religiosa» finalmente è quella che, sia per l’intenzione dell’autore, sia per l’argomento e il fine dell’opera, si propone di esprimere e suscitare sentimenti pii e religiosi e perciò è molto utile alla religione4; dato però che non è ordinata al culto divino ed ha un carattere più libero, nelle azioni liturgiche non è ammessa. *** Capitolo II NORME GENERALI 11. Questa Istruzione ha vigore per tutti i riti della Chiesa latina; pertanto, ciò che è detto del canto gregoriano vale anche per il canto liturgico proprio degli altri riti latini, qualora esista. Col nome poi di «Musica sacra» in questa Istruzione si intende talvolta il canto e il suono degli strumenti, talvolta soltanto il suono degli strumenti, come può dedursi facilmente dal contesto. Finalmente con la parola «chiesa» ordinariamente si intende ogni «luogo sacro», e cioè: la chiesa in senso stretto, l’oratorio pubblico, semipubblico e privato (cfr. cann. 1154, 1161, 1188), a meno che dal contesto non apparisca trattarsi delle sole chiese in senso stretto. 12. Le azioni liturgiche devono essere eseguite a norma dei libri liturgici legittimamente approvati dalla Sede Apostolica, sia per la Chiesa universale, sia per qualche chiesa particolare o famiglia religiosa (cfr. can. 1257); gli esercizi pii invece si svolgono secondo le consuetudini e le tradizioni dei luoghi o di ceti di persone, approvate dalla competente autorità ecclesiastica (cfr. can. 1259). Non è lecito frammischiare azioni liturgiche ed esercizi pii; ma, se occorra, gli esercizi pii o precedano o seguano le azioni liturgiche. 13. a) La lingua delle azioni liturgiche è la latina, a meno che nei sopraddetti libri liturgici, sia generali che particolari, per alcune azioni liturgiche sia esplicitamente ammessa un’altra lingua, e salve quelle eccezioni che vengono appresso indicate. b) Nelle azioni liturgiche celebrate in canto, non è lecito cantare alcun testo liturgico tradotto letteralmente in lingua volgare5 salvo concessioni particolari. c) Le eccezioni particolari, concesse dalla S. Sede, alla legge di usare unicamente nelle azioni liturgiche la lingua latina, restano in vigore; non è lecito però, senza licenza della stessa Santa Sede, dare ad esse una interpretazione più larga o trasferirle ad altre regioni. d) Negli esercizi pii si può usare qualsiasi lingua più opportuna ai fedeli. 14. a) Nelle Messe in canto si deve usare unicamente la lingua latina, non soltanto dal sacerdote celebrante e dai ministri, ma anche dalla «Schola cantorum» o dai fedeli. «Peraltro, là dove per una secolare o immemorabile consuetudine, nel solenne Sacrificio Eucaristico [cioè nella Messa in canto], dopo le sacre parole liturgiche cantate in latino, vengano inseriti alcuni canti popolari in lingua volgare, gli Ordinari dei luoghi potranno permettere che ciò si faccia, "se per le circostanze locali e di persone, stimeranno che detta [consuetudine] non possa essere prudentemente rimossa" (can. 5), ferma restante la legge per la quale è stabilito che le stesse parole liturgiche non siano cantate in volgare6». b) Nelle Messe lette il sacerdote celebrante, il suo ministro e i fedeli che insieme al sacerdote celebrante partecipano direttamente all’azione liturgica, e cioè che dicono a voce alta quelle parti della Messa che loro spettano (cfr. n. 31) devono usare unicamente la lingua latina. Tuttavia se i fedeli, oltre questa partecipazione liturgica diretta, desiderano aggiungere, secondo la consuetudine dei luoghi, alcune preghiere o canti popolari, lo possono fare anche nella propria lingua. c) È strettamente proibito recitare ad alta voce, insieme al sacerdote celebrante, le parti del Proprio, dell’Ordinario e del Canone della Messa in lingua latina o in traduzione verbale, tanto da parte di tutti i fedeli che di qualche commentatore, eccezione fatta per ciò che viene indicato al n. 31. È desiderabile però che nelle domeniche e nei giorni festivi, nelle Messe lette, il Vangelo e anche l’Epistola vengano letti da qualche lettore in lingua volgare, per utilità dei fedeli. Dalla Consacrazione poi al Pater noster si consiglia un sacro silenzio. 15. Nelle sacre processioni descritte nei libri liturgici, si usi quella lingua che gli stessi libri prescrivono o ammettono; nelle altre processioni, invece, che vengono fatte a modo di pii esercizi, si può usare quella lingua che sia più opportuna ai fedeli che vi intervengono. 16. Il Canto gregoriano è il canto sacro, proprio e principale della Chiesa romana; pertanto esso non solo si può usare in tutte le azioni liturgiche, ma, a parità di condizione, è da preferirsi agli altri generi di Musica sacra. Perciò: a) La lingua del canto gregoriano, come canto liturgico, è unicamente la lingua latina. b) Quelle parti delle azioni liturgiche che secondo le rubriche sono da cantarsi dal sacerdote celebrante e dai suoi ministri, si devono cantare unicamente secondo le melodie gregoriane, quali sono proposte nelle edizioni tipiche, con la proibizione dell’accompagnamento di qualsiasi strumento. La «schola» e il popolo, quando rispondono secondo le rubriche al sacerdote e ai ministri che cantano, devono usare anch’essi unicamente le stesse melodie gregoriane. c) Finalmente, là dove fu permesso con Indulti particolari che nelle Messe in canto il sacerdote celebrante, il diacono o il suddiacono, o il lettore, dopo il canto nella melodia gregoriana dell’Epistola o della Lezione o del Vangelo, possano proclamare gli stessi testi anche in lingua volgare, ciò deve esser fatto leggendo a voce alta e chiara, con esclusione di qualsiasi melodia gregoriana, autentica o imitata (cfr. n. 96 e). 17. La Polifonia sacra si può usare in tutte le azioni liturgiche, ma a questa condizione: che vi sia una «schola» che la possa eseguire a regola d’arte. Questo genere di Musica sacra conviene specialmente alle azioni liturgiche che si vogliono celebrare con maggiore splendore. 18. Parimente la Musica sacra moderna può essere ammessa in tutte le azioni liturgiche, se in realtà risponde alla dignità, alla gravità e santità della Liturgia, e vi sia una «schola» che la possa eseguire a regola d’arte. 19. Il Canto popolare religioso si può usare liberamente negli esercizi pii; nelle azioni liturgiche invece si osservi strettamente ciò che sopra è stato stabilito, nn. 13-15. 20. La Musica religiosa poi sia esclusa assolutamente da tutte le azioni liturgiche; negli esercizi pii peraltro si può ammettere; quanto ai concerti in luoghi sacri, si osservino le norme che vengono date appresso, nn. 54 e 55. 21. Tutto ciò che, a norma dei libri liturgici, deve essere cantato, sia dal sacerdote e dai suoi ministri, sia dalla «schola» o dal popolo, appartiene integralmente alla stessa sacra Liturgia. Ciò posto: a) È strettamente vietato cambiare in qualsivoglia modo l’ordine del testo che si deve cantare, alterare le parole od ometterle, o ripeterle inopportunamente. Anche nelle melodie composte in forma di polifonia o di musica sacra moderna, le singole parole del testo devono potersi percepire chiaramente e distintamente. b) Per la stessa ragione, in qualsiasi azione liturgica è esplicitamente vietato di omettere, in tutto o in parte, qualsiasi testo liturgico che si deve cantare, a meno che sia disposto diversamente dalle rubriche. c) Se tuttavia per ragionevole causa, ad esempio per il numero ristretto di cantori o per la loro imperfetta perizia nell’arte del canto o anche talvolta per la prolissità di qualche rito o melodia, l’uno o l’altro testo liturgico che appartiene alla «schola» non si possa cantare come è notato nei libri liturgici, è permesso soltanto che quei testi possano essere cantati integralmente o in retto tono o a modo di salmo, con accompagnamento, se si vuole, di organo. *** Capitolo III NORME SPECIALI 1. DELLE PRINCIPALI AZIONI LITURGICHE NELLE QUALI ENTRA LA MUSICA SACRA A) DELLA MESSA a) Alcuni princìpi generali intorno alla partecipazione dei fedeli 22. La Messa richiede, per sua natura, che tutti i presenti vi partecipino nel modo proprio a ciascuno. a) Questa partecipazione deve essere in primo luogo interna, attuata cioè con devota attenzione della mente e con affetti del cuore, attraverso la quale i fedeli «strettissimamente si uniscano al Sommo Sacerdote... e con Lui e per Lui offrano [il Sacrificio] e con Lui si donino7». b) La partecipazione però dei presenti diventa più piena se all’attenzione interna si aggiunge una partecipazione esterna, manifestata cioè con atti esterni, come sono la posizione del corpo (genuflettendo, stando in piedi, sedendo), i gesti rituali, soprattutto però le risposte, le preghiere e il canto. Di questa partecipazione il Sommo Pontefice Pio XII, nella Lettera enciclica sulla Liturgia Mediator Dei, parlando in generale raccomanda quanto segue: «Sono da lodarsi coloro che si studiano di far sì che la Liturgia anche esternamente sia un’azione sacra, alla quale tutti i presenti in realtà prendano parte. E ciò può avverarsi in vari modi: quando cioè tutto il popolo, secondo le norme dei sacri riti, risponde, conservando il giusto ordine, alle parole del sacerdote, o eseguisce dei canti che rispondano alle varie parti del Sacrificio, o fa l’uno e l’altro, o finalmente quando nella Messa solenne risponde alle preghiere del celebrante e partecipa anche al canto liturgico8». Tale armonica partecipazione hanno di mira i documenti pontifici quando parlano di «attiva partecipazione9», di cui l’esempio principale è offerto dal sacerdote celebrante e dai suoi ministri, i quali servono all’altare con la dovuta pietà interna e con l’esatta osservanza delle rubriche e cerimonie. c) Finalmente la partecipazione attiva diventa perfetta, quando vi si aggiunge anche la partecipazione sacramentale, per la quale cioè «i fedeli presenti partecipano non solo con affetto spirituale, ma anche con la sacramentale Comunione, affinché su di essi scendano più copiosi i frutti di questo santissimo Sacrificio10». d) Dato però che una cosciente e attiva partecipazione dei fedeli non si può ottenere senza una loro sufficiente istruzione, giova ricordare quella sapiente legge emanata dai Padri Tridentini, con la quale si prescrive: «Il sacro Concilio ingiunge ai pastori e ai singoli aventi cura di anime, che frequentemente durante la celebrazione della Messa [cioè nell’omelia dopo il Vangelo, ossia «quando si impartisce al popolo cristiano la catechesi»], per se stessi o per mezzo di altri, espongano una qualche parte di ciò che vien letto nella Messa, e fra l’altro si spieghi un qualche mistero di questo santissimo Sacrificio, specialmente nei giorni di domenica e festivi11». 23. Occorre però ordinare i vari modi con i quali i fedeli possano partecipare attivamente al sacrosanto Sacrificio della Messa, in maniera che venga rimosso il pericolo di ogni abuso e si possa raggiungere il fine principale della stessa partecipazione, il più pieno culto cioè di Dio e l’edificazione dei fedeli. b) Della partecipazione dei fedeli nelle Messe in canto 24. La forma più nobile della celebrazione eucaristica la si ha nella Messa solenne, nella quale la congiunta solennità delle cerimonie, dei ministri e della Musica sacra rende manifesta la magnificenza dei divini misteri e conduce la mente dei presenti alla pia contemplazione degli stessi misteri. Ci si dovrà preoccupare perciò che i fedeli abbiano una adeguata stima di questa forma di celebrazione, partecipandovi in modo opportuno, come viene in appresso indicato. 25. Nella Messa solenne dunque, l’attiva partecipazione dei fedeli può essere di tre gradi: a) Il primo grado si ha, quando tutti i fedeli danno cantando le risposte liturgiche: Amen; Et cum spiritu tuo; Gloria tibi, Domine; Habemus ad Dominum; Dignum et iustum est; Sed libera nos a malo; Deo gratias. Si deve cercare con ogni cura che tutti i fedeli, di ogni parte del mondo, possano dare cantando queste risposte liturgiche. b) Il secondo grado si ha quando tutti i fedeli cantano anche le parti dell’Ordinario della Messa: Kyrie, eleison; Gloria in excelsis Deo; Credo; Sanctus-Benedictus; Agnus Dei. Si deve poi cercare di far sì che i fedeli imparino a cantare queste stesse parti dell’Ordinario della Messa, soprattutto con le melodie gregoriane più semplici. Se d’altra parte non sapessero cantare tutte le singole parti, nulla vieta che i fedeli ne cantino alcune delle più facili, come il Kyrie, eleison; Sanctus-Benedictus; Agnus Dei, riservando il Gloria e il Credo alla «schola cantorum». Si deve cercare inoltre di far sì che in tutte le parti del mondo i fedeli imparino queste più facili melodie gregoriane: Kyrie, eleison; Sanctus-Benedictus, e Agnus Dei secondo il numero XVI del Graduale Romano; il Gloria in excelsis Deo con Ite, Missa est-Deo gratias, secondo il numero XV; il Credo poi secondo il num. I o III. In questo modo si potrà ottenere quel risultato tanto desiderabile, che i fedeli in tutto il mondo possano manifestare, nell’attiva partecipazione al sacrosanto Sacrificio della Messa, la loro fede comune anche con uno stesso festoso concento12. c) Il terzo grado finalmente si ha quando tutti i presenti siano talmente preparati nel canto gregoriano da poter cantare anche le parti del Proprio della Messa. Questa piena partecipazione alla Messa in canto si deve sollecitare soprattutto nelle comunità religiose e nei seminari. 26. È da tenersi in gran conto anche la Messa cantata, la quale, sebbene sia priva dei ministri sacri e della piena magnificenza delle cerimonie, è adornata però della bellezza del canto e della Musica sacra. È desiderabile che nelle domeniche e giorni festivi la Messa parrocchiale o quella principale siano in canto. Tutto ciò poi che è stato detto intorno alla partecipazione dei fedeli nella Messa solenne vale anche pienamente per la Messa cantata. 27. Nelle Messe in canto si tenga presente inoltre quanto segue: a) Se il sacerdote con i ministri fa l’ingresso in chiesa per una via più lunga, niente impedisce che, dopo che sia stata cantata l’antifona dell’Introito con il suo versetto, si cantino diversi altri versetti dello stesso salmo; nel qual caso, dopo ogni versetto o ogni due versetti, si può ripetere l’antifona e, quando il celebrante è giunto all’altare, interrotto – se è il caso – il salmo, si canta il Gloria Patri e per ultimo si ripete l’antifona. b) Dopo l’antifona all’Offertorio si possono cantare le antiche melodie gregoriane di quei versetti, che una volta venivano cantati dopo l’antifona. Se però l’antifona all’Offertorio è desunta da qualche salmo, è lecito cantare altri versetti dello stesso salmo; nel qual caso, dopo ogni versetto o ogni due versetti, si può ripetere l’antifona e, terminato l’Offertorio, il salmo si chiude col Gloria Patri e si ripete l’antifona. Se invece l’antifona non è presa da un salmo, si può scegliere un altro salmo adatto alla solennità. Terminata poi l’antifona all’Offertorio, si può cantare anche qualche breve canto latino, che sia intonato però a questa parte della Messa e non sia protratto oltre la Secreta. c) L’antifona alla Comunione di per sé si deve cantare mentre il sacerdote celebrante si comunica. Se però ci sono dei fedeli da comunicare, il canto della stessa antifona si cominci mentre il sacerdote distribuisce la santa Comunione. Se la stessa antifona alla Comunione è desunta da qualche salmo, è lecito cantare altri versetti dello stesso salmo; nel qual caso, dopo ogni versetto o ogni due versetti, si può ripetere l’antifona e, terminata la Comunione, il salmo si chiude col Gloria Patri e si ripete l’antifona. Se invece l’antifona non è presa da un salmo, si può scegliere un salmo intonato alla solennità e all’azione liturgica. Terminata poi l’antifona alla Comunione, soprattutto se la Comunione dei fedeli si prolunga molto, è lecito cantare anche un altro breve canto latino, adatto all’azione sacra. I fedeli inoltre che si accostano alla sacra Comunione, possono recitare insieme al sacerdote celebrante il triplice Domine, non sum dignus. d) Il Sanctus e il Benedictus, se sono cantati in gregoriano, devono essere cantati senza interruzione, altrimenti il Benedictus si canti dopo la Consacrazione. e) Durante la Consacrazione ogni canto deve cessare e, dove c’è la consuetudine, anche il suono dell’organo o di qualsiasi altro strumento musicale. f) Dopo la Consacrazione, se non c’è ancora da cantare il Benedictus, si raccomanda un sacro silenzio fino al Pater noster. g) Mentre il sacerdote celebrante, alla fine della Messa, benedice i fedeli, l’organo deve tacere; il sacerdote celebrante poi deve pronunziare le parole della Benedizione in modo che da tutti i fedeli possano essere intese. c) Della partecipazione dei fedeli nelle Messe lette 28. Si deve cercare accuratamente di far sì che i fedeli assistano anche alla Messa letta «non come estranei o muti spettatori13», ma con quella partecipazione che è richiesta da un tanto mistero e che reca frutti copiosissimi. 29. Il primo modo col quale i fedeli possono partecipare alla Messa letta si ha quando ciascuno, di propria industria, vi partecipa sia internamente, facendo attenzione cioè alle principali parti della Messa, sia esternamente, secondo le diverse approvate consuetudini delle varie regioni. Sono degni soprattutto di lode coloro che, usando un piccolo messale adatto alla propria capacità, pregano insieme al sacerdote con le stesse parole della Chiesa. Dato però che non tutti sono egualmente preparati a comprendere adeguatamente i riti e le formule liturgiche, e atteso inoltre che le necessità spirituali non sono per tutti le stesse, né restano sempre in ciascuno le medesime, per questi fedeli vi è un’altra forma di partecipazione, più adatta e più facile, quella cioè «di meditare piamente i misteri di Cristo o di fare altri pii esercizi e dire altre preghiere, che, sebbene differiscono per la forma dai sacri riti, nella loro natura però si accordano con essi14». Si noti inoltre che, se in qualche luogo vi è la consuetudine di suonare l’organo durante la Messa letta, senza che i fedeli partecipino alla Messa con preghiere comuni o con il canto, è da riprovarsi l’uso di suonare quasi senza interruzione l’organo, l’harmonium o qualche altro strumento musicale. Questi strumenti dunque devono tacere: a) Dall’ingresso del sacerdote all’altare fino all’Offertorio; b) Dai primi versetti del Prefazio fino al Sanctus incluso; c) Dove esiste la consuetudine, dalla Consacrazione fino al Pater noster; d) Dal Pater noster fino all’Agnus Dei incluso; durante la confessione prima della Comunione dei fedeli; mentre si recita il Dopocomunione e si dà la Benedizione alla fine della Messa. 30. Il secondo modo di partecipazione si ha quando i fedeli partecipano al Sacrificio eucaristico con preghiere e canti in comune. Si deve far sì che le preghiere e i canti siano strettamente intonati alle singole parti della Messa, fermo restando quanto è prescritto al n. 14 c. 31. Il terzo e più completo modo di partecipazione si ottiene finalmente quando i fedeli rispondono liturgicamente al sacerdote celebrante quasi «dialogando» con lui, e recitando a voce chiara le parti loro proprie. Di questa più completa partecipazione si possono distinguere quattro gradi: a) Primo grado, quando i fedeli danno al sacerdote celebrante le risposte liturgiche più facili: Amen; Et cum spiritu tuo; Deo gratias; Gloria tibi, Domine; Laus tibi, Christe; Habemus ad Dominum; Dignum et iustum est; Sed libera nos a malo. b) Secondo grado, quando i fedeli recitano inoltre quelle parti che secondo le rubriche sono da dirsi dal ministrante; e, se la Comunione è distribuita durante la Messa, recitano anche il Confiteor e il triplice Domine, non sum dignus. c) Terzo grado, se i fedeli recitano insieme al sacerdote celebrante anche le parti dell’Ordinario della Messa, cioè: Gloria in excelsis Deo; Credo; Sanctus-Benedictus; Agnus Dei. d) Quarto grado, finalmente, se i fedeli recitano insieme al sacerdote anche le parti appartenenti al Proprio della Messa: Introito; Graduale; Offertorio; Comunione. Questo ultimo grado può essere usato degnamente, come si conviene, solo da scelte collettività più colte e ben preparate. 32. Nelle Messe lette tutto il Pater noster, dato che è una preghiera adatta e usata fin dall’antichità come preparazione alla Comunione, può essere recitato dai fedeli insieme al sacerdote, ma solo in lingua latina, e coll’aggiunta da parte di tutti dell’Amen, esclusa ogni recitazione in lingua volgare. 33. Nelle Messe lette i fedeli possono cantare canti popolari religiosi, a condizione però che questi siano strettamente intonati alle singole parti della Messa (cfr. n. 14 b). 34. Il sacerdote celebrante, soprattutto se la chiesa è grande e il popolo numeroso, tutto ciò che secondo le rubriche deve essere pronunziato a chiara voce, lo pronunzi con tale voce che tutti i fedeli possano opportunamente e comodamente seguire la sacra azione. d) Della Messa «conventuale» detta anche Messa «in coro» 35. Tra le azioni liturgiche che eccellono per speciale dignità, è giustamente da annoverarsi la Messa «conventuale» o «in coro», quella cioè che si deve celebrare ogni giorno in connessione con l’Ufficio divino, da parte di coloro che per legge della Chiesa sono obbligati al coro. La Messa infatti e l’Ufficio divino costituiscono l’insieme di tutto il culto cristiano, cioè quella piena lode che ogni giorno viene tributata, anche con solennità esterna e pubblica, a Dio onnipotente. Siccome però non è possibile compiere ogni giorno in tutte le chiese questa pubblica e collegiale offerta di culto divino, essa viene compiuta, quasi come sostituzione vicaria, da coloro che sono a ciò deputati, in forza della legge del «coro»; ciò vale soprattutto per le chiese cattedrali rispetto a tutta la diocesi. Pertanto tutte le celebrazioni «in coro», ordinariamente devono essere eseguite con particolare decoro e solennità, adornate cioè di canto e di musica sacra. 36. La Messa perciò conventuale di per sé deve essere solenne o almeno cantata. Dove però per leggi particolari o per speciali Indulti è stato dispensato dalla solennità della Messa «in coro», si eviti almeno strettamente che durante la Messa conventuale siano recitate le Ore canoniche. È raccomandato, invece, che la Messa conventuale letta sia eseguita nella forma proposta al n. 31, escluso però qualsiasi uso della lingua volgare. 37. Intorno alla Messa conventuale, si osservi inoltre quanto segue: a) Ogni giorno si deve dire una sola Messa conventuale, che deve concordare con l’Ufficio recitato in coro, a meno che sia disposto altrimenti dalle rubriche (Additiones et Variationes in rubricis Missalis, tit. I, n. 4). L’obbligo tuttavia di celebrare altre Messe in coro, in forza di pie fondazioni o per altra legittima causa, resta immutato. b) La Messa conventuale segue le norme della Messa in canto o letta. c) La Messa conventuale si deve dire dopo Terza, a meno che il superiore della comunità, per grave causa, non ritenga opportuno che sia celebrata dopo Sesta o Nona. d) Le Messe conventuali «fuori coro», prescritte talvolta fino ad ora dalle rubriche, sono soppresse. e) Dell’assistenza dei sacerdoti al sacrosanto sacrificio della Messa e delle cosiddette Messe «sincronizzate». 38. Premesso che la concelebrazione sacramentale nella Chiesa latina è limitata ai casi stabiliti dal diritto; richiamata poi in mente la risposta della Suprema S. Congregazione del S. Offizio del 23 maggio 195715, con la quale si dichiara invalida la concelebrazione del sacrificio della Messa da parte di sacerdoti, che, pur indossando i paramenti sacri e avendo qualsiasi intenzione, non proferiscono le parole della consacrazione: non è proibito che, se più sacerdoti si riuniscono insieme in occasione di Convegni, «uno solo celebri, gli altri invece (o tutti o parecchi) assistano a questa sola celebrazione e in essa ricevano la santa Comunione dalle mani del celebrante», purché «ciò si faccia per giusto e ragionevole motivo, e il Vescovo, per evitare l’ammirazione dei fedeli, non abbia stabilito diversamente», e purché sotto questa maniera di agire non si nasconda l’errore ricordato dal Sommo Pontefice Pio XII, che cioè la celebrazione di una Messa, alla quale assistono piamente cento sacerdoti, equivalga alla celebrazione di cento Messe da parte di cento sacerdoti16. 39. Sono poi proibite le cosiddette «Messe sincronizzate», vale a dire quelle Messe celebrate in questo modo particolare, che cioè due o più sacerdoti, in uno o più altari, celebrano la Messa così simultaneamente da eseguire allo stesso tempo tutte le azioni e proferire tutte le parole, adoperando anche, specialmente se il numero dei sacerdoti che così celebrano è grande, alcuni strumenti moderni, con i quali si possa più facilmente ottenere questa assoluta uniformità o «sincronizzazione». B) DELL’UFFICIO DIVINO 40. L’Ufficio divino può essere recitato o «in coro», o «in comune», o «da solo». Si dice «in coro» se la recita dell’Ufficio divino è fatta da una comunità, che per legge ecclesiastica sia obbligata al coro; «in comune» invece, se è fatta da una comunità che non è obbligata al coro. L’Ufficio divino, però, in qualunque modo venga recitato, sia in «in coro», sia «in comune», sia «da solo», quando viene recitato da coloro che per legge ecclesiastica sono incaricati della recita dell’Ufficio, si deve sempre ritenere come un atto di culto pubblico, reso a Dio in nome della Chiesa. 41. L’Ufficio divino per natura sua è così ordinato da doversi dire a cori alterni; anzi alcune parti di per sé dovrebbero essere cantate. 42. Ciò posto, la recita dell’ufficio «in coro» si deve conservare e favorire; la recita poi «in comune», come anche il canto almeno di qualche parte dell’ufficio, a seconda delle condizioni dei luoghi, dei tempi e delle persone, è vivamente raccomandata. 43. La salmodia «in coro» o «in comune», sia che si faccia in canto gregoriano che senza canto, sia grave e dignitosa, con tono conveniente, con le dovute pause e con piena concordanza delle voci. 44. Se i salmi di un’Ora canonica si debbano cantare, parte almeno devono essere cantati in gregoriano, o un salmo sì e l’altro no, o un versetto sì e l’altro no. 45. L’antica e veneranda consuetudine di cantare i Vespri nelle domeniche e nei giorni festivi insieme al popolo, a norma delle rubriche, dove esiste la si conservi; dove non esiste, per quanto è possibile, la si introduca, alcune volte almeno durante l’anno. Cerchino inoltre gli Ordinari dei luoghi di far sì che, a causa della Messa vespertina, non vada in disuso il canto dei Vespri nelle domeniche e nei giorni festivi. Le Messe vespertine, infatti, che l’Ordinario del luogo può permettere «se lo richieda il bene spirituale di una notevole parte di fedeli17», non devono essere a detrimento delle azioni liturgiche e degli esercizi pii, con i quali il popolo cristiano usò santificare le feste. Per la qual cosa l’uso di cantare i Vespri o di fare altri pii esercizi con la Benedizione eucaristica, dove è in vigore, lo si mantenga, anche se si celebra la Messa vespertina. 46. Nei Seminari poi di chierici, sia secolari che religiosi, si reciti spesso in comune almeno una qualche parte dell’Ufficio divino, e possibilmente in canto; nelle domeniche poi e nei giorni festivi si cantino almeno i Vespri (can. 1367, 3°). C) DELLA BENEDIZIONE EUCARISTICA 47. La Benedizione eucaristica è una vera azione liturgica; perciò si deve fare come è descritta nel Rituale Romano, tit. X, cap. V, n. 5. Se tuttavia in qualche luogo esista per tradizione immemorabile un altro modo di impartire la Benedizione eucaristica, questo modo, con la licenza dell’Ordinario, può essere conservato; si raccomanda però di introdurre con prudenza l’uso romano della Benedizione eucaristica. 2. DI ALCUNI GENERI DI MUSICA SACRA A) DELLA POLIFONIA SACRA 48. Le opere di autori di polifonia sacra, sia antichi che più recenti, non si introducano nelle azioni liturgiche, se prima non consti con certezza che sono composte o adattate in modo da rispondere realmente alle norme e ai consigli adatti al riguardo nella Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina. (18) Nel dubbio si consulti la Commissione diocesana di Musica sacra. 49. Gli antichi monumenti di questa stessa arte, che giacciono ancora negli archivi, siano diligentemente ricercati, si provveda opportunamente, se necessario, alla loro conservazione, e siano preparate da esperti le loro edizioni, sia critiche che per l’uso liturgico. B) DELLA MUSICA SACRA MODERNA 50. Le opere di Musica sacra moderna non si usino nelle azioni liturgiche, se non sono composte secondo le leggi della liturgia e della stessa arte di musica sacra, secondo lo spirito della Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina19. Sulla qual cosa il giudizio sarà dato dalla Commissione diocesana di Musica sacra. C) DEL CANTO POPOLARE RELIGIOSO 51. Il Canto popolare religioso deve essere molto raccomandato e promosso; per suo mezzo infatti la vita cristiana viene permeata di spirito religioso e la mente dei fedeli viene elevata a cose più alte. Tale canto popolare religioso ha un suo posto in tutte le solennità della vita cristiana, sia pubbliche che domestiche, od anche tra i prolungati lavori della vita quotidiana; una parte però ancor più nobile l’occupa in tutti i pii esercizi, da farsi sia in chiesa che fuori; talvolta infine è ammesso nelle stesse azioni liturgiche, secondo le norme date sopra (nn. 13-15). 52. Affinché poi i canti popolari religiosi raggiungano il loro fine, «è necessario che siano conformi pienamente alla dottrina della Fede cattolica, che la presentino e spieghino rettamente, che usino una lingua piana e una melodia semplice, che siano immuni da sovrabbondanza di parole gonfie e vuote, e infine che, sebbene brevi e facili, abbiano una certa religiosa dignità e compostezza20». Gli Ordinari dei luoghi abbiano sollecita cura perché queste prescrizioni siano osservate. 53. Si raccomanda perciò a tutti coloro cui spetta che i canti popolari religiosi, anche dei tempi passati, tramandati per iscritto o a voce, siano opportunamente raccolti e, con l’approvazione degli Ordinari dei luoghi, siano stampati per uso dei fedeli. D) DELLA MUSICA RELIGIOSA 54. Si deve anche stimare molto e opportunamente coltivare quella musica che, sebbene per la sua particolare indole non può essere ammessa nelle azioni liturgiche, ciò nondimeno tende a produrre negli ascoltatori affetti religiosi e a favorire la stessa religione, e perciò a buon diritto è chiamata musica religiosa. 55. Le sedi proprie per l’esecuzione delle opere di musica religiosa sono gli auditori destinati ai concerti di musica o le sale destinate a spettacoli o congressi, non al certo le chiese, consacrate al culto di Dio. Se peraltro in qualche luogo mancasse un auditorio musicale o altra sala conveniente, e nondimeno si ritenesse che il concerto di musica religiosa possa essere di utilità spirituale ai fedeli, l’Ordinario del luogo potrà permettere un tale concerto in qualche chiesa, osservando però quanto segue: a) Per ogni singola esecuzione di concerto si richiede il permesso scritto dell’Ordinario del luogo; b) Per ottenere questo permesso è necessario farlo precedere da una domanda scritta, nella quale si devono specificare: il tempo del concerto, gli argomenti delle opere, i nomi dei maestri (dell’organista e del direttore del coro) e degli artisti; c) L’Ordinario del luogo non conceda il permesso se, dopo aver sentito il parere della Commissione diocesana di Musica sacra e se mai anche il consiglio di altri esperti in materia, non gli consti chiaramente che le opere da eseguirsi sono rilevanti non solo per vera arte, ma anche per sincera pietà cristiana; e inoltre che le persone deputate ad eseguire il concerto sono dotate delle qualità di cui ai nn. 97 e 98. d) A tempo debito si porti via il Ss. Sacramento dalla chiesa e si riponga in qualche cappella od anche, con decoro, in sacrestia; altrimenti si avvertano gli ascoltatori che il Ss.mo Sacramento è presente in chiesa, e il rettore della chiesa curi con diligenza che non avvenga alcuna irriverenza allo stesso Sacramento; e) Se si debbono acquistare i biglietti d’ingresso o distribuire i programmi del concerto, tutto ciò si faccia fuori della chiesa; f) I musicisti, i cantori e gli ascoltatori si comportino e siano vestiti in modo tale che non si venga meno a quella gravità, che assolutamente si conviene alla santità del luogo sacro; g) A seconda delle circostanze conviene che il concerto si chiuda con qualche pio esercizio o meglio ancora con la Benedizione eucaristica, e ciò affinché la elevazione spirituale delle menti, che il concerto intende procurare, venga quasi completata con un’azione sacra. 3. DEI LIBRI DI CANTO LITURGICO 56. I libri di canto liturgico della Chiesa Romana di cui finora si ha l’edizione tipica sono: Il Graduale Romano, con l’Ordinario della Messa. L’Antifonale Romano per le Ore diurne. L’Ufficio dei Defunti, della Settimana Santa e della Natività di N. S. G. C. 57. La Santa Sede rivendica a sé tutti i diritti di proprietà e di uso su tutte le melodie gregoriane che sono contenute nei libri liturgici della Chiesa Romana da essa approvati. 58. Ritengono il loro valore il Decreto della S. Congregazione dei Riti dell’11 agosto 1905, ossia l’«Istruzione sulla edizione e approvazione dei libri contenenti il canto liturgico gregoriano21», nonché la susseguente «Dichiarazione circa l’edizione e l’approvazione dei libri contenenti il canto liturgico gregoriano» del 14 febbraio 190622, e l’altro Decreto del 24 febbraio 1911 su alcune questioni particolari circa l’approvazione dei libri di canto «Propri» di qualche diocesi o famiglia religiosa23. Le disposizioni poi che la stessa S. Congregazione dei Riti fissò il 10 agosto 1946 «Sulla facoltà di pubblicare i libri liturgici24» valgono anche per i libri di canto liturgico. 59. Il Canto gregoriano autentico è dunque quello che viene presentato nelle edizioni «tipiche» vaticane, o che dalla S. Congregazione dei Riti è stato approvato per qualche chiesa particolare o famiglia religiosa, e pertanto dagli editori, muniti della debita facoltà, deve essere riprodotto con ogni fedeltà in tutto, nella melodia cioè e nel testo. I segni, poi, detti ritmici, introdotti nel canto gregoriano per autorità privata, sono permessi, purché si conservi integro il valore e la natura delle note che si trovano nei libri vaticani di canto liturgico. 4. DEGLI STRUMENTI MUSICALI E DELLE CAMPANE A) ALCUNI PRINCÌPI GENERALI 60. Circa l’uso degli strumenti musicali nella sacra Liturgia si tengano presenti questi princìpi: a) Attesa la natura, la santità e la dignità della sacra Liturgia, l’uso di qualsiasi strumento musicale di per sé dovrebbe essere perfettissimo. Perciò è meglio che un concerto di strumenti (sia di solo organo, sia di altri strumenti) venga omesso del tutto, piuttosto che eseguirlo male; e generalmente è meglio fare bene qualche cosa anche se limitata, piuttosto che tentare cose maggiori per le quali manchino i mezzi proporzionati. b) Si deve poi tener conto della differenza che passa fra la musica sacra e la profana. Vi sono infatti degli strumenti musicali che per loro natura e origine – come l’organo classico – sono ordinati direttamente alla Musica sacra; o altri che facilmente si adattano all’uso liturgico, come alcuni strumenti ad arco; ci sono invece altri strumenti che, a giudizio comune, sono così propri della musica profana, che non si possono affatto adattare ad uso sacro. c) Finalmente sono ammessi nella sacra Liturgia solo quegli strumenti che vengono trattati con azione personale dell’artista, non quelli invece che vengono suonati in modo meccanico o automatico. B) DELL’ORGANO CLASSICO E STRUMENTI SIMILI 61. Il principale e solenne strumento musicale liturgico della Chiesa latina fu e rimane l’organo classico o tubolare. 62. L’organo destinato al servizio liturgico, anche se piccolo, sia costruito con arte, e sia dotato di quelle voci che convengono all’uso sacro; prima di usarlo sia ritualmente benedetto; e, quale cosa sacra, sia custodito con ogni diligenza. 63. Oltre l’organo classico, è ammesso l’uso anche di quello strumento che vien chiamato «harmonium»; con questa condizione però, che, per il timbro delle voci e l’ampiezza del suono, risponda all’uso sacro. 64. Quell’organo però imitato, detto «elettrofonico», si può tollerare provvisoriamente nelle azioni liturgiche quando non ci siano i mezzi per procurarsi un organo tubolare, anche piccolo. Tuttavia nei singoli casi occorre il permesso esplicito dell’Ordinario del luogo. Questi poi consulti prima la Commissione diocesana di Musica sacra o altri esperti in materia, i quali cerchino di suggerire tutti quegli accorgimenti che rendano tale strumento più rispondente all’uso sacro. 65. I suonatori degli strumenti, di cui ai nn. 61-64, è necessario che siano sufficientemente esperti nella loro arte, sia per accompagnare i canti sacri, sia per una esecuzione strumentale, sia per suonare degnamente l’organo solo; che anzi, siccome molto spesso occorre di dovere improvvisare, durante le azioni liturgiche, delle sonate che si addicano ai vari momenti della stessa azione, gli stessi suonatori devono conoscere in teoria e in pratica le leggi che riguardano l’organo e la Musica sacra in generale. Questi suonatori cerchino di custodire religiosamente gli strumenti loro affidati. Tutte le volte poi che siedono all’organo, nelle sacre funzioni, siano consci della parte attiva che esercitano a gloria di Dio e a edificazione dei fedeli. 66. Il suono dell’organo, sia che accompagni azioni liturgiche o pii esercizi, deve essere diligentemente adattato alla qualità del tempo o del giorno liturgico, alla natura degli stessi riti ed esercizi, come anche alle loro singole parti. 67. Se non vi sia un’antica consuetudine o una qualche ragione particolare, riconosciuta dall’Ordinario del luogo, che consigli diversamente, l’organo sia collocato presso all’altare maggiore, nel luogo più adatto, ma sempre in modo che i cantori o i musicisti che stanno nella cantoria non siano veduti dai fedeli radunati in chiesa. C) DELLA MUSICA SACRA STRUMENTALE 68. Nelle azioni liturgiche, specialmente nei giorni più solenni, si possono adoperare anche altri strumenti musicali oltre l’organo – in primo luogo quelli ad arco – con o senza l’organo, per un concerto musicale o per accompagnare il canto, osservando però strettamente le norme che derivano dai princìpi sopra esposti (n. 60), le quali sono: a) Che si tratti di strumenti musicali che veramente si possano adattare all’uso sacro; b) Che il suono di questi strumenti venga emesso in tal modo e gravità e quasi con religiosa purezza, da evitare qualsiasi clamore di musica profana e favorire la pietà dei fedeli; c) Che il direttore, l’organista e gli artisti conoscano bene l’uso degli strumenti e le leggi della Musica sacra. 69. Gli Ordinari dei luoghi, per mezzo specialmente della Commissione diocesana di Musica sacra, vigilino attentamente affinché le dette prescrizioni intorno all’uso degli strumenti nella sacra Liturgia siano realmente osservate; né tralascino, se ne sia il caso, di emanare su tale argomento norme particolari, adattate alle condizioni e alle provate consuetudini. D) DEGLI STRUMENTI MUSICALI E DELLE MACCHINE AUTOMATICHE 70. Gli strumenti musicali che, secondo il senso comune e l’uso, appartengono soltanto alla musica profana siano completamente esclusi da ogni azione liturgica e dagli esercizi pii. 71. L’uso degli strumenti e delle macchine automatiche, come: l’autoorgano, il grammofono, la radio, il dittafono o magnetofono, e altri simili, è assolutamente proibito nelle azioni liturgiche e negli esercizi pii, sia che si facciano in chiesa che fuori di chiesa, anche se si tratti soltanto di diffondere discorsi sacri o musica sacra, oppure di sostituire o anche di sostenere il canto dei cantori o dei fedeli. È lecito tuttavia usare queste macchine, anche in chiesa, fuori però delle azioni liturgiche e dei pii esercizi, quando si tratta di ascoltare la voce del Sommo Pontefice, dell’Ordinario del luogo, o di altri oratori sacri; od anche per istruire i fedeli nella dottrina cristiana, oppure nel canto sacro o religioso popolare; e infine per dirigere e sostenere il canto del popolo nelle processioni da farsi fuori di chiesa. 72. È lecito peraltro l’uso degli strumenti detti «amplificatori», anche nelle azioni liturgiche e pii esercizi, se si tratta di amplificare la viva voce del sacerdote celebrante oppure del «commentatore» o di altri che, secondo le rubriche o per ordine del rettore della chiesa, possono parlare. 73. L’uso nelle chiese delle macchine da proiezione, specialmente poi di quelle cinematografiche, sia che le proiezioni siano mute che sonore, e per qualsiasi motivo per quanto pio, religioso o benefico, è assolutamente proibito. Nel costruire inoltre o nell’approntare le sale per convegni e specialmente per spettacoli, presso o, in mancanza di altro luogo, sotto la chiesa, si eviti che vi sia accesso dalle stesse sale alla chiesa, e che il rumore da esse proveniente disturbi in alcun modo la santità e il silenzio del luogo sacro. E) DELLE AZIONI SACRE DA TRASMETTERSI PER RADIO E TELEVISIONE 74. Per trasmettere attraverso la radio o la televisione azioni liturgiche o pii esercizi, fatti sia dentro che fuori di chiesa, si richiede il permesso espresso dell’Ordinario del luogo; questi non conceda tale permesso se prima non gli consti: a) Che il canto e la musica sacra rispondano pienamente alle leggi sia della Liturgia che della Musica sacra; b) Inoltre, se si tratta di trasmissione televisiva, che tutti coloro che svolgono una parte nella funzione sacra siano così ben preparati, da risultarne una celebrazione veramente conforme alle rubriche e del tutto degna. L’Ordinario del luogo può concedere questo permesso in modo abituale per le trasmissioni che si eseguiscono regolarmente dalla stessa chiesa, quando, tutto considerato, sia sicuro che sono osservate diligentemente tutte le condizioni richieste. 75. Gli apparecchi per la trasmissione televisiva, per quanto è possibile, non si introducano nel presbiterio; comunque mai si collochino tanto vicino all’altare da intralciare i riti sacri. Inoltre gli operatori addetti a questi apparecchi si comportino con quella compostezza che conviene al luogo e al rito sacro e non disturbi affatto la pietà dei presenti, specialmente in quei momenti che richiedono il massimo raccoglimento. 76. Le norme stabilite nell’articolo precedente devono essere osservate anche dai «fotografi»: ed anzi con maggior diligenza, attesa la grande facilità con la quale possono portarsi con le loro macchine su qualunque punto. 77. Tutti i rettori di chiese curino che siano fedelmente osservate le prescrizioni dei nn. 75-76; gli Ordinari dei luoghi non tralascino di impartire quelle più accurate norme che le circostanze per caso richiedessero. 78. Poiché la trasmissione radiofonica esige per natura sua che gli ascoltatori la possano seguire senza interruzione, nella Messa trasmessa per radio è bene che il sacerdote celebrante, specialmente se manca qualche «commentatore», pronunci con voce alquanto più elevata quelle parole che, secondo le rubriche, dovrebbero recitarsi sottovoce; similmente con voce più forte quelle che dovrebbero dirsi ad alta voce, di modo che gli ascoltatori possano seguire comodamente tutta la Messa. 79. È opportuno finalmente che, prima della trasmissione della santa Messa per radio o per televisione, gli ascoltatori o gli spettatori siano avvertiti che tale audizione o visione non è sufficiente a soddisfare il precetto di ascoltare la Messa. F) DEL TEMPO NEL QUALE È PROIBITO IL SUONO DEGLI STRUMENTI MUSICALI 80. Poiché il suono dell’organo e più ancora degli altri strumenti costituisce un ornamento della sacra Liturgia, l’uso degli stessi strumenti deve essere regolato secondo il grado di letizia con la quale si distinguono i singoli giorni o tempi liturgici. 81. In tutte le azioni liturgiche quindi, eccetto soltanto la Benedizione eucaristica, il suono dell’organo e di tutti gli altri strumenti musicali è proibito: a) Nel tempo d’Avvento, cioè dai primi Vespri della prima domenica di Avvento fino a Nona della Vigilia di Natale; b) Nel tempo di Quaresima e di Passione, ossia dal Maturino del mercoledì delle Ceneri fino all’inno Gloria in excelsis Deo nella Messa solenne della Veglia pasquale; c) Nelle ferie e nel sabato delle quattro Tempora di settembre, se si fa l’Ufficio e la Messa di esse; d) In tutti gli Uffici e le Messe dei defunti. 82. Il suono degli altri strumenti, eccettuato quello dell’organo, è proibito inoltre nelle domeniche di Settuagesima, Sessagesima e Quinquagesima e nelle ferie che fanno seguito ad esse. 83. Tuttavia nei giorni e nei tempi proibiti, di cui sopra, si stabiliscono le seguenti eccezioni: a) Il suono dell’organo e degli strumenti è permesso nelle feste di precetto e giorni feriati (eccetto le domeniche), nonché nelle feste del patrono principale del luogo, del titolare o dell’anniversario della dedicazione della propria chiesa e del titolo o fondatore della famiglia religiosa, oppure se occorra una qualche solennità straordinaria. b) Il suono dell’organo soltanto o dell’armonio è permesso nelle domeniche terza di Avvento e quarta di Quaresima; inoltre nella « Missa chrismatis » del Giovedì santo, e all’inizio della Messa solenne vespertina in « Cena Domini » fino alla fine dell’inno Gloria in excelsis Deo; c) Parimente è permesso il suono dell’organo e dell’armonio, ma solo per sostenere il canto dei fedeli, nella Messa e nei Vespri. Gli Ordinari dei luoghi possono determinare con maggior precisione queste proibizioni o permissioni, secondo le provate consuetudini dei luoghi o delle regioni. 84. Per tutto il Triduo sacro, cioè dalla mezzanotte nella quale comincia la feria quinta in «Cena Domini» fino all’inno Gloria in excelsis Deo nella Messa solenne della Veglia pasquale, l’organo e l’armonio tacciano assolutamente, e non si usino neanche per sostenere il canto, salvo le eccezioni sopra stabilite al n. 83 b. Il suono poi dell’organo e dell’armonio durante questo triduo è proibito senza alcuna eccezione, anche nei pii esercizi, nonostante qualsiasi consuetudine in contrario. 85. I rettori di chiese, o chi di dovere, non tralascino di spiegare bene ai fedeli la ragione di questo silenzio liturgico, né dimentichino di adoperarsi perché negli stessi giorni e tempi si osservino anche le altre prescrizioni liturgiche di non ornare gli altari. G) DELLE CAMPANE 86. Tutti coloro cui spetta sono tenuti a mantenere religiosamente nella Chiesa latina l’uso antichissimo delle campane. 87. Le campane non si mettano in uso per le chiese se prima non siano state solennemente consacrate o almeno benedette; da questo momento siano conservate con la dovuta cura come cose sacre. 88. Le provate consuetudini e i vari modi di suonare le campane, a seconda dei diversi scopi di tale suono, siano diligentemente mantenute; e non tralascino gli Ordinari dei luoghi di raccogliere le norme tradizionali e usuali a questo riguardo, o di prescriverne, qualora mancassero. 89. I nuovi sistemi tendenti a rendere più ampio il suono delle campane o più facile il suonarle, sentito il parere di competenti, possono essere approvati dagli Ordinari dei luoghi; in dubbio, poi, si proponga la questione a questa S. Congregazione dei Riti. 90. Oltre ai diversi usuali e provati modi di suonare le campane, di cui sopra al n. 88, esistono, in qualche parte, apparati di più campanelle sospese nella stessa torre campanaria, attraverso le quali vengono eseguite varie melodie e concerti. Un tale gioco di campanelle, che comunemente è chiamato «carillon» (in tedesco «Glockenspiel»), è escluso assolutamente da ogni uso liturgico. Le campanelle poi destinate a tale uso non possono essere né consacrate né benedette secondo il solenne rito del Pontificale Romano, ma solo con la semplice benedizione. 91. Occorre far di tutto perché ogni chiesa, oratorio pubblico e semipubblico, sia fornito di almeno una o due campane anche piccole; è strettamente proibito però di adoperare, in luogo delle sacre campane, qualsiasi macchina o strumento con i quali si imiti o si amplifichi meccanicamente o automaticamente il suono delle campane; è lecito tuttavia usare questo genere di macchine o strumenti, quando si adoperino a modo di «carillon», secondo quanto prescritto sopra. 92. Del resto si osservino scrupolosamente le prescrizioni dei cann. 1169, 1185 e 612 del Codice di Diritto Canonico. 5. DELLE PERSONE CHE OCCUPANO UNA PARTE NELLA MUSICA SACRA E NELLA SACRA LITURGIA RILEVANTE 93. Il Sacerdote celebrante presiede a tutta l’azione liturgica. Tutti gli altri vi partecipano alla propria maniera. Pertanto: a) I chierici che, nella maniera e nella forma stabilite dalle rubriche, ossia in quanto chierici partecipano all’azione liturgica, sia che fungano da ministri sacri o da ministri inferiori, o svolgano una parte anche in coro o nella «schola cantorum», esercitano un servizio ministeriale proprio e diretto, e ciò in forza dell’ordinazione o dell’assunzione allo stato clericale. b) I laici invece prestano una partecipazione liturgica attiva, e ciò per il carattere battesimale, in forza del quale anche nel sacrosanto Sacrificio della Messa offrono a Dio Padre, col sacerdote, nel modo loro proprio, la vittima divina25. c) I laici però di sesso maschile, sia fanciulli che giovani o adulti, quando vengono deputati dalla competente autorità ecclesiastica al ministero dell’altare o ad eseguire la Musica sacra, se assolvono tale ufficio nel modo e nella forma voluta dalle rubriche, esercitano anch’essi un servizio ministeriale diretto, ma delegato, a condizione peraltro, se si tratta del canto, che costituiscano un «coro» o una «schola cantorum». 94. Il sacerdote celebrante e i ministri sacri, oltre all’osservanza accurata delle rubriche, è necessario che si studino di assolvere, per quanto possono, correttamente, distintamente e con grazia, le parti che devono essere cantate. 95. Quando si può fare una scelta di persone per celebrare un’azione liturgica, è bene che si preferiscano quelli che sono più abili nel canto; specialmente se si tratti di azioni liturgiche più solenni, e di quelle che esigano un canto più difficile, o che vengano trasmesse per radio o per televisione. 96. La partecipazione attiva dei fedeli, specialmente alla santa Messa e ad alcune azioni liturgiche più complesse, si potrà ottenere più facilmente, se vi intervenga un qualche «commentatore», il quale, al momento opportuno e con poche parole, interpreti gli stessi riti o le preghiere o le letture, sia del sacerdote celebrante che dei sacri ministri, e diriga la partecipazione esterna dei fedeli, cioè le loro risposte, le preghiere e i canti. Un tale commentatore può essere ammesso osservando però le seguenti norme: a) Conviene che l’ufficio del commentatore sia assolto da un sacerdote o almeno da un chierico; in mancanza di questi si può affidare ad un laico commendevole per costumi cristiani e ben preparato a tale ufficio. Le donne però non possono mai assolvere l’ufficio di commentatore; questo solo si permette, che, in caso di necessità, una donna guidi, in certo modo, il canto o le preghiere dei fedeli. b) Il commentatore, se è sacerdote o chierico, sia vestito della cotta, stia nel presbiterio o alla balaustra o nell’ambone o sul pulpito; se invece è laico, stia davanti ai fedeli nel luogo più opportuno, ma fuori del presbiterio o del pulpito. c) Le spiegazioni e gli avvertimenti da darsi dal commentatore siano preparate in scritto, poche, molto sobrie, proferite a tempo opportuno e con voce moderata; mai si sovrappongano alle preghiere del celebrante; in una parola: siano così disposte da essere di aiuto, non di impedimento alla pietà dei fedeli. d) Nel dirigere le preghiere dei fedeli, il commentatore ricordi le prescrizioni di cui sopra al n. 14 c. e) Nei luoghi ove la Santa Sede ha permesso, dopo il canto del testo latino, la lettura dell’Epistola e del Vangelo in lingua volgare, il commentatore non si può sostituire, per questa proclamazione, al celebrante, al diacono, al suddiacono o al lettore (cfr. n. 16 c). f) Il commentatore tenga conto del celebrante e accompagni la sacra azione così che essa non debba essere né ritardata né interrotta, di modo che tutta l’azione liturgica riesca armonica, degna e devota. 97. Tutti coloro che hanno una parte nella Musica sacra, come i compositori, gli organisti, i maestri di coro, i cantori, o anche i suonatori di strumenti musicali, dato che partecipano direttamente e immediatamente alla sacra Liturgia, devono rifulgere, innanzi tutto, sopra gli altri fedeli per l’esempio di vita cristiana. 98. Gli stessi, oltre alla detta esemplarità di fede e di vita cristiana, debbono possedere una maggiore o minore formazione nella sacra Liturgia e nella Musica sacra, a seconda della loro condizione e partecipazione liturgica. E cioè: a) Gli autori o compositori di Musica sacra devono avere una conoscenza abbastanza completa della scienza della stessa sacra Liturgia, sotto l’aspetto storico, dogmatico o dottrinale, pratico o rubricale; devono conoscere anche la lingua latina; finalmente siano profondamente periti nelle leggi dell’arte della Musica sacra e insieme profana, e nella storia della musica. b) Anche gli organisti e i maestri di coro abbiano una scienza abbastanza ampia della sacra Liturgia e una sufficiente cognizione della lingua latina; finalmente ciascuno sia così ben istruito nella propria arte, da poter compiere il proprio ufficio con dignità e competenza. c) Anche ai cantori, tanto fanciulli che adulti, sia impartita, a seconda delle loro capacità, una tale istruzione sulle azioni liturgiche e sui testi che devono cantare, da poter eseguire il canto stesso con quella intelligenza di mente e affetto di cuore, che è richiesto dal «razionale ossequio» del loro servizio. Si istruiscano anche nel pronunziare rettamente e distintamente le parole latine. I rettori di chiese, o chi di dovere, vigilino attentamente che nel luogo dove stanno i cantori regni il buon ordine e una sincera devozione. d) Finalmente i suonatori di strumenti musicali, che devono eseguire la Musica sacra, non solo devono essere periti ciascuno nel proprio strumento a regola d’arte, ma devono saperne adattare l’uso anche alle leggi della Musica sacra, e devono essere forniti di tale cognizione di cose liturgiche da saper armonicamente congiungere l’esercizio esterno dell’arte con una devota pietà. 99. È molto desiderabile che le chiese cattedrali, e almeno quelle parrocchiali o altre chiese di maggiore importanza, abbiano un proprio e stabile «coro» musicale o «schola cantorum», la quale possa prestare un ministeriale, a norma dell’articolo 93 a e c. vero servizio 100. Se in qualche luogo poi un tal «coro» musicale non si può costituire, si permette di costituire un coro di fedeli, sia «misto», sia solo di donne o di fanciulle. Un coro però di questo genere sia collocato in un luogo proprio, fuori del presbiterio o della balaustra; gli uomini poi stiano separati dalle donne o fanciulle, evitando scrupolosamente qualsiasi inconveniente. Gli Ordinari dei luoghi non tralascino di emanare delle norme precise su questa materia, della cui osservanza sono responsabili i rettori di chiese26. 101. È desiderabile e raccomandabile che gli organisti, i maestri di coro, i cantori, i musicisti e gli altri addetti al servizio della chiesa, prestino la loro opera in spirito di pietà e di religione, per amore di Dio senza alcun stipendio. Che se non potranno prestare la stessa opera gratuitamente, la giustizia cristiana e la carità al tempo stesso esigono che i superiori ecclesiastici, a seconda delle diverse e provate consuetudini locali, tenendo conto anche delle prescrizioni delle leggi civili, diano ad essi la giusta retribuzione. 102. È inoltre conveniente che gli Ordinari dei luoghi, sentito anche il parere della Commissione di Musica sacra, fissino una tabella nella quale si stabilisca per tutta la diocesi lo stipendio da dare alle diverse persone nominate nel precedente articolo. 103. È necessario finalmente che per le stesse persone sia accuratamente provveduto a tutto ciò che concerne la cosiddetta «Previdenza sociale», tenendo conto delle leggi civili se esistano o, in mancanza di esse, secondo le norme da emanarsi opportunamente dagli stessi Ordinari. 6. DELLA CULTURA DELLA MUSICA SACRA E DELLA SACRA LITURGIA A) DELLA FORMAZIONE GENERALE DEL CLERO E DEL POPOLO NELLA MUSICA SACRA E NELLA SACRA LITURGIA 104. La Musica sacra è strettamente connessa con la Liturgia; il canto sacro poi appartiene integralmente alla stessa Liturgia (n. 21); il canto religioso popolare infine è usato largamente negli esercizi pii, talvolta anche nelle azioni liturgiche (n. 19). Di qui si comprende facilmente, che l’istruzione nella Musica sacra e nella sacra Liturgia non si può separare, e che l’una e l’altra appartengono alla vita cristiana, in misura certamente diversa, secondo i vari stati e ordini dei chierici e dei fedeli. Tutti pertanto devono avere almeno una qualche formazione, adatta al proprio stato, sulla sacra Liturgia e la Musica sacra. 105. La scuola di educazione cristiana, prima e naturale, è la stessa famiglia cristiana, nella quale i fanciulli sono condotti insensibilmente a conoscere e praticare la fede cristiana. Bisogna dunque far sì che i fanciulli, secondo la loro età e capacità, imparino a partecipare ai pii esercizi e anche alle azioni liturgiche, specialmente al Sacrificio della Messa, e incomincino a conoscere ed amare il canto religioso, in famiglia e in chiesa (cfr. sopra nn. 9, 51-53). 106. Nelle scuole, quindi, che si è soliti chiamare primarie o elementari, si osservi quanto segue: a) Se sono dirette da cattolici e possono seguire ordinamenti propri, bisogna provvedere che i fanciulli apprendano più largamente nelle stesse scuole i canti popolari e sacri, in modo particolare però che siano più accuratamente istruiti, a seconda delle loro capacità, sul santo Sacrificio della Messa e sul modo di parteciparvi, e imparino a cantare le melodie gregoriane più semplici. b) Se poi si tratta di scuole pubbliche, soggette alle leggi civili, gli Ordinari dei luoghi cerchino di emanare delle opportune norme, con le quali si provveda alla necessaria educazione dei fanciulli nella sacra Liturgia e nel canto sacro. 107. Le norme stabilite per le scuole primarie o elementari a maggior ragione si devono inculcare nelle cosiddette scuole medie o secondarie, nelle quali gli adolescenti dovrebbero conseguire quella maturità che si richiede per condurre rettamente la vita sociale e religiosa. 108. L’educazione liturgica e musicale finora descritta è finalmente da portare più in alto in quei sommi istituti di lettere e scienze che si chiamano «università degli studi». È infatti sommamente importante, che coloro i quali, compiuti gli studi superiori, sono assunti ai più gravi uffici della vita sociale, abbiano anche raggiunto una più completa formazione in tutta la vita cristiana. Si studino perciò tutti i sacerdoti, alle cui cure sono affidati in qualsiasi modo gli studenti universitari, di condurli teoricamente e praticamente ad una più profonda conoscenza e partecipazione alla sacra Liturgia, usando anche per questi studenti, se le circostanze lo permettano, quella forma della santa Messa, di cui ai nn. 26 e 31. 109. Se una qualche conoscenza della sacra Liturgia e della Musica sacra è richiesta da tutti i fedeli, è necessario che i giovani candidati al sacerdozio acquistino una piena e solida formazione tanto nella sacra Liturgia in generale come nel canto sacro. Perciò quanto è stabilito al riguardo nel Diritto Canonico (cann. 1364, 1°, 3°; 1365 § 2) o è ordinato più particolarmente dalla competente autorità (cfr. specialmente la Cost. Apost. Divini cultus sulla Liturgia e sul canto gregoriano e sulla Musica sacra da promuoversi sempre più, del 20 dic. 1928), (27) dovrà essere osservato esattamente da coloro cui spetta, onerata la loro coscienza. 110. Anche ai Religiosi d’ambo i sessi, nonché ai sodali degli Istituti secolari, si dia una solida e progressiva formazione fin dal probandato e noviziato, sia nella sacra Liturgia come nel canto sacro. Si provveda inoltre che nelle comunità religiose d’ambo i sessi e nei Collegi da esse dipendenti vi siano maestri idonei, che possano insegnare, dirigere ed accompagnare il canto sacro. Abbiano cura i Superiori degli stessi Religiosi e Religiose che nelle loro comunità non soltanto dei gruppi scelti, ma tutti i sodali vengano sufficientemente esercitati nel canto sacro. 111. Ci sono poi delle chiese nelle quali, per la loro qualità, conviene che la sacra Liturgia e la Musica sacra si svolgano con particolare decoro e splendore, cioè le chiese parrocchiali maggiori, le collegiate, le cattedrali, le abbaziali, le religiose, o i santuari maggiori. Coloro che sono addetti a tali chiese, sia chierici che ministranti, o artisti musicali, si studino con ogni cura e sollecitudine di rendersi atti e preparati a compiere egregiamente il canto sacro e le azioni liturgiche. 112. Infine si deve avere un particolare criterio nell’introdurre e nel disciplinare la sacra Liturgia e il canto sacro nelle Missioni estere. Anzitutto si deve distinguere tra i popoli dotati di una cultura, talvolta millenaria e ricchissima, e popoli privi ancora di una cultura superiore. Ciò posto bisogna tener presenti alcune norme generali, e cioè: a) I sacerdoti che vengono inviati alle Missioni estere devono avere una adeguata formazione nella sacra Liturgia e nel canto sacro. b) Se si tratta di popoli che si distinguono per una propria cultura musicale, si studino i missionari, adottando tutte le precauzioni necessarie, di servirsi nell’uso sacro anche della musica indigena; cerchino soprattutto di disporre gli esercizi pii in modo che i fedeli indigeni possano effondere la loro anima religiosa anche nella propria lingua e con melodie adattate all’indole della loro gente. Né si dimentichi che, come è comprovato, gli indigeni alle volte possono cantare con facilità le stesse melodie gregoriane, perché molto spesso esse hanno una certa affinità con le loro cantilene. c) Se si tratta poi di popoli meno colti, ciò che viene sopra proposto sotto la lettera b), bisogna temperarlo in modo da adattarlo alla particolare capacità e indole di quei popoli. Dove poi la vita familiare e sociale di questi popoli è pervasa di un grande sentimento religioso, i missionari usino una diligente cura, non solo per non spegnere lo stesso spirito religioso, ma, allontanate le superstizioni, renderlo piuttosto cristiano, per mezzo specialmente di esercizi pii. B) DEGLI ISTITUTI PUBBLICI PROMUOVERE LA MUSICA SACRA E PRIVATI PER 113. I parroci e i rettori di chiese curino diligentemente che per compiere le azioni liturgiche e gli esercizi pii si abbiano a disposizione fanciulli o giovani o anche degli uomini «ministranti», che si raccomandano per la pietà, ben istruiti nelle cerimonie, e abbastanza esercitati anche nel canto sacro e popolare religioso. 114. Al canto sacro e popolare si ricollega in modo particolare quella lodevole istituzione, denominata «Pueri cantores», più volte raccomandata dalla Santa Sede28. È certamente desiderabile e bisogna adoperarsi perché tutte le chiese abbiano un proprio coro di fanciulli cantori, i quali siano egregiamente istruiti nella sacra Liturgia e specialmente nell’arte del cantare bene e con devozione. 115. Si raccomanda perciò che in ogni diocesi si abbia un istituto o una scuola di canto e di organo, nella quale si formino debitamente gli organisti, i maestri di coro, i cantori o anche i suonatori di altri strumenti. Talvolta sarà assai meglio che un tale istituto venga eretto, unendo gli sforzi, da più diocesi. I parroci o i rettori di chiese non trascurino di indirizzare a tali scuole giovani scelti e favorirne opportunamente gli studi. 116. Assai opportuni sono da considerarsi infine quegli istituti superiori o accademie che hanno espressamente lo scopo di promuovere più largamente la Musica sacra. Tra questi istituti poi occupa il primo posto il Pontificio Istituto di Musica sacra, fondato in Roma da San Pio X. Gli Ordinari dei luoghi abbiano cura di mandare alcuni sacerdoti che abbiano particolare disposizione e amore per questa arte ai detti istituti, e specialmente al Pontificio Istituto romano di Musica sacra. 117. Oltre agli istituti per l’insegnamento della Musica sacra, sono state fondate diverse associazioni che, sotto il nome di S. Gregorio Magno o di S. Cecilia o di altri Santi, si propongono in vari modi di coltivare la stessa Musica sacra. Dal moltiplicarsi di queste associazioni e dalla loro confederazione, nazionale o internazionale, la Musica sacra potrà ottenere grandi vantaggi. 118. In ciascuna diocesi, già fin dai tempi di S. Pio X, deve esserci una speciale Commissione di Musica sacra29. I membri di questa Commissione, sia sacerdoti che laici, devono essere nominati dall’Ordinario del luogo, il quale scelga uomini competenti per dottrina ed esperienza nei vari generi della Musica sacra. Niente impedisce che gli Ordinari di più diocesi costituiscano una Commissione comune. Siccome poi la Musica sacra è strettamente connessa con la Liturgia, e questa con l’Arte sacra, si devono costituire in ciascuna diocesi anche le Commissioni di Arte sacra30 e di sacra Liturgia31. Niente vieta però, anzi talvolta è consigliabile, che le tre ricordate Commissioni non si riuniscano separatamente, ma insieme e, consultandosi a vicenda, cerchino di trattare e di risolvere i problemi comuni. Del resto, gli Ordinari dei luoghi sorveglino che le predette Commissioni si riuniscano frequentemente a seconda delle circostanze; è auspicabile anche che gli stessi Ordinari presiedano qualche volta queste adunanze. *** Questa Istruzione sulla Musica sacra e la sacra Liturgia è stata sottoposta dall’infrascritto Cardinale Prefetto della S. Congregazione dei Riti al SS.mo Signor Nostro Pio Papa XII. Sua Santità si è degnata di approvarla in modo speciale, in tutto e nelle singole parti, e di confermarla con la Sua autorità, ed ha ordinato di promulgarla perché sia osservata con diligenza da tutti coloro cui spetta. Nonostante qualsiasi cosa in contrario. Roma, dal Palazzo della Sacra Congregazione dei Riti, nella festa di S. Pio X, 3 settembre 1958. G. Card. CICOGNANI, Prefetto † A. Carinci, Arciv. di Seleucia, Segretario _____________ (1) Lettera enciclica Mediator Dei, del 20 nov. 1947; A. A. S. 39 (1947) 528-29. (2) Cfr. Ef. 5, 18-20; Col. 3, 16. (3) Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina, del 25 dic. 1955: A. A. S. 48 (1956) 13-14. (4) Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina: A. A. S. 48 (1950) 18. (5) Motu proprio Tra le sollecitudini, del 22 nov. 1903, n. 7: A. S. S. 36 (1903-04) 334; Decr. auth. S. C. R. 4121. (6) Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina: A. A. S. 48 (1956) 16-17. (7) Lettera enciclica Mediator Dei, del 20 nov. 1947: A. A. S. 39 (1947) 552. (8) A. A. S. 39 (1947) 560. (9) Lettera enciclica Mediator Dei: A. A. S. 39 (1947) 530-537. (10) S. Conc. Trid. Sess. 22, cap. 6. Cfr. anche la Lettera enciclica Mediator Dei (A. A. S. 39 [1947] 565): «È molto opportuno, ciò che del resto è stabilito dalla Liturgia, che il popolo acceda alla sacra Eucaristia, dopo che il sacerdote avrà gustato della Mensa divina». (11) S. Conc. Trid. Sess. 22, cap. 8; Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina: A. A. S. 48 (1956) 17. (12) Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina: A. A. S. 48 (1956) 16. (13) Costituzione Apostolica Divini cultus, del 20 dic. 1928: A. A. S. 21 (1929) 40. (14) Lettera enciclica Mediator Dei: A. A. S. 39 (1947) 560-561. (15) A. A. S. 49 (1957) 370. (16) Cfr. I Discorsi del Sommo Pontefice Pio XII agli E.mi PP. Cardinali e ai Vescovi, del 2 nov. 1954 (A. A. S. 46 [1954] 669-670) e ai partecipanti al Congresso internazionale di Liturgia Pastorale di Assisi, del 22 sett. 1956 (A. A. S. 48 [1956] 716-717). (17) Costituzione Apostolica Christus Dominus, del 6 genn. 1953 (A. A. S. 45 [1953] 15-24); Istruzione della Suprema S. Congregazione del Sant’Uffizio dello stesso giorno (A. A. S. 45 [1953] 47-51); Motu proprio Sacram Communionem, del 19 marzo 1957 (A. A. S. 49 [1957] 177-178). (18) A. A. S. 48 (1956) 18-20. (19) A A. S. 48 (1956) 19-20. (20) Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina: A. A. S. 48 (1956) 20. (21) Decr. auth. S. C. R. 4166. (22) Decr. auth. S. C. R. 4178. (23) Decr. auth. S. C. R. 4260. (24) A. A. S. 38 (1946) 371-372. (25) Lettera enciclica Mystici Corporis Christi, del 29 giugno 1943: A. A. S. 35 (1943) 232-233; Lettera enciclica Mediator Dei, del 20 nov. 1947: A. A. S. 39 (1947) 555-556. (26) Cfr. Decr. auth. S. C. R. 3964, 4210, 4231, e Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina: A. A. S. 48 (1956) 23. (27) A. A. S. 31 (1929) 33-41. (28) Costituzione Apostolica Divini cultus: A. A. S. 21 (1929) 28; Lettera enciclica Musicae sacrae disciplina: A. A. S. 48 (1956) 23. (29) Motu proprio Tra le sollecitudini, del 22 nov. 1903: A. A. S. 36 (1903-1904) n. 24; Decr. auth. S. C. R. 4121. (30) Lettera circolare della Segreteria di Stato del 1 sett. 1924, Prot. 34215. (31) Lettera enciclica Mediator Dei, del 20 nov. 1947: A. A. S. 39 (1947) 561-562. xc LITTERÆ APOSTOLICÆ MOTU PROPRIO DATÆ RUBRICARUM INSTRUCTUM CON LA QUALE SI APPROVANO LE NUOVE RUBRICHE DEL BREVIARIO E DEL MESSALE ROMANO di Sua Santità B. PAPA GIOVANNI XXIII La Sede Apostolica, specialmente dopo il Concilio Tridentino, ha sempre avuto cura di definire nel modo più preciso e di ordinare nel modo più compiuto il codice delle rubriche che ordinano e regolano il culto pubblico della Chiesa. Poiché nel corso del tempo sono state introdotte molte correzioni, modifiche ed aggiunte, l'intero sistema delle rubriche si è abbondantemente accresciuto, non sempre rispettando un vero ordine logico, e non senza nuocere alla chiarezza e alla semplicità originarie. Non c'è dunque da stupirsi se il Nostro Predecessore Papa Pio XII, di felice memoria, accogliendo le richieste di molti Vescovi, stabilì che le rubriche del Breviario e del Messale Romano, in certi punti, dovessero essere redatte in forma più semplice, il che avvenne mediante un Decreto generale della S. Congregazione dei Riti il 23 marzo 1955. Il successivo anno 1956, mentre si stavano compiendo gli studi preparatori per una riforma liturgica generale, lo stesso Nostro Predecessore pensò di chiedere il parere dei Vescovi circa una revisione liturgica del Breviario Romano. Dopo aver soppesato le loro risposte, decise che si doveva intraprendere una riforma sistematica e generale delle rubriche del Breviario e del Messale, e ne conferì l'incarico a quella Commissione speciali di uomini competenti, alla quale erano stati affidati anche gli studi per una riforma generale della liturgia. Noi, per quanto Ci riguarda, dopo che, ispirati da Dio, decretammo la convocazione di un Concilio ecumenico, abbiamo molto riflettuto su ciò che bisognasse fare circa l'opera intrapresa dal Nostro Predecessore. Esaminata la questione a lungo e con coscienza, siamo giunti alla conclusione che i più importanti princìpi concernenti la riforma liturgica generale dovessero essere proposti ai Padri durante il prossimo Concilio ecumenico; la correzione delle rubriche del Breviario e del Messale, invece, non poteva essere rimandata oltre. Questo corpus di rubriche del Breviario e del Messale Romano, preparato da uomini competenti della S. Congregazione dei Riti e diligentemente curato dalla suddetta Pontificia Commissione per la riforma liturgica generale, Noi stessi, di moto proprio e certa scienza, in virtù della Nostra Autorità Apostolica, abbiamo deciso di approvare, ordinando quanto segue: 1. Il nuovo codice delle rubriche del Breviario e del Messale Romano, diviso in tre parti, e cioè: Rubriche generali, Rubriche generali del Breviario Romano, e Rubriche generali del Messale Romano, che sarà presto pubblicato dalla Nostra Sacra Congregazione dei Riti, stabiliamo che debba essere osservato da tutti coloro che seguono il rito romano a partire dal 1° gennaio del prossimo anno 1961. Coloro che osservano un altro rito latino, poi, sono tenuti a conformarsi il più possibile sia al nuovo codice che al calendario, in tutto ciò che non è strettamente proprio del loro rito. 2. Il 1° gennaio dell'anno 1961 cessano di essere in vigore le Rubricae generales del Breviario e del Messale Romano e le Additiones et variationes apportate alle rubriche del Breviario e del Messale Romano a norma della Bolla Divino afflatu del Nostro Predecessore S. Pio X, che finora erano poste all'inizio di tali libri. Parimenti cessa di essere in vigore il Decreto generale della S. Congregazione dei Riti del 23 Marzo 1955 De rubricis ad simpliciorem formam redigendis, ripreso in questa nuova redazione delle rubriche. Sono infine abrogati i decreti e le risposte a dubbi della medesima S. Congregazione che non concordino con questa nuova forma delle rubriche. 3. Allo stesso modo, statuti, privilegi, indulti e concessioni di qualsiasi genere, per quanto secolari e immemorabili, ancorché specialissimi e degni di particolare menzione, ma che non sono conformi a queste rubriche, sono revocati. 4. Gli editori dei libri liturgici, regolarmente approvati e autorizzati dalla Santa Sede, possono preparare le nuove edizioni del Breviario e del Messale Romano ordinati secondo il nuovo codice delle rubriche; per preservare la necessaria uniformità delle nuove edizioni, la S. Congregazione dei Riti dia istruzioni particolari. 5. All'inizio delle nuove edizioni del Breviario e del Messale Romano, omessi i testi delle rubriche di cui al n. 2, si ponga il testo delle nuove rubriche: nel Breviario le Rubriche generali e le Rubriche generali del Breviario Romano; nel Messale le Rubriche generali e le Rubriche generali del Messale Romano. 6. Infine, tutti coloro a cui spetta abbiano cura di conformare al più presto i Calendari e i Propri, sia diocesani che religiosi, alla norma e allo spirito della nuova redazione delle rubriche e del calendario, e di farli approvare dalla S. Congregazione dei Riti. Stabilite dunque queste disposizioni, riteniamo sia Nostro dovere Apostolico aggiungere alcune esortazioni. Con questa nuova disposizione delle rubriche, se da un lato tutto il codice delle rubriche del Breviario e del Messale Romano è stato redatto in forma migliore, suddiviso in ordine più chiaro e riassunto in testo unico, dall'altro sono state introdotte alcune modifiche speciali che riducono un poco la durata dell'Ufficio divino. Ciò, del resto, era nel desiderio di molti Vescovi, soprattutto in considerazione di quei numerosi sacerdoti che di giorno in giorno sono sempre più gravati dai loro impegni pastorali. Nondimeno, Noi con animo paterno esortiamo costoro e tutti quelli che sono tenuti alla recita dell'Ufficio divino a compensare la diminuzione della durata dell'Ufficio divino con una maggior diligenza e devozione. Poiché, inoltre, anche la lettura dei santi Padri è stata un poco alleggerita, esortiamo vivamente tutti i chierici ad avere sottomano le opere dei Padri, così ricche di saggezza e di pietà, per leggerle e meditarle assiduamente. Ciò che abbiamo deciso e ordinato con questa Nostra Lettera in forma di motu proprio, sia scrupolosamente rispettato ed eseguito, nonostante qualsiasi cosa in contrario, ancorché degna di specialissima e singolare menzione. Dato in Roma, presso S. Pietro, il 25 luglio dell'anno 1960, secondo del Nostro Pontificato. SACRA RITUUM CONGREGATIO DECRETUM GENERALE COL QUALE SI PROMULGA IL NUOVO CODICE DELLE RUBRICHE DEL BREVIARIO E DEL MESSALE ROMANO Il nuovo codice delle rubriche del Breviario e del Messale Romano, che la Santità di Nostro Signore Papa Giovanni XXIII ha approvato con la Lettera Apostolica in forma di motu proprio: Rubricarum instructum il 25 luglio dell'anno corrente, affidandone la promulgazione a questa S. Congregazione, la S. Congregazione dei Riti, con questo Decreto generale, promulga e dichiara promulgato, perché venga inserito nelle nuove edizioni del Breviario e del Messale romano e sia osservato da tutti coloro a cui spetta a partire dal 1° gennaio del prossimo anno 1961. Affinché i libri liturgici tuttora in uso possano continuare ad essere impiegati, al codice delle rubriche si aggiungono alcune "Variazioni" per adattare i Breviari ed i Messali, come pure il Martirologio. Ex ædibus S. Rituum Congregationis, die 26 iulii anni 1960. † Caietanus Card. CICOGNANI, Ep. Tusculanus, Præfectus. L. S. Henricus Dante, a secretis. LITTERÆ APOSTOLICÆ MOTU PROPRIO DATÆ SUMMORUM PONTIFICUM SULL’USO DELLA LITURGIA ROMANA ANTERIORE ALLA RIFORMA DEL 1970 di Sua Santità BENEDETTO XVI I Sommi Pontefici fino ai nostri giorni ebbero costantemente cura che la Chiesa di Cristo offrisse alla Divina Maestà un culto degno, “a lode e gloria del Suo nome” ed “ad utilità di tutta la sua Santa Chiesa”. Da tempo immemorabile, come anche per l’avvenire, è necessario mantenere il principio secondo il quale “ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede”1. Tra i Pontefici che ebbero tale doverosa cura eccelle il nome di san Gregorio Magno, il quale si adoperò perché ai nuovi popoli dell’Europa si trasmettesse sia la fede cattolica che i tesori del culto e della cultura accumulati dai Romani nei secoli precedenti. Egli comandò che fosse definita e conservata la forma della sacra Liturgia, riguardante sia il Sacrificio della Messa sia l’Ufficio Divino, nel modo in cui si celebrava nell’Urbe. Promosse con massima cura la diffusione dei monaci e delle monache, che operando sotto la regola di san Benedetto, dovunque unitamente all’annuncio del Vangelo illustrarono con la loro vita la salutare massima della Regola: “Nulla venga preposto all’opera di Dio” (cap. 43). In tal modo la sacra Liturgia celebrata secondo l’uso romano arricchì non solo la fede e la pietà, ma anche la cultura di molte popolazioni. Consta infatti che la liturgia latina della Chiesa nelle varie sue forme, in ogni secolo dell’età cristiana, ha spronato nella vita spirituale numerosi Santi e ha rafforzato tanti popoli nella virtù di religione e ha fecondato la loro pietà. Molti altri Romani Pontefici, nel corso dei secoli, mostrarono particolare sollecitudine a che la sacra Liturgia espletasse in modo più efficace questo compito: tra essi spicca S. Pio V, il quale sorretto da grande zelo pastorale, a seguito dell’esortazione del Concilio di Trento, rinnovò tutto il culto della Chiesa, curò l’edizione dei libri liturgici, emendati e “rinnovati secondo la norma dei Padri” e li diede in uso alla Chiesa latina. Tra i libri liturgici del Rito romano risalta il Messale Romano, che si sviluppò nella città di Roma, e col passare dei secoli a poco a poco prese forme che hanno grande somiglianza con quella vigente nei tempi più recenti. “Fu questo il medesimo obiettivo che seguirono i Romani Pontefici nel corso dei secoli seguenti assicurando l’aggiornamento o definendo i riti e i libri liturgici, e poi, all’inizio di questo secolo, intraprendendo una riforma generale”2. Così agirono i nostri Predecessori Clemente VIII, Urbano VIII, San Pio X3, Benedetto XV, Pio XII e il B. Giovanni XXIII. Nei tempi più recenti, il Concilio Vaticano II espresse il desiderio che la dovuta rispettosa riverenza nei confronti del culto divino venisse ancora rinnovata e fosse adattata alle necessità della nostra età. Mosso da questo desiderio, il nostro Predecessore, il Sommo Pontefice Paolo VI, nel 1970 per la Chiesa latina approvò i libri liturgici riformati e in parte rinnovati. Essi, tradotti nelle varie lingue del mondo, di buon grado furono accolti da Vescovi, sacerdoti e fedeli. Giovanni Paolo II rivide la terza edizione tipica del Messale Romano. Così i Romani Pontefici hanno operato “perché questa sorta di edificio liturgico [...] apparisse nuovamente splendido per dignità e armonia”4. Ma in talune regioni non pochi fedeli aderirono e continuano ad aderire con tanto amore ed affetto alle antecedenti forme liturgiche, le quali avevano imbevuto così profondamente la loro cultura e il loro spirito, che il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, mosso dalla cura pastorale nei confronti di questi fedeli, nell’anno 1984 con lo speciale indulto “Quattuor abhinc annos”, emesso dalla Congregazione per il Culto Divino, concesse la facoltà di usare il Messale Romano edito dal B. Giovanni XXIII nell’anno 1962; nell’anno 1988 poi Giovanni Paolo II di nuovo con la Lettera Apostolica “Ecclesia Dei”, data in forma di Motu proprio, esortò i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero. A seguito delle insistenti preghiere di questi fedeli, a lungo soppesate già dal Nostro Predecessore Giovanni Paolo II, e dopo aver ascoltato Noi stessi i Padri Cardinali nel Concistoro tenuto il 22 marzo 2006, avendo riflettuto approfonditamente su ogni aspetto della questione, dopo aver invocato lo Spirito Santo e contando sull’aiuto di Dio, con la presente Lettera Apostolica STABILIAMO quanto segue: Art. 1. Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della “lex orandi” (“legge della preghiera”) della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi” e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della “lex orandi” della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella “lex credendi” (“legge della fede”) della Chiesa; sono infatti due usi dell’unico rito romano. Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa. Le condizioni per l’uso di questo Messale stabilite dai documenti anteriori “Quattuor abhinc annos” e “Ecclesia Dei”, vengono sostituite come segue: Art. 2. Nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito dal beato Papa Giovanni XXIII nel 1962, oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario. Art. 3. Le comunità degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano, che nella celebrazione conventuale o “comunitaria” nei propri oratori desiderano celebrare la Santa Messa secondo l’edizione del Messale Romano promulgato nel 1962, possono farlo. Se una singola comunità o un intero Istituto o Società vuole compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari. Art. 4. Alle celebrazioni della Santa Messa di cui sopra all’art. 2, possono essere ammessi – osservate le norme del diritto – anche i fedeli che lo chiedessero di loro spontanea volontà. Art. 5. § 1. Nelle parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962. Provveda a che il bene di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida del Vescovo a norma del can. 392, evitando la discordia e favorendo l’unità di tutta la Chiesa. § 2. La celebrazione secondo il Messale del B. Giovanni XXIII può aver luogo nei giorni feriali; nelle domeniche e nelle festività si può anche avere una celebrazione di tal genere. § 3. Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi. § 4. I sacerdoti che usano il Messale del B. Giovanni XXIII devono essere idonei e non giuridicamente impediti. § 5. Nelle chiese che non sono parrocchiali né conventuali, è compito del Rettore della chiesa concedere la licenza di cui sopra. Art. 6. Nelle Messe celebrate con il popolo secondo il Messale del B. Giovanni XXIII, le letture possono essere proclamate anche nella lingua vernacola, usando le edizioni riconosciute dalla Sede Apostolica. Art. 7. Se un gruppo di fedeli laici fra quelli di cui all’art. 5 § 1 non abbia ottenuto soddisfazione alle sue richieste da parte del parroco, ne informi il Vescovo diocesano. Il Vescovo è vivamente pregato di esaudire il loro desiderio. Se egli non può provvedere per tale celebrazione, la cosa venga riferita alla Commissione Pontificia “Ecclesia Dei”. Art. 8. Il Vescovo, che desidera rispondere a tali richieste di fedeli laici, ma per varie cause è impedito di farlo, può riferire la questione alla Commissione “Ecclesia Dei”, perché gli offra consiglio e aiuto. Art. 9 § 1. Il parroco, dopo aver considerato tutto attentamente, può anche concedere la licenza di usare il rituale più antico nell’amministrazione dei sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Penitenza e dell’Unzione degli infermi, se questo consiglia il bene delle anime. § 2. Agli Ordinari viene concessa la facoltà di celebrare il sacramento della Confermazione usando il precedente antico Pontificale Romano, qualora questo consigli il bene delle anime. § 3. Ai chierici costituiti “in sacris” è lecito usare il Breviario Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962. Art. 10. L’Ordinario del luogo, se lo riterrà opportuno, potrà erigere una parrocchia personale a norma del can. 518 per le celebrazioni secondo la forma più antica del rito romano, o nominare un cappellano, osservate le norme del diritto. Art. 11. La Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, eretta da Giovanni Paolo II nel 19885, continua ad esercitare il suo compito. Tale Commissione abbia la forma, i compiti e le norme, che il Romano Pontefice le vorrà attribuire. Art. 12. La stessa Commissione, oltre alle facoltà di cui già gode, eserciterà l’autorità della Santa Sede vigilando sulla osservanza e l’applicazione di queste disposizioni. Tutto ciò che da Noi è stato stabilito con questa Lettera Apostolica data a modo di Motu proprio, ordiniamo che sia considerato come “stabilito e decretato” e da osservare dal giorno 14 settembre di quest’anno, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, nonostante tutto ciò che possa esservi in contrario. ______________________ Institutio generalis Missalis Romani, Editio tertia, 2002, 397 2 IOANNES PAULUS PP. II, Litt. ap. Vicesimus quintus annus (4 Decembris 1988), 3: AAS 81 (1989), 899. 3 Ibid. 4 PIUS PP. X, Litt. Ap. Motu proprio datae Abhinc duos annos (23 Octobris 1913): AAS 5 (1913), 449-450; cfr IOANNES PAULUS II, Litt. ap. Vicesimus quintus annus (4 Decembris 1988), 3: AAS 81 (1989), 899. 5 Cfr IOANNES PAULUS PP. II, Litt. ap. Motu proprio datae Ecclesia Dei (2 iulii 1988), 6: AAS 80 (1988), 1498. 1 xb LETTERA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AI VESCOVI DI TUTTO IL MONDO PER PRESENTARE IL "MOTU PROPRIO" SULL’USO DELLA LITURGIA ROMANA ANTERIORE ALLA RIFORMA DEL 1970 Cari Fratelli nell’Episcopato, con grande fiducia e speranza metto nelle vostre mani di Pastori il testo di una nuova Lettera Apostolica "Motu Proprio data" sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970. Il documento è frutto di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera. Notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti tra loro che vanno da un’accettazione gioiosa ad un’opposizione dura, per un progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto. A questo documento si opponevano più direttamente due timori, che vorrei affrontare un po’ più da vicino in questa lettera. In primo luogo, c’è il timore che qui venga intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali – la riforma liturgica – venga messa in dubbio. Tale timore è infondato. Al riguardo bisogna innanzitutto dire che il Messale, pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica. L’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica. Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero "due Riti". Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito. Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso. Al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non è sembrato necessario di emanare norme proprie per l’uso possibile del Messale anteriore. Probabilmente si è supposto che si sarebbe trattato di pochi casi singoli che si sarebbero risolti, caso per caso, sul posto. Dopo, però, si è presto dimostrato che non pochi rimanevano fortemente legati a questo uso del Rito romano che, fin dall’infanzia, era per loro diventato familiare. Ciò avvenne, innanzitutto, nei Paesi in cui il movimento liturgico aveva donato a molte persone una cospicua formazione liturgica e una profonda, intima familiarità con la forma anteriore della Celebrazione liturgica. Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa. Papa Giovanni Paolo II si vide, perciò, obbligato a dare, con il Motu Proprio "Ecclesia Dei" del 2 luglio 1988, un quadro normativo per l’uso del Messale del 1962, che però non conteneva prescrizioni dettagliate, ma faceva appello, in modo più generale, alla generosità dei Vescovi verso le "giuste aspirazioni" di quei fedeli che richiedevano quest’uso del Rito romano. In quel momento il Papa voleva, così, aiutare soprattutto la Fraternità San Pio X a ritrovare la piena unità con il Successore di Pietro, cercando di guarire una ferita sentita sempre più dolorosamente. Purtroppo questa riconciliazione finora non è riuscita; tuttavia una serie di comunità hanno utilizzato con gratitudine le possibilità di questo Motu Proprio. Difficile è rimasta, invece, la questione dell’uso del Messale del 1962 al di fuori di questi gruppi, per i quali mancavano precise norme giuridiche, anzitutto perché spesso i Vescovi, in questi casi, temevano che l’autorità del Concilio fosse messa in dubbio. Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia. Così è sorto un bisogno di un regolamento giuridico più chiaro che, al tempo del Motu Proprio del 1988, non era prevedibile; queste Norme intendono anche liberare i Vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni. In secondo luogo, nelle discussioni sull’atteso Motu Proprio, venne espresso il timore che una più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali. Anche questo timore non mi sembra realmente fondato. L’uso del Messale antico presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l’una che l’altra non si trovano tanto di frequente. Già da questi presupposti concreti si vede chiaramente che il nuovo Messale rimarrà, certamente, la forma ordinaria del Rito Romano, non soltanto a causa della normativa giuridica, ma anche della reale situazione in cui si trovano le comunità di fedeli. È vero che non mancano esagerazioni e qualche volta aspetti sociali indebitamente vincolati all’attitudine di fedeli legati all’antica tradizione liturgica latina. La vostra carità e prudenza pastorale sarà stimolo e guida per un perfezionamento. Del resto le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La Commissione "Ecclesia Dei" in contatto con i diversi enti dedicati all’ "usus antiquior" studierà le possibilità pratiche. Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso. La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale. Sono giunto, così, a quella ragione positiva che mi ha motivato ad aggiornare mediante questo Motu Proprio quello del 1988. Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in mente una frase della Seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: "La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi. Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che siete allo stretto… Rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!" (2 Cor 6,11–13). Paolo lo dice certo in un altro contesto, ma il suo invito può e deve toccare anche noi, proprio in questo tema. Apriamo generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa offre spazio. Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto. Ovviamente per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso. In conclusione, cari Confratelli, mi sta a cuore sottolineare che queste nuove norme non diminuiscono in nessun modo la vostra autorità e responsabilità, né sulla liturgia né sulla pastorale dei vostri fedeli. Ogni Vescovo, infatti, è il moderatore della liturgia nella propria diocesi (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 22: "Sacrae Liturgiae moderatio ab Ecclesiae auctoritate unice pendet quae quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud Episcopum"). Nulla si toglie quindi all’autorità del Vescovo il cui ruolo, comunque, rimarrà quello di vigilare affinché tutto si svolga in pace e serenità. Se dovesse nascere qualche problema che il parroco non possa risolvere, l’Ordinario locale potrà sempre intervenire, in piena armonia, però, con quanto stabilito dalle nuove norme del Motu Proprio. Inoltre, vi invito, cari Confratelli, a scrivere alla Santa Sede un resoconto sulle vostre esperienze, tre anni dopo l’entrata in vigore di questo Motu Proprio. Se veramente fossero venute alla luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio. Cari Fratelli, con animo grato e fiducioso, affido al vostro cuore di Pastori queste pagine e le norme del Motu Proprio. Siamo sempre memori delle parole dell’Apostolo Paolo dirette ai presbiteri di Efeso: "Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come Vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue" (Atti 20,28). Affido alla potente intercessione di Maria, Madre della Chiesa, queste nuove norme e di cuore imparto la mia Benedizione Apostolica a Voi, cari Confratelli, ai parroci delle vostre diocesi, e a tutti i sacerdoti, vostri collaboratori, come anche a tutti i vostri fedeli. Dato presso San Pietro, il 7 luglio 2007 BENEDICTUS PP. XVI Rubricæ Generales Rubricæ Generales Missalis Romani xa RUBRICÆ GENERALES Missale Romanum, Typis Poliglottis Vaticanis 1962 I II III IV V VI VII VIII IX X XI XII XIII XIV XV XVI XVII XVIII XIX NORME GENERALI IL GIORNO LITURGICO IN GENERALE LE DOMENICHE LE FERIE LE VIGILIE LE FESTE E IL CALENDARIO LE OTTAVE I TEMPI DELL'ANNO SANTA MARIA IN SABATO LE LITANIE MAGGIORI E MINORI LA PRECEDENZA DEI GIORNI LITURGICI L'OCCORENZA DEI GIORNI LITURGICI OCCORENZA ACC. E TRASLAZIONE DEI GIORNI LITURGICI OCCORENZA PERP. E RIPOSIZIONE DEI GIORNI LITURGICI LA CONCORRENZA DEI GIORNI LITURGICI LE COMMEMORAZIONI LA CONCLUSIONE DELLE ORAZIONI IL COLORE DEI PARAMENTI IMPIEGO E NATURA DEI PARAMENTI CAPITOLO I NORME GENERALI 1. Le seguenti rubriche riguardano il rito romano. 2. Per “calendario” s’intende sia il Calendario ad uso della Chiesa universale, sia i calendari particolari. 3. Le seguenti rubriche generali valgono tanto per il Breviario quanto per il Messale. Eventuali eccezioni sono specificate nelle rubriche particolari che si trovano nel Breviario e nel Messale redatti conformemente a queste rubriche. CAPITOLO II IL GIORNO LITURGICO IN GENERALE 4. Il giorno liturgico è il giorno santificato dalle azioni liturgiche, in particolare dal Sacrificio eucaristico e dalla preghiera pubblica della Chiesa, ossia l’Ufficio divino; e decorre da mezzanotte a mezzanotte. 5. La celebrazione del giorno liturgico decorre, di per sé, da Mattutino a Compieta. Vi sono però alcuni giorni solenni in cui l’Ufficio comincia dai I Vespri, il giorno precedente. Vi è infine una celebrazione liturgica non completa, costituita soltanto da una commemorazione nell’Ufficio e nella Messa del giorno liturgico in corso. 6. Ogni giorno si celebra una domenica, una feria, una vigilia, una festa o un’ottava, secondo il calendario e la precedenza dei giorni liturgici. 7. La precedenza tra i diversi giorni liturgici è determinata unicamente dall’apposita tabella di cui al n. 91. 8. I giorni liturgici sono di prima, seconda, terza o quarta classe. CAPITOLO III LE DOMENICHE 9. Per “domenica” s’intende il giorno del Signore che cade all’inizio di ogni settimana. 10. Le domeniche sono di I o di II classe. 11. Sono domeniche di I classe: a) le quattro domeniche d’Avvento; b) le quattro domeniche di Quaresima; c) le due domeniche di Passione; d) la domenica di Resurrezione o di Pasqua; e) la domenica in albis; f) la domenica di Pentecoste. Le domeniche di Pasqua e di Pentecoste sono al tempo stesso feste di I classe con ottava. 12. Tutte le altre domeniche sono di II classe. 13. L’Ufficio della domenica comincia dai I Vespri, il sabato precedente, e termina dopo Compieta della domenica stessa. 14. La domenica si celebra nel suo giorno, secondo le rubriche. L’Ufficio e la Messa della domenica impedita non si anticipano né si riprendono. 15. Una domenica di I classe, in caso di occorrenza, prevale su qualsiasi festa. Tuttavia, la festa dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria prevale sulla domenica d’Avvento occorrente. Per quanto riguarda la concorrenza, si osservi la norma di cui ai nn. 104105. 16. Una domenica di II classe, in caso di occorrenza, prevale sulle feste di II classe. Tuttavia: a) una festa del Signore di I o II classe, che cade in una domenica di II classe, prende il posto della domenica, con tutti i suoi diritti e privilegi: della domenica, quindi, non si fa alcuna commemorazione; b) la domenica di II classe prevale sulla Commemorazione di tutti i Fedeli defunti. Per quanto riguarda la concorrenza, si osservi la norma di cui ai nn. 104105. 17. La domenica, di per sé, esclude l’assegnazione perpetua delle feste. Fanno eccezione: a) la festa del Ss. Nome di Gesù, che va celebrata la domenica che cade tra il 2 e il 5 gennaio (altrimenti il 2 gennaio); b) la festa della S. Famiglia di Gesù, Maria, Giuseppe, che va celebrata la prima domenica dopo l’Epifania; c) la festa della Ss. Trinità, che va celebrata la prima domenica dopo Pentecoste; d) la festa di N. S. Gesù Cristo Re, che va celebrata l’ultima domenica di ottobre; e) le feste del Signore di I classe che, nei calendari particolari, sono assegnate ad una domenica di II classe. Queste feste prendono il posto della domenica occorrente, con tutti i suoi diritti e privilegi: della domenica, quindi, non si fa alcuna commemorazione. 18. Le domeniche dopo l’Epifania impedite dalla Settuagesima si trasferiscono dopo la XXIII domenica dopo Pentecoste, in questo ordine: a) se vi sono 25 domeniche dopo Pentecoste, la 24a sarà quella indicata come VI dopo l’Epifania; b) se vi sono 26 domeniche dopo Pentecoste, la 24a sarà quella indicata come V dopo l’Epifania; e la 25a quella indicata come VI; c) se vi sono 27 domeniche dopo Pentecoste, la 24a sarà quella indicata come IV dopo l’Epifania; la 25a quella indicata come V; e la 26a quella indicata come VI; d) se vi sono 28 domeniche dopo Pentecoste, la 24a sarà quella indicata come III dopo l’Epifania; la 25a quella indicata come IV; la 26a quella indicata come V; e la 27a quella indicata come VI. Per ultima si pone sempre la domenica indicata come XXIV dopo Pentecoste, omettendo, se ce ne fosse bisogno, le domeniche che non possono avere luogo. 19. Per “prima domenica del mese” s’intende quella che cade per prima nel corso del mese, cioè dal primo al settimo giorno del mese; e per “ultima domenica” quella che precede immediatamente il primo giorno del mese successivo. Allo stesso modo, per computare la prima domenica dei mesi di agosto, settembre, ottobre e novembre, onde regolare la lettura delle Scritture, si considera “prima domenica del mese” quella che cade dal primo al settimo giorno del mese. 20. La prima domenica d’Avvento è quella che cade il 30 novembre o che è più vicina a questa data. CAPITOLO IV LE FERIE 21. Per “feria” s’intende ciascuno dei giorni della settimana, esclusa la domenica. 22. Le ferie sono di prima, seconda, terza o quarta classe. 23. Sono ferie di I classe: a) il mercoledì delle Ceneri; b) tutte le ferie della Settimana santa. Queste ferie prevalgono su qualsiasi festa e ammettono una sola commemorazione privilegiata. 24. Sono ferie di II classe: a) le ferie d’Avvento dal 17 al 23 dicembre; b) le ferie delle Quattro Tempora d’Avvento, di Quaresima e di settembre. Queste ferie prevalgono sulle feste particolari di II classe; e, se sono impedite, se ne deve fare commemorazione. 25. Sono ferie di III classe: a) le ferie di Quaresima e di Passione, dal giovedì dopo le ceneri al sabato che precede la II domenica di Passione compreso, eccetto quelle menzionate al numero precedente; esse prevalgono sulle feste di III classe; b) le ferie d’Avvento fino al 16 dicembre compreso, eccetto quelle menzionate al numero precedente; esse cedono il posto alle feste di III classe. Se queste ferie sono impedite, se ne deve fare commemorazione. 26. Tutte le ferie non menzionate ai nn. 23-25 sono ferie di IV classe, delle quali non si fa mai commemorazione. 27. L’Ufficio della feria comincia dal Mattutino e termina, di per sé, dopo Compieta; ma l’Ufficio del sabato, eccetto quello del sabato santo, termina dopo Nona. CAPITOLO V LE VIGILIE 28. Per “vigilia” s’intende il giorno liturgico che precede una festa ed ha il compito di prepararla. La vigilia di Pasqua, tuttavia, non essendo un giorno liturgico, si celebra in un modo suo proprio, che è quello della veglia. 29. Le vigilie sono di prima, seconda o terza classe. 30. Sono vigilie di I classe: a) la vigilia della Natività del Signore, che, in caso di occorrenza, prende il posto della IV domenica d’Avvento, della quale, quindi, non si fa alcuna commemorazione; b) la vigilia di Pentecoste. Queste vigilie prevalgono su qualsiasi festa e non ammettono alcuna commemorazione. 31. Sono vigilie di II classe: a) la vigilia dell’Ascensione del Signore; b) la vigilia dell’Assunzione della beata Vergine Maria; c) la vigilia della Natività di S. Giovanni Battista; d) la vigilia dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo; Queste vigilie prevalgono sui giorni liturgici di III e IV classe e, se sono impedite, se ne deve fare commemorazione, secondo le rubriche. 32. Vigilia di III classe è la vigilia di S. Lorenzo. Questa vigilia prevale sui giorni liturgici di IV classe e, se è impedita, se ne deve fare commemorazione, secondo le rubriche. 33. Una vigilia di II o III classe si omette del tutto se cade in una domenica qualsiasi o in una festa di I classe, oppure se la festa che precede è stata trasferita ad un altro giorno o è stata ridotta a commemorazione. 34. L’Ufficio della vigilia comincia dal Mattutino e termina quando comincia l’Ufficio della festa seguente. CAPITOLO VI LE FESTE E IL CALENDARIO A) Natura e proprietà delle feste 35. Per “festa” s’intende il giorno liturgico nel quale il culto pubblico della Chiesa è specialmente rivolto al ricordo dei misteri del Signore o alla venerazione della beata Vergine Maria, degli Angeli, dei Santi o dei Beati. 36. Le feste sono di prima, seconda o terza classe. 37. Le feste si celebrano in questo modo: a) le feste di I classe sono annoverate tra i giorni più solenni; il loro Ufficio comincia dai I Vespri, il giorno precedente; b) le feste di II e III classe hanno un Ufficio che, di per sé, decorre da Mattutino a Compieta del giorno medesimo; c) tuttavia, le feste del Signore di II classe acquistano i I Vespri ogni volta che, in caso di occorrenza, prendono il posto di una domenica di II classe. 38. Le feste sono universali o particolari; le feste particolari sono proprie o concesse. 39. Le feste universali sono quelle iscritte dalla Santa Sede nel calendario della Chiesa universale. Queste feste devono essere celebrate, secondo le rubriche, da tutti coloro che seguono il rito romano. 40. Le feste particolari sono quelle che, per diritto o per indulto della Santa Sede, sono iscritte nei calendari particolari. Queste feste devono essere celebrate, secondo le rubriche, da tutti coloro che seguono tale calendario, e solo per speciale indulto della Santa Sede possono essere espunte dal calendario o cambiate di grado. 41. Le feste particolari che per diritto devono essere iscritte nel calendario sono le feste proprie: a) di ogni nazione, regione o provincia, sia ecclesiastica che civile (n. 42); b) di ogni diocesi o territorio ecclesiastico governato da un “Ordinario del luogo” (n. 43); c) di ogni luogo, paese o città (n. 44); d) di ogni chiesa od oratorio pubblico o semi-pubblico che tiene il posto della chiesa (n. 45); e) di ogni Ordine o Congregazione (n. 46). 42. Le feste proprie di ogni nazione, regione o provincia, sia ecclesiastica che civile, sono: a) la festa del Patrono principale regolarmente costituito (I classe); b) la festa del Patrono secondario regolarmente costituito (II classe). 43. Le feste proprie di ogni diocesi o territori ecclesiastico governato da un “Ordinario del luogo” sono: a) la festa del Patrono principale regolarmente costituito (I classe); b) l’anniversario della Dedicazione della chiesa cattedrale (I classe); c) la festa del Patrono secondario regolarmente costituito (II classe); d) le feste di Santi e Beati, regolarmente iscritti nel Martirologio o nella sua Appendice, che hanno relazioni particolari con la diocesi, come l’origine, il soggiorno prolungato, la morte (II o III classe, o commemorazione). 44. Le feste proprie di ogni luogo, paese o città sono: a) la festa del Patrono principale regolarmente costituito (I classe); b) la festa del Patrono secondario regolarmente costituito (II classe). 45. Le feste proprie di ogni chiesa od oratorio pubblico o semi-pubblico che tiene il posto della chiesa sono: a) l’anniversario della Dedicazione, se sono consacrati (I classe); b) la festa del Titolare, se sono consacrati o almeno solennemente benedetti (I classe); c) la festa del Santo, regolarmente iscritto nel Martirologio o nella sua Appendice, di cui ivi si conserva il corpo (II classe); d) la festa del Beato, regolarmente iscritto nel Martirologio o nella sua Appendice, di cui ivi si conserva il corpo (III classe); 46. Le feste proprie di ogni Ordine o Congregazione sono: a) la festa del Titolare (I classe); b) la festa del Fondatore canonizzato (I classe) o beatificato (II classe); c) in tutto l’Ordine o Congregazione: la festa del Patrono principale regolarmente costituito di tutto l’Ordine o Congregazione; nelle singole province: la festa del Patrono principale regolarmente costituito di ciascuna provincia religiosa (I classe); d) la festa del Patrono secondario, come sopra (II classe); e) le feste dei Santi o Beati che furono membri di quell’Ordine o Congregazione (II o III classe, o commemorazione). 47. Le feste particolari concesse sono quelle che si iscrivono nei calendari particolari per indulto della Santa Sede. B) Il calendario e le feste da iscrivervi 48. Il calendario è universale oppure particolare, cioè proprio. 49. Il calendario universale è il calendario ad uso della Chiesa universale, posto all’inizio del Breviario e del Messale. 50. Il calendario particolare, cioè proprio, è diocesano o religioso; e si redige inserendo nel calendario universale le feste particolari. Tale calendario particolare perpetuo dev’essere redatto rispettivamente dall’Ordinario del luogo o dal Superiore generale dell’Istituto religioso su consiglio del proprio Capitolo o Consiglio generale, e dev’essere approvato dalla S. Congregazione dei Riti. 51. Ogni diocesi e ogni altro territorio ecclesiastico governato da un “Ordinario del luogo” ha un calendario diocesano. 52. Nel calendario diocesano, oltre alle feste universali, si devono iscrivere: a) le feste proprie (n. 42) e concesse di tutta la nazione, regione o provincia, sia ecclesiastica che civile; b) le feste proprie (n. 43) e concesse di tutta la diocesi. 53. Sulla base di tale calendario diocesano si redige: a) il calendario di ciascun luogo, aggiungendovi le feste proprie (n. 44) e concesse; b) il calendario di ciascuna chiesa od oratorio, aggiungendovi le feste del proprie (n. 44) e concesse del luogo, e le feste proprie (n. 45) e concesse della chiesa stessa; c) il calendario delle Congregazioni religiose o Istituti di diritto pontificio che non sono tenuti alla recita dell’Ufficio divino, e delle Congregazioni di diritto diocesano, aggiungendovi le feste proprie (n. 44) e concesse del luogo, nonché le feste proprie (nn. 45 e 46) e concesse delle stesse Congregazioni o Istituti. 54. Hanno un calendario religioso: a) gli Ordini regolari, e le Monache e le Suore del medesimo Ordine, come pure i Terziari ad esso aggregati che vivono in comune ed emettono i voti semplici; b) le Congregazioni religiose o Istituti maschili e femminili di diritto pontificio, retti da un unico Superiore generale, se sono tenuti, per qualsiasi titolo, alla recita dell’Ufficio divino. 55. Nel calendario religioso, oltre alle feste universali, si devono iscrivere le feste proprie (n. 46) e concesse del medesimo Ordine o Congregazione. 56. Sulla base di tale calendario religioso si redige: a) il calendario di ciascuna provincia religiosa, aggiungendovi le feste proprie (n. 46) e concesse; b) il calendario di ciascuna chiesa od oratorio, aggiungendovi le feste proprie (n. 45) e concesse, nonché quelle di cui al numero seguente: si tratta del calendario di una casa religiosa. 57. In ogni diocesi e luogo, i religiosi, anche coloro che seguono un rito diverso da quello romano, sono tenuti a celebrare, insieme al clero diocesano: a) la festa del Patrono principale della nazione, della regione o provincia, sia ecclesiastica che civile, della diocesi, del luogo o paese o città (I classe); b) l’anniversario della Dedicazione della chiesa cattedrale (I classe); c) le eventuali altre feste attualmente di precetto, con lo stesso grado che hanno nel calendario diocesano. 58. I Religiosi, nella celebrazione delle feste dei Santi dell’Ordine o della Congregazione, sono tenuti a conformarsi al clero diocesano per ciò che riguarda il giorno e l’Ufficio più proprio, laddove questi Santi sono venerati come Patroni principali (n. 57 a). Parimenti, se le feste di Santi o Beati di qualche Ordine o Congregazione sono celebrate dal clero di qualche diocesi o luogo con grado superiore o Ufficio più proprio, possono essere celebrate con lo stesso grado superiore o con l’Ufficio più proprio anche dai Religiosi del medesimo Ordine o Congregazione, purché queste feste, in entrambi i calendari, siano iscritte allo stesso giorno. C) Il giorno proprio delle feste 59. Le feste già introdotte nei calendari si celebrano nel giorno loro assegnato. 60. Per le nuove feste universali, si osservi quanto segue: a) le feste dei Santi saranno di norma assegnate al giorno natalizio, cioè al giorno in cui il Santo è nato alla vita eterna; se questo giorno, per qualsiasi ragione, è impedito, tali feste saranno assegnate ad un giorno stabilito dalla Santa Sede, che sarà considerato come giorno quasi-natalizio; b) per le altre feste, il giorno sarà assegnato dalla Santa Sede. 61. Per le nuove feste particolari, si osservi quanto segue: a) le feste proprie di Santi o Beati saranno di norma assegnate al giorno natalizio, a meno che questo non sia impedito o che la Santa Sede non disponga diversamente. Tuttavia, le feste proprie di un luogo o di una chiesa, che sono iscritte con grado inferiore anche nel calendario universale o diocesano o religioso, devono essere celebrate nello stesso giorno assegnato nel calendario universale o diocesano o religioso; b) se s’ignora il giorno natalizio, le feste saranno assegnate, previa approvazione della Santa Sede, ad un giorno che nel calendario perpetuo diocesano o religioso sia di IV classe; c) se invece il giorno natalizio è perpetuamente impedito per tutta la diocesi, Istituto religioso o chiesa propria, in tale calendario particolare le feste, se sono di I o II classe, saranno assegnate al primo giorno seguente che non sia di I o II classe; se sono di III classe, saranno assegnate al primo giorno seguente che sia libero da altre feste o Uffici di grado pari o superiore; d) le feste particolari concesse per indulto saranno iscritte nel calendario al giorno assegnato dalla Santa Sede nell’atto di concessione. 62. I Santi o i Beati che, per qualsiasi ragione, sono iscritti nel calendario in un’unica festa, quando sono dello stesso grado si celebrano sempre insieme come si trovano nel Breviario romano, anche se uno o qualcuno di loro fosse più proprio. Quindi: a) se uno o alcuni di tali Santi dovessero essere celebrati con una festa di I classe, si celebra l’Ufficio solo di questi, omettendo i compagni; b) se uno o alcuni di tali Santi o Beati fossero più propri e dovessero essere celebrati con grado superiore, si celebra l’Ufficio dei più propri, con la commemorazione dei compagni. CAPITOLO VII LE OTTAVE A) Le ottave in generale 63. L’ottava è la celebrazione delle feste maggiori protratta per otto giorni consecutivi. 64. Si celebrano soltanto le ottave della Natività del Signore, di Pasqua e di Pentecoste; tutte le altre, sia nel calendario universale che nei calendari particolari, sono abolite. 65. Le ottave sono di I o di II classe. B) Le ottave di I classe 66. Sono ottave di I classe quelle di Pasqua e di Pentecoste. I giorni durante queste ottave sono di I classe. C) L’ottava di II classe 67. Ottava di II classe è quella della Natività del Signore. I giorni durante questa ottava sono di II classe, mentre l’ottavo giorno è di I classe. 68. L’ottava di Natale è ordinata in modo particolare, e cioè: a) il 26 dicembre si celebra la festa di S. Stefano Protomartire (II classe); b) il 27 dicembre si celebra la festa di S. Giovanni Apostolo ed Evangelista (II classe); c) il 28 dicembre si celebra la festa dei Ss. Innocenti Martiri (II classe); d) il 29 dicembre si fa commemorazione di S. Tommaso Vescovo e Martire; e) il 31 dicembre si fa commemorazione di S. Silvestro Papa e Confessore; f) quanto alle feste particolari, sono ammesse soltanto quelle di I classe e in onore di quei Santi che nel calendario universale si celebrano in questi giorni, anche come semplice commemorazione; le altre si trasferiscono dopo l’ottava. 69. Della domenica fra l’ottava di Natale, cioè quella che cade dal 26 al 31 dicembre, si celebra sempre l’Ufficio con commemorazione della festa eventualmente occorrente, a meno che tale domenica non cada in una festa di I classe: in questo caso si dice l’Ufficio della festa, con commemorazione della domenica. 70. Le norme particolari per ordinare l’Ufficio e la Messa durante l’ottava di Natale si trovano nelle rubriche del Breviario e del Messale. CAPITOLO VIII I TEMPI DELL’ANNO A) Il tempo d’Avvento 71. Il tempo del sacro Avvento decorre dai I Vespri della I domenica d’Avvento fino a Nona compresa della vigilia della Natività. B) Il tempo natalizio 72. Il tempo natalizio decorre dai I Vespri della Natività fino al 13 gennaio compreso. Quest’arco di tempo comprende: a) il tempo della Natività, che decorre dai I Vespri della Natività del Signore fino a Nona compresa del 5 gennaio; b) il tempo dell’Epifania, che decorre dai I vespri dell’Epifania del Signore fino al 13 gennaio compreso. C) Il tempo di Settuagesima 73. Il tempo di Settuagesima decorre dai I Vespri della domenica di Settuagesima fino a dopo Compieta del martedì della settimana di Quinquagesima. D) Il tempo quaresimale 74. Il tempo quaresimale decorre dal Mattutino del mercoledì delle ceneri fino alla Messa della Vigilia pasquale esclusa. Quest’arco di tempo comprende: a) il tempo di Quaresima, che decorre dal Mattutino del mercoledì delle ceneri fino a Nona compresa del sabato che precede la I domenica di Passione; b) il tempo di Passione, che decorre dai I Vespri della I domenica di passione fino alla Messa della Vigilia pasquale esclusa. 75. La settimana che va dalla II domenica di Passione o delle palme fino al sabato santo compreso si dice Settimana santa; gli ultimi tre giorni di tale settimana si chiamano Triduo sacro. E) Il tempo pasquale 76. Il tempo pasquale decorre dall’inizio della Messa della Vigilia pasquale fino a Nona compresa del sabato nell’ottava di Pentecoste. Quest’arco di tempo comprende: a) il tempo di Pasqua, che decorre dall’inizio della Messa della Vigilia pasquale fino a Nona compresa della vigilia dell’Ascensione; b) il tempo dell’Ascensione, che decorre dai I Vespri dell’Ascensione del Signore fino a Nona compresa della vigilia di Pentecoste; c) l’ottava di Pentecoste, che decorre dalla Messa della vigilia di Pentecoste fino a Nona compresa del sabato seguente. F) Il tempo «per annum» 77. Il tempo «per annum» decorre dal 14 gennaio fino a Nona compresa del sabato che precede la domenica di Settuagesima, e dai I Vespri della festa della Ss. Trinità, cioè della I domenica dopo Pentecoste, fino a Nona compresa del sabato che precede la I domenica d’Avvento. CAPITOLO IX SANTA MARIA IN SABATO 78. Nei sabati di IV classe si celebra l’Ufficio di santa Maria in sabato. 79. L’Ufficio di santa Maria in sabato comincia dal Mattutino e termina dopo Nona. CAPITOLO X LE LITANIE MAGGIORI E MINORI A) Le Litanie maggiori 80. Le Litanie maggiori sono assegnate al giorno 25 aprile; se però in tale giorno cade la domenica o il lunedì di Pasqua, si trasferiscono al martedì seguente. 81. Le Litanie maggiori non riguardano l’Ufficio, ma soltanto la Messa. La loro commemorazione non dev’essere considerata una commemorazione «del Tempo» 82. Secondo le condizioni e le consuetudini delle chiese e dei luoghi, di cui solo giudice è l’Ordinario, in questo giorno si fa una processione nella quale si dicono le Litanie dei Santi (che però non vanno duplicate) con le relative preghiere. 83. Ma se tale processione non può avere luogo, gli Ordinari istituiscano delle suppliche particolari, nelle quali si dicano le Litanie dei Santi e le altre preghiere che ordinariamente si fanno durante la processione. 84. Tutti coloro che sono obbligati alla recita dell’Ufficio divino e non assistono alla processione o alle suppliche particolari di cui al numero precedente, sono tenuti a dire in questo giorno le Litanie dei Santi con le relative preghiere, in latino. 85. Se durante la processione o le altre suppliche particolari, secondo la consuetudine del luogo, le Litanie dei Santi con le relative preghiere vengono recitate in lingua volgare insieme ai fedeli, coloro che sono tenuti alla recita dell’Ufficio divino e partecipano a queste suppliche non sono tenuti a ripetere tali preghiere in latino. 86. La Messa delle Rogazioni si dice normalmente dopo la processione, secondo quanto stabilito ai nn. 346-347. Tuttavia, è opportuno che la Messa delle Rogazioni venga celebrata anche dopo le suppliche particolari che sostituiscono la processione, anche se hanno luogo nelle ore pomeridiane. B) Le Litanie minori o Rogazioni 87. Le Litanie minori o Rogazioni, di per sé, sono assegnate al lunedì, al martedì e al mercoledì prima della festa dell’Ascensione del Signore. Agli Ordinari dei luoghi, tuttavia, si concede la facoltà di trasferirle ad altri tre giorni consecutivi più adatti, secondo la situazione, la consuetudine o la necessità delle diverse regioni. 88. Le Litanie minori non riguardano l’Ufficio, ma soltanto la Messa che è legata alla processione o alle altre suppliche particolari. 89. Per quanto riguarda la processione o le altre suppliche particolari e la Messa o la commemorazione, si osservi quanto stabilito a proposito delle Litanie maggiori (nn. 81-83 e 86). 90. In questi giorni, le Litanie dei Santi con le relative preghiere vengono recitate solo durante la processione o le altre suppliche (cfr. n. 85). Pertanto, coloro che sono obbligati alla recita dell’Ufficio divino e non assistono alla processione né alle altre suppliche particolari, in questi giorni non sono tenuti a dire le Litanie dei Santi con le relative preghiere. CAPITOLO XI LA PRECEDENZA DEI GIORNI LITURGICI 91. La precedenza dei giorni liturgici, abolito qualunque altro titolo o regola, è regolata unicamente dalla seguente TABELLA DEI GIORNI LITURGICI DISPOSTI SECONDO L’ORDINE DI PRECEDENZA Giorni liturgici di I classe 1. Festa della Natività del Signore, domenica di Resurrezione e domenica di Pentecoste (I classe con ottava). 2. Triduo sacro. 3. Feste dell’Epifania e dell’Ascensione del Signore, della Ss. Trinità, del Ss. Corpo di Cristo, del S. Cuore di Gesù e di Cristo Re. 4. Feste dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione della beata Vergine Maria. 5. Vigilia e ottavo giorno della Natività del Signore. 6. Domeniche d’Avvento, di Quaresima, di Passione, e domenica in albis. 7. Ferie di I classe non menzionate sopra, e cioè: mercoledì delle ceneri; lunedì, martedì e mercoledì della Settimana santa. 8. Commemorazione di tutti i Fedeli defunti, che però cede il posto alla domenica occorrente. 9. Vigilia di Pentecoste. 10. Giorni durante l’ottava di Pasqua e Pentecoste. 11. Feste di I classe della Chiesa universale non menzionate sopra. 12. Feste proprie di I classe, e cioè: 1) Festa del Patrono principale regolarmente costituito: a) della nazione, b) della regione o provincia, sia ecclesiastica che civile, c) della diocesi. 2) Anniversario della Dedicazione della chiesa cattedrale. 3) Festa del Patrono principale regolarmente costituito del luogo, paese o città. 4) Festa e anniversario della Dedicazione della chiesa propria, o dell’oratorio pubblico o semi-pubblico che tiene il posto della chiesa. 5) Festa del Titolare della chiesa propria. 6) Festa del Titolare dell’Ordine o Congregazione. 7) Festa del Fondatore canonizzato dell’Ordine o Congregazione. 8) Festa del Patrono principale regolarmente costituito dell’Ordine o Congregazione, e della provincia religiosa. 13. Feste concesse di I classe, prima quelle mobili, poi quelle fisse. Giorni liturgici di II classe 14. Feste del Signore di II classe, prima quelle mobili, poi quelle fisse. 15. Domeniche di II classe. 16. Feste di II classe della Chiesa universale che non sono del Signore. 17. Giorni durante l’ottava della Natività del Signore. 18. Ferie di II classe, e cioè: ferie d’Avvento dal 17 al 23 dicembre compreso, e ferie delle Quattro Tempora d’Avvento, di Quaresima e di settembre. 19. Feste proprie di II classe, e cioè: 1) Festa del Patrono secondario regolarmente costituito: a) della nazione, b) della regione o provincia, sia ecclesiastica che civile, c) della diocesi, d) del luogo, paese o città. 2) Feste di Santi o Beati di cui al n. 43 d. 3) Feste di Santi propri di una chiesa (n. 45 c). 4) Festa del Fondatore beatificato dell’Ordine o Congregazione (n. 46 b). 5) Festa del Patrono secondario regolarmente costituito dell’Ordine o Congregazione, e della provincia religiosa (n. 46 d). 6) Feste di Santi o Beati di cui al n. 46 e. 20. Feste concesse di II classe, prima quelle mobili, poi quelle fisse. 21. Vigilie di II classe. Giorni liturgici di III classe 22. Ferie di Quaresima e di Passione, dal giovedì dopo le ceneri fino al sabato che precede la II domenica di Passione compreso, eccetto le ferie delle Quattro Tempora. 23. Feste di III classe iscritte nei calendari particolari, prima le feste proprie, e cioè: 1) Feste di Santi o Beati di cui al n. 43 d. 2) Feste di Beati propri di una chiesa (n. 45 d). 3) Feste di Santi o Beati di cui al n. 46 e; e poi le feste concesse, prima quelle mobili, poi quelle fisse. 24. Feste di III classe iscritte nel calendario della Chiesa universale, prima quelle mobili, poi quelle fisse. 25. Ferie d’Avvento fino al 16 dicembre compreso, eccetto le ferie delle Quattro Tempora. 26. Vigilia di III classe. Giorni liturgici di IV classe 27. Ufficio di santa Maria in sabato. 28. Ferie di IV classe. CAPITOLO XII L’OCCORRENZA DEI GIORNI LITURGICI 92. Si dice “occorrenza” l’incontro di due o più Uffici nello stesso giorno. L’occorrenza si dice accidentale quando un giorno mobile e un giorno fisso coincidono solo in certi anni; e perpetua quando due giorni liturgici coincidono ogni anno. 93. Per effetto dell’occorrenza, l’Ufficio del giorno liturgico di grado inferiore cede il posto all’Ufficio di grado superiore, il che può avvenire per omissione, commemorazione, traslazione o riposizione dell’Ufficio meno nobile, secondo quanto indicato nei numeri successivi. 94. Una commemorazione assegnata ad un giorno fisso non può essere trasferita o riposta insieme alla festa da trasferire o riporre, ma si fa nel suo giorno proprio oppure si omette, secondo le rubriche. CAPITOLO XIII OCCORRENZA ACCIDENTALE E TRASLAZIONE DEI GIORNI LITURGICI 95. Il diritto di traslazione ad un altro giorno, a causa dell’occorrenza accidentale con un giorno liturgico che nella tabella della precedenza è di rango superiore, spetta solo alle feste di I classe. Le altre feste, accidentalmente impedite da un Ufficio di grado superiore, si commemorano oppure per quell’anno si omettono del tutto, secondo le rubriche. Ma se due feste della medesima Persona divina o dello stesso Santo o Beato cadono nello stesso giorno, si celebra la festa che nella tabella della precedenza è di rango superiore, e l’altra si omette. 96. Una festa di I classe, impedita da un giorno che nella tabella della precedenza è di rango superiore, si trasferisce al primo giorno seguente che non sia di I o II classe. Tuttavia: a) la festa dell’Annunciazione della beata Vergine Maria, quando va trasferita dopo Pasqua, si trasferisce, come suo giorno proprio, al lunedì dopo la domenica in albis; b) la Commemorazione di tutti i Fedeli defunti, quando cade in domenica, si trasferisce, come suo giorno proprio, al lunedì seguente. 97. Se nello stesso giorno cadono più feste di I classe, quel giorno si celebri la festa che nella tabella della precedenza è di rango superiore, e le altre si trasferiscano secondo l’ordine con cui sono iscritte nella suddetta tabella. 98. Allo stesso modo, se si devono trasferire contemporaneamente più feste di I classe, si osservi l’ordine con cui sono iscritte nella tabella della precedenza; in caso di parità, ha la precedenza l’Ufficio impedito per primo. 99. Le feste traslate hanno lo stesso grado della loro originaria collocazione. CAPITOLO XIV OCCORRENZA PERPETUA E RIPOSIZIONE DEI GIORNI LITURGICI 100. Il diritto di riposizione ad un altro giorno, a causa dell’occorrenza perpetua con un giorno liturgico che nella tabella della precedenza è di rango superiore, spetta a tutte le feste di I e II classe, come pure alle feste particolari di III classe che non cadano in Avvento o in Quaresima, quando sono impedite in tutta la diocesi, in tutto l’Ordine o Congregazione o nella propria chiesa. Invece, le feste di III classe della Chiesa universale perpetuamente impedite in un calendario particolare, come pure le feste di III classe della diocesi, o dell’Ordine o Congregazione, perpetuamente impedite solo in alcune chiese, si commemorano oppure si omettono del tutto, secondo le rubriche. 101. Le feste da riporre, se sono di I o II classe, sono assegnate al primo giorno seguente che non sia di I o II classe; se sono di III classe, sono assegnate al primo giorno seguente che sia libero da Uffici di grado pari o superiore. 102. Il giorno in cui si ripongono le feste perpetuamente impedite è considerato come giorno proprio, e la festa riposta ha lo stesso grado della sua originaria collocazione. CAPITOLO XV LA CONCORRENZA DEI GIORNI LITURGICI 103. Si dice “concorrenza” l’incontro dei Vespri del giorno liturgico in corso coi primi Vespri del giorno liturgico seguente. 104. In caso di concorrenza, hanno la precedenza i Vespri del giorno liturgico di grado superiore, e gli altri si commemorano, secondo le rubriche. 105. Tuttavia, quando i giorni liturgici i cui Vespri sono in concorrenza sono della stessa classe, si dicono integralmente i Vespri dell’Ufficio in corso e si fa commemorazione dell’Ufficio seguente, secondo le rubriche. CAPITOLO XVI LE COMMEMORAZIONI 106. Quanto si stabilisce qui a proposito delle commemorazioni vale sia per la Messa che per l’Ufficio, tanto in caso di occorrenza che di concorrenza. 107. Le commemorazioni sono privilegiate od ordinarie. 108. Le commemorazioni privilegiate si fanno alle Lodi e ai Vespri, e a tutte le Messe; le commemorazioni ordinarie si fanno solo alle Lodi, alle Messe conventuali e a tutte le Messe lette. 109. Sono commemorazioni privilegiate quelle: a) della domenica; b) di un giorno liturgico di I classe; c) dei giorni durante l’ottava di Natale; d) delle ferie delle Quattro Tempora di settembre; e) delle ferie d’Avvento, di Quaresima e di Passione; f) delle Litanie maggiori, alla Messa. Tutte le altre commemorazioni sono commemorazioni ordinarie. 110. Nell’Ufficio e nella Messa di S. Pietro si fa sempre commemorazione di S. Paolo, e viceversa. Tale commemorazione si dice inseparabile; e le due orazioni devono ritenersi fuse in una sola, così che, nel computare il numero di orazioni, le si considerino come una sola. Pertanto: a) nell’Ufficio di S. Pietro o di S. Paolo, alle Lodi e ai Vespri, si aggiunge all’orazione del giorno l’orazione dell’altro Apostolo con una sola conclusione, senza antifona né versetto; b) nella Messa di S. Pietro o di S. Paolo, si aggiunge all’orazione del giorno l’orazione dell’altro Apostolo con una sola conclusione; c) quando l’orazione di uno di questi Apostoli deve aggiungersi a modo di commemorazione, a questa orazione si aggiunge immediatamente quella dell’altro Apostolo, prima di ogni ulteriore commemorazione. 111. Le norme per ammettere le commemorazioni sono le seguenti: a) nei giorni liturgici di I classe e nelle Messe in canto non conventuali, è ammessa una sola commemorazione privilegiata; b) nelle domeniche di II classe è ammessa una sola commemorazione, cioè quella di una festa di II classe, che però si omette se si deve fare una commemorazione privilegiata; c) negli altri giorni liturgici di II classe è ammessa una sola commemorazione, o una privilegiata o una ordinaria; d) nei giorni liturgici di III e IV classe sono ammesse due sole commemorazioni. 112. Per quanto riguarda le commemorazioni e le orazioni, si osservi inoltre quanto segue: a) l’Ufficio, la Messa o la commemorazione di una festa o mistero di una Persona divina esclude la commemorazione o l’orazione di un’altra festa o mistero della medesima Persona divina; b) l’Ufficio, la Messa o la commemorazione della domenica esclude la commemorazione o l’orazione di una festa o mistero del Signore, e viceversa; c) l’Ufficio, la Messa o la commemorazione del Proprio del Tempo esclude un’altra commemorazione del Proprio del Tempo; d) l’Ufficio, la Messa o la commemorazione della beata Vergine Maria, di un Santo o di un Beato esclude un’altra commemorazione od orazione nella quale si invochi l’intercessione della stessa beata Vergine Maria, dello stesso Santo o dello stesso Beato; questo però non vale per l’orazione della domenica o della feria nella quale s’invochi lo stesso Santo. 113. Si fa per prima la commemorazione del Proprio del Tempo. Per ammettere e ordinare le altre commemorazioni, si osservi l’ordine della tabella della precedenza. 114. Qualsiasi commemorazione che oltrepassi il numero stabilito per ciascun giorno liturgico si omette. CAPITOLO XVII LA CONCLUSIONE DELLE ORAZIONI 115. La conclusione delle orazioni, sia alla Messa che all’Ufficio, è questa: a) se l’orazione è rivolta al Padre, si conclude: Per Dóminum nostrum Iesum Christum Fílium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula sæculórum. Amen; b) se l’orazione è rivolta al Padre, ma all’inizio si menziona il Figlio, si conclude: Per eúndem Dóminum nostrum, ecc. come sopra; c) se l’orazione è rivolta al Padre, ma alla fine si menziona il Figlio, si conclude: Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula seculórum. Amen; d) se l’orazione è rivolta al Figlio, si conclude: Qui vivis et regnas cum Deo Patre in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula sæculórum. Amen; e) se nell’orazione si menziona lo Spirito Santo, nella conclusione si dice: ... in unitáte eiúsdem Spíritus Sancti, ecc. 116. Si mantengano le conclusioni particolari riportate a suo luogo nei libri liturgici. CAPITOLO XVIII IL COLORE DEI PARAMENTI A) Il colore dei paramenti in generale 117. I paramenti dell’altare, del celebrante e dei ministri devono essere del colore richiesto dall’Ufficio e dalla Messa del giorno o da un’altra Messa che si celebra fuori dall’ordine dell’Ufficio, secondo la consuetudine della Chiesa romana, che utilizza cinque colori: bianco, rosso, verde, viola e nero. Tuttavia, gli indulti e le legittime consuetudini circa l’uso di altri colori restano in vigore. Nei paesi di Missione dove, a causa di una comprovata e autentica tradizione dei popoli indigeni, il significato che la Chiesa romana ha attribuito a questo o a quel colore non si accorda col significato tradizionalmente inteso da tali popoli, la Conferenza Episcopale della regione ha facoltà di sostituire il colore inadatto con un altro più adeguato; questo, però, non avvenga senza consultare la S. Congregazione dei Riti. 118. Per quanto riguarda il colore dei paramenti alle Messe votive lette di IV classe, ci si attenga alle prescrizioni di cui al n. 323. B) Il colore bianco 119. Il colore bianco dev’essere usato all’Ufficio e alla Messa del Tempo: a) dalla festa della Natività del Signore fino al termine del tempo dell’Epifania; b) dalla Messa della Vigilia pasquale fino alla Messa della vigilia di Pentecoste esclusa. 120. Il colore bianco dev’essere usato all’Ufficio e alla Messa delle feste: a) del Signore, eccettuate le feste dei misteri e degli strumenti della Passione; b) della beata Vergine Maria, anche alla benedizione e alla processione delle candele il 2 febbraio; c) dei Ss. Angeli; d) di Tutti i Santi (1° novembre); e) dei Santi non Martiri; f) di S. Giovanni Apostolo ed Evangelista (27 dicembre); della Cattedra di S. Pietro (22 febbraio); della Conversione di S. Paolo (25 gennaio); della Natività di S. Giovanni Battista (24 giugno). 121. Il colore bianco è richiesto alle Messe votive: a) che corrispondo alle feste di cui al numero precedente; b) di N. S. Gesù Cristo sommo ed eterno Sacerdote; c) dell’incoronazione del Sommo Pontefice e degli anniversari del Sommo Pontefice e del Vescovo diocesano; d) «per gli sposi». 122. Infine, il colore bianco dev’essere usato il giovedì santo alla Messa crismale e alla Messa della Cena del Signore; parimenti dev’essere usato dal diacono per il canto del preconio pasquale e dal celebrante per il rinnovo delle promesse battesimali, nella Vigilia pasquale. C) Il colore rosso 123. Il colore rosso dev’essere usato all’Ufficio e alla Messa del Tempo dalla Messa della vigilia di Pentecoste fino a Nona del sabato seguente. 124. Il colore rosso dev’essere usato all’Ufficio e alla Messa delle feste: a) dei misteri e degli strumenti della Passione del Signore; b) dei Santi Apostoli ed Evangelisti nel loro giorno natalizio, eccetto che nella festa di S. Giovanni (27 dicembre); c) della Commemorazione di S. Paolo Apostolo (30 giugno); d) della Commemorazione di tutti i Ss. Sommi Pontefici; e) dei Santi Martiri, quando se ne celebra il martirio, l’invenzione o la traslazione; f) delle Sante Reliquie. 125. Il colore rosso è richiesto alle Messe votive: a) della Passione del Signore; b) dello Spirito Santo; c) dei Misteri e dei Santi di cui al numero precedente; d) per l’elezione del Sommo Pontefice. 126. Infine, il colore rosso dev’essere usato nella II domenica di Passione o delle palme per la benedizione e la processione dei rami. D) Il colore verde 127. Il colore verde dev’essere usato all’Ufficio e alla Messa del Tempo: a) dal 14 gennaio al sabato prima della Settuagesima; b) dal lunedì che segue la I domenica dopo Pentecoste al sabato prima dell’Avvento. Fanno eccezione le ferie delle Quattro Tempora di settembre e le vigilie di II e III classe, fuori dal tempo pasquale. E) Il colore viola 128. Il colore viola dev’essere usato all’Ufficio e alla Messa del Tempo: a) dalla I domenica d’Avvento fino alla vigilia della Natività compresa; b) dalla domenica di Settuagesima fino alla Vigilia pasquale, eccetto che: alla benedizione e alla processione delle palme nella II domenica di passione; il giovedì santo alla Messa crismale e alla Messa della Cena del Signore; nell’Azione liturgica del venerdì santo fino alla Comunione esclusa; al canto del preconio pasquale (per il diacono) e al rinnovo delle promesse battesimali (per il celebrante) nella Vigilia pasquale; c) nelle ferie delle Quattro Tempora di settembre; d) nelle vigilie di II e III classe, fuori dal tempo pasquale. 129. Il colore viola è richiesto alle Messe votive: a) per la propagazione della Fede; b) per la difesa della Chiesa; c) per l’unità della Chiesa; d) in tempo di guerra; e) per la pace; f) per evitare la pestilenza; g) per la remissione dei peccati; h) per i pellegrini e i viaggiatori; i) per i malati; l) per domandare la grazia di ben morire; m) per qualunque necessità. 130. Il colore viola dev’essere usato anche: a) alla processione e alla Messa delle Litanie maggiori e minori; b) alla benedizione delle ceneri; c) alla Comunione nell’Azione liturgica del venerdì santo; d) alle Messe della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti che si celebrano durante l’esposizione del Ss. Sacramento per la preghiera delle Quarantore. 131. I paramenti di colore rosa si possono utilizzare la III domenica d’Avvento e la IV domenica di Quaresima, ma solo all’Ufficio e alla Messa della domenica. F) Il colore nero 132. Il colore nero dev’essere usato: a) nell’Azione liturgica del venerdì santo, fino alla Comunione esclusa; b) all’Ufficio e alla Messa dei defunti, eccettuato il caso di cui al n.130 d. Capitolo XIX IMPIEGO E NATURA DEI PARAMENTI 133. Alla Messa il sacerdote celebrante porta sempre la pianeta o casula. 134. Il Vescovo e gli altri godono dell’uso delle insegne pontificali, quando celebrano solennemente, portano la pianeta sopra la dalmatica e la tunicella. Il Vescovo porta la pianeta sopra la dalmatica e la tunicella anche alla Messa letta: a) per la consacrazione di un Vescovo; b) per il conferimento dei sacri Ordini; c) per la benedizione di un Abate; d) per la benedizione di una Badessa; e) per la benedizione e la consacrazione delle Vergini; f) per la consacrazione di una chiesa o di un altare. Tuttavia, i Vescovi e gli altri di cui sopra possono astenersi, per una giusta causa, dal portare la dalmatica e la tunicella sotto la pianeta. 135. Il piviale si usa: a) all’Ufficio delle Lodi e dei Vespri, quando si celebrano solennemente; b) alle benedizioni che si fanno all’altare; c) alle processioni; d) all’assoluzione sul cadavere o sul tumulo; e) alla Messa pontificale, da parte del prete assistente; f) alle orazioni solenni, nell’Azione liturgica del venerdì santo; g) nella Vigilia pasquale. 136. Quando il celebrante porta il piviale non usa mai il manipolo; e se non può avere il piviale, alle benedizioni che si fanno all’altare, il sacerdote sta in camice e stola, senza pianeta né manipolo. 137. Il diacono e il suddiacono indossano rispettivamente la dalmatica e la tunicella quando servono il sacerdote: a) alla Messa; b) alle benedizioni all’altare; c) alle processioni. Tuttavia, quando il sacerdote sta senza piviale, anche i ministri stanno senza dalmatica e tunicella. Le pianete piegate e lo stolone non si usano più. RUBRICÆ GENERALES MISSALIS ROMANI Missale Romanum, Typis Poliglottis Vaticanis 1962 NOZIONI E NORME GENERALI CALENDARIO DA USARSI NELLA MESSA LA MESSA CONVENTUALE LA MESSA NELLE DOMENICHE E NELLE FERIE LE MESSE FESTIVE LE MESSE VOTIVE A) Messe votive in generale B) Messe votive di prima classe C) Messe votive di seconda classe D) Messe votive di terza classe E) Messe votive di quarta classe VII LE MESSE DEI DEFUNTI A) Le Messe dei defunti in generale B) Le Messe dei defunti di prima classe C) Le Messe dei defunti di seconda classe D) Le Messe dei defunti di terza classe E) Le Messe dei defunti di quarta classe o quotidiane VIII LE DIVERSE PARTI DELLA MESSA A) Il salmo, la confessione, l'incensazione B) L'antifona d'Introito e il Kýrie C) L'inno di Gloria D) Le orazioni E) Dalle letture al Vangelo F) Il simbolo G) L'antifona d'Offertorio e le orazioni secrete H) Il prefazio I) Dal canone della messa fino a dopo comunione L) La conclusione della Messa IX COSA BISOGNA DIRE AD ALTA O SOTTOVOCE X PER INGINOCCHIARSI, SEDERSI E STARE IN PIEDI XI LA PREPARAZIONE DELL'ALTARE PER LA MESSA I II III IV V VI CAPITOLO I NOZIONI E NORME GENERALI 269. Il santo Sacrificio della Messa, celebrato secondo i canoni e le rubriche, è un atto di culto pubblico, reso a Dio in nome di Cristo e della Chiesa. L’espressione «Messa privata» è dunque da evitarsi. 270. La Messa insieme all’Ufficio divino costituisce il vertice di tutto il culto cristiano; perciò la Messa, di per sé, dev’essere conforme all’Ufficio del giorno. Esistono tuttavia alcune Messe fuori dall’ordine dell’Ufficio, cioè le Messe votive e quelle dei defunti. 271. Vi sono due tipi di Messe: la Messa in canto e la Messa letta. La Messa si dice in canto se il sacerdote effettivamente canta quelle parti che le rubriche prescrivono di cantare; altrimenti si dice letta. La Messa in canto, poi, se è celebrata con l’assistenza dei sacri ministri, si dice Messa solenne; se è celebrata senza sacri ministri, si dice Messa cantata. Infine, la Messa solenne che viene celebrata dal Vescovo o da altri che hanno questa facoltà con le solennità prescritte dai libri liturgici, si dice Messa pontificale. 272. La Messa, per sua natura, richiede che tutti i presenti vi partecipino, ciascuno nel modo suo proprio. Le diverse modalità con cui i fedeli possono partecipare attivamente al santo Sacrificio devono essere opportunamente regolate, in modo da evitare il pericolo di qualsiasi abuso e ottenere il fine principale di tale partecipazione: maggior pienezza del culto di Dio ed edificazione dei fedeli. Di questa partecipazione attiva dei fedeli si è ampiamente trattato nell’Istruzione sulla Musica sacra e la sacra Liturgia, promulgata dalla S. Congregazione dei Riti il 3 settembre 1958. 273. Le seguenti rubriche valgono sia per le Messe in canto che per le Messe lette, salvo diversa specificazione. CAPITOLO II IL CALENDARIO DA USARSI NELLA CELEBRAZIONE DELLA MESSA 274. La Messa dev’essere detta secondo il calendario o della chiesa od oratorio in cui viene celebrata, o del luogo, o dello stesso sacerdote celebrante, o della Chiesa universale, come qui di seguito spiegato. 275. In una chiesa od oratorio pubblico, ogni sacerdote, sia diocesano che religioso, è tenuto a celebrare secondo il calendario di tale chiesa od oratorio pubblico. Questa norma va osservata anche nell’oratorio semipubblico principale di un seminario, casa religiosa, collegio, ospedale, carcere e simili. 276. Negli oratori secondari di un seminario, casa religiosa, collegio, ospedale, carcere e simili, ogni sacerdote può seguire o il calendario di tale oratorio o il proprio calendario. 277. Negli oratori privati e quando celebra su un altare portatile fuori da un luogo sacro, ogni sacerdote può seguire o il calendario del luogo (n. 53 a) o il proprio calendario. 278. Ogni sacerdote, anche se ha facoltà di seguire il proprio calendario, deve celebrare la Messa delle feste del Patrono principale della nazione, regione o provincia, sia ecclesiastica che civile, della diocesi, paese o città, come pure l’anniversario della Dedicazione della chiesa cattedrale e le eventuali altre feste attualmente di precetto. 279. L’oratorio stabilito in modo permanente sulle navi è un oratorio pubblico, e vi si deve impiegare il calendario della Chiesa universale. Ma quando un sacerdote celebra fuori da tale oratorio, su un altare portatile, può impiegare o il calendario della Chiesa universale o il proprio calendario. Può fare altrettanto chi celebra legittimamente durante un viaggio aereo, fluviale o ferroviario. 280. Nei seminari e nei collegi di chierici diocesani affidati a Religiosi, come pure nei seminari e collegi di chierici interdiocesani, regionali, nazionali ed internazionali affidati a Religiosi, si deve usare lo stesso calendario prescritto per la recita dell’Ufficio divino (nn. 154-155). [154. Nei seminari e nei collegi di chierici diocesani affidati a Religiosi, per la recita dell’Ufficio divino in comune, sia i chierici sia i religiosi che recitano l’Ufficio con i chierici, devono seguire il calendario del luogo (n. 53 a), aggiungendovi le feste della chiesa del seminario o del collegio (n. 45), con la facoltà di aggiungere anche la festa del Titolare e del santo Fondatore dei Religiosi ai quali è affidato il seminario. 155. Nei seminari e nei collegi di chierici interdiocesani, regionali, nazionali ed internazionali di chierici, per la recita dell’Ufficio divino in comune si deve seguire il calendario della Chiesa universale, aggiungendovi le feste del Patrono principale della nazione, regione o provincia, sia ecclesiastica che civile, diocesi, paese o città, l’anniversario della Dedicazione della chiesa cattedrale della diocesi e le eventuali altre feste attualmente di precetto, come pure le feste della chiesa del seminario o collegio (n. 45). Se tale seminario è affidato a Religiosi, anch’essi devono osservare il calendario della Chiesa universale quando recitano l’Ufficio divino in comune con i chierici, con la facoltà di aggiungervi la festa del Titolare dell’Ordine o Congregazione e del santo Fondatore dei Religiosi ai quali è affidato il seminario.] 281. Nei collegi e nelle case interprovinciali, nazionali e internazionali di Religiosi, si deve usare il calendario proprio di tutto l’Ordine o Congregazione (n. 55), aggiungendovi solo le feste di cui al n. 57. 282. Il calendario diocesano, con l’aggiunta delle feste proprie del luogo e della chiesa od oratorio, dev’essere utilizzato: a) nelle chiese cattedrali, anche se affidate a Religiosi; b) nelle chiese e oratori del clero diocesano, anche se hanno annesso un coro di Religiosi che comunica con la chiesa solo per mezzo di grate; c) nelle chiese e oratori dei Religiosi di entrambi i sessi che non hanno un calendario proprio, aggiungendo in questo caso le loro feste proprie e concesse; d) nelle chiese e oratori dei Religiosi che sono affidate al clero diocesano o hanno annesso un coro di Canonici; non però se la chiesa o l’oratorio fosse affidato a un sacerdote in particolare; e) nella chiesa e oratorio principale di un seminario, anche se affidato a Religiosi, con la facoltà di aggiungere le feste di cui al n. 154. 283. Il calendario religioso, con l’aggiunta delle feste di cui al n. 57 e delle feste proprie della chiesa od oratorio, dev’essere utilizzato: a) nelle chiese e oratori principali dei Religiosi che hanno un calendario proprio, anche se sono parrocchiali; b) nelle chiese e oratori del clero diocesano che sono affidati a Religiosi o nei quali i Religiosi recitano l’Ufficio divino, anche se sono parrocchiali; non però se la chiesa o l’oratorio fosse affidato a un Religioso in particolare; c) nelle chiese e oratori dei Terziari di entrambi i sessi, anche se recitano soltanto il piccolo Ufficio della B. Vergine Maria; d) negli oratori secondari di un seminario affidato a Religiosi, se tali oratori servono solo per i Religiosi. 284. Il sacerdote che celebra in una chiesa od oratorio in cui vige un rito diverso dal proprio, deve attenersi al calendario di tale chiesa od oratorio per quel che riguarda le feste e il loro grado, le commemorazioni e la colletta imperata. Nell’ordinare la Messa deve prendere le parti variabili proprie dell’altro rito, mantenendo le cerimonie e l’Ordinario del proprio rito. CAPITOLO III LA MESSA CONVENTUALE 285. Per “Messa conventuale” s’intende la Messa conforme all’Ufficio divino che dev’essere celebrata quotidianamente da coloro che, per le leggi ecclesiastiche, hanno l’obbligo del coro. 286. Ogni giorno si dice una sola Messa conventuale, che deve corrispondere all’Ufficio recitato in coro, salvo i giorni di cui ai nn. 289294. Resta in vigore, tuttavia, l’obbligo derivante da pie fondazioni o altra legittima causa, di celebrare in coro altre Messe. 287. La Messa conventuale dev’essere celebrata dopo Terza, a meno che il superiore della comunità, per una grave causa, non decida di trasferirla dopo Sesta o Nona. Nella vigilia di Pentecoste, la Messa conventuale si dice dopo Nona. 288. La Messa conventuale di per sé dev’essere solenne o almeno cantata. Dove però per leggi particolari o speciali indulti si è dispensati dalla solennità della Messa in coro, è opportuno che i corali prestino una partecipazione liturgica diretta alla Messa conventuale letta, recitando almeno le parti dell’Ordinario della Messa. Inoltre agli stessi corali è proibito continuare coralmente le Ore canoniche durante la Messa conventuale. 289. In tutte le ferie di IV classe, se non è prescritto altrimenti, al posto della Messa conventuale conforme all’Ufficio del giorno, si può dire, senza commemorazione della feria: a) o la Messa corrispondente ad una commemorazione eventualmente occorrente nell’Ufficio del giorno; b) o la Messa del Mistero, Santo o Beato il cui elogio si trova quel giorno nel Martirologio o nella sua Appendice approvata per le rispettive Chiese; c) o una delle Messe votive che nel Messale sono disposte secondo i giorni della settimana per la Messa conventuale; d) o qualunque altra Messa che può essere celebrata come votiva. 290. La Messa conventuale per i defunti sacerdoti, benefattori ed altri, fuori dal tempo natalizio e pasquale: a) dev’essere detta ogni mese, eccettuato il mese di novembre, nella prima feria di IV classe; b) può essere detta, ogni settimana, nella prima feria di IV classe. Si prende la Messa «quotidiana» con l’orazione Deus, véniæ largítor. 291. Nei giorni delle Litanie maggiori e minori, dove ha luogo la processione o altre suppliche particolari, come Messa conventuale si deve dire la Messa delle Rogazioni (nn. 346-347). 292. Nel giorno dell’incoronazione del Sommo Pontefice e negli anniversari dello stesso Sommo Pontefice e del Vescovo diocesano, nelle chiese cattedrali e collegiate come Messa conventuale si deve dire la Messa di tali anniversari, secondo i nn. 362-363. 293. Nell’anniversario dell’ultimo Vescovo defunto, come pure nell’anniversario che si celebra nell’ottavario dei defunti per le anime di tutti i Vescovi e Canonici defunti della chiesa cattedrale, nella stessa chiesa cattedrale come Messa conventuale si deve dire la Messa di tali anniversari. 294. Negli anniversari di tutti i defunti di qualche Capitolo o Ordine o Congregazione obbligata al coro, come Messa conventuale si deve dire la Messa di tali anniversari. 295. Nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti, come Messa conventuale si dice la prima di quel giorno; e i corali sono tenuti a partecipare solo ad essa. 296. Nella festa della Natività del Signore, in coro si dicono due Messe conventuali: quella della notte e quella del giorno. 297. Quando il Vescovo celebra solennemente la Messa o vi assiste, oppure quando in coro si canta una Messa non conforme all’Ufficio, in occasione di qualche solennità esterna, i corali sono tenuti a partecipare soltanto a tale Messa, quantunque non applicata per i benefattori, fermo restando l’obbligo di applicare per essi un’altra Messa da parte di colui al quale spetta. CAPITOLO IV LA MESSA NELLE DOMENICHE E NELLE FERIE 298. Tutte le domeniche, sia di I che di II classe, hanno una Messa propria. Tuttavia, le domeniche dopo l’Epifania che vengono trasferite tra la XXIII e la XXIV domenica dopo Pentecoste prendono le antifone d’Introito, Offertorio e Comunione, nonché il graduale e l’Allelúia col suo versetto, dalla XXIII domenica dopo Pentecoste, mantenendo orazioni, Epistola e Vangelo propri. 299. Hanno una Messa propria tutte le ferie del tempo di Quaresima e Passione, come pure le ferie delle Quattro Tempora d’Avvento e di settembre. Nelle altre ferie si dice la Messa della domenica precedente, a meno che le rubriche non dispongano altrimenti. 300. Nei sabati delle Quattro Tempora e nel sabato «Sitiéntes», la Messa nella quale si conferiscono gli Ordini sacri dev’essere del sabato, anche se coincidesse con una festa di I o II classe. CAPITOLO V LE MESSE FESTIVE 301. Per Messa festiva in senso stretto s’intende la Messa del Mistero, Santo o Beato celebrata secondo l’ordine dell’Ufficio. 302. In senso lato si dicono Messe festive anche: a) la Messa di una festa di III classe impedita da un’altra festa del medesimo grado; b) la Messa di una commemorazione occorrente nell’Ufficio del giorno; c) la Messa del Mistero, Santo o Beato il cui elogio si trova quel giorno nel Martirologio o nella sua Appendice approvata per le rispettive Chiese. 303. Le Messe festive di cui al numero precedente godono di tutti i diritti liturgici che avrebbero se la festa fosse celebrata con Ufficio completo. Tuttavia: a) la Messa di una festa di III classe impedita si può dire nel suo giorno solo se la festa che la impedisce è pure di III classe; b) la Messa di una commemorazione occorrente nell’Ufficio del giorno, e la Messa del Mistero, Santo o Beato il cui elogio si trova quel giorno nel Martirologio o nella sua Appendice approvata per le rispettive Chiese, si può dire solo se coincide con un giorno liturgico di IV classe. 304. Le Messe festive in senso lato sono proibite nelle chiese che hanno una sola Messa: a) quando urge l’obbligo della Messa conventuale che non possa essere soddisfatto da un altro sacerdote, a meno che la Messa, secondo il n. 289, non possa essere detta come conventuale; b) quando nei giorni delle Litanie si deve dire, secondo le rubriche, la Messa delle Rogazioni. 305. Per scegliere il formulario della Messa festiva non conventuale, si osservi quanto segue: a) per le feste che si trovano nel Proprio del Santi, si prende la Messa assegnata dal Messale al suo giorno. Tuttavia, al posto della Messa del Comune si può prendere, a scelta del sacerdote celebrante, la Messa propria della medesima festa che si trovasse tra le Messe per alcuni luoghi; b) per le feste che non si trovano nel Proprio dei Santi, si prende la Messa del Comune. Quando nel medesimo Comune vi sono diversi formulari, la scelta spetta al sacerdote celebrante. Nei singoli Comuni, inoltre, le Epistole e i Vangeli che si trovano nelle Messe stesse o al termine di tutto il Comune, possono essere impiegati in qualunque Messa del medesimo Comune. CAPITOLO VI LE MESSE VOTIVE A) Le Messe votive in generale 306. Per “Messa votiva” s’intende la Messa che si dice al di fuori dell’ordine dell’Ufficio o della commemorazione del giorno corrente, o che non è del Mistero o del Santo il cui elogio si trova quel giorno nel Martirologio. 307. La Messa votiva può essere: a) dei misteri del Signore; b) della beata Vergine Maria; c) degli Angeli; d) dei Santi; e) per diverse intenzioni. 308. Come Messe votive dei misteri del Signore si possono celebrare: a) nella Chiesa universale, quelle: 1. della Ss. Trinità; 2. del Ss. Nome di Gesù; 3. del Ss. Cuore di Gesù; 4. del preziosissimo Sangue di N. S. G. C.; 5. di Cristo Re; 6. del Ss. Sacramento dell’Eucaristia; 7. di N. S. Gesù Cristo sommo ed eterno Sacerdote; 8. della santa Croce; 9. della Passione del Signore; 10. della santa Famiglia di Gesù, Maria, Giuseppe; 11. dello Spirito Santo. b) nelle singole chiese, oltre alle Messe sopra menzionate, tutte le Messe delle feste del Signore che sono iscritte nei calendari particolari, e le altre Messe votive specialmente concesse. Tuttavia, non si possono celebrare come votive le Messe che si riferiscono ai misteri della vita del Signore. 309. Come Messe votive della Beata Vergine Maria si possono celebrare: a) nella Chiesa universale, le Messe di santa Maria in sabato assegnate nel Messale secondo i diversi tempi dell’anno, nonché tutte le Messe delle feste della B. Vergine Maria che sono iscritte nel calendario universale; b) nelle singole chiese, oltre alle Messe sopra menzionate, tutte le Messe delle feste della B. Vergine Maria che sono iscritte nei calendari particolari, e le altre Messe votive specialmente concesse. Le parti che devono essere variate a seconda dei diversi tempi dell’anno e mancano in queste Messe, si prendono dal Comune delle feste della B. Vergine Maria. Tuttavia, non si possono celebrare come votive le Messe che si riferiscono ai misteri della vita della B. Vergine Maria, eccetto la Messa della sua Immacolata Concezione. 310. Come Messe votive degli Angeli si possono celebrare: a) le Messe delle singole feste degli Angeli; b) la Messa votiva degli Angeli assegnata al martedì. 311. Come Messe votive dei Santi si possono celebrare le Messe di qualunque Santo canonizzato il cui elogio si trova nel Martirologio romano o nella sua Appendice approvata per le rispettive Chiese. 312. Le Messe votive dei Beati sono permesse, per Indulto Apostolico, unicamente durante il triduo che si celebra in loro onore nell’anno che segue la beatificazione. 313. Le Messe votive «per diverse intenzioni» si trovano nel Messale o nella sua Appendice approvata per qualche chiesa, e devono essere celebrate in particolari circostanze o necessità. 314. Come Messa votiva dei misteri del Signore si prende la Messa della rispettiva festa, a meno che non sia espressamente indicato di utilizzarne un’altra; oppure si prende l’apposita Messa votiva. 315. Come Messa votiva della B. Vergine Maria, degli Angeli e dei Santi si prende la Messa della rispettiva festa, se si trova nel Messale, sia nel Proprio dei Santi che tra le Messe per alcuni luoghi, a meno che nel Messale non vi sia un’altra Messa espressamente indicata come votiva. Se la festa non si trova nel Messale, la Messa si prende dal Comune. Quando nel medesimo Comune vi sono diversi formulari, la scelta spetta al sacerdote celebrante. Nei singoli Comuni, inoltre, le Epistole e i Vangeli che si trovano nelle Messe stesse o al termine di tutto il Comune, possono essere impiegati in qualunque Messa del medesimo Comune. Si osservino le rubriche per cambiare quelle parti o parole che variano a seconda dei tempi dell’anno e del carattere puramente votivo di queste Messe. 316. Per una particolare necessità si prende la Messa votiva propria, se si trova nel Messale; se manca, si prende la Messa «per qualunque necessità», utilizzando, al posto delle orazioni di tale Messa, le orazioni adeguate alla necessità occorrente, se presenti tra le «Orazioni diverse». 317. Qualunque Messa votiva dei misteri del Signore, della B. Vergine Maria o di un Santo, è proibita quando occorre un giorno liturgico di I o II classe in cui si celebra l’Ufficio della stessa Persona. In questo caso, al posto della Messa votiva, si deve dire la Messa dell’Ufficio occorrente. Se invece occorre un giorno liturgico di III o IV classe, si può scegliere tra la Messa dell’Ufficio del giorno e la Messa votiva, senza la commemorazione dell’altra. 318. L’orazione della Messa votiva impedita si aggiunge, con una sola conclusione, all’orazione della Messa del giorno solo nel caso in cui la Messa votiva sia di I o II classe e non occorra un giorno di cui ai nn. 1, 2, 3 e 8 nella tabella della precedenza. Della Messa votiva di III classe impedita non commemorazione nella Messa dell’Ufficio occorrente. si fa alcuna 319. Per ammettere e ordinare le orazioni nelle Messe votive, si osservi quanto stabilito per le singole classi di Messe votive (nn. 330 b, 343 b, 386 b, 389 b). 320. Per quanto riguarda l’inno angelico e il simbolo alle Messe votive, si osservi quanto stabilito per le singole classi di Messe votive, e ai nn. 431432 e 475-476. 321. Nelle Messe votive si omette l’eventuale sequenza. 322. Si dice il prefazio proprio di ciascuna Messa votiva; in mancanza, si dice il prefazio del Tempo o il prefazio comune, secondo le norme generali. 323. Il colore dei paramenti alle Messe votive dev’essere quello proprio di ciascuna Messa; ma alle Messe votive lette di IV classe non conventuali, si può utilizzare anche il colore dell’Ufficio del giorno, mantenendo tuttavia il colore viola e nero per le Messe che di per sé lo richiedono. 324. A meno che in rubriche particolari non si stabilisca diversamente, la Messa votiva può essere in canto o letta. 325. Le Messe votive sono di I, II, III o IV classe; delle singole classi si tratta nei numeri seguenti. 326. Qualunque Messa votiva è proibita nelle chiese che hanno una sola Messa: a) quando urge l’obbligo della Messa conventuale che non possa essere soddisfatto da un altro sacerdote, eccettuate le Messe votive che in alcuni giorni possono (n. 289) o devono (nn. 290-294) essere dette come Messe conventuali; b) il 2 febbraio, se si fa la benedizione delle candele; c) nei giorni delle Litanie maggiori e minori, se si dice la Messa delle Rogazioni (n. 346). 327. Quando, nelle rubriche o in un indulto particolare, una Messa votiva è indicata come votiva di una certa classe, va ordinata secondo le norme e i privilegi stabiliti per tale classe di Messe votive. B) Le Messe votive di I classe I - Le Messe votive di I classe in generale 328. Per “Messa votiva di I classe” s’intende la Messa votiva che si può celebrare in tutti i giorni liturgici, esclusi quelli di cui ai nn. 1-8 nella tabella della precedenza, e salvo quanto è stabilito al n. 332. 329. Le Messe votive di I classe previste dalle rubriche generali sono: a) le Messe della Dedicazione nell’atto di consacrazione di una chiesa (nn. 331-334); b) le Messe in canto del Ss. Sacramento dell’Eucaristia nelle solenni celebrazioni di un Congresso eucaristico (n. 335); c) le Messe in canto dei misteri del Signore, della B. Vergine Maria, di un Santo o Beato, in occasione di una celebrazione straordinaria (n. 340 a). 330. I privilegi delle Messe votive di I classe sono i seguenti: a) si dicono con Glória e Credo; b) escludono tutte le commemorazioni non privilegiate e la colletta imperata dall’Ordinario del luogo; c) l’orazione della Messa votiva impedita si aggiunge, con una sola conclusione, all’orazione della Messa del giorno, purché non occorra un giorno di cui ai nn. 1, 2, 3 e 8 nella tabella della precedenza; d) se sono celebrate in canto, si usa il tono solenne. II - La Messa della Dedicazione nell’atto di consacrazione di una chiesa 331. La consacrazione delle chiese può essere compiuta, per diritto, in qualsiasi giorno, ma è preferibile compierla nelle domeniche e nei giorni festivi. Essa, tuttavia, è proibita nella vigilia e nella festa della Natività del Signore, nelle feste dell’Epifania, dell’Ascensione e del Corpo di Cristo, nei giorni che vanno dalla II domenica di Passione o delle palme fino alla domenica di Resurrezione comprese, nella domenica di Pentecoste e nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti. 332. La Messa della dedicazione nell’atto di consacrazione di una chiesa od oratorio è parte integrante di tutto il rito della consacrazione; pertanto la si deve celebrare ogni volta che una chiesa o un oratorio viene consacrato, anche nei giorni in cui le altre Messe votive di I classe sono proibite. 333. Nella Messa della Dedicazione nell’atto di consacrazione di una chiesa si aggiunge, con una sola conclusione, l’orazione del Mistero o del Santo in onore del quale la chiesa od oratorio viene consacrato, e non è ammessa nessuna ulteriore commemorazione, neppure privilegiata. 334. Le altre Messe che si celebrano nella chiesa od oratorio nel giorno della consacrazione, dopo il compimento del rito, possono essere della Dedicazione, come votive di I classe. III - Le Messe nei Congressi eucaristici 335. Nei singoli giorni di un Congresso eucaristico diocesano, regionale, nazionale o internazionale, la Messa principale, purché sia in canto, può essere del Ss. Sacramento dell’Eucaristia, come votiva di I classe. 336. Nelle altre pubbliche funzioni di tali Congressi, la Messa del Ss. Sacramento dell’Eucaristia può essere celebrata come votiva di II classe. 337. I singoli sacerdoti che partecipano al Congresso eucaristico possono celebrare la Messa del Ss. Sacramento dell’Eucaristia come votiva di III classe. IV - Le Messe votive in alcune celebrazioni straordinarie 338. I privilegi indicati in questo paragrafo spettano alle Messe: a) del triduo o dell’ottavario che si celebra in onore di qualche Santo o Beato nell’anno che segue la canonizzazione o beatificazione; b) di alcune celebrazioni straordinarie, protratte per un triduo o per un ottavario, in occasione, per esempio, di un centenario. Sono però escluse le celebrazioni straordinarie in onore dei Beati. 339. Per compiere le celebrazioni di cui al numero precedente è necessario uno speciale indulto della Santa Sede. 340. Nei singoli giorni di queste celebrazioni sono permesse: a) una sola Messa in canto del mistero del Signore, della B. Maria Vergine, del Santo o Beato in onore del quale si compiono le celebrazioni, come votiva di I classe; b) tutte le Messe lette, di cui al punto precedente, come votive di II classe. C) Le Messe votive di II classe I - Le Messe votive di II classe in generale 341. Per “Messa votiva di II classe” s’intende la Messa votiva che si può celebrare in tutti i giorni liturgici di II, III e IV classe. Tuttavia, la Messa per gli Sposi e la Messa di ringraziamento nel 25° o 50° anniversario del matrimonio sono proibite in tutte le domeniche. 342. Le Messe votive di II classe previste dalle rubriche generali sono: a) la Messa in occasione della benedizione solenne di una chiesa od oratorio, e della consacrazione di un altare (n. 345); b) la Messa delle Rogazioni nei giorni delle Litanie maggiori e minori (nn. 346-347); c) le Messe votive in occasione della preghiera delle Quarantore o di un’altra esposizione del Ss. Sacramento (nn. 348-355); d) le Messe della solennità esterna delle feste (nn. 356-361); e) la Messa nel giorno dell’incoronazione del Sommo Pontefice e negli anniversari del Papa e del Vescovo diocesano (nn. 362-365); f) la Messa per una causa grave e pubblica (nn. 366-368); g) la Messa «per la propagazione della Fede» (n. 369); h) le Messe per alcune occasioni particolari (nn. 370-372); i) le Messe votive nei santuari (nn. 373-377); l) la Messa votiva per gli Sposi e la Messa di ringraziamento nel 25° o 50° anniversario del matrimonio (nn. 378-382). 343. I privilegi delle Messe votive di II classe sono i seguenti: a) si dicono col Glória, salvo quando si usano paramenti di colore viola; ma senza il Credo, a meno che non lo si debba dire in ragione della domenica o dell’ottava occorrente; b) ammettono una sola commemorazione ed escludono la colletta imperata dall’Ordinario del luogo; c) l’orazione della Messa votiva impedita si aggiunge, con una sola conclusione, all’orazione della Messa del giorno, purché non occorra un giorno di cui ai nn. 1, 2, 3 e 8 nella tabella della precedenza, e salvo quanto è stabilito n. 380; d) se sono celebrate in canto, si usa il tono solenne. 344. Le Messe votive di II classe sono regolate dalle norme generali esposte al n. 343; le norme particolari relative a ciascuna Messa sono qui di seguito indicate. II - La Messa votiva in occasione della benedizione solenne di una chiesa od oratorio, e della consacrazione di un altare 345. In occasione della benedizione solenne di una chiesa od oratorio e della consacrazione di un altare, terminato il rito, si dice, come votiva di II classe, la Messa del Mistero o del Santo in onore del quale è stata benedetta la chiesa o l’oratorio, oppure è stato consacrato l’altare. III - La Messa delle Rogazioni nei giorni delle Litanie maggiori e minori 346. Nei giorni delle Litanie maggiori e minori (nn. 80-90), nelle chiese in cui si fa la processione o, secondo le prescrizioni dell’Ordinario del luogo, si celebrano suppliche particolari (n. 83), si dice, come votiva di II classe, la Messa delle Rogazioni (cfr. n. 86). 347. La Messa delle Rogazioni, oppure la Messa del giorno che sostituisce la Messa votiva impedita, va considerata come parte integrante di tutta l’azione liturgica; e normalmente si celebra alla fine della processione o delle altre suppliche particolari. IV - Le Messe votive in occasione della preghiera delle Quarantore o di un’altra esposizione del Ss. Sacramento 348. Prima di esporre e riporre il Ss. Sacramento per la preghiera delle Quarantore, sia continua che interrotta, allo stesso altare dell’esposizione si celebra in canto, come votiva di II classe, la Messa del Ss. Sacramento dell’Eucaristia. 349. Nel giorno intermedio dell’esposizione, ad un altare in cui non è esposto il Ss. Sacramento, si può celebrare in canto, come votiva di II classe, o la Messa del Ss. Sacramento dell’Eucaristia o un’altra Messa votiva adatta alle particolari necessità del luogo. 350. Nei giorni in cui le rubriche consentono le Messe votive di IV classe, è conveniente che le Messe celebrate nella chiesa in cui si svolge la preghiera delle Quarantore siano del Ss. Sacramento dell’Eucaristia. 351. Nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti: a) l’esposizione del Ss. Sacramento deve seguire e la riposizione precedere la Messa in canto o principale; b) durante l’esposizione, le Messe dell’Ufficio del giorno si dicono coi paramenti viola, e non all’altare dell’esposizione. 352. Il 2 febbraio, il mercoledì delle Ceneri e la II domenica di Passione o delle palme, se si compie la benedizione rispettivamente delle candele, delle ceneri o delle palme, il Ss. Sacramento esposto per l’adorazione delle Quarantore, durante la benedizione, la processione o l’imposizione delle ceneri, o si trasferisce ad un altro altare dove l’adorazione può essere continuata senza detrimento della pietà dei fedeli, oppure si ripone e l’adorazione si riprende al termine della benedizione, processione o imposizione delle ceneri. È opportuno che queste norme siano osservate anche nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti per la Messa principale del giorno e per la seguente assoluzione al tumulo. 353. Prima di esporre il Ss. Sacramento per una pubblica adorazione che duri un’intera giornata, si può dire, come votiva di II classe, la Messa del Ss. Sacramento dell’Eucaristia. 354. Prima di esporre il Ss. Sacramento per una pubblica adorazione che duri soltanto alcune ore, si dice la Messa del giorno, senza commemorazione del Ss. Sacramento. Tuttavia, nei giorni in cui sono consentite le Messe votive di IV classe, è più opportuno dire la Messa del Ss. Sacramento dell’Eucaristia. 355. Nelle Messe che, durante l’adorazione, si celebrano per indulto all’altare dell’esposizione, si aggiunge, con una sola conclusione, l’orazione del Ss. Sacramento dell’Eucaristia, purché non occorra una domenica o l’Ufficio o la Messa o una commemorazione di N. S. Gesù Cristo. V - Le Messe votive della solennità esterna delle feste 356. Per “solennità esterna di una festa” s’intende la celebrazione della stessa festa senza Ufficio, per il bene dei fedeli, o nel giorno in cui la festa è impedita, o in domenica, quando tale festa cade durante la settimana, o in un altro giorno stabilito. 357. La solennità esterna spetta per diritto ad alcune feste, ad altre viene concessa per indulto. 358. La solennità esterna spetta per diritto soltanto: a) alla festa del Ss. Cuore di Gesù; b) alla festa della B. Vergine Maria del Rosario, nella I domenica di ottobre; c) alla festa della Purificazione della B. Vergine Maria, se l’azione liturgica di questo giorno è trasferita, col permesso della Santa Sede, alla domenica, ma solo per la Messa che segue la benedizione e processione delle candele; d) alla festa del Patrono principale regolarmente costituito della nazione, della regione o provincia, sia ecclesiastica che civile, della diocesi, del luogo, paese o città; e) alla festa del Patrono principale regolarmente costituito dell’Ordine o Congregazione, e della provincia religiosa; f) alla festa del Patrono regolarmente costituito di associazioni o istituzioni, nelle chiese e oratori dove i fedeli si riuniscono per celebrare il loro Patrono; g) alle feste dell’anniversario della Dedicazione e del Titolare della propria chiesa; h) alle feste del Titolare e del Fondatore canonizzato dell’Ordine o Congregazione; i) alle feste o commemorazioni, iscritte nel calendario della Chiesa universale o in un calendario proprio, che si celebrano con particolare concorso di popolo: il giudizio spetta all’Ordinario del luogo. 359. La solennità esterna, se spetta per diritto, salvo quanto stabilito al n. 358 per alcune solennità esterne, si può celebrare o nello stesso giorno in cui la festa è impedita, o nella domenica che immediatamente precede o segue l’Ufficio della festa impedita, o in un altro giorno da stabilirsi dall’Ordinario del luogo, secondo le rubriche. Se invece viene concessa per indulto speciale, la solennità esterna è assegnata a un giorno stabilito. 360. Della festa di cui si celebra la solennità esterna si possono celebrare, come votive di II classe, una Messa in canto e una letta oppure due Messe lette, eccettuato il caso di cui al n. 358 c. 361. Le solennità esterne già concesse per indulto speciale a diocesi, chiese o famiglie religiose restano in vigore con le seguenti restrizioni: sono proibite nei giorni liturgici di I classe e non si possono mai celebrare più di due Messe della medesima solennità. VI - La Messa votiva nel giorno dell’incoronazione del Sommo Pontefice e negli anniversari del Papa e del Vescovo diocesano 362. Nel giorno dell’incoronazione del Sommo Pontefice, nell’anniversario dell’incoronazione del Sommo Pontefice, nell’anniversario o dell’elezione o della consacrazione o del trasferimento del Vescovo diocesano (nel giorno da scegliersi una volta per tutte dal Vescovo stesso), nelle chiese cattedrali e collegiate, come Messa conventuale, si dice la Messa propria di tali anniversari, come votiva di II classe. 363. Se tale Messa fosse impedita, si osservi quanto segue: a) se l’anniversario dell’incoronazione del Sommo Pontefice è impedito in perpetuo per tutta la Chiesa, o se l’anniversario del Vescovo è impedito in perpetuo per tutta la diocesi, si ripone stabilmente nel primo giorno non impedito. Similmente si ripone l’anniversario del Vescovo diocesano, se occorre nello stesso giorno dell’incoronazione del Sommo Pontefice o nel suo anniversario; b) se sono impediti soltanto accidentalmente da uno dei giorni di cui ai nn. 1, 2, 3 e 8 nella tabella della precedenza, si trasferiscono al primo giorno che non sia di I classe. 364. Negli stessi giorni di cui al n. 362, in tutte le chiese e in tutte le Messe, eccettuate quelle dei defunti, si aggiunge l’orazione per il Papa o per il Vescovo, come indicato al n. 499. Questa orazione, tuttavia, si trasferisce ogni qualvolta si trasferisce la Messa nelle chiese cattedrali e collegiate. 365. Nelle singole chiese, nel giorno in cui si svolgono particolari celebrazioni in onore del Sommo Pontefice, è permessa, previo consenso dell’Ordinario del luogo, una sola Messa «Nell’anniversario dell’incoronazione del Papa», come votiva di II classe. VII - La Messa votiva per una causa grave e pubblica 366. Per “Messa votiva per una causa grave e pubblica” s’intende la Messa che, per comando o con il consenso dell’Ordinario del luogo, si celebra con concorso di popolo per qualche grave necessità o utilità spirituale o temporale, che riguarda tutta la comunità o notevole parte di essa. 367. In ciascuna chiesa si può dire una sola Messa votiva per una causa grave e pubblica; si prende la Messa adatta alla necessità o, in mancanza, la «Messa per qualunque necessità», secondo quanto indicato al n. 366. 368. Quando occorresse una grave necessità o una calamità pubblica e non ci fosse tempo di ricorrere all’Ordinario del luogo, il parroco può comandare nella sua parrocchia la Messa votiva di cui al n. 366. VIII - La Messa «per la propagazione della Fede» 369. In ciascuna chiesa, nel giorno in cui si compiono particolari celebrazioni per le Missioni e in occasione di un Congresso missionario, si può celebrare, come votiva di II classe, una sola Messa «per la propagazione della Fede». IX - Le Messe votive per alcune occasioni particolari 370. Le Messe di cui si tratta in questo paragrafo riguardano le celebrazioni particolari proprie di alcune associazioni o di una parte soltanto di fedeli. Queste celebrazioni particolari sono: a) per le parrocchie: l’inizio e la fine della sacra Missione al popolo; i principali giubilei della parrocchia, del parroco o di un altro sacerdote dimorante nella parrocchia; le solenni celebrazioni straordinarie e simili; b) per scuole, collegi, seminari e altri istituti di questo genere: l’inizio e la fine dell’anno scolastico; i giubilei straordinari, come il cinquantesimo o il centesimo anniversario della loro fondazione; c) per le case religiose: le solennità della vestizione e della professione; l’inizio e la fine del Capitolo generale e provinciale; i principali giubilei della Religione, della provincia e della casa; il venticinquesimo o cinquantesimo anniversario della professione o dell’ordinazione sacerdotale dei membri; d) per varie associazioni, come confraternite, pie società, unioni professionali e simili: i convegni generali annui; i convegni straordinari di più associazioni dello stesso genere; i principali giubilei e simili occasioni; e) per le case di esercizi spirituali: l’inizio e la fine del corso di esercizi o un convegno straordinario; f) per ospedali, caserme, carceri e istituti simili: le celebrazioni religiose straordinarie e le altre festività da celebrarsi in modo o in tempo straordinario. 371. Questa Messa, unica per le singole occasioni, è votiva di II classe, e può essere celebrata per comando o con il consenso del rispettivo Ordinario. 372. Per le suddette circostanze si scelga la Messa adatta, secondo le diverse occasioni: per esempio, la Messa dello Spirito Santo, di ringraziamento, di un mistero del Signore, della B. Vergine Maria o di un Santo, oppure una delle Messe votive per diverse intenzioni. X - Le Messe votive nei santuari 373. Per “santuario” s’intende una chiesa o edificio sacro dedicato al pubblico esercizio del culto divino che, per un particolare motivo di pietà (per esempio un’immagine sacra ivi venerata, una reliquia ivi custodita, un miracolo che Dio vi ha operato, una particolare indulgenza che vi si può lucrare), è divenuto per i fedeli meta di pellegrinaggi per ottenere grazie o adempiere voti. 374. Le Messe votive concesse o da concedersi, per indulto della Santa Sede, ai santuari e ad altri luoghi pii sono Messe votive di II classe. 375. Tale Messa votiva si può celebrare ad ogni altare del santuario nei singoli giorni in cui sono permesse le Messe votive di II classe, ma solo da parte dei sacerdoti pellegrini, oppure quando la Messa si dice in favore dei pellegrini. 376. Parimenti, i sacerdoti che visitano un luogo pio vi possono celebrare una Messa votiva di II classe. 377. All’infuori dei casi previsti ai nn. 375 e 376, la Messa votiva si può celebrare solo come votiva di IV classe. XI - La Messa votiva «per gli Sposi» e la Messa di ringraziamento nel 25° o 50° anniversario del matrimonio 378. La Messa votiva «per gli Sposi» o almeno la sua orazione nella Messa del giorno impediente, è permessa ogni qualvolta si celebrano le nozze, sia al di fuori dei tempi proibiti, sia nei tempi proibiti, se l’Ordinario del luogo, per una giusta causa, ha permesso la solenne benedizione nuziale. 379. Oltre che nei giorni in cui sono proibite le Messe votive di II classe, la Messa «per gli Sposi» è proibita anche nelle domeniche e quando, secondo il n. 381 c, non si può dare la benedizione nuziale. 380. Quando è proibita la Messa «per gli Sposi» ma è permessa la benedizione nuziale, si dice la Messa dell’Ufficio del giorno, alla cui orazione si aggiunge, con una sola conclusione, l’orazione della Messa votiva impedita, anche nei giorni in cui, secondo il n. 343 c, è proibita la commemorazione della Messa votiva di II classe impedita; e durante tale Messa si dà la benedizione nuziale come al solito. Quando sono proibite sia la Messa «per gli Sposi» che la benedizione nuziale, la Messa insieme alla benedizione può essere trasferita al giorno più opportuno non impedito dopo la celebrazione del matrimonio. 381. Per quanto riguarda la Messa «per gli Sposi» e la benedizione nuziale, si osservi inoltre quanto segue: a) la benedizione nuziale è inseparabile dalla Messa. Pertanto non può essere data fuori dalla Messa, se non per Indulto Apostolico; in tal caso, va impartita secondo la formula che si trova nel Rituale romano, tit. VIII, cap. III; b) la benedizione nuziale durante la Messa dev’essere impartita dal sacerdote che celebra la Messa, anche se al matrimonio avesse assistito un altro sacerdote; c) la benedizione nuziale si omette se gli sposi non sono presenti, e se entrambi o uno dei due hanno già ricevuto la benedizione, fatta salva, dove vige, la consuetudine di impartire di nuovo la benedizione se solo l’uomo l’avesse già ricevuta; d) nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti e nel Triduo sacro, sono proibite sia la Messa votiva, sia la sua commemorazione nella Messa del giorno, sia la benedizione nuziale durante la Messa. 382. Per il ringraziamento nel 25° o 50° anniversario del matrimonio, si può dire, come votiva di II classe, la Messa della Ss. Trinità o della B. Vergine Maria, aggiungendo alla prima orazione, con una sola conclusione, l’orazione per il rendimento di grazie. Terminata la Messa, si dicono per i coniugi le preghiere che si trovano nel Rituale romano, tit. VIII, cap. VII. XII - Altre Messe votive di II classe 383. Oltre alle Messe votive di II classe elencate ai numeri precedenti, vanno ricordate le Messe votive lette che sono permesse, come votive di II classe, nelle celebrazioni di un Congresso eucaristico (n. 336) e in alcune occasioni straordinarie (n. 340 b). D) Le Messe votive di III classe 384. Per “Messa votiva di III classe” s’intende la Messa votiva che può essere celebrata nei giorni liturgici di III e IV classe. 385. Le Messe votive di III classe previste dalle rubriche generali sono: a) una sola Messa di N. S. Gesù Cristo sommo ed eterno Sacerdote, il primo giovedì o il primo sabato di ogni mese, nelle chiese e oratori dove quel giorno si compiono particolari esercizi di pietà per la santificazione del clero; b) due Messe del Ss. Cuore di Gesù, il primo venerdì di ogni mese, nelle chiese e oratori dove quel giorno si compiono particolari esercizi di pietà in onore del Ss. Cuore; c) una sola Messa del Cuore Immacolato della B. Vergine Maria, il primo sabato di ogni mese, nelle chiese e oratori dove quel giorno si compiono particolari esercizi di pietà in onore del Cuore Immacolato della B. Vergine Maria. A queste bisogna aggiungere la Messa del Ss. Sacramento dell’Eucaristia che è concessa ai singoli sacerdoti nei giorni di un Congresso eucaristico (n. 337). 386. Le Messe votive di III classe sono ordinate nel modo seguente: a) si dicono col Glória, ma sempre senza il Credo; b) ammettono due commemorazioni, o una commemorazio-ne e la colletta imperata dall’Ordinario del luogo; c) se sono celebrate in canto, si usa il tono solenne; d) quando sono proibite, non si commemorano nella Messa del giorno. E) Le Messe votive di IV classe 387. La Messa votiva di IV classe è la Messa votiva che si può celebrare soltanto nei giorni liturgici di IV classe. 388. Come Messa votiva di IV classe si può prendere qualsiasi Messa che le rubriche permettono di celebrare come votiva. Si richiede, tuttavia, una giusta causa, come la necessità, l’utilità o la devozione del sacerdote celebrante o dei fedeli. 389. Le Messe votive di IV classe sono ordinate nel modo seguente: a) non si dice il Glória, eccetto che alla Messa degli Angeli, in qualsiasi giorno, e alle Messe della B. Vergine Maria che si celebrano in sabato; b) oltre all’orazione della Messa, si possono dire altre due orazioni, tra le quali bisogna annoverare sia le commemorazioni dell’Ufficio del giorno o occorrenti nell’Ufficio del giorno, sia la colletta imperata dall’Ordinario del luogo, sia l’orazione votiva; c) il Credo si omette sempre; d) se sono celebrate in canto, si usa il tono feriale. CAPITOLO VII LE MESSE DEI DEFUNTI A) Le Messe dei defunti in generale 390. Le Messe dei defunti che si celebrano nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti sono conformi all’ordine dell’Ufficio; tutte le altre Messe dei defunti sono al di fuori dell’ordine dell’Ufficio. 391. Nelle Messe dei defunti non si fa alcuna commemorazione dell’Ufficio del giorno corrente. 392. Le Messe dei defunti sono di I, II, III o IV classe; delle singole classi si tratta nei numeri seguenti. 393. Qualsiasi Messa dei defunti, compresa quella esequiale, è proibita: a) nelle chiese e oratori dove, per qualunque ragione, è in corso l’esposizione del Ss. Sacramento, per tutto il tempo dell’esposizione. Fanno eccezione le Messe nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti (n. 352); b) nelle chiese che hanno una sola Messa, quando urge l’obbligo della Messa conventuale che non possa essere soddisfatto da un altro sacerdote, a meno che la stessa Messa dei defunti non possa o debba essere detta come conventuale; c) nelle chiese che hanno una sola Messa, il 2 febbraio e il mercoledì delle Ceneri, se si fa la benedizione rispettivamente delle candele e delle ceneri; e nei giorni delle Litanie maggiori e minori, se si deve dire la Messa delle Rogazioni. 394. La prima Messa tra quelle riportate nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti, con le orazioni proprie assegnate nel Messale tra le orazioni diverse per i defunti, si prende: a) per il Sommo Pontefice, i Cardinali, i Vescovi e i Sacerdoti defunti, in tutte le Messe di I, II e III classe; b) negli anniversari di tutti i defunti di un certo Ordine o Congregazione clericale. 395. La Messa «Nel giorno della morte o della deposizione del defunto» si dice per i defunti non sacerdoti: a) nella Messa esequiale; b) nella Messa per il giorno della morte; c) nelle Messe dopo l’arrivo della notizia della morte; d) per la definitiva sepoltura del defunto; e) nel 3°, 7° e 30° giorno, utilizzando le orazioni proprie. 396. La Messa «Nell’anniversario dei defunti» si dice negli anniversari dei defunti che non sono sacerdoti. 397. La Messa «quotidiana» si dice per tutti i defunti di ogni ordine e grado, fuori dai giorni sopra elencati. 398. Per quanto riguarda le orazioni alle Messe dei defunti, si osservi quanto segue: a) in tutte le Messe dei defunti, sia in canto che lette, si dice normalmente una sola orazione, a meno che non si debba aggiungere l’orazione imperata per i defunti, secondo il n. 458, o si possa aggiungere l’orazione votiva per i defunti, secondo il n. 468; b) nelle Messe dei defunti di IV classe, se sono applicate per determinati defunti, si dice l’orazione conveniente, da prendersi nel Messale tra le orazioni diverse per i defunti; se invece sono applicate per i defunti in generale, o se s’ignora l’intenzione, si dice l’orazione Fidélium; c) nelle Messe dei defunti è proibita qualsiasi orazione che non sia dei defunti. 399. La sequenza Dies iræ: a) è obbligatoria solo nelle Messe dei defunti di I classe. Tuttavia, nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti, quando si celebrano tre Messe senza interruzione, la sequenza si deve dire solo nella Messa principale o nella prima Messa; nelle altre Messe, a meno che non siano in canto, si può omettere; b) si può omettere nelle Messe dei defunti di II, III e IV classe. 400. Qualsiasi Messa dei defunti può essere in canto o letta. 401. L’assoluzione sul cadavere o sul tumulo: a) dev’essere impartita dopo la Messa esequiale; b) può essere impartita dopo le altre Messe dei defunti; c) può essere impartita, per una causa ragionevole, anche dopo le Messe che non sono dei defunti. B) Le Messe dei defunti di I classe I - Le Messe dei defunti di I classe in generale 402. Le Messe dei defunti di I classe sono: a) le Messe nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti; b) la Messa esequiale. II - Le Messe nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti 403. Nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti ogni sacerdote può celebrare tre Messe, quelle cioè assegnate nel Messale per questo giorno. 404. Nel celebrare le Messe di questo giorno, si osservi quanto segue: a) chi celebra una sola Messa, usa la prima; chi ne celebra due, usa la prima e la seconda; b) chi celebra la Messa in canto o conventuale usa la prima, con la facoltà di anticipare la seconda e la terza; c) chi celebra più Messe in canto in chiese diverse, deve sempre usare la prima; d) se invece si celebrano più Messe in canto nella stessa chiesa, si usa innanzi tutto la prima, poi la seconda e infine la terza. III - La Messa esequiale 405. Per “Messa esequiale” s’intende l’unica Messa dei defunti che è direttamente connessa con le esequie di un defunto. Questa Messa, di per sé, dev’essere celebrata presente il cadavere; ma, per una causa ragionevole, si può anche celebrare assente o già sepolto il cadavere. 406. La Messa esequiale è proibita: a) nei giorni di cui ai nn. 1, 2, 3, 4, 5 e 6 nella tabella della precedenza; b) nelle feste di precetto comprese tra quelle di cui al n. 11 nella tabella della precedenza; c) nell’anniversario della Dedicazione e nella festa del Titolare della chiesa in cui si svolge il funerale; d) nella festa del Patrono principale del paese o città; e) nella festa del Titolare e del Santo Fondatore dell’Ordine o Congregazione cui appartiene la chiesa nella quale si svolge il funerale. 407. Se l’Ufficio di una festa di cui al n. 406 viene trasferito accidentalmente a un altro giorno, secondo le rubriche, la Messa esequiale è proibita nel giorno in cui la festa è impedita, ed è permessa nel giorno in cui viene trasferito l’Ufficio; se la solennità esterna di una festa si celebra in domenica, la Messa esequiale è proibita nel giorno in cui si celebra la solennità esterna, non però nel giorno della festa. 408. Quando la Messa esequiale è proibita o, per una causa ragionevole, non si può celebrare contestualmente alle esequie, la si può trasferire al primo giorno non impedito. 409. Nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti, come Messa esequiale si prende la prima Messa del giorno con le orazioni che si sarebbero dette alla Messa esequiale per il rispettivo defunto. Se però la prima Messa si celebra per l’Ufficio del giorno, come Messa esequiale si prende la seconda o, se anche questa fosse già stata celebrata, la terza. C) Le Messe dei defunti di II classe I - Le Messe dei defunti di II classe in generale 410. Le Messe dei defunti di II classe sono: a) le Messe per il giorno della morte; b) la Messa dopo l’arrivo della notizia della morte; c) la Messa per la definitiva sepoltura del defunto. 411. Tutte le Messe dei defunti di II classe si dicono come nel giorno della morte; sono permesse purché: a) si applichino per il defunto stesso; b) non occorra un giorno liturgico di I classe o una domenica. Se la Messa per il giorno della morte viene detta dopo più di otto giorni dalla morte o sepoltura del defunto, nell’orazione e nella dopocomunione si omette l’avverbio hódie. II - Le Messe per il giorno della morte 412. Per “Messe per il giorno della morte” s’intendono le Messe che vengono celebrate per un defunto dal giorno della morte fino al giorno della sepoltura: a) sia nell’oratorio privato dello stesso defunto, purché il cadavere sia fisicamente presente in casa; b) sia nella chiesa od oratorio del luogo dove il defunto è morto, è seppellito o ebbe il domicilio; c) sia nella chiesa od oratorio dove si celebra la Messa esequiale, anche separata dal funerale del defunto. III - La Messa dopo l’arrivo della notizia della morte 413. Per “Messa dopo l’arrivo della notizia della morte” s’intende l’unica Messa che può essere celebrata per un defunto in qualsiasi chiesa od oratorio, nel giorno più opportuno dopo l’arrivo della notizia della morte. IV - La Messa per la definitiva sepoltura del defunto 414. Per “Messa per la definitiva sepoltura del defunto” s’intende l’unica Messa che può essere celebrata nella chiesa od oratorio del luogo in cui il corpo del defunto, già inumato, viene trasferito alla definitiva sepoltura, nello stesso giorno della definitiva sepoltura. D) Le Messe dei defunti di III classe I - Le Messe dei defunti di III classe in generale 415. Le Messe dei defunti di III classe sono: a) la Messa nel 3°, 7° e 30° giorno dalla morte o sepoltura del defunto; b) la Messa «nell’anniversario»; c) le Messe dei defunti nelle chiese e cappelle dei cimiteri; d) le Messe dei defunti durante l’ottavario della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti. 416. Le Messe dei defunti di III classe sono proibite nei giorni liturgici di I e II classe; si usa il formulario qui di seguito indicato per le singole Messe, a meno che, secondo il n. 394, non si debba prendere la prima Messa della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti. II - La Messa nel 3°, 7° e 30° giorno dalla morte o sepoltura 417. Nel 3°, 7° e 30° giorno dalla morte o sepoltura del defunto, in qualunque chiesa od oratorio può essere detta per lo stesso defunto una sola Messa come nel giorno della morte, utilizzando le orazioni proprie che si trovano alla fine di tale Messa. Quando questa Messa è impedita dalle rubriche, può essere trasferita al giorno più vicino non impedito. Tali Messe possono essere anche più di una nei giorni in cui sono permesse le Messe dei defunti di IV classe. III - La Messa «nell’anniversario» 418. Per anniversario in senso stretto s’intende la ricorrenza annuale del giorno della morte o sepoltura di un defunto; in senso lato s’intende o l’anniversario che si celebra per fondazione, una volta all’anno, in un giorno che non è quello della morte o sepoltura, o la celebrazione che si svolge una volta all’anno per tutti i defunti di un ceto di persone, nel giorno stabilito per fondazione o per consuetudine del ceto, oppure nel giorno da stabilirsi dal ceto o dal sacerdote celebrante. 419. In questi giorni, in qualsiasi chiesa od oratorio è permessa una sola Messa, che dev’essere dell’anniversario; e quando è proibita dalla rubriche, può essere trasferita al giorno più vicino non impedito. Tali Messe possono essere anche più di una nei giorni in cui sono permesse le Messe dei defunti di IV classe. IV - Le Messe nelle chiese e cappelle dei cimiteri 420. Per “chiese o cappelle dei cimiteri” s’intendono: a) la chiesa o l’oratorio pubblico principale di un cimitero nel quale attualmente si seppelliscono i cadaveri, purché tale chiesa od oratorio non abbia annesso l’onere del coro o la cura di anime; b) la cappella di un sepolcreto particolare, regolarmente eretta entro i confini del cimitero. 421. Le Messe che si celebrano in questi luoghi, purché siano applicate per i defunti, possono essere “de requie”; si dice la Messa «quotidiana» con l’orazione conveniente. V - Le Messe dei defunti durante l’ottavario della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti 422. Durante l’ottavario che decorre dal giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli defunti compreso, tutte le Messe che si applicano per tutti o per qualche defunto possono essere “de requie”; si dice la Messa «quotidiana» con l’orazione conveniente. E) Le Messe dei defunti di IV classe o «quotidiane» 423. Le Messe dei defunti di IV classe sono le altre Messe dei defunti «quotidiane», che si possono celebrare, al posto della Messa conforme all’Ufficio del giorno, solo nelle ferie di IV classe, fuori dal tempo natalizio. È assai opportuno che queste Messe dei defunti di IV classe siano dette solo quando sono veramente applicate per i defunti, sia in generale che in particolare. CAPITOLO VIII LE DIVERSE PARTI DELLA MESSA A) Il salmo Iúdica me, Deus, la confessione e l’incensazione dell’altare 424. Il salmo Iúdica me, Deus con la sua antifona e la confessione con relativa assoluzione si dicono, davanti ai gradini dell’altare, in qualsiasi Messa sia in canto che letta; però si omettono, insieme ai versetti seguenti e alle preghiere Aufer a nobis e Orámus te, Dómine, nei seguenti casi: a) nella Messa della festa della Purificazione della B. Vergine Maria che segue la benedizione e processione delle candele; b) nella Messa del mercoledì delle Ceneri che si dice dopo la benedizione e imposizione delle ceneri; c) nella Messa della II domenica di Passione o delle palme che segue la benedizione e processione dei rami; d) nella Messa della Vigilia pasquale; e) nella Messa delle Rogazioni che segue la processione delle Litanie maggiori e minori; f) nelle Messe che seguono alcune consacrazioni, secondo le rubriche del Pontificale romano. 425. Il salmo Iúdica me, Deus si omette: a) nelle Messe del Tempo dalla I domenica di Passione fino al giovedì della Cena del Signore; b) nelle Messe dei defunti. 426. Le incensazioni che si devono fare alla Messa solenne, si possono fare anche a tutte le Messe cantate. B) L’antifona d’Introito e il Kýrie, eléison 427. All’Introito si dice l’antifona con il versetto del salmo e il Glória Patri; al termine si ripete l’antifona. L’antifona d’Introito con il salmo e il Glória Patri manca nella Messa della Vigilia pasquale. 428. Il Glória Patri all’Introito si omette nelle Messe del Tempo dalla I domenica di Passione fino al giovedì della Cena del Signore, e nelle Messe dei defunti. 429. Nel tempo pasquale, dopo l’antifona d’Introito si aggiungono, se non ci fossero già, due Allelúia. Al contrario, in qualunque antifona d’Introito, l’Allelúia si omette quando la Messa viene detta fuori dal tempo pasquale, a meno che per certe Messe non sia indicato diversamente. 430. Il Kýrie, eléison si dice nove volte dopo la ripetizione dell’antifona d’Introito, cioè tre volte Kýrie, eléison, tre volte Christe, eléison, e tre volte Kýrie, eléison. C) L’inno Glória in excélsis 431. L’inno Glória in excélsis si dice: a) nelle Messe conformi all’Ufficio del giorno, quando a Mattutino si è detto l’inno Te Deum; b) nelle Messe festive di cui al n. 302; c) nelle Messe del giovedì della Cena del Signore, e nella Messa della Vigilia pasquale; d) nelle Messe votive di I, II e III classe, a meno che non si usino i paramenti viola; e) nelle Messe votive di IV classe degli Angeli, in qualsiasi giorno, e nelle Messe della B. Vergine Maria che si celebrano in sabato. 432. L’inno Glória in excélsis si omette: a) nelle Messe conformi all’Ufficio del giorno, quando a Mattutino non si è detto l’inno Te Deum; b) in tutte le Messe in cui si usano i paramenti viola; c) nelle Messe votive di IV classe, eccettuate quelle di cui n. 431 e; d) nelle Messe dei defunti. D) Le orazioni I - Le orazioni in generale 433. Per “orazioni”, alla Messa, s’intendono: a) l’orazione della Messa che si celebra; b) le orazioni di un Ufficio commemorato e di una commemorazione occorrente; c) le altre orazioni prescritte dalle rubriche (nn. 447-453); d) l’orazione imperata dall’Ordinario del luogo (nn. 454-460); e) l’orazione votiva che, in alcuni giorni liturgici, può essere detta a scelta del sacerdote celebrante (nn. 461-465). 434. Nel numero delle orazioni stabilito per i singoli giorni liturgici sono comprese tanto l’orazione della Messa e le commemorazioni quanto le altre orazioni prescritte dalle rubriche o imperate dall’Ordinario del luogo o votive. Pertanto, dopo l’orazione della Messa: a) nei giorni liturgici di I classe, nelle Messe votive di I classe e nelle Messe in canto non conventuali, non è ammessa nessuna altra orazione, eccetto l’orazione da dirsi con una sola conclusione e una sola commemorazione privilegiata, salvo quanto prescritto al n. 333; b) nelle domeniche di II classe non è ammessa nessuna altra orazione, eccetto la commemorazione di una festa di II classe, che tuttavia si omette se si deve fare una commemorazione privilegiata; c) negli altri giorni liturgici di II classe e nelle Messe votive di II classe, è ammessa una sola altra orazione, cioè o una privilegiata o una ordinaria; d) nei giorni liturgici di III e IV classe e nelle Messe votive di III e IV classe sono ammesse soltanto due orazioni. 435. Qualsiasi orazione che superi il numero stabilito per i singoli giorni liturgici si omette; in ogni caso, non è lecito per nessun pretesto oltrepassare il numero di tre orazioni. 436. L’orazione propria della Messa si dice sempre con la sua conclusione, a meno che non vi si debba unire, con una stessa conclusione, un’altra orazione, come spiegato ai nn. 444-445. 437. Si dicono sempre con una seconda conclusione: a) le commemorazioni; b) l’orazione imperata dall’Ordinario del luogo; c) l’orazione votiva. 438. Se due orazioni, nella prima o nella seconda parte, sono composte più o meno dalle stesse parole, l’orazione che viene per seconda: a) se è del Tempo, si sostituisce con l’orazione della domenica o della feria seguente; b) se è di un Santo, si sostituisce con un’altra orazione dello stesso Comune o di un Comune simile; c) se si tratta dell’orazione imperata, si omette. 439. Nelle orazioni di un Ufficio traslato o riposto non si devono cambiare le parole hanc o hodiérnam o præséntem diem, o simili. 440. Quando nel Messale si trovano le parole Flectámus génua, Leváte, queste devono essere proferite dal diacono nella Messa solenne, dal celebrante nelle altre Messe; e dopo le parole Flectámus génua, tutti, insieme al celebrante, s’inginocchiano e pregano in silenzio per un po’ di tempo; detto Leváte, tutti si alzano e il celebrante dice l’orazione. 441. Per quanto riguarda la qualità e il numero delle orazioni alle Messe dei defunti, si osservi quanto riportato al n. 398. II - Le orazioni alle Messe con più letture 442. Alle Messe con più letture (nn. 467-468) le commemorazioni e le altre orazioni vanno poste dopo l’orazione che precede l’ultima lettura, ossia l’Epistola; e questa orazione è la sola da computare per definire il numero complessivo delle orazioni. 443. Per commemorare una feria la cui Messa ha più letture, si prende la prima orazione, cioè quella che si è detta alle Lodi. III - Le orazioni che si devono unire con una sola conclusione all’orazione della Messa 444. All’orazione della Messa si aggiunge, con una sola conclusione, un’altra orazione, solo se si tratta: a) dell’orazione rituale (n. 447); b) dell’orazione di una Messa votiva di I o II classe impedita (nn. 330 c, 343 c); c) di un’altra orazione che le rubriche espressamente prescrivono o consentono di unire con una sola conclusione all’orazione della Messa (nn. 110, 355, 449, 451, 453). 445. All’orazione della Messa si può unire con una sola conclusione una sola altra orazione. Se all’orazione della Messa si dovessero unire, secondo le rubriche, più orazioni con una sola conclusione, se ne mantiene una sola, secondo l’ordine indicato al n. 444; le altre si omettono. 446. L’orazione da unirsi con una sola conclusione all’orazione della Messa si conta come una sola con la prima; e dev’essere detta anche alle Messe in canto. IV - Le orazioni rituali 447. Per “orazione rituale” s’intende l’orazione da dirsi nella Messa che è connessa con le seguenti benedizioni o consacrazioni: a) consacrazione di un Vescovo; b) conferimento dei sacri Ordini; c) benedizione di un Abate; d) benedizione di una Badessa; e) benedizione e consacrazione delle Vergini; f) benedizione di un cimitero; g) riconciliazione di una chiesa; h) riconciliazione di un cimitero. Queste orazioni, che si trovano tra le Messe votive per diverse intenzioni, devono sempre essere unite con una sola conclusione all’orazione della Messa. 448. Nelle Messe in cui si aggiunge l’orazione rituale sono escluse tutte le altre orazioni, salvo le commemorazioni privilegiate. V - Le orazioni nel giorno dell’incoronazione del Sommo Pontefice e negli anniversari del Papa e del Vescovo diocesano 449. Nel giorno dell’incoronazione del Sommo Pontefice e nel suo anniversario, e nell’anniversario o dell’elezione o della consacrazione o del trasferimento del Vescovo diocesano (nel giorno da scegliersi una volta per tutte dal Vescovo stesso), in tutte le Messe, eccettuate quelle dei defunti, all’orazione della Messa si aggiunge con una sola conclusione l’orazione per il Papa o per il Vescovo, purché non occorra un giorno liturgico di cui ai nn. 1, 2, 3 e 8 nella tabella della precedenza (cfr. n. 363). 450. Quando è impedita, l’orazione per il Papa o per il Vescovo si trasferisce al giorno più vicino non impedito, nello stesso modo in cui si trasferisce la Messa conventuale per gli stessi anniversari nelle chiese cattedrali e collegiate (n. 364). VI - L’orazione per il sacerdote celebrante nell’anniversario della propria Ordinazione sacerdotale 451. Nell’anniversario della propria Ordinazione sacerdotale, ogni sacerdote può aggiungere all’orazione della Messa, con una sola conclusione, l’orazione per se stesso, purché non occorra un giorno liturgico di cui ai nn. 1, 2, 3 e 8 nella tabella della precedenza. 452. Quando è impedita, l’orazione per il sacerdote celebrante può essere trasferita al giorno più vicino non impedito. VII - L’orazione «per la propagazione della Fede» 453. Nella penultima domenica d’ottobre, o in un’altra domenica fissata dall’Ordinario del luogo «per le Missioni», in tutte le Messe, all’orazione della Messa si aggiunge con una sola conclusione l’orazione per la propagazione della Fede, purché non occorra un giorno liturgico di cui ai nn. 1, 2, 3 e 8 nella tabella della precedenza. VIII - L’orazione imperata 454. Per “orazione imperata” s’intende l’orazione che l’Ordinario del luogo può prescrivere per una grave e pubblica necessità o calamità. 455. L’Ordinario del luogo può prescrivere come imperata qualsiasi orazione desunta dalle Messe che si possono celebrare come votive o dalle orazioni per diverse intenzioni o dalle Messe e orazioni per i defunti. 456. È molto opportuno che l’Ordinario del luogo non prescriva l’orazione imperata in modo permanente, ma solo per una causa veramente grave e per un periodo di tempo che non ecceda la durata della vera necessità. 457. L’orazione imperata: a) dev’essere una sola; b) dev’essere detta da tutti i sacerdoti che celebrano la Messa nelle chiese ed oratori, anche esenti, della diocesi; c) non si aggiunge mai con una sola conclusione all’orazione della Messa, ma si dice dopo le commemorazioni privilegiate; d) è proibita in tutti i giorni liturgici di I e II classe, nelle Messe votive di I e II classe, nelle Messe in canto, e quando le commemorazioni privilegiate completano il numero di orazioni stabilito per i singoli giorni liturgici. 458. L’orazione imperata per i defunti si dice soltanto nelle ferie di IV classe e nelle Messe votive o dei defunti lette di IV classe. 459. Nel caso di una pubblica necessità o calamità che, per sua natura, duri lungo tempo (per esempio una guerra, una pestilenza e simili), l’Ordinario del luogo può prescrivere un’orazione imperata conveniente per tutto il tempo dell’infausto evento; però tale orazione: a) si dice soltanto il lunedì, il mercoledì e il venerdì; b) è proibita negli stessi giorni e Messe di cui al n. 457 d. 460. Se occorresse una grave e pubblica necessità o calamità particolarmente urgente e non ci fosse tempo di ricorrere all’Ordinario del luogo, il parroco, entro i limiti della sua parrocchia, anche per le chiese ed oratori esenti, può prescrivere un’orazione conveniente da dirsi per tre giorni consecutivi. Tale orazione è proibita negli stessi giorni e Messe in cui è proibita l’orazione imperata dall’Ordinario del luogo (n. 457 d), che, se fosse prescritta, si omette. IX - L’orazione votiva 461. Nei giorni liturgici di IV classe ogni sacerdote può aggiungere una sola orazione a sua scelta in tutte le Messe lette non conventuali. 462. L’orazione votiva può essere desunta o dalle Messe che si possono celebrare come votive o dalle orazioni per diverse intenzioni o dalle Messe e orazioni per i defunti. 463. Tale orazione si pone all’ultimo posto, dopo le altre orazioni, e non deve superare il limite delle tre orazioni. 464. L’orazione votiva per i defunti si può aggiungere solo alle Messe lette non conventuali dei defunti di IV classe. 465. Nell’orazione A cunctis si può nominare o il Titolare della propria chiesa, o qualsiasi Patrono principale, o il Fondatore o il Titolare dell’Ordine o Congregazione. Si osservino inoltre le rubriche che si trovano nel Messale a proposito di questa orazione. E) Dalle letture al Vangelo 466. Dopo le orazioni si dice l’Epistola, al termine della quale si risponde Deo grátias. 467. L’Epistola è preceduta da una sola lettura: a) nei mercoledì delle Quattro Tempora; b) nel mercoledì della IV settimana di Quaresima; c) nel mercoledì della Settimana santa. Alla fine di tale lettura si risponde Deo grátias. 468. L’Epistola è preceduta da cinque letture nei sabati delle Quattro Tempora; alla fine di ogni lettura, eccettuata quella del profeta Daniele, si risponde Deo grátias. Alle Messe conventuali e alle Messe nelle quali si conferiscono i sacri Ordini, si devono dire sempre tutte le letture con le orazioni e i versetti; alle altre Messe, sia in canto che lette, si può dire soltanto la prima orazione (quella conforme all’Ufficio), preceduta dal Flectámus génua, se va detto, e la prima lettura con i suoi versetti; quindi, detto come al solito Dóminus vobíscum, Et cum spíritu tuo e Orémus, si dice la seconda orazione senza Flectámus génua, cui fanno seguito la altre commemorazioni eventualmente occorrenti e, omesse le letture successive con i loro versetti e orazioni, si passa direttamente all’ultima lettura (ossia l’Epistola), seguita dal tratto e, nel sabato dopo Pentecoste, dalla sequenza. 469. Dopo l’Epistola si dice il graduale, l’Allelúia con i suoi versetti o il tratto, come indicato nel Messale a suo luogo. 470. La sequenza si dice prima dell’ultimo Allelúia o dopo il tratto. Si omette nelle Messe votive. Per quanto riguarda la sequenza Dies iræ, si osservino le norme di cui al n. 399. 471. All’inizio del Vangelo si dice Dóminus vobíscum e si risponde Et cum spíritu tuo; quindi Sequéntia (o Inítium) sancti Evangélii secúndum N., e si risponde Glória tibi, Dómine; alla fine si risponde Laus tibi, Christe. 472. Nella Settimana santa, prima della lettura della storia della Passione del Signore non si dice Dóminus vobíscum, né Sequéntia sancti Evangélii secúndum N., Glória tibi, Dómine, bensì Pássio Dómini nostri Iesu Christi secúndum N., e alla fine non si risponde Laus tibi, Christe. 473. Alle Messe in canto, tutto ciò che il diacono, il suddiacono o il lettore cantano o leggono in forza del proprio ufficio, viene omesso dal celebrante. 474. Dopo il Vangelo, specialmente nelle domeniche e nelle feste di precetto, si tenga, secondo l’opportunità, una breve omelia per il popolo. L’omelia, se è tenuta da un sacerdote diverso dal celebrante, non deve sovrapporsi alla celebrazione della Messa, impedendo la partecipazione dei fedeli; in questo caso, quindi, si deve sospendere la celebrazione della Messa e riprenderla solo dopo il termine dell’omelia. F) Il simbolo 475. Dopo il Vangelo o l’omelia, si dice il simbolo: a) in tutte le domeniche, anche se il loro Ufficio cede il posto a qualche festa o si celebra una Messa votiva di II classe; b) nelle feste di I classe e nelle Messe votive di I classe; c) nelle feste di II classe del Signore e della B. Vergine Maria; d) durante le ottave della Natività del Signore, di Pasqua e di Pentecoste, anche nelle feste occorrenti e nelle Messe votive; e) nelle feste natalizie degli Apostoli e degli Evangelisti, e nelle feste della Cattedra di S. Pietro e di S. Barnaba Apostolo. 476. Non si dice il simbolo: a) nella Messe crismale e nella Messa della Cena del Signore, il giovedì santo, e nella Messa della Vigilia pasquale; b) nelle feste di II classe, eccettuate quelle di cui al n. 475 c ed e; c) nelle Messe votive di II classe; d) nelle Messe festive e votive di III e IV classe; e) a motivo di una commemorazione occorrente nella Messa; f) nelle Messe dei defunti. G) L’antifona d’Offertorio e le orazioni secrete 477. Dopo il simbolo o, se non bisogna dirlo, dopo il Vangelo o l’omelia, si dice Dóminus vobíscum e si risponde Et cum spíritu tuo; quindi si aggiunge Orémus e l’antifona d’Offertorio, che manca solo nella Messa della Vigilia pasquale. 478. Nel tempo pasquale all’antifona d’Offertorio si aggiunge, se non ci fosse già, un Allelúia. E si mantiene l’Allelúia che talvolta si trova al termine dell’antifona d’Offertorio fuori dal tempo pasquale, eccetto che dalla Settuagesima a Pasqua. 479. L’offerta dell’ostia e del calice e ciò che segue si svolgono come indicato nell’Ordinario della Messa. 480. L’orazione «secreta» si dice sottovoce, senza Dóminus vobíscum né Orémus. E si dicono tante orazioni secrete quante sono le orazioni che sono state dette all’inizio della Messa. Si dicono nello stesso ordine e si concludono come le altre orazioni. 481. La conclusione dell’ultima orazione secreta si dice sottovoce fino alle parole Per ómnia sæcula sæculórum, che si proferiscono ad alta voce. H) Il prefazio 482. Si dice il prefazio proprio di ciascuna Messa; in mancanza, si dice il prefazio del Tempo, altrimenti il prefazio comune. 482. Non si dice mai il prefazio proprio di una commemorazione occorrente nella Messa. 484. Il prefazio della Natività del Signore si dice: a) come prefazio proprio alle Messe della Natività del Signore e della sua ottava, e della Purificazione della B. Vergine Maria; b) come prefazio del Tempo, durante l’ottava di Natale, anche alle Messe che avrebbero un prefazio proprio, eccettuate quelle Messe che hanno un prefazio proprio dei misteri o delle Persone divine; e dal 2 al 5 gennaio. 485. Il prefazio dell’Epifania del Signore si dice: a) come prefazio proprio alle Messe della festa dell’Epifania e della Commemorazione del Battesimo di N. S. Gesù Cristo; b) come prefazio del Tempo dal 7 al 13 gennaio. 486. Il prefazio della Quaresima si dice: a) come prefazio proprio alle Messe del Tempo dal mercoledì delle ceneri fino al sabato che precede la I domenica di Passione; b) come prefazio del Tempo alle Messe che si celebrano in questo tempo e non hanno prefazio proprio. 487. Il prefazio della santa Croce si dice: a) come prefazio proprio alle Messe del Tempo dalla I domenica di Passione fino al giovedì della Cena del Signore; alle Messe sia festive che votive della santa Croce, della Passione del Signore e degli strumenti della Passione del Signore, del preziosissimo Sangue di N. S. Gesù Cristo, del Ss. Redentore; b) come prefazio del Tempo, dalla I domenica di passione fino al mercoledì santo, a tutte le Messe che non hanno prefazio proprio. 488. Il prefazio della Messa crismale si dice nel giovedì della Cena del Signore, alla sua Messa. 489. Il prefazio pasquale si dice: a) come prefazio proprio alle Messe del Tempo dalla Messa della Vigilia pasquale fino alla vigilia dell’Ascensione del Signore; b) come prefazio del Tempo alle altre Messe che si celebrano in questo tempo e non hanno prefazio proprio. 490. Il prefazio dell’Ascensione del Signore si dice: a) come prefazio proprio nella festa dell’Ascensione; b) come prefazio del Tempo, dal venerdì dopo l’Ascensione fino al venerdì prima della vigilia di Pentecoste, a tutte le Messe che non hanno prefazio proprio. 491. Il prefazio del Ss. Cuore di Gesù si dice alle Messe festive e votive del Ss. Cuore di Gesù. 492. Il prefazio di N. S. Gesù Cristo Re si dice alle Messe festive e votive di N. S. Gesù Cristo Re. 493. Il prefazio dello Spirito Santo si dice: a) come prefazio proprio alle Messe del Tempo dalla vigilia di Pentecoste fino al sabato seguente, e alle Messe festive e votive dello Spirito Santo; b) come prefazio del Tempo alle altre Messe che si celebrano in questo tempo e non hanno prefazio proprio. 494. Il prefazio della Ss. Trinità si dice: a) come prefazio proprio alle Messe festive e votive della Ss. Trinità; b) come prefazio del Tempo nelle domeniche d’Avvento, e in tutte le domeniche di II classe fuori dal tempo natalizio e pasquale. 495. Il prefazio della beata Vergine Maria si dice alle Messe festive e votive della beata Vergine Maria, eccetto che nella festa della Purificazione. 496. Il prefazio di S. Giuseppe si dice alle Messe festive e votive di S. Giuseppe. 497. Il prefazio degli Apostoli si dice alle Messe festive e votive degli Apostoli e degli Evangelisti. 498. Il prefazio comune si dice alle Messe che non hanno prefazio proprio e non devono prendere il prefazio del Tempo. 499. Il prefazio dei defunti si dice alle Messe dei defunti. I) Dal Canone della Messa fino alla dopocomunione 500. Dopo il prefazio e il Sanctus si dice sottovoce il Canone della Messa, come nell’Ordinario della Messa. 501. Quando nel Canone si devono cambiare Communicántes, Hanc ígitur e Qui prídie, ciò è indicato a suo luogo nelle Messe proprie. 502. Il momento proprio per distribuire la santa Comunione ai fedeli è durante la Messa, dopo la Comunione del sacerdote celebrante, che deve distribuirla personalmente a coloro che la richiedono; tuttavia, se il numero dei comunicandi è grande, conviene che sia aiutato da uno o più altri sacerdoti. È assai sconveniente che, allo stesso altare in cui si sta celebrando la Messa, la santa Comunione sia distribuita da un altro sacerdote fuori dal momento proprio della Comunione. Per una causa ragionevole, è permesso distribuire la santa Comunione anche immediatamente prima o dopo la Messa, e anche al di fuori della Messa: in questi casi si utilizza il formulario prescritto nel Rituale Romano, tit. V, cap. II, nn. 1-10. 503. Quando si distribuisce la santa Comunione durante la Messa, il celebrante, dopo aver consumato il preziosissimo Sangue, omesse la confessione e l’assoluzione, dice Ecce Agnus Dei e tre volte Dómine, non sum dignus, e procede immediatamente alla distribuzione della santa Eucaristia. 504. Terminati il Canone e la Comunione, si dice l’antifona di Comunione, al termine della quale, nel tempo pasquale, si aggiunge, se non ci fosse già, un Allelúia; e si mantiene l’Allelúia che talvolta si trova al termine di tale antifona fuori dal tempo pasquale, eccetto che dalla Settuagesima a Pasqua. 505. Le orazioni dopo la Comunione si dicono nello stesso numero, modo e ordine delle orazioni all’inizio della Messa. 506. Nelle Messe delle ferie di Quaresima e di Passione, eccettuato il Triduo sacro, terminata l’ultima orazione dopo la Comunione si aggiunge l’Orazione sopra il popolo, che si dice sempre con la sua conclusione ed è preceduta da Orémus, Humiliáte cápita vestra Deo. Questa orazione dev’essere detta anche quando fosse preceduta da tre orazioni dopo la Comunione. L) La conclusione della Messa 507. Alla fine della Messa si dice Ite, missa est e si risponde Deo grátias. Tuttavia: a) alla Messa vespertina della Cena del Signore seguita dalla solenne riposizione del Ss. Sacramento e alle altre Messe seguite da una processione, si dice Benedicámus Dómino e si risponde Deo grátias; b) durante l’ottava di Pasqua, alle Messe del Tempo, all’Ite, missa est e al seguente Deo grátias si aggiungono due Allelúia; c) alle Messe dei defunti si dice Requiéscant in pace e si risponde Amen. 508. Dopo aver detto il Pláceat, si dà la benedizione, che si omette soltanto quando si è detto Benedicámus Dómino o Requiéscant in pace. 509. Come ultimo Vangelo, in tutte le Messe, si dice normalmente l’inizio del Vangelo secondo Giovanni. Tuttavia, nella II domenica di Passione o delle palme, in tutte le Messe che non seguono la benedizione e processione dei rami si dice un ultimo Vangelo proprio. 510. L’ultimo Vangelo si omette del tutto: a) alle Messe in cui si è detto Benedicámus Dómino, secondo il n. 507 a; b) nella festa della Natività del Signore, alla terza Messa; c) nella II domenica di Passione o delle palme, alla Messa che segue la benedizione e processione dei rami; d) alla Messa della Vigilia pasquale; e) alle Messe dei defunti seguite dall’assoluzione sul tumulo; f) alle Messe che seguono certe consacrazioni, secondo le rubriche del Pontificale romano. CAPITOLO IX CHE COSA BISOGNA DIRE AD ALTA VOCE O SOTTOVOCE NELLA MESSA 511. Alla Messa letta, si dicono ad alta voce: a) le parole In nómine Patris, ecc.; il salmo Iúdica me, Deus con la sua antifona; la confessione e ciò che segue fino a Orémus compreso; le orazioni Aufer a nobis e Orámus te, Dómine si dicono sottovoce; b) l’antifona d’Introito con il suo versetto e il Glória Patri; e il Kýrie, eléison; c) l’inno Glória in excélsis; d) Dóminus vobíscum, Orémus, Flectámus génua - Leváte, e le orazioni; e) le letture, l’Epistola, il graduale, il tratto, l’Allelúia col suo versetto, la sequenza e il Vangelo; f) il simbolo; g) Dóminus vobíscum, Orémus, l’antifona d’Offertorio, e le parole Oráte, fratres; h) il prefazio e il Sanctus-Benedíctus; i) le parole Nobis quoque peccatóribus; la preghiera del Signore con la sua introduzione; Per ómnia sæcula sæculórum e Pax Dómini sit semper vobíscum; Agnus Dei, ecc.; le parole Dómine, non sum dignus prima della Comunione del sacerdote celebrante; le formule della Comunione dei fedeli; l’antifona di Comunione, Dóminus vobíscum e le orazioni dopo la Comunione; le parole Humiliáte cápita vestra Deo e l’orazione sopra il popolo; l) Ite, missa est o Benedicámus Dómino o Requiéscant in pace; la benedizione e l’ultimo Vangelo. Il resto si dice sottovoce. 512. Il sacerdote abbia cura di pronunciare ciò che va detto ad alta voce in modo chiaro e distinto, non troppo velocemente, per poter comprendere ciò che legge, né troppo lentamente, per non annoiare gli ascoltatori; né a voce troppo alta, se celebra a un altare secondario, per non disturbare coloro che nel medesimo tempo celebrassero nella stessa chiesa; né a voce talmente bassa da non poter essere udito da chi gli sta vicino. Pronunci invece ciò che va detto sottovoce in modo da poter essere udito solo da se stesso e non da chi gli sta vicino. 513. Alla Messa solenne, il celebrante: a) dice in canto: Dóminus vobíscum, ogni volta che occorre, eccetto che nei versetti dopo la confessione; le orazioni; Orémus prima dell’antifona d’Offertorio, Per ómnia sæcula sæculórum e il prefazio; Per ómnia sæcula sæculórum con il Pater noster e la sua introduzione; Per ómnia sæcula sæculórum col Pax Dómini; b) intona il Glória e il Credo, quando vanno detti; c) dice ad alta voce le formule della Comunione dei fedeli e le parole della benedizione alla fine della Messa; d) dice con voce conveniente le parti alle quali i sacri ministri devono rispondere; e) dice sottovoce tutte le altre cose che nella Messa letta si dicono ad alta voce; f) omette tutto ciò che viene detto dai sacri ministri o dal lettore. 514. Alle Messe cantate, cioè senza sacri ministri, il celebrante è tenuto ad osservare quanto stabilito al numero precedente e, inoltre, a dire in canto le parti proprie dei sacri ministri. L’Epistola può essere cantata da un lettore. Se non è cantata da un lettore, è sufficiente che sia letta senza canto dallo stesso celebrante, che tuttavia può cantarla nel modo consueto. 515. Il tono solenne, nel canto delle orazioni, del prefazio e del Pater noster, si usa: a) nelle domeniche; b) nelle Messe festive e nella Messa dell’Ufficio di S. Maria in sabato; c) nelle vigilie di I classe; d) nel giovedì della Cena del Signore e nella Messa della Vigilia Pasquale; e) durante le ottave; f) nelle Messe votive di I, II e III classe. 516. Il tono feriale si usa: a) nelle ferie; b) nelle vigilie di II e III classe; c) nelle Messe votive di IV classe; d) nelle Messe dei defunti. CAPITOLO X NORME PER INGINOCCHIARSI, SEDERSI E STARE IN PIEDI DURANTE LA MESSA 517. Alla Messa letta, il sacerdote celebrante s’inginocchia a) quando il Ritus servandus in celebratione Missæ o l’Ordinario della Messa o il Proprio di ciascuna Messa prescrivono d’inginocchiarsi; b) quando il Ss. Sacramento è presente sull’altare (fuori dal tabernacolo), ogni volta che va al centro dell’altare o se ne allontana. 518. Alle Messe in canto, il sacerdote celebrante s’inginocchia: a) quando deve inginocchiarsi alla Messa letta. Tuttavia, alle parole che devono essere cantate da altri, non s’inginocchia quando egli stesso legge tali parole, ma quando esse sono dette in canto, secondo le rubriche, dai ministri o dal coro; b) però alle parole Et incarnátus est, nel simbolo, il sacerdote celebrante s’inginocchia sempre quando egli stesso recita tali parole; quando esse sono cantate, se non è seduto s’inginocchia di nuovo, se invece è seduto non s’inginocchia, ma china profondamente il capo, dopo averlo scoperto, eccetto che alle tre Messe della Natività del Signore e alla Messa dell’Annunciazione della B. Maria Vergine, nelle quali, al canto di queste parole, tutti s’inginocchiano. 519. I ministri, alle Messe in canto, s’inginocchiano sempre insieme al sacerdote celebrante, eccettuati il suddiacono, quando tiene il libro per il Vangelo, e gli accoliti, quando portano i candelieri: essi, in tal caso, non s’inginocchiano. E quando il diacono canta quelle parole che richiedono la genuflessione, egli s’inginocchia verso il libro, il celebrante e tutti gli altri verso l’altare. Alla Consacrazione, poi, i ministri genuflettono su entrambe le ginocchia. 520. In coro, coloro che non sono Prelati s’inginocchiano alla confessione col suo salmo e alla benedizione del celebrante al termine della Messa. I Prelati e i Canonici, alla benedizione, chinano profondamente il capo. 521. In coro, inoltre, tutti, anche i Prelati, s’inginocchiano: a) alla Consacrazione; b) durante la Comunione dei fedeli; c) nelle Messe delle ferie d’Avvento, di Quaresima e di Passione, delle Quattro Tempora di settembre, delle vigilie di II e III classe fuori dal tempo pasquale e nelle Messe dei defunti: alle orazioni che precedono l’Epistola, dopo il Dóminus vobíscum; dal termine del Sanctus fino al Pater noster con la sua introduzione escluso; e alle orazioni dopo la Comunione e sopra il popolo; d) quando i ministri o il coro cantano parole che richiedono la genuflessione. 522. Parimenti in coro tutti genuflettono su un solo ginocchio: a) quando il celebrante, nel simbolo, recita le parole Et incarnátus est, ecc.; b) quando, nell’ultimo Vangelo, dice le parole Et Verbum caro factum est. 523. Alla Messa solenne il celebrante può sedere tra il diacono e il suddiacono su uno scanno collocato presso l’altare, dalla parte dell’Epistola, mentre si cantano il Kýrie, eléison, il Glória in excélsis, la sequenza e il Credo; negli altri momenti sta in piedi all’altare o s’inginocchia, come sopra spiegato. 524. In coro, coloro che effettivamente cantano non siedono mai; gli altri, invece, possono sedere: a) quando siede il celebrante; b) mentre si cantano le letture, l’Epistola, il graduale il tratto, l’Allelúia col suo versetto e la sequenza; c) dall’Offertorio fino all’incensazione del coro o, se il coro non viene incensato, fino al prefazio; b) dal termine della Comunione fino al Dóminus vobíscum che precede le orazioni dopo la Comunione. Negli altri momenti stanno in piedi o s’inginocchiano, come sopra spiegato. CAPITOLO XI LA PREPARAZIONE DELL’ALTARE PER LA MESSA 525. L’altare su cui si celebra il santo Sacrificio della Messa dev’essere tutto in pietra e regolarmente consacrato; o almeno avere una tavola di pietra, detta pietra sacra, pure regolarmente consacrata, che sia abbastanza grande da contenere l’ostia e la maggior parte del calice; o anche, per Indulto Apostolico, un antimensium regolarmente benedetto. 526. L’altare sia coperto da tre tovaglie regolarmente benedette, di cui una sia tanto lunga da arrivare, ai lati, fino a terra. 527. Sopra l’altare deve trovarsi, al centro, una croce piuttosto grande col Crocifisso e, da una parte e dall’altra, i candelieri richiesti dal tipo di Messa con i ceri accesi. Vi si pongano anche le cosiddette «tabelle delle secrete» o «carteglorie», ma solo per il tempo della Messa; e, al lato dell’Epistola, un cuscino o leggio su cui appoggiare il Messale. 528. Dalla parte dell’Epistola, sopra una credenza a ciò predisposta, si preparino le ampolline del vino e dell’acqua, la bacinella e il manutergio, il campanello e il piattello per la Comunione dei fedeli. 529. Sull’altare non si ponga nulla che non serva al sacrificio della Messa o all’ornamento dell’altare stesso. 530. Si conservi, dove vige, l’uso di accendere un cero presso l’altare dalla Consacrazione alla Comunione.